Cefalu'
(Palermo)
  
 

   

Cefalù, comune della provincia di Palermo da cui dista 74 km, sorge su un promontorio della costa tirrenica. Sul mare si trovano i resti di mura megalitiche, le cui origini si perdono nei secoli remoti della prima colonizzazione ellenica. Esse racchiudevano uno spazio urbano che, come oggi appare dominato dall'imponente mole della cattedrale, doveva, in quei tempi lontani, essere dominato da un tempio pagano.

Il principale asse viario della città è costituito dal corso Ruggero, dal quale, sulla sinistra, si diparte una serie di vie rettilinee che scendono al mare, e, sulla destra si aprono quelle che salgono la rocca. L'impianto urbanistico si presenta così distinto in due settori: il primo, formato vie parallele, normali al corso da cui hanno origine, che deve essere fatto risalire alla mentalità ordinatrice e razionale dei Greci; il secondo, irregolare e tortuoso tipicamente medievale, da assegnare all'epoca araba e, ancor di più, a quella normanna.

Accanto al centro storico, che conserva nel suo tessuto i caratteri tradizionali, è sorta una efficiente infrastruttura ricettiva, formata da costruzioni recenti, case di villeggiatura, complessi alberghieri, in grado di accogliere il considerevole flusso di visitatori che specialmente nei mesi estivi si riversa a Cefalù, attratto non soltanto dal suo patrimonio storico-artistico, ma anche dalla bellezza della sua costa. Cefalù, un tempo modesto centro di pescatori e agricoltori, è oggi, infatti, la più frequentata stazione balneare del litorale fra Palermo e Messina.

La tutela e la corretta valorizzazione di beni culturali e ambientali hanno evidenziato la vocazione turistica di Cefalù, che negli ultimi anni ha conosciuto un imprevedibile risveglio economico e si è avviata verso un diffuso processo di terziarizzazione, mentre la pesca e l'agricoltura sono diventate attività minori e marginali, i cui prodotti sono per lo più destinati al mercato locale.  

Sulla rupe che sovrasta l'abitato si trovano i resti di un santuario megalitico, detto Tempio di Diana, che risale al IX secolo a.C. e che, insieme ad altri documenti di vita preistorica rinvenuti sul versante orientale del promontorio, attesta la presenza di un insediamento nel luogo già in epoca preellenica. All'inizio del IV secolo, quando già doveva essere un centro di notevole importanza, in un trattato di alleanza con il cartaginese Imilcone (396 a.C), è ricordata per la prima volta con il nome greco di Kefalòidion, che quasi certamente doveva trarre origine dalla forma del promontorio sui cui sorgeva (kefalè, testa). Successivamente, allorché l'espansione cartaginese in Sicilia fu arrestata da Dionigi il Vecchio, Cefalù cadde in mano di Siracusa.

Nel IV secolo a.C. i Greci diedero al centro indigeno il nome di Kefaloidion, dal greco kefa o kefalé, ovvero «testa, capo»; riferito probabilmente al suo promontorio. Non è da escludere tuttavia la ripresa fonetica dall'aramaico (lingua cananaica strettamente affine al fenicio) kephas («pietra, roccia»), dunque sempre in riferimento al promontorio.

Nel 307 a.C. venne conquistata dai Siracusani e nel 254 a.C. dai Romani, che le diedero in latino il nome di Cephaloedium. La città ellenistico-romana ebbe una struttura urbanistica regolare, formata da strade secondarie confluenti sul principale asse viario e chiusa ad anello da una strada che segue il perimetro della cinta muraria.

Nel periodo del dominio bizantino l'abitato si trasferì dalla pianura sulla rocca e restano tracce di lavori di fortificazione di quest'epoca (mura merlate), oltre a chiesecaserme, cisterne per l'acqua e forni). La vecchia città non venne tuttavia del tutto abbandonata, come prova il recente rinvenimento di un edificio di culto cristiano, con pavimento in mosaico policromo risalente al VI secolo.

Nell'858, dopo un lungo assedio, venne conquistata dagli Arabi, che le diedero il nome di Gafludi, e fece parte dell'emirato di Palermo. Di questo periodo si hanno tuttavia notizie scarse e frammentarie e mancano anche testimonianze monumentali.

Nel 1063 fu conquistata dai Normanni di Ruggero I e, nel 1131, grazie a Ruggero II, fu rioccupato l'antico abitato sulla costa, rispettando la struttura urbana preesistente: a questo periodo risalgono parecchi dei monumenti cittadini, quali:

La chiesa di San Giorgio e il lavatoio di via Vittorio Emanuele

Il chiostro del duomo e il Palazzo Maria (sede trecentesca dell'allora Palazzo Comunale) sito in piazza del Duomo.

L'Osterio Magno sul corso Ruggero sede dei Ventimiglia a Cefalù.

Precisamente al 1131 è datata in particolare la basilica cattedrale.

Tra la metà del XIII secolo e il 1451 passò sotto il dominio di diversi feudatari e da ultimo divenne possedimento del vescovo di Cefalù.

La storia successiva di Cefalù si può assimilare a quella della Sicilia e del resto dell'Italia. Nel 1752 vi si iniziano a stabilire i consolati stranieri (FranciaDanimarcaPaesi BassiNorvegia e Svezia) e la città diventa meta del Grand Tour. Durante il Risorgimento, vi venne fucilato, il 14 marzo 1857, il patriota Salvatore Spinuzza. Dopo lo sbarco di Giuseppe Garibaldi del gennaio 1861, la città proclamò la sua adesione al Regno d'Italia.

Chiesa di Maria Santissima della Catena

Addossata a una tozza torre campanaria che ingloba nel basamento resti di fortificazioni arcaiche, sorge la Chiesa di S. Maria della Catena, altrimenti nota come chiesa dell'Addoloratella.

La chiesa sorge in piazza Garibaldi, dove venne fucilato il patriota Salvatore Spinuzza, nei pressi della Porta Reale (demolita nel 1787). A causa della sua posizione presso l'ingresso principale della città, i vescovi di Cefalù vi indossano i paramenti sacri prima del corteo del loro solenne ingresso nella diocesi.

La chiesa venne compiuta nel 1780 ad opera della famiglia Legambi, a cui si sostituì in seguito nel patrocinio la famiglia D'Anna. Nel 1790 Pietro Legambi vi fondò il "collegino dell'Addolorata", che doveva proseguire l'opera della "comunità della Santa Vergine Addolorata", fondata prima del 1642 presso la chiesa di Santa Maria di Gesù al Borgo. Nel 1902 vi venne istituito un altare con una statua dedicato a santa Maria della Catena, in ricordo di un miracolo avvenuto a Palermo alla fine del XIV secolo

La facciata in tufo giallo presenta una loggia di ingresso con ampio arco a tutto sesto sorretto da coppie di pilastri con capitelli ionici, ai cui lati sono nicchie con statue. Al di sopra della loggia un'altra nicchia fiancheggiata da due finestre ospita una statua della Madonna. Il portale di accesso, all'interno della loggia, è sopraelevato di alcuni gradini.

Sul campanile, che ingloba nella base resti delle mura megalitiche, furono collocati nel 1881 due orologi, per i quali fu necessario rialzare di un piano la torretta terminale e per la cui suoneria si riutilizzarono due delle tre campane del convento di Santa Caterina.

L'interno è ad una sola navata, illuminata dalle finestre della facciata e del fianco meridionale.

È antica tradizione che in questa chiesa si svolga la solenne cerimonia con cui i vescovi appena eletti prendono possesso della diocesi di Cefalù.  

Osterio Magno

Da piazza Garibaldi ha inizio il corso Ruggero, a metà del quale si trova l'Osterio Magno.

Tramandato per molti secoli come la “Domus Regia” di Ruggero II, l'Osterio Magno e il prospiciente Osterio Piccolo, non più esistente, furono edificati nel XIII secolo, riadattandoli su preesistenze ruggeriane, dalla potente famiglia dei Ventimiglia del Maro, conti e successivamente marchesi di Geraci e principi di Castelbuono.

Il documento più antico nel quale si fa riferimento all'Osterio Magno è il testamento, datato 8 gennaio 1387, con cui il conte di Geraci, Francesco II Ventimiglia(+1387), istituisce suo erede diretto il figlio Enrico III Ventimiglia(+1398).

Il palazzo restò in mano ai Ventimiglia fino al 1602, anno in cui Giovanni III Ventimiglia (1559 – 12 giugno 1619), Presidente del Regno di Sicilia negli anni 1595-1598 e 1606-1608, lo vendette a Simone de Flore. Morto Simone de Flore il 3 ottobre del 1603, gli eredi lo cedettero ai frati domenicani che in seguito, concedendolo in enfiteusi a varie persone, lo suddivisero in abitazioni, botteghe, magazzini e persino in carcere.  

Il palazzo con un fronte sull'odierna via G. Amendola si sviluppava sino al vecchio mercato ittico e su Corso Ruggero sino all'odierno palazzo Pintorno, con ingresso principale sulla via G. Amendola e grande corte interna, dove si trovava lo scalone di accesso al piano nobile. All'interno, in una sala al pianterreno, si conservano i resti di una cisterna, presumibilmente romana, appartenenti invece alla prima fase costruttiva, di epoca normanna, fino ad una certa altezza, sono le mura della torre quadrangolare, che poggiano su preesistenze greche. Ad una seconda fase appartiene la costruzione del cosiddetto palazzetto bicromo del XIII secolo dove si conservano tre bifore ed una terza ed ultima fase quella della sopraelevazione della grande torre quadrangolare, avvenuta tra il 1320 ed il 1330, con un suo sviluppo di tre piani in altezza e con un coronamento a difesa piombante, oggi non più esistente. Di matrice chiaramontana sono la grande trifora su Corso Ruggero e le due bifore su Via G. Amendola, che danno luce ad un ampio e solenne salone, dove si conserva ancora il portalino con piattabanda recante lo stemma dei Ventimiglia del Maro e dove si notano riferimenti stilistici al Palazzo Chiaramonte di Palermo. Su via G. Amendola, sulla facciata del palazzetto bicromo a fasce alternate di tufo e pietra lavica, si aprono tre eleganti bifore che danno ulteriore movimento alla complessità decorativa dell'insieme.  

Nell'ambito dei lavori di restauro dell'intero edificio effettuati dal 1988 al 1991 e diretti dal compianto architetto Silvana Braida, in seguito ad alcuni scavi archeologici diretti dal prof. Amedeo Tullio, all'interno della costruzione, sono venuti alla luce resti di edifici di epoca ellenistica, monete di bronzo del IV secolo a.C. numerosi reperti ceramici, tra i cui uno splendido bacile da parata con leone araldico del XIV secolo egregiamente restaurato dal prof. Sandro Varzi.  

Duomo

Proseguendo, si giunge alla piazza Duomo, ornata di palme e da una scenografica gradinata che sale all'ampio terrazzo antistante l'alta e svettante facciata della Cattedrale.

Il Duomo di Cefalù suggerisce, in termini urbanistici, l'ordine politico del tempo in cui fu concepito: la sua mole, compatta e poderosa, incombente sul sottostante abitato, sembra simboleggiare, infatti, il predominio esercitato da un sovrano assoluto sui suoi sudditi.

La cattedrale, iniziata nel 1131. fu realizzata a più riprese e di volta in volta con intendimenti artistici diversi.

La facciata, portata a compimento da Giovanni Panittera nel 1240, è chiusa fra due possenti torrioni ed è adorna di un ampio finestrone ogivale e di un doppio ordine di loggette ad archi ciechi.

L'atrio a tre arcate, che collega le due torri, fu costruito nel 1471 da Ambrogio da Corno, allo scopo di preservare dalla corrosione della salsedine gli affreschi, oggi irrimediabilmente perduti, che fiancheggiavano l'ingresso. L'interno, a cui si accede da un elegante portale marmoreo, è a croce latina con tre navate a slanciati archi ogivali, sorretti da colonne di età romana riutilizzate, forse databili al II sec. d.C, come le basi e i capitelli, anch'essi parzialmente rimaneggiati nel periodo bizantino.

Non è improbabile che tali elementi architettonici facessero parte di una costruzione preesistente, se si tiene conto che sotto l'atrio furono scoperti ì resti di un pavimento musivo paleocristiano e che anche una pittura dell'interno sembra doversi assegnare a un'epoca precedente a quella della cattedrale.  

La storia delle vicende costruttive del duomo di Cefalù è assai tormentata e la mancanza di unità stilistica che caratterizza l'insieme ne è la prova più evidente. L'edificio vuole la leggenda che fosse stato iniziato per volontà di Ruggero II, in adempimento a un voto per essere approdato indenne al porticciolo di Cefalù dopo essere miracolosamente scampato con la sua flotta a una terribile tempesta.  

Più verosimilmente fu per motivi politici che Ruggero II, volendo dominare uno dei punti strategici più importanti della Sicilia, ripristinò la diocesi, staccandola da quella di Messina, e alla sua direzione chiamò il frate agostiniano Jocelmo, un elemento fidatissimo che già aveva retto il priorato di Bagnara Calabra. Volle che il vescovato vantasse una cattedrale imponente e ardita, sull'esempio di quelle che, in quegli stessi anni, altre dinastie normanne patrocinavano in Inghilterra e nel Nord della Francia.

Ruggero II dovette certamente nutrire una manifesta predilezione per Cefalù, se concesse ai suoi cittadini particolari privilegi, come quello di esonerarli dal servizio militare o esentarli dal pagare imposte sulle merci esportate.

Nel 1145, inoltre, quando la costruzione del tempio era abbastanza avanzata, ordinò che vi fossero collocati due sarcofagi di porfido, uno per sé e uno per la moglie, destinando Cefalù a sede del mausoleo di famiglia.

Alla sua morte, però, avvenuta nel 1154, gli Altavilla non ebbero scrupoli a trasferire i mausolei dinastici a Monreale, e il disinvolto Federico II arrivò perfino a ordinare la rimozione dei due sarcofagi da Cefalù alla cattedrale di Palermo, in cui si trovano tuttora.

Venuto meno il favore dei sovrani, i lavori del duomo subirono una flessione e continuarono con frequenti interruzioni fino alla consacrazione, che fu possibile solo nel 1267, quando finalmente ebbe termine la serie dei ripensamenti, che fin dall'inizio avevano originato un continuo sovrapporsi di progetti.

A un certo punto della costruzione, parve a Ruggero II che le forme normanno-lombarde del primo progetto fossero troppo modeste a rappresentare l'idea della potenza e della regalità. Furono chiamate allora maestranze dal Nord, che sulla struttura iniziata innestarono i nuovi modi del nascente gotico franco-inglese. Nello stesso periodo si fecero vennire dalla Grecia maestri mosaicisti per rivestire di smaglianti decorazioni l'interno del tempio.  

Dopo la morte di Ruggero II, alla già abbastanza composita mescolanza di stili si venne ad aggiungere infine una componente di gusto arabo, quale si andava manifestando in quegli anni nella Sicilia occidentale. Fino a una certa altezza, il progetto iniziale è rintracciabile per lo più nei muri perimetrali del transetto e delle navatelle; mentre, la maestosità d'intenti del secondo progetto, è visibile nella imponente zona presbiteriale, molto più elevata del corpo anteriore, che, realizzato per ultimo, rappresenta una soluzione di ripiego e, comunque, il proposito di concludere a ogni costo un'impresa protrattasi troppo a lungo. Questa parte è caratterizzata dal tipo moresco degli archi a sesto acuto delle navate, dalle pitture nella capriata centrale, dalla decorazione esterna dell'abside ad archetti intrecciati. Moresco è pure l'arco trionfale fra la navata e il presbiterio, che costituisce il punto di saldatura e insieme di frizione delle ultime due fasi costruttive e stilistiche. Più che alla sua travagliata odissea costruttiva, la cattedrale di Cefalù deve la sua fama ai superbi mosaici che, come attesta un'iscrizione nell'abside, furono eseguiti nel 1148 da maestranze venute dall'Oriente, che seppero adattare le loro composizioni a una disposizione architettonica del tutto inusuale ai canoni dell'arte bizantina.

Nel catino absidale campeggia la solenne figura del Pantocratore benedicente, sovrastante tre fasce orizzontali popolate di personaggi sacri: in quella superiore è rappresentata la Vergine fra i quattro arcangeli; nella mediana e nella inferiore, gli Apostoli e gli Evangelisti.

Ai mosaici dell'abside fanno ala, sulle pareti laterali, altri tre ordini con figure di Profeti e di Santi. Nella volta a crociera, infine, sono raffigurati Cherubini e Serafini e quattro mezze figure di Angeli.

L'identificazione dei vari personaggi è agevolata da scritte in greco o in latino. La differenza di qualità fra i mosaici dell'abside e quelli del transetto (che quasi certamente si prevedeva di estendere a tutto l'interno) ha fatto ritenere che solo i primi siano da attribuire a maestri greci, mentre l'esecuzione dei secondi sarebbe da assegnare a meno esperte maestranze locali.

L'opinione più diffusa e accreditata, tuttavia, è quella che i mosaici di Cefalù siano stati realizzati, fra il 1148 e il 1170, dallo stesso gruppo di artisti e che le eventuali sproporzioni e asimmetrie siano da collegare alla necessità di adattare la decorazione a uno spazio anomalo precostituito.  

Tra le altre opere pittoriche conservate nel duomo di Cefalù, sono da segnalare: i superstiti motivi ornamentali (XIII sec.), nel soffitto della navata centrale, scampati a un incendio del 1888; una figura di Urgano V (XIV sec.), sull'ultima colonna della navata di sinistra; una Madonna col Bambino (XV sec), nel lato sinistro del transetto; una monumentale Croce lignea (XV sec.) dipinta su entrambe le facce, attribuita da alcuni a Tommaso de Vigilia, da altri a Guglielmo di Pesaro.

Da segnalare, inoltre, il Fonte battesimale (XII sec), ricavato da un unico blocco di calcare a lumachelle e scolpito con rilievi di leoni; una pregevole Madonna col Bambino (1533) in marmo policromo, da assegnare, se non ad Antonello Gagini, sicuramente alla sua scuola.

Fra i monumenti funerari, vanno citati: il Sepolcro del vescovo Castelli (1788) di Leonardo Pennino e due Sarcofagi sovrapposti. Quello sottostante, del tardo periodo romano, si dice che contenesse le spoglie di un sacerdote di nome Erodoto, in seguito sostituite da quelle di Eufemia d'Aragona, figlia di Pietro II, morta a Cefalù nel 1359. Quello superiore, invece, di età medievale, accoglierebbe i corpi di due figlioletti di Francesco Ventimiglia.

Da segnalare, infine, i due organi settecenteschi finemente decorati, installati sotto le due arcate che chiudono la navata. 

Da una porta, ricavata nel '600 al principio della navata di sinistra, si passa in un Chiostro quadrato che faceva parte dell'attiguo convento degli agostiniani. Un portico ad archi ogivali sorretto da colonne binate lo cinge su tre lati. In origine il portico correva sui quattro lati, ma, nel XVI secolo, un incendio distrusse l'ala orientale, che non fu più ripristinata. Anche il chiostro rispecchia la tormentata vicenda costruttiva dell'intero complesso, riscontrabile soprattutto nell'accostamento degli archi di influsso arabo con gli eleganti capitelli istoriati di gusto romanico-lombardo.  

Palazzo Comunale, Vescovado, Seminario

Di fronte alla cattedrale, sul lato opposto della piazza, si trova il Palazzo Comunale, ottenuto dalla trasformazione della medievale Badia di Santa Caterina, di cui conservano alcune tracce (un portale e una bifora) nel fianco prospiciente la via XXV Novembre. 

Il lato sinistro della piazza è delimitato dal Vescovado, ristrutturato nel 1793, e dal Seminario, edificato nel 1630. L'attuale impianto del Palazzo vescovile si deve al vescovo Francesco Gonzaga alla fine del Cinquecento e l'edificio fu completato dal vescovo Francesco Vanni, alla fine del Settecento, dandogli forma di palazzo signorile secondo il gusto e lo stile del tempo. Il suo stemma con la data 1793 campeggia sopra il portale d'ingresso. Sul cortile prospettano le tre facciate interne del palazzo, ritmate dai balconi con cornici in tufo, con coronamento alternativamente a timpano e arcuato. Il lato in cui si apre il portale d'ingresso è dato da un corpo basso con copertura a terrazza, che permette la comunicazione con il contiguo seminario. Recentemente l'aggiunta di un piano ha appesantito il complesso.  

Il seminario venne fondato presso il palazzo vescovile dallo stesso vescovo Francesco Gonzaga nel 1590. Presenta una facciata suddivisa in tre settori di ampiezza irregolare. Il settore di destra, più ampio è ripartito da larghe lesene coronate da mensole sporgenti e ha al centro un balcone al piano nobile, con cornice e timpano in tufo; al di sotto si aprono un portale e due finestre, prive di decorazioni. Gli altri due settori sono ripartiti da lesene, più strette, limitate alla parte superiore e presentano balconi maggiormente articolati, con timpano ad arco spezzato e cornici marcate, in pietra lumachella; l'ultimo piano, ha una breve loggetta e una cornice aggettante.  

Palazzo Pirajno, Palazzo Maria, Oratorio del SS. Sacramento e Palazzo Legambi

Sul lato destro della piazza si affacciano il rinascimentale Palazzo Pirajno, il Palazzo Maria, l'Oratorio del SS. Sacramento e il neoclassico Palazzo Legambi.  

Il Palazzo Pirajno è un palazzo nobiliare costruito verso la fine del Cinquecento dalla Nobile Famiglia Leone Muratori, poi è passato ai Pirajno di Mandralisca. Del prospetto, riconoscibile nell'originario impianto cinquecentesco, si segnalano gli eleganti portalini dei balconi, in lumachella, nonché il portale a conci di tufo, a bugnato. 

Ben leggibile, malgrado alcuni guasti, il cortile con elementi derivanti dall'architettura catalana con scala addossata al muro di fondo. Notevoli, infine, i corrimano litici, modanati, e gli eleganti mensoloni scolpiti che reggono il ballatoio di disimpegno. Degli ambienti interni originari sono discretamente leggibili alcuni saloni con soffitti lignei a cassettoni.  

Il Palazzo Maria, di origini duecentesche, che sicuramente doveva essere la sede dell'antico Palazzo Comunale, subì diverse modifiche nel corso del tempo. Passò in proprietà della famiglia Maria, dei baroni di Alburquia, che si era stabilita a Cefalù intorno al 1599. Nei primi anni dell'Ottocento fu soprelevato di un piano. Fu in seguito adibito a convitto maschile ed oggi è utilizzato come abitazioni private.

La facciata presentava in origine il piano nobile articolato dalla scansione delle bifore e il piano terra con la trasformazione a botteghe attuata nel Cinquecento. L'origine medievale è attestata dall'elegante portale ogivale in conci squadrati e cordoli concentrici sorretti da due leoni. Su un prospetto laterale si apre una finestra ogivale, con ghiera decorata a fogliame con una resa che richiama le decorazioni catalane; la finestra è inserita in un grande arco in conci di tufo squadrati, solo in parte leggibile, sopra la cui chiave di volta si trova a coronamento un fregio a fogliame sovrapposto, di forte vibrazione plastica.  

L'Oratorio del Santissimo Sacramento venne edificato nel 1688 come sede della "confraternita del Santissimo" (o "confraternita dei Bianchi", in contrapposizione a quella "dei Neri" della chiesa del Purgatorio).

Nel basamento è stato reimpiegato un blocco in calcare con l'iscrizione funeraria in greco a "Sosis il ghiottone", proveniente dalla necropoli ellenistica.

La facciata, preceduta da una breve scala, presenta due portali gemelli scolpiti, sormontati da un occhio circolare, e termina superiormente con un cornicione molto sporgente. Al di sopra un timpano mistilineo, dove si aprono tre finestre arcuate, quella centrale con campana.  

Il Palazzo Legambi è un palazzo settecentesco, innalzato presso la torre sud della cattedrale dalla famiglia Legambi in stile neoclassico. La facciata presenta sul piano nobile una partizione a lesene, che inquadrano balconi con timpani alternativamente triangolari e semicircolari. Le altre aperture sono delimitate da semplici cornici piatte. Interessanti il portale decentrato in relazione alla situazione topografica, e le decorazioni in conci di tufo giallastro, che spiccano sul resto delle parti intonacate.  

Palazzo Mandralisca

Di fianco al palazzo comunale si apre la via Mandralisca, nel cui selciato è rappresentato lo stemma della città, tre pesci e un pane, che simboleggiano le tradizionali risorse economiche di Cefalù. Sulla via prospettano interessanti architetture come il Monte di Pietà (1716), la Chiesa dell'Immacolatella (1665), l'ottocentesco Palazzo Ortolani, il Palazzo Mandralisca, sede dell'omonimo museo.

Il Museo Mandralisca raccoglie le collezioni che il barone Enrico Pirajno di Mandralisca (1809-1864), morendo, lasciò alla città insieme ai suoi beni per l'istituzione di una fondazione culturale. Il museo riflette la molteplicità di interessi del mecenate, che fu appassionato collezionista d'arte, archeologo, numismatico e naturalista. Si occupò in particolare di fossili e molluschi, sui quali lasciò importanti pubblicazioni. Nel 1848 fu eletto alla Camera dei Comuni e, dopo l'Unità, fu deputato anche nel primo Parlamento italiano.

Nella sezione scientifica del museo è esposta una parte della notevole collezione di conchiglie, costituita da oltre ventimila esemplari provenienti da ogni parte del mondo. Vi sono rappresentate, fra l'altro, tutte le specie fluviali e terrestri delle Madonie.

La sezione archeologica comprende: utensili neolitici; vasi sicelioti e attici; tavolette votive, maschere teatrali, lucerne di età greca e romana; una ricca collezione numismatica, in cui sono ordinate quasi tutte le monete coniate dalle zecche dell'antica Sicilia; cippi sepolcrali arabi. Alcuni degli oggetti esposti sono stati rinvenuti nel territorio di Cefalù, come un frammento di pavimento romano, un capitello ionico, un singolare sarcofago a forma di tempietto del II sec. a.C.

Il pezzo più importante della sezione archeologica è costituito da un raro cratere a figure rosse (IV sec. a.C), su cui appare, rappresentata in modo caricaturale, una vivace scenetta con un Venditore di tonno che discute con un compratore.

La sezione, che costituisce la pinacoteca, annovera alcune icone bizantineggianti di scuola cretese-veneziana, due vedute veneziane della scuola del Guardi, dipinti di scuola fiamminga, opere di Francesco Mieris, Francesco De Maria, Antonello De Saliba, Dionisio Calvaert, Pietro Novelli, G.B. Ruoppolo, Giovanni Mosco.

Ma l'opera che eccelle su tutte è certamente il famoso Ritratto di ignoto (1470 ca) di Antonello da Messina, di straordinario vigore espressivo. Prima di essere acquistato dal Mandralisca, questo quadro era appartenuto a un farmacista di Lipari, che l'avrebbe venduto per vedere finalmente serena la figlia nubile, resa inquieta dallo sguardo penetrante e dal sorriso insopportabile dello sconosciuto. Si dice che i due graffi che attraversano le labbra del personaggio fossero stati fatti proprio dalla figlia del farmacista una volta che, aprendo un armadietto, se l'era trovato davanti con quella irritante espressione ironica.

Vanno segnalati, infine, alcuni pezzi distribuiti nelle sale del museo, che facevano parte dell'arredamento della casa del barone Mandralisca: una portantina, un prezioso lampadario in vetro di Murano, alcuni monetieri con cassettini decorati, uno stipo dipinto del '700.  

Lavatoio medievale

In via Vittorio Emanuele si trova il lavatoio pubblico conosciuto come Lavatoio medioevale, presso il tardo-rinascimentale palazzo Martino. Nel 1514 fu demolito e ricostruito in posizione più arretrata rispetto alle mura cittadine e il fiume che scorreva a cielo aperto venne coperto nel XVII secolo. Nell'estate del 1991 sono stati ultimati i lavori di restauro.

Il lavatoio si presenta con una scalinata in pietra lavica e lumachella che conduce ad una pavimentazione levigata dal tempo e ad una serie di vasche che si colmano con le acque che scorrono da ventidue bocche di ghisa (di cui quindici teste leonine) disposte lungo le pareti sovrastate da basse volte. Attraverso un piccolo antro, l'acqua raggiunge il mare. Nelle vasche sono evidenti gli appoggi che servivano per strofinare i panni.  

Racconta una leggenda che il mitico Dafni, avendo tradito la ninfa sua sposa, fosse stato da lei accecato e, non rassegnandosi alla cecità, si fosse precipitato giù dall'Olimpo trasformandosi nel promontorio roccioso di Cefalù. Si dice che l'acqua del lavatoio provenga appunto da un bacino sotterraneo, formato dalle lacrime della ninfa, pentita di avere causato la morte di Dafni. Pare che nel luogo del lavatoio, in epoca romana, sorgessero dei bagni pubblici, poi trasformati dagli Arabi.  

 Porte e Rocca

Nelle vicinanze si trova la Porta Pescara o della marina, così chiamata poiché si affaccia sul porticciolo dove attraccano le barche dei pescatori.  

Qui secondo la leggenda, sarebbe approdato Ruggero II scampato alla tempesta. Nei pressi di questa porta, fino agli inizi del secolo scorso, venivano appesi, a pubblico disprezzo e ammonimento, i corpi dei condannati a morte. 

Le altre porte, che si aprivano nella cinta muraria che da ogni lato difendevano la città, erano: la Porta Ossuna, presso l'attuale piazza Cristoforo Colombo; la Porta Terra, presso la chiesa di S. Maria della Catena; la Porta della Giudecca, nella parte est, cosi chiamata dal quartiere in cui si era insediata una piccola comunità di mercanti ebrei. In quest'ultimo settore delle mura si trova anche la Postierla, una piccola porta di soccorso sormontata da un architrave monolitico, attraverso la quale si poteva raggiungere la sorgente di acqua dolce che sgorga presso il mare.

Nei pressi è pure visibile una Torre quadrangolare e altri cospicui avanzi della struttura originale a grandi blocchi poligonali, a cui, in epoche successive, si sono andati sovrapponendo continui rifacimenti e modifiche, fra cui case di civile abitazione. Il nucleo più arcaico di queste fortificazioni è difficilmente databile: qualcuno lo colloca addirittura intorno all'inizio del secondo millennio prima di Cristo, ma è verosimile che non risalga oltre il VI secolo a.C.  

È facilmente riconoscibile, invece, il loro tracciato, che dopo aver seguito la linea naturale della costa, piegava a circondare la città fino a congiungersi con la Rocca, l'imponente rupe, alta 256 m, che si leva alle spalle dell'abitato.

Sulla Rocca, a testimoniare la presenza dell'uomo in età protostorica, si trovano i resti di un recinto sacro, noto come Tempio di Diana, al cui interno è situata una cisterna, che ne costituisce la parte più antica (IX sec. a.C.) e che autorizza a supporre che l'edificio avesse in origine una funzione sacra, connessa a un culto locale delle acque. Non è escluso che tale funzione fosse conservata anche nella successiva epoca ellenica, quando, come attestano le modanature nell'architrave sulla porta d'accesso e negli stipiti, la costruzione fu ampiamente restaurata. 

Alla base della rocca principalmente sul lato nord ed est si sviluppa l'abitato storico di Cefalù. La parte inferiore occidentale invece è caratterizzata dai ruderi di una serie di mulini e condutture forzate che raccoglievano e sfruttavano l'acqua che scendeva da quel versante. Da questo lato s'inerpica il sentiero, fortificato nel medioevo, che permette di salire sulla rocca.

Il perimetro a mezza costa della rocca è tutto cintato da mura merlate risalenti al medioevo e ultimate nella parte più recente nel XV secolo. Sul lato occidentale delle mura si apre la porta cui arriva il sentiero d'accesso. Sempre a mezza costa ma nel piccolo altipiano interno della rocca vi sono dei resti di una costruzione megalitica risalente al IX secolo a.C. chiamata tempio di Diana. Nella parte volta a nord delle mura, affacciate a precipizio immediatamente sopra il Duomo di Cefalù e sopra tutto l'abitato è stata eretta una croce in metallo alta diversi metri che di notte si illumina a dominare il panorama.

La Rocca assunse importanza, come luogo fortificato di avvistamento e difesa durante il periodo bizantino, di cui rimangono notevoli testimonianze: resti di chiesette e di edifici domestici, forni per la panificazione, cisterne per la riserva idrica. 

Sulla cima vi sono i resti di un castello medievale risalenti al XIII-XIV secolo che danno localmente il nome a tutta la rocca chiamata u castieddu.

Agosto 2018