|
Nel
corso della riunione annuale del World
Heritage Committee dell'UNESCO svoltosi
ad Istanbul il
17 luglio 2016, è stato annunciato che 17
opere architettoniche e urbanistiche, progettate
dall'architetto Le Corbusier, sono
state iscritte nella Lista
del Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
Il
risultato è frutto di un intenso lavoro
collettivo che ha coinvolto oltre alla Fondazione
Le Corbusier, i sette paesi
partner dove sono dislocate le opere (Argentina,
Belgio, India, Giappone, Svizzera, Francia), le
autorità locali, i professionisti coinvolti nel
progetto, gli utenti e i residenti degli
edifici, tra le 17 opere sono presenti infatti
anche abitazioni private.
Il riconoscimento dell'UNESCO,
attestando il contributo eccezionale che questo maestro dell'architettura ha dato
al Movimento Moderno, è un incoraggiamento alla
promozione, condivisione e tutela di un
patrimonio complesso e fragile dell'architettura
mondiale.
Elenco
delle 17 opere:
Argentina: Maison
du docteur Curutchet, La Plata
Belgio: Maison
Guiette, Anvers
Francia: Cabanon
de Roquebrune - Chapelle Notre Dame du Haut,
Ronchamp - Cité
Frugès, Pessac - Cité
radieuse (o Unité d'Habitation), Marseille - Couvent
Sainte Marie de la Tourette, Evreux - Maison
de la culture, Firminy - Immeuble
locatif Molitor, Boulogne-Billancourt - Maisons
La Roche et Jeanneret, Paris - Villa Savoye et
loge du jardinier, Poissy - Manufacture,
Saint-Dié des-Vosges
Germania: Maison
de la Weissenhof-Seidlung, Stuttgart
Giappone: Musée
National des Beaux-Arts de l’Occident,
Taito-Ku
India: Complexe
du Capitole, Chandigarh
Svizzera: Immeuble
Clarté Ginevra - Petite villa au bord du Lac Léman,
Corseaux
Charles-Edouard
Jeanneret nasce svizzero il 6 ottobre 1887 a La
Chaux-de-Fonds e muore francese nel 1965 durante
una nuotata al largo di Cap Martin.
Impara
il mestiere sul campo; non conseguirà mai un
diploma. Nel 1912 costruisce la sua prima casa a
La Chaux-de-Fonds. In tutto realizzerà
un'ottantina di progetti, servendosi in modo
pionieristico del calcestruzzo armato. Tra le
opere più note: la villa Savoy a Possy (1932),
l'unità abitativa di Marsiglia (1945-1952), la
città di Chandigarh (1952) e la cappella di
Ronchamp (1955). Le Corbusier (pseudonimo
che adotta a Parigi nel 1920) è considerato uno
dei maestri del Movimento Moderno.
Maison
du docteur Curutchet
Maison
du docteur Curutchet è una costruzione situata
a La Plata.
Si stratta di uno dei due edifici di Le
Corbusier esistenti nel continente americano,
l'altro è il Carpenter Center for the Visual Arts à Cambridge, Massachusetts.
La
casa fu commissionata dal Dr. Pedro Curutchet
nel 1948. I lavori iniziarono nel 1949 e
terminarono nel 1953. E' considerata monumento
storico nazionale dal 1987.

Maison
Guiette, Anvers
Casa
Guiette, è stata disegnata da Le Corbusier nel
1926 ed è considerata una delle sue opere meno
conosciute.
Quest’opera
architettonica non è in alcun modo valorizzata,
sembra incredibile che Le Corbusier abbia
costruito qui e che quasi nessuno ne sia a
conoscenza. In mezzo a terra, pietre e macerie e
a quello che pare un cantiere in corso si scorge
questo edificio bianco, anzi precisamente un
semplice parallelepipedo bianco. In mezzo a
delle macerie.
L'edificio,
commissionato dal pittore Renè Guiette, fu
costruita nel 1927.
L'abitazione
è composta di tre piani, ed ha grandi vetrate
nel fronte e nel retro, per dare maggiore
luminosità allo studio del pittore. Casa
Guiette venne inoltre restaurata nel 1985 da
Georges Baines.
Cabanon
de Roquebrune

Il
Cabanon è una costruzione progettata da Le
Corbusier nel 1951 e ubicata a Roquebrune-Cap-Martin,
in Francia.
Le
Corbusier progetta il Cabanon come regalo di
compleanno per la moglie Yvonne e decide di
collocarlo a Roquebrune - Cap-Martin, in Costa
Azzurra, dove già abitava all'interno della
casa E 1027, realizzata da Eileen Gray e Jean
Badovici nel 1927: la peculiarità di tale
proposta progettuale era costituita dalle sue
dimensioni ridottissime. Trattasi invero di un
capanno - traduzione dal francese del termine
stesso «Cabanon» - dalle dimensioni in pianta
di 3,66 x 3,66 metri e dall'altezza di 2,26
metri: queste dimensioni, studiate con estrema
precisione secondo i dettami aurei e
antropocentrici del Modulor, sono frutto
anche della consapevolezza che a un «uomo nudo»
in vacanza «non serve molto più di un letto,
servizi, un tetto e la vista del sole che
risplende sul mare».
Il
Cabanon, in effetti, si costituisce come un
minimum architettonico irriducibile,
insemplificabile, grande appena quattordici
metri quadrati (come la cabina di un treno),
dove ogni elemento è ridotto al massimo
dell'essenzialità. Per ottenere una simile
elementarietà nell'organizzazione spaziale di
questa machine à habiter ciascun
arredo spesso svolge una duplice funzione: il
letto occulta i cassetti dell'armadio, il
supporto del lavandino funge da elemento di
separazione, uno sgabello è anche scala per il
ripostiglio superiore, e così via. Una simile
semplificazione coinvolge anche la distribuzione
di questo microspazio, il quale si contrae in un
corridoio d'entrata, un servizio e un vuoto
unico centrale, suo fulcro distributivo, intorno
al quale si dispongono in maniera centripeta le
diverse zone funzionali (soggiorno, area pasti,
servizi igienici ...) di questa "umile
baracca". Persino gli infissi sono
minimalizzati, con la presenza di sole due
finestre, rivolte verso un'emergenza rocciosa e
verso i litorali monacensi, e di due
fessurazioni funzionali per un'aerazione
ottimale degli interni. Il soffitto è infine
realizzato con pannelli di quercia bianchi,
rossi, verdi, gialli e blu.
Malgrado
la manifesta semplicità, dunque, gli interni
del Cabanon sono studiati con rigorosa
diligenza, e rimandano nel loro complesso a
un'ideale di calore, accoglienza, introversione
ed essenzialità. Interessante è anche
l'involucro esterno, composto da doghe di scorza
di pino, il quale per la sua rustica selvaticità
sarebbe quasi assimilabile a uno chalet montano,
se non fosse armoniosamente connaturato nella
rigogliosa vegetazione mediterranea circostante.
Chapelle
Notre Dame du Haut

Notre-Dame
du Haut è una cappella situata a Ronchamp,
presso Belfort in Francia realizzata
dall'architetto Le Corbusier, secondo i
canoni dell'architettura brutalista (cfr.
anche razionalismo). È considerata uno dei
più celebri esempi di moderna architettura
religiosa.
Progettata
a partire dal 1950, la prima pietra venne
posata il 4 aprile 1954 e la chiesa fu
ultimata il 20 giugno 1955, benedetta il 25
giugno 1955, e consacrata l'11 settembre
2005.
La
costruzione, situata sulla sommità di una
montagna, è in calcestruzzo armato. È
costituita da un'unica navata di forma
irregolare. Nei lati della navata sono ricavate
tre piccole cappelle indipendenti che terminano
in tre campanili di forma semi
cilindrica. La copertura della chiesa è
realizzata con una gettata di calcestruzzo
modellata come se si trattasse di una grande
vela rovesciata.
Per
aumentare il senso di leggerezza dell'insieme la
copertura non appoggia direttamente sulle
pareti, bensì su corti pilastrini affogati
nella muratura delle medesime. In questo modo,
osservando il soffitto dall'interno, si
percepisce una lama di luce che penetra tra i
muri e la vela in calcestruzzo, come se essa
potesse quasi volar via da un momento all'altro.
La
luce entra inoltre da decine di aperture delle
più varie forme. Feritoie, finestre, vetrate e frangisole che
determinano suggestivi effetti di luce
valorizzati dal contrasto tra il bianco
dell'intonaco ed il grigio sporco del cemento.
Ardito ed interessante l'accostamento, proposto
da Pierre Guéguen tra queste feritoie ed i
tagli che Lucio Fontana iniziò a praticare
pochi anni dopo nelle sue tele: "Rencontre
de luminaristes en des arts differents". La
chiesa è stata concepita per essere utilizzata
anche all'esterno, dove, sotto l'ampio tetto, si
trovano un altare e un pulpito.
La costruzione può ospitare circa 200 persone.
"Ho
voluto creare un luogo di silenzio, di
preghiera, di pace, di gioia interiore",
disse Le Corbusier, il giorno
dell'inaugurazione.
Cité
Frugès, Pessac

Frutto
dell'incontro fra un architetto urbanista
audace, quel Charles-Eduard Jeanneret detto Le
Corbusier e Henry Frugès, un industriale
bordelese lungimirante, nasce, fra il 1924 e il
1926 la Cité Frugès a Pessac che all'epoca
rappresenta una vera rivoluzione sia sul piano
dell'habitat sociale che su quello
dell'architettura. Le Corbusier ha finalmente
l'occasione di passare dalla teoria alla
pratica, di applicare i suoi principi
costruttivi base, di sperimentare la produzione
in serie e il prefabbricato, la sua
"filosofia del vivere" che rispetta
l'uomo e le sue esigenze non resterà più solo
sulla carta. Da parte loro gli abitanti godranno
di ben 75 metri quadri di appartamento, di
comodità moderne inimmaginabili all'epoca
persino nelle ricche case borghesi di Bordeaux
come ripostiglio-lavanderia, stanza da bagno con
doccia, riscaldamento centralizzato, garage o
tetti- terrazza, luminosi spazi individuali e
collettivi per i diversi momenti del vivere
quotidiano.
Cinque
tipologie di case, "la maison
Gratte-Ciel", "la maison Arcade",
"la maison Jumelle", "la maison
Zig-Zag" e "la maison Quinconce",
come un gioco del lego con i pezzi rispondenti a
caratteristiche comuni che vengono assemblati
ogni volta diversamente e la policromia quale
protagonista. Il colore è un fattore
determinante nella composizione della Cité Frugès,
giochi cromatici non solo sulle pareti
all'interno, ma anche negli esterni.
Previste
inizialmente bianche, strada facendo ci si
accorgerà che il colore ha il potere di
valorizzare gli elementi architettonici, da la
sensazione di uniformità a certi gruppe di case
o viceversa può creare alternanze, variazioni
fra le diverse costruzioni.
Presso
gli abitanti c'è la consapevolezza di vivere in
un luogo particolare che rappresenta una pagina
di storia dell'architettura moderna del XX°
secolo e la volontà di procedere alla
salvaguardia delle unità nel rispetto dei piani
originali anche se la ristrutturazione è molto
più lunga e costosa se paragonata a una casa
comune, vige infatti una severa normativa
rispetto questa Zona di Protezione del
Patrimonio Architettonico.
Cité
Radieuse (o Unité d'Habitation)

L'Unité
d'Habitation de Marseille, conosciuta anche come Cité
Radieuse, è un edificio civile di Marsiglia,
progettato dall'architetto svizzero Le
Corbusier.
L'edificio
è il primo dei cinque analoghi realizzati in Europa e
rappresenta una delle realizzazioni pratiche
delle teorie ideate dal celebre architetto circa
il nuovo concetto di costruire la città,
nonché uno dei punti di arrivo fondamentali del Movimento
Moderno nel concepire l'architettura e
l'urbanistica.
Nel
1946, in un tragico scenario di devastazione e
macerie, le varie nazioni europee, sopravvissute
alla seconda guerra mondiale, avviarono
ognuna dei grandi progetti di ricostruzione. In Francia il
ministro dell'Urbanistica e della Ricostruzione
Raoul Dautry interpellò, tra gli altri, il
celebre architetto avanguardista Le Corbusier,
che ebbe così l'opportunità di mettere in
pratica i suoi innovativi studi sui princìpi
funzionali volti ad un nuovo modo di concepire
lo spazio abitativo collettivo.
L'idea
dell'Unité d'Habitation, infatti, veniva
coltivata da Le Corbusier seppur in forma
estremamente embrionale sin dal lontano 1907,
quando egli fu in visita alla certosa di
Ema, presso Firenze. Questa struttura lo colpì
non sotto il profilo estetico, o formale, bensì
per il suo efficacissimo motore distributivo,
perfettamente in grado di coniugare la vita
individuale con quella collettiva. In questo
complesso monastico, infatti, la vita privata
dei frati era tutelata da ogni promiscuità
grazie alla presenza di celle che garantivano un
isolatento pressoché totale: al contempo,
tuttavia, la vita collettiva era assai sentita.
«A partire da questo momento mi è apparso il
binomio: individuo e collettivo, binomio
indissolubile» avrebbe scritto l'architetto,
folgorato dalla sinergia che nella certosa di
Ema si veniva a creare fra queste due sfere,
apparentemente inconciliabili.
Pur
suscitando accesi dibattiti o violente
stroncature, i suoi progetti si rivelarono
apprezzabili e con intuizioni all'avanguardia
per i tempi, anticipando molte delle più
diffuse concezioni architettoniche
contemporanee. Inutile rimarcare che, se queste
varie idee progettuali erano sino a quel momento
rimaste sulla carta, ora con l'occasione
marsigliese era necessario concretarle. Per
questo motivo Le Corbusier decise di istituire
l'Ascoral, Assembée de Constructeurs pour une Rénovation
Architecturale, nella prospettiva di avviare
un'intensa ricerca teorica - sfociata poi con
l'ideazione del Modulor - e di
stabilire una feconda e solidale collaborazione
tra architetti e ingegneri, in maniera
perfettamente antitetica al sentire comune del
tempo, per il quale questa dicotomia era
insolubile: sotto questi auspici creò l'Atbat,
Atelier de Bâtisseurs, un gruppo omogeneo di
collaboratori tra architetti e ingegneri
coordinati dall'ingegnere Vladimir
Bodiansky.
Fu
così che nel 1947 il progetto prese il via.
Stabilito il luogo propedeutico all'edificazione
della prima Unité d'Habitation - boulevard
Michelet, a Marsiglia - vennero
eseguiti più di mille disegni, sotto la tenace
tutela di Le Corbusier, che non si lasciò
affatto scoraggiare dalle innumerevoli difficoltà
che lo ostacolavano (le formalità con
l'amministrazione furono estenuanti, così come
le ininterrotte critiche dei detrattori). Dopo
cinque anni di intenso lavoro, nel 1952, la
costruzione poté finalmente dirsi ultimata e
l'Unité d'Habitation di Marsiglia venne
solennemente inaugurata: da quell'anno in poi
complessi edilizi analoghi vennero realizzati a Nantes per
una cooperativa privata (1953-555), a Berlino sotto
la spinta dell'Interbau (1957), a Briey (1961) e
infine a Firminy (1967). Diventata,
nonostante le iniziali incomprensioni, ambita
residenza di esponenti del ceto borghese
medio-alto, professionisti e intellettuali del
capoluogo francese, l'Unité d'Habitation è
stata nominata il 12 ottobre 1995 «Monument
historique» ed è luogo di visita di numerosi
turisti, scolaresche e studiosi d'architettura
ogni anno.
Secondo
il pensiero di Le Corbusier non esisteva una
sostanziale distinzione tra l'urbanistica e
l'architettura, arti che tentò di ricondurre a
unità con una demiurgica opera di ricucitura.
La sua attenzione era principalmente rivolta a
studiare un sistema di relazioni che, partendo
dalla singola unità abitativa intesa
come cellula di un insieme, si estendeva
all'edificio, al quartiere e
all'intero ambiente costruito.
L'Unité
d'Habitation è la magistrale sintesi di questa
teoria e racchiude in sé tutti i princìpi
architettonici da lui ideati, divenendo la somma
delle funzioni prettamente domestiche coniugate
a quelle urbanistiche. Essa venne quindi
concepita come una vera e propria «città
verticale» caratterizzata da spazi individuali
inseriti in un ampio contesto di aree comuni;
questo equilibrio fu supportato dall'impiego
delle più moderne tecniche progettuali e
costruttive già scoperte in precedenza dal Razionalismo e
dall'esperienza del Bauhaus.
L'edificio
rappresenta quindi una sorta di contenitore che
racchiude in esso uno spazio urbano,
trascendendo la funzione meramente abitativa di
un semplice condominio e concependo l'edificio
come una sorta di «macchina per abitare» per
un elevato numero di persone. Secondo i principi
di Le Corbusier, l'attuazione di questa teoria
porterebbe al salto dimensionale tra il singolo
edificio e la città, cosicché il primo divenga
un sottomultiplo della seconda.

Attraverso
un accurato studio delle piante Le Corbusier,
con la sua Unité d'Habitation, riesce a
proporre un modello architettonico in grado di
armonizzare la vita individuale, familiare e
collettiva. Se la proliferazione di case isolate
aveva dato vita a un elevato consumo di suolo
agricolo e naturale e ad altri fenomeni
energivori e poco sani, come quelli dello sprawl
e della città diffusa, Le Corbusier con l'Unité
d'Habitation intende dare vita a un unico
organismo polifunzionale complesso che, pur
preservando una densità abitativa elevata,
riesce a costituirsi come un'alternativa alla
colata di cemento delle villette unifamiliari
riuscendo a destinare la parte restante del
terreno a verde.
Partendo
da queste premesse, si pone il problema di
gestire con cautela la concrezione abitativa che
si viene così a generare. Le Corbusier, come già
accennato, risolve in maniera geniale questa
problematica, a partire sin dalle piante dei
singoli alloggi: l'architetto, infatti, ripudia
l'architettura così come tradizionalmente
concepita - in maniera scatolare, come mera
giustapposizione di stanze, e perciò tendente a
frantumare l'unità familiare e a generare
disgregazione - e approda a un impianto
distributivo che da un lato stimola i momenti di
riunione, ma dall'altro assicura spazi
individuali dove il singolo utente può isolarsi
in maniera tranquilla.
Aumentando
di scala, Le Corbusier si rende conto di come
sia necessario anche salvaguardare il nucleo
famigliare dalle ingerenze esterne, evitando per
quanto più possibile promiscuità - sia fisica
ma anche morale - con le famiglie adiacenti. La
lottizzazione delle case isolate si rivelava
carente in tal senso, in quanto le singole unità
abitative erano separate tra di loro solo da
sottili strisce di terreno, di dimensioni
modestissime, che non garantivano una
sufficiente protezione visiva e acustica tra i
vari nuclei famigliari.
Memore
della lezione dei certosini di Ema, tuttavia, Le
Corbusier è consapevole che tutelare
l'individualità familiare non significa
necessariamente rinunciare a una vita collettiva
intensa: essendo l'uomo un animale per natura
sociale, esso tende per natura ad aggregarsi con
altri individui e a costituirsi in società, e
per questo - pur avendo il diritto di
realizzarsi privatamente, in seno alla famiglia,
nella propria vita individuale - deve anche
riconoscersi in una dimensione culturale
collettiva. Partendo da quest'esigenza Le
Corbusier integra gli alloggi, di per sé
isolati come si è visto, in una collettività,
nel segno di un'equilibrata riconciliazione tra
famiglia e società: per ricucire queste due
sfere antropologiche egli prevede esternamente
agli alloggi, concependoli come veri e propri «prolungamenti»,
una dotazione di servizi extraresidenziali -
asili nido, palestre, supermercati - a diretto
beneficio di tutti gli abitanti.

Localmente
noto come «maison du fada» il complesso
residenziale si estende su un'area di circa
3.500 metri quadrati e misura 137 metri di
lunghezza per 24 metri di larghezza e può
contenere più di 1.500 abitanti.
L'edificio
si sviluppa su diciotto piani, per un'altezza
complessiva di 56 metri: osservando il basamento
si può notare l'adozione di grandi e massicci
pilastri di forma tronco-conica che, sorreggendo
tutto il corpo di fabbrica, sostituiscono i setti
portanti. Inoltre, la loro funzione strutturale
separa volutamente l'edificio dal suolo e,
soprattutto, elimina definitivamente la presenza
di abitazioni penalizzate dall'oscurità e
dall'umidità derivanti dalla collocazione a
terra.
L'arretramento
degli stessi pilastri rispetto al filo dei solai consente,
inoltre, il libero sviluppo della facciata con
l'impiego di ampie finestrature a «nastro»
lungo le pareti perimetrali a tutto vantaggio di
un ottimale livello di illuminazione interna,
uno degli aspetti fondamentali dell'opera di Le
Corbusier. I prospetti delle facciate sono
invece scandite da ripetuti moduli rettangolari
costantemente caratterizzati dalla presenza del
colore in netto contrasto con l'uniformità
cromatica del cemento armato che caratterizza
l'intera struttura: «parallelepipedo imponente
che, rinnegando il gusto della superficie
levigata, esalta il béton brut, il
cemento roccioso colato in casseforme di legno
grezzo, la materia scabra su cui è impressa la
sigla del Modulor» ricorda il critico Bruno
Zevi.

Come
è noto l'edificio ospita anche aree dedicate a
servizi solitamente dislocati nel contesto
urbano circostante: tuttavia, la commistione di
spazi comuni, zone commerciali e aree
residenziali è organizzata con razionalità,
pur senza tralasciare la funzionalità.
Al
settimo e ottavo piano, un ampio corridoio
interno, che percorre longitudinalmente la
struttura come una sorta di strada, consente
l'accesso ai principali servizi utili alla
collettività: una lavanderia, un supermercato,
un albergo con ventuno camere, una
biblioteca e poi svariati negozi, ristoranti e
uffici. Come per l'esterno, gli interni
dell'edificio sono costantemente caratterizzati
dalla presenza del colore, utilizzato come
elemento di arredo. Al di sopra e al di sotto
del settore centrale dedicato ai servizi vi è
la parte residenziale dell'edificio, composta da
una successione di 337 appartamenti disposti
trasversalmente rispetto allo sviluppo
dell'edificio.
Uno
degli aspetti più rivoluzionari fu la nuova
concezione della singola cellula abitativa, non
più contraddistinta dal contesto sociale di chi
lo abita; analizzando la planimetria degli
appartamenti è interessante notare come Le
Corbusier abbia concepito delle unità abitative
tutte uguali e di dimensioni medio-grandi, quasi
fossero oggetti da assemblare in serie. Ciascuna
di esse è del tipo duplex, ovvero
disposta su due livelli diversi collegati da una
scala interna; gli ingressi sono disposti lungo
ampi corridoi interni dalle coloratissime pareti
situati ogni due piani che, nella logica
progettuale di Le Corbusier, rappresentano le strade del
complesso residenziale.
L'architetto
concepì questi spazi abitativi applicando il
proprio sistema denominato Modulor,
ovvero «una gamma di misure armoniose per
soddisfare la dimensione umana, applicabile
universalmente all'architettura e alle cose meccaniche».
Una rappresentazione del Modulor è
raffigurata su una parete dei locali presenti
sul tetto dell'edificio. L'ennesima innovazione
è rappresentata infine anche dal tetto
abitabile, noto anche come «tetto giardino»,
secondo i celeberrimi Cinque
Punti.
Analogamente
a quanto accade nei grattacieli, grazie
all'impiego del calcestruzzo armato, esso
può diventare un vasto giardino pensile o
essere adibito a funzioni complementari e
ricreative utili alla collettività. Esso ospita
infatti svariati locali ad uso comune come la palestra,
una piccola piscina, l'asilo nido, un solarium,
un auditorium all'aperto e un percorso
ginnico di circa trecento metri per
l'attività sportiva.
Couvent
Sainte Marie de la Tourette, Evreux

Il convento
di Santa Maria de La Tourette è un
edificio religioso appartenente all'Ordine
domenicano,
progettato da Le
Corbusier e
situato nel comune di Éveux situato
nella zona di L'Arbresle nei
pressi di Lione e
non nel territorio di La
Tourette.
Su
invito del padre Couturier dell'Ordine
domenicano, Le
Corbusier sviluppa
un progetto che unisse i principi religiosi
dell'Ordine e le idee costruttive
dell'architetto. Le
Corbusier ha
collaborato con il suo socio Andre Wogenscky,
mentre assieme al progettista greco Iannis
Xenakis ha studiato soluzioni
armoniche per le vetrate sia orizzontalmente sia
verticalmente. Il cantiere inizia nel 1956,
pur avendo dei problemi economici, viene
consacrato nell'ottobre 1960.
Grazie a due mecenati, il convento viene chiuso
per lavori per 4 anni su 3 delle 4 ali, nel 2010 viene
riaperto per ospitare monaci e per visite
guidate. Nel 2011 iniziano
i lavori di restauro
della chiesa e della sagrestia.
Il
complesso conventuale comprende una chiesa, un
chiostro, una sala capitolare, aule,
biblioteca, sala da pranzo, varie sale, cucine e
un centinaio di singole celle. È costruito in
una valle in forte discesa circondata da foreste
e da pianura; per dare un aspetto meno massiccio
alla struttura si è scelto di appoggiare la
massa del convento su pilastri di
varia altezza data la pendenza del terreno. Al
suo interno vi sono cento celle per i monaci.
Ancora sotto si trovano le sale studio, più in
basso i refettori e infine, a contatto
con il suolo, le cucine. Nelle zone adiacenti si
trovano la chiesa e la sagrestia. È presente un
cortile interno collegato direttamente con
l'esterno.
Il
terreno del convento si trova a lato di una
strada di crinale che degrada verso valle; Le
Corbusier sfrutta la pendenza del terreno per
meglio organizzare la distribuzione funzionale. L'impianto
utilizzato è molto formale, difatti non è
facilmente riconoscibile come convento;
l'edificio è definibile come appartenente al brutalismo,
il calcestruzzo è presente ovunque, non sono
presenti delle modanature e
nessun elemento decorativo, in linea con i
principi di povertà e semplicità dell'Ordine.
Gli elementi sono articolati con l'angolo retto,
inoltre le aperture sono studiate per essere a nastro andando
ad occupare spesso la maggior parte della
parete.
L'edificio
è pensato principalmente per il rapporto che
chi è all'interno ha verso l'esterno e non
l'impatto paesaggistico che ha l'edificio con il
contesto, questo i frati appartenenti all'Ordine
dei Frati Predicatori devono
avere un'alta istruzione, ed il convento è il
posto dove questa preparazione avviene.
Nella
sagrestia e nell'altare della chiesa è stato
studiato principalmente il rapporto con la luce,
sono stati inseriti dei "cannoni" di
luce, finestre appositamente modellate per poter
avere alle diverse ore del giorno diversi
comportamenti interni della luce. Nella navata
della chiesa sono presenti due finestre, una
posizionata nel centro della navata mentre una
posta alla sommità della parete opposta
all'altare; questo gioco di luci da un diverso
effetto interno durante le diverse ore del
giorno.
Le
Corbusier fa variare l'altezza tra il pavimento
ed il soffitto a seconda dell'importanza
dell'ambiente, la chiesa ha l'altezza maggiore e
il corridoi con il quale vi si accede cambia di
altezza mentre lo si percorre, per significare
il fatto che si entra in un ambiente importante.
L'ambiente d'entrata ha un'altezza bassa, ma
mentre ci si avvicina al centro dell'edificio i
solai cambiano d'altezza.
Maison
de la culture

Simbolo
dell'architettura moderna, Le Corbusier
costruisce a Firminy (a 10 km da Saint-Etienne)
4 edifici: la Maison de la Culture - La casa
della Cultura, le Stadio, l’unité
d’Habitation et la Chiesa.
Il
sito Le Corbusier di Firminy, il più grande
complesso europeo ideato dall'architetto
visionario, rientra ormai tra i monumenti
classificati Patrimonio mondiale dell'umanità. Tale
classificazione conferma l'importanza di
quest'opera come modello imprescindibile, sia
sul piano teorico che sul piano artistico,
dell'architettura del XX e XXI secolo.
La
Maison de la Culture di Firminy è entrata
a far parte persino della rete internazionale
dei siti riconosciuti dall'ONU come Città
Creative Design, proprio come è successo per la
città di Saint-Étienne già Patrimonio
dell'UNESCO.
La
Maison de la Culture è il primo edificio
costruito dall'architetto, tra il 1961 e il
1965, nel nuovo quartiere di Firminy-Vert. Le
sue sale d'esposizione vi mostreranno la storia
del quartiere di Firminy-Vert e delle opere di
Le Corbusier negli anni 60.
La
sua architettura contribuisce al rinnovamento
delle forme e della concezione spaziale del
movimento moderno: la sua conformazione rivela
l'avanguardismo dell'architettura, in
particolare nel modo di utilizzare le nuove
tecniche, nella sperimentazione di materiali.
Proprio
a questo titolo La Maison de la Culture è uno
dei gioielli
imperdibili della Creazione di Le Corbusier…
Un luogo unico nel dipartimento della Loira...
Un luogo di straordinaria fama al servizio del
territorio di Saint-Etienne e di tutta la
regione Alvernia Rodano-Alpi.
Immeuble
locatif Molitor
L'Immeuble
Molitor è un edificio di Parigi situato
in rue Nungesser et Coli 24 (XVI
arrondissement),
opera di Le
Corbusier,
che all'ultimo piano aveva il suo atelier per la
pittura personale e un'abitazione dove trascorse
gli ultimi anni della sua vita.
L'abitazione
è oggi aperta al pubblico e fa parte degli
edifici parigini del grande architetto gestiti
dalla Fondazione
Le Corbusier.
Fu
progettato nel 1931 e
concluso nel 1934 da
Le Corbusier e Pierre
Jeanneret.
L'edificio, in una posizione panoramica tra il Parco
dei Principi e
il Bois
de Boulogne, venne scelto da Le Corbusier
per la propria abitazione, creando all'ultimo
piano ed alla terrazza sul tetto "il
miglior appartamento dell'intero edificio",
complessivamente ampio circa 240 metri quadrati.
Il sistema delle volte permise la creazione di
ampi spazi, senza il ricorso a supporti
intermedi e creando vari ambienti funzionali che
sono un tutt'uno, senza i tradizionali mezzi di
separazione. Le porte ad esempio sono veri e
propri mobili ruotanti, che permettevano di
isolare in maniera invisibile per il visitatore
i due nuclei principali dell'appartamento: lo
studio di pittura e la parte abitativa vera e
propria.
Lo
studio è diviso in tre ambienti principali:
La
grande sala per dipingere, con ampie finestre,
pareti lisce e con una predominanza del colore
bianco, anche nel pavimento. La volta misura
circa 3x12 metri, con un'altezza di 3,50 m; la
grande parete di fondo è composta da pietre e
mattoni a vista.
L'angolo
con la scrivania e lo scrittoio, affacciato sul
panorama
Il
ripostiglio e la camera di servizio.
Grande
importanza rivestiva la luce, che Le Corbusier
cercò di far entrare da ogni lato, ricreando
artificialmente la situazione di un'abitazione
sul Mediterraneo. Pannelli di legno servivano
per controllare le aperture e impedire una luce
troppo abbagliante, soprattutto al mattino.
La
parte dell'appartamento è composta da un
cucinotto, disegnato da Charlotte
Perriand,
in legno scuro Okume dipinto grigio chiaro e
acquaio in peltro.
La camera da letto ha un altissimo letto, così
composto affinché si potesse vedere il Bois de
Boulogne dalla finestra. Molto originale è il
bagno, ricavato in un ambiente di per sé molto
angusto, con pareti non ortogonali. All'ultimo
piano, raggiungibile da una scala a chiocciola
senza ringhiera, si trova una gabbia di vetro e
muratura dalla quale si accede alla terrazza
superiore.
Quasi
tutto il mobilio presente è originale, mentre
non ci sono più le opere d'arte create da Le
Corbusier o da lui possedute.
L'appartamento
è stato dichiarato come "Listed
Building" nel 1972 e
confermato nel 1990.
Maisons
La Roche et Jeanneret

La maison
La Roche-Jeanneret è una doppia villetta
costruita da Le
Corbusier nel 1924,
ubicata presso i numeri 8-10 della rue Doctor
Blanche, a Parigi.
Il
progetto risale al 1923, quando Raoul La Roche
commissionò all'architetto elvetico una casa
dove potesse anche essere esposta la sua
galleria d'arte. Il lotto, molto stretto e
penalizzato da numerosi vincoli, oltre che da un
orientamento eliotermico assolutamente
sfavorevole, lambiva la rue du Docteur Blanche,
a Parigi, in un quartiere borghese - Auteuil -
che, pur essendo stato inglobato nei processi di
urbanizzazione, preservava un'atmosfera
villaggesca: quello che poteva benissimo
prospettarsi come una mortificante operazione di
speculazione immobiliare, tuttavia, viene
trasformato da Le Corbusier in un pregevole
intervento architettonico in grado di captare le
suggestioni provenienti dalle sperimentazioni
neoplastiche di Theo
van Doesburg e Cornelis
van Eesteren, «architetti del gruppo De
Stijl», e di segnare un nuovo punto di partenza
nella sua maturazione architettonica.
Il
complesso La Roche-Jeanneret è costituito da
due abitazioni distinte, contigue, ma
indissociabili: la prima, maison Jeanneret,
venne costruita in collaborazione con
l'architetto Pierre Jeanneret nel 1925, mentre
la seconda fu destinata a monsieur Raoul La
Roche, economista benestante e colto
collezionista di arte moderna (alla sua
collezione appartenevano tele di Picasso,
Braque, Lèger, Gris, Lipchitz e dello stesso Le
Corbusier, noto pittore di matrice purista). Dal
cancello d'ingresso si dipana un sentiero in
pendenza che, addentrandosi in profondità nel
lotto, consente l'accesso ad ambedue le
abitazioni, volumi netti, candidi, dalle
notevoli qualità plastiche. Maison La Roche, in
particolare, è particolarmente interessante dal
punto di vista planimetrico in quanto dissocia
completamente l'area funzionale all'abitare in
senso stretto a quella destinata alla fruizione
delle varie opere d'arte: in questo modo si
scindono in maniera efficace la parte pubblica
della casa da quella privata, in modo tale da
evitare ogni conflittualità, ma si salda al
contempo un legame indissolubile tra la pittura
e l'architettura, due universi che presentano
forti compenetrazioni, anche nella biografia di
Le Corbusier.
Entrando
nell'abitazione si ha innanzitutto accesso a una
hall a tripla altezza, priva di affacci diretti
verso l'esterno ma irrorata in maniera costante
ma delicata della luce proveniente dagli
ambienti contigui: da questo spazio, vero e
proprio fulcro dell'intero sistema
architettonico, si innesta una scala nera che dà
accesso alla galleria delle opere d'arte,
caratterizzata da uno sviluppo orizzontale
preminente, enfatizzato dalla rettilineità
delle pareti (atta proprio per appendervi i
quadri). La galleria, a sua volta, è connessa
alla soprastante biblioteca mediante una rampa
di risalita, strumento di cui Le Corbusier si
serve per superare agevolmente il dislivello
presente tra i vari piani senza per questo
sacrificare la continuità dei relativi
ambienti: si tratta di una sperimentazione
primitiva della cosiddetta promenade
architecturale («passeggiata
architettonica»), la quale verrà poi
perferzionata nelle successive villa
Stein e villa
Savoye.
La
rampa, in ogni caso, consente l'accesso al piano
più alto della casa, dove - come già accennato
- è collocata la biblioteca, luogo di studio e
di contemplazione prediletto da monsieur La
Roche che qui poteva rifugiarsi, assorgersi
nella lettura dei suoi amati libri e dominare
con lo sguardo il resto degli ambienti della
casa, senza per questo essere visto. Tra gli
altri ambienti della casa troviamo per l'appunto
la cucina, il garage e la camera del guardiano,
disposti al piano terra, la sala da pranzo (dove
le lampadine «denudate» denunciano la volontà
di Le Corbusier di sopprimere ogni
ornamentazione superflua), la chambre
puriste (camera da letto dall'arredo
minimalista) e il toit-terrasse.

Villa
Savoye et loge du jardinier
Villa
Savoye è una residenza
privata progettata da Le
Corbusier e da Pierre
Jeanneret, costruita tra il 1928 e il
1931 su commissione di Pierre Savoye. Si tratta
del manifesto più conosciuto del movimento
moderno e in particolare del cubismo architettonico.
Pierre
Savoye, broker
assicurativo, socio del gruppo
Gras-Savoye, marito di Emilie Savoye e padre di
Roger Savoye, nel 1928 commissionò a
Charles-Eduard Jeanneret (noto come Le
Corbusier) e Pierre
Jeanneret il progetto di una
residenza dove trascorrere i fine settimana con
la famiglia. La costruzione iniziò nel febbraio
del 1929 e l'abitazione venne conclusa nel 1931
con l'aggiunta del sistema di riscaldamento,
diventando così la residenza secondaria dei
Savoye. L'iter progettuale e costruttivo,
come di consueto in Le Corbusier, fu abbastanza
tortuoso, in quanto il preventivo iniziale di
785.060 franchi si rivelò sin da subito essere
troppo esoso.
Le
diffocoltà e le tensioni sorte in fase
progettuale, tuttavia, permasero anche una volta
terminata la costruzione di villa Savoye, che
iniziò ben presto ad accusare difetti tecnici
nefasti. Quando la famiglia iniziò ad abitare
per brevi periodi la casa, soprattutto
d'autunno, nacquero infatti diverse difficoltà,
dovute alle infiltrazioni dal soffitto, agli
spifferi causati dallo scarso isolamento delle
grandi finestre e ai rumori dovuti al tremolio
dei vetri dei lucernari,
oltre che dalla formazione di condensa, dovuta
all'eccessiva umidità e all'insufficienza
tecnica dell'impianto di riscaldamento. Da
alcune lettere di Madame Savoye a Le Corbusier
si colgono chiare lamentele al riguardo («[il
ticchettio della pioggia] è infernale e non ci
lascia dormire» o, in un'altra lettera: «Piove
nell'atrio, piove sulla rampa e il muro del
garage è completamente impregnato d'acqua. Quel
che è peggio, continua a piovere nella mia
stanza da bagno, che resta allagata ogni volta
che fa mal tempo»). I Savoye continuarono ad
abitare la casa fino al 1940.
Dopo
l'abbandono dell'abitazione da parte dei Savoye
quest'ultima iniziò a essere afflita da
un'inarrestabile serie di deterioramenti e
degradi. Durante la seconda guerra mondiale i
tedeschi e in seguito gli alleati occuparono
l'edificio, che subì notevoli danni; i primi
addirittura stabilirono i loro depositi per il
fieno all'interno dell'abitazione. Nel 1958
la città di Poissy
espropriò gli otto ettari di terreno
appartenenti alla famiglia Savoye, utilizzandone
una parte, non occupata dalla casa
lecorbusierana ormai abbandonata, per costruire
un liceo. Dovettero intervenire Le Corbusier e
altri architetti per impedire la demolizione di
casa Savoye negli anni successivi, fino a quando
lo stato francese, nel 1963, acquisì la
proprietà dal municipio e provò a recuperarla
con un primo tentativo firmato dall'architetto
Jean Debuisson.
Nel
1965 la Maison Savoye, quando Le Corbusier era
ancora in vita, fu inserita nella lista dei
monumenti storici francesi in virtù del suo
valore architettonico. Nel 1985 ebbe invece
inizio un secondo restauro diretto
dall'architetto Jean-Louis Veret che terminò
nel 1997 e vide una ripresa del calcestruzzo ormai
deteriorato dal tempo, l'installazione di un
nuovo sistema d'illuminazione, l'impianto di una
serie di telecamere di sorveglianza e il
ripristino di diversi infissi e arredi interni.

La
Villa Savoye nasce da una maglia strutturale di
base rettangolare formata da elementi verticali
cilindrici (pilotis) posti ad un ritmo
perimetrale di 4,75 metri l'uno dall'altro e
disposti verso l'interno quasi simmetricamente
secondo uno schema che favorisce il percorso di
un'automobile e consenta l'appoggio delle
chiusure orizzontali principali. Tutti gli
elementi principali, dalle fondamenta ai
pilastri ai solai, sono in cemento
armato. Di particolare interesse
risultano le facciate della villa Savoye, brano
architettonico tra i più riusciti del cubismo
architettonico: se l'edilizia tradizionale,
infatti, concepiva un edificio in termini di
facciata principale, prospetti laterali e retro,
Le Corbusier svuota tale prassi di qualsiasi
significato, rendendo quasi identiche le
facciate.
Partendo
dal basso si ha un portico coperto, scandito
dall'arioso succedersi dei pilotis,
e il piano terra, dove troviamo la hall di
ingresso, il garage per le automobili, un
piccolo alloggio riservato all'autista e alla
cameriera, l'appartamento per gli ospiti e i
servizi di lavanderia. L'automobile, per la sua
formidabile perfezione tecnico-industriale, era
particolarmente ammirata da Le Corbusier, il
quale la considerava paradigmatica dello
sviluppo tecnologico del XX secolo: per questo
motivo, una volta giunto a villa Savoye con la
propria autovettura, il visitatore può quasi
ritualisticamente entrare nell'abitazione dal
garage mediante la porta d’ingresso in metallo
collocata nel vestibolo del piano terra. La
stessa villa rimane influenzata dalle dinamiche
motorie dell'automobile, presentando al piano
terra dove vi è l’ingresso una vetrata
industriale il cui arco curvo, dalla notevole
sensazione di movimento, è determinato proprio
dal raggio di sterzata di un'autovettura.
Il
vestibolo denuncia chiaramente i due elementi di
distribuzione verticale che caratterizzano la
villa Savoye: la rampa, posta in lieve pendenza,
e le scale a chiocciola. La prima, che con la
sua dolce inclinazione attraversa e unisce tutti
gli ambienti dell'abitazione, garantisce al
visitatore un'esperienza spaziale fluente,
continua, dando vita se percorsa a una vera e
propria «passeggiata architettonica», promenade
architecturale, che «offre costantemente
aspetti vari e inattesi, a volte addirittura
stupefacenti».
La
rampa, insomma, rende l'ascesa verticale
dell'edificio quasi impercettibile, a differenza
della scala, dove i cambiamenti di quota sono
decisamente più sentiti. Quest'ultima,
torcendosi come una spirale elicoidale,
è uno degli archetipi fondamentali
dell'architettura di Le Corbusier ed è protetta
da un parapetto, anch'esso in cemento armato.

La
rampa, dunque, prima di proseguire la sua corsa
verso la terrazza, emerge presso il primo piano.
Quest'ultimo, come un heures claires (una
scatola sospesa), così chiamato dai cugini
Savoye, è un prisma monocolore
stereometricamente ben definito, dalla radicale
elementarità, avvolto da superfici candide,
diafane, e spezzato longitudinalmente dai vuoti
delle finestre che, configurandosi come «nastri
continui, vitrei e panoramici» (Zevi),
incidono a metà ogni prospetto
e incentivano l'interazione tra esterno e
interno.
Il
parallelepipedo puro, monoprismatico del primo
piano, infatti, comprende gli spazi più formali
e pubblici: la zona giorno (soggiorno, cucina,
salottino), la zona notte (camera degli ospiti,
camera del figlio e camera dei genitori) e i
servizi (bagno piccolo e bagno grande), e un
giardino pensile. La camera da letto padronale
ha dimensioni notevoli, ma non eccessive (in
linea con la destinazione d'uso di villa Savoye,
non dimora stabile, bensì rifugio per i fine
settimana estivi), ed è comunicante sia con
l'esterno - con l'adozione di fenêtre
en longueur - che con il bagno
contiguo, dal quale risulta separato solo per
mezzo di un'esigua tenda-membrana, la quale non
raggiunge neanche il soffitto, a ribadire la
continuità vigente tra questi due ambienti.
Notevoli, nel bagno, il rivestimento con
tasselli ceramici smaltati di azzurro,
funzionali per il raggiungimento di un'igiene
ottimale, e la presenza di una carnale chaise
longue, progettata dallo stesso Le
Corbusier. La cucina, delimitata da armadi a
muro con ante scorrevoli in alluminio, è
estremamente compatta, a differenza del
soggiorno, che si presenta come l'ambiente più
ampio dell'abitazione: è scarsamente arredato e
si arricchisce non tanto della mobilia, quanto
della visuale sul panorama circostante offerta
dalle finestre a nastro, oltre che da un
caminetto centrale che conferisce all'intero
spazio un carattere intimo, conviviale.
Il
piano superiore o terrazzo è il coronamento
dell'edificio oltreché la conclusione del
percorso della promenade architecturale,
senza alcuna barriera architettonica, che parte
dal piano terra dove si trova il garage, motore
e idea del luogo abitativo, fino a sbarcare
tramite una rampa sul solarium,
come sul ponte di una nave.
Sulla
copertura, infatti, le fantasticherie nautiche
di Le Corbusier si fanno più vivide, grazie
all'impiego di balaustre di tipo navale in
tubolare di acciaio tinto bianco e alla presenza
del vano-ciminiera dalla curiosa forma
imbutiforme in cui è alloggiata la scala. La
rigorosa disciplina formale cui era sottoposto
il prisma del primo piano, inoltre, qui si
attenua con l'azione dinamica di volumi basati
su archi di cerchio ed ellittici, i quali
operando una «danza di sagome ondulate» (Zevi) richiamano
esplicitamente la rotondità di alcuni dipinti
puristi (come La dame au chat et à la
théière) e sembrano anticipare la futura
tensione plastica delle tarde opere
lecorbusierane, come la cappella di Ronchamp.
Il toit-terrasse (o
terrazzo giardino) qui presente grazie ai solai
in calcestruzzo armato non pesa sulla struttura
sottostante, ma anzi funge da coibente e
garantisce agli ambienti del primo piano, una
maggiore frescura d'estate e un buon isolamento
d'inverno. Il terrazzo ospita oltre ad un
giardino coltivabile anche un solarium protetto
da una parete tagliavento che riprende la forma
delle curve al piano terra.
Manufacture,
Saint-Dié des-Vosges

Pag. 2
|