Militello Val di Catania (Borgo)
(Catania)

 

Un’enclave del barocco dall’altra parte della provincia. Un paesino suggestivo che, con strade, edifici e monumenti vari, richiama la bellezza tipica della Sicilia. Militello è un paese della zona calatina annoverato tra i borghi più belli d’Italia. Una realtà davvero interessante da conoscere, tra storia, arte, vicoli e curiosità varie.

Militello si trova lungo l’estremità settentrionale dei monti Iblei. Poggia su un substrato calcareo e all’entrata sud vi sono sedimenti di area basaltica. L’area inoltre è interessata a fenomeni carsici.

Il territorio di Militello è stato abitato sin dall'antichità. Le aree archeologiche presenti in prossimità del centro abitato testimoniano la frequentazione del territorio lungo un arco cronologico che va dall'età del rame e del bronzo (necropoli di Dosso Tamburaro, Frangello, Oxina) all'età del ferro (necropoli di Castelluzzo, Oxina), dal periodo classico ed ellenistico (necropoli di Fildidonna, Piano Maenza) a quello bizantino e arabo (necropoli di Santa Barbara, S. Maria la Vetere, Oxina). Alla luce di queste testimonianze, e in ragione della sua posizione geografica, in età antica il centro va compreso come uno dei diversi villaggi (komai), privi di indicazione onomastica, presenti nel vasto territorio della città greca di Leontinoi, riferimento urbano di tutta l'area (chora leontinoa).

Nonostante l'evidenza archeologica, numerose sono state le ipotesi sulla fondazione della città, alcune delle quali di carattere leggendario. La più conosciuta di queste, sebbene priva di riscontri documentali, è quella dello scrittore militellese Pietro Carrera (1573-1647), che fa risalire la fondazione di Militello al tempo della Seconda Guerra Punica: le truppe romane del console Marco Claudio Marcello, durante l'assedio di Siracusa del 212 a.C., nel tentativo di scampare ad un'epidemia di malaria cercarono un luogo più sicuro dove accamparsi, trovando a circa trenta miglia dalla costa un altopiano caratterizzato da aria salubre e acque limpide. Fu così che sarebbe stata fondata la colonia di Militum Tellus ("terra di soldati") che diede il nome all'abitato. 

Più verosimilmente, invece, come suggeriscono importanti testimonianze monumentali (resti di una torre-dongione normanna) e diplomatiche (un provvedimento ecclesiastico di Ruggero II, gran conte di Sicilia e Calabria, dell'anno 1115), l'origine dell'odierno abitato è da ricondurre alla politica di controllo del territorio intrapresa dai Normanni al termine della conquista della Sicilia (fine sec. XI). Pertanto, il toponimo latino-medievale "Militellus" (da Militum Tellus, ossia "terra dei soldati") farebbe riferimento alla distribuzione di terre, operata dal conte Ruggero I, in favore dei membri del suo esercito (come riferisce il cronista Goffredo Malaterra). Ai Normanni si devono infatti i primi cenni di attività edilizia nel luogo, come la chiesa di Santa Maria (poi divenuta Santa Maria della Stella) e la torre-dongione ad essa adiacente, edifici costruiti a ridosso della cava, in un contesto abitativo prevalentemente rupestre.

Durante il periodo normanno, l'abitato e il suo territorio furono infeudati a Simone del Vasto, conte degli Aleramici di Sicilia, al quale succedette il figlio Manfredi. Passò successivamente ai nobili Alaimo Lentini e Lanfranco Lentini di San Basilio, i due si distinsero per le loro imprese militari nell'armata normanna del gran conte Ruggero che per premiarli nel 1101 diede loro i castelli di Militello, Ossina, e Idra. Nel 1248, l'imperatore Federico II concesse in perpetuo il casale et castrum di Militello in Val di Noto, col rango di baronia, al nobile Bonifacio de Camerana figlio di Oddone. Quest'ultimo, milite originario delle Langhe piemontesi, nel 1237 aveva ottenuto dall'imperatore il permesso di immigrare in Sicilia, col suo seguito di coloni lombardi (a quel tempo erano genericamente chiamati "lombardi" tutti gli abitanti dell'Italia settentrionale, quella nord-occidentale in particolare) i quali andarono ad accrescere così il numero dei cosiddetti Lombardi di Sicilia.

I Camerana tennero il casale di Militello per alcuni decenni, fino a quando l'ultima esponente della famiglia, Maria Camerana, lasciò il feudo al figlio Abbo Barresi (1308). Nel 1339 il re di Sicilia Pietro II d'Aragona concesse al barone Abbo Barresi il privilegio di circondare di mura l'abitato, collocandovi all'interno il castello. Fu in seguito a questa circostanza, che l'abitato di Militello divenne una "terra" del regno (ossia città con capacità fiscale e militare).

I Barresi rimarranno signori di Militello fino all fine del XVI secolo.

Nel 1473 il castello di Militello fu teatro di un delitto passionale ai danni di donna Aldonza Santapau dei marchesi di Licodia, moglie del barone di Militello Antonio Piero Barresi. Falsamente accusata di adulterio dai cognati, fu uccisa dal marito insieme al presunto amante, il segretario baronale Pietro Caruso, detto "Bellopiede" per la sua perizia nella danza. La fosca vicenda ha alimentato, nel corso dei secoli, una ricca produzione letteraria e di racconti popolari, inaugurando così la lunga serie di storie di drammi della gelosia siciliana, fra i quali il noto romanzo La baronessa di Carini di Salomone Marino, e la famosissima novella Cavalleria Rusticana di Giovanni Verga.

Sotto la signoria dei Barresi, a metà del XVI secolo, il feudo assurse alla dignità di marchesato. Estinta la dinastia per mancanza di eredi maschi, con il matrimonio tra la marchesa Caterina Barresi e Fabrizio Branciforte, principe di Butera e conte di Mazzarino, nel 1571 la città passò ai Branciforte, uno dei casati più importanti di Sicilia, che la tennero fino all'abolizione della feudalità (1812).

A cavallo tra i secoli XV e XVI è ben documentata a Militello la presenza di una numerosa comunità ebraica con la sua sinagoga.

Il periodo compreso fra i secoli XVI e XVIII fu un'epoca di splendore per la città, in particolare gli anni della signoria del marchese Francesco Branciforte (1575-1622) e della consorte Giovanna d'Austria (figlia di don Giovanni d'Austria e nipote dell'imperatore Carlo V d'Asburgore di Spagna e di Sicilia), e della loro figlia Margherita d'Austria e Branciforte (1605-1649). Durante il loro governo la città si arricchì di nuovi edifici e fondazioni: la nuova ala del castello, chiese, monasteri, palazzi per l'amministrazione, fontane pubbliche, una grande biblioteca e una stamperia tra le prime del Regno di Sicilia, dove nel 1617 fu pubblicato il trattato Il gioco de gli scacchi di Pietro Carrera, importante testo di riferimento della scacchistica moderna (famoso per la cosiddetta difesa siciliana).

Il terribile terremoto dell'11 gennaio 1693 distrusse molti di questi edifici, purtuttavia la felice ricostruzione del secolo successivo porterà alla realizzazione di gioielli di pregio architettonico, come le nuove chiese parrocchiali di Santa Maria della Stella e di San Nicolò, e nuovi palazzi nobiliari. Fra le fondazioni più importanti di Francesco Branciforte va menzionato il grandioso monastero di San Benedetto (1616), vero cuore pulsante della vita economica e culturale della città. Intorno al 1735 ne divenne priore Vito Maria Amico, erudita, scrittore e storico di grande fama (Carlo di Borbonere di Napoli e di Sicilia, lo nominò nel 1751 regio storiografo). Questi, durante il suo soggiorno militellese, raccolse fossili e reperti archeologici nel territorio intorno alla città, da destinare al Museo di antichità greco-romane da lui fondato insieme alla Biblioteca nel Monastero di San Nicolò l'Arena di Catania.

In età moderna, oltre all'agricoltura, a Militello erano fiorenti molteplici attività economiche: la produzione della polvere da sparo, della seta, della salsola (sali di potassio per la preparazione del sapone), della colla; la concia delle pelli (vi era impiegato il 10% della popolazione); la molitura dei cereali (tutti i mulini lungo i corsi d'acqua erano proprietà del marchese); la lavorazione del tabacco anche da fiuto (qui nacque il marchio "Tabacco Branciforte"). Non è raro in questo periodo vedere le diverse maestranze organizzarsi in confraternite religiose, animando ulteriormente la vita della città con feste e processioni. Con la morte di Giuseppe Branciforte (1675), vicario generale del Regno di Sicilia sotto Carlo II d'Asburgo, nessuno dei marchesi di Militello risiedette più nella città, e nel corso del XVIII secolo l'amministrazione del feudo sarà delegata a funzionari locali, esponenti dell'aristocrazia militellese, come i Majorana. Ultimo signore di Militello fu Michele Ercole II Branciforte, che tenne il feudo dal 1799 al 1812.

Con l'abolizione del feudalesimo (1812) a Militello si affacciò una nuova classe dirigente, composta da nobili, clero e ricchi proprietari terrieri, rappresentata dalle famiglie Majorana, Baldanza, Reforgiato, Reina e altre. I Majorana, in particolare, divennero protagonisti assoluti della vicenda politica di Militello lungo tutto l'Ottocento e i primi del Novecento. Con la creazione del nuovo Stato Unitario Italiano (1861) la condizione economica e sociale di Militello non migliorò, anzi la soppressione degli ordini religiosi e l'incameramento dei monasteri che ne seguì (1867) sottrasse alla città le sue principali agenzie d'impiego e le sue più importanti istituzioni assistenziali. Un nuovo avvio di crescita demografica e di ripresa dell'edilizia pubblica si avrà soltanto a partire dai primi decenni del XX secolo (in questi anni venne realizzata la Villa Comunale "Vittorio Veneto", l'Ospedale "Basso Ragusa", l'Istituto "Melchiorre Bisicchia", la Scuola Elementare "Pietro Carrera", il Cine-Teatro "Tempio", ecc.), con una appendice fra gli anni '70 e '80.

In età più recente, la storia di Militello non è diversa da quella della maggior parte dei piccoli comuni siciliani, in cui a una economia basata essenzialmente sull'agricoltura e su una modesta attività artigianale fa riscontro una forte emigrazione e un costante calo demografico. Per la ricchezza del suo patrimonio artistico-monumentale, Militello nel 2002 ha ottenuto il riconoscimento UNESCO, venendo inserita fra le città del Val di Noto dichiarate Patrimonio dell'Umanità. Un riconoscimento prestigioso dal quale sperare un rilancio della cittadina, soprattutto sotto il profilo turistico, culturale ed economico.

Nel 2020 Militello è entrato a far parte dell'associazione "borghi più belli d'Italia" e nel 2022 è stato nominato "Borgo più bello di Sicilia 2022".

 Chiesa madre di San Nicolò e del Santissimo Salvatore

Primitiva chiesa madre e principale luogo di culto cittadino patrocinato dalle famiglie Barresi - Branciforte è la Chiesa Madre San Nicolò il Vecchio.

Il lungo sciame sismico danneggia parzialmente il monumento che sarà in più riprese oggetto di lunghi cantieri di lavoro di ingrandimento e perfezionamento. Il polo monumentale fu totalmente distrutto dal terremoto del Val di Noto del 1693, progressivamente spogliato a partire dal XVIII secolo dei materiali da costruzione, degli arredi e delle opere d'arte, per la costruzione e abbellimento della nuova Matrice.

Nel lungo frangente della ricostruzione fu la chiesa della Madonna della Catena a ricoprire le funzioni di chiesa madre, in seguito dalla chiesa di San Sebastiano. Il 6 dicembre del 1721, dopo 28 anni trascorsi dal tragico evento, fu posta la prima pietra della nuova fabbrica.

Edificio dal profilo ampio e slanciato, edificato a partire dal 1721, in sostituzione dell'antica matrice (oggi detta San Nicolò il Vecchio), aperta al culto nel 1740. 

Nel 1750 fu completato il primo ordine della facciata, progettato dall'architetto Girolamo Palazzotto, mentre nel 1765 furono realizzati il secondo ordine e il campanile con cupolino in stile orientale dal celebre architetto catanese Francesco Battaglia.

Sul finire del XIX secolo, fu ingrandita con la costruzione del transetto e dell'abside, nel 1904 fu sopraelevata la cupola su un alto tamburo con finestroni, prima opera in cemento armato della Sicilia orientale, alta 30 metri, il cui plastico per la sua originalità ricevette il primo premio all'Esposizione Internazionale di Parigi del 1900.

Dopo il sisma del 13 dicembre 1990, altrimenti noto come terremoto di Santa Lucia, la chiesa è stata sottoposta a lunghi lavori di consolidamento strutturale e restauri.

Il 28 giugno 2002 il monumento è stato inserito da parte dell'UNESCO come patrimonio dell'umanità.

Nel 2022,è stata elevata a Basilica Pontifica Minore.

FACCIATA - Il prospetto tardo-barocco della chiesa, scandito da otto grandi paraste con alti basamenti e capitelli corinzi, comprende il portale centrale (recuperato dall'altare maggiore della vecchia matrice) con colonne binate e timpano ad arco spezzato e le due porte laterali, dette del sole e della luna, sormontate da finestre a rosone.

INTERNO - L'interno della chiesa, a croce latina, presenta tre navate divise da cinque arcate sorrette da dodici pilastri con capitelli ionici, decorate da raffinati stucchi settecenteschi ai quali si aggiungono nei pennacchi della cupola le statue dei quattro evangelisti, eseguiti dallo scultore catanese Giuseppe D'Arrigo. Nel 1950 furono realizzati gli affreschi della volta e dell'abside dal concittadino Giuseppe Barone, raffiguranti scene della vita di San Nicola e i Misteri gloriosi di Gesù - le Tre doti di San Nicolò, Storia di San Nicolò e l'Apoteosi del Santissimo Salvatore - opere realizzate nella volta e nell'abside.

Navata destra

- Prima campata: Cappella di San Gerardo Maiella, primitiva Cappella di Sant'Andrea. L'antico dipinto raffigurante Sant'Andrea nella riconversione del titolo è stato sostituito con la statua in cartapesta raffigurante San Gerardo Maiella. Nell'ambiente è realizzato il ciclo di affreschi su episodi di vita del redentorista: Miracolo di San Gerardo, Ascensione di San Gerardo, Comunione di San Gerardo, Morte di San Gerardo, opere realizzate da Giuseppe Barone nel 1921.

- Seconda campata: Cappella di Sant'Antonio di Padova, primitiva Cappella di Sant'Eligio. Manufatti provenienti dalla primitiva chiesa madre, la statua raffigurante Sant'Eligio è custodita nel Museo. La nicchia ospita la secentesca statua lignea raffigurante Sant'Antonio di Padova.

- Terza campata: Cappella di Maria Santissima del Carmelo, primitiva Cappella di San Nicola di Bari. Dal 1906 l'ambiente è dedicato alla Madonna del Carmelo.

- Quarta campata: Cappella di Santa Rita, primitiva Cappella di Maria Santissima dei Sette Dolori o Cappella della Pietà. Manufatto marmoreo seicentesco proveniente dalla chiesa di San Nicolò il Vecchio. La sopraelevazione e costituita da colonne con capitelli corinzi che presentano la parte inferiore del fusto decorata con rilievi ad arabesco, scanalature di stile dorico nella parte superiore. Timpano ad archi spezzati, sovrapposti e simmetrici con stemma sulla cornice, edicola intermedia e raffigurazione dei Tre chiodi della Crocifissione. Una elegante e raffinata decorazione delimita la nicchia. In origine l'ambiente accoglieva il gruppo ligneo della Pietà con la settecentesca statua del Cristo Morto, oggi custodito presso il Museo. La nicchia era racchiusa da una tela settecentesca raffigurante la Pietà o Deposizione dalla Croce, attribuita allo Scirè. Dal 1950c. circa ospita la statua raffigurante Santa Rita da Cascia.

- Quinta campata: Cappella della Madonna di Pompei, primitiva Cappella di San Francesco di Sales. Nella nicchia è collocato il gruppo in cartapesta di scuola leccese raffigurante la Vergine del Rosario attorniata da San Domenico di Guzmán e Santa Caterina d'Alessandria genuflessi, l'intero manufatto parietale è delimitato dai quadretti che riproducono i 15 misteri del Rosario.

Navata sinistra

- Prima campata: Battistero delimitato da cancellata in ferro battuto e fonte battesimale in marmo di Carrara con cupolino ligneo a bulbo.

- Seconda campata: Cappella della Sacra Famiglia, primitiva Cappella della Madonna delle Grazie. Altare con nicchia contenente la Sacra Famiglia, gruppo scultoreo di fattura napoletana del 1748.

- Terza campata: Cappella del Sacro Cuore di Gesù. Altare in marmi policromi, la nicchia ospita la statua lignea raffigurante il Sacro Cuore di Gesù, opera di Girolamo Bagnasco.

- Quarta campata: Cappella di Santa Lucia. Altare in marmi policromi e nicchia contenente la statua raffigurante Santa Lucia vergine e martire del XVII secolo, opere provenienti dalla vecchia matrice.

- Quinta campata: Cappella del Santissimo Crocifisso. Ambiente recuperato dal 1992 adibito a varco e convertito a cappella votiva. Alla parete un Crocifisso seicentesco d'ignoto autore delimitato in basso da due angeli ceroforari di scuola romana.

Santuario di Santa Maria della Stella

Edificata a partire dal 1722, in sostituzione dell'antica Basilica di Santa Maria della Stella distrutta dal terremoto del Val di Noto del 1693, fu aperta al culto nel 1741. Durante il lungo frangente post - terremoto, la parrocchia trovò sede provvisoria presso la chiesa di San Pietro, successivamente nella chiesa di Sant'Antonio di Padova, poi nella chiesa di Sant'Antonio Abate.

La costruzione dedicata alla Madonna della Stella, Patrona Principale della città, è collocata in cima ad una scenografica scalinata e presenta un'armoniosa facciata barocca ricca di intagli affiancata da una poderosa torre campanaria. Il disegno del prospetto si deve all'architetto Giuseppe Ferrara da Palazzolo Acreide, attivo nel Val di Noto negli anni del dopo terremoto, i pregevoli stucchi settecenteschi che decorano l'interno sono invece dell'agrigentino Onofrio Russo, allievo del celebre Giacomo Serpotta. Gli eleganti pilastri e le arcate interne presentano lo stesso profilo di quelli della coeva chiesa del Santissimo Crocifisso di Noto.

Nel 1783, l'anno del terremoto della Calabria meridionale, la festa patronale fu resa particolarmente solenne, arricchendola di splendide manifestazioni religiose e d'intrattenimento, per ringraziamento alla Vergine di aver preservato la città dalla furia distruttrice del sisma. A causa del terremoto di Messina del 1908 il tempio fu temporaneamente chiuso al culto. La sede parrocchiale ospitata dapprima presso la chiesa del Santissimo Sacramento al Circolo, quindi nella chiesa di San Domenico. L'edificio fu riparato a partire dal 1909 grazie alla munificenza di Sua Santità Pio X.

Nel 1929 accanto alla chiesa sorse la canonica, ricavata dall'abbattimento della Chiesa di Sant'Antonio Abate.

L'8 settembre 1954, sotto il Parrocato di Mons. Francesco Iatrini, la Veneratissima effigie della Madonna della Stella fu incoronata con una preziosa corona d'oro dal Rev. Capitolo Vaticano alla presenza delle autorità religiose, regionali e nazionali.

L'11 ottobre 1969, essendo Parroco Don Sebastiano Cataldo, con decreto di Carmelo Canzonieri, vescovo di Caltagirone, la Basilica è elevata alla dignità di Santuario Mariano.

Il 16 settembre 1984, alla presenza di Sua Eccellenza Mons. Vittorio Mondello, Vescovo di Caltagirone, vi fu l'Atto di Affidamento della Città alla Madonna della Stella.

Dopo il sisma del 13 dicembre 1990, altrimenti noto come terremoto di Santa Lucia, la chiesa è stata sottoposta a lunghi lavori di consolidamento strutturale e restauri.

Il 28 giugno 2002 il monumento è stato inserito da parte dell'UNESCO nella lista dei patrimoni dell'umanità.

Dal 22 febbraio 2018, il Santuario di Santa Maria della Stella è unito con vincolo di Affinità Spirituale alla Papale Basilica Liberiana di Santa Maria Maggiore.

INTERNO - L'apparato pittorico fu realizzato da Giuseppe Barone nel 1947 con la realizzazione del ciclo di affreschi raffiguranti la Presentazione al Tempio, Annunciazione, Incoronazione della Beata Vergine, Fuga in Egitto e Apoteosi.

Navata destra

- Prima campata: cappella di Sant'Anna. Altare di Sant'Anna, ambiente definito per atto di devozione della famiglia Iatrini. Nelle adiacenze la porticina varco d'accesso alla canonica.

- Seconda campata: cappella di San Gaetano. Altare di San Gaetano da Thiene, manufatto proveniente dalla chiesa di San Domenico, la tela è opera del sacerdote Antonino Scirè. Ambiente definito per atto di devozione della famiglia Reforgiato.

- Terza campata: cappella dell'Assunta. Nell'edicola è collocata l'Apoteosi di Maria raffigurata tra angeli, affresco realizzato da Giuseppe Barone. Le strutture in marmo policromo provengono dalla chiesa di San Domenico, manufatti ove costituivano l'altare maggiore.

- Pulpito sormontato da baldacchino.

- Quarta campata: cappella della Maddalena Penitente. Ambiente definito per atto di devozione della famiglia Baldanza caratterizzato dal monumento funebre di Carlo Barresi ritratto in ginocchio.

- Quinta campata: cappella della Natività. Sulla parete è incastonata la Natività in ceramica invetriata, capolavoro di Andrea della Robbia, opera proveniente da Santa Maria la Vetere. La pala d'altare fu acquistata da Antonio Piero Barresi, signore di Militello, nel giugno del 1487. Il manufatto costò 101 fiorini, di cui 31 costituirono le spese per la spedizione dal porto di Livorno, trasporto effettuato dalla compagnia Strozzi.

Nel bassorilievo, fra lesene con decorazioni a candelabra è raffigurata la capanna di Betlemme, in alto schiere di angeli musici recanti un cartiglio con l'iscrizione "Nuntio vobis gaudium magnum", messaggio rivolto ai pastori. Dentro la capanna è ritratta la Sacra Famiglia adorante il Bambinello, in alto altri angeli con il cartiglio recante la scritta "Gloria in excelsis Deo" e un pastore col suo fardello. Il registro superiore è costituito da lunetta con il Padreterno che regge il libro dove figurano le lettere "Α e Ω", personaggio raffigurato fra angeli adoranti e schiere di putti osannanti. Nel registro inferiore o predella è raffigurato Gesù Risorto ritratto fra Maria e i dodici Apostoli. Tutta la pala in origine era toccata d'oro zecchino, di cui adesso si notano solo tracce annerite. Dalla comparazione delle opere della stessa bottega si evince che il manufatto di Militello costituisce il capolavoro più animato e affollato in termini di personaggi presenti della peculiare produzione toscana.

Navata sinistra

Prima campata: L'ambiente adibito a battistero ospita il fonte battesimale sovrastato dal dipinto di Pietro da Mineo raffigurante il Battesimo di Gesù.

Seconda campata: Cappella di San Giovanni di Dio. Il manufatto marmoreo proviene dalla chiesa di Sant'Antonio Abate. L'ambiente ospita il monumento funebre del marchese di Militello don Vincenzo Barresi-Branciforte, primo marchese di Militello, opera del 1567.

Terza campata: varco laterale sinistro. Il portale proviene verosimilmente dalla chiesa di Santa Maria la Vetere, reca nella parte esterna la data del 1506. In questo ambiente è collocate il sepolcro di Blasco II Barresi del XV secolo. Il personaggio, morto nel 1461, è raffigurato in armatura militare: capo appoggiato sul ricco cuscino, spada mantenuta lungo gli arti inferiori, i piedi accostati al fido cane accucciato in atteggiamento dormiente. Nella lastra frontale del sarcofago sormontata dalla figura giacente, l'episodio biblico dell'Annunciazione riprodotta in due riquadri, delimita lo stemma familiare collocato in centro.

Quarta campata: Cappella dell'Ecce Homo. L'ambiente ospita la nicchia contenente il Cristo flagellato o Cristo alla colonna dello scultore Frate Umile da Petralia, opera in legno e canapa del XVII secolo proveniente dalla chiesa di Sant'Antonio Abate.

Quinta campata: Cappella di San Bartolomeo. La sopraelevazione custodisce una pala del 1694 raffigurante il Martirio di San Bartolomeo incastonata in una monumentale cornice di legno dorato del 1703, opera commissionata dalle maestranze dei conciatori di pelli, attive a Militello, in onore del loro santo protettore.

SACRESTIA E TESORO - La Sacrestia-Tesoro del Santuario conserva suppellettili sacre in argento (XV - XVIII secolo) provenienti dalla chiesa parrocchiale e dalle sue chiese filiali, il corredo in argento e oro della statua della Madonna della Stella, ex voto in oro, paramenti in seta e oro (XVII - XVIII secolo) e apparati di damasco, immagini sacre tra cui un San Paolo di Giovan Battista Baldanza del 1644, il monumentale polittico quattrocentesco raffigurante San Pietro in cattedra e storie della sua vita, attribuito ad Antonello da Messina o al Maestro della Croce di Piazza Armerina, un dipinto di Vito D'Anna raffigurante l'Immacolata, e altre tele di pregio, come una Madonna della Stella di Giacinto Platania (sec. XVII).

Monastero di San Benedetto

Voluto dal marchese Francesco Branciforte e dalla moglie Giovanna d'Austria, e completato dalla figlia Margherita, il maestoso complesso benedettino di Militello (secondo in Sicilia per dimensioni solo a quelli di Catania e Monreale) fu costruito tra il 1616 e il 1646, su disegno di Valeriano De Franchis, e si contraddistingue per l'impianto manierista con notevoli spunti barocchi nell'intaglio.

Il terremoto del 1693 danneggiò il terzo ordine della facciata che fu ricostruito ad arte, per ospitare la cella campanaria, su disegno dall'architetto militellese Antonino Scirè (1725); gravi danni riportò anche l'artistico portico colonnato del chiostro dei monaci, sopra il quale si aprivano ampie terrazze, che fu quindi demolito e non più ricostruito.

La chiesa ampia e luminosa, sormontata nel transetto da un originale tiburio ottagonale, presenta all'interno dell'unica navata capolavori di eccezionale fattura, come: L'Ultima Comunione di San Benedetto di Sebastiano Conca (1680-1764); un busto reliquiario in argento raffigurante San Benedetto del XVIII secolo; la bellissima statua seicentesca della Vergine del Rosario (o delle Vittorie), di bottega napoletana, donata all'abbazia da Giovanna d'Austria in omaggio alla Vergine per la vittoria del padre don Giovanni d'Austria contro i Turchi nella Battaglia di Lepanto; lo straordinario coro dei monaci del 1727, in legno intagliato, raffigurante i misteri del Santo Rosario e scene della vita di San Benedetto e di San Placido; l'altare maggiore di marmo pario con elaborati intarsi di pietre del 1727; la decoratissima cappella del Santo Bambino, caratterizzata da un ricco ciborio a gradoni in legno dorato e da notevoli affreschi che incorniciano la tomba del principe fondatore, all'interno della quale sono sepolti anche il fratello Vincenzo (abate di Nuovaluce) e due figlie.

Le biblioteche custodivano il Tabulario, in cui si conservava la bolla di erezione del monastero a firma di papa Paolo V (18 gennaio 1614).

Chiesa Santa Maria la Vetere

Fu edificata dai Normanni intorno al 1090 dopo aver sottratto queste contrade al dominio saraceno. Il sito non fu scelto a caso, in quanto il primitivo edificio fu impostato in prossimità di un luogo sacro più antico: un cimitero cristiano di età tardoantica o altomedievale. La presenza di questo cimitero avvalorerebbe le notizie delle fonti diplomatiche (anno 1115) che ricordano la riedificazione di un tempio distrutto dai Saraceni da parte del gran conte Ruggero d'Altavilla. 

Sin dalla fondazione esercitò la cura delle anime come chiesa sacramentale del borgo, in particolare per il gruppo etnico di provenienza normanna e lombarda di lingua latina, e in essa i feudatari del luogo esercitarono il diritto di patronato concesso dall'istituto dell'Apostolica Legazia di Sicilia. Fu dunque Regia Cappella annessa alla Cappellania Maggiore del Regno di Sicilia fino a tutto il XV secolo. 

Distrutta e riedificata più volte nel corso dei secoli (disastroso fu l'incendio del 1618), in forme sempre più ampie e monumentali, subì l'ultima parziale distruzione a causa del terremoto del 1693. Spogliata di molti elementi architettonici, che servirono alla costruzione, in altro sito, della nuova basilica di Santa Maria della Stella, fu riadattata al culto grazie al tamponamento delle arcate della navata meridionale superstite.

Il sarcofago di Blasco II Barresi, barone di Militello, notevole monumento di gusto gotico recentemente attribuito a Domenico Gagini, realizzato intorno agli anni '70 del '400, era collocato in questo luogo di culto.

Conserva oggi: tracce di affreschi riferibili alle fasi edilizie più antiche; capitelli e fregi medievali, tra i quali alcuni in stile anglo-normanno; una camera con volta a crociera costolonata e porta con fasci di colonnine del '400; un magnifico portale policromo in stile gotico con un ricco ciclo di sculture realizzato nella seconda metà del '400 e rimaneggiato a inizio '500 verosimilmente da Domenico Gagini, sormontato da un protiro sostenuto da leoni stilofori (unico esempio in Sicilia); pilastri e finestroni incorniciati da cariatidi a seno nudo in stile manieristico, e alcune ornatissime cappelle gentilizie in pietra policroma arricchite da colonne tortili del XVII secolo. In fondo all'unica navata superstite è collocata una bella statua in pietra di scuola gaginesca raffigurante Santa Maria della Provvidenza della metà del '500. 

All'interno, come all'esterno, si trova un complesso di sepolture e ipogei di epoche diverse (dall'età tardo-romana all'età moderna), fra cui un oratorio rupestre con croci e simboli templari (detto "Cripta dello Spirito Santo"), e una vasca battesimale circolare, anch'essa con croce templare pomata, testimone della funzione parrocchiale che la chiesa esercitò sin dal XII secolo. Al lato di Nord-Est, si trovano le rovine della torre/dongione normanna (XII sec.), che costituiva insieme alla chiesa un unico complesso edilizio di tipo castrale, nucleo originario del borgo medievale di Militello.

Chiesa di Sant'Antonio di Padova

Fu edificata nel 1503 per interessamento della confraternita omonima, nel luogo dove, secondo una tradizione locale, sostò sant'Antonio di Padova durante il suo viaggio da Lentini a Vizzini nel 1223 (secondo viaggio in Sicilia). 

La chiesa, rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, presentava sei cappelle a intaglio di stile rinascimentale, una delle quali ancora visibile. Oltre alla devozione al santo titolare, in essa era coltivata la devozione alla Vergine di Monserrato della quale si conservava una statua realizzata da Matteo Frazzetto nel 1583 e poi rifatta nel '700 (oggi al museo San Nicolò). 

La presenza di una cappella chiamata del Santo Sepolcro, corredata da un gruppo scultoreo in creta raffigurante la Deposizione di Gesù (oggi scomparso), e di una croce di Malta sulla facciata fanno pensare ad un collegamento tra la confraternita di questa chiesa e qualche ordine gerosolomitano. 

Del tutto singolare è il cupolino del 1574 con lanterna cieca esagonale che sovrasta l'area presbiteriale (ex cappella del Santo Sepolcro): caratterizzato da una volta a vela su base ottagonale con pennacchi angolari a gradoni aggettanti, rimanda ad analoghe soluzioni dell'architettura medievale di Sicilia, filtrate alla luce del nuovo linguaggio del Rinascimento importato forse, in questo caso, da Giandomenico e Antonuzzo Gagini attivi a Militello in quegli anni.

Chiesa del Santissimo Sacramento al Circolo

Chiesa votiva edificata nel secondo decennio del '700, su progetto dell'architetto militellese don Antonino Scirè Giarro, era destinata all'esposizione perpetua del Santissimo Sacramento. 

Presenta una singolare facciata barocca a intaglio dal profilo concavo di impronta borrominiana, sormontata da una loggia campanaria con profilo a ventaglio a tre luci. 

All'interno, decorato da eleganti stucchi di gusto tardo barocco, conserva la pregevole statua con relativo fercolo di Sant'Antonio abate in cattedra del 1575, opera dello scultore bivonese Antonio De Mauro, proveniente dalla chiesa di S. Antonio Abate. Di particolare interesse la predella della statua del santo con scene della sua vita raffigurate a rilievo. 

Una lapide tombale del 1724 (oggi esposta nel Tesoro di S. Maria della Stella) ricorda i coniugi Alfio Palermo e Fortunata dei baroni Lamia, benefattori della chiesa, qui sepolti. La chiesa presenta inoltre due interessanti affreschi, sui pilastri del cappellone del presbiterio, raffiguranti lo Stemma dei Borbone di Napoli e di Sicilia nelle due diverse elaborazioni, di Carlo III e di Ferdinando III di Sicilia.

Chiesa del Santissimo Crocifisso al Calvario

La chiesa è menzionata per la prima volta in un decreto vescovile del 1503. Fu costruita a scopo devozionale in cima al colle Caruso, in posizione dominante rispetto all'abitato, a ricordo del Golgota. In seguito la confraternita del SS. Crocifisso al Calvario ne assumerà la cura e l'amministrazione. 

Nel secolo successivo fu ampliata e assunse la forma di una croce con l'aggiunta di tre absidi sormontate da un tiburio cieco ottagonale, come oggi si vede. Appartiene a questa fase edilizia la pregevole cappella a intaglio con reliquiario dell'altare maggiore. Danneggiata dal terremoto del 1693 (nel crollo morirono numerosi fedeli radunati in preghiera), a metà '700 fu riparata e arricchita di stucchi, nuovi altari, arredi sacri e di un pregevole Crocifisso oggetto di una particolare venerazione in Quaresima. 

Nel 1740 furono commissionati al pittore catanese Giovanni Meli le grandi tele collocate lungo le pareti della navata, raffiguranti: Cristo al Calvario (trafugata), Cristo deriso, Cristo flagellato e Cristo nell'orto. Nel 1762 l'architetto catanese Francesco Battaglia disegnò l'originale portico che chiude la facciata, sotto il quale il venerdì santo di ogni anno si svolge il celebre e suggestivo rito della crocifissione e deposizione di Gesù.

Chiesa confraternale della Madonna della Catena

Questa bellissima chiesa fu costruita agli inizi del '500 per iniziativa devozionale del sacerdote militellese don Nicola Di Salvo che desiderava così incrementare il culto mariano nella città. Il decreto di erezione, a firma del vescovo di Siracusa mons. Dalmazio Gabriele, riporta la data del 18 aprile 1503. L'edificio fu costruito in prossimità del palazzo estivo dei Barresi nel cui prospetto era presente un'edicola votiva raffigurante la Madonna della Catena. Tradizionalmente in Sicilia la Madonna della Catena era invocata da coloro che desideravano il riscatto di un prigioniero e dalle donne gravide e dalle partorienti. Nel 1652, la confraternita del SS. Crocifisso al Calvario, che qua ha la propria sede, si prese cura della sua riedificazione.

All'esterno presenta un affaccio ricco di intagli che si distinguono per il caratteristico motivo a graticcio tipico dei lapicidi militellesi del XVII secolo. All'interno, ad unica navata e senza altari, presenta invece una straordinaria decorazione a stucco, opera della seconda metà del '600, raffigurante Storie della Vita della Madonna nel registro superiore (Annunciazione, Sposalizio, Nascita di Gesù, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto e Nozze di Cana) e dieci Sante Vergini, incorniciate da putti, festoni e cornucopie, in quello inferiore. Questo oratorio costituisce dunque un singolare "pantheon" al femminile dove sono raffigurate alcune tra le sante più venerate della cattolicità: Agrippina, Apollonia, Barbara, Caterina, Dorotea, Lucia, Maddalena, Margherita, Marta, Orsola, ciascuna riconoscibile dai rispettivi attributi iconografici. A queste figure di sante si aggiungono due figure allegoriche ai lati del cappellone dell'altare maggiore (popolarmente scambiate per Sant'Agata e Sant'Anastasia, ma più verosimilmente allegorie delle virtù cristiane). Secondo un modello artistico piuttosto diffuso nel Cattolicesimo, le dieci vergini inscenano un mistico corteo che culmina nella figura della Vergine delle Vergini, Maria Santissima, sull'altare maggiore. Nella volta che sovrasta l'altare maggiore si vede la figura di Dio Padre benedicente con ai lati le immagini delle vergini Agnese, Barbara, Cecilia e Margherita. Altre figure allegoriche, bibliche o mitologiche sono presenti nei plinti. A completare l'insieme un soffitto ligneo intarsiato a cassettoni del 1674 e una bella cantoria lignea intagliata e dorata dove era collocato l'organo (ora trasferito nella navata).

Nell'altare maggiore, in parte rifatto nel XIX secolo, è collocata la statua della Madonna della Catena; in passato vi era collocata una grande tela (oggi sostituita da una copia) raffigurante la Madonna della Catena tra sante vergini del XVIII sec., oggi al Museo San Nicolò per ragioni di sicurezza.

Per antica tradizione, in chiesta chiesa ogni anno viene celebrata con particolare devozione e solennità la Novena del Santo Natale. La sua confraternita ha in carico anche l'organizzazione dei riti della Quaresima e della Settimana Santa.

Chiesa confraternale degli Angeli Custodi (o di San Michele Arcangelo). Conosciuta dai militellesi semplicemente come l'Angelo, fu edificata nel 1639 per iniziativa di alcuni sacerdoti della città, zelanti nelle opere di carità, nel sito dove già dal XIII secolo sorgeva una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. A quest'ultima era annesso il vecchio ospedale retto dalla Compagnia dei Bianchi (ospedale forse costruito in origine dai Cavalieri Templari). Trasferito l'ospedale in altro luogo e cessata la cura della chiesa da parte della Compagnia, nel 1657 divenne sede della nuova Congregazione di Maria Santissima degli Agonizzanti, ancora oggi attiva, che aveva lo scopo di offrire conforto ai moribondi e degna sepoltura agli indigenti. Restaurato a seguito del terremoto del 1693, l'edificio presenta pregevoli stucchi in stile rococò e uno splendido pavimento in ceramica calatina del 1768 (nel 2000 alcune maioliche del pavimento sono state rubate). La chiesa possiede anche due tele raffiguranti gli Arcangeli Michele e Raffaele e un organo positivo dei primi del '700, ora trasferiti in Santa Maria della Stella per ragioni di sicurezza.

Chiesa confraternale di San Sebastiano

Menzionata per la prima volta nel 1504, fu sede dell'omonima confraternita collegata forse all'Ordine di Malta (come si evincerebbe da un'insegna presente in facciata). Nel 1572 divenne meta di devoti e pellegrini che acclamarono San Sebastiano martire compatrono di Militello, per aver liberato dal flagello della peste la città. Distrutta dal terremoto del 1693, fu rifatta nel 1702 inglobando nella facciata il portale della chiesa cinquecentesca. 

Presenta in tutto tre altari e all'altare maggiore conserva la statua di San Sebastiano con fercolo ligneo, incorniciata da una magnifica cappella di pietra ad intaglio in stile barocco del 1708. Altri arredi, paramenti e sacre suppellettili, compreso l'argenteo reliquiario di San Sebastiano, sono esposti presso il Tesoro di Santa Maria della Stella. Un rilievo in pietra ancora oggi visibile all'interno della chiesa rimanda alla leggenda dei Rosacroce.  

Chiesa confraternale delle Anime Sante del Purgatorio

Dedicata ai Santi Vito e Gregorio Magno, ma meglio conosciuta come il Purgatorio, fu costruita nel 1613 in sostituzione della vecchia chiesa di San Vito, sita altrove e ormai in rovina. 

L'elegante prospetto a intaglio del 1690 si deve al capomastro militellese Giacomo Barone. Danneggiata parzialmente dal terremoto del 1693, fu immediatamente riparata. Ad unica navata e con tre altari in tutto, è decorata all'interno da pregevoli e fastosi stucchi policromi con figure allegoriche e presenta un grandioso altare maggiore a gradoni in legno dorato a zecchino, sormontato da un tronetto per l'esposizione del Santissimo Sacramento.

Completava l'altare una pregevole pala raffigurante la Messa di San Gregorio (1619) di Alfio Marotta, recentemente rubata. In uno dei due altari laterali è esposta la statua di San Vito Martire opera dello scultore Domenico Barone del 1680. La chiesa possiede inoltre una bella cantoria decorata a intaglio dove è collocato l'organo.  

Chiesa di Santa Maria dello Spasimo

In origine solo una cappella rupestre situata nella parte alta della città verso ponente, menzionata in un atto del 1517. In essa i vescovi di Siracusa in visita pastorale a Militello indossavano gli abiti pontificali, trovandosi essa lungo l'antico tracciato che collegava Militello a Mineo, Vizzini e Caltagirone. 

Venne sostituita da una nuova chiesa in muratura nel 1568, posta a breve distanza dall'antica. 

Questa non fu danneggiata dal sisma del 1693 e presenta oggi un bel portale a intaglio (realizzato probabilmente dalle maestranze operanti in città, a metà '700, al seguito di Francesco Battaglia), graziosi stucchi settecenteschi e i venerati simulacri della Addolorata e della Madonna dell'Aiuto.

Chiesa ed ex monastero benedettino femminile di San Giovanni Battista (o la Badìa)

Di fondazione medievale, il complesso monastico benedettino femminile di San Giovanni Battista fu dotato intorno al 1470 dalla contessa Eleonora Speciale, vedova del barone Blasco II Barresi di Militello, figlia del viceré di Sicilia Niccolò Speciale e di Beatrice Landolina che qui si ritirò negli ultimi anni della sua vita. Danneggiato dal terremoto del 1693 e restaurato successivamente, conserva ancora alcune delle strutture originarie, come un bel portale di stile rinascimentale. 

Come tutti gli altri monasteri di Sicilia subì gli effetti delle Leggi eversive del 1866 che trasferirono la proprietà dell'edificio allo Stato italiano. Successivamente il monastero fu venduto a privati che ne ricavarono abitazioni, mentre la chiesa fu riscattata e ceduta di proprietà alla Parrocchia di Santa Maria della Stella. 

L'unica navata è impreziosita da un bel pavimento settecentesco in maiolica calatina a disegno seriale e presenta in tutto tre altari, oltre al coro delle monache in cantoria. Nell'altare maggiore è conservata una settecentesca statua di San Giovanni Battista, un tempo protetta da una tela raffigurante il Battesimo di Gesù nel Giordano (ora in Santa Maria della Stella). 

Gli altri due altari esibivano invece due belle tele di Alessandro Comparetto raffiguranti rispettivamente la Natività di San Giovanni (1631) e la Decollazione di San Giovanni (1634). Per ragioni di sicurezza le tele, insieme ad altre sacre suppellettili (tra cui una pisside del '400 e un paliotto in fili d'oro), sono oggi custodite nel Tesoro di Santa Maria della Stella.  

Chiesa ed ex monastero benedettino femminile di Sant'Agata

La chiesa e il primo reclusorio furono costruiti agli inizi del '500, grazie alle offerte di devoti militellesi che desideravano erigere nella loro città una chiesa dedicata alla martire catanese. Una "contrada di Sant'Agata" è menzionata in un atto del notaio Matteo Mancarello di Militello del 1514. Questa iniziativa, alcuni decenni dopo, fu ripresa dai signori della città che dotarono il reclusorio adibendolo a collegio per "povere zitelle". 

Danneggiato in parte dal terremoto del 1693, il monastero fu riparato e ampliato nel 1695 dal principe Carlo Maria Carafa Branciforte, marchese di Militello, che vi insediò la clausura delle monache benedettine. 

La facciata della chiesa fu invece rifatta nel tardo settecento a intaglio in forme neoclassiche, rimanendo però incompleta. 

Nel 1869, espulse le monache a seguito della soppressione degli ordini religiosi da parte dello Stato italiano, il locali del monastero furono venduti a privati che ne ricavarono abitazioni (alcune strutture dell'antico monastero sono ancora visibili sul retro da un cortile di via Clausura), la chiesa invece fu riscattata e trasferita di proprietà alla matrice. 

L'interno ad aula, essenziale nelle decorazioni, custodisce la pregevole cappella seicentesca dell'altare maggiore in pietra policroma di stile manierista (simile alla cappella dell'altare maggiore della chiesa del Purgatorio e alla cappella della Natività di Santa Maria la Vetere), questa fa da cornice alla statua con fercolo della Madonna delle Grazie. 

Sono anche custodite al suo interno le seicentesche statue di Sant'Agata e di San Benedetto. Sono poi ancora presenti la bella grata in cantoria che chiudeva il coro delle monache e un settecentesco organo a canne della bottega dei Platania di Acireale.  

Chiesa ed ex convento agostiniano di San Leonardo Abate

Dedicata al santo eremita di Noblac, la chiesa fu costruita a metà del '500 come sede di confraternita. Successivamente i Branciforte vollero affiancarle un cenobio per trasferirvi i frati Agostiniani Riformati della Congregazione Siciliana Centorbina che fino ad allora erano ospitati in un piccolo convento fuori città (oggi detto il Conventazzu). I lavori furono completati nel 1630 e l'anno successivo i frati vi si trasferirono. Chiesa e convento non subirono i danni del terremoto del 1693. 

Tuttavia a seguito della soppressione degli enti ecclesiastici del 1866 la chiesa andò in disuso (anche per via dell'abbassamento del livello stradale che ne rese impraticabile l'accesso), mentre i locali del convento furono adibiti a scuole pubbliche fino agli anni '50 del XX secolo. L'intero complesso è oggi in rovina. 

Della chiesa si individuano appena gli stucchi seicenteschi e i resti dell'altare maggiore all'interno. All'esterno, il frontalino della porta d'ingresso presenta un fregio col monogramma di Cristo inscritto in un sole a dodici raggi e un'epigrafe con la dedica al santo titolare datata 1638. Vi si conservava una bella statua seicentesca raffigurante San Leonardo Abate, una raffinata Madonna di Trapani del '400 in alabastro e numerose altre opere d'arte (tele, marmi e sacre suppellettili) oggi esposte presso il Museo San Nicolò. Una statua in cartapesta raffigurante Santa Monica (madre di sant'Agostino) fu modificata a rappresentare la più popolare Santa Rita (religiosa agostiniana) e collocata nella chiesa madre di San Nicola.  

Chiesa ed ex convento di San Domenico dei Frati Predicatori

I frati domenicani giunsero a Militello nel 1536, per volere dei Barresi, e qui si insediarono presso la chiesa dell'Annunziata fuori città, rimanendovi fino agli inizi del '600. Successivamente il principe Francesco Branciforte, per agevolare il controllo sulla popolazione da parte della Santa Inquisizione, volle trasferire la sede dei domenicani in città, e fece edificare loro la nuova chiesa e il nuovo convento che furono inaugurati nel 1613. 

Danneggiati dal terremoto del 1693, furono entrambi presto rifatti. La chiesa che oggi si vede, una delle più grandi di Militello, è caratterizzata da un'ampia facciata classicheggiante, con timpano a guglie, e da un interno ad aula, decorato da stucchi, con profondo presbiterio. 

Custodiva al suo interno sei cappelle di pietra a intaglio, tra le quali spiccava quella della Madonna del Rosario con una tela di Mario Minniti del 1620 (oggi dispersa). Sebbene il convento e la chiesa subirono gli effetti della soppressione del 1866, quest'ultima rimase in funzione ancora fino a metà '900, quando ormai pericolante fu definitivamente spogliata di tutti gli arredi e abbandonata (alcune opere superstiti sono in Santa Maria della Stella e in San Benedetto). 

I locali del convento ospitarono invece un asilo infantile (Asilo Laganà Campisi), scuole e abitazioni private. Fortunatamente l'intero complesso nei primi anni 2000 è stato recuperato e valorizzato. La chiesa è adibita oggi ad Auditorium Comunale, l'ex convento ospita invece una sala conferenze, la Biblioteca Comunale "Angelo Majorana", il Museo Civico, l'Archivio Storico e la Pinacoteca Civica "Sebastiano Guzzone".  

Chiesa ed ex convento di San Francesco d'Assisi dei Frati Minori Conventuali (o dell'Immacolata)

Secondo un'antica tradizione, suffragata da riscontri documentali, il convento fu fondato nel 1235 da frate Paolo da Venezia, discepolo di San Francesco d'Assisi, e rimase in funzione fino alla soppressione del 1866. Fu uno dei primi conventi francescani di Sicilia. Ricostruito più volte a seguito di eventi calamitosi e dell'usura del tempo, di esso oggi rimane la sola chiesa, in quanto l'intero edificio conventuale, ormai fatisciente e pericolante, è stato demolito nel 1964. Dell'antico convento, che si presentava essenziale nelle forme, si individuano solo il vano della cisterna, alcuni peducci di raccordo del portico colonnato del chiostro e un vano adibito oggi a sacrestia (area presbiteriale della chiesa pre-terremoto del 1693). La chiesa invece esibisce un semplice portale con finestra a intaglio nel prospetto e graziosi stucchi di gusto neoclassico all'interno. In passato era impreziosita da diverse tele d'autore (alcune di Filippo Paladini) raffiguranti in prevalenza santi francescani, oggi trasferite presso il Museo "San Nicolò" per ragioni di sicurezza e miglior fruizione. L'8 dicembre di ogni anno vi si celebra la festa dell'Immacolata Concezione di Maria, della quale si conserva una pregevole statua lignea policroma realizzata nel 1693 dallo scultore Camillo Confalone.  

Chiesa e convento di Santa Maria degli Angeli dei Frati Cappuccini

Nel Capitolo provinciale del 1574 venne designata la città di Militello quale luogo dove far sorgere una nuova presenza conventuale; i lavori per l'edificazione del convento iniziarono nel 1575. Costruito grazie alla munificenza dei Marchesi di Militello, l'edificio sorse accanto alla preesistente chiesa dedicata alla Madonna degli Infermi (o Santa Maria degli Infermi).

La chiesa, crollata nel 1582, venne riedificata e ultimata nel 1612.

Il disastroso sisma del 1693, che colpì il Val di Noto, distrusse l'intero complesso, che venne presto ripristinato; nel 1709 il convento era già stato ultimato, mentre la chiesa venne completata e consacrata nel 1750, col nuovo titolo di Santa Maria degli Angeli.

Espropriato, nel 1866, a causa della soppressione degli ordini religiosi, fu ricomprato dai frati nel 1881.

In virtù della sua capienza, il convento, in più occasioni venne scelto per la celebrazione dei capitoli provinciali e come luogo di formazione (noviziato e studentato). A causa della penuria di vocazioni, è stato chiuso negli anni '80.

Il prospetto della chiesa è a capanna, con il frontone interrotto da un campanile di piccole dimensioni. Il portale d’ingresso, riprende il motivo delle lesene laterali, con trabeazione intercalata da triglifi e al centro sormontata da una lapide.

Al suo interno, la chiesa, si presenta a navata unica, con sei altari minori, delineati da archi a tutto sesto con chiave fregiata.

L'altare maggiore possiede, nella parete frontale, un poderoso e ricchissimo apparato ligneo, splendida opera dell'arte ebanistica cappuccina del XVIII secolo.

Il grande apparato ospita e fa da cornice alle sette tele del polittico, al centro del quale possiamo apprezzare il pregiato dipinto raffigurante Santa Maria degli Angeli e santi (1612), opera del pittore manierista Filippo Paladini. Ai lati, due tele più piccole, con San Michele Arcangelo, a sinistra e San Raffaele o Angelo Custode, a destra; in appendice i piccoli dipinti raffiguranti San Pietro e San Paolo. In cima, al di sopra della tela centrale, il consueto dipinto raffigurante Dio Padre; tutte opere di autori ignoti del XVIII secolo.

Tra le altre opere d'arte, degne di nota, che qui si conservano, ricordiamo: il reliquiario ligneo, del 1777, nascosto dietro la tela del Paladini, contenente 440 reliquie di santi; le tele degli altari minori, raffiguranti la Madonna degli Ammalati con San Francesco e Sant'Antonio di Padova, opera del pittore Vincenzo Provenzani (figlio del più noto Domenico), la Madonna con Bambino e San Felice da Cantalice, la Madonna con Bambino e santi (tutte opere di autori ignoti); il crocifisso ligneo con, ai lati, i dipinti dell'Addolorata e San Giovanni.

Infine, nel convento sono presenti alcuni affreschi attribuiti al cappuccino Bernardo da Palermo e un'Annunciazione nell'ex refettorio.

Chiesa ed ex convento di San Francesco di Paola all'Annunziata dei Frati Minimi

Inizialmente intitolata a Maria SS. Annunziata, questa chiesa fu voluta dal barone di Militello Antonio Piero Barresi intorno al 1480. Pochi decenni dopo, tra il 1503 e il 1515, fu notevolmente ingrandita e le fu affiancato un cenobio dove si insediarono i frati Domenicani. Nel 1613 i Domenicani si trasferirono presso il nuovo convento fatto costruire per loro al centro della città, e al loro posto si insediarono i Frati Minimi di San Francesco di Paola. Questi ultimi vollero intitolare la chiesa al loro fondatore e riedificare il cenobio rimanendovi fino al 1866, anno in cui il complesso fu sequestrato dallo Stato italiano e passato di proprietà al Comune di Militello, che a sua volta lo cedette alla Congregazione della Carità per adibirlo a nosocomio. 

La chiesa di inizio '500, ad unica navata, presentava all'esterno un portico sostenuto da colonne sotto il quale erano raffigurate in affresco la Gloria del Paradiso e le Pene del Purgatorio; all'interno possedeva invece tre cappelle in pietra bianca riccamente scolpite. Danneggiata dal terremoto del 1693, fu riparata e decorata di semplici e graziosi intagli nella facciata e di pregevoli stucchi tardo-barocchi all'interno, ancor oggi visibili. Solo gli stucchi dell'altare maggiore, che fanno da cornice alla statua di San Francesco di Paola, sono precedenti al terremoto. 

Numerose opere d'arte, preziosi paramenti e sacre suppellettili si conservavano in questa chiesa, anche per via del patronato esercitatovi dai signori della città, in particolare: una bellissima tavola del 1552 del militellese Francesco Frazzetto raffigurante l'Annunciazione; una tela con Sant'Isidoro Agricola del 1630 dell'artista militellese Giovan Battista Baldanza jr.; un tronetto in legno dorato donato nel 1718 dal principe di Butera e marchese di Militello Nicolò Placido III Branciforte. Molte di queste opere d'arte sono oggi esposte presso il Museo "San Nicolò". La chiesa, rimasta in funzione fino ai primi anni 2000, versa oggi in stato di abbandono e necessita di urgente restauro.  

Torre Normanna

Il sito, sul fianco Nord della chiesa di Santa Maria la Vetere, suggerisce l'originario legame fra i due edifici, rivelando la natura castrale del luogo di culto in età normanna. Ormai soltanto un rudere, la torre riflette la tipologia del dongione anglo-normanno (XI-XII sec.), e la sua duplice funzione residenziale e difensiva. 

Si tratta di una costruzione quadrangolare di circa 10 metri per 9 metri di lato, distribuita su più ordini di piani fino ad un'altezza ipotizzata di circa 20 metri, parecchio somigliante nella planimetria e tipologia realizzativa ai coevi edifici fortificati di Motta S. Anastasia, Milazzo ("Torre Saracena"), Scicli ("Castellaccio") e Brucato. 

Il piano terreno è addossato al fianco roccioso della collina, e al suo interno custodisce una interessante camera ipogea più antica, probabilmente una tomba di età greca, come si evincerebbe da un'iscrizione in greco arcaico presente in una parete; il primo piano, invece, sostenuto da una volta a botte in conci di pietra, presenta un'ampia finestra a Nord, con larga mensola. 

Del secondo piano sopravvive un brano del muro Est, e alcuni gradini della scala a chiocciola di raccordo, ricavati all'interno del muro perimetrale. Trascurata a seguito della costruzione più a monte del castello Barresi-Branciforte (XIV-XVII sec.), la torre fu successivamente adibita ad ossario della parrocchia di Santa Maria della Stella, circostanza che ha oscurato del tutto, nella storiografia locale, il ricordo della sua primitiva funzione militare, in relazione alle origini normanne di Militello.

Castello Barresi-Branciforte

Il Castello Barresi-Branciforte fu costruito agli inizi del XIV secolo, probabilmente su un preesistente fortilizio di età sveva.

Nel 1303 diviene signore di Militello il barone Abbo Barresi (o Abbone de Barresio, confermato nel feudo dal re Federico III di Sicilia nel 1308) ed è a lui che viene tradizionalmente attribuita la costruzione del castello. 

A seguito dell'aumento della popolazione e del numero di abitazioni del "casale", nel 1337 il re Pietro II di Sicilia concede a Giovanni IV Barresi, succeduto al padre intorno al 1330, il privilegio di circondare di mura l'abitato includendovi all'interno il castello. Fu con la realizzazione di queste opere che Militello diventa una "terra" del Regno, ossia un centro abitato "chiuso", e quindi una città con capacità fiscale e militare proprie. Il castello era addossato su un fianco al circuito delle mura e delimitato da un fossato sul lato Ovest. Sebbene di dimensioni minori, ricordava nell'impianto i castelli Maniace di Siracusa e Ursino di Catania.

Presentava una pianta quadrata di circa 33 m di lato con ampia corte interna, con torri cilindriche merlate ai quattro vertici e, al centro del lato di ponente, un grande mastio quadrangolare adibito ad abitazione del signore. L'accesso principale al castello era dal lato Ovest dove si trovava la grande porta d'ingresso attrezzata di argani e saracinesca.

Fra storia e leggenda sembrano dipanarsi gli avvenimenti successivi. Nell'autunno del 1357 il castello di Militello ospitò una riunione del parlamento siciliano che, su iniziativa di Artale Alagona, gran giustiziere del Regno e leader della parzialità catalana che controllava Catania e il Val di Noto, vi deliberò la lotta a oltranza ai i nemici del re Federico IV di Sicilia

Nel 1410, al tempo della signoria del barone Antonio Barresi, la regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I di Sicilia (casa d'Aragona), vi avrebbe trovato ospitalità durante la sua fuga dal vecchio Bernardo Cabrera, conte di Modica e capitano di giustizia del Regno, che intendeva sposarla per impadronirsi così di tutta la Sicilia. 

Il Barresi, che era stato esiliato pochi anni prima da re Martino per ribellione, avendo appoggiato le ambizioni del Cabrera, volle in questo modo offrire prova di rinnovata fedeltà alla casa d'Aragona. Nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1473 il castello fu invece teatro di un delitto passionale che vide come protagonisti il barone di Militello Antonio Piero Barresi e sua moglie, donna Aldonza Santapau figlia del barone di Licodia. Accusata falsamente di adulterio dai due cognati, la nobildonna venne uccisa dal marito insieme al presunto amante, il segretario Pietro Caruso, detto "bellopiede" per la destrezza nella danza. La fosca vicenda ha alimentato nel corso dei secoli una ricca produzione letteraria e di racconti popolari sui drammi della gelosia siciliana.  

Durante la signoria dei Barresi il maniero subì complessivamente diversi interventi, soprattutto dopo il terremoto del 1542 «che provocò il crollo della torre quadrata chiamata "di donna Aldonza"», «arrecando danni anche alla porta principale. Da quel momento l'ingresso al castello avvenne dal muro di mezzogiorno». Artefice degli interventi post terremoto fu il barone Carlo Barresi che governò il feudo dal 1528 al 1557.  

Il 24 ottobre 1564 il barone di Militello Vincenzo Barresi, figlio di Carlo, fu insignito del titolo di marchese, ma alla sua morte (16 agosto 1567) e, in seguito al matrimonio fra Caterina Barresi (sorella ed erede di Vincenzo) e Fabrizio Branciforte principe di Butera e conte di Mazzarino, unico figlio di Giovanni Branciforte e di Dorotea Barresi, nel 1571, città e fortezza passarono ai Branciforte, uno dei casati più ricchi e importanti di tutta la Sicilia.

In questo periodo i più significativi interventi sul castello si devono al marchese Francesco Branciforte (1575-1622) e alla consorte donna Giovanna d'Austria (figlia di Don Giovanni d'Austria e nipote dell'imperatore Carlo V d'Asburgo) che fra il 1602 e il 1622 (anno della morte improvvisa del principe) vi tennero una splendida corte circondandosi di una folta schiera di uomini di talento, fra i quali il poeta ed erudito Pietro Carrera. Don Francesco smantellò il mastio per costruire una nuova ala a Sud chiamata la "galleria", con funzione abitativa e rappresentativa in linea con l'edilizia aristocratica del tempo, e la trasformò in un luogo di cultura e di scienza. Vi fece infatti installare una biblioteca di 10.000 volumi, una tipografia giunta appositamente da Venezia (collocata poi nel vicino palazzo "dei Leoni"), una ricca armeria con una prestigiosa collezione di armature, una distilleria e una cavallerizza (le scuderie); vi istituì due compagnie teatrali, e nel 1607 vi portò l'acqua potabile, come testimonia la Fontana della Ninfa Zizza, decorata dallo scultore Giandomenico Gagini junior al centro della nuova corte Sud.

La "galleria" terminava in un ampio balcone (ancora esistente) sorretto da grandi mensole a intaglio dal quale si godeva (e si gode) una superba vista dell'agro militellese e dei monti Iblei fino a Buccheri e monte Lauro. Il Branciforte fece anche realizzare un artistico portale a decoro dell'ingresso principale del castello a mezzogiorno, non molto dissimile da quello realizzato nello stesso periodo per l'abbazia benedettina da lui fondata a Militello. In cima al portale era collocata una lapide (oggi dispersa) che recitava: D.O.M. Philippus III Hispaniarum et Siciliae Rex, Don Francisco Brancifortio et Joanna Austriaca principibus Petrapertiae et Militelli marchionibus Porta haec Oppidi vetustissima restituta et Bibliotheca vero erecta - MDCXVII.

Nella seconda metà del SeicentoGiuseppe Branciforte marchese di Militello, principe di Butera e conte di Mazzarino, abitò il castello e lo abbellì ulteriormente con magnifiche stanze, gallerie e fontane. Il suo segretario e uomo di lettere Filippo Caruso ebbe a scrivere: "non è in Sicilia palazzo signorile più comodo e più bello". Dopo la morte del principe Giuseppe (1675), sebbene i Branciforte abbiano mantenuto il feudo di Militello fino all'abolizione della feudalità (1812), nessun marchese abitò più il palazzo, preferendo la capitale Palermo ai loro feudi sparsi nell'isola.  

Gravemente danneggiato dal catastrofico terremoto del 1693, negli anni del governo del marchese Carlo Maria Carafa Branciforte, il castello fu solo in parte riparato. Nel corso del '700 è solo di rado utilizzato dai signori in occasione di qualche visita. A inizio '900 l'edificio, ormai abbandonato, è stato diviso e venduto a privati che ne hanno ricavato abitazioni, alterandone l'insieme con superfetazioni o smantellamenti. Dell'imponente costruzione oggi rimangono soltanto: la porta d'ingresso alla corte Sud (detta Porta della Terra, con riferimento al quartiere Terra Vecchia di cui il castello faceva parte), la fontana della Ninfa Zizza, due torri cilindriche con le sale adiacenti, i grandi vani del trappeto per la molitura delle olive, l'estremità Sud della "galleria" dove era collocata la biblioteca e qualche brano murario della cortina Nord. A Sud del castello, in asse con la Porta della Terra, sopravvive una delle porte secondarie delle mura medievali della città, la Porta del "Bastione".

Fontana della Ninfa Zizza

Venne edificata nel 1607 nella corte Sud del castello per celebrare la realizzazione del primo acquedotto di Militello, voluto dal principe Francesco Branciforte. Di forme manieriste con vasca ottagonale, in essa si ammirava il pregevole bassorilievo in marmo raffigurante la Ninfa Zizza di Giandomenico Gagini. Il bassorilievo originario, al fine della sua maggiore tutela, è stato sostituito da una copia in gesso.

Palazzi

Palazzo Baldanza (ex Caruso della Sanzà e di Rossitto). È situato in via G.B. Baldanza. Fu costruito nel XVIII secolo e occupa un intero isolato. Presenta sei balconi con ricche mensole a mascheroni e festoni nelle lesene. È arricchito da un giardino lussureggiante oggi cinto da un muro. Appartenne alla nobile famiglia Caruso, il cui ramo principale si estinse alla fine del XVIII sec., con il barone don Antonino Caruso morto senza figli; mentre il ramo secondario nei primi anni del XIX sec., con donna Marianna Caruso-Scuderi, sposata con Antonino Malgioglio e Cardaci di Ramacca.  

Palazzo Baldanza-Denaro (ex Campisi). Situato nell'odierna piazza San Benedetto (o piazza Municipio), fu costruito a inizio XVII secolo. È attualmente sede dell'Associazione Turistica "Pro Loco". Anch'esso presenta balconi decorati da ricchi intagli barocchi nelle mensole e nelle lesene. Appartenne alla signora Denaro, vedova Basso La Bianca.  

Palazzo Niceforo. Si trova in via Baldanza. Costruito nel XVIII secolo, presenta un ricchissimo portale a telamoni. È uno degli esempi più belli dell'edilizia aristocratica del post-terremoto.  

Palazzo Iatrini. Situato in largo Iatrini, è una splendida dimora gentilizia del 1717. All'esterno offre un magnifico balcone sorretto da ricche mensole a intaglio con maschere. All'interno presenta numerosi ambienti, comprendenti anche una corte con cisterna e un giardino. Appartenne all'antica famiglia militellese degli Iatrini che vide in molti suoi esponenti illustri giuristi e religiosi, come mons. Alfio Iatrini priore del capitolo della cattedrale di Catania e mons. Francesco Iatrini prelato di Sua Santità e vicario foraneo. L'ultima esponente della famiglia, nel 1995, donò l'intero stabile alla parrocchia S. Maria della Stella.  

Palazzo Iatrini (ex Costantino, ex Reforgiato di Linziti). È situato in via Porta della Terra, all'angolo con via Baldanza. La sua costruzione fu completata nel 1771, e presenta sei balconi con cornici e mensole tardo-barocche. Voluto dal barone Reforgiato di Linziti, passò in seguito ai Costantino per poi pervenire agli Iatrini. Venne adibito fino agli anni 60 del XX sec. a sede della Agenzia delle Imposte e successivamente a casa religiosa. Oggi è di proprietà della parrocchia S. Maria della Stella.  

Palazzo Liggieri (ex Reforgiato). Si tratta di un grande edificio che chiude per un intero lato piazza Vittorio Emanuele II. Oltre che per le dimensioni, questo edificio del XVIII secolo si caratterizza per i notevoli intagli barocchi dei balconi e del grande portale bugnato sormontato dallo stemma gentilizio.  

Palazzo Majorana della Nicchiara (XVI-XVIII sec.). Sullo sfondo l'ex Convento di San Domenico.Palazzo Majorana della Nicchiara (o "dei Leoni"). Si trova in via Porta della Terra dirimpetto la piazza di Santa Maria della Stella. Rara testimonianza dell'edilizia civile di epoca cinquecentesca, l'enorme edificio fu voluto dai Barresi come sede della corte giuratoria e della corte capitanale (i due principali organi di amministrazione della città). Sebbene rimaneggiato in epoche successive, e trasferito più volte di proprietà (tra cui i Majorana-Cocuzzella baroni della Nicchiara), presenta gli originali cantonali a bugnato, arricchiti da severi leoni in pietra di età medievale recuperati da edifici più antichi.  

Palazzo Oliva (ex Tinnirello, ex Interlandi di Bellaprima). Situato in via Porta della Terra, risale ai secoli XVII-XVIIIIPresenta un'elegante finestra ad intaglio, di stile manierista, sul cui timpano è collocato uno stemma araldico in marmo. Appartenuto dapprima alla famiglia calatina degli Interlandi principi di Bellaprima (vi abitò il parroco di San Nicola don Lorenzo Interlandi), nella prima metà del '700 passò all'illustre famiglia militellese dei Tinnirello che vi abitò fino al 1921, ospitandovi al piano terra l'omonima farmacia, e infine alla famiglia Oliva.  

Palazzo Guttadauro di Reburdone. Situato in via Reburdone, importante arteria del tessuto urbano cinquecentesco, questo edificio di severo stile manierista sopravvisse in parte al terremoto del 1693. Appartenne dapprima ai Ciccaglia e quindi ai baroni Guttadauro di Reburdone (originari di Vizzini) a seguito del matrimonio tra donna Pietra Antonia Ciccaglia e don Gaetano Guttadauro (1678). I Guttadauro si trasferirono successivamente a Catania dove assursero alla dignità di principi.  

Palazzo Rejna dell'Aere del Conte. Situato in via Pietro Carrera, questo grande palazzo dalle forme severe, con spunti neoclassici, risale alla fine del XVIII secolo.  

Palazzo Sciannaca. Si staglia fra piazza Sant'Agata e via Pietro Carrera, sulla quale si esibisce l'affaccio principale. Fu costruito nel XIX secolo in forme classiche, nello stesso luogo dove sorgeva l'antico palazzo d'estate dei Barresi. Nel 1936 vi nasce Pippo Baudo.  

Palazzo Tineo. È situato in via San Sebastiano. Elegante palazzetto ricco di intagli barocchi, risale al XVII secolo.  

Casa Guzzone. Situata in via Guzzone, fu residenza del noto pittore militellese Sebastiano Guzzone e Sangiorgi (1856-1890), e dello zio don Rosario Guzzone, che molto si adoperò per il ripristino dei diritti parrocchiali di S. Maria della Stella. Oggi è abitata dagli eredi di Sebastiano Guzzone.

Cascate dell'Oxena

Il fiume Oxena scorre sugli Iblei nordorientali ed il suo nome ricorda l’antichissima storia di queste terre, ovvero l’insediamento di Essena: un antico centro abitato i cui ruderi sono situati lungo il corso del fiume, più a valle. Il corso d’acqua ha scavato una sinuosa gola (localmente chiamata ‘cava’) oggi colonizzata da una lussureggiante vegetazione.

Mentre le pareti della cava sono caratterizzate da depositi sedimentari recenti, il letto del fiume è costituito dai prodotti di antichissimi centri vulcanici, ben precedenti all’Etna e risalenti ad almeno due milioni di anni fa. In prossimità di una stretta ansa, a breve distanza dall’abitato di Militello in Val di Catania, il fiume incontra un grosso blocco di lava, che viene superato con alcuni spettacolari salti.

Si formano così le cascate dell’Oxena, una piccola meraviglia paesaggistica, arricchita dalla presenza di alcune piscine naturali che consentono un bel bagno ristoratore.

Le cascate rappresentano un punto di partenza per brevi ma bellissime escursioni nella valle omonima; basta percorrere il greto del fiume per ammirare ambienti naturali ancora del tutto incontaminati e arricchiti da una preziosa vegetazione ripariale. Olmi, frassini, salici, oleandri, fichi d’india e olivastri accompagnano l’escursionista per chilometri, spesso creando spettacolari gallerie vegetali, mentre la presenza dei granchi di fiume e di altre specie acquatiche suggerisce un elevato grado di purezza delle acque.

Risalendo l’asta fluviale sarà facile trovare inoltre numerose pozze e piscine naturali dove poter sostare e fare un bagno. Un paesaggio che ricorda vagamente quello delle piccole gole dell’Alcantara, vista anche la presenza di splendidi basalti colonnari ben più antichi di quelli etnei.

Gran parte del Plateau Ibleo è testimonianza di un’intermittente attività vulcanica che dal Triassico si è spinta fino a qualche milione di anni fa. In particolare, l’attività vulcanica più recente (pleistocenica) è stata caratterizzata dall’emissione di voluminose colate di lava messe in posto in ambienti di mare poco profondo o in condizioni subaeree. Il vulcanismo sembra poi essere migrato verso l’area etnea, e dunque verso nord, come testimoniato dal rinvenimento di unità vulcaniche più giovani nel sottosuolo della Piana di Catania, e dalla maestosa presenza del giovane grande vulcano siciliano.