Avola
(Siracusa)
  
  

   

A pianta esagonale, si affaccia sulla costa ionica della Sicilia orientale nel golfo di Noto.  

Secondo taluni, l'origine della città risale a Hybla Major sita in prossimità della costa sud-orientale della Sicilia. La zona, abitata precedentemente dai Sicani, fu invasa dai Siculi e divenne teatro di lotte per il predominio sulla regione.

Il termine Hybla non è greco ma pre-ellenico, probabilmente sicano, ed è il nome di una Dea adorata da entrambe le popolazioni (identificata poi con l'Afrodite ellenica).

I Siculi combatterono gli indigeni e si insediarono definitivamente sul territorio a cavallo fra il XIII e il XII secolo a.C. Dell'epoca dei Siculi sono testimonianza i numerosi reperti, soprattutto vasellame e stoviglie, rinvenuti in alcune tombe in quella che è oggi la Riserva naturale orientata Cavagrande del Cassibile.

Successivamente i Greci colonizzarono la zona intorno alla metà dell'VIII secolo a.C. trovando una civiltà già influenzata e raffinatasi a contatto con i Fenici.

Durante il IV sec. a.C. il sito conobbe la dominazione del tiranno Dionisio I di Siracusa. Nel III secolo a.C., a seguito della Prima guerra punica, il predominio greco-cartaginese passò ai Romani che costituirono la provincia di Sicilia (227 a.C.), pur lasciando un'ampia autonomia a Siracusa e a tutti i possedimenti di questa città nella parte sudorientale dell'isola, fra cui anche la zona di Hybla Major. 

La soppressione delle istituzioni statuali siracusane nel corso della seconda guerra punica, vide l'occupazione militare romana di tutta la Sicilia sud orientale attorno alla metà del penultimo decennio del III secolo a.C. (definitiva dopo la caduta di Siracusa nel 212 a.C.).

Con la dominazione romana, protrattasi fino al 450 circa, tutto il territorio perse il suo antico splendore. 

A seguito delle devastazioni e dei saccheggi operati dai Vandali che occuparono l'intera Sicilia attorno alla metà del V secolo, venne cancellato persino il ricordo di Hybla major e la zona si tramutò in una landa semideserta. Tale situazione si protrasse durante la dominazione ostrogota (V-VI secolo) e bizantina (VI-IX secolo). In epoca araba (IX-XI secolo) il territorio si andò progressivamente ripopolando ma un modestissimo borgo, sul luogo di Avola vecchia, nacque con ogni probabilità solo durante la dominazione normanna o sveva (XI-XIII secolo).

Divenuta dal 1358 signoria della famiglia Aragona, si ebbe un certo risveglio demografico ed economico del paese che si intensificò nel corso del XVI e del XVII secolo soprattutto durante la signoria di Carlo d'Aragona Tagliavia. Alla vigilia dei grandi sconvolgimenti tellurici del 1693, Avola, ancora abbarbicata sulle colline iblee, che si trovano alle spalle dell'attuale abitato, doveva avere una popolazione non inferiore ai seimila abitanti. Ma in quell'anno, ed esattamente il 9 e l'11 gennaio, un violento terremoto, che distrusse la cittadina e numerosi altri centri urbani della Sicilia orientale (fra cui anche Siracusa e Catania), costrinse la popolazione superstite a spostarsi nell'ampia costa sottostante, a otto chilometri di distanza, e a rifondare Avola nel luogo dove prima vi era solo un'estesa e deserta pianura affacciata sul mare, così che Avola da un paese di montagna, si trasformò (a causa del terremoto) in una piana cittadina marittima.

I lavori di ricostruzione iniziarono negli anni immediatamente successivi al cataclisma per volere del Principe Nicolò Pignatelli Aragona che affidò la progettazione del nuovo abitato a padre Angelo Italia, noto architetto siciliano appartenente all'ordine dei Gesuiti; la città fu edificata a pianta centrica e secondo una struttura geometrica esagonale.

Nel corso del XVIII e XIX secolo Avola fu abbellita da alcune pregevoli costruzioni civili (Palazzo Ducale, Palazzo di Città, Teatro Comunale ecc.) e religiose (chiese di Sant'Antonio Abate, Sant'Antonio di Padova e la fastosa Chiesa Madre). Nei primi decenni del XX secolo vennero eretti anche alcuni eleganti villini liberty che dettero, e continuano a dare, ulteriore lustro al centro cittadino.

Avola, confinante con Cassibile a nord-est e con Noto a sud-ovest, era stata la prima località d'Italia a subire un tentativo d'invasione, ancor prima dei giorni stabiliti per Husky: la sua spiaggia era stata coinvolta all'alba del 4 luglio 1943 in un incontro a fuoco con due cacciatorpediere britanniche e un gruppo di commandos che lasciò sulla sabbia solo un gommone, ritirandosi a seguito del contrattacco della difesa costiera siciliana, che rispose con i propri cannoni.

Avola fu anche la prima città del settore dell'8ª Armata britannica a iniziare a combattere, il 9 luglio, poiché i suoi difensori vennero impegnati fin dalle prime ore serali dall'assalto dei paracadutisti americani, finiti nell'area siracusana per errore: erano i componenti del 505th Infantry Regiment degli Stati Uniti, che invece di giungere a destinazione sul settore della piana di Gela, erano stati lanciati a parecchi chilometri di distanza dal loro obiettivo, a causa del forte maltempo. La venuta degli americani si rivelò comunque di grande aiuto per i britannici (anche se vi fu tra essi un episodio di fuoco amico per via dell'inaspettata presenza statunitense in zona).

Tra le 21:00 e le 22:00 del 9 luglio si paracadutarono sopra Avola 320 soldati statunitensi; lo scontro più arduo avvenne presso contrada Santa Venericchia, uno dei posti di blocco assegnati dal generale D'Havet al 374º battaglione del 146º reggimento, 206ª divisione costiera, che difendeva tutta l'area di Avola (a nord Caponegro, Falaride, Tremoli; a sud Cicirata, Punta Giorgi, fino a Calabernardo), posto sotto le direttive del maggiore Umberto Fontemaggi. Santa Venericchia presidiava il ponte del torrente Mammaledi, piuttosto fangoso e privo di acqua: il plotone del ponte era composto da 22 uomini, comandati dal tenente netino Luigi Ignazio Adorno.

Gli americani erano atterrati in massima parte a nord-ovest della città, nelle vie che conducevano all'antico abitato, tra le contrade Bochini e Mutubé. Il primo scontro dei paracadutisti con gli italiani avvenne in contrada Archi, dove vi fu il primo caduto militare di Avola: il sottotenente Biagio Spina.

Subito dopo entrò in azione il plotone di Adorno, il quale ingaggiò una lotta con gli statunitensi nei dintorni del torrente Mammaledi, all'interno di un fitto uliveto. La lotta volse decisamente a favore dei fanti del battaglione costiero, poiché gli americani non ebbero tempo di raggrupparsi: alcuni di essi ancora incastrati sui rami degli alberi tramite il loro paracadute.

Gli avolesi, mentre giungevano in quella zona fuggendo dalle loro case poste sulla riva sotto assedio, videro una grande quantità di paracaduti appesi a carrubi e mandorli, oltre che agli ulivi; vicino a quei tronchi, soldati con la faccia nera e con i mitra puntati verso punti imprecisati nell'oscurità, si muovevano in coppia: i paracadutisti, nel tentativo di mimetizzarsi con la vegetazione e nascondere il pallore dei loro volti alla luce delle stelle, in assenza di quella lunare, si erano difatti cosparsi la faccia col fango.

La gente, passando, osservò i numerosi morti e feriti sulle strade acciottolate che conducevano ad Avola Antica. Il buio impenetrabile del boschetto, nel quale stava avvenendo lo scontro maggiore, rendeva gli attacchi per entrambe le parti più difficoltosi.

Giunti all'alba, il caposaldo di Santa Venericchia poteva dire di aver respinto con successo il tentato ingresso statunitense a nord della città. Circa 200 paracadutisti erano stati catturati ad Avola: scontri cruenti tra il 505th Infantry e gli uomini di Fontemaggi erano avvenuti inoltre presso il cimitero (posto a pochi metri della stazione ferroviaria e divenuto il luogo nel quale gli avolesi avevano rinchiuso i militari americani). Ciononostante, l'arrivo dei britannici, che nel frattempo erano sbarcati sulle spiagge di fronte, rese vani gli sforzi compiuti nella notte; a Santa Venericchia si riprese quindi a combattere: per il piccolo plotone, ultimo ad arrendersi, sarà una mattanza.

Fu in tali circostanze che gli inglesi, scambiando gli statunitensi superstiti della battaglia per tedeschi, cominciarono a sparare loro contro; i paracadutisti non risposero al fuoco ma si ripararono nel boschetto del fiume. I britannici si sorpresero non poco.

Gli americani imprecarono a loro volta Infine, i paracadutisti vennero liberati, rifocillati dal loro alleato e rispediti al campo base in Nord Africa). Altri di quei 320 uomini, quelli che erano sfuggiti alla cattura, si erano invece riversati tra le strade di Avola, prendendo parte alle operazioni che avrebbero portato alla conquista della cittadina iblea.

Avola era uno dei centri urbani più popolosi del siracusano: all'epoca contava oltre 20 000 abitanti. Sorgendo a ridosso della spiaggia e confinando con Siracusa, rappresentava un importante obiettivo strategico per gli Alleati.

Mentre Siracusa e Catania venivano bombardate, anche Avola, intorno alle 22:00 del 9 luglio, veniva pesantemente presa di mira dai bombardieri alleati: l'area intorno alla sua stazione ferroviaria fu il luogo più colpito: 50 le vittime, soprattutto bambini (la maggior parte delle persone rimaste uccise dalle bombe aveva un'età compresa tra i 2 e i 17 anni). La tragedia spinse gli avolesi a sfollare in tutta fretta dalle loro case, che presto divennero esse stesse parte del teatro bellico, dal momento che sul suolo urbano si stava sviluppando la guerriglia.

I britannici sbarcarono presso due spiagge di Avola che essi chiamarono Jig Green Beach e Jig Amber Beach, conosciute anche più semplicemente come Jig, divise in North e South: la prima corrispondeva all'attuale spiaggia del Lungomare Tremoli, poco prima di Lido di Avola, mentre la seconda si trovava tra Punta Giorgi e l'odierno villaggio di Calabernardo (dove si entra già in territorio netino), nei pressi della foce dello storico fiume Asinaro.

Qui a toccare terra per primi furono gli uomini della 151ª brigata, appartenenti alla 50ª divisione fanteria "Northumbria", con i loro tre battaglioni: 6º , 8º e 9º battaglione della Durham Light Infantry, intorno alle 3:00 di notte, tra Jig Green e Marina di Avola (nei pressi dell'antica tonnara). I fanti vennero accolti dalle mitragliatrici italiane, subendo diverse perdite; conquistarono le due spiagge alle 6:19 (il 6° e il 9° Durham si diressero al Mammaledi, andando a liberare, inaspettatamente per loro, gli americani).

Il 10 luglio ad Avola sbarcò anche la 69th Infantry Brigade (con altri due battaglioni, più un reggimento: il 6º e il 9º Green Howards e il 5º East Yorkshire Regiment). Obiettivo di questa brigata erano le alture dietro le spiagge di Avola e da lì muoversi in direzione Floridia.

Abbattute le difese costiere, i primi battaglioni dovevano conquistare Avola; al 6° Durham si unì per caso una compagnia del 1º battaglione del King's Own Yorkshire Light Infantry (5ª divisione), che avendo smarrito la propria spiaggia assegnata per lo sbarco, dal settore di Cassibile era finita in quello di Avola.

Tra i tanti caduti, un nome in particolare è rimasto impresso nella memoria degli avolesi, quello del mitragliere Giuseppe Borbone di Raddusa, decorato con medaglia d'argento alla memoria, che faceva parte di un esiguo numero di difensori - meno di un centinaio - posti alle spalle di Lido d'Avola col compito d'impedire al nemico di raggiungere il centro della città. I fucilieri britannici, sbarcati presso il lungomare Tremoli, stavano risalendo da una via dritta e lunga, chiamata via Lido, che conduceva da est alla piazza principale, Umberto I, ma all'entrata del centro si trovarono un fortino in cemento armato con mitragliatrice. I fanti italiani che lo circondavano caddero uno dopo l'altro ma riuscirono a tenere fermo il nemico per diverse ore. Giuseppe Borbone, rimasto solo e salito sul tetto del fortino, continuò a sparare fino a quando non venne raggiunto da un inglese che gli arrivò alle spalle, uccidendolo con un colpo di fucile alla testa.

La lotta per la presa di Avola coinvolse vicoli e tetti delle case: tra i rastrellatori vi erano anche paracadutisti americani, uniti sotto il comando del loro tenente Charles E. "Pinkie" Sammon, che tra quei vicoli andava inconsapevolmente incontro ad altri gruppi armati di britannici: Sammon era reduce da un attacco verificatosi nel cimitero di Avola, all'interno del quale i suoi uomini, reagendo all'attacco degli italiani, avevano ucciso tre serventi del cannone nemico. Spari e lanci di bombe a mano, che distrussero numerose abitazioni, vennero fatti cessare solo quando gli inglesi ebbero timore di ferirsi a vicenda, anche perché Avola era ormai circondata dai loro battaglioni.

Alle 8 del mattino, il comando britannico del &° Durham Light Infantry era riuscito a insediarsi all'interno di Avola, nonostante vi fossero ancora dei cecchini a sparargli contro. Sul Mammaledi il plotone di Adorno perse 14 uomini; i restanti 8 feriti. Nonostante fosse stato soccorso da un gruppo di finanzieri giunti da Fontane Bianche, il caposaldo di Santa Venericchia dovette dichiarare la resa alle 10:00 del mattino: Adorno, in un primo momento colpito al petto e catturato, lanciò una bomba a mano su un carro armato inglese, uccidendone gli occupanti; per tale motivo i britannici lo uccisero, concedendogli però l'onore delle armi. Senza più difese, dato che erano rimasti circa 70 soldati contro interi battaglioni avversari, il maggiore Fontemaggi si asseragliò con i suoi uomini nella sede di comando del battaglione, posto in via Venezia: qui ci furono altri tre caduti. Dichiararono la resa quando finirono le munizioni, alle 14:30 del pomeriggio.

La popolazione civile di Avola patì anch'essa le varie fasi della conquista bellica. In questo caso la gente non venne perseguita in massa fin nei rifugi improvvisati (pure qui dati essenzialmente dalle grotte sulle alture iblee) e incolonnata a mo' di prigionieri, ma si verificarono ugualmente gli eccessi: ad esempio un civile, Salvatore Piccione, che si trovava insieme a molta altra gente in cerca di riparo nei pressi del cimitero, venne ucciso da due paracadutisti americani, perché reo di portare con sé un fucile; i due gli spararono alle spalle e spezzarono il suo fucile, facendo scappare via i civili terrorizzati.

Pure ad Avola vi furono casi di stupri e violenze da parte dei soldati ai danni delle donne: mentre a Cassibile la colpa ricadde del tutto sulle truppe indiane, gli avolesi parlarono in maniera più generica di soldati di colore (riferendosi probabilmente ad altre truppe coloniali dell'Impero britannico, come gli aborigeni della Nuova Zelanda o del Sudafrica) e di americani. Tuttavia, parlando di americani, va considerato che l'inaspettata presenza statunitense ad Avola contribuì a creare in gran parte della popolazione l'errato ricordo di un'invasione unicamente americana anche nel siracusano. Per cui, per i testimoni, che all'epoca dei fatti erano anche molto giovani, i soldati di lingua inglese diventavano tutti americani, occultando o dimenticando piuttosto la presenza britannica, che nel siracusano, data la severa divisione attuata al principio dalle due armate, era assolutamente maggioritaria, rispetto anche alla presenza canadese. La popolazione femminile di Avola, per sfuggire alle violenze, si nascose in luoghi impervi, ma come più volte accadde per i cassibilesi, non sempre nascondersi funzionava. Nei primi giorni post-conquista si verificarono episodi di resistenza e ritorsione sui soldati, attuati dai familiari delle vittime: soldati vennero trovati annegati nei pozzi o uccisi in altre maniere; per contro, persero la vita anche diversi avolesi nel tentativo di difendere le donne. Questo inquietante fenomeno, così come successe a Cassibile, e più avanti anche a Siracusa, venne fortunatamente arginato quasi subito dalla polizia militare, che non tollerava tali eccessi e castigava severamente gli aggressori.

Il 2 dicembre 1968, a causa di un'ondata di scioperi, organizzati dai lavoratori agricoli di Avola e provincia per l'eliminazione delle "gabbie salariali", del "caporalato", e la istituzione della Commissione Sindacale per il Controllo del Collocamento della manodopera, fu attuato dai lavoratori agricoli un blocco stradale (il blocco fu effettuato sulla S.S. 115 che consentiva sia allora che oggi l'entrata e l'uscita di Avola) che provocò l'intervento delle forze dell'ordine.

La polizia ordinò ai manifestanti di liberare la strada, ma al loro rifiuto scoppiò una rivolta. La polizia cominciò a sparare ad altezza d'uomo così che uccise due persone e ne ferì quarantotto, di cui cinque in modo grave. Gli scontri (da un lato la polizia armata di mitra e pistole, dall'altro i manifestanti con pietre che venivano staccate dai muretti ai bordi della strada) furono molto brevi, ma molto violenti. Dopo questi fatti la trattativa venne rapidamente conclusa, seppur al prezzo di vite umane. I tragici avvenimenti di quei giorni fecero da scintilla ad alcune rivolte studentesche ed operaie sfociate nelle settimane successive su tutto il territorio nazionale, nell'ambito dei movimenti di massa del Sessantotto.

Dopo gli scontri rimasero uccisi sull'asfalto Giuseppe Scibilia, di quarantasette anni, di Avola e Angelo Sigona, di ventinove, di Cassibile.

Il deputato del PCI Antonino Piscitello, che si trovava sul posto al momento degli scontri, raccolse oltre due chili di bossoli.

Passeggiando per Avola

Prima del terremoto del 1693 l’antica città di Avola sorgeva attorno al monte Aquilone, in una zona più elevata e panoramica. La zona oggi è diventata zona di villeggiatura estiva, grazie alle temperature più fresche ed agli aromi che qui si respirano. 

Dolmen

Ad un periodo certamente precedente a quello siculo appartiene un dolmen scoperto nel 1961 in contrada Borgellusa, di fronte all'ospedale civico. 

L'edificio è costituito apparentemente da una enorme tavola che poggia su due pilastri, modellato seguendo il profilo naturale della roccia, tanto da valergli l'appellativo di pseudo-dolmen

Gli interventi umani sono visibili sia nell'ampliamento che nella geometrizzazione della cavità, oltre che nella forma conferita ai due piedritti laterali. Il pavimento dell'area interna del monumento fu realizzato asportando i materiali arenitico-sabbiosi sottostanti, seguendo la superficie di stratificazione inferiore  

Architetture religiose

CHIESA DI SANTA VENERA - La chiesa di Santa Venera ad Avola è dedicata al culto della Santa Patrona. Questa chiesa venne costruita nei decenni successivi al terremoto del 1693, tra il 1713 e il 1715, ma ha subito numerose ristrutturazioni in seguito ai segni lasciati da un altro terremoto, quello del 1848.

Osservate quant'è bella e luminosa la facciata settecentesca in pietra bianca della chiesa. Noterete subito che, nella sua spiccata verticalità che si completa con le tre celle campanarie, si sviluppa su tre ordini: nel primo ordine è decorata da quattro colonne con capitelli tuscanici e nicchie decorate in stile rococò; nel secondo, delimitato da obelischi, potete ammirare la statua in pietra di Santa Venera, accolta in una nicchia; nel terzo ed ultimo è visibile appunto la cella campanaria a tre aperture.

Invece, la cupola originaria crollò in seguito al sisma e fu riedificata solo più avanti, nel 1962.

Entrando, la chiesa vi accoglie con il suo bel pavimento maiolicato, ha una pianta a croce latina ed è divisa da pilastri in tre navate, di cui quelle laterali coperte da volta a botte, mentre quella centrale ha il bel movimento di una serie di crociere.

Percorrendo il pavimento, potrete osservare pregevoli tele seicentesche tra le quali la pala dei Santi Crispino e Crispiniano con l'Immacolata, Santa Marta, la Sacra famiglia e la Madonna del Rosario, San Domenico e Sante Domenicane, il Salvador Mundi.

Di particolare interesse è la tela della predica di Santa Venera e, in fondo alla navata destra, la cappella dedicata alla Santa, che ne contiene il simulacro.

La chiesa ospita infine i festeggiamenti dedicati al culto della santa nell'ultima domenica di Luglio, in cui si succedono celebrazioni religiose, processioni e spettacoli all'esterno.

CHIESA DI SAN GIOVANNI - Il culto di San Giovanni ad Avola è molto antico: prima la chiesa era collocata in collina dove fu distrutta dal terremoto del 1693, poi venne costruita nel 1700 in quella che oggi si chiama Piazza Trieste.

La struttura presenta una planimetria geometrica esagonale e la sua facciata, come potete subito osservare, è solo stata parzialmente costruita: è completo, infatti, solo il primo ordine, in cui delle belle coppie di lesene decorate da capitelli corinzi sono sormontate da un fregio liscio e ornato con sculture a bassorilievo.

La Chiesa fu poi ceduta ai Frati Gesuiti, i quali la adibirono a scuola di grammatica. Dal 1744, anno in cui fu benedetta, si conservano una preziosa reliquia, l’osso della nuca di San Corrado, la statua di San Giovanni ed altre statue salvatesi dal sisma.

Entrando in chiesa, ne potrete ammirare la scansione in tre navate divise da pilastri corinzi e i bei decori e stucchi neoclassici in cui spiccano i colori bianco-azzurro. Di grande impatto visivo vi apparirà certamente il vistoso altare maggiore, anch'esso in stile neoclassico, in cui potrete ammirare un'importante pala ottocentesca raffigurante il Battesimo di Gesù nel Giordano.

Alzando invece lo sguardo, ecco la volta affrescata della navata centrale: qui il pittore Gregorio Scalia ha voluto raffigurare delle scene della vita del Battista.

Vi invitiamo poi ad ammirare anche le numerose cappelle che si succedono lungo le navate laterali e che sono dedicate al culto di San Corrado, protettore di Avola insieme a Santa Venera, nonché una statua lignea e una serie di 5 dipinti su tela rappresentanti le storie di San Corrado.

Di particolare pregio è infine l'organo costruito nel 1866, in stile neogotico, che si affaccia sulla navata centrale.

CHIESA MADRE - Nell sito dell’antica Abola, posto sui monti Iblei, la Chiesa Madre, documentata in Vaticano dal 1308 con il titolo di S. Nicolò, fu distrutta dal terremoto dell’11 gennaio 1693. Per la ricostruzione dell’abitato, in prossimità della costa e nel feudo Mutubè, Giovanna e Nicolò Pignatelli Aragona Cortés, marchesi di Avola dimoranti a Madrid, inviarono da Palermo l’architetto gesuita Angelo Italia (Licata 1628-Palermo 1700). Questi, il 16 marzo 1693, iniziò a tracciare il perimetro esagonale della nuova Avola e i due assi viari principali: l’incrocio perpendicolare del cardo (Corso Garibaldi) con il decumano (Corso Vittorio Emanuele) determinò, proponendo anche il simbolo del cristianesimo, il centro del piano urbano.

Intorno a esso l’architetto definì un’area quadrata e situò la Piazza Maggiore (Piazza Umberto I), adibita, come nell’antica città, a pubblico mercato; sul lato nord-ovest egli collocò il principale spazio sacro, la Chiesa Madre, in posizione dominante e frontale rispetto al Palazzo dei feudatari, che era anche sede amministrativa del Marchesato di Avola. Il successivo 6 aprile si pose, in un angolo dell’insula prescelta dall’Italia, la prima pietra per costruire la Matrice e, nei sotterranei dell’attuale sagrato, il primo cimitero della città.

Definite le fondamenta della chiesa, la costruzione procedette dal 1696 con i proventi della gabella della scannaria e sulla base di un altro disegno attribuibile al magister Antonio Mastrogiacomo (†1707) di Ferla. Proseguì i lavori, fino agli anni trenta del sec. XVIII, l’architetto Michelangelo Alessi di Siracusa, al quale si devono i capitelli del portale maggiore, lo stemma a tre pignatte di Nicolò Pignatelli e l’elevazione dell’interno della chiesa, a croce latina e tre navate. Nel 1741, completato il tiburio ad opera del magister Corrado Paternò di Avola, l’edificio venne benedetto e aperto al culto.

Di particolare interesse è la “facciata a torre” che, concepita a fine Seicento, precorre le analoghe strutture tardobarocche realizzate durante il Settecento nelle chiese del Val di Noto. Essa, in pietra bianca della «pirrera della Palma», è a superficie retta e di concezione rinascimentale. Il primo ordine, suddiviso in cinque parti da paraste con capitelli tuscanici, presenta ai lati due nicchie con le statue dell’Immacolata e di San Giuseppe col Bambino Gesù; i portali minori si ritrovano, uguali nel disegno, nella chiesa di S. Sebastiano di Ferla, che è attribuibile al suddetto Mastrogiacomo; l’insieme è concluso dalla trabeazione avente nel fregio, secondo gli stilemi del tempio greco, l’alternanza di metope e triglifi. Due volute spiraliformi raccordano la base della struttura al secondo ordine, che si caratterizza per l’uso di capitelli ionici. Il terzo ordine, con capitelli in stile corinzio, contiene la cella campanaria.

L’aspetto più scenografico dell’edificio, carico di suggestioni barocche, è dato dal sagrato, area sacra circoscritta nel 1774 da dieci alti piedistalli decorati con motivi acantiformi in stile rococò e sovrastati da statue in pietra arenaria; due di essi, con le relative statue, erano accostati ai fianchi del portale maggiore. A fine anni venti del sec. XX, sei di detti elementi furono eliminati perché molto deteriorati; attualmente si conservano, prospicienti l’ex Strada Cassaro (Corso Garibaldi), le basi con le effigi dei santi Giovanni Battista, Venera, Nicolò e Pietro. Quattro piedistalli sono stati ricollocati nel 2004.

La porta in rame del portale maggiore, lavorata a sbalzo e realizzata nel 1963 da Francesco Patanè di Acireale, raffigura I Sette Sacramenti. Nel 1986 la Parrocchia della Chiesa Madre S. Nicolò è stata intitolata a S. Sebastiano.

CHIESA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA - Dovete sapere che, prima del terribile terremoto del 1693 che distrusse l'intero Val di Noto, fra cui l'antica città di Avola, la Chiesa dell'Annunziata nell'antica città faceva parte del monastero delle Benedettine, che era stato fondato nel 1532 dai signori d'Avola.

Quando poi la città, ridotta a macerie, fu abbandonata per costruirne una nuova, nel nuovo impianto urbano l'insieme della Chiesa e del Monastero vennero ricostruito nell'angolo nord-ovest.

Osservate la splendida facciata concava-convessa della Chiesa! Essa fu costruita a partire dal 1753, e possiamo con certezza dirvi che essa è una delle più felici e compiute espressioni dello stile barocco in Val di Noto.

Fu voluta dalla badessa Gertrude Azzolini, ed è attribuibile al grande architetto Rosario Gagliardi, uno dei protagonisti assoluti della ricostruzione fra Noto e Modica, che, collaborando con il suo valido aiuto, Vincenzo Sinatra, in quegli anni operava a Noto.
Poi ai due subentrò, dal 1768, l'architetto avolese Giuseppe Alessi cui fu affidato il compito di ultimare alcuni elementi della chiesa, come il disegno del coro e degli altari.

Nel 1777 un abile stuccatore di nome Serafino Perollo, di origine elvetica, realizzò gli stucchi che potete oggi ammirare, una volta entrati in chiesa, in quello stile pienamente ridondante del rococò.

Sulle pareti dell'unica grande navata, i decori a stucco racchiudono una serie di figure, che sono generalmente sempre allegoriche e, in questo caso rappresentano le Virtú Cardinali. 

Alzando lo sguardo alla volta della navata, potrete ammirarvi infine la Gloria con i Santi Benedetto e Scolastica e le allegorie della Fede e della Caritá.

CHIESA DELLA SANTA CROCE E CONVENTO DELL'ORDINE DEI FRATI MINORI CAPPUCCINI - Fuori dalla cinta esagonale in cui si racchiude, con perfezione geometrica, la nuova città di Avola, nell’attuale Piazza Crispi, potrete ammirare la Chiesa di S. Croce o dei Cappuccini. Qui, infatti, subito dopo il terremoto del 1693, era sorto il convento dei Cappuccini, che in questo caso fu fondato nell’antico sito nel 1580.

La chiesa che oggi potrete ammirare fa parte della struttura conventuale dei Cappuccini. Essa contiene pregiate opere d’arte.

Visitandola, infatti, potrete apprezzare la bellezza di un prestigioso ciborio, di preziose essenze lignee, che fu intagliato intorno al 1660 dal frate Giuseppe da Ragusa e venne posto sopra l’altare maggiore. 

Si tratta di un apparato ligneo sormontato da un polittico, ovvero una composizione composta da più pannelli collegati fra loro, che ha al centro l'Esaltazione della Santa Croce, raffinata tela della fine del 1500 attribuita al pittore fiammingo Franz Van de Kaestele.

Osservando invece le parti laterali del polittico, vi riconoscerete sono raffigurati le vergini e martìri di Santa Venera e Santa Lucia da un lato, e i santi Francesco e Corrado dall'altro.

Sul lato destra della chiesa, nella prima cappella, si conserva l'Estasi di S. Giuseppe del 1706 di Giuseppe Sequenzia da Noto.

CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE - L'antico convento venne fondato in un luogo sopraelevato, sulla sponda destra della Bugliola. Un tempo era custodito da un gruppo di monaci questuantiIi, poi è passato nelle proprietà del Comune e infine di privati.
Il sacerdote Sebastiano Li Gioi, nel corso della prima metà del 1700, dopo il terremoto del 1693, per rivitalizzare e ridare sacralità a quei luoghi, volle erigere questo convento, a sue spese e sopra i resti del convento dei Cappuccini.

Il sacerdote concretizzò tale suo desiderio con atto notarile del 1719 e realizzò i lavori con propri fondi a partire dal 1729.

Il dormitorio prese in seguito il nome di Eremo della Madonna delle Grazie. Si racconta di un leggendario ritrovamento, avvenuto intorno al 1760, sotto un grande masso, di una campanella e di un bassorilievo calcareo raffigurante la Madonna delle Grazie: fu così che quel dormitorio prese quel nome.

Il convento si affaccia, specialmente dalla parte del refettorio, in un precipizio abbastanza profondo, e così vi offrirà un’incantevole veduta panoramica. Da qui, potrete ammirare una splendida veduta, la riviera del mare Ionio con il Lido di Avola e il lido di Noto.

In prossimità del convento incontrerete anche un’edicola votiva, dedicata alla Madonna delle Grazie, e proprio lì, a pochi metri dal convento, potrete osservare le rovine dell’antica Avola.

CHIESA DEL SACRO CUORE DI GESU'

CONVENTO DI SAN DOMINICO

CHIESA DELLA NADONNA DEL CARMINE

CHIESA DI SANTA MARIA DEL GESU'

CHIESA DI SANT'ANTONIO

Architetture civili

PALAZZO DEL FEUDATARIO

PALAZZO GIAMPICCOLO

PALAZZO GIANGRECO

PALAZZO RISCICA - Il Palazzo Riscica fu una delle maggiori costruzioni civili di Avola. Costruito nel Settecento, sorgeva sull'odierna via Cavour, a fianco della Chiesa Madre. Apparteneva a una importante famiglia avolese da cui prendeva il nome. 

PalazzoAlfieri.jpg (219985 byte)Irreparabilmente danneggiato durante la Seconda guerra mondiale, fu abbattuto negli Anni Sessanta, per fare spazio a un moderno edificio residenziale. Del palazzo si conserva il grande arco dell'ingresso secondario, posto su Piazza Regina Elena 4.  

PALAZZO ALFIERI

PALAZZO SIRUGO

PALAZZO TOSCANO

CASA RISCICA - La Casa Riscica è un edificio residenziale. È il primo esempio di architettura Art Nouveau. La Casa Riscica fu realizzata nel 1907 su commissione dall'avvocato Ottavio Riscica, in occasione del suo matrimonio con Concettina Alfieri. L'edificio fu progettato da Sebastiano e Gaetano Vinci. Le decorazioni floreali, che abbelliscono l'edificio lungo tutto il perimetro, vennero realizzate da Giuseppe Masuzzo.

Riserva naturale orientata Cavagrande del Cassibile 

La riserva naturale orientata Cavagrande del Cassibile è un'area naturale protetta situata nei comuni di Avola, Noto e Siracusa, in provincia di Siracusa. La riserva è stata istituita nel 1990 (D.A. del 13 luglio), gestita dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana; ne è prevista l'inclusione nell'area del Parco Nazionale degli Iblei, attualmente in fase di elaborazione. 

La Riserva è nata con lo scopo di preservare le diverse ricchezze del suo territorio sia dal punto di vista naturalistico-paesaggistico sia sotto il profilo archeologico ed antropologico, visto che tutta la zona è stata abitata nel corso dei millenni e ne sono rimaste notevoli testimonianze in tombe e reperti. 

La Riserva si estende per 2700,00 ettari, 900 ha nella zona A (riserva) e 1860,00 ha nella zona B (preriserva) ed è caratterizzata dal corso del fiume Cassibile, l'antico Kakyparis greco, che le dà nome e che l'ha creata nel corso dei millenni scavando profonde gole o canyon a diverse profondità che toccano il massimo di 507 m nella zona belvedere di Avola antica; anche il luogo con l'ampiezza massima di queste (altrove strettissime) gole è situato nella stessa zona di Avola antica e misura un'estensione di 1200 metri di larghezza. 

Nel fondovalle si è formato un sistema di piccole cascate e laghetti (chiamati localmente uruvi), fonte di refrigerio estivo per i suoi numerosissimi frequentatori, al quale si accede per un'antica e suggestiva scala nota come La Scala Cruci.

STORIA - Difeso dalle inaccessibili pareti a strapiombo della cava e dalla vicinanza dell'acqua i Sicani, primi abitanti conosciuti di questo luogo, vi hanno costruito una necropoli, ancora oggi difficile da raggiungere.

Intorno al XIII secolo a.C. delle popolazioni della Sicilia sud-orientale, forse spinte da genti italiche più agguerrite, preferirono rifugiarsi in questi luoghi impervi e ben difesi. Si conoscono almeno due villaggi rupestri, quello settentrionale che si nota subito appena ci si affaccia dal belvedere, e quello meridionale, quasi di fronte.

Cavagrande2.jpg (365582 byte)Il primo risale ai secoli XI-X a.C., secondo per suggestione solo a Pantalica, in cui si trovano centinaia di tombe a grotticella e gli ipogei paleocristiani scavati nelle pareti, disposti uno a fianco dell'altro, su ben sei differenti livelli paralleli. La foce del fiume Cassibile è un luogo storico, poiché, secondo Tucidide (7.80), il capitano Demostene nel 413 a.C. con 6.000 Ateniesi dovette arrendersi alla città di Siracusa.

Questi luoghi vennero utilizzati fino alla prima metà del secolo scorso, infatti poco sopra i laghetti si trovava un monastero, del quale si notano ancora delle rovine e le case di alcune famiglie di Canicattini come i Bombaci e gli Uccello, che traevano il loro sostentamento dalla coltivazione di ulivi, carrube e mandorle.

Questo luogo fu visitato anche dal pittore Jean Houel nel 1777 durante il suo grand tour:

«Non appena arrivato mi recai alla Cava Grande: una delle meraviglie della Sicilia. La parte più alta la sua ampiezza è pari alla sua profondità. In fondo scorre il fiume Cassibile che la scavata la percorre perché tutta la lunghezza. È uno spettacolo maestoso imponente, sia che dalla riva del fiume si contempli l'altezza delle rocce, sia che dalla loro sommità si ammira vastità e la profondità della cava. Essa è piena di abitazioni antiche scavate nella roccia e di grotte sepolcrali che risalgono a più di 2500 anni fa.»

TERRITORIO - Ciò che rende spettacolari le cave a causa dello scorrimento dei corsi d'acqua, è la morfologia del grande canyon di Cava Grande del Cassibile, il Kakyparis dei greci.

Sul versante nord è possibile osservare un piccolo agglomerato di abitazioni rupestri comunemente noto come Grotta dei Briganti.

Nel versante sud si trova un complesso sistema di abitazioni scavate nella roccia, disposte una accanto all'altra su sei diversi livelli paralleli, collegati tra loro da un sistema di cunicoli e gallerie chiamato dieri di Cavagrande.

Ai margini della riserva, a nord-est, sorgono varie necropoli antiche, nelle quali sono stati trovati ricchi corredi tombali e materiale ceramico: la sua peculiare decorazione, detta piumata o marmorizzata, rientra nell'ambito della cultura Ausonia presente nelle isole Eolie e nella Sicilia orientale intorno al 1000 a.C. 

GROTTA DEI BRIGANTI - Sul versante nord di Cava Grande è presente un abitato rupestre incassato in un'ampia grotta semicircolare naturale, conosciuta come "Grotta dei Briganti". Al suo interno vi sono circa venti ambienti artificiali accessibili mediante scalini incisi nella roccia, databili al periodo di Cassibile e di probabile funzione abitativa, data la presenza di una sorgente naturale. Gli ambienti furono riutilizzati in epoca bizantina e persino in epoca araba. Gli arabi infatti sfruttarono la presenza dell'acqua per conciare le pelli, trasformando la grotta in una conceria.

DDIERI BIZANTINI - Sul versante sud di Cava Grande è presente un sistema di grotte e cunicoli che si sviluppa per circa un chilometro su diversi livelli paralleli. Sono ipogei sepolcrali databili al periodo siculo; furono anch'essi riutilizzati come abitazioni in epoca bizantina. Sono conosciuti come "Ddieri" (dall'arabo diyar, casa); sono stati individuati circa 140 ambienti.

FLORA E FAUNA - La flora di Cava Grande annovera oltre 400 specie vegetali molte delle quali endemiche seppur non esclusive di questo biotopo. Curiose le presenze del bucaneve, dell'euforbia delle faggete e della falsa ortica; fra le rarità è da segnalare la presenza di una felce tropicale la Pteris vittata.

Piuttosto contenuta è la presenza di fauna vertebrata, con eccezioni relative agli uccelli: sono presenti l'endemita codibugnolo di Sicilia, la poiana e il falco pellegrino. D'altra parte, vi sono vertebrati che, nell'ambito del territorio ibleo, potrebbero vivere e vivono solo nella cava: l'istrice, la martora, la testuggine terrestre, la testuggine di palude siciliana, il colubro leopardino, il discoglosso, la raganella, oltre a numerosi rapaci diurni e notturni. Tra gli invertebrati merita una nota il granchio d'acqua dolce Potamon fluviatile.

Tonnara

La tonnara di Avola è una delle numerose tonnare, oggi dismesse, che si trovano in questa zona. Nelle vicinanze si trovano anche le tonnare di Vendicari, Marzamemi, Capo Passero e Santa Panagia. Questo ci dà chiara testimonianza di una fiorente attività legata alla pesca del tonno, oltre che la presenza di un mare ricco di pesci.

La tonnara si trova in prossimità del fiume Asinaro, e forse anche per questo è nota con il nome Tonnara del fiume di Noto. Al largo di questa zona c’era il sistema di reti appositamente creato per la mattanza.

Accanto alla tonnara si trova l’antico borgo marinaro, dove si svolgeva la vita degli antichi pescatori. Oggi la zona è stata riqualificata, ci sono numerosi locali dove mangiare ottimi cibi della tradizione. La spiaggia, molto bella, è uno dei luoghi dove fare il bagno in questa zona. 

Mandorle di Avola

Morbide e golosissime, le mandorle di Avola sono celebri protagoniste della gastronomia non solo locale.

Le mandorle sono i frutti di una rosacea (prunus dulcis) che produce fiori ermafroditi di colore bianco o rosato, poi drupe con mallo e seme. La pianta, dalle foglie lanceolate, raggiunge un’altezza media di 5 metri.

La terra di coltura del mandorlo è la Sicilia sud-orientale, tra Ragusa e Siracusa, nella fascia compresa fra il mare e le colline. Originario dell’Asia, questo albero arriva nel bacino del Mediterraneo attraverso l’Asia minore: la drupa verdeggiante e vellutata custodisce gelosamente il frutto. In Sicilia giunge grazie ai Greci: è per questo che i Romani lo indicano anche come “noce greca”.

Il mandorlo fiorisce in inverno e riesce a prosperare solo nelle zone in cui non si presentano gelate tardive. Sono ben 300 le varietà coltivate in queste fertili terre, di cui le più richieste si trovano proprio nel Siracusano, ad Avola e Noto. Famosissima in campo dolciario è la “Pizzuta d’Avola”, una varietà che fu selezionata nell’Ottocento da Giuseppe Bianca, un botanico originario di Avola, che matura tra fine luglio e inizio agosto ed è particolarmente ricercata per la produzione di confetti. Il presidio Slow Food “Mandorle di Noto” la tutela, assieme alle cultivar “Romana” e “Fascionello”. Questi frutti vengono impiegati per la realizzazione di torroni, pasta martorana e per lo squisito “gelo di mandorle”, un delicato dolce al cucchiaio.

Per mandorla di Avola si intendono tre cultivar (Pizzuta d'Avola, Fascionello, Corrente d'Avola o Romana) che sono originarie del territorio di Avola. La mandorla di Avola è un prodotto di qualità conosciuto in tutto il mondo, protetto da un apposito consorzio che certifica i singoli passaggi della sua lavorazione e della messa in commercio.

La specializzazione produttiva della mandorla in Sicilia è attestata da numerosi studi come ad esempio nelle opere del botanico Giuseppe Bianca e in epoca più recente di Francesco Monastra. La storia della produzione aziendale mandorlicola sul territorio avolese è segnata in particolare dalla presenza della fabbrica Marzipan, del Cavalier D'Agata e figli, che esportava nel mondo già nei primi anni del Novecento.

- La Pizzuta ha un guscio liscio e duro che presenta dei piccoli pori. Il suo seme ha la forma di una ellisse piatta, il cui colore è rosso cuoio. È la mandorla eletta della confetteria e della pasticceria per la sua raffinata qualità. Giuseppe Bianca descrive la mènnula pizzuta come:

"Cuspidata. A peduncolo sottile. Ettocarpo tenue, corrugato-bolloso, graucescenti-cinereo, con spuntone lunghetto, ricurvo lateralmente ed ostiolo sub circolare. Endocarpo schiacciato, obliquamente largo-lanceolato-curvo, di colore tendente al lanè, con la superficie liscia, radamente e leggermente bucherata, e poche strie raggianti nei lati anteriori della base; sutura dorsale ottusangola, poco curvata, intaccata per quasi un centimetro sul rostro apicilare; la ventrale acutangola affilato-alata, scorrente alla base, denticolato-erosa, ordinariamente storta, curvato-ascendente; apice lungamente rostrato acuminato, ripiegato all’infuori quasi sempre stortamente, fragile in punta. Seme unico, dolce. Varietà assai produttiva e di tornaconto".

- Il Fascionello è ampiamente utilizzato nella pasticceria e, pur non presentando la stessa forma elegante della Pizzuta, viene comunque impiegato nell’industria confettiera grazie alla sua delicata fragranza.

- Il seme della Romana o Corrente d'Avola è di forma irregolare e presenta una gemellarità molto più elevata rispetto alle altre due varietà. La Romana è utilizzata esclusivamente nella pasticceria ed anche di questa varietà.

Dalla coltivazione alla pelatura - Le piante della Mandorla di Avola fioriscono tra la fine di dicembre e i primi di gennaio, circa due mesi in anticipo rispetto agli altri alberi siciliani, a causa delle particolari condizioni climatiche della loro zona di produzione. Il prolungato periodo di maturazione rende questi frutti ricchi di componenti nutrizionali mentre i durissimi gusci ne impediscono l’attacco da parte di funghi e parassiti rendendole un concentrato di principi attivi.

La raccolta del frutto del mandorlo, che viene realizzata in modo prevalentemente manuale, agevolata da una abbacchiatura praticata con canne e pertiche, avviene dalla fine di luglio ai primi di settembre.

I frutti sono poi raccolti con teli stesi sotto gli alberi. Dopo la raccolta, le mandorle prive del mallo sono fatte asciugare al sole per circa cinque giorni. In seguito, il prodotto è condotto negli stabilimenti di lavorazione e sottoposto alle operazioni di sgusciatura, separazione del seme dal guscio e selezione manuale del prodotto. La mandorla al naturale può essere sottoposta anche alla pelatura, ulteriore fase di lavorazione che serve ad eliminare il tegumento protettivo del seme.

La lavorazione e commercializzazione della «Mandorla di Avola» - La lavorazione e commercializzazione della mandorla di Avola, non solo ha origini antichissime e centenarie ma ha addirittura rappresentato, fino agli anni cinquanta del Novecento il settore economico che ha dato maggior sostentamento al territorio avolese. Questo fortunato settore, oltre alle decine di aziende impegnate direttamente nella lavorazione e commercializzazione, coinvolgeva anche gli impiegati delle officine di costruzione, degli impianti di imballaggio, delle aziende di trasporto e dei laboratori di trasformazione offrendo impiego non solo ai cittadini avolesi bensì a gran parte dei lavoratori provenienti dal territorio siracusano.

La Marzipan - La Marzipan del Cavaliere D’Agata e figli è una delle aziende che agli inizi del Novecento spiccava a livello internazionale per dimensione e capacità commerciale e rappresentava la testimonianza più tangibile dell’importanza della mandorlicoltura nella storia economica della città di Avola. La sua nascita rappresentò un evento così importante da essere annunciato in un ampio articolo pubblicato sull’Almanacco del 1912 all’interno del quale si sosteneva che per: «la modernità degli impianti e l’accuratezza della lavorazione può competere con le migliori aziende straniere».

L’azienda del Cavaliere D’Agata iniziò ad operare nel territorio avolese già a partire dal 1912 e visse in prosperità fino agli anni sessanta, rappresentando fino alla sua definitiva chiusura la più importante azienda di lavorazione, trasformazione e commercializzazione del settore mandorlicolo siciliano non solo nel territorio avolese ma in tutta la penisola italiana, intrattenendo rapporti commerciali anche con la Francia, l'Inghilterra e la Germania.

La mandorla nella pasticceria - La tradizione dolciaria siciliana si sviluppa soprattutto in due ambienti molto diversi fra loro; la famiglia contadina all’interno della quale erano le donne a preparare i dolci in occasione delle feste religiose e famigliari e l'ambiente monastico. Erano infatti le monache di clausura a realizzare i dolci in occasione della Pasqua, della Settimana Santa, della commemorazione dei defunti e del Natale, e le loro ricette rappresentano l’eccellenza pasticciera siciliana. Tra i dolci nati per commemorare eventi religiosi ricordano: i pani rituali a base di farina, uova, zucchero, pasta reale e ricotta dolce a cui vengono date forme diverse in base ai riferimenti simbolici cristiani, la cassata, le pecorelle di pasta reale, le crespelle di Catania e le schiumette di Siracusa.

Ogni provincia o, addirittura, ogni città utilizza da secoli le mandorle in modi differenti per realizzare prodotti culinari tipici.

Dolci tipici siciliani realizzati con Mandorla di Avola - Il Marzapane: composto realizzato con pasta di mandorle dolci, albume d’uovo e zucchero il cui nome deriva dalla parola araba "Mauthaban", termine che stava ad inidicare inizialmente una moneta e, successivamente, un’unità di misura.

La Frutta martorana: la tradizione vuole che il nome di questo dolce ricavato dalla pasta di mandorle si debba al Monastero della Martorana di Palermo all’interno del quale le monache erano solite preparare con la pasta reale frutta di stagioni diverse, appendendola poi agli alberi del chiostro del monastero, in occasione della visita di ospiti di ordine monastico superiore.

Il Torrone: gli studiosi sono oggi concordi nell’attribuire al torrone origini arabe. A sostegno di tali tesi vi sono diversi documenti tra cui un trattato dell'XI secolo scritto da un medico arabo: il De medicinis et cibis semplicibus, all’interno del quale è citato il turun. Esistono diversi tipi di torrone che variano di città in città, i più noti sono quelli realizzati con mandorle di Avola e pistacchio di Bronte.

La Cassata: il suo nome deriva dal termine arabo Quas'at cioè "ciotola rotonda". Nasce intorno all’anno mille nelle cucine del palazzo dell’Emiro grazie alla maestria dei cuochi che si dilettavano ad accostare sapori e colori differenti, appartenenti alla tradizione culinaria saracena. Inizialmente questo dolce veniva preparato solo durante la Pasqua; oggi, invece, si può gustare nelle pasticcerie e nei bar siciliani tutto l’anno. La cassata sintetizza lo stile barocco e quello arabo che caratterizzano l’arte e la cucina siciliana.

Il Latte di mandorla è una bibita dissetante che può essere utilizzata dai soggetti intolleranti al lattosio, in sostituzione del latte vaccino. Il latte di mandorla è molto energetico grazie alla sua combinazione di ingredienti: mandorle, acqua e zucchero.

La «mandorla di Avola» nella confetteria - La varietà di mandorla favorita dalla confetteria è la Pizzuta d’Avola che con la sua forma appiattita e ovale e le sue qualità organolettiche permette allo zucchero di modellarsi perfettamente su di essa, senza l’aggiunta di altri ingredienti. La Pizzuta d’Avola insieme al Fascionello costituisce il prodotto di alta gamma della confetteria. Entrambe le cultivar rappresentano le varietà più ricercate sul mercato nazionale e internazionale e la loro produzione è esclusiva delle province di Siracusa e Ragusa, grazie alle particolari caratteristiche pedoclimatiche di tali territori.

La lavorazione dei confetti - Il confetto con mandorla di Avola è tradizionalmente formato da un nucleo interno costituito da una singola mandorla intera, sgusciata e pelata, appartenente alla cultivar Pizzuta o Fascionello. Tale nucleo detto anima è poi rivestito da diversi strati di zucchero sovrapposti per successive bagnature. Le dimensioni del confetto così come il suo peso variano in base alla calibratura della mandorla impiegata, che oscilla tra la misura 34 e la 38. Il confetto con mandorla di Avola mantiene la forma appiattita del seme e non presenta lesioni o screziature; per tale ragione, la sua superficie esterna appare di colore bianco porcellanato ed è liscia al tatto. Per ottenere la perfetta zuccheratura vengono utilizzate le bassine ovvero caldaie preferibilmente in rame o acciaio, in continua rotazione, dove vengono lavorate le mandorle con lo zucchero.

Rispetto al tradizionale confetto romano realizzato con miele piuttosto che zucchero per festeggiare nascite e matrimoni, la colorazione esterna è una caratteristica più recente. Si sono affermate colorazioni diverse in associazione a diversi eventi. I confetti per il matrimonio, la prima comunione e la cresima sono bianchi, azzurri o rosa sono i confetti per la nascita ed il battesimo e verdi quelli per il fidanzamento. Sono generalmente rossi quelli per la laurea e variopinti quelli che si adoperano per festeggiare i compleanni. Dalla fine del Novecento l’anima del confetto è stata spesso sostituita da ingredienti quali nocciola, cannella, cioccolato, canditi vari e pistacchio che però non eguagliano il sapore raffinato e delicato del confetto classico tradizionale.

Nero d'Avola

Il Nero D'Avola, o Calabrese, è un vitigno a bacca nera siciliano.

Originario delle contrade siracusane di Noto e Pachino, è prodotto in particolare nelle province di Agrigento, Trapani e Palermo, ma anche di Caltanissetta, Siracusa, Ragusa, vanta circa 15.000 ettari di superficie complessiva. Esistono diverse differenze di carattere fra i Nero D'Avola prodotti nella parte centro occidentale della Sicilia e quelli della zona sud-orientale: i primi risultano quasi sempre più fruttati e dolci al palato; i Nero D'Avola coltivati nella zona sud-orientale, sono decisamente più fini e articolati, con spiccati sentori di fiori secchi e spezie.

Il nome deriva dal frutto a "bacca nera", e dalla città siracusana di Avola. Il sinonimo "Calabrese", con cui il vitigno era indicato nell'Ottocento, nasce probabilmente da un'errata italianizzazione del siciliano "Calaravrisi", che significa "uva (cala) di Avola". Altri sinonimi utilizzati sono infatti Calea-Aulisi e Calaulisi.

I vini prodotti da uve di Nero D'Avola sono esportati in tutto il mondo. Presentano una buona acidità che dà loro possibilità di lungo invecchiamento, se ben conservati e se provenienti da alcune zone, soprattutto quelle dette prima, meglio ancora se provenienti da uve coltivate con il tradizionale sistema detto ad "alberello" portato in Sicilia dai Greci fra il VIII e il VII secolo a.C.

Sono tipicamente vini di forte carattere, talvolta un po' spigolosi talvolta molto eleganti. Al naso presentano vari sentori: alcuni di spezie e viole, altri di frutta a bacca rossa più o meno matura, altri ancora caratteristici profumi eterei dovuti all'alcolicità.

Il Nero D'Avola è presente sul mercato sia in purezza sia assieme ad altre uve. Il più antico di questi uvaggi è il Cerasuolo di Vittoria DOCG (titolo alcolometrico 13%) ricavato da Nero D'Avola e Frappato, che è prodotto sulla costa meridionale della Sicilia fra Ragusa e Gela.

Ai nostri giorni, talvolta è utilizzato per il blending con vini come il Merlot, il Cabernet-sauvignon e soprattutto con il Syrah.