Castelbuono (Borgo)
(Palermo)

 

Le prime tracce di insediamento risalgono all'epoca neolitica (utensili di uso domestico ed armi di pietra levigata), e sono probabilmente attribuibili a popolazioni di stirpe sicana, cacciate dalla costa per l'incalzare di altri popoli, tra i quali i Siculi. I primi insediamenti, quindi, si fanno risalire al III millennio a.C.

All'epoca della colonizzazione greca, risale la figura poetica del pastore Dafni, nato sulle Madonie fra le delizie del Ninpharum Locus, nel boschetto di Lauro irrorato dalle fresche acque sorgive. Etimologicamente a Lauro si fa corrispondere Dafni. Inoltre reperti archeologici (soprattutto materiale fittile nelle tombe) della civiltà greco-romana sono stati rinvenuti nella necropoli di Bergi.

All'epoca della dominazione bizantina e successivamente arabo-normanna, in Sicilia è documentato il "casale d'Ypsigro", citato come "zona fresca in media altitudine". Documentano, inoltre, tali dominazioni i vari ruderi di fabbricati in contrada San Guglielmo (forse il castello del Kadì), le tracce di necropoli, la tradizione che la Vecchia Matrice fosse originariamente una moschea, infine l'abside della chiesa di Santa Venera e il portale dell'ex-abbazia di Sant'Anastasia. La zona di Castelbuono sembra coincidere con la località di Riqqat Basili ("campi di Basilio") che nel XII secolo al-Idrisi pone "9 miglia a nord di Geraci", definendoli "rinomati per l'abbondanza e per l'eccellente qualità dei loro prodotti".

Castelbuono, oggi sorge sull'antico casale bizantino di Ypsigro (edificato sul colle San Pietro). Il toponimo di Ypsigro era ben noto agli storici e geografi del passato, che inizialmente lo collocavano sui Nebrodi. Solo con un documento del 1105 si rinviene l'esatta collocazione. In tale atto scritto - redatto fra l'abate benedettino Ambrosio di Lipari ed il nobile geracese Ugo di Creone - viene descritta la permuta di una frazione di terreno la cui collocazione ha ad oggetto i luoghi adiacenti al colle di San Pietro.

Alla fine del Duecento, un gruppo di geracesi si trasferì dalla vicina Fisauli ad Ypsigro, probabilmente per la mitezza del clima. La zona si trovava ad ovest dell'attuale castello. A tale epoca risale la prima migrazione di geracesi verso la conca divenuta poi l'attuale Castelbuono.

Il primo documento nel quale si riscontra il nome di Castelbuono risale al 1329. Trattasi di un atto notarile nel quale il conte Francesco Ventimiglia dichiara al vescovo di Cefalù che egli detiene il bosco e le terre di S. Maria di Bisanzio in territorio Castri Boni. Quanto alla esatta fondazione del castello e, conseguentemente del paese, questa è testimoniata dalla lapide che si trova sull'arco di ingresso del maniero, nella cui incisione in latino, si traduce quanto segue: l'anno del verbo incarnato 1317, regnando il glorioso Federico, re di Sicilia, noi, Francesco conte di Ventimiglia, di Ischia maggiore e Geraci e signore delle due Petralie, abbiamo incominciato ad edificare questo castello belvedere Ypsigro nel nome di Cristo.

La fondazione, pertanto, non risale al 1269, quando ivi si trasferì la popolazione di Fisauli ma, al 1317. Al 1269, risale esclusivamente la costruzione di un fondaco sul colle San Pietro, con scopo di avvistamento (prima idea di roccaforte).

L'abitato sorto presso il fondaco, nel 1282, contava circa trecento abitanti e agli inizi del XIV secolo possedeva già tre chiese e costituiva un centro di una certa importanza.

Da tale periodo si fa risalire il dominio della famiglia Ventimiglia sulla contea di Ypsigro, protrattosi fino al XX secolo. Nel 1860 si registra, infatti, l'estinzione della linea maschile diretta e del titolo ma non dell'asse ereditario.

La famiglia Ventimiglia, da cui vennero importanti guerrieri e diplomatici e il cui dominio si estendeva su vari paesi delle Madonie, imparentata con l'imperatore Federico II, proveniva dalla Contea del Maro in Liguria, e arrivò in Sicilia a metà del XIII secolo con Enrico II conte di Ventimiglia e del Maro, figlio del conte Filippo I.

Con Enrico Ventimiglia ha inizio il ramo siciliano del casato. Egli, infatti, sposò la contessa Isabella discendente del duca Serlo II d'Altavilla, il quale - secondo un'incerta tradizione - sembra abbia governato la contea di Geraci. Con tale matrimonio Enrico divenne conte di Geraci.

Nel 1269 Enrico riceve dal vescovo di Lipari il collem sancti Petri de Ypsigro (colle di San Pietro), permutandolo con altri terreni adiacenti a Geraci (seconda permuta del sito).

Nel 1316 il nipote di Enrico, Francesco I, ottiene dal Papa di poter istituire un cenobio francescano sul colle di Ypsigro, ereditato dal nonno. Da lì a poco ebbe inizio la costruzione del castello riutilizzando una struttura precedente (vecchio fondaco costruito sul colle di San Pietro), secondo il modello del maschio (torrione centrale) cui si affianca la residenza del signore.

Alla morte di Francesco Ventimiglia, avvenuta nel 1338, la contea di Geraci e Castelbuono venne confiscata da Pietro d'Aragona, passando nel dominio regio, fino alla restituzione ai figli Emanuele e Francesco II Ventimiglia nel 1354.

Nel 1454, Giovanni I Ventimiglia di Castello Maniaci decise di trasferire la sua “corte” a Castelbuono; tale avvenimento, nella specie, contribuì alla rinascita culturale ed economica dell'abitato. Dalla situazione anzi rappresentata, peraltro, derivò una inevitabile conseguenza: lo spostamento della sacra Reliquia del teschio di Sant'Anna, dono del Duca di Lorena, la quale, fino ad allora, risultava venerata nel castello di Geraci. Tale reliquia, nella specie, rinvenuta durante il periodo delle crociate, era stata precedentemente trasferita in Sicilia, probabilmente dal conte Enrico II di Ventimiglia.

Nel 1595 Giovanni III Ventimiglia Maniaci e Ventimiglia (figlio di Maria Ventimiglia di Ciminna), ottenne il titolo di principe di Castelbuono, e il paese divenne contemporaneamente "capitale dello Stato di Geraci". Il principe, in qualità di Principe dell'Accademia della Stella organizzò il plotone d'onore dei "Cavalieri della Stella", giovani che si addestravano nell'esercizio delle armi e dell'equitazione. Il campo d'addestramento, recinto da mura, corrispondeva alla spianata orientale del castello, chiamato poi il Piano del Marchese. Notevole fu lo sviluppo religioso, culturale ed artistico grazie a questo personaggio, il quale chiamò a Castelbuono i padri Cappuccini e i padri Domenicani (ai quali venne affidata l'istruzione pubblica) per cui furono eretti i conventi con le chiese annesse. Egli iniziò anche la costruzione della Matrice Nuova nel 1602 e nel 1614 fece trasportare la fontana di Venere Ciprea nel corso principale.

Nel 1632 "la terra" ottenne lo status di "città". In quest'epoca possedeva i tratti d'una città giardino realizzata secondo modelli probabilmente ispirati a Francesco Maurolico. Nella nuova trama urbana, per tutta la seconda metà del secolo, s'incastrarono chiese, conventi e fontane, mentre la Nuova Matrice si aprirà al culto nel 1701. Particolarmente vivace fu la vita culturale: i Serpotta lavorarono alla cappella di Sant'Anna, il castello viene ristrutturato e i Ventimiglia dotarono la città di un teatro. Molto attive furono alcune accademie letterarie e Torquato Tasso fu per un periodo tra gli artisti di corte. Negli ultimi decenni del Settecento la città era divenuta centro di interesse per alcune casate nobiliari delle Madonie, mentre la popolazione subiva il gravoso dispotismo del principe.

L'ultimo del ramo principale dei Ventimiglia di Geraci, fu Giovanni Luigi VIII, il quale, in seguito ad un'epidemia di colera si autoinvestì del titolo di abate di Santa Maria del Parto. Lo stesso morì nel 1860. E i titoli passarono a Carlo Antonio II Ventimiglia Maniaci dei Principi di Grammonte.

Nel 1812, la costituzione siciliana abolisce i privilegi feudali; ciò, tuttavia, non comporta il venir meno della nobiltà locale. Si registra, invero, in tale periodo, la presenza di attive casate.

In particolare, tra queste, si ricordano: i Guerrieri, i Collotti ed i Galbo. Tali famiglie, nella specie, contribuirono allo sviluppo culturale, nonché,economico del paese, mediante l'esportazione della manna nella vicina città di Palermo. Prodotto, quest'ultimo, ad oggi utilizzato nelle Madonie sia in campo gastronomico che omeopatico.

Sempre in tale periodo, si segnala la presenza di alcune famiglie borghesi, i cui appartenenti, diedero numerosi contributi in termini di ricerca medico-scientifica, tra questi, occorre far riferimento alla figura di Francesco Minà Palumbo.

Tra il 1828 e il 1820, diverse scosse sismiche danneggiarono il castello, e la Matrice Nuova perse i campanili e la cupola. Nel castello fu demolito l'ultimo piano e, ingrandita la cappella, si crearono l'ingresso attuale e la sacrestia.

La città partecipò alle rivolte contro i Borboni nel 1848 e nel 1860, ricevendo elogi da Giuseppe Garibaldi. Aderì alla rivolta sociale dei fasci siciliani nel 1893, durante la quale subì lo stato d'assedio.

Un importante personaggio nella Castelbuono risorgimentale fu il barone Francesco Maria Guerrieri Failla, poeta e patriota, nato a Castelbuono il 21 febbraio 1831 e morto ivi il 29 agosto 1900. Compì i suoi studi a Palermo, prima nel Collegio dei Nobili, e successivamente nell'Ateneo Palermitano. Quando il moto del 4 aprile 1860 (moto della Gancia) fallì, il 18 aprile 1860 Francesco Maria Guerrieri scrisse un proclama: "Italiani di Castelbuono l'alba della rigenerazione è giunta... uno è il principio, uno il fine, sottrarci tutti all'infame gioco dei tiranni" e innalza il vessillo tricolore sul campanile della chiesa di S. Antonio Abate.

Dopo il 900 ha inizio la storia contemporanea di Castelbuono. Anche nella cittadina scende l'incubo del primo conflitto bellico. Complessivamente il tributo di Castelbuono fu il seguente: 163 morti, 411 feriti oltre i dispersi in campo ed i morti in prigionia.

La situazione non muta con la seconda guerra mondiale, preceduta dalle vicende del fascismo. A Castelbuono, inneggia la propaganda fascista: adunanze di balilla, piccole italiane e figli della lupa. Si ascolta Radio Londra ed il paese subisce i bombardamenti. Celebre fu quello che investì la Matrice Vecchia, ad angolo con la discesa del Collegio.

A tale periodo, risale anche la fugace visita di Mussolini a Castelbuono. L'evento era atteso per le ore 15 del 6 maggio 1924. Grandi preparativi furono allestiti, con le scolaresche e le autorità. Alle 18, dopo tre ore di attesa, lo stesso si presentò a bordo della sua Alfa Romeo, non scese dall'auto, e si limitò a stringere velocemente la mano al Sindaco, ripartendo di gran fretta. In molti si chiesero il perché di tanta celerità. L'ipotesi più accreditata fa riferimento ai 552 "solisti", vale a dire si castelbuonesi che, nelle elezioni del mese precedente, avevano votato la lista socialista del Sole.

Alcuni anni più tardi, dopo la caduta del fascismo, il 18 settembre del 1943, il capitano Kelly insedia il primo consiglio comunale, viene nominato Sindaco Gioacchino Failla. Si contano i morti della grande guerra: 88 i deceduti.

L'anno successivo si costituisce la Repubblica di Salò, viene chiamato a farne parte, come sottosegretario al Ministero della Cultura Popolare, il castelbuonese Alfredo Cucco.

Nel 1946 si tengono le prime elezioni comunali post-belliche, le prime a suffragio universale. Vincerà le elezioni, la nuova formazione politica "della democrazia repubblicana", Filippo Bonomo viene eletto Sindaco. Come vicesindaco viene eletta, invece, una donna, fatto abbastanza sorprendente per l'epoca. Si trattava di Nicla La Grua.

Castello dei Ventimiglia

In seguito al restauro del 1997 sono emerse le strutture di un edificio precedente al castello dei Ventimiglia, voluto nel 1317 dal conte Francesco I Ventimiglia. L'edificio attuale è il risultato di numerosi rifacimenti, che rendono difficile la ricostruzione del suo originario aspetto. A semplice pianta quadrangolare, mostra all'esterno un misto di stili che in quel periodo influenzavano tutta l'architettura siciliana. Il volume a cubo richiama lo stile arabo; le torri angolari quadrate riecheggiano quello normanno; la torre rotonda si rifà invece alle costruzioni militari sveve. Nel terremoto degli inizi del XIX secolo scomparvero i merli, della forma ghibellina, a coda di rondine, ed inoltre mura di cinta, torri ed archi, oggi andati in rovina. Alcune strutture difensive del XIII secolo e alcuni ambienti del XIV secolo sono invece rimasti intatti.

Nel 1920 il castello, che intanto era venuto in possesso del barone Fraccia, passò al comune di Castelbuono. Adesso è sede del Museo civico.

L’Amministrazione del Comune di Castelbuono, nell’ambito del Progetto “Green Communities” nell'ambito del programma “Energie rinnovabili e risparmio energetico 2007-2013”, nel 2016 vi ha realizzato un impianto geotermico a bassa entalpia.

All'interno le ricche sale hanno i soffitti a cassettoni scolpiti e decorati, e finestre e portali di stile gotico (soffitto ligneo quattrocentesco della “Sala Magna” decorato e poggiante su mensole scolpite). Al XV secolo risalgono inoltre le prime ristrutturazioni, in conseguenza del trasferimento al castello della reliquia di Sant'Anna, poi proclamata patrona della città.

Nell'attuale Cappella Palatina si conserva l'urna del 1521 della reliquia, a forma di busto e ornata di rilievi, con scene della vita di sant'Anna e san Gioacchino e la nascita di Maria. Nei due altari laterali si osservano due tele, una "Discesa di Cristo", copia di un'opera del Rubens, e l'"Estasi di San Liborio", opera del pittore castelbuonese Mariano Galbo (XIX secolo).

L'interno è interamente rivestito di stucchi, opera dei fratelli Giuseppe e Giacomo Serpotta ordinati da Francesco Rodrigo Ventimiglia. Vi sono raffigurate figure umane virili, putti, angeli, elementi floreali sacri e mitologici, con una varietà di stile che va dal quello più arcaico pesante di Giuseppe, a quello più agile e realistico di Giacomo. L'apparato figurativo si compone di quattro allegorie che ben si adattano alla Santa: la Presentazione di Maria al Tempio; sposalizio di Giuseppe con Maria; allegoria del Paganesimo e del Cristianesimo. Negli stalli del coro sono presenti i mezzibusti dei Signori Ventimiglia e i personaggi dell'Antico Testamento.

Chiesa di Maria Santissima Assunta 

La chiesa di Santa Maria Santissima Assunta, ossia la Matrice Vecchia, risale al XIV secolo. I restauri hanno rimesso in luce alcuni elementi di una precedente costruzione del XIII secolo. La costruzione ha subito nel corso del tempo diversi rimaneggiamenti e attualmente mescola gli stili romano-gotico, gotico catalano e composito-chiaramontano.  

Il prospetto della chiesa è adorno di un portale gotico-catalano con orlatura a foglie rampanti, e di un portico a tre arcate a tutto sesto del XVI secolo, che, originariamente, girava anche sul fianco della quarta navata.

Il campanile richiama lo stile di transizione romanico-gotico. Al centro è una bifora con colonnina marmorea, a cui si appoggiano due archetti ciechi poggianti su piccole mensole scolpite, raffiguranti figure mostruose. La cupola è spezzata da una corona merlata, da cui svetta il pinnacolo rivestito da mattonelle a smalto di gusto moresco.

Alle tre navate della chiesa, alla fine del XV secolo ne venne aggiunta una quarta, con soffitto a cassettoni con trabeazioni che poggiano su mensole scolpite. Sulle colonne sono stati scoperti i frammenti di affreschi trecenteschi con figure di santi e di martiri. Un frammento di pittura a encausto raffigurante lo Sposalizio di Santa Caterina, di scuola siculo-toscana si conserva accanto alla porta della sacrestia.

Cappella del Santissimo Sacramento. Ambiente caratterizzato da notevole ciborio – alto più di quattro metri e largo due – attribuito a Giorgio da Milano ed eseguito intorno al 1493, che si presenta riccamente decorato: il manufatto marmoreo è costituito da due coppie di colonne tortili disposte su due ordini con pinnacoli terminali. Al primo ordine coppie d'angeli reggono panneggi a mo' di baldacchino, il tabernacolo centrale è delimitato da dodici angeli genuflessi, nella predella la scena centrale dell'Ultima Cena, ai lati i rimanenti Apostoli e Profeti. Sei riquadri interni alle coppie di colonnine raffigurano i quattro Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Al secondo ordine, sulla cornice con iscrizione, è collocata la Crocifissione di Gesù, due figure di santi ai lati, il tutto sormontato dalla lunetta contenente il rilievo della Natività di Gesù. Chiude il manufatto il mezzobusto del Padre Eterno benedicente sorretto da angeli.  

Il polittico (1520) è stato attribuito prima al Antonio di Saliba, (nipote del pittore Antonello da Messina) e più recentemente a Pietro Ruzzolone. Nella parte centrale sono dipinte le figure dell'arcangelo Gabriele e dell'Annunziata, che hanno accanto Sant'Elisabetta e Sant'Anna. Nella parte più bassa la Madonna col Bambino con a destra San Paolo e Sant'Agata, a sinistra San Pietro e Santa Lucia. Qui si conserva la copia del polittico, detto del Beato Guglielmo, il cui originale, trafugato intorno al 1875, si trovava nel Santuario di Santa Maria del Parto.

Chiesa della Natività di Maria 

Edificata tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII, palese è il riferimento al culto della Patrona Sant'Anna: la contesa e preziosa reliquia appartenente alla Madre di Maria, giunse in città nel 1454.

Crollata in seguito ai terremoti che interessarono il circondario nel 1818'19 e '23 fu riedificata nel 1830 senza la cupola originale, previa demolizione dei due campanili, danneggiati dagli sciami sismici, mantenendo le parti superstiti. Il complesso architettonico ricostruito si presenta in stile neoclassico.  

L'interno a croce latina è suddiviso in tre navate sorrette da dodici colonne in pietra, rivestite di stucco. Possiamo ammirare gli stucchi che rivestono le quattro colonne dei due altari del transetto, caratteristici dell'arte dei Serpotta, mentre gli angeli del frontone della cupola, sull'arco trionfale, appartengono alla mano di Vincenzo Messina. La grande croce in legno (1400) è forse opera di Pietro Ruzzolone. Opera di scuola antonelliana è il trittico di struttura tardo-gotica con influssi fiamminghi e proveniente dalla chiesa di Sant'Antonio Abate. Raffigura la Madonna, Sant'Antonio Abate e Sant'Agata; in alto l'Ecce Homo con l'Annunziata e l'arcangelo Gabriele; nella predella le scene del Martirio di Sant'Agata, del Fuoco di Sant'Antonio e della Natività.

Il tesoro proveniente dalla Matrice Vecchia è ricco di opere, fra cui l'ostensorio di Bartolomeo Tantillo del XVI secolo. Nella sacrestia una portantina settecentesca, con le miniature di Giuseppe Velasquez, a cui è attribuita anche una tela, raffigurante una Deposizione del XVIII secolo. Sulle navate laterali troneggiano diversi altari con tele provenienti anche da altri luoghi di culto cittadini, particolare è la tela raffigurante San Giuseppe che sembra riproporre un'allegra passeggiata del Santo con Gesù Bambino in un lussureggiante paesaggio.

Sulla navata destra, sia per la cappella del Crocifisso o dell'Addolorata. nella Cappella un Crocifisso del 1768 è incastonato in un artistico reliquiario che copre l'intera parete con cento vetri reliquiari. Sotto l'altare è custodito il corpo di San Pio Martire giunto da Roma nel 1772. nella cappella si affaccia la nicchia in cui è custodita l'urna con le Reliquie del Beato Guglielmo. Sempre nella cappella è da notare la tela raffigurante San Giuseppe Agonizzante.

Cappella del Santissimo Sacramento: ubicata in fondo alla navata destra. Ambiente raffinato ed elegante risalente al 1600. Gli stucchi sono un vero trionfo inneggiante all'eucaristia, anche le due tele si ispirano allo stesso tema: la Comunione di San Lugi Gonzaga e Gesù che porge la Comunione ad una Santa. L'opera più interessante e preziosa è senza dubbio il maestoso tabernacolo e il sovrastante ciborio, un vero trionfo di intarsi, reliquiari e argenti ripartiti su più piani.

Di squisita fattura anche le antiche statue raffiguranti San SebastianoSan RoccoSan VitoCristo Trionfante opera di Filippo Quattrocchi, e un'immagine della Madonna Immacolata. Notabile il Crocifisso di scuola bizantina.

Nella chiesa si trovano due organi a canne, entrambi costruiti da Pasquale Pergola e a trasmissione meccanica: quello maggiore si trova su cantoria lungo la parete destra della navata centrale, risale al 1837 e dispone di 10 registri; dietro l'altare vi è un organo positivo del 1823, a 4 registri.

Numerose altre chiese di pregevole valore artistico sono distribuite sul territorio di Castelbuono.

Chiesa di San Francesco

Chiesa di Sant'Antonino Martire

Chiesa di Santa Maria degli Angeli

Oratorio del Rosario

Chiesa di San Nicola

Chiesa e badia di Santa Venera

Chiesa dell'Itria

Chiesa dell'Annunziata

Chiesa di San Vincenzo

Chiesa di Sant'Agostino

Chiesa della Santissima Trinità

Chiesa del Monte Calvario

Chiesa della Madonna della Catena

Chiesa della Madonna del Palmento

Chiesa di Santa Lucia di Campagna

Chiesa di San Giovanni fuori le mura

Chiesa di San Nicasio

Fontana della Venere Ciprea

Al centro della "terra vecchia", oggi il corso principale, è la fontana della Venere Ciprea (XV secolo), che decorava, insieme a un variegato sistema di fontane, il belvedere dei Ventimiglia, ovvero il meraviglioso giardino rinascimentale inserito nel complesso comprendente anche la dimora dei Ventimiglia nei pressi del monastero dei francescani e della cappella di famiglia, dedicata a sant'Antonio, meglio conosciuta come Mausoleo dei Ventimiglia. 

La fontana fu ricomposta nel 1614 nella sua attuale collocazione. In alto si trova un'arcaica statua di Venere accovacciata, al centro Venere con Cupido e in basso pannelli di arte greca che raffigurano 4 miti di Venere. Le statue furono ritrovate durante il dissodamento delle terre del giardino ventimigliano; una lapide ricorda il ritrovamento

Agosto 2018