Louvre
-
Pittura
francese
Per
la
ricchezza
e
la
varietà
delle
sue
opere,
la
collezione
di
pittura
francese
del
Louvre
è
la
più
importante
del
mondo.
Non
è
tuttavia
la
più
antica
del
museo:
per
tutto
il
XVI
secolo,
gli
spiriti
erano
rivolti
all'Italia,
tanto
per
le
opere
dell'Antichità
che
per
quelle
dei
grandi
maestri
che
dominarono
il
secolo
(Leonardo
da
Vinci,
Raffaello,
Viziano,
ecc).
Il
predominio
della
scuola
francese
iniziò
soltanto
con
Luigi
XIV.
I
primitivi
e
il
XVI
secolo
-
Nel
corso
del
XV
secolo
la
pittura
francese
si
libera
a
poco
a
poco
dell'universo
gotico.
In
Borgogna
alcuni
artisti
come
Bellechose
o
Malouel
adottano
uno
stile
"franco-fiammingo"
che
associa
il
realismo
nordico
alla
graziosa
stilizzazione
del
gotico
internazionale.
Ad
Avignone,
dove
si
mescolano
le
influenze
francoitaliane,
si
elabora
uno
stile
spoglio
e
monumentale
di
cui
la
Pietà
costituisce
una
delle
più
alte
espressioni.
Questa
duplice
influenza
fiamminga
e
italiana
è
particolarmente
visibile
in
alcune
opere,
come
il
Ritratto
di
Carlo
VII
di
Jean
Fouquet
o
la
Maddalena
del
Maestro
di
Moulins.
Dopo
la
prima
spedizione
di
Carlo
VIII
in
Italia,
la
Francia
è
completamente
rivolta
verso
la
Penisola.
Chiamati
da
Francesco
I
per
decorare
il
suo
castello
di
Fontainebleau,
il
Rosso
Fiorentino
e
il
Primaticcio
creano
in
Francia
una
scuola
manierista
che
dominerà
il
secolo.
Tutte
queste
opere,
ad
eccezione
del
Ritratto
di
Francesco
I
di
Jean
Clouet,
che
fu
espressamente
eseguito
per
le
collezioni
reali,
fecero
il
loro
ingresso
al
Louvre
solo
più
tardi.
Occorre
aspettare
il
XIX
secolo
perché
i
conservatori
del
museo
e
il
pubblico
inizino
ad
interessarsi
ai
primi
maestri
della
pittura
nazionale.
Il
XVII
secolo
-
Sotto
il
regno
di
Luigi
XIII
comparvero
diverse
tendenze,
per
la
maggior
parte
provenienti
dall'Italia
(Valentin,
Claude
Vignon,
Simon
Vouet),
ma
spesso
reinterpretate
in
maniera
assai
personale
(Georges
de
la
Tour)
o
mescolate
ad
altre
influenze
nordiche
(Louis
Le
Nain).
Con
l'ascesa
al
trono
di
Luigi
XIV
tutte
le
energie
furono
convogliate
verso
un
classicismo
di
genere,
teso
a
glorificare
la
grandezza
e
la
potenza
dello
Stato,
identificato
nella
persona
del
Re
Sole.
Charles
Le
Brun
ne
fu
il
promotore:
i
suoi
dettami
influenzarono
le
arti
indirizzandole
verso
le
grandiose
composizioni
decorative
commissionate
da
Luigi
XIV.
Dopo
Francesco
I,
Luigi
XIV
è
il
più
grande
sovrano
mecenate
delle
arti.
Non
cessa
di
acquistare
e
di
commissionare
dipinti
destinati
ad
abbellire
Versailles
e
gli
altri
castelli
reali.
Si
tratta
di
opere
dei
suoi
pittori
di
Corte
(Le
Brun,
Mignard)
e
dei
maestri
antecedenti
(Poussin,
Claude
Gellée).
Di
Poussin,
punto
di
riferimento
assoluto
dell'Accademia,
il
sovrano
acquistò
una
trentina
d'opere,
oggi
conservate
al
Louvre.
Il
XVIII
secolo
-
All'inizio
del
XVIII
secolo
prende
corpo
una
reazione
contro
le
regole
troppo
rigide
del
Classicismo,
reazione
che
si
concretizza
nello
stile
detto
"rocaille"
o
"rococò",
arte
disimpegnata
e
piacevole
che
trova
origine
a
partire
dalla
fine
del
regno
di
Luigi
XIV
e
che
si
afferma
sotto
la
Reggenza
con
le
"feste
galanti"
di
Watteau.
Quest'arte,
piena
di
sensibilità
e
di
poesia,
verrà
rappresentata
da
personalità
diverse
come
Francois
Boucher,
pittore
favorito
di
Madame
de
Pompadour,
Honoré
Fragonard
o
Jean
Baptiste
Chardin,
pittore
intimista
di
nature
morte.
Contrariamente
ai
suoi
contemporanei,
Luigi
XV
non
fu
un
collezionista.
Con
l'eccezione
di
alcune
acquisizioni
di
opere
di
artisti
viventi,
la
collezione
del
XVIII
secolo
conservata
al
Louvre
è
dovuta
in
massima
parte
alla
donazione
che
il
grande
collezionista
La
Caze
fece
al
museo
nel
1869
(fra
le
opere
il
Cilles
di
Watteau
e
le
Bagnanti
di
Fragonard).
La
fine
del
secolo
è
dominata
dallo
stile
neoclassico,
animato
dalle
recenti
scoperte
fatte
a
Pompei
e
a
Ercolano.
Suo
massimo
esponente
è
senza
dubbio
David,
del
quale
il
Louvre
possiede
le
più
notevoli
e
monumentali
composizioni,
come
il
Giuramento
degli
Orazi,
acquistato
dal
conte
d'Angiviller,
Direttore
delle
costruzioni
sotto
Luigi
XVI,
o
l'Incoronazione
di
Napoleone
I,
che
l'imperatore
gli
aveva
commissionato
nel
1806
per
celebrare
la
sua
recente
ascesa
al
trono.
Il
XIX
secolo
-
La
Restaurazione
crea
nel
1818
il
museo
del
Luxembourg,
primo
museo
di
arte
contemporanea,
dove
viene
raccolta,
prima
di
raggiungere
il
Louvre,
la
maggior
parte
dei
grandi
quadri
classici
(Girodet,
Guérin,
Gerard,
Prud'hon)
e
di
quelli
dei
nuovi
maestri
del
Romanticismo.
Entrano
così
nelle
collezioni
nazionali
alcuni
dei
più
grandi
capolavori
della
pittura
"vivente",
acquistati
direttamente
presso
il
Salon
dal
conte
de
Forbin,
Direttore
dei
musei:
Dante
e
Virgilio
all'Inferno
e
I
massacri
di
Scio
di
Delacroix,
nonché
la
Zattera
della
Medusa
di
Géricault.
Questa
politica
di
acquisto
dei
Romantici
proseguirà
anche
sotto
Luigi
Filippo.
Ma
occorrerà
attendere
la
fine
del
secolo
per
veder
fare
il
proprio
ingresso
al
Louvre
alle
principali
opere
di
Ingres:
la
Grande
Odalisca
(1899)
e
il
Bagno
turco
(1911).
**
Jean
Fouquet
-
Ritratto
di
Carlo
VII,
re
di
Francia
-
1445-1450
-
Il
dipinto
è
stato
riconosciuto
in
quello
segnalato
nel
1717
da
due
religiosi
benedettini
nella
Sainte
Chapelle
di
Bourges,
di
cui
Luigi
XV
il
16
febbraio
1757
ordinò
la
distruzione.
Il
sovrano
riservò
per
il
proprio
cabinet
de
peintures
questo
"dipinto
con
il
ritratto
di
Carlo
VII,
uno
dei
re
nostri
predecessori".
Alienato
durante
la
Rivoluzione,
se
ne
perdono
poi
le
tracce.
In
seguito
l'opera
si
confonde
con
altri
ritratti
di
questo
sovrano,
rendendo
difficoltosa
la
ricostruzione
della
sua
storia.
L'assenza
di
tracce
di
cerniere
sulle
bande
laterali
della
cornice
d'origine
conferma
che
la
tavola
venne
concepita
come
opera
autonoma.
Le
dimensioni
sono
importanti
e
il
formato
quasi
quadrato,
non
abituale
nella
ritrattistica
precedente,
inquadra
con
precisione
la
figura
all'interno
della
cornice.
L'inserimento
rigoroso
della
silhouette
nello
spazio,
preparato
dall'apertura
delle
tende,
l'orizzontalità
del
busto,
la
posizione
del
cuscino
sul
piano
parallelo
a
quello
della
cornice
contribuiscono,
malgrado
qualche
sottile
sfumatura,
a
creare
un'impressione
di
frontalità,
manifestata
anche
dalla
raffigurazione,
secondo
la
moda
in
uso
durante
il
secondo
terzo
del
XV,
delle
spalle
rinforzate.
Immagine
di
un
sovrano
vittorioso,
l'opera
è
investita
di
una
funzione
politica,
come
lascia
intuire
l'iscrizione
sulla
traversa
superiore
della
cornice
d'origine
che
recita:
"LE
TRES
VICTORIEUX
ROY
TE
FRANCE",
per
la
quale
non
è
ancora
accertabile
la
contemporaneità
del
ritratto.
Lo
studio
fisionomico
del
volto
del
sovrano
non
aiuta
a
stabilire
la
datazione
del
dipinto,
mentre
l'arcaicità
dell'impostazione
induce
a
ipotizzare
una
cronologia
non
lontana
dagli
esordi
dell'artista,
precedente
al
soggiorno
in
Italia
che
si
svolse
alla
fine
degli
anni
quaranta
del
Quattrocento.
Le
complesse
relazioni
che
legarono
gli
artisti
francesi
alla
cultura
fiamminga
e
italiana
sono
illustrate
in
modo
esemplare
da
Fouquet,
che
i
suoi
contemporanei
consideravano
non
inferiore
a
Van
Eyck
e
Van
der
Weyden.
**
Enguerrand
Quarton
-
Pietà
di
Villeneuve-lès-Avignon
-
1455
-
La
Pietà
si
trovava
verosimilmente
nella
chiesa
collegiale
di
Villeneuve-lès-Avignon.
Durante
i
moti
anticlericali
del
1793
rischiò
di
essere
bruciata,
fu
salvata
da
un
prete
spretato
e
nel
1872
venne
trasferita
al
Museo
dell'Ospizio
del
paese.
Anni
dopo
sarà
vista
da
Degas
che
ne
loderà
la
bellezza.
Nel
1904
apparve
all'esposizione
dei
primitivi
francesi
tenutasi
a
Parigi.
L'anno
successivo
venne
acquistata
per
la
cifra
di
100.000
franchi
dagli
Amici
del
Museo
del
Louvre,
che
si
aggiudicò
così
il
capolavoro
del
più
illustre
pittore
provenzale
attivo
intorno
alla
metà
del
Quattrocento.
Il
committente,
raffigurato
sulla
sinistra
del
dipinto,
è
stato
identificato
in
Jean
de
Montagnac,
che
si
interessò
alla
certosa.
Canonico
della
chiesa
di
Saint-Agricol
di
Avignone,
sappiamo
dal
suo
testamento
rogato
nel
1449
che
egli
aveva
deciso
di
essere
sepolto
nella
certosa
di
Villeneuve-lès-Avignon
e
che
desiderava
un
dipinto
nel
quale
comparissero
la
Vergine,
Maddalena
e
lui
stesso.
È
probabile
che
il
testamento
fosse
stato
steso
alla
vigilia
della
partenza
per
un
lungo
viaggio,
il
giubileo
del
1450
a
Roma
o
un
pellegrinaggio
in
Terra
Santa,
a
cui
alludono
gli
edifici
nello
sfondo
che
ripropongono
il
Santo
Sepolcro.
La
Pietà,
dove
è
effigiato
in
preghiera,
potrebbe
essere
un
ricordo
di
questo
itinerario
memorabile.
La
formulazione
iconografica
severa
ed
elevata
della
Pietà,
con
la
Vergine
che
prega
con
le
mani
giunte,
compare
nella
tradizione
delle
scuole
del
Nord
Europa.
Quarton
è
riuscito
a
operare
una
sintesi
notevole:
la
Maddalena
si
protende
con
delicatezza
sul
corpo
del
Cristo,
Giovanni
tocca
la
sua
corona
di
spine
con
la
tenerezza
di
un
suonatore
d'arpa.
Il
volto
emaciato
di
Maria
e
l'aristocratico
vigore
del
canonico
trasmettono
una
identica
certezza.:
il
messaggio
della
vittoria
sulla
morte.
**
Jean
Clouet
-
Ritratto
di
Francesco
I
-
1530
-
Il
dipinto
è
descritto
nel
1642
nel
Trésors
et
Merveilles
de
Fontainebleau
nel
padiglione
dei
pittori
del
re.
È
ricordato
anche
nel
1709
nel
Cabinet
dorè
del
castello
di
Francesco
I,
senza
indicazioni
dell'autore:
"un
dipinto,
maniera
sconosciuta,
raffigurante
il
ritratto
di
Francesco
I,
a
mezzo
busto,
che
tiene
l'impugnatura
della
propria
spada
in
una
mano
e
un
guanto
nell'altra".
L'opera,
menzionata
al
Louvre
per
la
prima
volta
nel
1884,
quando
la
paternità
fu
allora
attribuita
a
Jean
Clouet,
è
sempre
stata
esposta
nelle
collezioni
reali.
Uno
studio
preparatorio
al
ritratto
si
conserva
a
Chantilly,
e
rivela
un
forte
influsso
dell'arte
fiamminga,
che
contraddistingue
tutta
la
ritrattistica
di
questo
pittore,
per
il
quale
questo
genere
diventò
una
vera
e
propria
specializzazione.
Dedicatosi
agli
inizi
della
propria
carriera
anche
alla
pittura
di
soggetto
storico
e
religioso
(intorno
al
1522
dipinse
a
Tours
un
San
Gerolamo,
ora
perduto),
i
documenti
riportano
soprattutto
la
sua
produzione
di
"effigi".
Maestro
esemplare
nel
rendere
le
fisionomie,
nel
cogliere
l'individualità
delle
espressioni,
nonché
nel
modellare
gli
incarnati
illuminandoli
con
tonalità
avvolgenti,
fu
famoso
nei
ritratti
di
piccole
e
di
grandi
dimensioni.
La
concezione
plastica
e
monumentale
del
Ritratto
di
Francesco
I
si
avvicina
allo
stile
di
due
importanti
artisti
nordici,
Gossaert
e
Hans
Holbein
il
Giovane
che
furono,
come
Clouet,
sensibili
alla
cultura
italiana.
Non
si
deve
infatti
dimenticare,
anche
di
fronte
a
questo
ritratto,
il
soggiorno
in
Turenna
di
Leonardo
da
Vinci
(1517-1519):
l'artista
italiano,
chiamatovi
da
Francesco
I
per
dedicarsi
soprattutto
a
progetti
di
architettura
e
di
idraulica,
lanciò
un
nuovo
impulso
nella
ritrattistica.
Il
Ritratto
di
Francesco
I
nelle
vesti
di
san
Giovanni
Battista
dello
stesso
Clouet
(New
York,
collezione
privata,
1518)
è
manifestamente
ispirato
al
San
Giovanni
Battista
di
Leonardo
anch'esso
al
Louvre.

**
Georges
de
La
Tour
-
San
Giuseppe
falegname
-
1642
-
Il
dipinto
è
stato
identificato
con
una
tela
eseguita
per
i
carmelitani
scalzi
di
Metz
su
probabile
commissione
di
Elisabeth
de
Danois-Sernès,
vedova
di
Andre
de
Maillane,
già
governatore
del
vescovato
di
Metz
a
Vic-sur-Seille
e
buon
conoscente
di
La
Tour.
Elisabeth
contribuì
a
fondare
a
Metz,
presso
il
convento
dei
piccoli
carmelitani,
una
casa
per
ragazze
di
strada.
In
seguito
al
suo
generoso
interessamento
economico,
la
vedova
de
Maillane
avrebbe
domandato
alcune
messe
di
suffragio
per
i
familiari
defunti,
e,
verosimilmente,
avrebbe
commissionato
alcuni
dipinti
ai
migliori
pittori
del
luogo.
Il
convento
venne
ceduto
nel
1791
alla
municipalità
e
i
beni
dei
carmelitani
di
Metz
si
dispersero
tra
il
museo
cittadino
e
la
casa
di
Étienne
Morlanne,
un
ex
seminarista
che
durante
la
rivoluzione
mise
in
salvo
diverse
opere
trasferendole
nella
casa
della
madre
ad
Ars-sur-Moselle.
Da
qui,
tra
il
1840
e
il
1852,
molti
capolavori
furono
portati
in
Inghilterra.
Trovato
nel
1938
probabilmente
a
Londra
da
Percy
Moore
Turner,
il
dipinto
è
stato
esposto
da
Paul
Jamot
l'anno
seguente,
e
generosamente
donato
al
Louvre
nel
1948.
La
Tour
illustra
il
San
Giuseppe
falegname
seguendo
la
tardiva
corrente
caravaggesca,
che
trattò
numerose
volte
il
soggetto,
particolarmente
caro
ai
luministi
come
Gerrit
van
Honthorst
e
Trophime
Bigot.
La
fortuna
del
tema
corrisponde
alla
devozione
religiosa
per
il
santo,
figura
esemplare
di
umiltà
ed
esempio
di
accettazione
della
volontà
di
Dio,
particolarmente
caro
agli
ordini
mendicanti
all'inizio
del
Seicento.
L'evocazione
simbolica
del
legno
della
Croce,
opera
del
carpentiere,
è
frequentemente
associata
ai
due
protagonisti
del
quadro,
e
deriva
dall'influsso
della
spiritualità
francescana,
molto
marcata
nella
Lorena
del
tempo.
La
potenza
dei
volumi,
il
realismo
della
raffigurazione,
la
descrizione
minuziosa
e
ricettiva
agli
accenti
luminosi,
mostra
una
fase
direttamente
precedente
allo
stile
sintetico,
che
contraddistingue
le
ultime
opere
di
La
Tour.
**
Seconda
scuola
di
Fontainebleau
-
Due
dame
al
bagno
-
1594
-
Acquistato
dal
museo
nel
1937,
il
dipinto
simboleggia
il
lirismo
e
l'eleganza
formale
trasmessi
alla
pittura
francese
dalle
opere
italiane.
Una
prima
suggestione
dell'arte
italiana
si
sviluppò
in
seguito
al
soggiorno
alla
corte
di
Fontainebleau
di
Francesco
Primaticcio
e
di
Niccolo
dell'Abate,
dal
quale
nacque
una
corrente
definita
"prima
scuola
di
Fontainebleau"
di
cui
la
Diana
cacciatrice,
anch'essa
al
Louvre
(1550-1560
circa),
costituisce
un
importante
esempio.
La
denominazione
di
"seconda
scuola
di
Fontainebleau"
definisce
invece
la
generazione
di
pittori
che
lavorarono
per
Enrico
IV,
tra
i
quali
i
più
noti
sono
Toussaint
Dubreuil,
Ambroise
Dubois
e
Martin
Fréminet.
Il
pittore
anonimo
prende
a
modello
l'opera
di
Francois
Clouet
(La
dama
al
bagno,
Washington,
National
Gallery,
dove
l'identità
dell'effigiata
resta
un
enigma)
e
ripropone
in
particolare
la
tradizione
del
ritratto
emblematico
diffusosi
agli
inizi
degli
anni
novanta
del
Cinquecento.
Questa
corrente
è
stata
definita
da
un
critico
come
"altro
ritratto",
cioè
un'arte
del
ritratto
in
cui
l'intento
fisionomico
è
subordinato
alla
rappresentazione
di
un
mito
o
di
una
simbologia
nascosta.
Il
modello
è
travestito
o
denudato
e
avvolto
in
un
contesto
narrativo
di
non
facile
interpretazione.
In
questa
tela
una
cortina
rossa
aperta
incornicia
un'insolita
scena
intima.
La
favorita
di
Enrico
IV,
Gabrielle
d'Estrées
(1573-1599),
è
raffigurata
a
petto
nudo
in
una
vasca
da
bagno
in
compagnia
di
una
sorella,
la
duchessa
de
Villars
o
la
marescialla
de
Balagny.
Tiene
un
anello,
allusione
alla
sua
relazione
con
il
sovrano
francese.
Una
delle
spiegazioni
più
verosimili
del
gesto
della
sorella
di
Gabrielle,
che
prende
con
le
dita
il
capezzolo
dell'altra,
è
che
alluda
alla
nascita
nel
1594
di
Cesar
de
Vendóme,
figlio
illegittimo
di
Enrico
IV
e
di
Gabrielle.
**
Nicolas
Poussin
-
L'ispirazione
del
poeta
-
1620-1630
-
Di
questo
dipinto
non
si
conoscono
né
disegni
preparatori,
né
incisioni
né
tanto
meno
il
nome
del
committente.
Nel
1653
è
ricordato
nella
collezione
parigina
del
cardinale
Giulio
Mazzarino,
e
a
questa
tela
dovrebbe
riferirsi
il
commento
di
Gian
Lorenzo
Bernini,
quando,
visitando
nel
1665
il
palazzo
e
la
collezione
del
primo
ministro
francese,
avrebbe
dichiarato
che
era
stato
dipinto
"alla
maniera
di
Tiziano",
perla
forte
suggestione
del
colore
veneto.
Pervenuto
nel
1772
in
Inghilterra,
nel
1911
venne
acquistato
dal
museo
francese,
che
accumula
con
fierezza
la
produzione
del
pittore
normanno,
di
cui
possiede
ben
trentotto
opere.
Il
quadro
venne
eseguito
a
Roma,
città
nella
quale
il
pittore
risiedeva
dal
1624
e
in
cui
si
contraddistinse
per
l'adozione
di
un
originale
stile
di
classicismo,
profondamente
meditato
sulle
ricerche
antiquarie.
Questo
consente
di
individuare
la
probabile
fonte
iconografica
di
questa
composizione
in
un
bassorilievo
greco-romano
raffigurante
Giove,
Giunone
e
Teti,
anch'esso
al
Louvre.
Sulla
sinistra
dovrebbe
essere
rappresentata
Calliope,
la
più
anziana
e
la
più
sapiente
delle
muse,
protettrice
dell'eloquenza
e
della
poesia
epica.
I
tre
libri
raffigurati
ai
piedi
di
Apollo,
con
le
iscrizioni
dei
titoli
dei
tre
poemi
Iliade,
Odissea
ed
Eneide,
si
collegano
proprio
alla
presenza
di
questa
musa.
**
Claude
Lorrain
-
Lo
sbarco
di
Cleopatra
a
Tarso
-
1642-1643
-
La
tela,
insieme
al
Paesaggio
con
Samuele
che
riconosce
Davide
re
d'Israele
anch'esso
al
Louvre
è
stata
commissionata
a
Roma
dal
cardinale
Angelo
Giori
(1585-1662),
un
appassionato
committente
del
pittore
lorenese,
di
cui
possedette
ben
otto
opere.
Strettamente
legato
alla
famiglia
del
pontefice
Urbano
VIII
Barberini,
Giori
rese
omaggio
ai
propri
sostenitori
facendo
inserire
in
questa
tela
lo
stemma
della
famiglia
Barberini,
uno
scudo
con
tre
api,
sulla
prora
dell'imbarcazione
ormeggiata
al
porto
dalla
quale
Cleopatra
è
appena
scesa.
È
probabile
che
Giori,
promosso
al
cardinalato
proprio
nel
1643,
volesse
così
esprimere
riconoscenza
alla
famiglia
del
pontefice,
scegliendo
un
tema
dal
forte
significato
morale
derivato
dall'Antonio
di
Plutarco:
Cleopatra,
sbarcata
a
Tarso
per
incontrare
Antonio,
decide
di
sedurlo
per
appagare
la
propria
ambizione
di
potere.
Le
due
opere
illustrano
un'opposta,
e
al
tempo
stesso
complementare,
ambientazione
naturalistica:
ho
sbarco
di
Cleopatra
mostra
una
marina,
il
Paesaggio
con
Samuele
un
paesaggio
con
la
veduta
del
monte
Soratte
sul
fondo.
Le
strutture
architettoniche,
raffigurate
sulla
destra
nello
Sbarco
di
Cleopatra,
corrispondono
a
quelle
di
sinistra
nel
Paesaggio
con
Samuele,
così
pure
i
colori
sono
freddi
nel
primo
e
caldi
nel
secondo.
Anche
la
lettura
dei
due
soggetti
è
antitetica:
la
saggezza
e
l'umanità
del
giovane
Davide,
incoronato
re,
si
contrappongono
all'orgoglio
dell'ambiziosa
regina,
che,
punita
per
la
propria
presunzione,
non
riuscirà
a
raggiungere
l'obiettivo
di
regnare
su
Roma.
Giunto
nella
città
pontificia
nel
1613,
Lorrain
divenne
presto
il
paesaggista
più
celebrato,
famoso
per
la
sua
abilità
prospettica,
onorato
da
commissioni
di
pontefici
e
sovrani.
Fin
dagli
inizi
si
dedicò
alla
rappresentazione
di
porti
immaginari,
che
evocavano
gli
splendori
di
Ostia
antica
e
che
furono
tra
le
specialità
a
lui
più
richieste.

**
Jean-Antoine
Watteau
-
Pierrot
(Gilles)
-
1718-1719
-
Non
è
nota
la
provenienza
di
questo
dipinto,
né
vi
sono
certezze
sul
titolo,
sull'identità
del
modello
e
sulla
cronologia.
Figura
nel
1826
nella
vendita
post
mortem
dei
beni
di
Dominque-Vivant
Denon,
commissario
alle
Belle
Arti
di
Napoleone
e
primo
direttore
del
museo
del
Louvre
(1802-1815),
dove
è
menzionato
come
Gilles.
Riacquistato
dal
nipote
del
commissario,
Brunet
Denon,
passò
successivamente
nella
collezione
di
Casimir
Perrin,
marchese
de
Cypierre
(1784-1844).
Nel
1845,
venne
comprato
dal
medico
Louis
La
Caze,
che
lo
donò
al
Louvre
nel
1869.
La
collocazione
originaria
del
quadro
è
stata
avanzata
prudentemente:
in
un
volume
delle
Mémoires
pour
servir
à
l'histoire
des
spectacles
des
frères
Varfaict
(1743)
si
parla
di
un
certo
Belloni
(1680
circa
-
1721),
un
artista
greco
originario
di
Zante,
celebre
a
Parigi
per
le
sue
interpretazioni
di
Pierrot.
Ritiratosi
nel
1718
dal
teatro,
Belloni
aprì
un
caffè,
dove
"mise
per
insegna
il
suo
ritratto
in
costume
di
Pierrot".
Le
analisi
a
raggi
infrarossi
hanno
rivelato
che
l'antica
insegna
del
caffè
con
il
volto
dell'artista
è
stata
rincollata
da
Watteau
sulla
tela,
cosa
visibile
anche
a
occhio
nudo
se
si
presta
attenzione
alla
craquelure
sulla
parte
sinistra
del
volto,
probabilmente
il
pezzo
originale
dell'insegna.
L'origine
del
personaggio
di
Gilles
non
è
chiara:
potrebbe
risalire
a
Gilles
Le
Niais,
l'attore
che
inventò
il
tipo
alla
metà
del
Seicento.
Anche
l'identificazione
dei
quattro
personaggi
in
basso
è
controversa:
se
si
riferiscono
alla
serie
di
parades
composta
da
Gueullet,
i
tre
uomini
potrebbero
essere
Cassandra,
Pantalone
e
Leandro,
la
figura
con
il
copricapo
crestato
accanto
a
Isabella.
Il
formato
dell'opera
è
eccezionale,
è
il
solo
dipinto
di
Watteau
che
mostri
un
personaggio
a
figura
intera
e
dimensioni
naturali.
La
sua
espressione
è
stata
lungamente
dibattuta:
stupidaggine,
ingenuità,
meditazione,
dolore
o
malinconia?
**
Jean-Siméon
Chardin
-
Bambino
con
una
trottola
-
1738
-
Identificato
con
il
quadro
esposto
al
Salon
des
Artistes
Francais
del
1738,
il
dipinto
venne
inciso
nel
1742
da
Lépicé,
che
lo
intitolò
La
trottola.
Ci
sono
numerose
citazioni
inventariali
di
questo
soggetto:
lo
stesso
tema
figurava
nel
1745
alla
vendita
La
Rocque,
un
altro
è
menzionato
nell'inventario
steso
dopo
la
morte
di
Chardin,
un
altro
ancora
è
segnalato
a
Londra
nel
1743,
attestazioni
tutte
della
fortuna
del
soggetto.
Il
dipinto
è
stato
acquistato
dal
Louvre
nel
1907
insieme
a
Charles-Théodose
Godefroy
con
il
violino,
in
cui
è
raffigurato
il
fratello
maggiore
del
bambino
all'età
approssimativa
di
sedici
anni,
compositore
dilettante
noto
per
il
suo
talento
di
violinista.
Figlio
del
banchiere
e
gioielliere
Charles
Godefroy,
Auguste
Gabriel
(1728-1813),
futuro
controllore
generale
della
marina,
fu
un
appassionato
collezionista
d'arte:
possedette
Il
giovane
che
danza
(L'Indifférent)
e
La
suonatrice
di
liuto
(La
Finette)
di
Watteau,
entrambi
attualmente
al
Louvre.
Per
molti
critici
il
protagonista
di
questo
dipinto,
che
non
dovrebbe
ancora
aver
compiuto
dieci
anni,
rappresenta
l'immagine
dell'innocenza
infantile,
tema
di
cui
Chardin
è
stato
uno
dei
primi
a
occuparsi
con
tenerezza.
L'artista
testimonia
un
profondo
rispetto
e
una
simpatia
senza
limiti
per
i
giochi
di
questi
bambini,
che
raffigura
distaccati
e
lontani
dal
mondo
che
li
circonda,
immersi
nel
silenzio
delle
loro
occupazioni,
con
emozione
contenuta,
lenta
e
greve,
poiché,
come
ebbe
a
commentare
lo
stesso
Chardin
"ci
si
serve
dei
colori,
ma
si
dipinge
con
il
sentimento"
(Cochin).
**
Francois
Boucher
-
Diana
al
bagno
-
1742
-
Nel
1742,
all'apogeo
del
suo
talento,
Boucher
espone
al
Salon
des
Artistes
Francais
almeno
otto
opere,
tra
le
quali
i
bozzetti
di
soggetto
cinese
destinati
alla
manifattura
di
Beauvais
per
la
serie
di
arazzi
della
Tentare
chinoise,
insieme
a
questo
dipinto.
Appartenuto
probabilmente
ad
Amédée
Constantin,
si
trovava
nel
1821
presso
il
barone
Thibon
(come
ha
confermato
l'esame
radiografico
condotto
nel
1959
che
ha
evidenziato
sul
telaio
la
scritta
di
appartenenza
a
questa
persona),
dal
quale
passò
nella
raccolta
del
conte
di
Narbonne.
Il
Louvre
lo
acquistò
nel
1852
dalla
collezione
Van
Cuyck.
Le
reminescenze
del
soggiorno
italiano
dell'autore,
avvenuto
tra
il
1727
e
il
1731,
fanno
pensare
soprattutto
a
Correggio,
per
la
resa
della
morbidezza
delle
carni
delle
due
giovani
donne.
Diana,
la
casta
dea
della
caccia,
siede
nuda
e
adorna
soltanto
di
diadema
su
un
prezioso
tessuto
azzurro
presso
la
riva
di
un
corso
d'acqua.
Abbandonate
a
terra
le
armi
e
catturate
le
prede,
si
rinfresca
con
una
compagna
ai
margini
di
un
boschetto
riparato
da
alti
arbusti.
Pierre-Auguste
Renoir
dichiarò
apertamente
la
sua
ammirazione
per
questo
quadro:
"È
il
primo
dipinto
che
mi
abbia
completamente
affascinato
e
ho
continuato
ad
amarlo
per
tutta
la
vita,
come
si
fa
con
i
primi
amori".
Del
dipinto
vennero
realizzate
numerose
copie
da
artisti
famosi:
il
23
febbraio
1852
Édouard
Manet
pose
il
proprio
cavalletto
di
fronte
al
quadro
di
Boucher,
mentre
due
anni
più
tardi
(precisamente
il
10
maggio
1854),
Fantin-Latour
ne
fece
una
copia.

**
Jacques-Louis
David
-
Il
giuramento
degli
Orazi
-
1784
-
Il
soggetto
è
tratto
da
una
leggenda
romana,
secondo
cui,
durante
il
regno
di
Tullio
Ostilio,
per
decidere
l'esito
della
guerra
tra
Roma
e
Alba
Longa,
tre
fratelli
romani
(gli
Orazi)
si
dovettero
scontrare
contro
tre
fratelli
di
Alba
(i
Curiazi).
Dei
Curiazi
non
sopravvisse
nessuno
mentre
dei
tre
Orazi
uno
riuscì
a
ritornare
sancendo
la
vittoria
di
Roma,
il
tema
del
giuramento
degli
Orazi
è
tratto
dalla
storia
antica
La
donna
che
piange
seduta
è
una
delle
sorelle
degli
Orazi
(Camilla),
che,
destinata
sposa
a
uno
dei
Curiazi,
si
rende
conto
che
perderà
qualcuno
di
caro
in
entrambi
i
casi.
Invece
le
donne
accanto
sono
le
mogli
con
i
figli,
tristi
per
la
loro
partenza.
David
si
trovava
a
Roma
quando
dipinse
Il
giuramento
degli
Orazi,
datato
1784,
ma
realizzato
fra
l'autunno
1783
e
l'estate
1785.
Commissionato
dal
conte
d'Angivilier
per
conto
del
re
di
Francia,
il
quale
voleva
la
rappresentazione
di
un
episodio
della
storia
della
Roma
monarchica,
fu
esposto
per
la
prima
volta
presso
lo
studio
del
pittore
nella
capitale
vaticana,
a
Palazzo
Costanzi,
presso
Piazza
del
Popolo.
La
tela
venne
poco
dopo
trasferita
a
Parigi,
dove
rimase
al
Salon
del
1785
durante
gli
ultimi
giorni
di
apertura.
Venne
in
seguito
rintelato
ed
esposto
nuovamente
al
Salon
del
1791
insieme
al
quadro
raffigurante
7
littori
riportano
a
Unito
i
corpi
dei
suoi
figli
(1789,
Parigi,
Musée
du
Louvre),
con
il
quale
condivide
la
vicenda
critica.
Venne
poi
collocato
nell'atelier
di
David
dove
rimase
fino
al
1798,
data
in
cui
entrambe
le
tele
sono
documentate
a
Versailles.
Esposta
successivamente
nel
Palais
du
Luxembourg,
entrò
definitivamente
al
Louvre
nel
1826,
insieme
al
Bruto.
Numerosi
disegni
e
studi
preparatori
confermano
la
lunga
gestazione
dell'opera,
unanimemente
riconosciuta
come
uno
dei
capolavori
dell'artista.
Il
quadro
è
considerato
il
"manifesto"
del
neoclassicismo,
non
solo
Francese.
La
tela
avrebbe
ispirato,
nel
1800,
il
compositore
italiano
Bernardo
Porta,
amico
del
pittore,
per
la
sua
opera
Les
Horaces,
sul
testo
di
Pierre
Corneille.
Jacques-Louis
David
ha
voluto
immortalare
una
celebre
leggenda
romana
in
un
modo
romantico
e
anche
un
po'
bizzarro
con
elementi
di
spazio
e
linee
che
ricordano
Picasso.
Sulla
scena
sono
rappresentati
i
tre
fratelli
Orazi
pronti
al
combattimento
contro
i
Curiazi.
I
tre
giovani
giurano
massima
fedeltà
e
grande
onore
alla
loro
famiglia
ricevendo
in
seguito
le
armi
consegnate
dal
padre.
La
scena
ricalca
il
classico
dramma
poetico:
da
un
lato
prodi
combattenti
che,
nonostante
l’età
e
nonostante
la
probabile
inesperienza,
decidono
di
scontrarsi
per
la
pace
di
Roma,
dall’altro
lato,
in
netto
contrasto
psicologico,
le
donne
legate
ad
entrambe
le
famiglie,
quest'ultime
capiscono
che
qualunque
sia
l'esito
della
battaglia
sarà
comunque
un'amara
sconfitta.
Il
pittore
sembra
voler
dare
più
spazio
all’azione
eroica
dei
tre:
infatti,
attirano
l’attenzione
dello
spettatore
grazie
alle
proporzioni
maggiori
e
alla
luce
che
li
investe
e
li
esalta.
David
mostra
un
mondo
romano
(antico)
in
cui
lacrime,
sensibilità
e
amore
non
contano
nulla
davanti
ai
valori
militari,
bisogna
essere
freddi,
mostrarsi
uniti,
convinti
e
sicuri
anche
quando
mancano
delle
motivazioni.
Le
figure
disegnate
e
fotografate
sono
rigide
e
tenaci.
Le
donne
in
lacrime
fanno
capire
come
e
quanto
la
guerra
(ieri
come
oggi)
sia
un
evento
tragico.

Il
soggetto
storico
è
qui
utilizzato
con
un
unico
fine:
l’esaltazione
dell’eroismo.
L’eroe,
in
questa
opera,
ha
caratteri
di
intensa
virilità
che
sono
in
contrasto
con
i
caratteri
raffinati
dei
tanti
damerini
che
affollavano
la
società
aristocratica
del
Settecento.
Sono
eroiche
anche
le
donne
che
devono
subire
tutto
il
dolore.
La
differenza
psicologica
dei
personaggi
viene
resa
visibile
dalle
pose
che
loro
assumono:
diritte
e
tese
le
linee
che
formano
gli
uomini,
curve
e
sinuose
le
linee
che
disegnano
le
donne.
L’autore
mette
in
posa
tutti
i
personaggi
con
gesti
teatrali
e
molto
comunicativi:
gli
uomini,
con
le
gambe
divaricate
e
il
braccio
disteso,
sguardi
e
gesti
molto
decisi
e
"marziali",
comunicano
il
senso
di
nervosismo
che
precede
la
battaglia.
Le
donne
in
pose
abbandonate,
sembrano
rassegnate
al
destino
e
tristi.
La
madre
più
indietro
è
avvolta
nell'ombra,
e
con
il
suo
mantello
scuro,
copre
i
bambini,
come
per
consolarli.
Il
padre
degli
Orazi,
al
centro,
fa
da
perno
alla
scena,
alza
le
spade
per
dare
una
benedizione
o
un
augurio.Viene
inoltre
interpretata
in
chiave
politica,
come
un
inno
agli
ideali
della
Rivoluzione,
e
vi
si
rintracciano
anche
diversi
elementi
simbolici.
Ad
esempio
gli
Orazi
sono
vestiti
con
i
colori
della
Francia,
e
nell'insieme
rappresentano
il
motto
libertà
(il
giuramento:
"o
Roma
o
morte")
,
fraternità
(i
fratelli
Orazi
e
l'abbraccio
che
li
unisce),
uguaglianza
(sono
tutti
della
stessa
altezza,
compiono
gli
stessi
gesti).
Il
tutto
si
svolge
in
un
freddo
porticato
in
cui
un
raggio
di
luce
illumina
la
scena
principale
che
è
spostata
sulla
sinistra.
La
luce
dà
gloria
e
onore
ai
sentimenti
valorosi
dei
tre
uomini
e
tiene
nell’ombra
il
sentimento
razionale
di
affetto
sviluppato
dalle
donne.
La
luce
sembra
quasi
essere
la
metafora
del
pensiero
antico
romano:
essere
fieri
e
incuranti
del
mondo
circostante,
impugnare
la
spada
senza
osservare
ciò
a
cui
si
va
incontro,
buttarsi
in
battaglia
senza
pensare
a
ciò
che
la
morte
potrebbe
causare,
combattere
senza
ricordarsi
di
avere
una
famiglia,
figli,
affetti.
Questa
esaltazione
eccessiva
al
voler
(e
dover)
far
guerra
è
sottolineata
dalla
grande
rilevanza
focale
conferita
dal
pittore
alle
spade:
le
spade
sono
poste
proprio
sulla
convergenza
con
tutte
le
linee
di
forza
e
le
linee
di
fuga
del
disegno:
sembra
quasi
che
siano
loro
a
sprigionare
luce
ed
è
verso
di
loro
che
tutti
si
volgono.
Le
spade
sono
il
"cuore
pulsante"
dell'opera,
da
esse
(che
rappresentano
la
guerra)
scende
un
drappo
rosso
che
investe
il
padre
dei
tre
Orazi.
La
scena
è
suddivisibile
in
una
quantità
enorme
di
triangoli
tracciabili
da
molti
punti
del
quadro:
il
triangolo
più
evidente
è
rappresentato
dalle
braccia,
le
spade
e
il
corpo
del
padre;
una
metafora
inserita
da
David
che
ha
voluto
collegare
i
tre
momenti
fondamentali
della
vita
di
un
romano:
l’adolescenza,
la
guerra
e
la
saggezza
senile.
Vi
è
l'esplicita
volontà
di
David
di
creare
un'opera
in
cui
la
storia
degli
antichi,
e
non
frivoli
motivi
mitologici
senza
rilevanza
sociale
ed
educativa,
esalti
i
valori
eroici
e
di
rigore.
Importante
particolare
è
la
mano
del
secondo
degli
Orazi
che
abbraccia
il
primo.
Questo
gesto
assume
un
doppio
significato,
sia
quello
di
farsi
forza
l'un
con
l'altro,
sia
quello
di
affetto
come
un
ultimo
saluto
prima
della
battaglia.
I
lineamenti
e
le
forme
sono
estremamente
realistiche.
La
grande
cura
nel
ricreare
le
vesti,
gli
sguardi
concentrati
e
rapiti,
le
gambe
muscolose,
i
drappi
dei
combattenti
e
i
lunghi
vestiti
delle
donne
sono
studiati
e
rappresentati
saggiamente.
Nero,
incognito,
freddo
ecco
il
futuro
dei
tre
ragazzi
che
si
prospetta
al
di
là
delle
colonne
sullo
sfondo.
Particolare
la
scelta
dell'autore
nel
lasciare
alcune
parti
degli
archi
logorate,
come
per
rendere
contemporanea
l'azione
e
coinvolgere
maggiormente
lo
spettatore.
Gli
Orazi,
dipinti
per
celebrare
la
Monarchia,
dopo
lo
scoppio
della
Rivoluzione
Francese
vennero
interpretati
in
modo
antitetico
come
i
patrioti
francesi
che
abbatterono
il
trono
francese.
**
Jacques-Louis
David
-
Ritratto
di
Madame
Récamier
-
1800
-
La
storia
di
questo
famoso
dipinto
resta
ancora
in
parte
oscura.
In
una
lettera
del
27
giugno
1800
inviata
a
Madame
de
Verninac,
David
afferma
di
lavorare
al
ritratto
di
Juliette
Récamier,
che
egli
desidera
concludere
al
più
presto
dal
momento
che
la
modella
intendeva
esporlo
al
Salon
des
Artistes
Francais
di
settembre.
Tale
testimonianza
contrasta
però
con
un
misterioso
biglietto
scritto
dalla
committente,
nella
quale
la
donna
chiedeva
al
pittore
di
"mantenere
il
segreto
convenuto",
espressione
variamente
interpretata
dalla
critica.
Nella
corrispondenza
successiva
David
rivela
la
sua
insoddisfazione
per
la
riuscita
del
ritratto.
L'impazienza
della
donna
per
la
lentezza
di
David
portò
il
pittore
a
perdere
interesse
per
la
prosecuzione
del
dipinto,
tanto
che
esclamò:
"Signora,
le
donne
fanno
i
capricci,
ma
anche
gli
artisti
fanno
i
loro.
Mi
permetta
di
soddisfare
i
miei.
Lascerò
quindi
il
ritratto
nello
stato
in
cui
si
trova".
Il
dipinto
restò
nell'atelier
fino
al
1825,
data
della
sua
morte,
quando
venne
acquistato
dal
direttore
della
Maison
du
Roi.
Figlia
di
un
banchiere
lionese
stabilitosi
nel
1784
a
Parigi,
Juliette
(1777-1849)
si
sposò
a
sedici
anni
con
un
banchiere
ugualmente
di
Lione,
monsieur
Récamier.
Juliette
condusse
a
Parigi
una
vita
agiata,
circondata
dai
più
grandi
personaggi
del
tempo,
e
neanche
i
fallimenti
finanziari
del
marito,
nel
1806
prima
e
poi
nuovamente
nel
1818,
alterarono
le
ambizioni
sociali
e
la
notorietà
della
donna,
che
suscitò
la
passione
di
personaggi
celebri
quali
Benjamin
Constant,
Chateaubriand
e
Ampère.
Nel
ritratto
a
figura
intera,
Juliette
è
vista
da
lontano,
adagiata
su
una
méridienne.
Forte
e
semplice
al
tempo
stesso,
il
quadro
mostra
una
giovane
ventitreenne
nel
colmo
della
sua
freschezza:
il
volto
è
pallido,
il
corpo
graziosamente
adagiato
e
rivolto
verso
lo
spettatore,
il
braccio
destro
è
abbandonato
languidamente
lungo
la
gamba.
La
stanza
nuda
e
il
mobilio
essenziale
corrispondono
alla
semplicità
della
veste
di
Juliette,
ispirata
a
una
tunica
antica.
**
Jacques-Louis
David
-
Consacrazione
di
Napoleone
I
-
1805-1807
-
"Nel
1804
io
fui
incaricato
dall'Imperatore
di
dipingere
la
sua
incoronazione
che
ebbe
luogo
a
Notre-Dame.
Sua
Maestà
fece
fare
espressamente
una
loggia
per
me
e
la
mia
famiglia,
da
dove
potei
vedere
bene
la
funzione;
anche
il
dipinto
rappresenta
la
cerimonia
con
fedeltà.
Io
disegnai
l'insieme
dal
vivo,
feci
separatamente
tutti
i
gruppi
principali,
e
stesi
delle
note
per
quelli
che
non
ebbi
il
tempo
di
disegnare,
così
si
può
credere,
vedendo
il
dipinto,
di
aver
assistito
alla
cerimonia;
ciascuno
occupa
lo
spazio
assegnatoli,
ed
è
rivestito
con
gli
abiti
della
propria
dignità.
"
Commissionato
da
Napoleone
nel
settembre
1804,
il
grandioso
dipinto
venne
terminato
soltanto
tre
anni
più
tardi.
Non
aveva
una
destinazione
precisa:
collocato
nei'atelier
di
Cluny,
passò
alla
fine
del
1819
nel
Museo
Reale,
dove
restò
fino
al
1837,
data
dell'apertura
del
museo
di
Versailles.
Qui
fu
lasciato
sino
al
1889,
anno
in
cui
entrò
al
Louvre.
La
cerimonia
dell'incoronazione
di
Napoleone
nella
chiesa
di
Notre-Dame
di
Parigi
durò
circa
tre
ore,
e,
come
noto,
suggellò
la
monarchia
di
Bonaparte.
La
celebrazione
venne
suddivisa
in
tre
parti:
la
consacrazione,
l'incoronazione
e
infine
il
giuramento,
al
quale
il
pontefice
Pio
VII
non
accettò
di
assistere.
Volendo
rappresentare
in
una
sola
azione
l'incoronazione
dell'imperatore
e
quella
dell'imperatrice,
l'artista
scelse
il
momento
in
cui
Napoleone,
dopo
essersi
autoincoronato,
si
appresta
a
investire
di
dignità
regale
la
sua
sposa.
Queste
due
figure
occupano
lo
spazio
centrale
della
grande
tela.
Il
realismo
dei
ritratti,
nonché
la
minuzia
nella
rappresentazione
delle
vesti
e
degli
accessori
fu
una
delle
preoccupazioni
principali
di
David.
Un
articolo
riporta
che
l'imperatore,
durante
la
visita
effettuata
nel
dicembre
del
1807
nell'atelier
del
pittore,
esclamò:
"Che
verità!
Questo
non
è
un
dipinto;
ci
si
cammina
dentro".

**
Jean-Honoré
Fragonard
-
La
serratura
-
1777
-
Il
dipinto
è
ricordato
per
la
prima
volta
nel
1785
alla
vendita
post
mortem
della
collezione
di
Louis-Gabriel,
marchese
de
Veri
Raionard
(che
commissionò
al
pittore
anche
una
Adorazione
dei
pastori,
oggi
a
New
York,
collezione
privata)
con
il
seguente
commento:
"Il
soggetto
è
conosciuto
e
inciso
con
il
titolo
di
La
serratura;
rappresenta
l'interno
di
un
appartamento
nel
quale
si
trovano
un
giovane
uomo
e
una
giovane
donna.
L'uomo
chiude
la
serratura
della
porta,
mentre
la
donna
si
sforza
di
impedirlo.
La
scena
si
svolge
vicino
a
un
letto,
il
cui
disordine
suggerisce
il
resto
del
soggetto".
E'
stato
acquistato
dal
Louvre
soltanto
nel
1974,
dopo
un
considerevole
passaggio
di
proprietari.
L'opera
testimonia
la
fase
tarda
dell'opera
del
pittore
provenzale.
La
celebre
composizione
fu
incisa
nel
1784
da
Maurice
Blot
a
pendant
del
Contratto
matrimoniale,
un'altra
opera
di
Frangonard.
A
questa
prima
illustrazione
farà
seguito
una
serie
numerosissima
di
incisioni
a
carattere
licenzioso,
che
ebbero
una
grande
tiratura.
La
composizione,
tutta
risolta
nel
movimento
della
giovane
coppia,
slanciata
di
ardore
e
di
leggerezza
come
in
un
balletto,
è
collocata
sulla
diagonale
che
conduce
dalla
serratura
alla
mela
poggiata
sul
tavolo
e
allusiva
al
peccato
originale,
lasciando
magistralmente
scorrere
lo
sguardo
sui
volti
intensi
dei
due
amanti.
L'uomo,
in
camicia
e
calzoni
corti
sino
alle
ginocchia,
allunga
un
braccio
muscoloso
lungo
la
serratura
della
porta,
che
spinge
con
un
colpo
delle
dita
mentre
cinge
energicamente
l'amante
con
il
braccio
sinistro:
il
volto
è
girato
verso
la
giovane
donna,
lo
sguardo
colmo
di
desiderio.
Sfiduciata
nei
propri
gesti,
il
viso
rovesciato,
gli
occhi
spaventati
e
supplichevoli,
la
giovane
respinge
con
una
mano
già
stanca
la
bocca
del
suo
amante.
Il
chiaroscuro
caldo
e
la
fulgida
chiarezza
(omaggio
di
Fragonard
a
Rembrandt)
esaltano
il
tono
palpitante
e
voluttuoso
del
quadro.

**
Jean-Auguste-Dominique
Ingres
-
Donna
al
bagno
-
1808
-
Insieme
all'Edipo
che
scioglie
l'enigma
della
Sfinge
(Parigi,
Musée
du
Louvre),
la
Donna
al
bagno
fa
parte
degli
Envois
de
Rome
del
1808,
opere
che
i
pensionanti
dell'Accademia
erano
tenuti
a
consegnare
annualmente
quali
attestazioni
del
buon
corso
dei
loro
studi.
Quell'anno
le
due
tele
vennero
esposte
all'Accademia
di
Francia
a
Roma
e
poi
inviate
a
Parigi.
Nella
capitale
d'oltralpe
la
Donna
al
bagno
venne
subito
acquistata
dal
conte
Rapp
e
rimase
nella
sua
collezione
fino
al
1822.
Pervenne
in
seguito
nella
raccolta
dei
Valpincon,
da
cui
derivò
la
denominazione,
quindi
passò
nella
collezione
Pereire,
dalla
quale,
nel
1879,
venne
acquistata
dal
Museo
del
Louvre.
Arrivato
a
Roma
nel
1806
per
il
tradizionale
soggiorno
di
quattro
anni
dei
giovani
vincitori
del
Prix
de
Rome
(borse
di
studio
che
garantivano
periodi
di
istruzione
a
Roma),
Ingres
vi
restò
invece
quattordici
anni.
Nel
1835,
diventato
uno
dei
pittori
più
famosi
d'Europa,
venne
nominato
direttore
dell'Accademia
di
Francia
a
Roma,
e
varcò
nuovamente
le
porte
di
Villa
Medici,
dove
restò
fino
al
1841.
La
Donna
al
bagno
fu
accolta
con
affettuosi
apprezzamenti
dagli
esaminatori,
che
ammirarono
particolarmente
la
finezza
e
la
veridicità
del
disegno,
ma
fu
criticata
da
chi
avrebbe
invece
desiderato
un
maggior
rilievo
nella
descrizione
delle
carni.
Il
successo
del
dipinto
consiste
nell'avere
superato
i
contrasti
tra
il
colore
e
la
luce,
cosa
che
conferisce
all'epidermide
un
tono
epurato
e
opalescente.
L'opera
venne
concepita
dopo
un
profondo
studio
dell'arte
italiana,
in
seguito
al
quale
il
pittore
dichiarò
di
aver
dovuto
ricominciare
la
propria
istruzione.
Questa
figura
fu
ripresa
da
Ingres
almeno
sette
volte,
anche
nel
famoso
Bagno
turco
(anch'esso
al
Louvre)
e,
a
testimonianza
della
sua
perfezione,
fu
più
volte
replicata
dai
suoi
allievi.
Tra
le
numerose
versioni
si
distingue
in
particolare
un
acquarello
conservato
al
Fogg
Art
Museum
di
Cambridge.
**
Jean-Auguste-Dominique
Ingres
-
La
grande
Odalisca
-
1814
-
Commissionato
nel
1813
da
Carolina
Murat,
il
dipinto
si
proponeva
a
pendant
della
Dormiente,
dipinto
eseguito
dall'artista
cinque
anni
prima
per
la
stessa
committente
e
probabilmente
distrutto
nel
1815
alla
disfatta
di
Napoleone.
La
tela
non
venne
mai
consegnata
a
causa
della
sopraggiunta
caduta
del
regno
di
Napoli,
ma
venne
acquistata
nel
1819
dal
conte
di
Pourtalès-Gorgier,
ciambellano
del
re
di
Prussia.
Esposta
al
Salon
des
Artistes
Francais
del
1819,
e
poi
in
quelli
del
1846
e
del
1855,
giunse
al
Louvre
nel
1899.
Questo
dipinto
è
stato
al
tempo
stesso
molto
amato
e
fonte
di
discussioni:
nei
primi
Salon
parigini
fu
criticato
per
la
presunta
debolezza
del
disegno,
per
le
forzature
anatomiche
e
per
la
monotonia
cromatica.
Gli
allievi
del
maestro
spiegarono
le
dilatazioni
formali
(si
osservi
l'assenza
totale
delle
definizione
delle
articolazioni,
l'esagerata
lunghezza
degli
arti
in
rapporto
alla
testa)
come
necessarie
alla
preziosa
fluidità
dello
schema
compositivo.
Particolarmente
interessante
l'affermazione
di
Amaury-Duval,
che
riconobbe
l'essenza
"orientale"
della
figurazione
non
nel
soggetto
e
negli
attributi
della
donna,
bensì
nella
resa
pittorica,
giocata
su
zone
di
colore
quasi
piatte,
che
anticiperebbero
di
oltre
mezzo
secolo
la
scoperta
dell'arte
giapponese
da
parte
degli
occidentali.
La
suggestione
derivata
dallo
studio
di
alcuni
maestri
italiani
è
indubbia
(Ingres
soggiornò
a
lungo
in
Italia,
prevalentemente
a
Roma
e
a
Firenze):
per
la
torsione
del
corpo
La
grande
Odalisca
ricorda
le
figure
del
Giorno
e
della
Notte
di
Michelangelo
delle
cappelle
medicee
di
Firenze
o
la
Venere
di
Urbino
di
Raffaello,
e
le
interpretazioni
che
da
tali
opere
derivarono
altri
artisti
francesi
che
soggiornarono
in
Italia.
Numerose
repliche
del
soggetto,
e
anche
della
celeberrima
testa
(come
quelle
che
si
trovano
ad
Angers,
Musée
Turpin
de
Crissé,
e
a
New
York,
Metropolitan
Museum)
testimoniano
la
fortuna
di
questo
dipinto.
**
Théodore
Géricault
-
La
zattera
della
Medusa
-
1819
-
Nel
1816
la
fregata
"Medusa"
partita
per
una
spedizione
in
Senegal
con
una
flotta
francese
fece
naufragio.
Centoquarantanove
persone
furono
abbandonate
dal
commodoro
su
una
zattera
con
dei
barili
di
vino
come
unico
approvvigionamento.
Dopo
settimane
alla
deriva,
solo
quindici
sopravvissuti
furono
portati
in
salvo
dalla
fregata
"Argus"
(cinque
dei
quali
moriranno
appena
sbarcati
a
terra).
La
notizia
del
naufragio
e
del
comportamento
riprovevole
del
commodoro
destò
grande
scalpore
in
Francia
e
in
Europa
e
il
Ministero
della
Marina
fu
posto
sotto
accusa.
Tre
anni
dopo
Géricault
decise
di
dipingere
un
quadro
sulla
tragedia
e
scelse
di
raffigurare
il
momento
dell'avvistamento
dell'"Argus".
Per
realizzare
il
dipinto
intervistò
a
lungo
i
sopravvissuti
e
affittò
un
atelier
di
fronte
all'ospedale
Beaujon
per
studiare
l'anatomia
dei
moribondi.
La
grande
tela,
caratterizzata
dalla
forte
drammaticità,
dal
realismo
della
rappresentazione
e
dalla
fisica
plasticità
sprigionata
dai
corpi
in
movimento,
era
considerata
da
Géricault
il
suo
unico
dipinto
compiuto.
Il
quadro,
uno
dei
più
famosi
del
pittore,
fu
esposto
al
Salon
del
1819
ed
ebbe
un
enorme
successo.
Géricault
ottenne
la
medaglia
d'oro
ma
il
dipinto
non
fu
acquistato.
Il
pittore
decise
allora
di
mostrarlo
in
Inghilterra:
fu
esposto
a
Londra
(12
giugno
-
31
dicembre
1820)
e
a
Dublino
(5
febbraio
-
31
marzo
1821).
Géricault
intascò
20.000
franchi,
l'equivalente
di
un
terzo
del
ricavato
dalla
vendita
dei
biglietti.
Alla
morte
del
pittore
il
quadro
fu
venduto
a
un
amico
che
lo
cedette
allo
Stato
francese.

**
Jean-Baptiste-Camille
Corot
-
Ricordo
di
Mortefontaine
-
1864
-
Presentato
al
Salon
des
Artistes
Francais
del
1864,
il
dipinto
fu
accolto
con
entusiasmo.
Anche
i
critici
più
severi
del
pittore
individuano
in
questa
tela
uno
dei
suoi
capolavori:
"delizioso
...
con
la
bruma
mattutina
che
accarezza
un
lago.
Grandi
alberi
disegnano
trine
nell'atmosfera
argentea.
Sulla
riva,
tre
fanciulle
si
divertono
con
i
rami
di
un
frassino
elegante.
Corot
è
incomparabile
nel
suscitare
immagini
poetiche
con
quasi
nulla.
Poche
pennellate,
ma
l'impressione
è
là,
e
l'artista
la
comunica
allo
spettatore"
(Thoré-Burger).
Acquistato
da
Napoleone
III
per
3000
franchi
e
trasferito
nel
castello
di
Fontainebleau,
il
quadro
fu
sottratto
alla
vista
dei
visitatori
fino
al
1889,
data
che
segna
il
suo
ingresso
al
Louvre.
Piccolo
villaggio
a
nord-est
di
Parigi,
Mortefontaine
è
prossimo
a
Chantilly
ed
è
noto
dalla
fine
del
Settecento
per
il
parco
all'inglese
e
i
laghetti
artificiali,
che
vennero
notevolmente
abbelliti
da
Giuseppe
Bonaparte,
divenutone
proprietario
nel
1798.
Nei
primi
dell'Ottocento
il
sito
venne
scelto
per
diverse
feste
nuziali
dei
fratelli
di
Napoleone
Bonaparte,
nonché
per
la
firma
di
contratti
e
trattati.
Dopo
un
lungo
periodo
di
declino
venne
rinnovato
nel
1862,
quando
il
duca
di
Gramont
costruì
il
nuovo
castello
nel
grand
parc.
Dopo
il
1850
Corot
dipinse
almeno
quattro
vedute
di
Mortefontaine,
ma
questa
tela,
che
pur
rievoca
i
grandi
specchi
d'acqua
del
parco
francese,
sembra
ispirata
piuttosto
a
laghi
italiani,
come
quelli
di
Garda
e
di
Nemi,
che
il
pittore
parigino
visitò
personalmente
durante
i
suoi
tre
soggiorni
di
studio
nella
penisola
(1825-1828,
1834
e
1843).
La
natura
e
la
luce
intensa
del
nostro
paese
sollevarono
i
suoi
primi
tormenti
creativi:
"questo
sole
spande
una
luce
che
mi
fa
disperare.
Sento
tutta
l'impotenza
della
mia
tavolozza.
Consola
il
tuo
povero
amico,
che
è
assai
afflitto
nel
vedere
la
propria
pittura
così
miserabile,
così
triste
a
confronto
della
natura
smagliante
che
ha
davanti
agli
occhi".

**
Eugène
Delacroix
-
Morte
di
Sardanapalo
-
1827
-
Il
dipinto
venne
esposto
nel
1827-1828
al
Salon
des
Artistes
Francais,
e
descritto
minuziosamente
nel
catalogo:
"I
rivoltosi
lo
assediano
nel
suo
palazzo.
...
Adagiato
su
di
un
magnifico
letto,
sulla
sommità
di
un
rogo,
Sardanapalo
ordina
agli
eunuchi
e
ai
funzionari
della
reggia
di
sgozzare
le
donne,
i
paggi
e
persino
i
cavalli
e
i
cani:
nulla
di
quanto
aveva
servito
ai
suoi
piaceri
doveva
sopravvivergli.
...
Aischeh,
la
donna
bactriana,
non
sopportando
che
uno
schiavo
le
dia
la
morte,
si
impicca
alle
colonne
reggenti
la
volta".
L'esposizione
della
tela
al
Salon
suscitò
quasi
esclusivamente
delle
critiche,
che
si
concentrarono
in
particolare
sulle
"negligenze
del
disegno",
gli
"errori"
prospettici,
l'indeterminatezza
dello
spazio,
e
la
"confusione"
espressa
nel
primo
piano.
Proprio
con
tali
accorgimenti
l'autore
ruppe
con
le
convenzioni
accademiche
del
tempo.
Lo
scrittore
Victor
Hugo,
invece,
definì
l'opera
"una
cosa
magnifica".
Il
dipinto
entrò
nelle
collezioni
del
Louvre
nel
1921.
Nessuna
allusione
a
questo
soggetto
è
riscontrabile
nel
Diario
che
l'artista
cominciò
nel
settembre
del
1822,
interruppe
due
anni
più
tardi
e
riprese
dal
1847
fino
alla
morte
(1863).
Sebbene
non
sia
ancora
chiara
la
derivazione
tematica
del
dipinto,
è
possibile
ipotizzare
che
la
tragedia
del
Sardanapalo
di
Byron
(1821)
possa
averne
fornito
lo
spunto.
L'autore
potrebbe
anche
essersi
ispirato
a
un
episodio
della
guerra
d'Indipendenza
tra
i
greci
e
i
turchi:
i
difensori
di
Missolungi,
che
non
resistettero
al
terzo
assedio
dell'armata
e
della
flotta
turca,
si
fecero
uccidere
con
le
loro
mogli
e
i
loro
figli.
Tuttavia,
né
la
tragedia
di
Byron,
né
le
fonti
greche,
come
Diodoro
Siculo,
possono
essere
ritenuti
l'ispirazione
certa
di
questa
tela.

**
Eugène
Delacroix
-
La
Libertà
guida
il
popolo
-
1830
-
Il
dipinto
fu
acquistato
nel
1831
al
Salon
des
Artistes
Francais
da
Luigi
Filippo
che
lo
destinò
al
Museo
Reale,
allora
collocato
nel
Palais
du
Luxembourg.
Le
tela
venne
esposta
soltanto
per
alcuni
mesi,
poiché
si
ritenne
che
in
un'epoca
di
turbamenti
politici
potesse
incoraggiare
le
sommosse
civili.
Dopo
svariate
peripezie
venne
mostrata,
con
il
permesso
dell'imperatore,
all'esposizione
universale
del
1855,
e
in
seguito
ricollocata
al
Musée
du
Luxembourg,
dove
restò
fino
al
novembre
del
1874,
anno
in
cui
giunse
al
Louvre.
In
una
lettera
inviata
il
18
ottobre
1830
al
fratello,
il
generale
Charles-Henri
Delacroix,
l'autore
affermava
riferendosi
al
dipinto:
"Ho
cominciato
a
lavorare
su
un
soggetto
moderno,
una
barricata
...
e,
se
non
ho
vinto
per
la
patria,
almeno
dipingerò
per
essa
...
",
confermando
la
testimonianza
di
Alexandre
Dumas
secondo
la
quale
l'adesione
del
pittore
ai
moti
parigini
fu
sentimentale
più
che
attiva.
Gli
articoli
apparsi
durante
l'esposizione
al
Salon
furono
elogiativi.
Alcuni
critici
si
interrogarono
sull'identificazione
dell'uomo
con
il
cilindro,
nel
quale
taluni
riconobbero
lo
stesso
Eugène
Delacroix,
mentre
altri
pensarono
di
individuarvi
Fréderic
Villot,
amico
dell'autore
e
futuro
conservatore
delle
pitture
del
Louvre.
Una
donna,
allegoria
della
Libertà,
avanza
con
impeto
e
veemenza
sulla
barricata.
Impugna
un
fucile
e
il
tricolore
della
patria,
indossa
il
berretto
frigio
dei
giacobini,
il
movimento
le
fa
scivolare
la
veste,
che
le
scopre
il
petto.
È
preceduta
da
un
ragazzo
con
il
tamburino
e
la
pistola,
individuato
con
il
giovane
coraggioso
che,
nel
1830,
sfondò
la
barriera
sul
ponte
delle
Senna
verso
il
Municipio
e
perì
durante
l'impresa.
In
lui
alcuni
critici
riconobbero
il
modello
ideale
del
piccolo
Gavroche,
che
Victor
Hugo
avrebbe
creato
trent'anni
più
tardi
nei
Miserabili.

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