Buscemi
è
situato
nella
parte
centrale
dei Monti
Iblei,
fra
il
rilievo
di
contrada
Contessa
ed
il
fiume Anapo ed
è
circondato
dai
luoghi
storici
dell'antica Akrai,
di Casmene e
dalla Necropoli
di
Pantalica.
I
comuni
più
vicini
da
raggiungere
sono Buccheri e Palazzolo
Acreide che
distano
entrambi
meno
di
dieci
chilometri.
Al
tempo
del
dominio
Saraceno
il
suo
nome
era
Abisama.
Conquistata
la
Sicilia
dai
Normanni,
il
Conte
Ruggiero
concesse
la
contea
di
Buscemi
a
suo
figlio
Goffredo.
Più
tardi
l’Imperatore
Federico
II,
lo
Svevo,
ne
investì
la
famiglia
Calvello,
poi
il
Re
Carlo
II
d’Angiò,
la
famiglia
Cattaneo
e
infine
la
casa
regnante
d’Aragona
la
conferì
alla
casa
Ventimiglia
(1370).
Nel
sec.
XV,
per
un
matrimonio,
Buscemi
passò
alla
famiglia
Requesens.
I
Requisenz,
Conti
di
Buscemi
e
Principi
di
Pantelleria,
fecero
riedificare
nel
sec.XVI,
sulle
rovine
di
una
“rocca”
Araba,
il
Castello
posto
sull’altipiano
all’ingresso
sud
del
paese.
L’intera
fortificazione
fu
distrutta
a
seguito
del
catastrofico
terremoto
del
1693
e
subito
ricostruita
seppur
in
superficie
ridotta.
Nel
secolo
XVIII
fu
adibito
a
Convento
dai
Padri
Minori
Osservanti
di
S.
Francesco
e,
abbandonato
da
questi
nel
secolo
XIX
venne
destinato
a
Cimitero.
Oggi
rimangono
in
piedi
alcune
pareti
della
robusta
muratura
realizzata
con
la
pietra
bianca
locale,
squadrata
nelle
strutture
di
definizione
muraria
e
grossolana
in
tutto
il
resto
dell’edificio.
Dell’originaria
fortificazione
rimane
ben
poco
a
causa
dei
terremoti,
dell’incuria
e
delle
modificazioni
d’uso.
Ben
più
antiche
sono
le
origini
di
Buscemi,
risalenti
alla
prima
età
del
Bronzo,
lo
testimoniano
l
materiali
rinvenuti
all’interno
di
grotta
Masella
(toponimo
della
contrada)
dal
Prof.
Luigi
Bernabò
Brea,
costituiti
da
ceramica
monocroma
rossa
dello
stile
di
Diana
e
degli
oggettini
di
osso,
identificati
come
idoletti.
Un’altra
testimonianza,
della
tarda
età
del
Bronzo,
sono
le
capanne
scoperte
dall’archeologo
Paolo
Orsi
sulla
spianata
di
Monte
Casale
(…punto
ove
sembra
s’incontri
la
vita
e
la
civiltà
preistorica
e
storica
delle
genti
isolane,
un
luogo
di
urto
e
di
incontro
di
Siculi
e
Greci).
Nella
seconda
metà
del
VII
secolo
A.C.
su
Monte
Casale
sorse
Casmene
città
militare
colonia
di
Siracusa
che
nel
553
A.C.
combatté
con
Siracusa
contro
Kamarina
e
le
tribù
dei
Siculi.
Casmene
viene
considerata
dall’attuale
archeologia
come
uno
dei
migliori
esempi
di
città
fortificata
costruita
ex
novo
con
presumibilmente
un
numero
di
abitanti
preordinato,
circa
7.500
unità,
il
suo
carattere
di
colonia
militare
è
supportato
anche
dal
rinvenimento
di
una
stipe
votiva
contenente
centinaia
di
armi
e
che
forse
allude
ad
un
culto
per
una
divinità
guerriera
che
si
svolgeva
nel
vicino
ed
unico
tempio
dall’
allungatissima
cella.
La
città
pare
sia
stata
definitivamente
abbandonata
intorno
al
IV
secolo
A.C.
ed
alcuni
dei
suoi
abitanti
si
spostarono
sull’attuale
monte
San
Nicolò
dove
l’Orsi
ebbe
a
scoprire
oltre
ad
alcune
tombe
greche
a
fossa,
un
santuario
dedicato
a
Demeter
e
Kore.Dal
II
secolo
d.c.
al
X
secolo
si
hanno
scarse
notizie,
fino
appunto
al
tempo
del
dominio
Saraceno.
L’attuale
Buscemi
fu
riedificata
subito
dopo
il
tremendo
sisma
del
1693
sulle
ceneri
della
precedente,
(sviluppandosi
solamente
un
po’
più
a
nord)
in
chiaro
stile
Barocco,
vedi
le
monumentali
chiese
ancora
oggi
svettanti
nell’armoniosa
visione
del
paesaggio.
La
Patrona
di
Buscemi
è
la
Madonna
del
Bosco,
i
festeggiamenti
in
suo
onore
ricorrono
l’ultima
domenica
di
Agosto.
Visitare
il
borgo

Il
piccolo
borgo
di
Buscemi
è
un
luogo
dove
bisogna
andare
in
quei
momenti
in
cui
si
ha
bisogno
di
un’autentica
sosta,
lontano
dai
ritmi
frenetici
della
vita
quotidiana.
Buscemi
accoglie
il
visitatore
con
il
silenzio
della
natura
circostante,
interrotto
solo
dallo
suono
dolce
dell’acqua
che
sgorga
dall’antica
e
gradevole
fonte
all’ingresso
del
paese.
Qui,
sfuggendo
alle
calde
giornate
estive,
è
piacevole
fermarsi
per
rinfrescarsi
e
ammirare
il
panorama
che,
oltre
i
ruderi
dell’antico
castello
medioevale
che
domina
la
vallata,
spazia
fino
a
scorgere
in
lontananza
la
città
di
Ragusa.
Da
qui
si
comprende
la
grande
importanza
strategica
e
militare
che
Buscemi
possedeva
in
passato
attraverso
l’ottima
visuale
sulla
Valle
del
fiume
Anapo
e
sull’altopiano
degli
Iblei.
Non
è
un
caso
che Buscemi
sia
conosciuto
come
paese
museo:
è
dotato
di
un
fascino
d’altri
tempi
e
di
suggestioni
ancora
ben
preservate,
incastonato
com’è
tra
i
Monti
Iblei,
su
un
colle
a
dominare
la
splendida
valle
dell’Anapo
dove
non
mancano
le
testimonianze
delle
civiltà
del
passato.
Si
tratta
infatti
di
un
piccolo
gioiello
agricolo,
fondato
dai
Saraceni,
che
fu
feudo
normanno
durante
il
periodo
medievale
e
che
venne
ricostruito
seguendo
lo
stile
dell’arte
barocca
dopo
il
terremoto
del
1693.
All’interno
del
suo
centro
storico
conserva
antiche
strutture
abitative
e
di
lavoro
che
sono
diventate
un
museo
grazie
all’itinerario
etno-antropologico che
porta
i
visitatori
a
scoprire
i
luoghi
del
lavoro
contadino
grazie
ad
un
progetto
di
recupero
iniziato
nel
1988,
quando
alcuni
giovani
del
posto
hanno
avuto
questa
brillante
iniziativa
per
preservare
le
radici
del
territorio.
Il
percorso
comprende
il
Centro
di
documentazione
della
vita
popolare
iblea,
i
laboratori
didattici
e
nove
unità
museali
in
cui
sono
riprodotti
gli
ambienti
dell’epoca
con
arredi,
attrezzi
ed
abiti
originali.
Ecco
dunque
sfilare, una
dopo
l’altra,
meraviglie come
la
casa
del
massaro,
il
palmento
dove
avveniva
la
pigiatura
dell’uva,
la
bottega
del
fabbro,
la
casa
del
bracciante,
la
bottega
del
falegname,
la
bottega
del
calderaio,
il
frantoio
(dove
Gabriele
Lavia
ha
ambientato
le
scende
del
film
La
Lupa),
la
bottega
del
calzolaio
e
del
conciabrocche
e
il
mulino
ad
acqua
Santa
Lucia,
che
si
trova
nella
Valle
dei
Mulini
nel
territorio
di
Palazzolo
Acreide,
che
dista
pochi
chilometri.
Il
museo
è
una
struttura
privata,
cresciuta
con
attività
di
volontariato,
che
intende
riproporre
la
cultura
popolare
buscemese
con
finalità
didattiche
e
di
sviluppo
sociale.
La
“putia
ro
firraru"
è
collocata
in
una
grotta
artificiale
dove
si
trova
l'anziano
fabbro
e
i
suoi
attrezzi
tipici
come
forgia,
incudine,
attrezzi
per
modellare.
La
"casa
ro
massaru”
è
la
tipica
abitazione
del
piccolo
possidente
della
zona,
espressione
del
ceto
medio
del
mondo
contadino
della
Sicilia
orientale.
L'interno
comprende
quattro
vani:
l'ingresso,
la
cucina
dove
è
conservato
un
focolare
in
pietra
(la
tannura),
la
stanza
della
tessitura
(stanza
ro
tilaru)
dove
è
possibile
assistere
al
ciclo
di
lavorazione
al
telaio
e
la
camera
da
letto
con
il
grande
letto
matrimoniale
e
una
particolarissima
culla
appesa
al
soffitto
(la
naca),
gli
abiti
ed
il
corredo
portato
in
dote
dalla
sposa.
Nel
quartiere
più
suggestivo
di
Buscemi
si
trova
la
casa
del
bracciante,
"ro
iurnataru",
dove
in
un
locale
di
pochi
metri
quadrati
vivevano
fino
a
sei
persone,
mentre
la
”putia
ro
falignami”
riguarda
l’ambiente
che
contiene
i
tradizionali
attrezzi
di
lavoro
del
falegname.
Oltre
a
queste
straordinarie
testimonianze
della
vita
iblea
Buscemi
custodisce
anche
diversi
tesori
del
barocco
siciliano,
tra
cui
la Chiesa
Madre che
si
innalza
al
termine
del
corso
principale,
Corso
Vittorio
Emanuele,
ed
è
preceduta
da
una
scenografica
scalinata.
Dedicata
alla
Natività
della
Vergine
raffigurata
sulla
tela
di
autore
ignoto
che
campeggia
al
centro
del
monumentale
altare
maggiore,
la
chiesa
si
presenta
con
una
tra
le
più
belle
ed
armoniose
facciate
del
territorio,
sviluppata
su
tre
ordini
di
cui
l’ultimo
ha
anche
la
funzione
di
cella
campanaria
sormontata
da
una
croce
con
raggiera
in
ferro
ed
arricchita
da
diversi
festoni
di
fiori
e
frutti
e
fregi
filiformi
che
ne
segnano
il
passaggio
tra
un
ordine
e
l’altro.
Sopra
la
grande
finestra
centrale
si
nota
uno
scudo
scolpito
con
l’immagine
di
Maria
in
fasce.
Neanche
l’interno
lascia
delusi,
con
monumentali
colonne
in
pietra
a
sorreggere
imponenti
capitelli
in
stile
composito.
Ai
lati
delle
navate
i
settecenteschi
altari
in
pietra
intagliati
e
decorati
nelle
forme
barocche
e
diverse
opere
d’arte.
Particolarmente
interessanti
anche
l’ex
chiesa
di
San
Giacomo a
pianta
ellittica
e
dalla
facciata
convessa,
oggi
comprendente
l’attuale
aula
consiliare,
la
biblioteca
e
i
locali
che
ospitano
gli
uffici
del
Comune,
e
quella
dedicata
a Sant’Antonio
da
Padova,
ornata
all’interno
da
decorazioni
barocche
che
una
volta
erano
in
oro
zecchino.
Buscemi,
tra
leggenda
e
religione
-
L’ultima
domenica
di
agosto la
città
si
veste
a
festa
per
le
celebrazioni
della Maria
Santissima
del
Bosco,
patrona
della
città
dal
1919.
La
devozione
alla
Madonna
del
Bosco
è
legata
ad
una
leggenda
che
racconta
del
ritrovamento
di
un
dipinto
raffigurante
la
Vergine
che
tiene
il
Bambin
Gesù
sul
ginocchi
destro
mentre
sulla
mano
sinistra
il
globo.
Furono
due
misteriosi
frati
a
ritrovare
quella
immagine,
presentandosi
un
giorno
in
paese
per
chiedere
degli
attrezzi
in
quanto
volevano
aprire
un
varco
nel
bosco
per
scovare
qualcosa
di
straordinario.
E
infatti,
nel
luogo
del
miracoloso
ritrovamento
del
quadro,
fecero
sgorgare
l’acqua
per
consentire
agli
abitanti
di
costruire
un
santuario,
distrutto
però
dal
terremoto
del
1693.
Solo
l’affresco
rimase
intatto,
e
fu
cosi
che
l’edificio
venne
ricostruito
proclamando
la
Santa
Vergine
patrona
della
città
con
il
nome
di
Madonna
del
Bosco.
Ancora
oggi
è
meta
di
pellegrinaggio
soprattutto
durante
le
celebrazioni,
quando
i
fedeli
partono
dalle
proprie
abitazioni
per
recarsi
a
pregare
la
Madonna
sul
posto.
Chiesa
della
Natività
di
Maria
Santissima

La
chiesa
intitolata
alla
Natività
di
Maria
SS.
è
la
chiesa
madre
del
paese
e
sicuramente
una
fra
le
più
belle
e
armoniose
del
territorio
ibleo.
La
progettazione
del
prospetto
a
tre
ordini,
di
chiaro
stampo
barocco,
è
stata
attribuita
a
Francesco
Maria
Sortino
che
la
completò
nel
1769,
come
si
evince
dalla
chiave
di
volta
del
grande
campanile.
Le
statue
che
coronano
esternamente
il
primo
ordine
(due
angeli)
e
il
secondo
(a
sinistra San
Pietro,
a
destra San
Paolo)
sono
piuttosto
rozze
e
di
gusto
popolaresco,
avvolte
da
mantelli
rigidi
e
pesanti,
caratterizzate
da
una
gestualità
bloccata
e
da
un’espressione
impacciata.
La
decorazione
floreale
sui
fregi,
sulla
zona
centrale
e
sulle
volute
è
di
fattura
elegante,
altrettanto
apprezzabili
sono
gli
armoniosi
capitelli.
L’ampia
finestra
centrale
è
sovrastata
dal
bassorilievo
della
Madonna
in
fasce
che
suggella
la
dedica
della
chiesa
alla
Natività
di
Maria
Santissima.
L’alternanza
di
colonne
rettilinee
e
circolari,
prominenti
e
incassate,
favorisce
un
mirabile
effetto
di
chiaroscuro.
Il
portone
centrale
è
caratterizzato
da
un
arco
ribassato
fiancheggiato
da
due
bassorilievi
raffiguranti
le
teste
di
un
uomo
e
di
una
donna,
probabilmente
i
principi Requisenz che
patrocinarono
la
ricostruzione.
L’interno
a
pianta
basilicale,
articolato
in
tre
navate
delimitate
da
colonne
e
paraste
in
stile
corinzio,
conserva
pregiate
opere
pittoriche
e
scultoree
che
risalgono
perlopiù
ai
secoli
XVII
e
XVIII.
È
possibile
ammirare
un
antico
fonte
battesimale
datato
1558
e
una
teca
di
vetro
con
all'interno
il
corpo
imbalsamato
di
San
Pio
Martire
e
un’ampolla
di
vetro
contenente
il
Suo
sangue,
donato
nel
1762
da Clemente
XIII per
proteggere
i
buscemesi
dai
terribili
eventi
sismici
della
zona;
venne
prelevato
dalle Catacombe
di
San
Callisto di Roma (in
realtà
presso
la
Pontificia
Congregazione
non
c’è
alcuna
attestazione
riguardante
questo
santo
per
cui
si
ritiene
probabile
che
Pio
non
fosse
il
vero
nome
del
martire
ma
un
attributo
dovuto
alla
sua
santità).
Oggi
conserva
la
tela "L'Adorazione
dei
Magi",
opera
di Mario
Minniti originariamente
custodita
nella
chiesa
di
San
Sebastiano
Martire.
Chiesa
di
San
Giacomo

In
alcuni
documenti
dell’epoca
risulta
che
la
chiesa
venne
edificata
nel
1610
ad
opera
dei
capimastri
Marco
de
Farioro
e
Antonino
Calcararo,
secondo
il
progetto
di
mastro
Pietro
Costantino.
Ha
un’originale
facciata
convessa
di
ispirazione
neoclassica,
ma
in
essa
possiamo
trovare
una
mescolanza
di
gusto
barocco
e
neoclassico.
Nel
secondo
ordine
trova
posto
un
antico
orologio,
che
da
secoli
scandisce
il
tempo
con
i
suoi
rintocchi,
il
quale
è
stato
aggiunto
o
sostituito
in
un
secondo
momento.
L’interno
è
caratterizzato
di
un
grande
ambiente
ovoidale
e
un’abside
quadrata,
armonizzati
da
una
serie
di
archi
e
finestre.
la
cui
pianta
è
ellittica
con
atrio
ovale
e
abside
rettangolare.
nel
quale
si
trova
la
rappresentazione
lapidea
dello
Spirito
Santo,
originale
titolare
della
chiesa.
Dopo
l'unità
d'Italia fu
tra
i
beni
ecclesiastici
acquisiti
al
demanio
comunale,
per
questo
oggi
sconsacrata.
La
chiesa
è
stata
restaurata
e
oggi
fa
parte
del
complesso
municipale,
venendo
per
tanto
utilizzata
come
sala
conferenze,
iniziative
culturali
e
mostre
ed
sede
dell’aula
consiliare
e
della
biblioteca
comunale.
Chiesa
di
Sant'Antonio
da
Padova
La
chiesa
di Sant'Antonio
di
Padova,
impropriamente
chiamata
"Sant'Antonino",
ha
origini
molto
antiche,
sicuramente
prima
del
1586
quando
venne
commissionato
un
organo
a
don
Stefano
Raniolo
di
Ragusa;
venne
ricostruita,
dopo
il
catastrofico
terremoto
del
1693,
sempre
qui,
nello
stesso
luogo.
Ricostruita
in
stile
baroccheggiante
sui
ruderi
del
precedente
edificio
medievale
già
dal
1708,
progettata
dall'architetto
Nunzio
De
Caro
e
portata
a
compimento
dai
capomastri
Costantino
Cultrara
da
Ragusa
e
Carmelo
Ierna
nel
1765.
Pare
che
la
facciata
dovesse
essere
a
tre
ordini,
ma
ne
fu
ricostruito
solo
il
primo
(per
mancanza
di
soldi).
L'interno
presenta
splendide
decorazioni
barocche
formate
da
merlature
e
ghirlande
geometriche
scolpite
a
bassorilievo
e
decorate
con
superbi
stucchi
policromi
di
scuola
serpottiana
(dal
maestro Serpotta,
abile
stuccatore
del
settecento),
i
quali
un
tempo
rivestiti
tutti
in
oro
zecchino.
Da
ammirare
gli
altari
votivi
decorati
con
ornamenti
barocchi
(colonne
corinzie,
timpani
merlettati
ecc.)
recanti
importanti
opere
d'arte
del
tempo;
in
uno
di
essi
vi
è
la
statua
della
"Madonna
Addolorata"
datata
1732,
opera
dello
scultore
catanese Filippo
Quattrocchi.
Di
particolare
interesse
è
una
tela
delle
dimensioni
dell'intera
navata
centrale,
che
viene
esposta
nel
periodo
pasquale,
raffigurante "La
Via
Crucis",
opera
del
pittore
ragusano
Pietro
Quintavalle
della
metà
del
'800;
di
pregevole
fattura
anche
l'antico
organo
settecentesco,
opera
dell'organaro
"Donato
Del
Piano",
fresco
di
restauro
ed
attualmente
in
funzione,
il Putridarium,
e
alcune
tombe
di
componenti
della
famiglia Requesenz:
questa
infatti
la
chiesa
votiva
dell'omonima
famiglia.
Chiesa
di
San
Sebastiano
Martire
Secondo
la
voce
popolare,
la
più
bella
chiesa
di
Buscemi:
era
la
più
ricca
di
tutte
le
chiese.
Dai
racconti
degli
anziani,
era
una
chiesa
frequentata
da
nobili
e
aristocratici
perlopiù,
e
anch'essa
fu
rasa
al
suolo
in
seguito
al
terremoto
del
1693
e
ricostruita
completamente;
si
ha
notizia
di
un’antica
confraternita
di San
Sebastiano,
diretta
da
un
certo
don
Giovanni Requisenz,
che
si
occupava
di
amministrare
i
beni
della
chiesa
e
che
governò
anche
la
ricostruzione
post-terremoto.
Venne
ricostruita
nello
stesso
luogo
ma
per
cause
sconosciute
si
ebbe
un
secondo
crollo
della
facciata;
i
lavori
di
ricostruzione
ebbero
tempi
lunghissimi,
forse
a
causa
di
ridotte
disponibilità
economiche,
per
questo
completata
solo
nel
1906.
Si
trova
inserita
al
centro
del
paese
allineata
con
la
chiesa
di
San
Giacomo
e
rialzata
per
ottenere
un
effetto
di
slancio.
Il
terrazzino
antestante
è
chiuso
da
un
cancello
in
ferro
battuto
guardato
da
due
leoni
in
pietra.
Al
suo
interno
si
conservavano
una
statua
del
Cristo
alla
Colonna,
la
statua
della
Madonna
d'Itria
(ovvero
Odigitria),
prima
Patrona
di
Buscemi,
un
Bambinello
di
cera
(oggi
in
Chiesa
Madre),
San
Giuseppe
(oggi
a
Sant'Antonio),
una
tela
di
lodevole
fattura
artistica
raffigurante "Il
Martirio
di
Sebastiano" di
autore
ignoto,
e
la
più
importante, "L'Adorazione
dei
Magi",
un
olio
su
tela
(243cm
x
196cm)
realizzato
tra
il
1624
e
il
1625
durante
il
suo
periodo
siracusano
da Mario
Minniti,
amico,
collaboratore,
modello
(soggetto
del
famosissimo "Fanciullo
con
canestro
di
Frutta")
e
amante
del
pittore
più
discusso
di
tutti
i
tempi: Caravaggio.
L’opera,
salvata
dalle
macerie
del
terremoto
del
1693,
presenta
tratti
cromatici,
gestualità
e
scorci,
rintracciabili
in
altre
opere
realizzate
con
certezza
dal
pittore
caravaggesco.
Le
due
tele
si
trovano
oggi
in
Chiesa
Madre.
La
chiesa
è
attualmente
in
restauro.
Chiesa
del
Carmine
Chiamata
un
tempo
chiesa
di
Santa
Maria
Annunziata,
con
l’annesso
convento
di
S.
Domenico,
è
una
delle
chiese
più
antiche
del
paese.
Si
ha
notizia
che
i
lavori
di
costruzione
dell’interno
della
chiesa
partirono
nel
1572
ad
opera
del
capomastro
Antonino
Costantino,
e
30
anni
dopo,
nel
1602,
venne
collocata
la
campana
e
realizzata
la
cappella
del
SS.
Crocifisso.
Presenta
una
facciata
semplice,
essenziale
e
incompleta,
che
ricorda
quasi
lo stile
romanico,
e
l'interno
è
costituito
da
un'unica
navata.
All'interno,
un’antica
statua
lignea
del
Crocifisso
il
quale,
Protettore
di
Buscemi
viene
festeggiato
ogni
prima
domenica
di
Maggio,
così
da
collegarsi
con
la
festa
dell'Esaltazione
della
Croce,
la
quale
si
teneva
il
3
maggio,
data
del
ritrovamento
della
Croce
secondo
la
"leggenda
di
Giuda
Ciriaco".
La
festa
del 3
maggio,
con
l'avvento
del Concilio
Vaticano
II,
è
stata
spostata
alla
data
originale,
ovvero
il
14
settembre,
in
ricordo
del
ritrovamento
della vera
croce di
Gesù
da
parte
di sant'Elena,
avvenuto,
secondo
una
tradizione,
il
14
settembre
del 327:
in
quel
giorno
la
reliquia
sarebbe
stata
innalzata
dal
vescovo
di Gerusalemme di
fronte
al
popolo,
che
fu
invitato
all'adorazione del
Crocefisso.
Questa
è
la
festa
con
origine
più
antica
del
paese.
La
chiesa
conserva
una
annunciazione
marmorea
di
scuola Gaginiana,
delle
tele
di
Paolo
Tanasi
e
un’antica
tela
con
l’effige
della
Madonna
del
Bosco,
simile
all’antico
affresco
custodito
nel
Santuario.
Posta
nella
parte
più
bassa
del
paese,
è
annessa
al monastero.
Con
l'eversione
dell'asse
ecclesiastico (Regio
Decreto 7
luglio
1866,
n.
3036 di
soppressione
degli
ordini
e
delle
congregazioni
religiose,
e
la Legge 15
agosto
1867,
n.
3848 che
dispose
la
confisca
dei
beni
immobili
agrari
accumulati
nel
corso
dei
secoli
dagli
enti
religiosi),
a
partire
dal
23/07/1866,
data
dell'entrata
in
vigore
del
provvedimento,
il
monastero
delle Carmelitane
dell'Annunziata
e
la
chiesa
sono
stati
soppressi.
La
chiesa
è
passata
al Fondo
Edifici
di
Culto (FEC),
istituito
con Legge 20
maggio
1985,
n.
222,
articolo
55.
Chiesa
Rupestre
di
Santo
Pietro
Rappresenta
uno
dei
pochi
monumenti
bizantini
presenti
della
Sicilia
orientale. Paolo
Orsi lo
esplorò
e
descrisse
nel
1899.
Si
trova
a
quattro
chilometri
da
Buscemi
nel
vallone
denominato
Cava
di Santa
Rosalia.
Nel
1855
Vito
Amico
annota
la
presenza
di
"molte
sacre
immagini
in
greco
stile"
e
un'antichissima
immagine
di San
Marco oltre
a
quella
recentemente
individuata
come
quella
di Santa
Sofia.
Di
queste
immagini
oggi
sono
rimaste
pochissime
tracce.
La
chiesa
è
costituita
da
un
vano
rettangolare
sorretto
da
quattro
grossi
pilastri,
ricavati
dalla
roccia,
di
cui
i
primi
due
sagomati,
nella
parte
superiore,
a
forma
di
capitello
di
ispirazione
dorica.
Il
vano
per
la
celebrazione
dei
riti
religiosi
è
ricavato
sul
lato
destro,
rialzato
da
due
gradini,
con
un
altare
e
una
cattedra
ricavati
sempre
dalla
viva
roccia.
Santuario
della
Madonna
del
Bosco

Ricostruita
dopo
il
terremoto
nello
stesso
luogo,
si
tratta
dell'unica
chiesa
esterna
al
paese
rimasta
dopo
il
sisma.
La
chiesa
costituita
solo
da
una
navata
possiede
all'interno
l'affresco
della
Madonna
del
Bosco,
che
vuole
la
leggenda
fosse
stato
rinvenuto
miracolosamente
da
due
frati
sordo
muti.
Nel
1693
tutto
crollò,
ma
per
volontà
divina,
l'icona
sacra
si
salvò
grazie
all'incrocio
di
due
travi
proprio
sopra
di
essa.
L'attuale
santuario
è
costituito
da
un'unica
navata
con
lesene
con
capitello ionico che
sorreggono
una
sottile
trabeazione;
recente
è
il
restauro,
avviato
dal
parroco,
che
ha
illuminato
la
volta
a
botte
e
la
piccola
cupola
della
chiesa
con
sottili
cornici
e
qualche
ghirigoro
dorato.
All'interno
del
santuario
è
presente
una
statua
della
Madonna
del
Bosco,
ricreata
su
base
dell'affresco
prima
dell'ultimo
restauro,
della
fine
del
XVIII
secolo;
il
18
maggio
1919
Ella
venne
incoronata
Patrona
di
Buscemi
e
da
quel
momento
sono
tante
le
azioni
che
hanno
fatto
gridare
al
miracolo
credenti
e
non.
L'ultima
domenica
di
agosto
si
svolge
la
suggestiva
festa
in
Suo
onore;
nel
2019,
per
il
centenario
a
Patrona
di
Buscemi,
il
simulacro
è
stato
restaurato
e
portato
al
suo
antico
splendore.
Affresco
della
Madonna
del
Bosco
-
Leggenda
narra
che
un
giorno
due
frati
sordomuti,
intenti
nel
farsi
capire,
si
presentarono
al
popolo
buscemese,
il
quale
però
inizialmente
non
riusciva
a
comprendere
ciò
che
i
due
cercavano
di
dire;
ecco
che
tra
gesti
e
suoni
gutturali,
convinsero
i
buscemesi,
muniti
di
ovvi
attrezzi,
a
inoltrarsi
nella
foresta.
Percorso
un
modesto
tratto
di
folta
vegetazione,
ecco
che
arrivarono
a
un
piccolo
muretto
illuminato
da
una
luce,
ove
si
trovava
quella
che
oggi
è
l'icona
simbolo
del
paese:
la
Madonna
del
Bosco.
Il
popolo
buscemese,
incredulo
ed
emozionato,
decise
di
erigere
un
Santuario
in
onore
di
Ella,
ma
vi
era
il
problema
della
mancanza
di
acqua
nelle
vicinanze:
problema
risolto
dai
due
frati
che
a
qualche
metro
dall'icona
scavarono
due
fosse
e
fecero
sgorgare
una
sorgente
d'acqua
limpidissima
(per
molti
fedeli
miracolosa).
Nel
procinto
di
ringraziare
i
due
protagonisti
per
i
due
miracoli
compiuti,
i
lì
presenti
si
stupirono
del
fatto
che
i
due
frati
erano
scomparsi.
L'immagine
venuta
fuori
dopo
l'ultimo
intervento
di
restauro
all'affresco
è
di
chiara
matrice
cinquecentesca
e
come
stile
e
colori
ricorda
gli
affreschi
della Basilica
Superiore
di
Assisi realizzati
da Cimabue e Giotto nel
'300.
L'icona
vede
la
Madonna
sorridente
che
tiene
il
Figlio
sulla
gamba
destra,
mentre
nella
Sua
mano
sinistra
è
possibile
notare
un
melograno,
simbolo
di
fertilità,
che
prima
era
un
piccolo
globo.
Purtroppo
il
tempo
ha
distrutto
alcune
parti
del
dipinto
originale.
Ruderi
del
castello
della
famiglia
Requisenz
e
del
convento
dei
Cappuccini
Di
probabile
fondazione
araba,
si
erge
sulla
sommità
del
colle
denominato Monte dal
quale
si
domina
uno
stupendo
paesaggio
della valle
dell'Anapo,
affiancato
dai
ruderi
del
convento
di
San
Francesco,
costruito
dopo
il
terremoto
del
1693
e
che
attualmente
vengono
denominati
genericamente
come castello o
in
dialetto
buscemese "casteddu".
Situato
in
posizione
elevata,
su
una
collinetta,
garantiva
nel
Trecento
il
controllo
del
territorio
circostante.
Dopo
il
terremoto
del
1693
il
castello
venne
trasformato
in
un
convento
di
Capuccini,
abbandonato
nel
corso
del
secolo
XIX
e
destinato
per
un
breve
periodo
a
cimitero.
L’impianto
originario
aveva
probabilmente
pianta
poligonale
ed
era
munito
di
torri:
oggi,
i
ruderi
visibile
di
pietra
bianca
locale
sono
immersi
in
un’incolta
vegetazione
ma
si
può
scorgere
il
concio
di
chiave
di
un
portale
in
cui
è
scolpito
lo
scudo
araldico
del
casato
Ventimiglia
–
Requisenz.
I
dintorni
di
Buscemi
sono
ideale
per
chi
è
appassionato
di
archeologia:
sul
Monte
Casale
di
trova
il
sito
dell’antica
Kasmene
la
colonia
greca
fondata
nel
644
a.C.
dai
siracusani,
dove
si
possono
ammirare
i
resti
del
tempio,
di
abitazioni
e
la
necropoli.

Tempio
Greco
di
costa
dell’Oro
Nel
mese
di
Novembre
del
1899,
il
giovane
archeologo
di
Rovereto
Paolo
Orsi,
Soprintendente
di
Siracusa,
scoprì
in
Sicilia
Orientale
nel
territorio
di
Buscemi,
delle
misteriose
grotte
interamente
decorate
da
iscrizioni.
Grotte
panoramicamente
adagiate
tra
scoscesi
dirupi
di
rimpetto
all’antica
città
greca
di
Akrai.
Del
Tempio
rimangono
oggi
in
loco
alcune
labili
testimonianze,
il
pianoro
su
cui
si
aprivano
gli
ingressi
delle
camere
ed
alcuni
angusti
cunicoli
di
accesso
che
ospitano
conigli
selvatici
ed
istrici.
Alcuni
lastroni
calcarei
dello
sperone
di
roccia
soprastante
sono
scivolati
uno
sull’altro
chiudendo
come
una
tendina
ogni
possibile
accesso
al
luogo
di
culto,
risulta
altamente
rischioso
ogni
lavoro
per
riportare
alla
luce
il
Tempio.
In
questo
luogo
si
celebrava
l’antico
culto
di
Anna
Sicula
(Dea
Madre).
Nei
terrazzamenti
sottostanti
sono
stati
ritrovati
numerosi
blocchi
squadrati
e
decorati,
e
risultano
perfettamente
visibili
le
fondamenta
del
muro
ipotizzato
dall’Orsi.
L’analisi
degli
antichi
scritti,
rivelo
la
natura
sacra
del
luogo,
alcune
citazioni
risalivano
con
certezza
al
periodo
Romano
Imperiale.
La
visita
al
tempio
sconsigliata
e
pericolosa
a
causa
dei
massi
pericolanti.
Casmene
Casmene
o
Kasmenai,
impervia
ed
espugnabile,
frutto
ed
espressione
della
potenza
militare
della
grande
Siracusa
Greca.
Città
a
lungo
nascosta,
ricercata
e
pur
visibile,
giace
sorniona
in
cima
al
monte
Casale
protetta
sotto
uno
strato
di
terra
dai
morsi
del
tempo.
Tutto
ebbe
inizio
circa
ventisette
secoli
fa
quando
un
giovane
ragazzo,
figlio
secondogenito
di
una
nobile
famiglia
di
Corinto,
della
stirpe
degli
Eraclidi
e
Bacchiardi
raggiunta
la
maturità,
sentii
il
bisogno
di
staccarsi
dalla
propria
terra
e
dalla
propria
famiglia.
Spinto
forse
dalla
mancanza
di
terre,
già
occupate
presumibilmente
dai
fratelli,
decise
di
andare
in
cerca
di
gloria
e
soprattutto
di
nuove
colonie.
Ricevette
dal
Padre
alcune
navi
per
il
viaggio,
opportuni
armenti,
ed
un
grappolo
di
intraprendenti
e
valorosi
guerrieri.
Il
nobile
Archia,
questo
il
nome,
discendente
secondo
il
mito
direttamente
da
Ercole
si
stabilì
insieme
all'amico,
il
poeta
Eumelo,
e
un
manipolo
di
uomini
nell’isola
di
Ortigia
nel
734
a.C.
fondando,
sopra
un
primitivo
agglomerato
di
capanne
indigene,
Sraka,
la
prima
Siracusa
Greca.
Da
questo
momento
sino
alla
riconquista
di
Siracusa
da
parte
di
Gelone
tiranno
di
Gela
nel
485
a.C.,
scarsissime
sono
le
notizie
certe
in
merito
alle
sorti
della
città
e
dei
coloni.
Si
sa
che
in
questo
lasso
di
tempo
i
coloni
consolidarono
rapidamente
il
potere
creando
circa
70
anni
dopo,
tre
nuove
colonie
nell'entroterra
con
l'intento
di
controllare
da
una
parte
i
Siculi
e
gli
indigeni,
dall'altra
tenere
sotto
controllo
le
altre
colonie
rivali.
Nacquero
Akrai,
Kasmenai,
Kamarina.
Museo
delle
tradizioni
popolari
L’itinerario
etno-antropologico
di
Buscemi
si
articola
per
l’intero
centro
urbano,
ed
insinuandosi,
tra
le
minute
vie
del
quartiere
medioevale,
le
numerose
chiese
e
palazzi
settecenteschi,
guida
ai
locali
domestici
e
di
lavoro.
I
distinti
ambienti
intrinsecamente
originali,
testimoniano
le
condizioni
di
vita
e
di
lavoro
in
cui
gravitavano
le
molteplici
realtà
sociali,
rappresentando
un
singolare
modello
reale
e
tangibile
della
trascorsa
“Civiltà
contadina
Iblea”.
Nello
stesso
sito,
con
gli
stessi
oggetti,
nella
stessa
sistemazione
di
sempre,
si
suggerisce
la
funzionale
vivacità
dell’insieme.
La
diversa
organizzazione
e
ampiezza
dei
due
ambienti
domestici
denuncia
la
rilevante
differenza
tra
la
realtà
relativamente
agiata
del
“massaru”
e
la
profonda
precarietà
del
“iurnataru”,
costretto
a
vivere
del
lavoro
giornaliero.
Luoghi
di
lavoro
per
eccellenza
“Parmientu”
e
“Trappitu”,
impiegavano
numerosi
operai
con
competenze
specifiche,
costituendo
un
preciso
polo
di
riferimento
economico.
Risultano
perfettamente
visibili
delle
nicchie
votive
uno
splendido
arco
a
sesto
acuto
interamente
scavato
nella
viva
roccia
calcarea
iblea
cosi
come
un
capitello
e
una
struttura
sedile
deputata
presumibilmente
alla
sistemazione
dei
fedeli.
Il
frantoio
strutturalmente
completo,
e
rigorosamente
originale
e
funzionante
in
ogni
sua
parte.
Uno
dei
due
dammusi
antistanti
la
grotta
ospita
la
macina,
la
prima
delle
due
imponenti
macchine
che
costituivano
il
frantoio.
Il
mastru
di
pala
gestiva
il
funzionamento
di
questultima
avvalendosi
della
collaborazione
di
alcuni
garzoni,
e
da
una
bestia
da
soma
per
fare
girare
la
macina.
Egli
sincronizzava
armonicamente
la
mescita
delle
olive
sulla
fonte
da
parte
dei
garzoni
e
conduceva
personalmente
il
mulo.
Il
torchio
rappresenta
la
seconda
grande
infrastruttura
del
frantoio.
Le
grandi
viti
di
legno
venivano
strette
manualmente
da
una
serie
di
operai
sotto
il
vigile
controllo
del
mastru
di
cuonzu.
La
grande
pressione
esercitata
sulla
pasta
di
oliva
permetteva
di
separarne
l'olio
e
l'acqua.
Da
buon
artigiano,
il
“Firraru”
forgiava
gli
attrezzi
da
lavoro
dei
contadini
e
fungeva
anche
da
maniscalco
ed
esperto
veterinario,
la
sua
bottega
rappresentava
un
importante
centro
di
incontro
per
gli
uomini.
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