Cefalù,
comune della provincia di Palermo da cui dista 74 km, sorge su un
promontorio della costa tirrenica. Sul
mare si trovano i resti di mura megalitiche, le cui origini si perdono
nei secoli remoti della prima colonizzazione ellenica. Esse
racchiudevano uno spazio urbano che, come oggi appare dominato
dall'imponente mole della cattedrale, doveva, in quei tempi lontani,
essere dominato da un tempio pagano.
Il
principale asse viario della città è
costituito dal corso Ruggero, dal quale, sulla sinistra, si diparte una
serie di vie rettilinee che scendono al mare, e, sulla destra si aprono
quelle che salgono la rocca. L'impianto urbanistico si presenta così
distinto in due settori: il primo, formato vie parallele, normali al
corso da cui hanno origine, che deve essere fatto risalire alla
mentalità ordinatrice e razionale dei Greci; il secondo, irregolare e
tortuoso tipicamente medievale, da assegnare all'epoca araba e, ancor di
più, a quella normanna.
Accanto
al centro storico, che conserva nel suo tessuto i caratteri
tradizionali, è
sorta una efficiente infrastruttura ricettiva, formata da costruzioni
recenti, case di villeggiatura, complessi alberghieri, in grado di
accogliere il considerevole flusso di visitatori che specialmente nei
mesi estivi si riversa a Cefalù, attratto non soltanto dal suo
patrimonio storico-artistico, ma anche dalla bellezza della sua costa. Cefalù,
un tempo modesto centro di pescatori e agricoltori, è oggi, infatti, la
più frequentata stazione balneare del litorale fra Palermo e Messina.
La
tutela e la corretta valorizzazione di beni culturali e ambientali hanno
evidenziato la vocazione turistica di Cefalù,
che negli ultimi anni ha conosciuto un imprevedibile risveglio economico
e si è avviata verso un diffuso processo di terziarizzazione, mentre la
pesca e l'agricoltura sono diventate attività minori e marginali, i cui
prodotti sono per lo più destinati al mercato locale.
Sulla
rupe che sovrasta l'abitato si trovano i resti di un santuario megalitico,
detto Tempio di Diana, che risale al IX secolo a.C. e che, insieme ad
altri documenti di vita preistorica rinvenuti sul versante orientale del
promontorio, attesta la presenza di un insediamento nel luogo già in
epoca preellenica. All'inizio del IV secolo, quando già doveva essere
un centro di notevole importanza, in un trattato di alleanza con il
cartaginese Imilcone (396 a.C), è ricordata per la prima volta con il
nome greco di Kefalòidion, che quasi certamente
doveva trarre origine dalla forma del promontorio sui cui sorgeva (kefalè,
testa). Successivamente, allorché l'espansione cartaginese in Sicilia
fu arrestata da Dionigi il Vecchio, Cefalù cadde in mano di Siracusa.
Nel IV
secolo a.C. i Greci diedero
al centro indigeno il nome di Kefaloidion, dal greco kefa o kefalé,
ovvero «testa, capo»; riferito probabilmente al suo promontorio. Non
è da escludere tuttavia la ripresa fonetica dall'aramaico (lingua
cananaica strettamente affine al fenicio) kephas («pietra,
roccia»), dunque sempre in riferimento al promontorio.
Nel 307
a.C. venne conquistata dai Siracusani e
nel 254
a.C. dai Romani,
che le diedero in latino il
nome di Cephaloedium. La città ellenistico-romana
ebbe una struttura urbanistica regolare,
formata da strade secondarie confluenti sul principale asse viario e
chiusa ad anello da una strada che segue il perimetro della cinta
muraria.
Nel
periodo del dominio bizantino l'abitato
si trasferì dalla pianura sulla rocca e
restano tracce di lavori di fortificazione di
quest'epoca (mura merlate),
oltre a chiese, caserme,
cisterne per l'acqua e forni).
La vecchia città non venne tuttavia del tutto abbandonata, come prova
il recente rinvenimento di un edificio di culto cristiano, con pavimento
in mosaico policromo risalente al VI
secolo.
Nell'858,
dopo un lungo assedio,
venne conquistata dagli Arabi,
che le diedero il nome di Gafludi, e fece parte dell'emirato di
Palermo.
Di questo periodo si hanno tuttavia notizie scarse e frammentarie e
mancano anche testimonianze monumentali.
Nel 1063 fu
conquistata dai Normanni di Ruggero
I e, nel 1131,
grazie a Ruggero
II, fu rioccupato l'antico abitato sulla costa, rispettando la
struttura urbana preesistente: a questo periodo risalgono parecchi dei
monumenti cittadini, quali:
La
chiesa di San
Giorgio e il lavatoio di via Vittorio Emanuele
Il chiostro del duomo e
il Palazzo Maria (sede trecentesca dell'allora Palazzo
Comunale) sito in piazza del Duomo.
L'Osterio
Magno sul corso Ruggero sede dei Ventimiglia a Cefalù.
Precisamente
al 1131 è
datata in particolare la basilica cattedrale.
Tra la
metà del XIII
secolo e il 1451 passò
sotto il dominio di diversi feudatari e
da ultimo divenne possedimento del vescovo di Cefalù.
La
storia successiva di Cefalù si può assimilare a quella della Sicilia e
del resto dell'Italia.
Nel 1752 vi
si iniziano a stabilire i consolati stranieri (Francia, Danimarca, Paesi
Bassi, Norvegia e Svezia)
e la città diventa meta del Grand
Tour. Durante il Risorgimento,
vi venne fucilato, il 14 marzo 1857,
il patriota Salvatore
Spinuzza. Dopo lo sbarco di Giuseppe
Garibaldi del gennaio 1861, la città proclamò la sua
adesione al Regno
d'Italia.

Chiesa
di Maria Santissima della Catena
Addossata a una tozza torre campanaria che ingloba nel basamento resti
di fortificazioni arcaiche, sorge la Chiesa di S. Maria della Catena,
altrimenti nota come chiesa dell'Addoloratella.
La
chiesa sorge in piazza Garibaldi, dove venne fucilato il patriota Salvatore
Spinuzza, nei pressi della Porta Reale (demolita nel 1787).
A causa della sua posizione presso l'ingresso principale della città, i
vescovi di Cefalù vi indossano i paramenti sacri prima del corteo del
loro solenne ingresso nella diocesi.
La
chiesa venne compiuta nel 1780 ad
opera della famiglia Legambi, a cui si sostituì in seguito nel
patrocinio la famiglia D'Anna. Nel 1790 Pietro
Legambi vi fondò il "collegino dell'Addolorata", che doveva
proseguire l'opera della "comunità della Santa Vergine
Addolorata", fondata prima del 1642 presso la chiesa di Santa Maria
di Gesù al Borgo. Nel 1902 vi
venne istituito un altare con una statua dedicato a santa Maria della
Catena, in ricordo di un miracolo avvenuto a Palermo alla fine del XIV
secolo
La
facciata in tufo giallo presenta una loggia di ingresso con ampio arco a
tutto sesto sorretto da coppie di pilastri con capitelli ionici, ai cui
lati sono nicchie con statue. Al di sopra della loggia un'altra nicchia
fiancheggiata da due finestre ospita una statua della Madonna. Il
portale di accesso, all'interno della loggia, è sopraelevato di alcuni
gradini.
Sul
campanile, che ingloba nella base resti delle mura megalitiche, furono
collocati nel 1881 due orologi, per i quali fu necessario rialzare di un
piano la torretta terminale e per la cui suoneria si riutilizzarono due
delle tre campane del convento di Santa Caterina.
L'interno
è ad una sola navata, illuminata dalle finestre della facciata e del
fianco meridionale.
È
antica tradizione che in questa chiesa si svolga la solenne
cerimonia con cui i vescovi appena eletti prendono possesso della
diocesi di Cefalù.
Osterio
Magno
Da
piazza Garibaldi ha inizio il corso Ruggero, a metà del quale si trova
l'Osterio Magno.
Tramandato
per molti secoli come la “Domus Regia” di Ruggero II, l'Osterio
Magno e il prospiciente Osterio Piccolo, non più esistente, furono
edificati nel XIII secolo, riadattandoli su preesistenze ruggeriane,
dalla potente famiglia dei Ventimiglia del Maro, conti e
successivamente marchesi di Geraci e principi di Castelbuono.
Il
documento più antico nel quale si fa riferimento all'Osterio Magno è
il testamento, datato 8 gennaio 1387, con cui il conte di Geraci,
Francesco II Ventimiglia(+1387), istituisce suo erede diretto il figlio
Enrico III Ventimiglia(+1398).
Il
palazzo restò in mano ai Ventimiglia fino al 1602, anno in cui Giovanni
III Ventimiglia (1559 – 12 giugno 1619), Presidente del
Regno di Sicilia negli anni 1595-1598 e 1606-1608, lo vendette a Simone
de Flore. Morto Simone de Flore il 3 ottobre del 1603, gli eredi lo
cedettero ai frati domenicani che in seguito, concedendolo in enfiteusi a
varie persone, lo suddivisero in abitazioni, botteghe, magazzini e
persino in carcere.
Il
palazzo con un fronte sull'odierna via G. Amendola si sviluppava sino al
vecchio mercato ittico e su Corso Ruggero sino all'odierno palazzo
Pintorno, con ingresso principale sulla via G. Amendola e grande corte
interna, dove si trovava lo scalone di accesso al piano nobile.
All'interno, in una sala al pianterreno, si conservano i resti di una
cisterna, presumibilmente romana, appartenenti invece alla prima fase
costruttiva, di epoca normanna, fino ad una certa altezza, sono le mura
della torre quadrangolare, che poggiano su preesistenze greche. Ad una
seconda fase appartiene la costruzione del cosiddetto palazzetto bicromo
del XIII secolo dove si conservano tre bifore ed una terza ed
ultima fase quella della sopraelevazione della grande torre
quadrangolare, avvenuta tra il 1320 ed il 1330, con un suo sviluppo di
tre piani in altezza e con un coronamento a difesa piombante, oggi non
più esistente. Di matrice chiaramontana sono la grande trifora su
Corso Ruggero e le due bifore su Via G. Amendola, che danno
luce ad un ampio e solenne salone, dove si conserva ancora il portalino
con piattabanda recante lo stemma dei Ventimiglia del Maro e
dove si notano riferimenti stilistici al Palazzo Chiaramonte di
Palermo. Su via G. Amendola, sulla facciata del palazzetto bicromo a
fasce alternate di tufo e pietra lavica, si aprono tre eleganti bifore
che danno ulteriore movimento alla complessità decorativa
dell'insieme.
Nell'ambito
dei lavori di restauro dell'intero edificio effettuati dal 1988 al 1991
e diretti dal compianto architetto Silvana Braida, in seguito ad
alcuni scavi archeologici diretti dal prof. Amedeo Tullio,
all'interno della costruzione, sono venuti alla luce resti di edifici di
epoca ellenistica, monete di bronzo del IV secolo a.C. numerosi
reperti ceramici, tra i cui uno splendido bacile da parata con leone
araldico del XIV secolo egregiamente restaurato dal prof. Sandro
Varzi.
- Duomo

Proseguendo,
si giunge alla piazza Duomo, ornata di palme e da
una
scenografica gradinata che sale all'ampio terrazzo antistante l'alta e
svettante facciata della Cattedrale.
Il
Duomo di Cefalù
suggerisce, in termini urbanistici, l'ordine politico del tempo in cui
fu concepito: la sua mole, compatta e poderosa, incombente sul
sottostante abitato, sembra simboleggiare, infatti, il predominio
esercitato da un sovrano assoluto
sui suoi sudditi.
La
cattedrale, iniziata nel 1131. fu realizzata a più
riprese e di volta in volta con intendimenti artistici diversi.
La
facciata, portata a compimento da Giovanni Panittera nel 1240, è
chiusa fra due possenti torrioni ed è adorna di un ampio finestrone
ogivale e di un doppio ordine di loggette ad archi ciechi.
L'atrio
a tre arcate, che collega le due torri, fu costruito nel 1471 da
Ambrogio da Corno, allo scopo di preservare dalla corrosione della
salsedine gli affreschi, oggi irrimediabilmente perduti, che
fiancheggiavano l'ingresso. L'interno, a cui si accede da un elegante
portale marmoreo, è
a croce latina con tre navate a slanciati archi ogivali, sorretti da
colonne di età romana riutilizzate, forse databili al II sec. d.C, come le basi e
i capitelli, anch'essi parzialmente rimaneggiati nel
periodo bizantino.
Non
è improbabile
che tali elementi architettonici facessero parte di una costruzione
preesistente, se si tiene conto che sotto l'atrio furono scoperti ì
resti di un pavimento musivo paleocristiano e che anche una pittura
dell'interno sembra doversi assegnare a un'epoca precedente a quella
della cattedrale.
La
storia delle vicende costruttive del duomo di Cefalù è assai
tormentata e la mancanza di unità stilistica che caratterizza l'insieme ne è la prova più evidente.
L'edificio vuole la leggenda che fosse stato iniziato per volontà di
Ruggero II, in adempimento a un voto per essere approdato indenne al
porticciolo di Cefalù dopo essere miracolosamente scampato con la sua
flotta a una terribile tempesta.

Più
verosimilmente fu per motivi politici che Ruggero II, volendo dominare
uno dei punti strategici più importanti della Sicilia, ripristinò
la diocesi, staccandola da quella di Messina, e alla sua direzione
chiamò il frate agostiniano Jocelmo, un elemento fidatissimo che già
aveva retto il priorato di Bagnara Calabra. Volle che il vescovato
vantasse una cattedrale imponente e ardita, sull'esempio di quelle che,
in quegli stessi anni, altre dinastie normanne patrocinavano in
Inghilterra e nel Nord della Francia.
Ruggero
II dovette certamente nutrire una manifesta predilezione per Cefalù,
se concesse ai suoi cittadini particolari privilegi, come quello di
esonerarli dal servizio militare o esentarli dal pagare imposte sulle
merci esportate.
Nel
1145, inoltre, quando la costruzione del tempio era abbastanza avanzata,
ordinò che vi fossero collocati due sarcofagi di porfido, uno per sé e
uno per la moglie, destinando Cefalù a sede del mausoleo di famiglia.
Alla
sua morte, però, avvenuta nel 1154, gli Altavilla non
ebbero scrupoli
a trasferire i mausolei dinastici a Monreale, e il disinvolto Federico
II arrivò
perfino a ordinare la rimozione dei due sarcofagi da Cefalù alla
cattedrale di Palermo, in cui si trovano tuttora.
Venuto
meno il favore dei sovrani, i lavori del duomo subirono una flessione
e continuarono con frequenti interruzioni fino alla consacrazione, che
fu possibile solo nel 1267, quando finalmente ebbe termine la serie
dei ripensamenti, che fin dall'inizio avevano originato un continuo
sovrapporsi di progetti.
A
un certo punto della costruzione, parve a Ruggero II che le forme
normanno-lombarde del primo progetto fossero troppo modeste a
rappresentare l'idea della potenza e della regalità.
Furono chiamate allora maestranze dal Nord, che sulla struttura iniziata innestarono
i nuovi modi del nascente gotico franco-inglese.
Nello stesso periodo si fecero vennire dalla Grecia maestri mosaicisti per rivestire di smaglianti decorazioni l'interno del
tempio.

Dopo
la morte di Ruggero II, alla già
abbastanza composita mescolanza di stili si venne ad aggiungere infine
una componente di gusto arabo, quale si andava manifestando in
quegli anni nella Sicilia occidentale. Fino a una certa altezza, il
progetto iniziale è rintracciabile per lo più nei muri perimetrali
del transetto e delle navatelle; mentre, la maestosità d'intenti del
secondo progetto, è visibile nella imponente zona presbiteriale,
molto più elevata del corpo anteriore, che, realizzato per ultimo,
rappresenta una soluzione di ripiego e, comunque, il proposito di
concludere a ogni costo un'impresa protrattasi troppo a lungo. Questa parte è caratterizzata dal
tipo
moresco degli archi a sesto acuto delle navate, dalle pitture nella
capriata centrale, dalla decorazione esterna dell'abside ad archetti
intrecciati. Moresco è
pure l'arco trionfale fra la navata e il presbiterio, che costituisce
il punto di saldatura e insieme di frizione delle ultime due fasi
costruttive e stilistiche. Più che alla sua travagliata odissea
costruttiva, la cattedrale di Cefalù deve la sua fama ai superbi
mosaici che, come attesta un'iscrizione nell'abside, furono eseguiti
nel 1148 da maestranze venute dall'Oriente, che seppero adattare le
loro composizioni a una disposizione architettonica del tutto inusuale
ai canoni dell'arte bizantina.
Nel
catino absidale campeggia la solenne
figura del Pantocratore benedicente, sovrastante tre fasce orizzontali
popolate di personaggi sacri: in quella superiore è
rappresentata la Vergine fra i quattro arcangeli; nella mediana e nella
inferiore, gli Apostoli e gli Evangelisti.
Ai
mosaici dell'abside fanno ala, sulle pareti laterali, altri tre ordini
con figure di Profeti e di Santi. Nella volta a crociera, infine, sono
raffigurati Cherubini e Serafini e quattro mezze figure di Angeli.
L'identificazione
dei vari personaggi è
agevolata da scritte in greco o in latino. La differenza di qualità fra
i mosaici dell'abside e quelli del transetto (che quasi certamente
si prevedeva di estendere a tutto l'interno) ha fatto ritenere che solo
i primi siano da attribuire a maestri greci, mentre l'esecuzione dei secondi sarebbe da
assegnare a meno esperte maestranze locali.
L'opinione
più diffusa e
accreditata, tuttavia, è quella che i mosaici di Cefalù siano
stati realizzati, fra il 1148 e il 1170, dallo stesso gruppo di
artisti e che le eventuali sproporzioni e asimmetrie siano da
collegare alla necessità di adattare la decorazione a uno spazio
anomalo precostituito.

Tra
le altre opere pittoriche conservate nel duomo di Cefalù, sono da
segnalare: i superstiti motivi ornamentali (XIII sec.), nel soffitto
della navata centrale, scampati a un incendio del 1888; una figura di
Urgano V (XIV sec.), sull'ultima colonna della navata di sinistra; una
Madonna col Bambino
(XV sec), nel lato sinistro del transetto; una monumentale
Croce lignea (XV sec.)
dipinta
su entrambe le facce, attribuita da alcuni a Tommaso de Vigilia, da
altri a Guglielmo di Pesaro.
Da
segnalare, inoltre, il Fonte battesimale (XII sec), ricavato da un unico
blocco di calcare a lumachelle e scolpito con rilievi di leoni; una
pregevole Madonna col Bambino (1533) in marmo policromo, da assegnare,
se non ad Antonello Gagini, sicuramente alla sua scuola.
Fra
i monumenti funerari, vanno citati: il Sepolcro del vescovo Castelli
(1788) di Leonardo Pennino e due Sarcofagi sovrapposti. Quello
sottostante, del tardo periodo romano, si dice che contenesse le spoglie
di un sacerdote di
nome Erodoto, in seguito sostituite da quelle di Eufemia
d'Aragona, figlia di Pietro II, morta a Cefalù
nel 1359. Quello superiore, invece, di età medievale, accoglierebbe
i corpi di due figlioletti di Francesco Ventimiglia.
Da
segnalare, infine, i due organi settecenteschi finemente decorati,
installati sotto le due arcate che chiudono la navata.
Da una porta,
ricavata nel '600 al principio della navata di sinistra, si passa in un
Chiostro quadrato che faceva parte dell'attiguo convento degli agostiniani. Un
portico ad archi ogivali sorretto da colonne binate lo
cinge su tre lati. In origine il portico correva sui quattro lati, ma,
nel XVI secolo, un incendio distrusse l'ala orientale, che non fu più
ripristinata. Anche il chiostro rispecchia la tormentata vicenda
costruttiva dell'intero complesso, riscontrabile soprattutto
nell'accostamento degli archi di influsso arabo con gli eleganti
capitelli istoriati di gusto romanico-lombardo.
Palazzo
Comunale, Vescovado, Seminario
Di
fronte alla cattedrale, sul lato opposto della piazza, si trova il
Palazzo Comunale, ottenuto dalla trasformazione della medievale
Badia di Santa Caterina, di cui conservano alcune tracce (un portale e
una bifora) nel fianco prospiciente la via XXV Novembre.
Il lato
sinistro della piazza è
delimitato dal Vescovado, ristrutturato nel 1793, e dal Seminario,
edificato nel 1630. L'attuale
impianto del Palazzo vescovile si deve al vescovo Francesco
Gonzaga alla fine del Cinquecento e
l'edificio fu completato dal vescovo Francesco
Vanni, alla fine del Settecento,
dandogli forma di palazzo signorile secondo il gusto e lo stile del
tempo. Il suo stemma con la data 1793 campeggia sopra il portale
d'ingresso. Sul cortile prospettano le tre facciate interne del palazzo,
ritmate dai balconi con cornici in tufo, con coronamento
alternativamente a timpano e arcuato. Il lato in cui si apre il portale
d'ingresso è dato da un corpo basso con copertura a terrazza, che
permette la comunicazione con il contiguo seminario. Recentemente
l'aggiunta di un piano ha appesantito il complesso.
Il seminario venne
fondato presso il palazzo vescovile dallo stesso vescovo Francesco
Gonzaga nel 1590.
Presenta una facciata suddivisa in tre settori di ampiezza irregolare.
Il settore di destra, più ampio è ripartito da larghe lesene coronate
da mensole sporgenti e ha al centro un balcone al piano
nobile, con cornice e timpano in tufo;
al di sotto si aprono un portale e due finestre, prive di decorazioni.
Gli altri due settori sono ripartiti da lesene, più strette, limitate
alla parte superiore e presentano balconi maggiormente articolati, con
timpano ad arco spezzato e cornici marcate, in pietra lumachella;
l'ultimo piano, ha una breve loggetta e una cornice aggettante.

Palazzo Pirajno, Palazzo Maria, Oratorio del SS. Sacramento e Palazzo
Legambi
Sul lato destro
della piazza si affacciano il rinascimentale
Palazzo Pirajno, il Palazzo Maria, l'Oratorio del SS. Sacramento e il
neoclassico Palazzo Legambi.
Il Palazzo
Pirajno è un palazzo nobiliare costruito verso la fine del Cinquecento dalla Nobile
Famiglia Leone Muratori, poi è passato ai Pirajno di Mandralisca. Del
prospetto, riconoscibile nell'originario impianto cinquecentesco, si
segnalano gli eleganti portalini dei balconi, in lumachella, nonché il
portale a conci di tufo, a bugnato.
Ben leggibile, malgrado alcuni
guasti, il cortile con elementi derivanti dall'architettura catalana con
scala addossata al muro di fondo. Notevoli, infine, i corrimano litici,
modanati, e gli eleganti mensoloni scolpiti che reggono il ballatoio di
disimpegno. Degli ambienti interni originari sono discretamente
leggibili alcuni saloni con soffitti lignei a cassettoni.
Il Palazzo
Maria, di origini duecentesche,
che sicuramente doveva essere la sede dell'antico Palazzo Comunale, subì
diverse modifiche nel corso del tempo. Passò in proprietà della
famiglia Maria, dei baroni di Alburquia, che si era stabilita a Cefalù
intorno al 1599. Nei primi anni dell'Ottocento fu soprelevato di un
piano. Fu in seguito adibito a convitto maschile ed oggi è utilizzato
come abitazioni private.
La
facciata presentava in origine il piano nobile articolato dalla
scansione delle bifore e il piano terra con la trasformazione a botteghe
attuata nel Cinquecento. L'origine medievale è attestata dall'elegante
portale ogivale in conci squadrati e cordoli concentrici sorretti da due
leoni. Su un prospetto laterale si apre una finestra ogivale, con ghiera
decorata a fogliame con una resa che richiama le decorazioni catalane;
la finestra è inserita in un grande arco in conci di tufo squadrati,
solo in parte leggibile, sopra la cui chiave di volta si trova a
coronamento un fregio a fogliame sovrapposto, di forte vibrazione
plastica.
L'Oratorio
del Santissimo Sacramento venne edificato nel 1688 come
sede della "confraternita del Santissimo" (o
"confraternita dei Bianchi", in contrapposizione a quella
"dei Neri" della chiesa del Purgatorio).
Nel
basamento è stato reimpiegato un
blocco in calcare con l'iscrizione funeraria in greco a
"Sosis il ghiottone", proveniente dalla necropoli ellenistica.
La
facciata, preceduta da una breve scala, presenta due portali gemelli
scolpiti, sormontati da un occhio circolare, e termina superiormente con
un cornicione molto sporgente. Al di sopra un timpano mistilineo,
dove si aprono tre finestre arcuate, quella centrale con campana.
Il Palazzo
Legambi è un palazzo settecentesco,
innalzato presso la torre sud della cattedrale dalla famiglia Legambi in
stile neoclassico.
La facciata presenta sul piano nobile una partizione a lesene, che
inquadrano balconi con timpani alternativamente triangolari e
semicircolari. Le altre aperture sono delimitate da semplici cornici
piatte. Interessanti il portale decentrato in relazione alla situazione
topografica, e le decorazioni in conci di tufo giallastro, che spiccano
sul resto delle parti intonacate.

Palazzo Mandralisca
Di
fianco al palazzo comunale si apre la via Mandralisca, nel cui selciato è
rappresentato lo stemma della città, tre pesci e un pane, che
simboleggiano le tradizionali risorse economiche di Cefalù. Sulla via
prospettano interessanti architetture come il Monte di Pietà (1716), la
Chiesa dell'Immacolatella (1665), l'ottocentesco Palazzo Ortolani, il
Palazzo Mandralisca, sede dell'omonimo museo.
Il
Museo Mandralisca raccoglie le collezioni che il barone Enrico Pirajno
di Mandralisca (1809-1864), morendo, lasciò
alla città insieme ai suoi beni per l'istituzione di una fondazione
culturale. Il museo riflette la molteplicità di interessi del mecenate, che fu appassionato
collezionista d'arte, archeologo,
numismatico e naturalista. Si occupò in particolare di fossili e
molluschi, sui quali lasciò importanti pubblicazioni. Nel 1848
fu
eletto alla Camera dei Comuni e, dopo l'Unità,
fu deputato anche nel primo Parlamento italiano.
Nella
sezione scientifica del museo è
esposta una parte della notevole collezione di conchiglie, costituita
da oltre ventimila esemplari provenienti da ogni parte del mondo.
Vi
sono rappresentate, fra l'altro, tutte le specie fluviali e terrestri
delle Madonie.
La sezione archeologica
comprende:
utensili neolitici; vasi sicelioti e attici; tavolette votive, maschere
teatrali, lucerne di età
greca e romana; una ricca collezione numismatica, in cui sono ordinate quasi tutte le monete coniate dalle zecche dell'antica
Sicilia; cippi sepolcrali arabi. Alcuni degli oggetti esposti sono
stati rinvenuti nel territorio di Cefalù, come un frammento di
pavimento romano, un capitello ionico, un singolare sarcofago a forma
di tempietto del II sec. a.C.
Il
pezzo più
importante della sezione archeologica è costituito da
un
raro cratere a figure rosse (IV sec. a.C), su cui appare, rappresentata in modo caricaturale, una vivace scenetta con un
Venditore di tonno che discute con un compratore.
La
sezione, che costituisce la pinacoteca, annovera alcune icone bizantineggianti di scuola cretese-veneziana, due vedute veneziane della
scuola del Guardi, dipinti di scuola fiamminga, opere di Francesco Mieris,
Francesco De Maria, Antonello De Saliba, Dionisio Calvaert,
Pietro Novelli, G.B. Ruoppolo, Giovanni Mosco.
Ma
l'opera che eccelle su tutte è
certamente il famoso Ritratto di ignoto (1470 ca) di Antonello da
Messina, di straordinario vigore espressivo. Prima di essere acquistato dal Mandralisca, questo quadro era appartenuto a un
farmacista di Lipari, che l'avrebbe venduto per vedere finalmente
serena la figlia nubile, resa inquieta dallo sguardo penetrante e dal
sorriso insopportabile dello sconosciuto. Si dice che i due graffi che
attraversano le labbra del personaggio fossero stati fatti proprio
dalla figlia del farmacista una volta che, aprendo un armadietto, se
l'era trovato davanti con quella irritante espressione ironica.
Vanno
segnalati, infine, alcuni pezzi distribuiti nelle sale del museo, che
facevano parte dell'arredamento della casa del barone Mandralisca: una
portantina, un prezioso lampadario in vetro di Murano, alcuni monetieri
con cassettini decorati, uno stipo dipinto del '700.
Lavatoio
medievale
In
via Vittorio Emanuele si trova il lavatoio pubblico conosciuto come Lavatoio
medioevale, presso il tardo-rinascimentale palazzo
Martino. Nel 1514 fu
demolito e ricostruito in posizione più arretrata rispetto alle mura
cittadine e il fiume che scorreva a cielo aperto venne coperto nel XVII
secolo. Nell'estate del 1991 sono stati ultimati i lavori di
restauro.
Il
lavatoio si presenta con una scalinata in pietra lavica e lumachella che
conduce ad una pavimentazione levigata dal tempo e ad una serie di
vasche che si colmano con le acque che scorrono da ventidue bocche di
ghisa (di cui quindici teste leonine) disposte lungo le pareti
sovrastate da basse volte. Attraverso un piccolo antro, l'acqua
raggiunge il mare. Nelle vasche sono evidenti gli appoggi che servivano
per strofinare i panni.
Racconta una leggenda che il mitico Dafni,
avendo tradito la ninfa sua sposa, fosse stato da lei accecato e, non
rassegnandosi alla cecità,
si fosse precipitato giù dall'Olimpo trasformandosi nel promontorio
roccioso di Cefalù. Si dice che l'acqua del lavatoio provenga appunto
da un bacino sotterraneo, formato dalle lacrime della ninfa, pentita
di avere causato la morte di Dafni. Pare che nel luogo del lavatoio, in
epoca romana, sorgessero dei bagni pubblici, poi trasformati dagli
Arabi.

Porte e Rocca
Nelle
vicinanze si trova la Porta Pescara o della marina, così
chiamata poiché si affaccia sul porticciolo dove attraccano le
barche dei pescatori.
Qui
secondo la leggenda, sarebbe approdato Ruggero II scampato alla
tempesta. Nei pressi di questa porta, fino agli inizi del secolo scorso,
venivano appesi, a pubblico disprezzo e ammonimento, i corpi dei condannati a morte.
Le altre porte, che si aprivano nella cinta muraria che
da ogni lato difendevano la città,
erano: la Porta Ossuna, presso l'attuale piazza Cristoforo Colombo; la
Porta Terra, presso la chiesa di S. Maria della Catena; la Porta della
Giudecca, nella parte est, cosi chiamata dal quartiere in cui si era
insediata una piccola comunità di mercanti ebrei. In quest'ultimo
settore delle mura si trova anche la Postierla, una piccola porta di
soccorso sormontata da un architrave monolitico, attraverso la quale
si poteva raggiungere la sorgente di acqua dolce che sgorga presso il
mare.
Nei
pressi è pure
visibile una Torre quadrangolare e altri cospicui avanzi della
struttura originale a grandi blocchi poligonali, a cui, in epoche
successive, si sono andati sovrapponendo continui rifacimenti e
modifiche, fra cui case di civile abitazione. Il nucleo più arcaico di
queste fortificazioni è difficilmente databile: qualcuno lo colloca
addirittura intorno all'inizio del secondo millennio prima di Cristo, ma
è verosimile che non risalga oltre il VI secolo a.C.

È
facilmente riconoscibile, invece, il loro tracciato, che dopo aver
seguito la linea naturale della costa, piegava a circondare la città
fino a congiungersi con la Rocca, l'imponente rupe, alta 256 m, che si
leva alle spalle dell'abitato.
Sulla
Rocca, a testimoniare la presenza dell'uomo in età
protostorica, si trovano i resti di un recinto sacro, noto come
Tempio di Diana, al cui interno è situata una cisterna, che ne
costituisce la parte più antica (IX sec. a.C.) e che autorizza a
supporre che l'edificio avesse in origine una funzione sacra,
connessa a un culto locale delle acque. Non è escluso che tale funzione
fosse conservata anche nella successiva epoca ellenica, quando, come
attestano le modanature nell'architrave sulla porta d'accesso e negli
stipiti, la costruzione fu ampiamente restaurata.
Alla
base della rocca principalmente sul lato nord ed est si sviluppa
l'abitato storico di Cefalù. La parte inferiore occidentale invece è
caratterizzata dai ruderi di una serie di mulini e condutture
forzate che raccoglievano e sfruttavano l'acqua che scendeva da quel
versante. Da questo lato s'inerpica il sentiero, fortificato nel
medioevo, che permette di salire sulla rocca.
Il perimetro a
mezza costa della rocca è tutto cintato da mura merlate risalenti al medioevo e
ultimate nella parte più recente nel XV secolo. Sul lato occidentale
delle mura si apre la porta cui arriva il sentiero d'accesso. Sempre a
mezza costa ma nel piccolo altipiano interno della rocca vi
sono dei resti di una costruzione megalitica risalente al IX secolo a.C.
chiamata tempio di Diana. Nella parte volta a nord delle mura,
affacciate a precipizio immediatamente sopra il Duomo di Cefalù e
sopra tutto l'abitato è stata eretta una croce in metallo alta diversi
metri che di notte si illumina a dominare il panorama.
La Rocca assunse
importanza, come luogo fortificato di avvistamento e difesa durante il
periodo bizantino, di cui rimangono notevoli testimonianze: resti di
chiesette e di edifici domestici, forni per la panificazione, cisterne
per la riserva idrica.
Sulla
cima vi sono i resti di un castello medievale risalenti al XIII-XIV
secolo che danno localmente il nome a tutta la rocca chiamata u
castieddu.
Agosto
2018
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