A
pianta
esagonale,
si
affaccia
sulla
costa ionica della Sicilia
orientale nel golfo
di
Noto.
Secondo
taluni,
l'origine
della
città
risale
a Hybla
Major sita
in
prossimità
della
costa
sud-orientale
della Sicilia.
La
zona,
abitata
precedentemente
dai Sicani,
fu
invasa
dai Siculi e
divenne
teatro
di
lotte
per
il
predominio
sulla
regione.
Il
termine Hybla non
è
greco
ma
pre-ellenico,
probabilmente sicano,
ed
è
il
nome
di
una Dea adorata
da
entrambe
le
popolazioni
(identificata
poi
con
l'Afrodite ellenica).
I
Siculi
combatterono
gli
indigeni
e
si
insediarono
definitivamente
sul
territorio
a
cavallo
fra
il XIII e
il XII
secolo
a.C. Dell'epoca
dei
Siculi
sono
testimonianza
i
numerosi
reperti,
soprattutto
vasellame
e
stoviglie,
rinvenuti
in
alcune
tombe
in
quella
che
è
oggi
la Riserva
naturale
orientata
Cavagrande
del
Cassibile.
Successivamente
i Greci colonizzarono
la
zona
intorno
alla
metà
dell'VIII
secolo
a.C. trovando
una
civiltà
già
influenzata
e
raffinatasi
a
contatto
con
i Fenici.
Durante
il IV
sec.
a.C. il
sito
conobbe
la
dominazione
del
tiranno Dionisio
I
di
Siracusa.
Nel III
secolo
a.C.,
a
seguito
della Prima
guerra
punica,
il
predominio
greco-cartaginese
passò
ai Romani che
costituirono
la provincia
di
Sicilia (227
a.C.),
pur
lasciando
un'ampia
autonomia
a Siracusa e
a
tutti
i
possedimenti
di
questa
città
nella
parte
sudorientale
dell'isola,
fra
cui
anche
la
zona
di Hybla
Major.
La
soppressione
delle
istituzioni
statuali
siracusane
nel
corso
della
seconda
guerra
punica,
vide
l'occupazione
militare
romana
di
tutta
la
Sicilia
sud
orientale
attorno
alla
metà
del
penultimo
decennio
del III
secolo
a.C. (definitiva
dopo
la
caduta
di
Siracusa
nel 212
a.C.).
Con
la
dominazione
romana,
protrattasi
fino
al 450 circa,
tutto
il
territorio
perse
il
suo
antico
splendore.
A
seguito
delle
devastazioni
e
dei
saccheggi
operati
dai Vandali che
occuparono
l'intera
Sicilia
attorno
alla
metà
del V
secolo,
venne
cancellato
persino
il
ricordo
di Hybla
major e
la
zona
si
tramutò
in
una
landa
semideserta.
Tale
situazione
si
protrasse
durante
la
dominazione
ostrogota (V-VI
secolo)
e bizantina (VI-IX
secolo).
In
epoca araba (IX-XI
secolo)
il
territorio
si
andò
progressivamente
ripopolando
ma
un
modestissimo
borgo,
sul
luogo
di
Avola
vecchia,
nacque
con
ogni
probabilità
solo
durante
la
dominazione
normanna
o sveva (XI-XIII
secolo).
Divenuta
dal
1358
signoria
della
famiglia Aragona,
si
ebbe
un
certo
risveglio
demografico
ed
economico
del
paese
che
si
intensificò
nel
corso
del XVI e
del XVII
secolo soprattutto
durante
la
signoria
di Carlo
d'Aragona
Tagliavia.
Alla
vigilia
dei
grandi
sconvolgimenti
tellurici
del 1693,
Avola,
ancora
abbarbicata
sulle colline
iblee,
che
si
trovano
alle
spalle
dell'attuale
abitato,
doveva
avere
una
popolazione
non
inferiore
ai
seimila
abitanti.
Ma
in
quell'anno,
ed
esattamente
il
9
e
l'11
gennaio,
un
violento terremoto,
che
distrusse
la
cittadina
e
numerosi
altri
centri
urbani
della
Sicilia
orientale
(fra
cui
anche
Siracusa
e Catania),
costrinse
la
popolazione
superstite
a
spostarsi
nell'ampia
costa
sottostante,
a
otto
chilometri
di
distanza,
e
a
rifondare
Avola
nel
luogo
dove
prima
vi
era
solo
un'estesa
e
deserta
pianura
affacciata
sul
mare,
così
che
Avola
da
un
paese
di
montagna,
si
trasformò
(a
causa
del
terremoto)
in
una
piana
cittadina
marittima.
I
lavori
di
ricostruzione
iniziarono
negli
anni
immediatamente
successivi
al
cataclisma
per
volere
del
Principe
Nicolò
Pignatelli
Aragona
che
affidò
la
progettazione
del
nuovo
abitato
a
padre Angelo
Italia,
noto
architetto
siciliano
appartenente
all'ordine
dei Gesuiti;
la
città
fu
edificata
a
pianta
centrica
e
secondo
una
struttura
geometrica
esagonale.
Nel
corso
del XVIII e XIX
secolo Avola
fu
abbellita
da
alcune
pregevoli
costruzioni
civili
(Palazzo
Ducale, Palazzo
di
Città, Teatro
Comunale ecc.)
e
religiose
(chiese
di Sant'Antonio
Abate, Sant'Antonio
di
Padova e
la
fastosa Chiesa
Madre).
Nei
primi
decenni
del XX
secolo vennero
eretti
anche
alcuni
eleganti
villini liberty che
dettero,
e
continuano
a
dare,
ulteriore
lustro
al
centro
cittadino.
Avola,
confinante
con Cassibile a
nord-est
e
con Noto a
sud-ovest,
era
stata
la
prima
località
d'Italia
a
subire
un
tentativo
d'invasione,
ancor
prima
dei
giorni
stabiliti
per
Husky:
la
sua
spiaggia
era
stata
coinvolta
all'alba
del
4
luglio
1943
in
un
incontro
a
fuoco
con
due
cacciatorpediere
britanniche
e
un
gruppo
di
commandos
che
lasciò
sulla
sabbia
solo
un
gommone,
ritirandosi
a
seguito
del
contrattacco
della
difesa
costiera
siciliana,
che
rispose
con
i
propri
cannoni.
Avola
fu
anche
la
prima
città
del
settore
dell'8ª
Armata
britannica
a
iniziare
a
combattere,
il
9
luglio,
poiché
i
suoi
difensori
vennero
impegnati
fin
dalle
prime
ore
serali
dall'assalto
dei
paracadutisti
americani,
finiti
nell'area
siracusana
per
errore:
erano
i
componenti
del 505th
Infantry
Regiment degli Stati
Uniti,
che
invece
di
giungere
a
destinazione
sul
settore
della piana
di
Gela,
erano
stati
lanciati
a
parecchi
chilometri
di
distanza
dal
loro
obiettivo,
a
causa
del
forte
maltempo.
La
venuta
degli
americani
si
rivelò
comunque
di
grande
aiuto
per
i
britannici
(anche
se
vi
fu
tra
essi
un
episodio
di
fuoco
amico
per
via
dell'inaspettata
presenza
statunitense
in
zona).
Tra
le
21:00
e
le
22:00
del
9
luglio
si
paracadutarono
sopra
Avola
320
soldati
statunitensi;
lo
scontro
più
arduo
avvenne
presso
contrada
Santa
Venericchia,
uno
dei
posti
di
blocco
assegnati
dal
generale
D'Havet
al
374º
battaglione
del
146º
reggimento,
206ª
divisione
costiera,
che
difendeva
tutta
l'area
di
Avola
(a
nord
Caponegro,
Falaride,
Tremoli;
a
sud
Cicirata,
Punta
Giorgi,
fino
a
Calabernardo),
posto
sotto
le
direttive
del
maggiore
Umberto
Fontemaggi. Santa
Venericchia
presidiava
il
ponte
del
torrente
Mammaledi,
piuttosto
fangoso
e
privo
di
acqua:
il
plotone
del
ponte
era
composto
da
22
uomini,
comandati
dal
tenente
netino Luigi
Ignazio
Adorno.
Gli
americani
erano
atterrati
in
massima
parte
a
nord-ovest
della
città,
nelle
vie
che
conducevano
all'antico
abitato,
tra
le
contrade
Bochini
e
Mutubé.
Il
primo
scontro
dei
paracadutisti
con
gli
italiani
avvenne
in
contrada
Archi,
dove
vi
fu
il
primo
caduto
militare
di
Avola:
il
sottotenente
Biagio
Spina.
Subito
dopo
entrò
in
azione
il
plotone
di
Adorno,
il
quale
ingaggiò
una
lotta
con
gli
statunitensi
nei
dintorni
del
torrente
Mammaledi,
all'interno
di
un
fitto
uliveto.
La
lotta
volse
decisamente
a
favore
dei
fanti
del
battaglione
costiero,
poiché
gli
americani
non
ebbero
tempo
di
raggrupparsi:
alcuni
di
essi
ancora
incastrati
sui
rami
degli
alberi
tramite
il
loro
paracadute.
Gli
avolesi,
mentre
giungevano
in
quella
zona
fuggendo
dalle
loro
case
poste
sulla
riva
sotto
assedio,
videro
una
grande
quantità
di
paracaduti
appesi
a carrubi e mandorli,
oltre
che
agli
ulivi;
vicino
a
quei
tronchi,
soldati
con
la
faccia
nera
e
con
i
mitra
puntati
verso
punti
imprecisati
nell'oscurità,
si
muovevano
in
coppia:
i
paracadutisti,
nel
tentativo
di
mimetizzarsi
con
la
vegetazione
e
nascondere
il
pallore
dei
loro
volti
alla
luce
delle
stelle,
in
assenza
di
quella
lunare,
si
erano
difatti
cosparsi
la
faccia
col
fango.
La
gente,
passando,
osservò
i
numerosi
morti
e
feriti
sulle
strade
acciottolate
che
conducevano
ad
Avola
Antica.
Il
buio
impenetrabile
del
boschetto,
nel
quale
stava
avvenendo
lo
scontro
maggiore,
rendeva
gli
attacchi
per
entrambe
le
parti
più
difficoltosi.
Giunti
all'alba,
il
caposaldo
di
Santa
Venericchia
poteva
dire
di
aver
respinto
con
successo
il
tentato
ingresso
statunitense
a
nord
della
città.
Circa
200
paracadutisti
erano
stati
catturati
ad
Avola:
scontri
cruenti
tra
il 505th
Infantry e
gli
uomini
di
Fontemaggi
erano
avvenuti
inoltre
presso
il
cimitero
(posto
a
pochi
metri
della stazione
ferroviaria e
divenuto
il
luogo
nel
quale
gli
avolesi
avevano
rinchiuso
i
militari
americani).
Ciononostante,
l'arrivo
dei
britannici,
che
nel
frattempo
erano
sbarcati
sulle
spiagge
di
fronte,
rese
vani
gli
sforzi
compiuti
nella
notte;
a
Santa
Venericchia
si
riprese
quindi
a
combattere:
per
il
piccolo
plotone,
ultimo
ad
arrendersi,
sarà
una
mattanza.
Fu
in
tali
circostanze
che
gli
inglesi,
scambiando
gli
statunitensi
superstiti
della
battaglia
per
tedeschi,
cominciarono
a
sparare
loro
contro;
i
paracadutisti
non
risposero
al
fuoco
ma
si
ripararono
nel
boschetto
del
fiume.
I
britannici
si
sorpresero
non
poco.
Gli
americani
imprecarono
a
loro
volta Infine,
i
paracadutisti
vennero
liberati,
rifocillati
dal
loro
alleato
e
rispediti
al
campo
base
in
Nord
Africa).
Altri
di
quei
320
uomini,
quelli
che
erano
sfuggiti
alla
cattura,
si
erano
invece
riversati
tra
le
strade
di
Avola,
prendendo
parte
alle
operazioni
che
avrebbero
portato
alla
conquista
della
cittadina
iblea.
Avola
era
uno
dei
centri
urbani
più
popolosi
del
siracusano:
all'epoca
contava
oltre
20 000
abitanti.
Sorgendo
a
ridosso
della
spiaggia
e
confinando
con
Siracusa,
rappresentava
un
importante
obiettivo
strategico
per
gli
Alleati.
Mentre
Siracusa
e
Catania
venivano
bombardate,
anche
Avola,
intorno
alle
22:00
del
9
luglio,
veniva
pesantemente
presa
di
mira
dai
bombardieri
alleati:
l'area
intorno
alla
sua
stazione
ferroviaria
fu
il
luogo
più
colpito:
50
le
vittime,
soprattutto
bambini
(la
maggior
parte
delle
persone
rimaste
uccise
dalle
bombe
aveva
un'età
compresa
tra
i
2
e
i
17
anni). La
tragedia
spinse
gli
avolesi
a
sfollare
in
tutta
fretta
dalle
loro
case,
che
presto
divennero
esse
stesse
parte
del
teatro
bellico,
dal
momento
che
sul
suolo
urbano
si
stava
sviluppando
la
guerriglia.
I
britannici
sbarcarono
presso
due
spiagge
di
Avola
che
essi
chiamarono Jig
Green
Beach e Jig
Amber
Beach,
conosciute
anche
più
semplicemente
come Jig,
divise
in North e South:
la
prima
corrispondeva
all'attuale
spiaggia
del
Lungomare
Tremoli,
poco
prima
di
Lido
di
Avola,
mentre
la
seconda
si
trovava
tra
Punta
Giorgi
e
l'odierno
villaggio
di
Calabernardo
(dove
si
entra
già
in
territorio
netino),
nei
pressi
della
foce
dello
storico
fiume Asinaro.
Qui
a
toccare
terra
per
primi
furono
gli
uomini
della
151ª
brigata,
appartenenti
alla
50ª
divisione
fanteria
"Northumbria",
con
i
loro
tre
battaglioni:
6º
,
8º
e
9º
battaglione
della Durham
Light
Infantry,
intorno
alle
3:00
di
notte,
tra Jig
Green e
Marina
di
Avola
(nei
pressi
dell'antica
tonnara). I
fanti
vennero
accolti
dalle
mitragliatrici
italiane,
subendo
diverse
perdite;
conquistarono
le
due
spiagge
alle
6:19 (il
6°
e
il
9°
Durham
si
diressero
al
Mammaledi,
andando
a
liberare,
inaspettatamente
per
loro,
gli
americani).
Il
10
luglio
ad
Avola
sbarcò
anche
la 69th
Infantry
Brigade (con
altri
due
battaglioni,
più
un
reggimento:
il
6º
e
il
9º Green
Howards e
il
5º East
Yorkshire
Regiment).
Obiettivo
di
questa
brigata
erano
le
alture
dietro
le
spiagge
di
Avola
e
da
lì
muoversi
in
direzione
Floridia.
Abbattute
le
difese
costiere,
i
primi
battaglioni
dovevano
conquistare
Avola;
al
6° Durham si
unì
per
caso
una
compagnia
del
1º
battaglione
del King's
Own
Yorkshire
Light
Infantry (5ª
divisione),
che
avendo
smarrito
la
propria
spiaggia
assegnata
per
lo
sbarco,
dal
settore
di
Cassibile
era
finita
in
quello
di
Avola.
Tra
i
tanti
caduti,
un
nome
in
particolare
è
rimasto
impresso
nella
memoria
degli
avolesi,
quello
del
mitragliere Giuseppe
Borbone
di
Raddusa,
decorato
con
medaglia
d'argento
alla
memoria,
che
faceva
parte
di
un
esiguo
numero
di
difensori
-
meno
di
un
centinaio
-
posti
alle
spalle
di
Lido
d'Avola
col
compito
d'impedire
al
nemico
di
raggiungere
il
centro
della
città.
I
fucilieri
britannici,
sbarcati
presso
il
lungomare
Tremoli,
stavano
risalendo
da
una
via
dritta
e
lunga,
chiamata
via
Lido,
che
conduceva
da
est
alla
piazza
principale,
Umberto
I,
ma
all'entrata
del
centro
si
trovarono
un
fortino
in
cemento
armato
con
mitragliatrice.
I
fanti
italiani
che
lo
circondavano
caddero
uno
dopo
l'altro
ma
riuscirono
a
tenere
fermo
il
nemico
per
diverse
ore.
Giuseppe
Borbone,
rimasto
solo
e
salito
sul
tetto
del
fortino,
continuò
a
sparare
fino
a
quando
non
venne
raggiunto
da
un
inglese
che
gli
arrivò
alle
spalle,
uccidendolo
con
un
colpo
di
fucile
alla
testa.
La
lotta
per
la
presa
di
Avola
coinvolse
vicoli
e
tetti
delle
case:
tra
i
rastrellatori
vi
erano
anche
paracadutisti
americani,
uniti
sotto
il
comando
del
loro
tenente
Charles
E.
"Pinkie"
Sammon,
che
tra
quei
vicoli
andava
inconsapevolmente
incontro
ad
altri
gruppi
armati
di
britannici:
Sammon
era
reduce
da
un
attacco
verificatosi
nel
cimitero
di
Avola,
all'interno
del
quale
i
suoi
uomini,
reagendo
all'attacco
degli
italiani,
avevano
ucciso
tre
serventi
del
cannone
nemico.
Spari
e
lanci
di
bombe
a
mano,
che
distrussero
numerose
abitazioni,
vennero
fatti
cessare
solo
quando
gli
inglesi
ebbero
timore
di
ferirsi
a
vicenda,
anche
perché
Avola
era
ormai
circondata
dai
loro
battaglioni.
Alle
8
del
mattino,
il
comando
britannico
del
&°
Durham
Light
Infantry era
riuscito
a
insediarsi
all'interno
di
Avola,
nonostante
vi
fossero
ancora
dei
cecchini
a
sparargli
contro.
Sul
Mammaledi
il
plotone
di
Adorno
perse
14
uomini;
i
restanti
8
feriti.
Nonostante
fosse
stato
soccorso
da
un
gruppo
di
finanzieri
giunti
da
Fontane
Bianche,
il
caposaldo
di
Santa
Venericchia
dovette
dichiarare
la
resa
alle
10:00
del
mattino:
Adorno,
in
un
primo
momento
colpito
al
petto
e
catturato,
lanciò
una
bomba
a
mano
su
un
carro
armato
inglese,
uccidendone
gli
occupanti;
per
tale
motivo
i
britannici
lo
uccisero,
concedendogli
però
l'onore
delle
armi.
Senza
più
difese,
dato
che
erano
rimasti
circa
70
soldati
contro
interi
battaglioni
avversari,
il
maggiore
Fontemaggi
si
asseragliò
con
i
suoi
uomini
nella
sede
di
comando
del
battaglione,
posto
in
via
Venezia:
qui
ci
furono
altri
tre
caduti.
Dichiararono
la
resa
quando
finirono
le
munizioni,
alle
14:30
del
pomeriggio.
La
popolazione
civile
di
Avola
patì
anch'essa
le
varie
fasi
della
conquista
bellica.
In
questo
caso
la
gente
non
venne
perseguita
in
massa
fin
nei
rifugi
improvvisati
(pure
qui
dati
essenzialmente
dalle
grotte
sulle
alture
iblee)
e
incolonnata
a
mo'
di
prigionieri,
ma
si
verificarono
ugualmente
gli
eccessi:
ad
esempio
un
civile,
Salvatore
Piccione,
che
si
trovava
insieme
a
molta
altra
gente
in
cerca
di
riparo
nei
pressi
del
cimitero,
venne
ucciso
da
due
paracadutisti
americani,
perché
reo
di
portare
con
sé
un
fucile;
i
due
gli
spararono
alle
spalle
e
spezzarono
il
suo
fucile,
facendo
scappare
via
i
civili
terrorizzati.
Pure
ad
Avola
vi
furono
casi
di
stupri
e
violenze
da
parte
dei
soldati
ai
danni
delle
donne:
mentre
a
Cassibile
la
colpa
ricadde
del
tutto
sulle
truppe
indiane,
gli
avolesi
parlarono
in
maniera
più
generica
di
soldati
di
colore
(riferendosi
probabilmente
ad
altre
truppe
coloniali
dell'Impero
britannico,
come
gli aborigeni della Nuova
Zelanda o
del Sudafrica)
e
di
americani. Tuttavia,
parlando
di
americani,
va
considerato
che
l'inaspettata
presenza
statunitense
ad
Avola
contribuì
a
creare
in
gran
parte
della
popolazione
l'errato
ricordo
di
un'invasione
unicamente
americana
anche
nel
siracusano.
Per
cui,
per
i
testimoni,
che
all'epoca
dei
fatti
erano
anche
molto
giovani,
i
soldati
di
lingua
inglese
diventavano
tutti
americani, occultando
o
dimenticando
piuttosto
la
presenza
britannica,
che
nel
siracusano,
data
la
severa
divisione
attuata
al
principio
dalle
due
armate,
era
assolutamente
maggioritaria,
rispetto
anche
alla
presenza
canadese.
La
popolazione
femminile
di
Avola,
per
sfuggire
alle
violenze,
si
nascose
in
luoghi
impervi,
ma
come
più
volte
accadde
per
i
cassibilesi,
non
sempre
nascondersi
funzionava. Nei
primi
giorni
post-conquista
si
verificarono
episodi
di
resistenza
e
ritorsione
sui
soldati,
attuati
dai
familiari
delle
vittime:
soldati
vennero
trovati
annegati
nei
pozzi
o
uccisi
in
altre
maniere; per
contro,
persero
la
vita
anche
diversi
avolesi
nel
tentativo
di
difendere
le
donne. Questo
inquietante
fenomeno,
così
come
successe
a
Cassibile,
e
più
avanti
anche
a
Siracusa,
venne
fortunatamente
arginato
quasi
subito
dalla
polizia
militare,
che
non
tollerava
tali
eccessi
e
castigava
severamente
gli
aggressori.
Il
2
dicembre 1968,
a
causa
di
un'ondata
di
scioperi,
organizzati
dai
lavoratori
agricoli
di
Avola
e
provincia
per
l'eliminazione
delle
"gabbie
salariali",
del
"caporalato",
e
la
istituzione
della
Commissione
Sindacale
per
il
Controllo
del
Collocamento
della
manodopera,
fu
attuato
dai
lavoratori
agricoli
un
blocco
stradale
(il
blocco
fu
effettuato
sulla
S.S.
115
che
consentiva
sia
allora
che
oggi
l'entrata
e
l'uscita
di
Avola)
che
provocò
l'intervento
delle
forze
dell'ordine.
La
polizia
ordinò
ai
manifestanti
di
liberare
la
strada,
ma
al
loro
rifiuto
scoppiò
una
rivolta.
La
polizia
cominciò
a
sparare
ad
altezza
d'uomo
così
che
uccise
due
persone
e
ne
ferì
quarantotto,
di
cui
cinque
in
modo
grave.
Gli
scontri
(da
un
lato
la
polizia
armata
di
mitra
e
pistole,
dall'altro
i
manifestanti
con
pietre
che
venivano
staccate
dai
muretti
ai
bordi
della
strada)
furono
molto
brevi,
ma
molto
violenti.
Dopo
questi
fatti
la
trattativa
venne
rapidamente
conclusa,
seppur
al
prezzo
di
vite
umane.
I
tragici
avvenimenti
di
quei
giorni
fecero
da
scintilla
ad
alcune
rivolte
studentesche
ed
operaie
sfociate
nelle
settimane
successive
su
tutto
il
territorio
nazionale,
nell'ambito
dei
movimenti
di
massa
del Sessantotto.
Dopo
gli
scontri
rimasero
uccisi
sull'asfalto
Giuseppe
Scibilia,
di
quarantasette
anni,
di
Avola
e
Angelo
Sigona,
di
ventinove,
di Cassibile.
Il
deputato
del
PCI Antonino
Piscitello,
che
si
trovava
sul
posto
al
momento
degli
scontri,
raccolse
oltre
due
chili
di
bossoli.
Passeggiando
per
Avola
Prima
del
terremoto
del
1693
l’antica
città
di
Avola
sorgeva
attorno
al
monte
Aquilone,
in
una
zona
più
elevata
e
panoramica.
La
zona
oggi
è
diventata
zona
di
villeggiatura
estiva,
grazie
alle
temperature
più
fresche
ed
agli
aromi
che
qui
si
respirano.
Dolmen
Ad
un
periodo
certamente
precedente
a
quello
siculo
appartiene
un
dolmen scoperto
nel
1961
in
contrada
Borgellusa,
di
fronte
all'ospedale
civico.
L'edificio
è
costituito
apparentemente
da
una
enorme
tavola
che
poggia
su
due
pilastri,
modellato
seguendo
il
profilo
naturale
della
roccia,
tanto
da
valergli
l'appellativo
di pseudo-dolmen.
Gli
interventi
umani
sono
visibili
sia
nell'ampliamento
che
nella
geometrizzazione
della
cavità,
oltre
che
nella
forma
conferita
ai
due
piedritti
laterali.
Il
pavimento
dell'area
interna
del
monumento
fu
realizzato
asportando
i
materiali
arenitico-sabbiosi
sottostanti,
seguendo
la
superficie
di
stratificazione
inferiore
Architetture
religiose
CHIESA
DI
SANTA
VENERA
-
La chiesa
di
Santa
Venera
ad
Avola
è
dedicata
al
culto
della
Santa
Patrona.
Questa
chiesa
venne
costruita
nei
decenni
successivi
al
terremoto
del
1693,
tra
il
1713
e
il
1715,
ma
ha
subito
numerose
ristrutturazioni
in
seguito
ai
segni
lasciati
da
un
altro
terremoto,
quello
del
1848.
Osservate
quant'è
bella
e
luminosa
la
facciata
settecentesca
in
pietra
bianca
della
chiesa.
Noterete
subito
che,
nella
sua
spiccata
verticalità
che
si
completa
con
le
tre
celle
campanarie,
si
sviluppa
su
tre
ordini:
nel
primo
ordine
è
decorata
da
quattro
colonne
con
capitelli
tuscanici
e
nicchie
decorate
in
stile
rococò;
nel
secondo,
delimitato
da
obelischi,
potete
ammirare
la
statua
in
pietra
di
Santa
Venera,
accolta
in
una
nicchia;
nel
terzo
ed
ultimo
è
visibile
appunto
la
cella
campanaria
a
tre
aperture.
Invece,
la
cupola
originaria
crollò
in
seguito
al
sisma
e
fu
riedificata
solo
più
avanti,
nel
1962.
Entrando,
la
chiesa
vi
accoglie
con
il
suo
bel
pavimento
maiolicato,
ha
una
pianta
a
croce
latina
ed
è
divisa
da
pilastri
in
tre
navate,
di
cui
quelle
laterali
coperte
da
volta
a
botte,
mentre
quella
centrale
ha
il
bel
movimento
di
una
serie
di
crociere.
Percorrendo
il
pavimento,
potrete
osservare
pregevoli
tele
seicentesche
tra
le
quali
la
pala
dei
Santi
Crispino
e
Crispiniano
con
l'Immacolata,
Santa
Marta,
la
Sacra
famiglia
e
la
Madonna
del
Rosario,
San
Domenico
e
Sante
Domenicane,
il
Salvador
Mundi.
Di
particolare
interesse
è
la
tela
della
predica
di
Santa
Venera
e,
in
fondo
alla
navata
destra,
la
cappella
dedicata
alla
Santa,
che
ne
contiene
il
simulacro.
La
chiesa
ospita
infine
i
festeggiamenti
dedicati
al
culto
della
santa
nell'ultima
domenica
di
Luglio,
in
cui
si
succedono
celebrazioni
religiose,
processioni
e
spettacoli
all'esterno.
CHIESA
DI
SAN
GIOVANNI
-
Il
culto
di
San
Giovanni
ad
Avola
è
molto
antico:
prima
la
chiesa
era
collocata
in
collina
dove
fu
distrutta
dal
terremoto
del
1693,
poi
venne
costruita
nel
1700
in
quella
che
oggi
si
chiama
Piazza
Trieste.
La
struttura
presenta
una
planimetria
geometrica
esagonale
e
la
sua
facciata,
come
potete
subito
osservare,
è
solo
stata
parzialmente
costruita:
è
completo,
infatti,
solo
il
primo
ordine,
in
cui
delle
belle
coppie
di
lesene
decorate
da
capitelli
corinzi
sono
sormontate
da
un
fregio
liscio
e
ornato
con
sculture
a
bassorilievo.
La
Chiesa
fu
poi
ceduta
ai
Frati
Gesuiti,
i
quali
la
adibirono
a
scuola
di
grammatica.
Dal
1744,
anno
in
cui
fu
benedetta,
si
conservano
una
preziosa
reliquia,
l’osso
della
nuca
di
San
Corrado,
la
statua
di
San
Giovanni
ed
altre
statue
salvatesi
dal
sisma.
Entrando
in
chiesa,
ne
potrete
ammirare
la
scansione
in
tre
navate
divise
da
pilastri
corinzi
e
i
bei
decori
e
stucchi
neoclassici
in
cui
spiccano
i
colori
bianco-azzurro.
Di
grande
impatto
visivo
vi
apparirà
certamente
il
vistoso
altare
maggiore,
anch'esso
in
stile
neoclassico,
in
cui
potrete
ammirare
un'importante
pala
ottocentesca
raffigurante
il
Battesimo
di
Gesù
nel
Giordano.
Alzando
invece
lo
sguardo,
ecco
la
volta
affrescata
della
navata
centrale:
qui
il
pittore
Gregorio
Scalia
ha
voluto
raffigurare
delle
scene
della
vita
del
Battista.
Vi
invitiamo
poi
ad
ammirare
anche
le
numerose
cappelle
che
si
succedono
lungo
le
navate
laterali
e
che
sono
dedicate
al
culto
di
San
Corrado,
protettore
di
Avola
insieme
a
Santa
Venera,
nonché
una
statua
lignea
e
una
serie
di
5
dipinti
su
tela
rappresentanti
le
storie
di
San
Corrado.
Di
particolare
pregio
è
infine
l'organo
costruito
nel
1866,
in
stile
neogotico,
che
si
affaccia
sulla
navata
centrale.
CHIESA
MADRE
-
Nell
sito
dell’antica
Abola,
posto
sui
monti
Iblei,
la
Chiesa
Madre,
documentata
in
Vaticano
dal
1308
con
il
titolo
di
S.
Nicolò,
fu
distrutta
dal
terremoto
dell’11
gennaio
1693.
Per
la
ricostruzione
dell’abitato,
in
prossimità
della
costa
e
nel
feudo
Mutubè,
Giovanna
e
Nicolò
Pignatelli
Aragona
Cortés,
marchesi
di
Avola
dimoranti
a
Madrid,
inviarono
da
Palermo
l’architetto
gesuita
Angelo
Italia
(Licata
1628-Palermo
1700).
Questi,
il
16
marzo
1693,
iniziò
a
tracciare
il
perimetro
esagonale
della
nuova
Avola
e
i
due
assi
viari
principali:
l’incrocio
perpendicolare
del
cardo
(Corso
Garibaldi)
con
il
decumano
(Corso
Vittorio
Emanuele)
determinò,
proponendo
anche
il
simbolo
del
cristianesimo,
il
centro
del
piano
urbano.
Intorno
a
esso
l’architetto
definì
un’area
quadrata
e
situò
la
Piazza
Maggiore
(Piazza
Umberto
I),
adibita,
come
nell’antica
città,
a
pubblico
mercato;
sul
lato
nord-ovest
egli
collocò
il
principale
spazio
sacro,
la
Chiesa
Madre,
in
posizione
dominante
e
frontale
rispetto
al
Palazzo
dei
feudatari,
che
era
anche
sede
amministrativa
del
Marchesato
di
Avola.
Il
successivo
6
aprile
si
pose,
in
un
angolo
dell’insula
prescelta
dall’Italia,
la
prima
pietra
per
costruire
la
Matrice
e,
nei
sotterranei
dell’attuale
sagrato,
il
primo
cimitero
della
città.
Definite
le
fondamenta
della
chiesa,
la
costruzione
procedette
dal
1696
con
i
proventi
della
gabella
della
scannaria
e
sulla
base
di
un
altro
disegno
attribuibile
al
magister
Antonio
Mastrogiacomo
(†1707)
di
Ferla.
Proseguì
i
lavori,
fino
agli
anni
trenta
del
sec.
XVIII,
l’architetto
Michelangelo
Alessi
di
Siracusa,
al
quale
si
devono
i
capitelli
del
portale
maggiore,
lo
stemma
a
tre
pignatte
di
Nicolò
Pignatelli
e
l’elevazione
dell’interno
della
chiesa,
a
croce
latina
e
tre
navate.
Nel
1741,
completato
il
tiburio
ad
opera
del
magister
Corrado
Paternò
di
Avola,
l’edificio
venne
benedetto
e
aperto
al
culto.
Di
particolare
interesse
è
la
“facciata
a
torre”
che,
concepita
a
fine
Seicento,
precorre
le
analoghe
strutture
tardobarocche
realizzate
durante
il
Settecento
nelle
chiese
del
Val
di
Noto.
Essa,
in
pietra
bianca
della
«pirrera
della
Palma»,
è
a
superficie
retta
e
di
concezione
rinascimentale.
Il
primo
ordine,
suddiviso
in
cinque
parti
da
paraste
con
capitelli
tuscanici,
presenta
ai
lati
due
nicchie
con
le
statue
dell’Immacolata
e
di
San
Giuseppe
col
Bambino
Gesù;
i
portali
minori
si
ritrovano,
uguali
nel
disegno,
nella
chiesa
di
S.
Sebastiano
di
Ferla,
che
è
attribuibile
al
suddetto
Mastrogiacomo;
l’insieme
è
concluso
dalla
trabeazione
avente
nel
fregio,
secondo
gli
stilemi
del
tempio
greco,
l’alternanza
di
metope
e
triglifi.
Due
volute
spiraliformi
raccordano
la
base
della
struttura
al
secondo
ordine,
che
si
caratterizza
per
l’uso
di
capitelli
ionici.
Il
terzo
ordine,
con
capitelli
in
stile
corinzio,
contiene
la
cella
campanaria.
L’aspetto
più
scenografico
dell’edificio,
carico
di
suggestioni
barocche,
è
dato
dal
sagrato,
area
sacra
circoscritta
nel
1774
da
dieci
alti
piedistalli
decorati
con
motivi
acantiformi
in
stile
rococò
e
sovrastati
da
statue
in
pietra
arenaria;
due
di
essi,
con
le
relative
statue,
erano
accostati
ai
fianchi
del
portale
maggiore.
A
fine
anni
venti
del
sec.
XX,
sei
di
detti
elementi
furono
eliminati
perché
molto
deteriorati;
attualmente
si
conservano,
prospicienti
l’ex
Strada
Cassaro
(Corso
Garibaldi),
le
basi
con
le
effigi
dei
santi
Giovanni
Battista,
Venera,
Nicolò
e
Pietro.
Quattro
piedistalli
sono
stati
ricollocati
nel
2004.
La
porta
in
rame
del
portale
maggiore,
lavorata
a
sbalzo
e
realizzata
nel
1963
da
Francesco
Patanè
di
Acireale,
raffigura
I
Sette
Sacramenti.
Nel
1986
la
Parrocchia
della
Chiesa
Madre
S.
Nicolò
è
stata
intitolata
a
S.
Sebastiano.
CHIESA
DELLA
SANTISSIMA
ANNUNZIATA
-
Dovete
sapere
che,
prima
del
terribile
terremoto
del
1693
che
distrusse
l'intero
Val
di
Noto,
fra
cui
l'antica
città
di
Avola,
la
Chiesa
dell'Annunziata
nell'antica
città
faceva
parte
del
monastero
delle
Benedettine,
che
era
stato
fondato
nel
1532
dai
signori
d'Avola.
Quando
poi
la
città,
ridotta
a
macerie,
fu
abbandonata
per
costruirne
una
nuova,
nel
nuovo
impianto
urbano
l'insieme
della
Chiesa
e
del
Monastero
vennero
ricostruito
nell'angolo
nord-ovest.
Osservate
la
splendida
facciata
concava-convessa
della
Chiesa!
Essa
fu
costruita
a
partire
dal
1753,
e
possiamo
con
certezza
dirvi
che
essa
è
una
delle
più
felici
e
compiute
espressioni
dello
stile
barocco
in
Val
di
Noto.
Fu
voluta
dalla
badessa
Gertrude
Azzolini,
ed
è
attribuibile
al
grande
architetto
Rosario
Gagliardi,
uno
dei
protagonisti
assoluti
della
ricostruzione
fra
Noto
e
Modica,
che,
collaborando
con
il
suo
valido
aiuto,
Vincenzo
Sinatra,
in
quegli
anni
operava
a
Noto.
Poi
ai
due
subentrò,
dal
1768,
l'architetto
avolese
Giuseppe
Alessi
cui
fu
affidato
il
compito
di
ultimare
alcuni
elementi
della
chiesa,
come
il
disegno
del
coro
e
degli
altari.
Nel
1777
un
abile
stuccatore
di
nome
Serafino
Perollo,
di
origine
elvetica,
realizzò
gli
stucchi
che
potete
oggi
ammirare,
una
volta
entrati
in
chiesa,
in
quello
stile
pienamente
ridondante
del
rococò.
Sulle
pareti
dell'unica
grande
navata,
i
decori
a
stucco
racchiudono
una
serie
di
figure,
che
sono
generalmente
sempre
allegoriche
e,
in
questo
caso
rappresentano
le
Virtú
Cardinali.
Alzando
lo
sguardo
alla
volta
della
navata,
potrete
ammirarvi
infine
la
Gloria
con
i
Santi
Benedetto
e
Scolastica
e
le
allegorie
della
Fede
e
della
Caritá.
CHIESA
DELLA
SANTA
CROCE
E
CONVENTO
DELL'ORDINE
DEI
FRATI
MINORI
CAPPUCCINI
-
Fuori
dalla
cinta
esagonale
in
cui
si
racchiude,
con
perfezione
geometrica,
la
nuova
città
di
Avola,
nell’attuale
Piazza
Crispi,
potrete
ammirare
la
Chiesa
di
S.
Croce
o
dei
Cappuccini.
Qui,
infatti,
subito
dopo
il
terremoto
del
1693,
era
sorto
il
convento
dei
Cappuccini,
che
in
questo
caso
fu
fondato
nell’antico
sito
nel
1580.
La
chiesa
che
oggi
potrete
ammirare
fa
parte
della
struttura
conventuale
dei
Cappuccini.
Essa
contiene
pregiate
opere
d’arte.
Visitandola,
infatti,
potrete
apprezzare
la
bellezza
di
un
prestigioso
ciborio,
di
preziose
essenze
lignee,
che
fu
intagliato
intorno
al
1660
dal
frate
Giuseppe
da
Ragusa
e
venne
posto
sopra
l’altare
maggiore.
Si
tratta
di
un
apparato
ligneo
sormontato
da
un
polittico,
ovvero
una
composizione
composta
da
più
pannelli
collegati
fra
loro,
che
ha
al
centro
l'Esaltazione
della
Santa
Croce,
raffinata
tela
della
fine
del
1500
attribuita
al
pittore
fiammingo
Franz
Van
de
Kaestele.
Osservando
invece
le
parti
laterali
del
polittico,
vi
riconoscerete
sono
raffigurati
le
vergini
e
martìri
di
Santa
Venera
e
Santa
Lucia
da
un
lato,
e
i
santi
Francesco
e
Corrado
dall'altro.
Sul
lato
destra
della
chiesa,
nella
prima
cappella,
si
conserva
l'Estasi
di
S.
Giuseppe
del
1706
di
Giuseppe
Sequenzia
da
Noto.
CHIESA
DELLA
MADONNA
DELLE
GRAZIE
-
L'antico
convento
venne
fondato
in
un
luogo
sopraelevato,
sulla
sponda
destra
della
Bugliola.
Un
tempo
era
custodito
da
un
gruppo
di
monaci
questuantiIi,
poi
è
passato
nelle
proprietà
del
Comune
e
infine
di
privati.
Il
sacerdote
Sebastiano
Li
Gioi,
nel
corso
della
prima
metà
del
1700,
dopo
il
terremoto
del
1693,
per
rivitalizzare
e
ridare
sacralità
a
quei
luoghi,
volle
erigere
questo
convento,
a
sue
spese
e
sopra
i
resti
del
convento
dei
Cappuccini.
Il
sacerdote
concretizzò
tale
suo
desiderio
con
atto
notarile
del
1719
e
realizzò
i
lavori
con
propri
fondi
a
partire
dal
1729.
Il
dormitorio
prese
in
seguito
il
nome
di Eremo
della
Madonna
delle
Grazie.
Si
racconta
di
un
leggendario
ritrovamento,
avvenuto
intorno
al
1760,
sotto
un
grande
masso,
di
una
campanella
e
di
un
bassorilievo
calcareo
raffigurante
la
Madonna
delle
Grazie:
fu
così
che
quel
dormitorio
prese
quel
nome.
Il
convento
si
affaccia,
specialmente
dalla
parte
del
refettorio,
in
un
precipizio
abbastanza
profondo,
e
così
vi
offrirà
un’incantevole
veduta
panoramica.
Da
qui,
potrete
ammirare
una
splendida
veduta,
la
riviera
del
mare
Ionio
con
il
Lido
di
Avola
e
il
lido
di
Noto.
In
prossimità
del
convento
incontrerete
anche
un’edicola
votiva,
dedicata
alla
Madonna
delle
Grazie,
e
proprio
lì,
a
pochi
metri
dal
convento,
potrete
osservare
le
rovine
dell’antica
Avola.
CHIESA
DEL
SACRO
CUORE
DI
GESU'
CONVENTO
DI
SAN
DOMINICO
CHIESA
DELLA
NADONNA
DEL
CARMINE
CHIESA
DI
SANTA
MARIA
DEL
GESU'
CHIESA
DI
SANT'ANTONIO
Architetture
civili
PALAZZO
DEL
FEUDATARIO
PALAZZO
GIAMPICCOLO
PALAZZO
GIANGRECO
PALAZZO
RISCICA
-
Il Palazzo
Riscica fu
una
delle
maggiori
costruzioni
civili
di Avola.
Costruito
nel
Settecento,
sorgeva
sull'odierna
via
Cavour,
a
fianco
della
Chiesa
Madre.
Apparteneva
a
una
importante
famiglia
avolese
da
cui
prendeva
il
nome.
Irreparabilmente
danneggiato
durante
la Seconda
guerra
mondiale,
fu
abbattuto
negli Anni
Sessanta,
per
fare
spazio
a
un
moderno
edificio
residenziale. Del
palazzo
si
conserva
il
grande
arco
dell'ingresso
secondario,
posto
su
Piazza
Regina
Elena
4.
PALAZZO
ALFIERI
PALAZZO
SIRUGO
PALAZZO
TOSCANO
CASA
RISCICA
-
La Casa
Riscica è
un
edificio
residenziale.
È
il
primo
esempio
di
architettura Art
Nouveau.
La
Casa
Riscica
fu
realizzata
nel 1907 su
commissione
dall'avvocato
Ottavio
Riscica,
in
occasione
del
suo
matrimonio
con
Concettina
Alfieri.
L'edificio
fu
progettato
da
Sebastiano
e
Gaetano
Vinci.
Le
decorazioni
floreali,
che
abbelliscono
l'edificio
lungo
tutto
il
perimetro,
vennero
realizzate
da
Giuseppe
Masuzzo.
Riserva
naturale
orientata
Cavagrande
del
Cassibile
La riserva
naturale
orientata
Cavagrande
del
Cassibile è
un'area
naturale
protetta situata
nei
comuni
di Avola, Noto e Siracusa,
in provincia
di
Siracusa.
La
riserva
è
stata
istituita
nel
1990
(D.A.
del
13
luglio),
gestita
dall'Azienda
Foreste
Demaniali
della
Regione
Siciliana;
ne
è
prevista
l'inclusione
nell'area
del
Parco
Nazionale
degli
Iblei,
attualmente
in
fase
di
elaborazione.
La
Riserva
è
nata
con
lo
scopo
di
preservare
le
diverse
ricchezze
del
suo
territorio
sia
dal
punto
di
vista
naturalistico-paesaggistico
sia
sotto
il
profilo
archeologico
ed
antropologico,
visto
che
tutta
la
zona
è
stata
abitata
nel
corso
dei
millenni
e
ne
sono
rimaste
notevoli
testimonianze
in
tombe
e
reperti.
La
Riserva
si
estende
per
2700,00 ettari,
900
ha
nella
zona
A
(riserva)
e
1860,00
ha
nella
zona
B
(preriserva)
ed
è
caratterizzata
dal
corso
del fiume
Cassibile,
l'antico Kakyparis greco,
che
le
dà
nome
e
che
l'ha
creata
nel
corso
dei
millenni
scavando
profonde
gole
o canyon a
diverse
profondità
che
toccano
il
massimo
di
507 m nella
zona
belvedere
di
Avola
antica;
anche
il
luogo
con
l'ampiezza
massima
di
queste
(altrove
strettissime)
gole
è
situato
nella
stessa
zona
di
Avola
antica
e
misura
un'estensione
di
1200
metri
di
larghezza.
Nel
fondovalle
si
è
formato
un
sistema
di
piccole
cascate
e
laghetti
(chiamati
localmente uruvi),
fonte
di
refrigerio
estivo
per
i
suoi
numerosissimi
frequentatori,
al
quale
si
accede
per
un'antica
e
suggestiva
scala
nota
come La
Scala
Cruci.
STORIA
-Difeso
dalle
inaccessibili
pareti
a
strapiombo
della
cava
e
dalla
vicinanza
dell'acqua
i Sicani,
primi
abitanti
conosciuti
di
questo
luogo,
vi
hanno
costruito
una
necropoli,
ancora
oggi
difficile
da
raggiungere.
Intorno
al XIII
secolo
a.C. delle
popolazioni
della
Sicilia
sud-orientale,
forse
spinte
da
genti
italiche
più
agguerrite,
preferirono
rifugiarsi
in
questi
luoghi
impervi
e
ben
difesi.
Si
conoscono
almeno
due
villaggi
rupestri,
quello
settentrionale
che
si
nota
subito
appena
ci
si
affaccia
dal
belvedere,
e
quello
meridionale,
quasi
di
fronte.
Il
primo
risale
ai
secoli XI-X
a.C.,
secondo
per
suggestione
solo
a Pantalica,
in
cui
si
trovano
centinaia
di
tombe
a
grotticella
e
gli
ipogei
paleocristiani
scavati
nelle
pareti,
disposti
uno
a
fianco
dell'altro,
su
ben
sei
differenti
livelli
paralleli.
La
foce
del
fiume
Cassibile
è
un
luogo
storico,
poiché,
secondo Tucidide (7.80),
il
capitano Demostene nel
413
a.C.
con
6.000
Ateniesi
dovette
arrendersi
alla
città
di
Siracusa.
Questi
luoghi
vennero
utilizzati
fino
alla
prima
metà
del
secolo
scorso,
infatti
poco
sopra
i
laghetti
si
trovava
un monastero,
del
quale
si
notano
ancora
delle
rovine
e
le
case
di
alcune
famiglie
di Canicattini come
i
Bombaci
e
gli
Uccello,
che
traevano
il
loro
sostentamento
dalla
coltivazione
di
ulivi, carrube e mandorle.
Questo
luogo
fu
visitato
anche
dal
pittore Jean
Houel nel 1777 durante
il
suo grand
tour:
«Non
appena
arrivato
mi
recai
alla
Cava
Grande:
una
delle
meraviglie
della
Sicilia.
La
parte
più
alta
la
sua
ampiezza
è
pari
alla
sua
profondità.
In
fondo
scorre
il
fiume
Cassibile
che
la
scavata
la
percorre
perché
tutta
la
lunghezza.
È
uno
spettacolo
maestoso
imponente,
sia
che
dalla
riva
del
fiume
si
contempli
l'altezza
delle
rocce,
sia
che
dalla
loro
sommità
si
ammira
vastità
e
la
profondità
della
cava.
Essa
è
piena
di
abitazioni
antiche
scavate
nella
roccia
e
di
grotte
sepolcrali
che
risalgono
a
più
di
2500
anni
fa.»
TERRITORIO
-
Ciò
che
rende
spettacolari
le
cave
a
causa
dello
scorrimento
dei
corsi
d'acqua,
è
la
morfologia
del
grande
canyon
di
Cava
Grande
del
Cassibile,
il Kakyparis dei
greci.
Sul
versante
nord
è
possibile
osservare
un
piccolo
agglomerato
di
abitazioni
rupestri
comunemente
noto
come Grotta
dei
Briganti.
Nel
versante
sud
si
trova
un
complesso
sistema
di
abitazioni
scavate
nella
roccia,
disposte
una
accanto
all'altra
su
sei
diversi
livelli
paralleli,
collegati
tra
loro
da
un
sistema
di
cunicoli
e
gallerie
chiamato dieri di
Cavagrande.
Ai
margini
della
riserva,
a
nord-est,
sorgono
varie necropoli antiche,
nelle
quali
sono
stati
trovati
ricchi
corredi
tombali
e
materiale
ceramico:
la
sua
peculiare
decorazione,
detta piumata o marmorizzata,
rientra
nell'ambito
della cultura
Ausonia presente
nelle
isole
Eolie
e
nella
Sicilia
orientale
intorno
al
1000
a.C.
GROTTA
DEI
BRIGANTI
-
Sul
versante
nord
di
Cava
Grande
è
presente
un
abitato
rupestre
incassato
in
un'ampia
grotta
semicircolare
naturale,
conosciuta
come
"Grotta
dei
Briganti".
Al
suo
interno
vi
sono
circa
venti
ambienti
artificiali
accessibili
mediante
scalini
incisi
nella
roccia,
databili
al
periodo
di
Cassibile
e
di
probabile
funzione
abitativa,
data
la
presenza
di
una
sorgente
naturale.
Gli
ambienti
furono
riutilizzati
in
epoca
bizantina
e
persino
in
epoca
araba.
Gli
arabi
infatti
sfruttarono
la
presenza
dell'acqua
per
conciare
le
pelli,
trasformando
la
grotta
in
una
conceria.
DDIERI
BIZANTINI
-
Sul
versante
sud
di
Cava
Grande
è
presente
un
sistema
di
grotte
e
cunicoli
che
si
sviluppa
per
circa
un
chilometro
su
diversi
livelli
paralleli.
Sono
ipogei
sepolcrali
databili
al
periodo
siculo;
furono
anch'essi
riutilizzati
come
abitazioni
in
epoca
bizantina.
Sono
conosciuti
come
"Ddieri"
(dall'arabo diyar,
casa);
sono
stati
individuati
circa
140
ambienti.
FLORA
E
FAUNA
-
La
flora
di
Cava
Grande
annovera
oltre
400
specie
vegetali
molte
delle
quali endemiche seppur
non
esclusive
di
questo biotopo.
Curiose
le
presenze
del
bucaneve,
dell'euforbia
delle
faggete
e
della
falsa
ortica;
fra
le
rarità
è
da
segnalare
la
presenza
di
una
felce
tropicale
la Pteris
vittata.
Piuttosto
contenuta
è
la
presenza
di
fauna
vertebrata,
con
eccezioni
relative
agli uccelli:
sono
presenti
l'endemita codibugnolo
di
Sicilia,
la
poiana
e
il falco
pellegrino.
D'altra
parte,
vi
sono
vertebrati
che,
nell'ambito
del
territorio
ibleo,
potrebbero
vivere
e
vivono
solo
nella
cava:
l'istrice,
la martora,
la
testuggine
terrestre,
la
testuggine
di
palude
siciliana,
il colubro
leopardino,
il discoglosso,
la raganella,
oltre
a
numerosi
rapaci
diurni
e
notturni.
Tra
gli
invertebrati
merita
una
nota
il
granchio
d'acqua
dolce Potamon
fluviatile.
Tonnara
La
tonnara
di
Avola
è
una
delle
numerose
tonnare,
oggi
dismesse,
che
si
trovano
in
questa
zona.
Nelle
vicinanze
si
trovano
anche
le
tonnare
di
Vendicari,
Marzamemi,
Capo
Passero
e
Santa
Panagia.
Questo
ci
dà
chiara
testimonianza
di
una
fiorente
attività
legata
alla
pesca
del
tonno,
oltre
che
la
presenza
di
un
mare
ricco
di
pesci.
La
tonnara
si
trova
in
prossimità
del
fiume
Asinaro,
e
forse
anche
per
questo
è
nota
con
il
nome
Tonnara
del
fiume
di
Noto.
Al
largo
di
questa
zona
c’era
il
sistema
di
reti
appositamente
creato
per
la
mattanza.
Accanto
alla
tonnara
si
trova
l’antico
borgo
marinaro,
dove
si
svolgeva
la
vita
degli
antichi
pescatori.
Oggi
la
zona
è
stata
riqualificata,
ci
sono
numerosi
locali
dove
mangiare
ottimi
cibi
della
tradizione.
La
spiaggia,
molto
bella,
è
uno
dei
luoghi
dove
fare
il
bagno
in
questa
zona.
Mandorle
di
Avola
Morbide
e
golosissime,
le
mandorle
di
Avola
sono
celebri
protagoniste
della
gastronomia
non
solo
locale.
Le
mandorle
sono
i
frutti
di
una
rosacea
(prunus
dulcis)
che
produce
fiori
ermafroditi
di
colore
bianco
o
rosato,
poi
drupe
con
mallo
e
seme.
La
pianta,
dalle
foglie
lanceolate,
raggiunge
un’altezza
media
di
5
metri.
La
terra
di
coltura
del
mandorlo
è
la
Sicilia
sud-orientale,
tra
Ragusa
e
Siracusa,
nella
fascia
compresa
fra
il
mare
e
le
colline.
Originario
dell’Asia,
questo
albero
arriva
nel
bacino
del
Mediterraneo
attraverso
l’Asia
minore:
la
drupa
verdeggiante
e
vellutata
custodisce
gelosamente
il
frutto.
In
Sicilia
giunge
grazie
ai
Greci:
è
per
questo
che
i
Romani
lo
indicano
anche
come
“noce
greca”.
Il
mandorlo
fiorisce
in
inverno
e
riesce
a
prosperare
solo
nelle
zone
in
cui
non
si
presentano
gelate
tardive.
Sono
ben
300
le
varietà
coltivate
in
queste
fertili
terre,
di
cui
le
più
richieste
si
trovano
proprio
nel
Siracusano,
ad
Avola
e
Noto.
Famosissima
in
campo
dolciario
è
la
“Pizzuta
d’Avola”,
una
varietà
che
fu
selezionata
nell’Ottocento
da
Giuseppe
Bianca,
un
botanico
originario
di
Avola,
che
matura
tra
fine
luglio
e
inizio
agosto
ed
è
particolarmente
ricercata
per
la
produzione
di
confetti.
Il
presidio
Slow
Food
“Mandorle
di
Noto”
la
tutela,
assieme
alle
cultivar
“Romana”
e
“Fascionello”.
Questi
frutti
vengono
impiegati
per
la
realizzazione
di
torroni,
pasta
martorana
e
per
lo
squisito
“gelo
di
mandorle”,
un
delicato
dolce
al
cucchiaio.
Per mandorla
di
Avola si
intendono
tre cultivar (Pizzuta
d'Avola,
Fascionello,
Corrente
d'Avola
o
Romana)
che
sono
originarie
del
territorio
di Avola.
La
mandorla
di
Avola
è
un
prodotto
di
qualità
conosciuto
in
tutto
il
mondo,
protetto
da
un
apposito
consorzio
che
certifica
i
singoli
passaggi
della
sua
lavorazione
e
della
messa
in
commercio.
La
specializzazione
produttiva
della
mandorla
in
Sicilia
è
attestata
da
numerosi
studi
come
ad
esempio
nelle
opere
del
botanico Giuseppe
Bianca e
in
epoca
più
recente
di
Francesco
Monastra.
La
storia
della
produzione
aziendale
mandorlicola
sul
territorio
avolese
è
segnata
in
particolare
dalla
presenza
della
fabbrica
Marzipan,
del
Cavalier
D'Agata
e
figli,
che
esportava
nel
mondo
già
nei
primi
anni
del
Novecento.
-
La Pizzuta ha
un
guscio
liscio
e
duro
che
presenta
dei
piccoli
pori.
Il
suo
seme
ha
la
forma
di
una
ellisse
piatta,
il
cui
colore
è
rosso
cuoio.
È
la
mandorla
eletta
della
confetteria
e
della
pasticceria
per
la
sua
raffinata
qualità. Giuseppe
Bianca descrive
la
mènnula
pizzuta
come:
"Cuspidata.
A
peduncolo
sottile.
Ettocarpo
tenue,
corrugato-bolloso,
graucescenti-cinereo,
con
spuntone
lunghetto,
ricurvo
lateralmente
ed
ostiolo
sub
circolare.
Endocarpo
schiacciato,
obliquamente
largo-lanceolato-curvo,
di
colore
tendente
al
lanè,
con
la
superficie
liscia,
radamente
e
leggermente
bucherata,
e
poche
strie
raggianti
nei
lati
anteriori
della
base;
sutura
dorsale
ottusangola,
poco
curvata,
intaccata
per
quasi
un
centimetro
sul
rostro
apicilare;
la
ventrale
acutangola
affilato-alata,
scorrente
alla
base,
denticolato-erosa,
ordinariamente
storta,
curvato-ascendente;
apice
lungamente
rostrato
acuminato,
ripiegato
all’infuori
quasi
sempre
stortamente,
fragile
in
punta.
Seme
unico,
dolce.
Varietà
assai
produttiva
e
di
tornaconto".
-
Il
Fascionello
è
ampiamente
utilizzato
nella
pasticceria
e,
pur
non
presentando
la
stessa
forma
elegante
della
Pizzuta,
viene
comunque
impiegato
nell’industria
confettiera
grazie
alla
sua
delicata
fragranza.
-
Il
seme
della
Romana
o
Corrente
d'Avola
è
di
forma
irregolare
e
presenta
una
gemellarità
molto
più
elevata
rispetto
alle
altre
due
varietà.
La
Romana
è
utilizzata
esclusivamente
nella
pasticceria
ed
anche
di
questa
varietà.
Dalla
coltivazione
alla
pelatura
-
Le piante della
Mandorla
di
Avola
fioriscono
tra
la
fine
di dicembre e
i
primi
di gennaio,
circa
due
mesi
in
anticipo
rispetto
agli
altri
alberi
siciliani,
a
causa
delle
particolari
condizioni
climatiche
della
loro
zona
di
produzione.
Il
prolungato
periodo
di
maturazione
rende
questi
frutti
ricchi
di
componenti
nutrizionali
mentre
i
durissimi
gusci
ne
impediscono
l’attacco
da
parte
di
funghi
e
parassiti
rendendole
un
concentrato
di principi
attivi.
La
raccolta
del
frutto
del
mandorlo,
che
viene
realizzata
in
modo
prevalentemente
manuale,
agevolata
da
una
abbacchiatura
praticata
con
canne
e
pertiche,
avviene
dalla
fine
di luglio ai
primi
di settembre.
I frutti sono
poi
raccolti
con
teli
stesi
sotto
gli
alberi.
Dopo
la
raccolta,
le
mandorle
prive
del
mallo
sono
fatte
asciugare
al sole per
circa
cinque
giorni.
In
seguito,
il
prodotto
è
condotto
negli
stabilimenti
di
lavorazione
e
sottoposto
alle
operazioni
di
sgusciatura,
separazione
del
seme
dal
guscio
e
selezione
manuale
del
prodotto.
La
mandorla
al
naturale
può
essere
sottoposta
anche
alla
pelatura,
ulteriore
fase
di
lavorazione
che
serve
ad
eliminare
il
tegumento
protettivo
del seme.
La
lavorazione
e
commercializzazione
della
«Mandorla
di
Avola»
-
La
lavorazione
e
commercializzazione
della
mandorla
di
Avola,
non
solo
ha
origini
antichissime
e
centenarie
ma
ha
addirittura
rappresentato,
fino
agli
anni
cinquanta
del
Novecento
il
settore
economico
che
ha
dato
maggior
sostentamento
al
territorio
avolese.
Questo
fortunato
settore,
oltre
alle
decine
di
aziende
impegnate
direttamente
nella
lavorazione
e
commercializzazione,
coinvolgeva
anche
gli
impiegati
delle
officine
di
costruzione,
degli
impianti
di
imballaggio,
delle
aziende
di
trasporto
e
dei
laboratori
di
trasformazione
offrendo
impiego
non
solo
ai
cittadini
avolesi
bensì
a
gran
parte
dei
lavoratori
provenienti
dal
territorio
siracusano.
La
Marzipan
-
La
Marzipan
del
Cavaliere
D’Agata
e
figli
è
una
delle
aziende
che
agli
inizi
del
Novecento
spiccava
a
livello
internazionale
per
dimensione
e
capacità
commerciale
e
rappresentava
la
testimonianza
più
tangibile
dell’importanza
della
mandorlicoltura
nella
storia
economica
della
città
di
Avola.
La
sua
nascita
rappresentò
un
evento
così
importante
da
essere
annunciato
in
un
ampio
articolo
pubblicato
sull’Almanacco del
1912
all’interno
del
quale
si
sosteneva
che
per:
«la
modernità
degli
impianti
e
l’accuratezza
della
lavorazione
può
competere
con
le
migliori
aziende
straniere».
L’azienda
del
Cavaliere
D’Agata
iniziò
ad
operare
nel
territorio
avolese
già
a
partire
dal 1912 e
visse
in
prosperità
fino
agli anni
sessanta,
rappresentando
fino
alla
sua
definitiva
chiusura
la
più
importante
azienda
di
lavorazione,
trasformazione
e
commercializzazione
del
settore
mandorlicolo
siciliano
non
solo
nel
territorio
avolese
ma
in
tutta
la
penisola
italiana,
intrattenendo
rapporti
commerciali
anche
con
la Francia,
l'Inghilterra e
la Germania.
La
mandorla
nella
pasticceria
-
La
tradizione
dolciaria
siciliana
si
sviluppa
soprattutto
in
due
ambienti
molto
diversi
fra
loro;
la
famiglia
contadina
all’interno
della
quale
erano
le
donne
a
preparare
i dolci in
occasione
delle
feste
religiose
e
famigliari
e
l'ambiente
monastico.
Erano
infatti
le monache
di
clausura a
realizzare
i
dolci
in
occasione
della Pasqua,
della Settimana
Santa,
della
commemorazione
dei
defunti e
del Natale,
e
le
loro
ricette
rappresentano
l’eccellenza
pasticciera
siciliana.
Tra
i
dolci
nati
per
commemorare
eventi
religiosi
ricordano:
i
pani
rituali
a
base
di farina, uova, zucchero, pasta
reale e ricotta
dolce a
cui
vengono
date
forme
diverse
in
base
ai
riferimenti
simbolici
cristiani,
la cassata,
le
pecorelle
di
pasta
reale,
le
crespelle
di Catania e
le
schiumette
di Siracusa.
Ogni provincia o,
addirittura,
ogni città utilizza
da
secoli
le
mandorle
in
modi
differenti
per
realizzare
prodotti
culinari
tipici.
Dolci
tipici
siciliani
realizzati
con
Mandorla
di
Avola
-
Il Marzapane:
composto
realizzato
con
pasta
di
mandorle
dolci,
albume
d’uovo
e
zucchero
il
cui
nome
deriva
dalla
parola
araba
"Mauthaban",
termine
che
stava
ad
inidicare
inizialmente
una
moneta
e,
successivamente,
un’unità
di
misura.
La Frutta
martorana:
la
tradizione
vuole
che
il
nome
di
questo
dolce
ricavato
dalla
pasta
di
mandorle
si
debba
al
Monastero
della
Martorana
di
Palermo
all’interno
del
quale
le
monache
erano
solite
preparare
con
la
pasta
reale
frutta
di
stagioni
diverse,
appendendola
poi
agli
alberi
del
chiostro
del
monastero,
in
occasione
della
visita
di
ospiti
di
ordine
monastico
superiore.
Il Torrone:
gli
studiosi
sono
oggi
concordi
nell’attribuire
al
torrone
origini
arabe.
A
sostegno
di
tali
tesi
vi
sono
diversi
documenti
tra
cui
un
trattato
dell'XI
secolo
scritto
da
un
medico
arabo:
il De
medicinis
et
cibis
semplicibus,
all’interno
del
quale
è
citato
il turun.
Esistono
diversi
tipi
di
torrone
che
variano
di
città
in
città,
i
più
noti
sono
quelli
realizzati
con
mandorle
di
Avola
e pistacchio
di
Bronte.
La Cassata:
il
suo
nome
deriva
dal
termine
arabo Quas'at cioè
"ciotola
rotonda".
Nasce
intorno
all’anno
mille
nelle
cucine
del
palazzo
dell’Emiro
grazie
alla
maestria
dei
cuochi
che
si
dilettavano
ad
accostare
sapori
e
colori
differenti,
appartenenti
alla
tradizione
culinaria
saracena.
Inizialmente
questo
dolce
veniva
preparato
solo
durante
la
Pasqua;
oggi,
invece,
si
può
gustare
nelle
pasticcerie
e
nei
bar
siciliani
tutto
l’anno.
La
cassata
sintetizza
lo
stile
barocco
e
quello
arabo
che
caratterizzano
l’arte
e
la
cucina
siciliana.
Il Latte
di
mandorla è
una
bibita
dissetante
che
può
essere
utilizzata
dai
soggetti
intolleranti
al
lattosio,
in
sostituzione
del
latte
vaccino.
Il
latte
di
mandorla
è
molto
energetico
grazie
alla
sua
combinazione
di
ingredienti:
mandorle,
acqua
e
zucchero.
La
«mandorla
di
Avola»
nella
confetteria
-
La
varietà
di
mandorla
favorita
dalla
confetteria
è
la
Pizzuta
d’Avola
che
con
la
sua
forma
appiattita
e
ovale
e
le
sue
qualità
organolettiche
permette
allo
zucchero
di
modellarsi
perfettamente
su
di
essa,
senza
l’aggiunta
di
altri
ingredienti.
La
Pizzuta
d’Avola
insieme
al
Fascionello
costituisce
il
prodotto
di
alta
gamma
della
confetteria.
Entrambe
le
cultivar
rappresentano
le
varietà
più
ricercate
sul
mercato
nazionale
e
internazionale
e
la
loro
produzione
è
esclusiva
delle
province
di
Siracusa
e Ragusa,
grazie
alle
particolari
caratteristiche
pedoclimatiche
di
tali
territori.
La
lavorazione
dei
confetti
-
Il confetto con
mandorla
di
Avola
è
tradizionalmente
formato
da
un
nucleo
interno
costituito
da
una
singola
mandorla
intera,
sgusciata
e
pelata,
appartenente
alla
cultivar
Pizzuta
o
Fascionello.
Tale
nucleo
detto
anima
è
poi
rivestito
da
diversi
strati
di
zucchero
sovrapposti
per
successive
bagnature.
Le
dimensioni
del
confetto
così
come
il
suo
peso
variano
in
base
alla
calibratura
della
mandorla
impiegata,
che
oscilla
tra
la
misura
34
e
la
38.
Il
confetto
con
mandorla
di
Avola
mantiene
la
forma
appiattita
del
seme
e
non
presenta
lesioni
o
screziature;
per
tale
ragione,
la
sua
superficie
esterna
appare
di
colore
bianco
porcellanato
ed
è
liscia
al
tatto.
Per
ottenere
la
perfetta
zuccheratura
vengono
utilizzate
le
bassine
ovvero
caldaie
preferibilmente
in
rame
o
acciaio,
in
continua
rotazione,
dove
vengono
lavorate
le
mandorle
con
lo
zucchero.
Rispetto
al
tradizionale
confetto
romano
realizzato
con
miele
piuttosto
che
zucchero
per
festeggiare
nascite
e
matrimoni,
la
colorazione
esterna
è
una
caratteristica
più
recente.
Si
sono
affermate
colorazioni
diverse
in
associazione
a
diversi
eventi.
I
confetti
per
il matrimonio,
la prima
comunione e
la cresima sono
bianchi,
azzurri
o
rosa
sono
i
confetti
per
la
nascita
ed
il
battesimo
e
verdi
quelli
per
il fidanzamento.
Sono
generalmente
rossi
quelli
per
la laurea e
variopinti
quelli
che
si
adoperano
per
festeggiare
i
compleanni.
Dalla
fine
del
Novecento
l’anima
del
confetto
è
stata
spesso
sostituita
da
ingredienti
quali nocciola, cannella, cioccolato, canditi vari
e pistacchio che
però
non
eguagliano
il
sapore
raffinato
e
delicato
del
confetto
classico
tradizionale.
Nero
d'Avola
Il Nero
D'Avola,
o Calabrese,
è
un vitigno a
bacca
nera siciliano.
Originario
delle
contrade
siracusane
di
Noto
e
Pachino,
è
prodotto
in
particolare
nelle
province
di
Agrigento,
Trapani
e
Palermo,
ma
anche
di
Caltanissetta,
Siracusa,
Ragusa,
vanta
circa
15.000
ettari
di
superficie
complessiva.
Esistono
diverse
differenze
di
carattere
fra
i
Nero
D'Avola
prodotti
nella
parte
centro
occidentale
della
Sicilia
e
quelli
della
zona
sud-orientale:
i
primi
risultano
quasi
sempre
più
fruttati
e
dolci
al
palato;
i
Nero
D'Avola
coltivati
nella
zona
sud-orientale,
sono
decisamente
più
fini
e
articolati,
con
spiccati
sentori
di
fiori
secchi
e
spezie.
Il
nome
deriva
dal
frutto
a
"bacca
nera",
e
dalla
città
siracusana
di Avola.
Il
sinonimo
"Calabrese",
con
cui
il
vitigno
era
indicato
nell'Ottocento,
nasce
probabilmente
da
un'errata
italianizzazione
del siciliano "Calaravrisi",
che
significa
"uva
(cala)
di
Avola". Altri
sinonimi
utilizzati
sono
infatti
Calea-Aulisi
e
Calaulisi.
I
vini
prodotti
da
uve
di
Nero
D'Avola
sono
esportati
in
tutto
il
mondo.
Presentano
una
buona
acidità
che
dà
loro
possibilità
di
lungo
invecchiamento,
se
ben
conservati
e
se
provenienti
da
alcune
zone,
soprattutto
quelle
dette
prima,
meglio
ancora
se
provenienti
da
uve
coltivate
con
il
tradizionale
sistema
detto
ad
"alberello"
portato
in
Sicilia
dai
Greci
fra
il
VIII
e
il
VII
secolo
a.C.
Sono
tipicamente
vini
di
forte
carattere,
talvolta
un
po'
spigolosi
talvolta
molto
eleganti.
Al
naso
presentano
vari
sentori:
alcuni
di
spezie
e
viole,
altri
di
frutta
a
bacca
rossa
più
o
meno
matura,
altri
ancora
caratteristici
profumi
eterei
dovuti
all'alcolicità.
Il
Nero
D'Avola
è
presente
sul
mercato
sia
in
purezza
sia
assieme
ad
altre
uve.
Il
più
antico
di
questi
uvaggi
è
il Cerasuolo
di
Vittoria DOCG
(titolo
alcolometrico 13%)
ricavato
da
Nero
D'Avola
e Frappato,
che
è
prodotto
sulla
costa
meridionale
della
Sicilia
fra
Ragusa
e
Gela.
Ai
nostri
giorni,
talvolta
è
utilizzato
per
il
blending
con
vini
come
il Merlot,
il Cabernet-sauvignon e
soprattutto
con
il Syrah.