Rive della Senna a Parigi, tra Pont de Sully e Pont d’Iéna
Francia 

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1991

 Video - Video 2 Video 3 

 

Louvre - Pittura francese

Per la ricchezza e la varietà delle sue opere, la collezione di pittura francese del Louvre è la più importante del mondo. Non è tuttavia la più antica del museo: per tutto il XVI secolo, gli spiriti erano rivolti all'Italia, tanto per le opere dell'Antichità che per quelle dei grandi maestri che dominarono il secolo (Leonardo da Vinci, Raffaello, Viziano, ecc). Il predominio della scuola francese iniziò soltanto con Luigi XIV.

I primitivi e il XVI secolo - Nel corso del XV secolo la pittura francese si libera a poco a poco dell'universo gotico. In Borgogna alcuni artisti come Bellechose o Malouel adottano uno stile "franco-fiammingo" che associa il realismo nordico alla graziosa stilizzazione del gotico internazionale. Ad Avignone, dove si mescolano le influenze franco­italiane, si elabora uno stile spoglio e monumentale di cui la Pietà costituisce una delle più alte espressioni. Questa duplice influenza fiamminga e italiana è particolarmente visibile in alcune opere, come il Ritratto di Carlo VII di Jean Fouquet o la Maddalena del Maestro di Moulins.

Dopo la prima spedizione di Carlo VIII in Italia, la Francia è completamente rivolta verso la Penisola. Chiamati da Francesco I per decorare il suo castello di Fontainebleau, il Rosso Fiorentino e il Primaticcio creano in Francia una scuola manierista che dominerà il secolo.

Tutte queste opere, ad eccezione del Ritratto di Francesco I di Jean Clouet, che fu espressamente eseguito per le collezioni reali, fecero il loro ingresso al Louvre solo più tardi. Occorre aspettare il XIX secolo perché i conservatori del museo e il pubblico inizino ad interessarsi ai primi maestri della pittura nazionale.

Il XVII secolo - Sotto il regno di Luigi XIII comparvero diverse tendenze, per la maggior parte provenienti dall'Italia (Valentin, Claude Vignon, Simon Vouet), ma spesso reinterpretate in maniera assai personale (Georges de la Tour) o mescolate ad altre influenze nordiche (Louis Le Nain).

Con l'ascesa al trono di Luigi XIV tutte le energie furono convogliate verso un classicismo di genere, teso a glorificare la grandezza e la potenza dello Stato, identificato nella persona del Re Sole. Charles Le Brun ne fu il promotore: i suoi dettami influenzarono le arti indirizzandole verso le grandiose composizioni decorative commissionate da Luigi XIV. Dopo Francesco I, Luigi XIV è il più grande sovrano mecenate delle arti. Non cessa di acquistare e di commissionare dipinti destinati ad abbellire Versailles e gli altri castelli reali. Si tratta di opere dei suoi pittori di Corte (Le Brun, Mignard) e dei maestri antecedenti (Poussin, Claude Gellée). Di Poussin, punto di riferimento assoluto dell'Accademia, il sovrano acquistò una trentina d'opere, oggi conservate al Louvre.

Il XVIII secolo - All'inizio del XVIII secolo prende corpo una reazione contro le regole troppo rigide del Classicismo, reazione che si concretizza nello stile detto "rocaille" o "rococò", arte disimpegnata e piacevole che trova origine a partire dalla fine del regno di Luigi XIV e che si afferma sotto la Reggenza con le "feste galanti" di Watteau. Quest'arte, piena di sensibilità e di poesia, verrà rappresentata da personalità diverse come Francois Boucher, pittore favorito di Madame de Pompadour, Honoré Fragonard o Jean Baptiste Chardin, pittore intimista di nature morte. Contrariamente ai suoi contemporanei, Luigi XV non fu un collezionista. Con l'eccezione di alcune acquisizioni di opere di artisti viventi, la collezione del XVIII secolo conservata al Louvre è dovuta in massima parte alla donazione che il grande collezionista La Caze fece al museo nel 1869 (fra le opere il Cilles di Watteau e le Bagnanti di Fragonard). La fine del secolo è dominata dallo stile neoclassico, animato dalle recenti scoperte fatte a Pompei e a Ercolano. Suo massimo esponente è senza dubbio David, del quale il Louvre possiede le più notevoli e monumentali composizioni, come il Giuramento degli Orazi, acquistato dal conte d'Angiviller, Direttore delle costruzioni sotto Luigi XVI, o l'Incoronazione di Napoleone I, che l'imperatore gli aveva commissionato nel 1806 per celebrare la sua recente ascesa al trono.

Il XIX secolo - La Restaurazione crea nel 1818 il museo del Luxembourg, primo museo di arte contemporanea, dove viene raccolta, prima di raggiungere il Louvre, la maggior parte dei grandi quadri classici (Girodet, Guérin, Gerard, Prud'hon) e di quelli dei nuovi maestri del Romanticismo.

Entrano così nelle collezioni nazionali alcuni dei più grandi capolavori della pittura "vivente", acquistati direttamente presso il Salon dal conte de Forbin, Direttore dei musei: Dante e Virgilio all'Inferno e I massacri di Scio di Delacroix, nonché la Zattera della Medusa di Géricault.

Questa politica di acquisto dei Romantici proseguirà anche sotto Luigi Filippo. Ma occorrerà attendere la fine del secolo per veder fare il proprio ingresso al Louvre alle principali opere di Ingres: la Grande Odalisca (1899) e il Bagno turco (1911).  

** Jean Fouquet - Ritratto di Carlo VII, re di Francia - 1445-1450 - Il dipinto è stato riconosciuto in quello segnalato nel 1717 da due religiosi benedettini nella Sainte Chapelle di Bourges, di cui Luigi XV il 16 febbraio 1757 ordinò la distruzione. Il sovrano riservò per il proprio cabinet de peintures questo "dipinto con il ritratto di Carlo VII, uno dei re nostri predecessori". Alienato durante la Rivoluzione, se ne perdono poi le tracce. In seguito l'opera si confonde con altri ritratti di questo sovrano, rendendo difficoltosa la ricostruzione della sua storia. 

L'assenza di tracce di cerniere sulle bande laterali della cornice d'origine conferma che la tavola venne concepita come opera autonoma. Le dimensioni sono importanti e il formato quasi quadrato, non abituale nella ritrattistica precedente, inquadra con precisione la figura all'interno della cornice. L'inserimento rigoroso della silhouette nello spazio, preparato dall'apertura delle tende, l'orizzontalità del busto, la posizione del cuscino sul piano parallelo a quello della cornice contribuiscono, malgrado qualche sottile sfumatura, a creare un'impressione di frontalità, manifestata anche dalla raffigurazione, secondo la moda in uso durante il secondo terzo del XV, delle spalle rinforzate. 

Immagine di un sovrano vittorioso, l'opera è investita di una funzione politica, come lascia intuire l'iscrizione sulla traversa superiore della cornice d'origine che recita: "LE TRES VICTORIEUX ROY TE FRANCE", per la quale non è ancora accertabile la contemporaneità del ritratto. Lo studio fisionomico del volto del sovrano non aiuta a stabilire la datazione del dipinto, mentre l'arcaicità dell'impostazione induce a ipotizzare una cronologia non lontana dagli esordi dell'artista, precedente al soggiorno in Italia che si svolse alla fine degli anni quaranta del Quattrocento.

Le complesse relazioni che legarono gli artisti francesi alla cultura fiamminga e italiana sono illustrate in modo esemplare da Fouquet, che i suoi contemporanei consideravano non inferiore a Van Eyck e Van der Weyden.

** Enguerrand Quarton - Pietà di Villeneuve-lès-Avignon - 1455 - La Pietà si trovava verosimilmente nella chiesa collegiale di Villeneuve-lès-Avignon. Durante i moti anticlericali del 1793 rischiò di essere bruciata, fu salvata da un prete spretato e nel 1872 venne trasferita al Museo dell'Ospizio del paese. Anni dopo sarà vista da Degas che ne loderà la bellezza. Nel 1904 apparve all'esposizione dei primitivi francesi tenutasi a Parigi. L'anno successivo venne acquistata per la cifra di 100.000 franchi dagli Amici del Museo del Louvre, che si aggiudicò così il capolavoro del più illustre pittore provenzale attivo intorno alla metà del Quattrocento.

Il committente, raffigurato sulla sinistra del dipinto, è stato identificato in Jean de Montagnac, che si interessò alla certosa. Canonico della chiesa di Saint-Agricol di Avignone, sappiamo dal suo testamento rogato nel 1449 che egli aveva deciso di essere sepolto nella certosa di Villeneuve-lès-Avignon e che desiderava un dipinto nel quale comparissero la Vergine, Maddalena e lui stesso. È probabile che il testamento fosse stato steso alla vigilia della partenza per un lungo viaggio, il giubileo del 1450 a Roma o un pellegrinaggio in Terra Santa, a cui alludono gli edifici nello sfondo che ripropongono il Santo Sepolcro. La Pietà, dove è effigiato in preghiera, potrebbe essere un ricordo di questo itinerario memorabile.

La formulazione iconografica severa ed elevata della Pietà, con la Vergine che prega con le mani giunte, compare nella tradizione delle scuole del Nord Europa. Quarton è riuscito a operare una sin­tesi notevole: la Maddalena si protende con delicatezza sul corpo del Cristo, Giovanni tocca la sua corona di spine con la tenerezza di un suonatore d'arpa. Il volto emaciato di Maria e l'aristocratico vigore del canonico trasmettono una identica certezza.: il messaggio della vittoria sulla morte.

** Jean Clouet - Ritratto di Francesco I - 1530 - Il dipinto è descritto nel 1642 nel Trésors et Merveilles de Fontainebleau nel padiglione dei pittori del re. È ricordato anche nel 1709 nel Cabinet dorè del castello di Francesco I, senza indicazioni dell'autore: "un dipinto, maniera sconosciuta, raffigurante il ritratto di Francesco I, a mezzo busto, che tiene l'impugnatura della propria spada in una mano e un guanto nell'altra". 

L'opera, menzionata al Louvre per la prima volta nel 1884, quando la paternità fu allora attribuita a Jean Clouet, è sempre stata esposta nelle collezioni reali. Uno studio preparatorio al ritratto si conserva a Chantilly, e rivela un forte influsso dell'arte fiamminga, che contraddistingue tutta la ritrattistica di questo pittore, per il quale questo genere diventò una vera e propria specializzazione. Dedicatosi agli inizi della propria carriera anche alla pittura di soggetto storico e religioso (intorno al 1522 dipinse a Tours un San Gerolamo, ora perduto), i documenti riportano soprattutto la sua produzione di "effigi". Maestro esemplare nel rendere le fisionomie, nel cogliere l'individualità delle espressioni, nonché nel modellare gli incarnati illuminandoli con tonalità avvolgenti, fu famoso nei ritratti di piccole e di grandi dimensioni.

La concezione plastica e monumentale del Ritratto di Francesco I si avvicina allo stile di due importanti artisti nordici, Gossaert e Hans Holbein il Giovane che furono, come Clouet, sensibili alla cultura italiana. Non si deve infatti dimenticare, anche di fronte a questo ritratto, il soggiorno in Turenna di Leonardo da Vinci (1517-1519): l'artista italiano, chiamatovi da Francesco I per dedicarsi soprattutto a progetti di architettura e di idraulica, lanciò un nuovo impulso nella ritrattistica. Il Ritratto di Francesco I nelle vesti di san Giovanni Battista dello stesso Clouet (New York, collezione privata, 1518) è manifestamente ispirato al San Giovanni Battista di Leonardo anch'esso al Louvre.

** Georges de La Tour - San Giuseppe falegname - 1642 - Il dipinto è stato identificato con una tela eseguita per i carmelitani scalzi di Metz su probabile commissione di Elisabeth de Danois-Sernès, vedova di Andre de Maillane, già governatore del vescovato di Metz a Vic-sur-Seille e buon conoscente di La Tour. Elisabeth contribuì a fondare a Metz, presso il convento dei piccoli carmelitani, una casa per ragazze di strada. 

In seguito al suo generoso interessamento economico, la vedova de Maillane avrebbe domandato alcune messe di suffragio per i familiari defunti, e, verosimilmente, avrebbe commissionato alcuni dipinti ai migliori pittori del luogo. Il convento venne ceduto nel 1791 alla municipalità e i beni dei carmelitani di Metz si dispersero tra il museo cittadino e la casa di Étienne Morlanne, un ex seminarista che durante la rivoluzione mise in salvo diverse opere trasferendole nella casa della madre ad Ars-sur-Moselle. Da qui, tra il 1840 e il 1852, molti capolavori furono portati in Inghilterra. 

Trovato nel 1938 probabilmente a Londra da Percy Moore Turner, il dipinto è stato esposto da Paul Jamot l'anno seguente, e generosamente donato al Louvre nel 1948. La Tour illustra il San Giuseppe falegname seguendo la tardiva corrente caravaggesca, che trattò numerose volte il soggetto, particolarmente caro ai luministi come Gerrit van Honthorst e Trophime Bigot. La fortuna del tema corrisponde alla devozione religiosa per il santo, figura esemplare di umiltà ed esempio di accettazione della volontà di Dio, particolarmente caro agli ordini mendicanti all'inizio del Seicento. 

L'evocazione simbolica del legno della Croce, opera del carpentiere, è frequentemente associata ai due protagonisti del quadro, e deriva dall'influsso della spiritualità francescana, molto marcata nella Lorena del tempo. La potenza dei volumi, il realismo della raffigurazione, la descrizione minuziosa e ricettiva agli accenti luminosi, mostra una fase direttamente precedente allo stile sintetico, che contraddistingue le ultime opere di La Tour.

** Seconda scuola di Fontainebleau - Due dame al bagno - 1594 - Acquistato dal museo nel 1937, il dipinto simboleggia il lirismo e l'eleganza formale trasmessi alla pittura francese dalle opere italiane. Una prima suggestione dell'arte italiana si sviluppò in seguito al soggiorno alla corte di Fontainebleau di Francesco Primaticcio e di Niccolo dell'Abate, dal quale nacque una corrente definita "prima scuola di Fontainebleau" di cui la Diana cacciatrice, anch'essa al Louvre (1550-1560 circa), costituisce un importante esempio. La denominazione di "seconda scuola di Fontainebleau" definisce invece la generazione di pittori che lavorarono per Enrico IV, tra i quali i più noti sono Toussaint Dubreuil, Ambroise Dubois e Martin Fréminet.

Il pittore anonimo prende a modello l'opera di Francois Clouet (La dama al bagno, Washington, National Gallery, dove l'identità dell'effigiata resta un enigma) e ripropone in particolare la tradizione del ritratto emblematico diffusosi agli inizi degli anni novanta del Cinquecento. Questa corrente è stata definita da un critico come "altro ritratto", cioè un'arte del ritratto in cui l'intento fisionomico è subordinato alla rappresentazione di un mito o di una simbologia nascosta. Il modello è travestito o denudato e avvolto in un contesto narrativo di non facile interpretazione.

In questa tela una cortina rossa aperta incornicia un'insolita scena intima. La favorita di Enrico IV, Gabrielle d'Estrées (1573-1599), è raffigurata a petto nudo in una vasca da bagno in compagnia di una sorella, la duchessa de Villars o la marescialla de Balagny. Tiene un anello, allusione alla sua relazione con il sovrano francese. Una delle spiegazioni più verosimili del gesto della sorella di Gabrielle, che prende con le dita il capezzolo dell'altra, è che alluda alla nascita nel 1594 di Cesar de Vendóme, figlio illegittimo di Enrico IV e di Gabrielle.

** Nicolas Poussin - L'ispirazione del poeta - 1620-1630 - Di questo dipinto non si conoscono né disegni preparatori, né incisioni né tanto meno il nome del committente. Nel 1653 è ricordato nella collezione parigina del cardinale Giulio Mazzarino, e a questa tela dovrebbe riferirsi il commento di Gian Lorenzo Bernini, quando, visitando nel 1665 il palazzo e la collezione del primo ministro francese, avrebbe dichiarato che era stato dipinto "alla maniera di Tiziano", perla forte suggestione del colore veneto. Pervenuto nel 1772 in Inghilterra, nel 1911 venne acquistato dal museo francese, che accumula con fierezza la produzione del pittore normanno, di cui possiede ben trentotto opere.

Il quadro venne eseguito a Roma, città nella quale il pittore risiedeva dal 1624 e in cui si contraddistinse per l'adozione di un originale stile di classicismo, profondamente meditato sulle ricerche antiquarie. Questo consente di individuare la probabile fonte iconografica di questa composizione in un bassorilievo greco-romano raffigurante Giove, Giunone e Teti, anch'esso al Louvre.

Sulla sinistra dovrebbe essere rappresentata Calliope, la più anziana e la più sapiente delle muse, protettrice dell'eloquenza e della poesia epica. I tre libri raffigurati ai piedi di Apollo, con le iscrizioni dei titoli dei tre poemi Iliade, Odissea ed Eneide, si collegano proprio alla presenza di questa musa.

** Claude Lorrain - Lo sbarco di Cleopatra a Tarso - 1642-1643 - La tela, insieme al Paesaggio con Samuele che riconosce Davide re d'Israele anch'esso al Louvre è stata commissionata a Roma dal cardinale Angelo Giori (1585-1662), un appassionato committente del pittore lorenese, di cui possedette ben otto opere. Strettamente legato alla famiglia del pontefice Urbano VIII Barberini, Giori rese omaggio ai propri sostenitori facendo inserire in questa tela lo stemma della famiglia Barberini, uno scudo con tre api, sulla prora dell'imbarcazione ormeggiata al porto dalla quale Cleopatra è appena scesa. È probabile che Giori, promosso al cardinalato proprio nel 1643, volesse così esprimere riconoscenza alla famiglia del pontefice, scegliendo un tema dal forte significato morale derivato dall'Antonio di Plutarco: Cleopatra, sbarcata a Tarso per incontrare Antonio, decide di sedurlo per appagare la propria ambizione di potere.

Le due opere illustrano un'opposta, e al tempo stesso complementare, ambientazione naturalistica: ho sbarco di Cleopatra mostra una marina, il Paesaggio con Samuele un paesaggio con la veduta del monte Soratte sul fondo. Le strutture architettoniche, raffigurate sulla destra nello Sbarco di Cleopatra, corrispondono a quelle di sinistra nel Paesaggio con Samuele, così pure i colori sono freddi nel primo e caldi nel secondo. Anche la lettura dei due soggetti è antitetica: la saggezza e l'umanità del giovane Davide, incoronato re, si contrappongono all'orgoglio dell'ambiziosa regina, che, punita per la propria presunzione, non riuscirà a raggiungere l'obiettivo di regnare su Roma.

Giunto nella città pontificia nel 1613, Lorrain divenne presto il paesaggista più celebrato, famoso per la sua abilità prospettica, onorato da commissioni di pontefici e sovrani. Fin dagli inizi si dedicò alla rappresentazione di porti immaginari, che evocavano gli splendori di Ostia antica e che furono tra le specialità a lui più richieste.

** Jean-Antoine Watteau - Pierrot (Gilles) - 1718-1719 - Non è nota la provenienza di questo dipinto, né vi sono certezze sul titolo, sull'identità del modello e sulla cronologia. Figura nel 1826 nella vendita post mortem dei beni di Dominque-Vivant Denon, commissario alle Belle Arti di Napoleone e primo direttore del museo del Louvre (1802-1815), dove è menzionato come Gilles. Riacquistato dal nipote del commissario, Brunet Denon, passò successivamente nella collezione di Casimir Perrin, marchese de Cypierre (1784-1844). Nel 1845, venne comprato dal medico Louis La Caze, che lo donò al Louvre nel 1869.

La collocazione originaria del quadro è stata avanzata prudentemente: in un volume delle Mémoires pour servir à l'histoire des spectacles des frères Varfaict (1743) si parla di un certo Belloni (1680 circa - 1721), un artista greco originario di Zante, celebre a Parigi per le sue interpretazioni di Pierrot. Ritiratosi nel 1718 dal teatro, Belloni aprì un caffè, dove "mise per insegna il suo ritratto in costume di Pierrot". 

Le analisi a raggi infrarossi hanno rivelato che l'antica insegna del caffè con il volto dell'artista è stata rincollata da Watteau sulla tela, cosa visibile anche a occhio nudo se si presta attenzione alla craquelure sulla parte sinistra del volto, probabilmente il pezzo originale dell'insegna. L'origine del personaggio di Gilles non è chiara: potrebbe risalire a Gilles Le Niais, l'attore che inventò il tipo alla metà del Seicento. Anche l'identificazione dei quattro personaggi in basso è controversa: se si riferiscono alla serie di parades composta da Gueullet, i tre uomini potrebbero essere Cassandra, Pantalone e Leandro, la figura con il copricapo crestato accanto a Isabella.

Il formato dell'opera è eccezionale, è il solo dipinto di Watteau che mostri un personaggio a figura intera e dimensioni naturali. La sua espressione è stata lungamente dibattuta: stupidaggine, ingenuità, meditazione, dolore o malinconia?

** Jean-Siméon Chardin - Bambino con una trottola - 1738 - Identificato con il quadro esposto al Salon des Artistes Francais del 1738, il dipinto venne inciso nel 1742 da Lépicé, che lo intitolò La trottola. Ci sono numerose citazioni inventariali di questo soggetto: lo stesso tema figurava nel 1745 alla vendita La Rocque, un altro è menzionato nell'inventario steso dopo la morte di Chardin, un altro ancora è segnalato a Londra nel 1743, attestazioni tutte della fortuna del soggetto.

Il dipinto è stato acquistato dal Louvre nel 1907 insieme a Charles-Théodose Godefroy con il violino, in cui è raffigurato il fratello maggiore del bambino all'età approssimativa di sedici anni, compositore dilettante noto per il suo talento di violinista. Figlio del banchiere e gioielliere Charles Godefroy, Auguste Gabriel (1728-1813), futuro controllore generale della marina, fu un appassionato collezionista d'arte: possedette Il giovane che danza (L'Indifférent) e La suonatrice di liuto (La Finette) di Watteau, entrambi attualmente al Louvre.

Per molti critici il protagonista di questo dipinto, che non dovrebbe ancora aver compiuto dieci anni, rappresenta l'immagine dell'innocenza infantile, tema di cui Chardin è stato uno dei primi a occuparsi con tenerezza. L'artista testimonia un profondo rispetto e una simpatia senza limiti per i giochi di questi bambini, che raffigura distaccati e lontani dal mondo che li circonda, immersi nel silenzio delle loro occupazioni, con emozione contenuta, lenta e greve, poiché, come ebbe a commentare lo stesso Chardin "ci si serve dei colori, ma si dipinge con il sentimento" (Cochin).

** Francois Boucher - Diana al bagno - 1742 - Nel 1742, all'apogeo del suo talento, Boucher espone al Salon des Artistes Francais almeno otto opere, tra le quali i bozzetti di soggetto cinese destinati alla manifattura di Beauvais per la serie di arazzi della Tentare chinoise, insieme a questo dipinto. Appartenuto probabilmente ad Amédée Constantin, si trovava nel 1821 presso il barone Thibon (come ha confermato l'esame radiografico condotto nel 1959 che ha evidenziato sul telaio la scritta di appartenenza a questa persona), dal quale passò nella raccolta del conte di Narbonne. Il Louvre lo acquistò nel 1852 dalla collezione Van Cuyck.

Le reminescenze del soggiorno italiano dell'autore, avvenuto tra il 1727 e il 1731, fanno pensare soprattutto a Correggio, per la resa della morbidezza delle carni delle due giovani donne. Diana, la casta dea della caccia, siede nuda e adorna soltanto di diadema su un prezioso tessuto azzurro presso la riva di un corso d'acqua. Abbandonate a terra le armi e catturate le prede, si rinfresca con una compagna ai margini di un boschetto riparato da alti arbusti. 

Pierre-Auguste Renoir dichiarò apertamente la sua ammirazione per questo quadro: "È il primo dipinto che mi abbia completamente affascinato e ho continuato ad amarlo per tutta la vita, come si fa con i primi amori".

Del dipinto vennero realizzate numerose copie da artisti famosi: il 23 febbraio 1852 Édouard Manet pose il proprio cavalletto di fronte al quadro di Boucher, mentre due anni più tardi (precisamente il 10 maggio 1854), Fantin-Latour ne fece una copia.

** Jacques-Louis David - Il giuramento degli Orazi - 1784 - Il soggetto è tratto da una leggenda romana, secondo cui, durante il regno di Tullio Ostilio, per decidere l'esito della guerra tra Roma e Alba Longa, tre fratelli romani (gli Orazi) si dovettero scontrare contro tre fratelli di Alba (i Curiazi). Dei Curiazi non sopravvisse nessuno mentre dei tre Orazi uno riuscì a ritornare sancendo la vittoria di Roma, il tema del giuramento degli Orazi è tratto dalla storia antica

La donna che piange seduta è una delle sorelle degli Orazi (Camilla), che, destinata sposa a uno dei Curiazi, si rende conto che perderà qualcuno di caro in entrambi i casi. Invece le donne accanto sono le mogli con i figli, tristi per la loro partenza.

David si trovava a Roma quando dipinse Il giuramento degli Orazi, datato 1784, ma realizzato fra l'autunno 1783 e l'estate 1785. Commissionato dal conte d'Angivilier per conto del re di Francia, il quale voleva la rappresentazione di un episodio della storia della Roma monarchica, fu esposto per la prima volta presso lo studio del pittore nella capitale vaticana, a Palazzo Costanzi, presso Piazza del Popolo. La tela venne poco dopo trasferita a Parigi, dove rimase al Salon del 1785 durante gli ultimi giorni di apertura.

Venne in seguito rintelato ed esposto nuovamente al Salon del 1791 insieme al quadro raffigurante 7 littori riportano a Unito i corpi dei suoi figli (1789, Parigi, Musée du Louvre), con il quale condivide la vicenda critica. Venne poi collocato nell'atelier di David dove rimase fino al 1798, data in cui entrambe le tele sono documentate a Versailles. 

Esposta successivamente nel Palais du Luxembourg, entrò definitivamente al Louvre nel 1826, insieme al Bruto. Numerosi disegni e studi preparatori confermano la lunga gestazione dell'opera, unanimemente riconosciuta come uno dei capolavori dell'artista. 

Il quadro è considerato il "manifesto" del neoclassicismo, non solo Francese. La tela avrebbe ispirato, nel 1800, il compositore italiano Bernardo Porta, amico del pittore, per la sua opera Les Horaces, sul testo di Pierre Corneille.

Jacques-Louis David ha voluto immortalare una celebre leggenda romana in un modo romantico e anche un po' bizzarro con elementi di spazio e linee che ricordano Picasso. Sulla scena sono rappresentati i tre fratelli Orazi pronti al combattimento contro i Curiazi. I tre giovani giurano massima fedeltà e grande onore alla loro famiglia ricevendo in seguito le armi consegnate dal padre. La scena ricalca il classico dramma poetico: da un lato prodi combattenti che, nonostante l’età e nonostante la probabile inesperienza, decidono di scontrarsi per la pace di Roma, dall’altro lato, in netto contrasto psicologico, le donne legate ad entrambe le famiglie, quest'ultime capiscono che qualunque sia l'esito della battaglia sarà comunque un'amara sconfitta. Il pittore sembra voler dare più spazio all’azione eroica dei tre: infatti, attirano l’attenzione dello spettatore grazie alle proporzioni maggiori e alla luce che li investe e li esalta. David mostra un mondo romano (antico) in cui lacrime, sensibilità e amore non contano nulla davanti ai valori militari, bisogna essere freddi, mostrarsi uniti, convinti e sicuri anche quando mancano delle motivazioni. Le figure disegnate e fotografate sono rigide e tenaci. Le donne in lacrime fanno capire come e quanto la guerra (ieri come oggi) sia un evento tragico.

Il soggetto storico è qui utilizzato con un unico fine: l’esaltazione dell’eroismo. L’eroe, in questa opera, ha caratteri di intensa virilità che sono in contrasto con i caratteri raffinati dei tanti damerini che affollavano la società aristocratica del Settecento. Sono eroiche anche le donne che devono subire tutto il dolore. La differenza psicologica dei personaggi viene resa visibile dalle pose che loro assumono: diritte e tese le linee che formano gli uomini, curve e sinuose le linee che disegnano le donne. L’autore mette in posa tutti i personaggi con gesti teatrali e molto comunicativi: gli uomini, con le gambe divaricate e il braccio disteso, sguardi e gesti molto decisi e "marziali", comunicano il senso di nervosismo che precede la battaglia. Le donne in pose abbandonate, sembrano rassegnate al destino e tristi. La madre più indietro è avvolta nell'ombra, e con il suo mantello scuro, copre i bambini, come per consolarli. Il padre degli Orazi, al centro, fa da perno alla scena, alza le spade per dare una benedizione o un augurio.Viene inoltre interpretata in chiave politica, come un inno agli ideali della Rivoluzione, e vi si rintracciano anche diversi elementi simbolici. Ad esempio gli Orazi sono vestiti con i colori della Francia, e nell'insieme rappresentano il motto libertà (il giuramento: "o Roma o morte") , fraternità (i fratelli Orazi e l'abbraccio che li unisce), uguaglianza (sono tutti della stessa altezza, compiono gli stessi gesti).

Il tutto si svolge in un freddo porticato in cui un raggio di luce illumina la scena principale che è spostata sulla sinistra. La luce dà gloria e onore ai sentimenti valorosi dei tre uomini e tiene nell’ombra il sentimento razionale di affetto sviluppato dalle donne. La luce sembra quasi essere la metafora del pensiero antico romano: essere fieri e incuranti del mondo circostante, impugnare la spada senza osservare ciò a cui si va incontro, buttarsi in battaglia senza pensare a ciò che la morte potrebbe causare, combattere senza ricordarsi di avere una famiglia, figli, affetti. Questa esaltazione eccessiva al voler (e dover) far guerra è sottolineata dalla grande rilevanza focale conferita dal pittore alle spade: le spade sono poste proprio sulla convergenza con tutte le linee di forza e le linee di fuga del disegno: sembra quasi che siano loro a sprigionare luce ed è verso di loro che tutti si volgono. Le spade sono il "cuore pulsante" dell'opera, da esse (che rappresentano la guerra) scende un drappo rosso che investe il padre dei tre Orazi. La scena è suddivisibile in una quantità enorme di triangoli tracciabili da molti punti del quadro: il triangolo più evidente è rappresentato dalle braccia, le spade e il corpo del padre; una metafora inserita da David che ha voluto collegare i tre momenti fondamentali della vita di un romano: l’adolescenza, la guerra e la saggezza senile. Vi è l'esplicita volontà di David di creare un'opera in cui la storia degli antichi, e non frivoli motivi mitologici senza rilevanza sociale ed educativa, esalti i valori eroici e di rigore. Importante particolare è la mano del secondo degli Orazi che abbraccia il primo. Questo gesto assume un doppio significato, sia quello di farsi forza l'un con l'altro, sia quello di affetto come un ultimo saluto prima della battaglia.

I lineamenti e le forme sono estremamente realistiche. La grande cura nel ricreare le vesti, gli sguardi concentrati e rapiti, le gambe muscolose, i drappi dei combattenti e i lunghi vestiti delle donne sono studiati e rappresentati saggiamente. Nero, incognito, freddo ecco il futuro dei tre ragazzi che si prospetta al di là delle colonne sullo sfondo.

Particolare la scelta dell'autore nel lasciare alcune parti degli archi logorate, come per rendere contemporanea l'azione e coinvolgere maggiormente lo spettatore.

Gli Orazi, dipinti per celebrare la Monarchia, dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese vennero interpretati in modo antitetico come i patrioti francesi che abbatterono il trono francese.

** Jacques-Louis David - Ritratto di Madame Récamier - 1800 - La storia di questo famoso dipinto resta ancora in parte oscura. In una lettera del 27 giugno 1800 inviata a Madame de Verninac, David afferma di lavorare al ritratto di Juliette Récamier, che egli desidera concludere al più presto dal momento che la modella intendeva esporlo al Salon des Artistes Francais di settembre. Tale testimonianza contrasta però con un misterioso biglietto scritto dalla committente, nella quale la donna chiedeva al pittore di "mantenere il segreto convenuto", espressione variamente interpretata dalla critica. Nella corrispondenza successiva David rivela la sua insoddisfazione per la riuscita del ritratto. L'impazienza della donna per la lentezza di David portò il pittore a perdere interesse per la prosecuzione del dipinto, tanto che esclamò: "Signora, le donne fanno i capricci, ma anche gli artisti fanno i loro. Mi permetta di soddisfare i miei. Lascerò quindi il ritratto nello stato in cui si trova". Il dipinto restò nell'atelier fino al 1825, data della sua morte, quando venne acquistato dal direttore della Maison du Roi.

Figlia di un banchiere lionese stabilitosi nel 1784 a Parigi, Juliette (1777-1849) si sposò a sedici anni con un banchiere ugualmente di Lione, monsieur Récamier. Juliette condusse a Parigi una vita agiata, circondata dai più grandi personaggi del tempo, e neanche i fallimenti finanziari del marito, nel 1806 prima e poi nuovamente nel 1818, alterarono le ambizioni sociali e la notorietà della donna, che suscitò la passione di personaggi celebri quali Benjamin Constant, Chateaubriand e Ampère. Nel ritratto a figura intera, Juliette è vista da lontano, adagiata su una méridienne. Forte e semplice al tempo stesso, il quadro mostra una giovane ventitreenne nel colmo della sua freschezza: il volto è pallido, il corpo graziosamente adagiato e rivolto verso lo spettatore, il braccio destro è abbandonato languidamente lungo la gamba. La stanza nuda e il mobilio essenziale corrispondono alla semplicità della veste di Juliette, ispirata a una tunica antica.

** Jacques-Louis David - Consacrazione di Napoleone I - 1805-1807 - "Nel 1804 io fui incaricato dall'Imperatore di dipingere la sua incoronazione che ebbe luogo a Notre-Dame. Sua Maestà fece fare espressamente una loggia per me e la mia famiglia, da dove potei vedere bene la funzione; anche il dipinto rappresenta la cerimonia con fedeltà. Io disegnai l'insieme dal vivo, feci separatamente tutti i gruppi principali, e stesi delle note per quelli che non ebbi il tempo di disegnare, così si può credere, vedendo il dipinto, di aver assistito alla cerimonia; ciascuno occupa lo spazio assegnatoli, ed è rivestito con gli abiti della propria dignità. "

Commissionato da Napoleone nel settembre 1804, il grandioso dipinto venne terminato soltanto tre anni più tardi. Non aveva una destinazione precisa: collocato nei'atelier di Cluny, passò alla fine del 1819 nel Museo Reale, dove restò fino al 1837, data dell'apertura del museo di Versailles. Qui fu lasciato sino al 1889, anno in cui entrò al Louvre.

La cerimonia dell'incoronazione di Napoleone nella chiesa di Notre-Dame di Parigi durò circa tre ore, e, come noto, suggellò la monarchia di Bonaparte. La celebrazione venne suddivisa in tre parti: la consacrazione, l'incoronazione e infine il giuramento, al quale il pontefice Pio VII non accettò di assistere. Volendo rappresentare in una sola azione l'incoronazione dell'imperatore e quella dell'imperatrice, l'artista scelse il momento in cui Napoleone, dopo essersi autoincoronato, si appresta a investire di dignità regale la sua sposa. Queste due figure occupano lo spazio centrale della grande tela.

Il realismo dei ritratti, nonché la minuzia nella rappresentazione delle vesti e degli accessori fu una delle preoccupazioni principali di David. Un articolo riporta che l'imperatore, durante la visita effettuata nel dicembre del 1807 nell'atelier del pittore, esclamò: "Che verità! Questo non è un dipinto; ci si cammina dentro".

** Jean-Honoré Fragonard - La serratura - 1777 - Il dipinto è ricordato per la prima volta nel 1785 alla vendita post mortem della collezione di Louis-Gabriel, marchese de Veri Raionard (che commissionò al pittore anche una Adorazione dei pastori, oggi a New York, collezione privata) con il seguente commento: "Il soggetto è conosciuto e inciso con il titolo di La serratura; rappresenta l'interno di un appartamento nel quale si trovano un giovane uomo e una giovane donna. L'uomo chiude la serratura della porta, mentre la donna si sforza di impedirlo. La scena si svolge vicino a un letto, il cui disordine suggerisce il resto del soggetto". 

E' stato acquistato dal Louvre soltanto nel 1974, dopo un considerevole passaggio di proprietari. L'opera testimonia la fase tarda dell'opera del pittore provenzale. La celebre composizione fu incisa nel 1784 da Maurice Blot a pendant del Contratto matrimoniale, un'altra opera di Frangonard. A questa prima illustrazione farà seguito una serie numerosissima di incisioni a carattere licenzioso, che ebbero una grande tiratura.

La composizione, tutta risolta nel movimento della giovane coppia, slanciata di ardore e di leggerezza come in un balletto, è collocata sulla diagonale che conduce dalla serratura alla mela poggiata sul tavolo e allusiva al peccato originale, lasciando magistralmente scorrere lo sguardo sui volti intensi dei due amanti. 

L'uomo, in camicia e calzoni corti sino alle ginocchia, allunga un braccio muscoloso lungo la serratura della porta, che spinge con un colpo delle dita mentre cinge energicamente l'amante con il braccio sinistro: il volto è girato verso la giovane donna, lo sguardo colmo di desiderio. Sfiduciata nei propri gesti, il viso rovesciato, gli occhi spaventati e supplichevoli, la giovane respinge con una mano già stanca la bocca del suo amante. Il chiaroscuro caldo e la fulgida chiarezza (omaggio di Fragonard a Rembrandt) esaltano il tono palpitante e voluttuoso del quadro.

** Jean-Auguste-Dominique Ingres - Donna al bagno - 1808 - Insieme all'Edipo che scioglie l'enigma della Sfinge (Parigi, Musée du Louvre), la Donna al bagno fa parte degli Envois de Rome del 1808, opere che i pensionanti dell'Accademia erano tenuti a consegnare annualmente quali attestazioni del buon corso dei loro studi. Quell'anno le due tele vennero esposte all'Accademia di Francia a Roma e poi inviate a Parigi. Nella capitale d'oltralpe la Donna al bagno venne subito acquistata dal conte Rapp e rimase nella sua collezione fino al 1822. Pervenne in seguito nella raccolta dei Valpincon, da cui derivò la denominazione, quindi passò nella collezione Pereire, dalla quale, nel 1879, venne acquistata dal Museo del Louvre.

Arrivato a Roma nel 1806 per il tradizionale soggiorno di quattro anni dei giovani vincitori del Prix de Rome (borse di studio che garantivano periodi di istruzione a Roma), Ingres vi restò invece quattordici anni. Nel 1835, diventato uno dei pittori più famosi d'Europa, venne nominato direttore dell'Accademia di Francia a Roma, e varcò nuovamente le porte di Villa Medici, dove restò fino al 1841.

La Donna al bagno fu accolta con affettuosi apprezzamenti dagli esaminatori, che ammirarono particolarmente la finezza e la veridicità del disegno, ma fu criticata da chi avrebbe invece desiderato un maggior rilievo nella descrizione delle carni. Il successo del dipinto consiste nell'avere superato i contrasti tra il colore e la luce, cosa che conferisce all'epidermide un tono epurato e opalescente. L'opera venne concepita dopo un profondo studio dell'arte italiana, in seguito al quale il pittore dichiarò di aver dovuto ricominciare la propria istruzione.

Questa figura fu ripresa da Ingres almeno sette volte, anche nel famoso Bagno turco (anch'esso al Louvre) e, a testimonianza della sua perfezione, fu più volte replicata dai suoi allievi. Tra le numerose versioni si distingue in particolare un acquarello conservato al Fogg Art Museum di Cambridge.

** Jean-Auguste-Dominique Ingres - La grande Odalisca - 1814 - Commissionato nel 1813 da Carolina Murat, il dipinto si proponeva a pendant della Dormiente, dipinto eseguito dall'artista cinque anni prima per la stessa committente e probabilmente distrutto nel 1815 alla disfatta di Napoleone. La tela non venne mai consegnata a causa della sopraggiunta caduta del regno di Napoli, ma venne acquistata nel 1819 dal conte di Pourtalès-Gorgier, ciambellano del re di Prussia. Esposta al Salon des Artistes Francais del 1819, e poi in quelli del 1846 e del 1855, giunse al Louvre nel 1899.

Questo dipinto è stato al tempo stesso molto amato e fonte di discussioni: nei primi Salon parigini fu criticato per la presunta debolezza del disegno, per le forzature anatomiche e per la monotonia cromatica. Gli allievi del maestro spiegarono le dilatazioni formali (si osservi l'assenza totale delle definizione delle articolazioni, l'esagerata lunghezza degli arti in rapporto alla testa) come necessarie alla preziosa fluidità dello schema compositivo. Particolarmente interessante l'affermazione di Amaury-Duval, che riconobbe l'essenza "orientale" della figurazione non nel soggetto e negli attributi della donna, bensì nella resa pittorica, giocata su zone di colore quasi piatte, che anticiperebbero di oltre mezzo secolo la scoperta dell'arte giapponese da parte degli occidentali.

La suggestione derivata dallo studio di alcuni maestri italiani è indubbia (Ingres soggiornò a lungo in Italia, prevalentemente a Roma e a Firenze): per la torsione del corpo La grande Odalisca ricorda le figure del Giorno e della Notte di Michelangelo delle cappelle medicee di Firenze o la Venere di Urbino di Raffaello, e le interpretazioni che da tali opere derivarono altri artisti francesi che soggiornarono in Italia. Numerose repliche del soggetto, e anche della celeberrima testa (come quelle che si trovano ad Angers, Musée Turpin de Crissé, e a New York, Metropolitan Museum) testimoniano la fortuna di questo dipinto.

** Théodore Géricault - La zattera della Medusa - 1819 - Nel 1816 la fregata "Medusa" partita per una spedizione in Senegal con una flotta francese fece naufragio. Centoquarantanove persone furono abbandonate dal commodoro su una zattera con dei barili di vino come unico approvvigionamento. Dopo settimane alla deriva, solo quindici sopravvissuti furono portati in salvo dalla fregata "Argus" (cinque dei quali moriranno appena sbarcati a terra). La notizia del naufragio e del comportamento riprovevole del commodoro destò grande scalpore in Francia e in Europa e il Ministero della Marina fu posto sotto accusa.

Tre anni dopo Géricault decise di dipingere un quadro sulla tragedia e scelse di raffigurare il momento dell'avvistamento dell'"Argus". Per realizzare il dipinto intervistò a lungo i sopravvissuti e affittò un atelier di fronte all'ospedale Beaujon per studiare l'anatomia dei moribondi. La grande tela, caratterizzata dalla forte drammaticità, dal realismo della rappresentazione e dalla fisica plasticità sprigionata dai corpi in movimento, era considerata da Géricault il suo unico dipinto compiuto.

Il quadro, uno dei più famosi del pittore, fu esposto al Salon del 1819 ed ebbe un enorme successo. Géricault ottenne la medaglia d'oro ma il dipinto non fu acquistato. Il pittore decise allora di mostrarlo in Inghilterra: fu esposto a Londra (12 giugno - 31 dicembre 1820) e a Dublino (5 febbraio - 31 marzo 1821). Géricault intascò 20.000 franchi, l'equivalente di un terzo del ricavato dalla vendita dei biglietti.

Alla morte del pittore il quadro fu venduto a un amico che lo cedette allo Stato francese.

** Jean-Baptiste-Camille Corot - Ricordo di Mortefontaine - 1864 - Presentato al Salon des Artistes Francais del 1864, il dipinto fu accolto con entusiasmo. Anche i critici più severi del pittore individuano in questa tela uno dei suoi capolavori: "delizioso ... con la bruma mattutina che accarezza un lago. Grandi alberi disegnano trine nell'atmosfera argentea. Sulla riva, tre fanciulle si divertono con i rami di un frassino elegante. Corot è incomparabile nel suscitare immagini poetiche con quasi nulla. Poche pennellate, ma l'impressione è là, e l'artista la comunica allo spettatore" (Thoré-Burger).

Acquistato da Napoleone III per 3000 franchi e trasferito nel castello di Fontainebleau, il quadro fu sottratto alla vista dei visita­tori fino al 1889, data che segna il suo ingresso al Louvre.

Piccolo villaggio a nord-est di Parigi, Mortefontaine è prossimo a Chantilly ed è noto dalla fine del Settecento per il parco all'inglese e i laghetti artificiali, che vennero notevolmente abbelliti da Giuseppe Bonaparte, divenutone proprietario nel 1798. Nei primi dell'Ottocento il sito venne scelto per diverse feste nuziali dei fratelli di Napoleone Bonaparte, nonché per la firma di contratti e trattati. Dopo un lungo periodo di declino venne rinnovato nel 1862, quando il duca di Gramont costruì il nuovo castello nel grand parc. 

Dopo il 1850 Corot dipinse almeno quattro vedute di Mortefontaine, ma questa tela, che pur rievoca i grandi specchi d'acqua del parco francese, sembra ispirata piuttosto a laghi italiani, come quelli di Garda e di Nemi, che il pittore parigino visitò personalmente durante i suoi tre soggiorni di studio nella penisola (1825-1828, 1834 e 1843). 

La natura e la luce intensa del nostro paese sollevarono i suoi primi tormenti creativi: "questo sole spande una luce che mi fa disperare. Sento tutta l'impotenza della mia tavolozza. Consola il tuo povero amico, che è assai afflitto nel vedere la propria pittura così miserabile, così triste a confronto della natura smagliante che ha davanti agli occhi".

** Eugène Delacroix - Morte di Sardanapalo - 1827 - Il dipinto venne esposto nel 1827-1828 al Salon des Artistes Francais, e descritto minuziosamente nel catalogo: "I rivoltosi lo assediano nel suo palazzo. ... Adagiato su di un magnifico letto, sulla sommità di un rogo, Sardanapalo ordina agli eunuchi e ai funzionari della reggia di sgozzare le donne, i paggi e persino i cavalli e i cani: nulla di quanto aveva servito ai suoi piaceri doveva sopravvivergli. ... Aischeh, la donna bactriana, non sopportando che uno schiavo le dia la morte, si impicca alle colonne reggenti la volta". 

L'esposizione della tela al Salon suscitò quasi esclusivamente delle critiche, che si concentrarono in particolare sulle "negligenze del disegno", gli "errori" prospettici, l'indeterminatezza dello spazio, e la "confusione" espressa nel primo piano. Proprio con tali accorgimenti l'autore ruppe con le convenzioni accademiche del tempo. Lo scrittore Victor Hugo, invece, definì l'opera "una cosa magnifica". Il dipinto entrò nelle collezioni del Louvre nel 1921.

Nessuna allusione a questo soggetto è riscontrabile nel Diario che l'artista cominciò nel settembre del 1822, interruppe due anni più tardi e riprese dal 1847 fino alla morte (1863). Sebbene non sia ancora chiara la derivazione tematica del dipinto, è possibile ipotizzare che la tragedia del Sardanapalo di Byron (1821) possa averne fornito lo spunto. L'autore potrebbe anche essersi ispirato a un episodio della guerra d'Indipendenza tra i greci e i turchi: i difensori di Missolungi, che non resistettero al terzo assedio dell'armata e della flotta turca, si fecero uccidere con le loro mogli e i loro figli. Tuttavia, né la tragedia di Byron, né le fonti greche, come Diodoro Siculo, possono essere ritenuti l'ispirazione certa di questa tela.

** Eugène Delacroix - La Libertà guida il popolo - 1830 - Il dipinto fu acquistato nel 1831 al Salon des Artistes Francais da Luigi Filippo che lo destinò al Museo Reale, allora collocato nel Palais du Luxembourg. Le tela venne esposta soltanto per alcuni mesi, poiché si ritenne che in un'epoca di turbamenti politici potesse incoraggiare le sommosse civili. Dopo svariate peripezie venne mostrata, con il permesso dell'imperatore, all'esposizione universale del 1855, e in seguito ricollocata al Musée du Luxembourg, dove restò fino al novembre del 1874, anno in cui giunse al Louvre.

In una lettera inviata il 18 ottobre 1830 al fratello, il generale Charles-Henri Delacroix, l'autore affermava riferendosi al dipinto: "Ho cominciato a lavorare su un soggetto moderno, una barricata ... e, se non ho vinto per la patria, almeno dipingerò per essa ... ", confermando la testimonianza di Alexandre Dumas secondo la quale l'adesione del pittore ai moti parigini fu sentimentale più che attiva. Gli articoli apparsi durante l'esposizione al Salon furono elogiativi.

Alcuni critici si interrogarono sull'identificazione dell'uomo con il cilindro, nel quale taluni riconobbero lo stesso Eugène Delacroix, mentre altri pensarono di individuarvi Fréderic Villot, amico dell'autore e futuro conservatore delle pitture del Louvre. 

Una donna, allegoria della Libertà, avanza con impeto e veemenza sulla barricata. Impugna un fucile e il tricolore della patria, indossa il berretto frigio dei giacobini, il movimento le fa scivolare la veste, che le scopre il petto. È preceduta da un ragazzo con il tamburino e la pistola, individuato con il giovane coraggioso che, nel 1830, sfondò la barriera sul ponte delle Senna verso il Municipio e perì durante l'impresa. In lui alcuni critici riconobbero il modello ideale del piccolo Gavroche, che Victor Hugo avrebbe creato trent'anni più tardi nei Miserabili.

Pag. 10 Pag. 12