Buscemi (Borgo)
(Siracusa)
  
  

   

Buscemi è situato nella parte centrale dei Monti Iblei, fra il rilievo di contrada Contessa ed il fiume Anapo ed è circondato dai luoghi storici dell'antica Akrai, di Casmene e dalla Necropoli di Pantalica. I comuni più vicini da raggiungere sono Buccheri e Palazzolo Acreide che distano entrambi meno di dieci chilometri.

Al tempo del dominio Saraceno il suo nome era Abisama. Conquistata la Sicilia dai Normanni, il Conte Ruggiero concesse la contea di Buscemi a suo figlio Goffredo. Più tardi l’Imperatore Federico II, lo Svevo, ne investì la famiglia Calvello, poi il Re Carlo II d’Angiò, la famiglia Cattaneo e infine la casa regnante d’Aragona la conferì alla casa Ventimiglia (1370). Nel sec. XV, per un matrimonio, Buscemi passò alla famiglia Requesens. I Requisenz, Conti di Buscemi e Principi di Pantelleria, fecero riedificare nel sec.XVI, sulle rovine di una “rocca” Araba, il Castello posto sull’altipiano all’ingresso sud del paese.

L’intera fortificazione fu distrutta a seguito del catastrofico terremoto del 1693 e subito ricostruita seppur in superficie ridotta. Nel secolo XVIII fu adibito a Convento dai Padri Minori Osservanti di S. Francesco e, abbandonato da questi nel secolo XIX venne destinato a Cimitero. Oggi rimangono in piedi alcune pareti della robusta muratura realizzata con la pietra bianca locale, squadrata nelle strutture di definizione muraria e grossolana in tutto il resto dell’edificio. Dell’originaria fortificazione rimane ben poco a causa dei terremoti, dell’incuria e delle modificazioni d’uso. Ben più antiche sono le origini di Buscemi, risalenti alla prima età del Bronzo, lo testimoniano l materiali rinvenuti all’interno di grotta Masella (toponimo della contrada) dal Prof. Luigi Bernabò Brea, costituiti da ceramica monocroma rossa dello stile di Diana e degli oggettini di osso, identificati come idoletti. Un’altra testimonianza, della tarda età del Bronzo, sono le capanne scoperte dall’archeologo Paolo Orsi sulla spianata di Monte Casale (…punto ove sembra s’incontri la vita e la civiltà preistorica e storica delle genti isolane, un luogo di urto e di incontro di Siculi e Greci).

Nella seconda metà del VII secolo A.C. su Monte Casale sorse Casmene città militare colonia di Siracusa che nel 553 A.C. combatté con Siracusa contro Kamarina e le tribù dei Siculi. Casmene viene considerata dall’attuale archeologia come uno dei migliori esempi di città fortificata costruita ex novo con presumibilmente un numero di abitanti preordinato, circa 7.500 unità, il suo carattere di colonia militare è supportato anche dal rinvenimento di una stipe votiva contenente centinaia di armi e che forse allude ad un culto per una divinità guerriera che si svolgeva nel vicino ed unico tempio dall’ allungatissima cella. La città pare sia stata definitivamente abbandonata intorno al IV secolo A.C. ed alcuni dei suoi abitanti si spostarono sull’attuale monte San Nicolò dove l’Orsi ebbe a scoprire oltre ad alcune tombe greche a fossa, un santuario dedicato a Demeter e Kore.Dal II secolo d.c. al X secolo si hanno scarse notizie, fino appunto al tempo del dominio Saraceno.

L’attuale Buscemi fu riedificata subito dopo il tremendo sisma del 1693 sulle ceneri della precedente, (sviluppandosi solamente un po’ più a nord) in chiaro stile Barocco, vedi le monumentali chiese ancora oggi svettanti nell’armoniosa visione del paesaggio. La Patrona di Buscemi è la Madonna del Bosco, i festeggiamenti in suo onore ricorrono l’ultima domenica di Agosto.

Visitare il borgo

Il piccolo borgo di Buscemi è un luogo dove bisogna andare in quei momenti in cui si ha bisogno di un’autentica sosta, lontano dai ritmi frenetici della vita quotidiana.

Buscemi accoglie il visitatore con il silenzio della natura circostante, interrotto solo dallo suono dolce dell’acqua che sgorga dall’antica e gradevole fonte all’ingresso del paese. Qui, sfuggendo alle calde giornate estive, è piacevole fermarsi per rinfrescarsi e ammirare il panorama che, oltre i ruderi dell’antico castello medioevale che domina la vallata, spazia fino a scorgere in lontananza la città di Ragusa. Da qui si comprende la grande importanza strategica e militare che Buscemi possedeva in passato attraverso l’ottima visuale sulla Valle del fiume Anapo e sull’altopiano degli Iblei.

Non è un caso che Buscemi sia conosciuto come paese museo: è dotato di un fascino d’altri tempi e di suggestioni ancora ben preservate, incastonato com’è tra i Monti Iblei, su un colle a dominare la splendida valle dell’Anapo dove non mancano le testimonianze delle civiltà del passato. Si tratta infatti di un piccolo gioiello agricolo, fondato dai Saraceni, che fu feudo normanno durante il periodo medievale e che venne ricostruito seguendo lo stile dell’arte barocca dopo il terremoto del 1693.

All’interno del suo centro storico conserva antiche strutture abitative e di lavoro che sono diventate un museo grazie all’itinerario etno-antropologico che porta i visitatori a scoprire i luoghi del lavoro contadino grazie ad un progetto di recupero iniziato nel 1988, quando alcuni giovani del posto hanno avuto questa brillante iniziativa per preservare le radici del territorio. Il percorso comprende il Centro di documentazione della vita popolare iblea, i laboratori didattici e nove unità museali in cui sono riprodotti gli ambienti dell’epoca con arredi, attrezzi ed abiti originali.

Ecco dunque sfilare, una dopo l’altra, meraviglie come la casa del massaro, il palmento dove avveniva la pigiatura dell’uva, la bottega del fabbro, la casa del bracciante, la bottega del falegname, la bottega del calderaio, il frantoio (dove Gabriele Lavia ha ambientato le scende del film La Lupa), la bottega del calzolaio e del conciabrocche e il mulino ad acqua Santa Lucia, che si trova nella Valle dei Mulini nel territorio di Palazzolo Acreide, che dista pochi chilometri. Il museo è una struttura privata, cresciuta con attività di volontariato, che intende riproporre la cultura popolare buscemese con finalità didattiche e di sviluppo sociale. La “putia ro firraru" è collocata in una grotta artificiale dove si trova l'anziano fabbro e i suoi attrezzi tipici come forgia, incudine, attrezzi per modellare.

La "casa ro massaru” è la tipica abitazione del piccolo possidente della zona, espressione del ceto medio del mondo contadino della Sicilia orientale. L'interno comprende quattro vani: l'ingresso, la cucina dove è conservato un focolare in pietra (la tannura), la stanza della tessitura (stanza ro tilaru) dove è possibile assistere al ciclo di lavorazione al telaio e la camera da letto con il grande letto matrimoniale e una particolarissima culla appesa al soffitto (la naca), gli abiti ed il corredo portato in dote dalla sposa.

Nel quartiere più suggestivo di Buscemi si trova la casa del bracciante, "ro iurnataru", dove in un locale di pochi metri quadrati vivevano fino a sei persone, mentre la ”putia ro falignami” riguarda l’ambiente che contiene i tradizionali attrezzi di lavoro del falegname. 

Oltre a queste straordinarie testimonianze della vita iblea Buscemi custodisce anche diversi tesori del barocco siciliano, tra cui la Chiesa Madre che si innalza al termine del corso principale, Corso Vittorio Emanuele, ed è preceduta da una scenografica scalinata.

Dedicata alla Natività della Vergine raffigurata sulla tela di autore ignoto che campeggia al centro del monumentale altare maggiore, la chiesa si presenta con una tra le più belle ed armoniose facciate del territorio, sviluppata su tre ordini di cui l’ultimo ha anche la funzione di cella campanaria sormontata da una croce con raggiera in ferro ed arricchita da diversi festoni di fiori e frutti e fregi filiformi che ne segnano il passaggio tra un ordine e l’altro. Sopra la grande finestra centrale si nota uno scudo scolpito con l’immagine di Maria in fasce. Neanche l’interno lascia delusi, con monumentali colonne in pietra a sorreggere imponenti capitelli in stile composito. Ai lati delle navate i settecenteschi altari in pietra intagliati e decorati nelle forme barocche e diverse opere d’arte.

Particolarmente interessanti anche l’ex chiesa di San Giacomo a pianta ellittica e dalla facciata convessa, oggi comprendente l’attuale aula consiliare, la biblioteca  e i locali che ospitano gli uffici del Comune, e quella dedicata a Sant’Antonio da Padova, ornata all’interno da decorazioni barocche che una volta erano in oro zecchino. 

Buscemi, tra leggenda e religione - L’ultima domenica di agosto la città si veste a festa per le celebrazioni della Maria Santissima del Bosco, patrona della città dal 1919. La devozione alla Madonna del Bosco è legata ad una leggenda che racconta del ritrovamento di un dipinto raffigurante la Vergine che tiene il Bambin Gesù sul ginocchi destro mentre sulla mano sinistra il globo. Furono due misteriosi frati a ritrovare quella immagine, presentandosi un giorno in paese per chiedere degli attrezzi in quanto volevano aprire un varco nel bosco per scovare qualcosa di straordinario. E infatti, nel luogo del miracoloso ritrovamento del quadro, fecero sgorgare l’acqua per consentire agli abitanti di costruire un santuario, distrutto però dal terremoto del 1693. Solo l’affresco rimase intatto, e fu cosi che l’edificio venne ricostruito proclamando la Santa Vergine patrona della città con il nome di Madonna del Bosco. Ancora oggi è meta di pellegrinaggio soprattutto durante le celebrazioni, quando i fedeli partono dalle proprie abitazioni per recarsi a pregare la Madonna sul posto.

Chiesa della Natività di Maria Santissima

La chiesa intitolata alla Natività di Maria SS. è la chiesa madre del paese e sicuramente una fra le più belle e armoniose del territorio ibleo. La progettazione del prospetto a tre ordini, di chiaro stampo barocco, è stata attribuita a Francesco Maria Sortino che la completò nel 1769, come si evince dalla chiave di volta del grande campanile.

Le statue che coronano esternamente il primo ordine (due angeli) e il secondo (a sinistra San Pietro, a destra San Paolo) sono piuttosto rozze e di gusto popolaresco, avvolte da mantelli rigidi e pesanti, caratterizzate da una gestualità bloccata e da un’espressione impacciata. La decorazione floreale sui fregi, sulla zona centrale e sulle volute è di fattura elegante, altrettanto apprezzabili sono gli armoniosi capitelli. L’ampia finestra centrale è sovrastata dal bassorilievo della Madonna in fasce che suggella la dedica della chiesa alla Natività di Maria Santissima.

L’alternanza di colonne rettilinee e circolari, prominenti e incassate, favorisce un mirabile effetto di chiaroscuro. Il portone centrale è caratterizzato da un arco ribassato fiancheggiato da due bassorilievi raffiguranti le teste di un uomo e di una donna, probabilmente i principi Requisenz che patrocinarono la ricostruzione.

L’interno a pianta basilicale, articolato in tre navate delimitate da colonne e paraste in stile corinzio, conserva pregiate opere pittoriche e scultoree che risalgono perlopiù ai secoli XVII e XVIII. È possibile ammirare un antico fonte battesimale datato 1558 e una teca di vetro con all'interno il corpo imbalsamato di San Pio Martire e un’ampolla di vetro contenente il Suo sangue, donato nel 1762 da Clemente XIII per proteggere i buscemesi dai terribili eventi sismici della zona; venne prelevato dalle Catacombe di San Callisto di Roma (in realtà presso la Pontificia Congregazione non c’è alcuna attestazione riguardante questo santo per cui si ritiene probabile che Pio non fosse il vero nome del martire ma un attributo dovuto alla sua santità). Oggi conserva la tela "L'Adorazione dei Magi", opera di Mario Minniti originariamente custodita nella chiesa di San Sebastiano Martire.  

Chiesa di San Giacomo

In alcuni documenti dell’epoca risulta che la chiesa venne edificata nel 1610 ad opera dei capimastri Marco de Farioro e Antonino Calcararo, secondo il progetto di mastro Pietro Costantino.

Ha un’originale facciata convessa di ispirazione neoclassica, ma in essa possiamo trovare una mescolanza di gusto barocco e neoclassico.

Nel secondo ordine trova posto un antico orologio, che da secoli scandisce il tempo con i suoi rintocchi, il quale è stato aggiunto o sostituito in un secondo momento.

L’interno è caratterizzato di un grande ambiente ovoidale e un’abside quadrata, armonizzati da una serie di archi e finestre. la cui pianta è ellittica con atrio ovale e abside rettangolare. nel quale si trova la rappresentazione lapidea dello Spirito Santo, originale titolare della chiesa.

Dopo l'unità d'Italia fu tra i beni ecclesiastici acquisiti al demanio comunale, per questo oggi sconsacrata.

La chiesa è stata restaurata e oggi fa parte del complesso municipale, venendo per tanto utilizzata come sala conferenze, iniziative culturali e mostre ed sede dell’aula consiliare e della biblioteca comunale. 

Chiesa di Sant'Antonio da Padova

La chiesa di Sant'Antonio di Padova, impropriamente chiamata "Sant'Antonino", ha origini molto antiche, sicuramente prima del 1586 quando venne commissionato un organo a don Stefano Raniolo di Ragusa; venne ricostruita, dopo il catastrofico terremoto del 1693, sempre qui, nello stesso luogo. Ricostruita in stile baroccheggiante sui ruderi del precedente edificio medievale già dal 1708, progettata dall'architetto Nunzio De Caro e portata a compimento dai capomastri Costantino Cultrara da Ragusa e Carmelo Ierna nel 1765. Pare che la facciata dovesse essere a tre ordini, ma ne fu ricostruito solo il primo (per mancanza di soldi).

L'interno presenta splendide decorazioni barocche formate da merlature e ghirlande geometriche scolpite a bassorilievo e decorate con superbi stucchi policromi di scuola serpottiana (dal maestro Serpotta, abile stuccatore del settecento), i quali un tempo rivestiti tutti in oro zecchino. Da ammirare gli altari votivi decorati con ornamenti barocchi (colonne corinzie, timpani merlettati ecc.) recanti importanti opere d'arte del tempo; in uno di essi vi è la statua della "Madonna Addolorata" datata 1732, opera dello scultore catanese Filippo Quattrocchi.

Di particolare interesse è una tela delle dimensioni dell'intera navata centrale, che viene esposta nel periodo pasquale, raffigurante "La Via Crucis", opera del pittore ragusano Pietro Quintavalle della metà del '800; di pregevole fattura anche l'antico organo settecentesco, opera dell'organaro "Donato Del Piano", fresco di restauro ed attualmente in funzione, il Putridarium, e alcune tombe di componenti della famiglia Requesenz: questa infatti la chiesa votiva dell'omonima famiglia.  

Chiesa di San Sebastiano Martire

Secondo la voce popolare, la più bella chiesa di Buscemi: era la più ricca di tutte le chiese. Dai racconti degli anziani, era una chiesa frequentata da nobili e aristocratici perlopiù, e anch'essa fu rasa al suolo in seguito al terremoto del 1693 e ricostruita completamente; si ha notizia di un’antica confraternita di San Sebastiano, diretta da un certo don Giovanni Requisenz, che si occupava di amministrare i beni della chiesa e che governò anche la ricostruzione post-terremoto.

Venne ricostruita nello stesso luogo ma per cause sconosciute si ebbe un secondo crollo della facciata; i lavori di ricostruzione ebbero tempi lunghissimi, forse a causa di ridotte disponibilità economiche, per questo completata solo nel 1906. Si trova inserita al centro del paese allineata con la chiesa di San Giacomo e rialzata per ottenere un effetto di slancio. Il terrazzino antestante è chiuso da un cancello in ferro battuto guardato da due leoni in pietra.

Al suo interno si conservavano una statua del Cristo alla Colonna, la statua della Madonna d'Itria (ovvero Odigitria), prima Patrona di Buscemi, un Bambinello di cera (oggi in Chiesa Madre), San Giuseppe (oggi a Sant'Antonio), una tela di lodevole fattura artistica raffigurante "Il Martirio di Sebastiano" di autore ignoto, e la più importante, "L'Adorazione dei Magi", un olio su tela (243cm x 196cm) realizzato tra il 1624 e il 1625 durante il suo periodo siracusano da Mario Minniti, amico, collaboratore, modello (soggetto del famosissimo "Fanciullo con canestro di Frutta") e amante del pittore più discusso di tutti i tempi: Caravaggio. L’opera, salvata dalle macerie del terremoto del 1693, presenta tratti cromatici, gestualità e scorci, rintracciabili in altre opere realizzate con certezza dal pittore caravaggesco. Le due tele si trovano oggi in Chiesa Madre. La chiesa è attualmente in restauro.  

Chiesa del Carmine

Chiamata un tempo chiesa di Santa Maria Annunziata, con l’annesso convento di S. Domenico, è una delle chiese più antiche del paese. Si ha notizia che i lavori di costruzione dell’interno della chiesa partirono nel 1572 ad opera del capomastro Antonino Costantino, e 30 anni dopo, nel 1602, venne collocata la campana e realizzata la cappella del SS. Crocifisso. Presenta una facciata semplice, essenziale e incompleta, che ricorda quasi lo stile romanico, e l'interno è costituito da un'unica navata.

All'interno, un’antica statua lignea del Crocifisso il quale, Protettore di Buscemi viene festeggiato ogni prima domenica di Maggio, così da collegarsi con la festa dell'Esaltazione della Croce, la quale si teneva il 3 maggio, data del ritrovamento della Croce secondo la "leggenda di Giuda Ciriaco". La festa del 3 maggio, con l'avvento del Concilio Vaticano II, è stata spostata alla data originale, ovvero il 14 settembre, in ricordo del ritrovamento della vera croce di Gesù da parte di sant'Elena, avvenuto, secondo una tradizione, il 14 settembre del 327: in quel giorno la reliquia sarebbe stata innalzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all'adorazione del Crocefisso. Questa è la festa con origine più antica del paese.

La chiesa conserva una annunciazione marmorea di scuola Gaginiana, delle tele di Paolo Tanasi e un’antica tela con l’effige della Madonna del Bosco, simile all’antico affresco custodito nel Santuario. Posta nella parte più bassa del paese, è annessa al monastero.

Con l'eversione dell'asse ecclesiastico (Regio Decreto 7 luglio 1866, n. 3036 di soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose, e la Legge 15 agosto 1867, n. 3848 che dispose la confisca dei beni immobili agrari accumulati nel corso dei secoli dagli enti religiosi), a partire dal 23/07/1866, data dell'entrata in vigore del provvedimento, il monastero delle Carmelitane dell'Annunziata e la chiesa sono stati soppressi. La chiesa è passata al Fondo Edifici di Culto (FEC), istituito con Legge 20 maggio 1985, n. 222, articolo 55.

Chiesa Rupestre di Santo Pietro

Rappresenta uno dei pochi monumenti bizantini presenti della Sicilia orientale. Paolo Orsi lo esplorò e descrisse nel 1899. Si trova a quattro chilometri da Buscemi nel vallone denominato Cava di Santa Rosalia. Nel 1855 Vito Amico annota la presenza di "molte sacre immagini in greco stile" e un'antichissima immagine di San Marco oltre a quella recentemente individuata come quella di Santa Sofia.

Di queste immagini oggi sono rimaste pochissime tracce. La chiesa è costituita da un vano rettangolare sorretto da quattro grossi pilastri, ricavati dalla roccia, di cui i primi due sagomati, nella parte superiore, a forma di capitello di ispirazione dorica. Il vano per la celebrazione dei riti religiosi è ricavato sul lato destro, rialzato da due gradini, con un altare e una cattedra ricavati sempre dalla viva roccia.

Santuario della Madonna del Bosco

Ricostruita dopo il terremoto nello stesso luogo, si tratta dell'unica chiesa esterna al paese rimasta dopo il sisma.

La chiesa costituita solo da una navata possiede all'interno l'affresco della Madonna del Bosco, che vuole la leggenda fosse stato rinvenuto miracolosamente da due frati sordo muti. Nel 1693 tutto crollò, ma per volontà divina, l'icona sacra si salvò grazie all'incrocio di due travi proprio sopra di essa.

L'attuale santuario è costituito da un'unica navata con lesene con capitello ionico che sorreggono una sottile trabeazione; recente è il restauro, avviato dal parroco, che ha illuminato la volta a botte e la piccola cupola della chiesa con sottili cornici e qualche ghirigoro dorato.

All'interno del santuario è presente una statua della Madonna del Bosco, ricreata su base dell'affresco prima dell'ultimo restauro, della fine del XVIII secolo; il 18 maggio 1919 Ella venne incoronata Patrona di Buscemi e da quel momento sono tante le azioni che hanno fatto gridare al miracolo credenti e non.

L'ultima domenica di agosto si svolge la suggestiva festa in Suo onore; nel 2019, per il centenario a Patrona di Buscemi, il simulacro è stato restaurato e portato al suo antico splendore.  

Affresco della Madonna del Bosco - Leggenda narra che un giorno due frati sordomuti, intenti nel farsi capire, si presentarono al popolo buscemese, il quale però inizialmente non riusciva a comprendere ciò che i due cercavano di dire; ecco che tra gesti e suoni gutturali, convinsero i buscemesi, muniti di ovvi attrezzi, a inoltrarsi nella foresta. 

Percorso un modesto tratto di folta vegetazione, ecco che arrivarono a un piccolo muretto illuminato da una luce, ove si trovava quella che oggi è l'icona simbolo del paese: la Madonna del Bosco. 

Il popolo buscemese, incredulo ed emozionato, decise di erigere un Santuario in onore di Ella, ma vi era il problema della mancanza di acqua nelle vicinanze: problema risolto dai due frati che a qualche metro dall'icona scavarono due fosse e fecero sgorgare una sorgente d'acqua limpidissima (per molti fedeli miracolosa). Nel procinto di ringraziare i due protagonisti per i due miracoli compiuti, i lì presenti si stupirono del fatto che i due frati erano scomparsi.

L'immagine venuta fuori dopo l'ultimo intervento di restauro all'affresco è di chiara matrice cinquecentesca e come stile e colori ricorda gli affreschi della Basilica Superiore di Assisi realizzati da Cimabue e Giotto nel '300. L'icona vede la Madonna sorridente che tiene il Figlio sulla gamba destra, mentre nella Sua mano sinistra è possibile notare un melograno, simbolo di fertilità, che prima era un piccolo globo. Purtroppo il tempo ha distrutto alcune parti del dipinto originale.

Ruderi del castello della famiglia Requisenz e del convento dei Cappuccini

Di probabile fondazione araba, si erge sulla sommità del colle denominato Monte dal quale si domina uno stupendo paesaggio della valle dell'Anapo, affiancato dai ruderi del convento di San Francesco, costruito dopo il terremoto del 1693 e che attualmente vengono denominati genericamente come castello o in dialetto buscemese "casteddu".

Situato in posizione elevata, su una collinetta, garantiva nel Trecento il controllo del territorio circostante. Dopo il terremoto del 1693 il castello venne trasformato in un convento di Capuccini, abbandonato nel corso del  secolo XIX e destinato per un breve periodo a cimitero.

L’impianto originario aveva probabilmente pianta poligonale ed era munito di torri: oggi, i ruderi visibile di pietra bianca locale sono immersi in un’incolta vegetazione ma si può scorgere il concio di chiave di un portale in cui è scolpito lo scudo araldico del casato Ventimiglia – Requisenz. I dintorni di Buscemi sono ideale per chi è appassionato di archeologia: sul Monte Casale di trova il sito dell’antica Kasmene la colonia greca fondata nel 644 a.C. dai siracusani, dove si possono ammirare i resti del tempio, di abitazioni e la necropoli.

Tempio Greco di costa dell’Oro

Nel mese di Novembre del 1899, il giovane archeologo di Rovereto Paolo Orsi, Soprintendente di Siracusa, scoprì in Sicilia Orientale nel territorio di Buscemi, delle misteriose grotte interamente decorate da iscrizioni. Grotte panoramicamente adagiate tra scoscesi dirupi di rimpetto all’antica città greca di Akrai. 

Del Tempio rimangono oggi in loco alcune labili testimonianze, il pianoro su cui si aprivano gli ingressi delle camere ed alcuni angusti cunicoli di accesso che ospitano conigli selvatici ed istrici. Alcuni lastroni calcarei dello sperone di roccia soprastante sono scivolati uno sull’altro chiudendo come una tendina ogni possibile accesso al luogo di culto, risulta altamente rischioso ogni lavoro per riportare alla luce il Tempio. 

In questo luogo si celebrava l’antico culto di Anna Sicula (Dea Madre). Nei terrazzamenti sottostanti sono stati ritrovati numerosi blocchi squadrati e decorati, e risultano perfettamente visibili le fondamenta del muro ipotizzato dall’Orsi. L’analisi degli antichi scritti, rivelo la natura sacra del luogo, alcune citazioni risalivano con certezza al periodo Romano Imperiale. La visita al tempio sconsigliata e pericolosa a causa dei massi pericolanti. 

Casmene

Casmene o Kasmenai, impervia ed espugnabile, frutto ed espressione della potenza militare della grande Siracusa Greca. Città a lungo nascosta, ricercata e pur visibile, giace sorniona in cima al monte Casale protetta sotto uno strato di terra dai morsi del tempo. 

Tutto ebbe inizio circa ventisette secoli fa quando un giovane ragazzo, figlio secondogenito di una nobile famiglia di Corinto, della stirpe degli Eraclidi e Bacchiardi raggiunta la maturità, sentii il bisogno di staccarsi dalla propria terra e dalla propria famiglia. Spinto forse dalla mancanza di terre, già occupate presumibilmente dai fratelli, decise di andare in cerca di gloria e soprattutto di nuove colonie. Ricevette dal Padre alcune navi per il viaggio, opportuni armenti, ed un grappolo di intraprendenti e valorosi guerrieri.

Il nobile Archia, questo il nome, discendente secondo il mito direttamente da Ercole si stabilì insieme all'amico, il poeta Eumelo, e un manipolo di uomini nell’isola di Ortigia nel 734 a.C. fondando, sopra un primitivo agglomerato di capanne indigene, Sraka, la prima Siracusa Greca. 

Da questo momento sino alla riconquista di Siracusa da parte di Gelone tiranno di Gela nel 485 a.C., scarsissime sono le notizie certe in merito alle sorti della città e dei coloni. Si sa che in questo lasso di tempo i coloni consolidarono rapidamente il potere creando circa 70 anni dopo, tre nuove colonie nell'entroterra con l'intento di controllare da una parte i Siculi e gli indigeni, dall'altra tenere sotto controllo le altre colonie rivali. Nacquero Akrai, Kasmenai, Kamarina. 

Museo delle tradizioni popolari

L’itinerario etno-antropologico di Buscemi si articola per l’intero centro urbano, ed insinuandosi, tra le minute vie del quartiere medioevale, le numerose chiese e palazzi settecenteschi, guida ai locali domestici e di lavoro. I distinti ambienti intrinsecamente originali, testimoniano le condizioni di vita e di lavoro in cui gravitavano le molteplici realtà sociali, rappresentando un singolare modello reale e tangibile della trascorsa “Civiltà contadina Iblea”. 

Nello stesso sito, con gli stessi oggetti, nella stessa sistemazione di sempre, si suggerisce la funzionale vivacità dell’insieme. La diversa organizzazione e ampiezza dei due ambienti domestici denuncia la rilevante differenza tra la realtà relativamente agiata del “massaru” e la profonda precarietà del “iurnataru”, costretto a vivere del lavoro giornaliero. Luoghi di lavoro per eccellenza “Parmientu” e “Trappitu”, impiegavano numerosi operai con competenze specifiche, costituendo un preciso polo di riferimento economico.

Risultano perfettamente visibili delle nicchie votive uno splendido arco a sesto acuto interamente scavato nella viva roccia calcarea iblea cosi come un capitello e una struttura sedile deputata presumibilmente alla sistemazione dei fedeli. Il frantoio strutturalmente completo, e rigorosamente originale e funzionante in ogni sua parte.

Uno dei due dammusi antistanti la grotta ospita la macina, la prima delle due imponenti macchine che costituivano il frantoio.
Il mastru di pala gestiva il funzionamento di questultima avvalendosi della collaborazione di alcuni garzoni, e da una bestia da soma per fare girare la macina. Egli sincronizzava armonicamente la mescita delle olive sulla fonte da parte dei garzoni e conduceva personalmente il mulo. Il torchio rappresenta la seconda grande infrastruttura del frantoio. Le grandi viti di legno venivano strette manualmente da una serie di operai sotto il vigile controllo del mastru di cuonzu.

La grande pressione esercitata sulla pasta di oliva permetteva di separarne l'olio e l'acqua. Da buon artigiano, il “Firraru” forgiava gli attrezzi da lavoro dei contadini e fungeva anche da maniscalco ed esperto veterinario, la sua bottega rappresentava un importante centro di incontro per gli uomini.