Geraci
Siculo fa parte del Parco
delle Madonie ed è
incluso nel club de I
borghi più belli d'Italia ed
è in possesso del marchio di qualità "Comune fiorito".
Geraci
Siculo è un paese dalle antiche origini con un impianto urbanistico
risalente al medioevo. È un paese dedito all'agricoltura e alla
pastorizia, la principale attività economica è lo stabilimento per la
raccolta e l'imbottigliamento dell'acqua minerale proveniente dalla
fonti delle montagne geracesi. Molto particolari sono anche le
tradizioni del borgo, fra cui almeno vanno ricordate la festa del
ringraziamento (dedicata ai Santi Bartolo e Giacomo) e la festa del
Crocifisso. Tra le manifestazioni il torneo cavalleresco in costume
d'epoca denominato "Giostra dei Ventimiglia ".
La
storia nota di Geraci Siculo inizia nell’VI secolo a.C., quando la
colonizzazione greca della Sicilia si espande al territorio delle
Madonie, fino ad allora non interessato dall’insediamento ellenico.
E’,
infatti, intorno al 550 a.C. che i greci sicelioti avanzano verso
l’interno dell’isola ed è presumibile che, stabilitisi nella Rocca
di Geraci, diano a questa il nome “Jerax” (Avvoltoio), ispirati
dalla assidua presenza di tali predatori sul territorio.
Già
nel 241 a.C. Geraci è, secondo la descrizione che ne dà lo storiografo
Cantu nella sua opera “Storia Universale”, un fiorente “Borgo”.
Ed
è, tuttavia, a partire dall’840 d.C., che si hanno le prime notizie
certe ed approfondite sulle vicende che interessano il borgo geracese.
La
conquista saracena della città ad opera dell’Emiro Ibna Timna segna,
infatti, un momento storico di primario rilievo per Geraci, ribattezzata
dagli arabi “H.RHAH”.
L’Emiro
trova a “Jerax” un Castello costruito precedentemente, che ha cura
di ampliare, modificare e fortificare. A testimoniare l’opera, la
presenza di una finestra moresca nel Castello di Geraci Siculo, ancora
oggi ben visibile nella facciata Sud dei ruderi.
Negli
anni in parola, l’espansione mussulmana interessa l’intera Sicilia,
che viene divisa in tre Provincie: Val Demone, Val Di Noto e Val Di
Mazara.
Le
Madonie, con Geraci, entrano a far parte della Val Demone, i cui
abitanti, nonostante le suggestioni culturali della cultura morisca,
mantengono intatta la propria fede cristiana, imparando a convivere con
l’elemento “Islamico”.
Durante
la denominazione saracena sembra che Geraci sia la località più
importante delle zone interne dell’Isola, specie considerata la
posizione strategica di cui gode e che gli attribuisce un ruolo
determinante nelle vicende militari.
Sotto
l’Islam l’intera Sicilia vive un periodo di crescita economica e
culturale, una primavera architettonica e commerciale.
Geraci
non fa eccezione e porta evidenti segni della presenza araba, rilevanti
sia dal punto di vista economico che religioso. Si ha notizia
dell’esistenza di un cimitero musulmano in C.da Muricello (in
prossimità del Bevaio della SS. Trinità). Nella attigua villetta,
venivano seppelliti i cristiani ad evidente dimostrazione della
tolleranza culturale e sociale tra le due culture.
La
storia di Geraci si arricchisce di dettagli a partire dal secolo XI,
quando è la civiltà normanna ad insidiarsi in Sicilia (1062-64) e a
far assumere alla cittadina un ruolo strategico-militare di rilievo
primario e diventa uno dei capisaldi della nuova feudalità del
“Regnum Siciliae”.
Infatti,
conquistata da Ruggero I, viene data in feudo a Serlone (nipote del re)
ed elevata al rango di “Contea” nel 1063, a seguito della battaglia
di Cerami del 1062.
Inizia
per Geraci un lungo periodo di forti tensioni e rapidi cambiamenti
politici e governativi, fino all’approdo, nel 1252 d. C. della
dinastia dei Conti di Ventimiglia.
In
tal anno, Isabella normanna, membro della Casa reale di Federico II
Imperatore, sposa Enrico Ventimiglia, figlio di Guglielmo Ventimiglia
ligure, giunto in Sicilia dieci anni prima al seguito dell’Imperatore
(già marito di Emma la Sveva, familiare della corte imperiale).
Le
nozze tra Enrico e Isabella sono propiziate dallo stesso Imperatore per
motivi di Stato, poiché le leggi del tempo non consentivano a una donna
di essere titolare di Contea. L’inserimento dei Ventimiglia nella
famiglia reale fa assumere a questi feudatari un ruolo di primissimo
piano in tutte le vicende politiche e militari della Sicilia negli anni
e nei secoli successivi (XIII-XVIII).
Dopo
la morte di Federico II lo Svevo, avvenuta nel 1250, Enrico e la Contea
entrano con maggiore rilievo nel clima degli avvenimenti politici e
guerrieri della Sicilia.
In
epoca sveva regnando Corrado II, Enrico Ventimiglia si investe di Geraci
(1258) ed ottiene Collesano, Petralia Superiore e Inferiore, poi
Gratteri e Isnello. In quel periodo Enrico frequenta la Corte Imperiale
a Palermo e affina il gusto artistico e l’interesse per la
conservazione dei monumenti classici. E’ del 1263 il suo intervento
per il Duomo di Cefalù., restaurato a sue spese in onore dei due figli
Manfredo e Pirruccio. Pure a lui si devono gli “Osteri” di Cefalù,
il “Magno” e il “Piccolo”.
La
potenza dei Ventimiglia è tale che Geraci diviene centro della Contea,
mentre il suo signore viene nominato “Primo Conte d’Italia per la
grazia di Dio e Marchese di Sicilia”, titolo che per gran tempo nessun
altro ebbe tra i nobili della Sicilia.
Nel
1266, anche Geraci viene dominato dagli Angioini, che occupano il
“Regnum”, dopo la tragica morte di Manfredi a Benevento. La Contea,
sotto Carlo D’Angiò, è smembrata e concessa, insieme con Gangi e
Castelluccio, a Gaetano de Monfort. (lettere del 1269-70 e memoriali del
1272-1274-1278).
Durante
la guerra del Vespro 1282-1302, il Conte di Geraci (prima Alduino e poi
Enrico) guida politicamente e militarmente il partito
“svevo”-aragonese nella ribellione e nella guerra contro Carlo
D’Angiò. Nell’interregno tra la caduta di Carlo D’Angiò e
l’incoronazione di Pietro D’Aragona, i siciliani nominano un governo
provvisorio e tra gli eletti figura Alduino, Conte di Geraci e
d’Ischia. Alduino muore nel 1289 e gli subentra Enrico, il quale
partecipa, nel 1299, alla distruzione di Gangi, rea di essersi ribellata
a Re Giacomo D’Aragona per fare dispetto al Conte.
Sotto
la dinastia aragonese, in tutta la Sicilia i nobili vengono ad avere
un’influenza predominante anche nelle città più importanti e i
Ventimiglia dominano, tra l’altro, Trapani (come i Palizzi a Messina).
Tale
è la gloria e la forza dei Ventimiglia, in tali anni, che la Contea di
Geraci, “dalle Madonie al mare”, diviene “uno Stato nello
Stato”, giungendo persino ad amministrare la giustizia e a coniare
proprie monete. Nel 1430, Alfonso D’Aragona concede ai Ventimiglia il
privilegio più apprezzato: “Il diritto di piena giurisdizione
penale” nella Contea.
A
tale diritto, si aggiunge quello di lasciare in eredità ai suoi
successori il medesimo diritto. “Diritto di merum et mistum
imperium”.
Nel
1315, il Conte Francesco I Ventimiglia sposa Costanza Chiaramonte
Contessa di Modica, poi ripudiata nel 1321 con dispensa papale perché
sterile. Nello stesso anno contrae matrimonio con Margherita
d’Antiochia dei Conti di Mistretta.
Giovanni
Chiaramonte, per vendicarsi dell’affronto subito, aggredisce in
territorio palermitano, Francesco Ventimiglia, ferendolo.
Sdegnato
il sovrano bandisce Giovanni dal Regno.
Alla
morte di Federico avvenuta il 25 giugno 1337, il regno passa a Pietro II
D’Aragona, che si attornia di personaggi contrari ai Ventimiglia.
(Palizzi, Chiaramonte etc,).
Dal
1338, anno della morte di Francesco I Ventimiglia, al 1354 la Contea di
Geraci, dopo un cruento assedio, viene confiscata a Francesco
Ventimiglia e data ai Palizzi, essendosi il Conte rivoltato contro il re
Pietro D’Aragona, non obbedendo all’invito di recarsi al Parlamento
dell’Isola indetto dallo stesso.
Successivamente
con privilegio del 20 giugno 1354 di re Ludovico, la Contea viene
restituita alla potente famiglia feudale.
Nel
1360 la Contea di Geraci ospita il giovane re di Sicilia, quando morta
la Vicaria Eufemia a Cefalù, a Francesco Ventimiglia II viene affidata
la cura del Regno e del giovane sovrano Federico, il quale trova diletto
nei boschi delle Madonie.
Alla
morte di re Ludovico, il regno passa a Re Federico che regna fino al
1377.
Alla
sua morte il governo dell’Isola viene affidato a quattro Vicari, uno
dei quali è il Conte Francesco Ventimiglia di Geraci e signore delle
Madonie. Nel 1388 circa, i signori di Geraci ottengono il riconoscimento
pontificio del proprio Vicariato, signoria esclusiva, su una parte del
territorio del Regno.
Con
la morte di Francesco II avvenuta nel 1391, la Contea di Geraci viene
divisa in due parti, affidate al governo dei figli: Enrico e Antonio.
Nel
1392, Enrico II Ventimiglia, uno dei Vicari del regno, non vuole
accodarsi alle pretese degli aragonesi con “Martino il maggiore” e,
per questo, dopo la presa di Palermo da parte degli spagnoli, la Contea
viene confiscata al Ventimiglia, salvo poi essergli restituita nel 1395.
La
nostra cittadina assume una altissima considerazione in tutta l’Italia
meridionale, quando Giovanni I Conte e Marchese di Geraci, valorosissimo
comandante militare, addirittura paragonato a “Cesare” per le
numerose battaglie vinte a capo dell’esercito catalano, diviene Vicerè
di Napoli e di Sicilia (1422).
Giovanni
I trasferisce, poi, la capitale dello “Stato” delle Madonie da
Geraci a Castelbuono (1419), presso il Castello Belvedere che un suo avo
(Francesco I Ventimiglia) aveva fatto erigere nel 1316, sul colle di
Ypsigro.
Nel
1438 la Contea di Geraci diventa Marchesato e nel 1606 il Marchese di
Geraci viene nominato Vicerè.
Da
quel momento Castelbuono assume le funzioni centrali, sia dal punto di
vista amministrativo che militare.
Negli
anni successivi Geraci vive una vita politica e amministrativa uguale a
quella di tanti altri Paesi dell’entroterra siciliano. Un Paese dedito
all’agricoltura e alla pastorizia, attento ai cambiamenti e capace di
assolvere con grande tenacia ai compiti che le nuove realtà imponeva ad
esso.
Visitare
il borgo
Nelle
pieghe sinuose delle Madonie si nasconde un borgo avvolto in una storia
tanto ricca quanto il suo paesaggio. Questo piccolo e antico scrigno
della Trinacria, sospeso tra cielo e terra, offre una fuga dalla realtà
frenetica, invitando i visitatori in un viaggio indietro nel tempo.
Camminando lungo i suoi vicoli e affrontando i suoi saliscendi, si viene
avvolti da un’atmosfera di serenità e mistero, come se ogni pietra e
ogni angolo raccontassero storie di epoche passate.
Geraci
Siculo è
un luogo dove le antiche architetture civili si fondono perfettamente
con il paesaggio naturale circostante, in un abbraccio dalle sfumature
dell’ocra e del verde intenso. Passeggiando
per i vicoli di Geraci
Siculo, immersi in un’atmosfera d’altri tempi, è
facile incontrare il sorriso accogliente della gente del luogo.
In
epoca medievale fu una contea molto importante e tra le residenze
preferite dalla famiglia Ventimiglia, famosa per aver lasciato tante
testimonianze storiche e artistiche.
La
prima, visibile fuori dal centro urbano, è il Bevaio
della SS.Trinità: un abbeveratoio con due fontane in
pietra e quattro bocche che versavano l’acqua in coppe di arenaria.
Continuando, ecco il Castello disposto
su un’altura dalla non facile accessibilità. Si tratta di un rudere
in stile bizantino, privo di decori che in passato fu una fortezza
militare. Nelle vicinanze del Castello, la Chiesetta consacrata
a Sant’Anna, la cappella palatina della famiglia
Ventimiglia. La leggenda racconta che al suo interno è conservato il
teschio appartenuto alla santa, poi trasferito nella vicina Castelbuono.
Tra
i vicoli del centro c’è la Chiesa
Madre, consacrata al culto di Santa
Maria Maggiore. È il regno dell’antitesi, dove
l’esterno romanico dalle forme semplici e lineari contrasta con
l’interno, ricco di elementi marmorei, come il fonte battesimale del Gagini e
il coro ligneo del 1650 dalle forme monumentali. La cripta della chiesa
conserva il tesoro
di Geraci, ricco di oggetti e strumenti liturgici
in oro e argento e paramenti sacri ricamati. L’artista Antonello
Gagini è il protagonista del patrimonio artistico
conservato nelle numerose chiese qui a Geraci: alcuni esempi sono il
Polittico in marmo sull’altare della Chiesa
di San Bartolomeo e il Trittico in marmo policromo
conservato nella Chiesa
di Santa Maria La Porta.
Castello
Il castello
di Geraci sorge sopra una massiccia roccia arenaria dove
ora si trovano gli antichi resti del Maniero dei Ventimiglia.
Si
presume che il castello sia stato costruito in età
bizantina.
La
costruzione fu la prima difesa occidentale dell'area poi divenuta la
vasta contea
di Geraci, in quanto la sua posizione la rendeva inaccessibile.
Oltre per la sua posizione l'inaccessibilità era dovuta anche alla
struttura: all'interno gli ambienti avevano una distribuzione e
collocazione militaresca, priva di lussi, ed era preparata ad resistere
anche a lunghi assalti.
I Normanni lo
trasformarono per le loro esigenze militari: il conte Ruggero
I d'Altavilla sottrae il territorio al dominio arabo e lo
assegna in vassallaggio al nipote Riccardo Serlo II d'Altavilla (
† 1072).
-
Eliusa, moglie di Serlione, rimasta vedova è concessa in sposa a
Engelmaro, soldato semplice molto valoroso.
-
Engelmaro il Normanno, in seguito ad ambizione e superbia, è
privato della Contea ed estromesso dal Regno di Sicilia;
-
Eliusa Normanna, figlia unica di Serlione, sposa di Ruggiero di
Bernavilla, signore di Castronovo, († 1098 in
Antochia durante la spedizione in Terra Santa);
-
Rainaldo di Bernavilla Normanno, figlio di Ruggiero di Bernavilla, senza
discendenza diretta e privo di prole;
-
Ugone de Creone, subentra per concessione del sovrano Ruggero
II d'Altavilla suo consanguineo;
-
Guglielmo de Creone, figlio di Ugone de Creone, sposo di Rocca di
Bernavilla, quest'ultima sorella di Rainaldo di Bernavilla;
-
Ruggero de Creone e Bernavilla;
-
Guerrera, figlia di Ruggero de Creone e Bernavilla, sposa di Alduino,
discendente di re Desiderio dei
Longobardi;
-
Ruggero, figlio di Alduino e sposo di Elisabetta;
-
Alduino, figlio di Ruggero;
-
Elisabetta, figlia di Alduino, sposa di Arrigo
Ventimiglia, quest'ultimo figlio di Guglielmo
Ventimiglia ( † 1265); signore
di Petralia
Soprana e Petralia
Sottana, viceré
di Napoli nel 1260;
-
Alduino Ventimiglia ( † 1289,
naufrago a Palinuro),
figlio di Arrigo Ventimiglia, viceré di Napoli;
-
Francesco I Ventimiglia ( † 1338), fratello
di Alduino Ventimiglia, conte di geraci, signore di Petralia
Soprana e Petralia
Sottana, di Gangi,
di San
Mauro Castelverde, di Castelbuono,
di Tusa,
del castello di San Gregorio, del porto di Tusa, di Castelluccio, di
Gratteri, di Caronia,
di Sperlinga,
di Pettineo,
di castel di Pollina, feudo di Alvira, Resuttano, Belici, Mosino,
Fiscaulo, fortezza di Raugiovanni;
Al
tempo degli Aragonesi e
dei Ventimiglia, nella persona di Francesco
I divenne una vera e propria fortezza militare.
Risale
a questo periodo infatti la chiusura del perimetro urbano con le grandi
porte di cui ancora oggi si possono intravedere i segni.
Nel
sottosuolo vi erano le cisterne per l'acqua, gli spazi per le provviste
e le prigioni; al pian terreno c'erano le scuderie, le cucine, le sale
d'armi e le feritoie per i tiratori mentre il piano superiore era
adibito a residenza della famiglia del conte.
-
Emanuele Ventimiglia ( † 1362),
figlio di Francesco
I Ventimiglia, nel 1354 re Ludovico
di Sicilia restituisce i beni confiscati, senza discendenza
diretta e senza prole;
-
Francesco II Ventimiglia ( † 1387),
figlio di Francesco
I Ventimiglia, nel 1354 re Ludovico
di Sicilia restituisce i beni confiscati;
-
Enrico III Ventimiglia, figlio di Francesco
II Ventimiglia;
-
Giovanni I Ventimiglia, figlio di Enrico
III Ventimiglia, I° marchese di Geraci; per nomina nel 1433 di
re Alfonso
V d'Aragona il Magnanimo;
-
Antonio Ventimiglia Prades, marchese di Gerace e ammiraglio del
Regno;
-
Enrico IV Ventimiglia;
-
Filippo Ventimiglia e Cardona, morto senza discendenza diretta e senza
prole;
-
Simone I Ventimiglia;
-
Giovanni II Ventimiglia;
-
Simone II Ventimiglia;
-
Giovanni III Ventimiglia, ventesimo conte di Ventimiglia, ottavo
marchese di Geraci, principe di Castelbuono nel 1595, Strategoto di
Messina, Vicario Generale delle Valli di Noto e di Mazzara, Presidente e
Capitano del Regno dal 1595 al 1598;
-
Simone;
-
Giuseppe Ventimiglia Ventimiglia ( † 1620),
cugino di Giovanni
III Ventimiglia che gli succedette nei titoli.
Con
questo successore le investiture dei marchesi di Geraci sono le medesime
dei principi di Castelbuono.
Del
castello oggi sopravvivono i ruderi: gli angoli mozzati delle torri, le feritoie,
le cisterne vuote e la chiesetta di Sant'Anna, integra in mezzo alle
rovine.
Biblioteca
Comunale e Archivio Storico
La
biblioteca è sorta intorno al 1866 e all'interno conserva, oltre a un
considerevole patrimonio librario sia antico sia moderno, l'archivio
storico e una tela raffigurante la Trasfigurazione sul monte Tabor che
reca la firma dell'artista De Galbo e che è datata 1794. Grazie a una
donazione, possiede un prezioso volume a stampa del famoso trattato di
Federico II sulla Falconeria, l'unico esistente in Sicilia, risalente al
1595: Reliqua Friderici Imperatori De Arte Venandi Cum Avibus.
L'archivio
storico ha un notevole patrimonio documentario che consente di
ricostruire la vita amministrativa ed economica del Comune dal 1500.
"Bevaio"
della Santissima Trinità

L'abbeveratoio
della Santissima Trinità, fatto costruire dal Marchese Simone
Ventimiglia, poggia su un rettangolo di venti metri di lunghezza, ha due
fontane laterali in pietra con quattro bocche che riversano l'acqua in
coppe di arenaria e una vasca centrale dove l'acqua proveniente dalle
fontane è riunita. Una cornice merlata si eleva sul timpano e le
fontane sono sovrastate da due piramidi, ognuna delle quali porta uno
stemma, raffigurante le tre contee normanne, con tre strisce orizzontali
e tre stelle e al di sotto due mascheroni.
La
costruzione di sinistra è fiancheggiata di motivi floreali, quella di
destra da un vaso di fiori. Dentro una cornice rettangolare vi è lo
stemma del casato dei Ventimiglia raffigurante un leone rampante che
sostiene una spada con le zampe anteriori, mentre quelle posteriori sono
coperte da un elmo. La costruzione fu abbassata nel periodo fascista per
renderla funzionale come abbeveratoio per gli animali.
Salto
del Ventimiglia
Inaugurato
nel 2014 il Salto del Ventimiglia è un affaccio panoramico sulla
vallata orientale dell’abitato, il cui vasto orizzonte giunge fino
alle falde dell’Etna.
Questo
piccolo belvedere è stato realizzato nel luogo che, secondo la trazione
storiografica, fu teatro della morte di Francesco I Ventimiglia. La
leggenda racconta che da questo luogo, nel 1337, il conte di Geraci,
inseguito dalle truppe regie di Pietro II d’Aragona, si sarebbe
lanciato con il cavallo bendato precipitando nel profondissimo dirupo
sottostante.
Addentrandovi
per le stradine in discesa del borgo, a partire dalla piazza centrale,
troverete, subito dopo il convento delle monache benedettine, una
passerella in acciaio e vetro di circa tre metri.
Il
vetro permette al visitatore di rivivere metaforicamente il salto nel
vuoto del Conte Ventimiglia. Se non soffrite di vertigini e siete amanti
dei panorami mozzafiato, vi consigliamo di provare la passerella
invisibile sul dirupo.
Accanto
all’affaccio, nell’attiguo locale a piano terra della Biblioteca
Comunale, è stato allestito un centro informativo dotato di una
postazione multimediale. Lì sono stati esposti dei bassorilievi
artistici in terracotta incentrati sulla storia del luogo, opera del
ceramista di Santo Stefano di Camastra Filadelfio Todaro.
Chiesa
di Sant'Anna

Si
ritiene sia la cappella palatina dei Ventimiglia, pertanto la sua storia
sembra legata alle vicende storiche-culturali del signore di Geraci. Fu
costruita o ricostruita entro le mura del Castello da Francesco I
Ventimiglia che ereditò la contea
di Geraci dal padre Alduino; ciò è attestato da una lapide
oggi sistemata all'interno della cappella.
L'anno
di costruzione della chiesa non è stato definito precisamente in quanto
si tramanda che la reliquia di Sant'Anna era già custodita e venerata
nell'antico castello sin dal 1242.
Degli
elementi originali della chiesa rimangono le colonnine in pietra viva
con capitelli che, a gruppi di tre, poggiano nei muri laterali.
Sull'altare vi è la tela raffigurante la Natività di Maria attribuita
a Giuseppe
Salerno, detto Lo Zoppo di Ganci, e nel muro di sinistra
l'acquasantiera in pietra scolpita.
In
questa chiesa ogni anno si svolgono due manifestazioni religiose: il 26
luglio la festa di Sant'Anna e l'8 settembre la festa della Beata
Vergine Maria Bambina.
Chiesa
Santa Maria Maggiore (Chiesa Madre)
Dagli
atti dell'archivio parrocchiale risulta che la chiesa fu consacrata il 16
agosto 1495,
ma la sua costruzione risale a più di un secolo prima, cioè verso la
metà del XIV
secolo, come si desume dal portone e da alcuni elementi dello
stile originario venuto alla luce durante recenti lavori di restauro.
La
chiesa anticamente non aveva le attuali dimensioni poiché
originariamente non era una parrocchia, cominciò ad esserlo nel 1460,
mentre il titolo di chiesa
madre era detenuto dalla chiesa di San Giuliano.
Le
modifiche furono apportate, a causa dell'aumento della popolazione,
dall'arciprete Nicola Giaconia, e portarono a un mutamento radicale
dello stile. Gli archi a sesto
acuto, distrutti ai vertici, furono trasformati in archi
a tutto sesto intonacati con gesso e calce. Il tetto con
capriate in legno di quercia e castagno locale scomparve al di sopra di
pesanti volte
a botte. L'interno fu arricchito da un apparato plastico in
stucco che conferì, specie alle navate laterali, una connotazione
tipicamente barocca.
Dal
1966 al 1970 furono effettuati lavori di ristrutturazione e
ricostruzione, a seguito di ordinanze di chiusura al culto del sacro
edificio. Infatti le strutture del tetto appesantite esercitavano nel
tempo spinte anomale che rischiavano di compromettere definitivamente la
stabilità delle strutture.
ESTERNO
- Il prospetto rivolto ad occidente che insiste sulla piazza
principale del paese, è formato dal portale ogivale in pietra,
risalente alla costruzione originale, da un arco decorativo a sesto
acuto, da una bifora, un rosone e da una torre campanaria, tutti
elementi questi ultimi aggiunti in un secondo tempo.
INTERNO
- Impianto basilicale ripartito in tre navate per mezzo di pilastri
su quali poggiano archi a tutto sesto. In stile barocco sono rimaste le
cappelle laterali muniti di balaustre e cancellate in ferro battuto.
Ciascuna cappella presenta una differente decorazione a stucco.
Navata
destra
-
Prima campata: la nicchia parietale custodisce la statua marmorea
raffigurante la Madonna delle Mercede, opera realizzata dalla
bottega dei Gagini.
Il piedistallo reca scolpito sulla faccia anteriore Gesù con i dodici
apostoli.
-
Seconda campata: Cappella di San Pietro. Sul piedistallo centrale
la statua di fattura napoletana raffigurante San Pietro Apostolo inizi
XVIII secolo. La volta della cappella presenta una decorazione plastica
geometrica con rilievi dorati su fondo colorato.
-
Terza campata: Cappella della Madonna del Rosario. Sulla parete di
fondo dell'ambiente sobriamente decorato con rilievi in stucco è
custodito il dipinto raffigurante la Madonna del Rosario,
circondato da 14 pannelli - più uno centrale sopra il dipinto - in
legno raffiguranti i misteri del rosario: Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi.
Le lesene sormontate da timpano con volute sfalsate delimitano un cartiglio sorretto
da putti recante l'iscrizione "SICUT DIES VERNI CIRCUNDAVANT EAM
FLORENS ROSARUM ET LILLA CONVALLIUM 1781". Ai lati due dipinti, a
sinistra il quadro raffigurante la Visitazione della Vergine Maria
a Santa Elisabetta ritratte con due figure maschili, verosimilmente San
Giuseppe e San
Zaccaria, in basso l'iscrizione autografa "DIE XII AUGUSTI
XI EGO PRESBITER D. JOSEPH CARBONA HOC OPUS FIERI FECI A:D: 1681".
A destra la Natività con l'iscrizione autografa "JOSEPH
DE GALBO CASTRIBONI PINXIT 1788".
-
Quarta campata: Cappella della Santissima Trinità. L'ambiente
delimitato da una cancellata in ferro battuto presenta la pi esuberante
decorazione barocca in stucco. Festoni floreali e fitomorfi rimarcano i
costoloni della volta della cappella. Tondi, stemmi e una cornice
mistilinea recanti riccioli, volute e motivi a foglia
d'acanto ospitano altrettanti affreschi. Il quadro centrale
raffigurante la Santissima Trinità è delimitato da colonne
tortili con decorazione a ghirlanda con sviluppo elicoidale. Volute a
riccioli sulla cornice, putti e la grande figura centrale del Padre
Eterno in atteggiamento benedicente. Completano il ciclo pittorico
due lunettoni e due dipinti: Santa Cristina e Sant'Agata, due
quadri simili nell'impostazione, con le due donne sante al centro della
scena e un telo rosso che si apre sullo sfondo della stanza. Anche i
colori usati nei due dipinti risultano pressoché uguali.
-
Organo: strumento veneziano del 1686. Prospetto originale con pitture
ampliato con due tastiere con più di mille canne nel 1988.
-
Quinta campata: Cappella di San Giuseppe e Gesù fanciullo.
L'ambiente decorato in stucco presenta un altare con sopraelevazione
marmorea costituita da lesene sormontate da timpano a doppio arco
sovrapposto e spezzato con stele intermedia. La grande nicchia centrale
custodisce la statua lignea raffigurante San Giuseppe con Gesù
Bambino, datata 1771 di ignoto scultore napoletano.

Navata
sinistra
-
Prima campata. Addossata a pilastro sinistro l'acquasantiera in marmo
bianco del XVI secolo, che reca al centro scolpita la figura della Madonna
con il Bambino.
-
Seconda campata: Cappella di Santa Lucia. Nella nicchia arricchita
da timpano ad archi sovrapposti e spezzati, stemma intermedio e puttini
librati in volo, è custodita la statua lignea raffigurante Santa
Lucia, opera di ignoto autore del XVII secolo.
-
Terza campata: Cappella della Madonna della Neve o Cappella
di Santa Maria Maggiore. La mensa arricchita lesene, timpano con volute
e cartiglio intermedio, custodisce la statua marmorea raffigurante la Madonna
della Neve, sulla superficie frontale dello scanello ottagonale è
raffigurata la scena della Resurrezione, a seguire su entrambi i
lati i volti di putti alati, chiudono gli stemmi dei committenti, i
marchesi della famiglia Ventimiglia. L'opera è attribuita a Domenico
Gagini. La volta della cappella presenta una delicata decorazione
a foglie d'acanto.
-
Quarta campata: Cappella dell'Immacolata. Nella nicchia arricchita
da coppie di lesene sormontate
da timpano con volute sfalsate, puttini e cartiglio intermedio,
è custodita la statua raffigurante l'Immacolata, opera di ignoto
scultore siciliano. Statua che riporta il particolare, caro a tante
raffigurazioni dell'Immacolata Concezione, della Madonna che con il
piede schiaccia un serpente: simbolo della Donna che sconfigge il male.
L'iscrizione recita: "TOTA PULCRA ES ET MACULA NON EST IN TE",
"Tutta bella sei, o Maria, e non vi è in Te alcuna macchia".
-
Quinta campata: varco d'accesso alla sacrestia. Dipinto.

TRANSETTO
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Absidiola destra: Cappella dell'Annunciata. L'ambiente con piano di
calpestio rialzato e delimitato da balaustre, ospita il fonte
battesimale in marmo alabastrino riccamente scolpito, sul
fusto reca scolpiti due teste virili e due muliebri, sull'esterno della
conca risaltano la rappresentazione della Vergine col Bambino,
dell'Agnus Dei e del Battesimo di Cristo, manufatto attribuito
alla bottega dei Gagini. L'altare in marmo policromo è opera di Salvatore
Durante da Palermo realizzata nel 1913. La sopraelevazione
è costituita da lesene sormontate da timpano spezzato con stele
intermedia. Nell'edicola è
custodita la tela raffigurante l'Annunciazione, opera di autore ignoto
proveniente dal Priorato della Cava (1500 circa). Il dipinto fu portato
a Geraci nel 1837 e collocato all'interno di una cornice in legno di
noce e cipresso con motivi a foglie proveniente dall'ex convento dell'Ordine
dei frati minori cappuccini.
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Absidiola sinistra: Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente
con piano di calpestio rialzato e delimitato da balaustre, manufatti in
marmi policromi opere di Salvatore ed Angelo Allegra, marmorai
palermitani. 1782. Rilievi dorati e decorazione in stucco.
ALTARE
MAGGIORE - L'altare maggiore è stato recentemente sostituito con un
blocco di pietra proveniente dalla cava di Geraci a causa dei danni
riportati dall'originale, ricavato da un sarcofago del 1511 con figure
di leoni alati con teste umane in basso rilievo, adesso spostato in
sacrestia.
Leggio
a forma di aquila scolpita in legno datato 1768.
Ambone ricavato
da parti di balaustre, formato da tre colonne. Nella colonna di sinistra
del 1710 si legge: "SAC. D. IOANIS VINCENTIUS GRECO PROC. - FECIT
MAGIST. PETRUS JERACI PANORMITANUS." Nella colonna centrale:
"ARCHIPRE. V.I.D.D. JACOBO BARRECA ANNO D. 1704.". Nella
colonna di destra: "FECIT MAGIS. A. PHUS CARANGI OHE PANORMI."
Sulla
parete di fondo il dipinto raffigurante il Cenacolo con i dodici
Apostoli. Opera attribuita a Giuseppe
Salerno, proveniente dall'ex Oratorio della Confraternita del
Santissimo Sacramento.
Il
coro ligneo, opera della scuola di Antonino d'Occurre di Mistretta,
risale al 1650 ed
è formato da 19 posti a sedere decorati con motivi tipici del
repertorio tardo - manierista e da pannelli dipinti raffiguranti la Vita
di Gesù e della Madonna.

SACRESTIA
- Dalla sacrestia, contenente i ritratti di alcuni tra gli arcipreti
che si sono succeduti dal 1461 al 1958, si accede alle stanze che
contengono il tesoro della parrocchia.
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Acquasantiera, manufatto in marmo bianco. Reca scolpita una mano che la
sostiene. Sull'orlo si legge: "PETRO DETENAS".
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San Bartolo e San Giacomo, tele settecentesche.
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San Giuseppe, tela piccola ovale del '700.
TESORO
- Nel tesoro sono esposti tutte le più importanti suppellettili
liturgiche d'argento della chiesa (alcune in stile barocco,
altre in stile rococò o neoclassico)
e numerosi paramenti sacri finemente ricamati.
Tra
le opere più rilevanti vi è l'ostensorio - reliquiario d'argento
e argento dorato della seconda metà del XIV secolo con smalti
traslucidi raffinatamente lavorato dall'orafo toscano Piro (o Piero) di
Martino da Pisa, e il reliquiario architettonico che culmina con la
figura di San Bartolomeo, patrono di Geraci, opera della scuola
argentiera palermitana e risalente al XVI secolo. Grazie ad
un'iscrizione sappiamo che il primo fu donato da Francesco
II Ventimiglia, conte di Geraci, originariamente come reliquiario
e trasformato in seguito in ostensorio.
Sono
poi presenti numerosi calici quattro - cinquecenteschi, alcuni recanti
il più antico marchio della maestranza degli orafi di Palermo (l'aquila
con ali a volo basso e la scritta RUP, acronimo di Regia Urbs
Panormi). Sono anche esposti alcuni gioielli donati dalle famiglie come
ex voto ai santi protettori. La prima sistemazione del tesoro si deve
all'arciprete Isidoro Giaconia: nel 1995 esso fu riorganizzato
utilizzando il criterio espositivo cronologico consentendo al visitatore
di notare come attraverso i secoli cambino tipologie e stili.
Chiesa
di Santo Stefano
Oggi la
Chiesa di Santo Stefano funge da Auditorium.
Ha una struttura a croce
greca irregolare risalente al primo Seicento e possiede un
caratteristico campanile a conci policromi.
Tra le
opere d'arte che contiene, è interessante la scultura lignea policroma
e dorata di Santo
Stefano del XVI
secolo.
Il
dipinto datato 1609, olio su tela raffigurante la Visione di Santo
Stefano Protomartire con portali laterali contenenti otto riquadri
illustranti episodi di vita (Nascita, Pellegrinaggio, Diaconato, Disputa, Allontanamento, Lapidazione, Sepoltura, Ritrovamento),
opera dell'artista madonita Giuseppe
Salerno soprannominato lo Zoppo
di Ganci.
Convento
dei Padri Cappuccini
I
Padri Cappuccini si insediarono a Geraci nel 1689. Il Convento vide la
luce grazie anche alla tenacia del Marchese di Geraci, che si recò fino
a Roma per chiedere a Papa Innocenzo X il permesso di costruirlo. La
Santa Sede scelse oltre ai religiosi in numero di 27, anche il luogo ove
ubicarlo. Vollero erigere il Convento in una posizione isolata, nella
vallata a ovest dell’abitato.
Il
3 marzo del 1689 si pose la prima pietra. I religiosi vissero
soprattutto di lavoro della terra e di carità. Nel 1866, per la
soppressione degli ordini religiosi, il Convento fu chiuso e la proprietà
venne trasferita al Comune. Oggi la struttura è stata restaurata e
riportata all’antico splendore. Anche gli affreschi sono stati
recuperati.
In
accordo alla regola francescana, l’architettura conventuale è molto
semplice. Si organizza attorno a un chiostro quadrato, che sui due lati
ha dei portici con archi. Il Convento si sviluppava su due livelli. Al
piano terra, oltre alla chiesa che occupa il lato occidentale, erano
sistemati i locali di servizio e il refettorio con affreschi
dell’Ultima Cena e della Crocifissione, mentre al piano superiore si
trovavano le celle dei frati.
Dopo
il restauro degli anni Novanta del Novecento il complesso conventuale è
divenuto la sede del polo comunale Cultura d’eccellenza MUSeBArch.
Custodisce al suo interno anche l'antica biblioteca dei Cappuccini, con
rari e pregiati testi, e ospita l'Archivio Storico Comunale e il ricco
museo etno-antropologico delle Madonie.
All’interno
della struttura si svolgono anche eventi istituzionali, convegni e
momenti di condivisione comune.
Chiesa
di San Giacomo
La
chiesa di San Giacomo, situata nei pressi del Castello, è formata da
una navata centrale e due ampie cappelle laterali. Durante i lavori di
restauro del 1984 sono state rinvenute varie sovrapposizioni e in un
pilastro è stato trovato un affresco bizantineggiante del XIV secolo
raffigurante un Santo benedicente.
Tra
le opere d'arte ospitate, si segnalano: una statua lignea del XVIII
secolo, raffigurante San Giacomo, attribuita a Filippo Quattrocchi, e le
tele raffiguranti l'Immacolata ritratta tra i Santi Giacomo
e Chiara - opera del 1657 di Giuseppe
Tomasi -
e la Conversione di San Paolo, attribuita al pittore
madonita De Galbo; un Crocefisso ligneo trecentesco, raro esemplare di
Crocefisso legato alla corrente nordica del gotico doloroso in Sicilia.
Chiesa
dei Santi Cosma e Damiano
A
nord-ovest del territorio, nella zona denominata San Cusimano, in
un'oasi pianeggiante, sorge una piccola cappella dedicata ai santi Cosma
e Damiano. La chiesetta è molto antica, come denota il portale
goticheggiante.
L'unica
opera presente nella cappella era una tela del pittore De Galbo
rappresentante i due Santi che purtroppo è stata trafugata nel 1983.
Chiesa
del collegio di Maria
Il
Collegio sorse nel 1738; la chiesa ad essa collegata è ad una navata,
ornata con stucchi a rocaille in oro. La facciata marmorea che dà su
Piazza del popolo risale al XVIII secolo.
Tra
le opere d'arte che contiene, vi è la tela raffigurante la Madonna del
Rosario del XVIII secolo, la scultura lignea policroma risalente al
tardo-seicento di San Michele, un'altra tela raffigurante la Natività
datata 1651 e una croce dipinta risalente al XVII secolo, legata alla
ricca produzione madonita dei secoli precedenti. Inoltre all'interno del
collegio vi è una collezione privata di Bambinelli in cera con culla
appartenenti alle suore; alcuni sono del XVIII secolo ornati con coralli
e trine di fattura artigianale locale.
Chiesa
di Santa Maria La Porta
La
chiesa, costruita nel 1496, prende il nome di Santa Maria La Porta perché
collocata in corrispondenza di una delle porte che chiudevano Geraci al
tempo dei Ventimiglia. È a una navata e a croce latina; s'ipotizza
che abbia inglobato una piccola cappella già esistente.
Il
portale di marmo bianco, datato 1496 e attribuito a Giovannello
Gagini e
ad Andrea
Mancino,
presenta sull'architrave tre medaglioni tondi in cui sono rappresentati
l'annunciazione e l'eterno padre (in quello centrale). Sull'architrave
ci sono dei cherubini alati sovrastati da una Madonna col bambino
attorniata da angeli. Una croce sormonta il portale, fiancheggiato da
due colonnine scolpite alla cui base sono rappresentati la creazione di
Adamo ed Eva e il peccato originale.
Il
soffitto è ornato da affreschi ottocenteschi raffiguranti quattro scene
dell'antico testamento e sull'architrave di una finestra che porta alla
torre campanaria, grazie ai restauri, è stato scoperto un Cristo
deposto dalla croce finemente scolpito in legno.
Tra
le opere d'arte della chiesa vi è il polittico marmoreo policromo
dell'altare maggiore, risalente al XVI secolo e attribuito alla bottega
dei Gagini, la scultura raffigurante la Madonna della Porta con il
bambino del 1475 attribuita a Domenico
Gagini e
il Crocifisso ligneo policromo del XVII attribuito generalmente alla
scuola di Fra Umile
Pintorno.
Sotto l'altare di quest'ultimo è stato trovato un affresco raffigurante
la Deposizione di Gesù del XVIII secolo.
Nella
chiesa ci sono numerose tele, risalenti al XVII-XVII secolo, e un
affresco raffigurante la Madonna in trono col Bambino del XV secolo.
Chiesa
di San Rocco
Questa
chiesa risale al XIV secolo ed è una delle più antiche del paese; è
adiacente alla Porta Baciamano e si presenta a una navata. Tra le opere
d'arte che racchiude, vi è la scultura lignea raffigurante San Rocco,
opera di maestro siciliano del XVI secolo, e la tela ovale raffigurante
la Madonna della Catena del XVIII secolo.
Chiesa
di San Francesco
Composta
da una sola navata, contiene la tela raffigurante la Madonna del Lume,
opera del 1757, le statue lignee raffiguranti Sant'Antonio di Padova e
San Francesco, la tela raffigurante il Transito del Patriarca San
Giuseppe e la scultura lignea della Madonna del Salvatore del XVII
secolo.
Monastero
Santa Caterina
Le
origini di questo monastero delle Benedettine cassinesi sono collegate a
un congregazione di donne ritirate che avevano la loro abitazione presso
la prima chiesa madre del paese dedicata a San Giuliano. Nel monastero
sono conservati paramenti ricamati in oro e argento, alcuni dei quali
risalenti al XVIII secolo, e alcuni atti e documenti interessanti.
Fra
le opere che include, si ricorda il reliquiario architettonico di San
Giuliano che reca alla base le figure di Santa Caterina e della Vergine
e che culmina con il Cristo risorto. È un'opera goticheggiante
risalente al XVI secolo e attribuita alla maestranza argentiera
palermitana. Da ricordare vi è anche la scultura marmorea
rappresentante Santa Caterina, di Giuliano Di Marino da Palermo, e
l'organo risalente al 1765, attribuito a Giacomo Andronico di Palermo.
Chiesa
di San Giuliano
La
chiesa di San Giuliano fu la prima parrocchia di Geraci e la sua
esistenza è attestata fin dal 1338. La sua storia ebbe un nuovo
corso a partire dalla fine del Quattrocento quando, in concomitanza con
la consacrazione dell’attuale chiesa Madre, venne annessa al monastero
benedettino di Santa Caterina, abitato fino al maggio 2015 da monache di
clausura della congregazione cassinese.
Già
nel 1492 era attiva «una congregazione di donne oneste ritirate» che
conduceva vita comune in alcuni locali nei pressi di San Giuliano.
Ma solo nel 1498, in seguito alla visita del vicario generale
dell’arcivescovo di Messina Antonio de Mortellens, venne ufficialmente
riconosciuto il monastero
«sotto la regola del patriarca San Benedetto» e
l’anno successivo fu eletta la prima abbadessa, donna Ramondetta
Russo.
Tra
le prime opere commissionate dalle monache per la chiesa, rientra la
statua di Santa Caterina d’Alessandria posta sull’altare principale
della chiesa, che risale al 1505 e può essere ricondotta al noto
scultore Giuliano Mancino.
Nel
corso del Seicento la chiesa fu sottoposta a notevoli interventi che
abbellirono l’austera fabbrica medievale, in origine a tre navate, e
la dotarono di significative opere d’arte.
Nel
secolo successivo si decise di decorare l’interno ingaggiando lo
stuccatore palermitano Francesco Alaimo, che in alcuni cantieri aveva
collaborato con il noto maestro Procopio Serpotta. Purtroppo gran parte
della sua opera è andata persa a causa dei terremoti del 1818-1819 che
arrecarono gravi danni all’edificio.
Chiesa
di Santa Maria della Cava
La
cappella è ubicata in località "Cozzo dell'Annunziata" in
uno spazio pianeggiante un tempo circondato da querce secolari, ora solo
roverelle e alberi di perastro o pero selvatico e macchia mediterranea.
Da un lato ai suoi piedi scorre il "Vallone dell'Annunziata o
vallone dell'eremita". In lontananza si scorge il ripido sentiero
chiamato "scaletta dell'Annunziata" che si snoda per alcune
centinaia di metri sul fianco di un dirupo a strapiombo sull'omonimo
vallone. Tutto l'insieme si trova all'interno del "Bosco
Cava".
La
costruzione risale al XIV secolo, al tempo di Francesco I Ventimiglia, e
vi si possono scorgere ancora reperti di gran pregio architettonico,
scultoreo e pittorico quali il portone ogivale, il rosone, entrambi
decorati in rilievo, l'arco interno a sesto acuto montato con pietre a
blocchi lineari, le finestre in stile romanico, i resti di affreschi
bizantineggianti, uno dei quali raffigura il busto di un Santo.
Nella
chiesetta era conservata la tela dell'Annunciazione, ora custodita nella
chiesa madre, che secondo la tradizione, appena fu portata in paese in
processione, fece cessare il colera che in quel periodo imperversava nel
borgo mietendo molte vittime.
Chiesa
di San Bartolomeo
Incerta
è la data della costruzione che probabilmente risale alla seconda metà
del XIII secolo. Si ipotizza sia il Sepolcreto dei Ventimiglia: qui
infatti venne sepolto Francesco I Ventimiglia nel 1338. La
chiesa, a una navata, fu ampliata nel 1775 e abbellita e decorata nel
1794.
Tra
le opere che contiene, vi sono due colonnine binate provenienti dal
chiostro agostiniano del XIV secolo, un polittico marmoreo attribuito a Antonello
Gagini,
e una scultura lignea raffigurante San Bartolomeo della fine del XVIII
secolo con caratteristiche stilistiche che rimandano allo scultore
Filippo Quattrocchi. Alla chiesa è affiancato l'ex convento agostiniano
risalente alla fine del XVII secolo che ancora conserva la sua antica
struttura planimetrica e altimetrica e l'originaria disposizione degli
spazi interni.
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