Un’enclave
del barocco dall’altra parte della provincia. Un paesino suggestivo che,
con strade, edifici e monumenti vari, richiama la bellezza tipica della
Sicilia. Militello è
un paese della zona calatina annoverato tra i
borghi più belli d’Italia. Una realtà davvero
interessante da conoscere, tra storia, arte, vicoli e curiosità varie.
Militello
si trova lungo l’estremità settentrionale dei monti Iblei. Poggia su un
substrato calcareo e all’entrata sud vi sono sedimenti di area
basaltica. L’area inoltre è interessata a fenomeni carsici.
Il
territorio di Militello è stato abitato sin dall'antichità. Le aree
archeologiche presenti in prossimità del centro abitato testimoniano la
frequentazione del territorio lungo un arco cronologico che va dall'età
del rame e del bronzo (necropoli di Dosso Tamburaro, Frangello, Oxina)
all'età del ferro (necropoli di Castelluzzo, Oxina), dal periodo classico
ed ellenistico (necropoli di Fildidonna, Piano Maenza) a quello bizantino
e arabo (necropoli di Santa Barbara, S. Maria la Vetere, Oxina). Alla luce
di queste testimonianze, e in ragione della sua posizione geografica, in
età antica il centro va compreso come uno dei diversi villaggi (komai),
privi di indicazione onomastica, presenti nel vasto territorio della città
greca di Leontinoi, riferimento urbano di tutta l'area (chora leontinoa).
Nonostante
l'evidenza archeologica, numerose sono state le ipotesi sulla fondazione
della città, alcune delle quali di carattere leggendario. La più
conosciuta di queste, sebbene priva di riscontri documentali, è quella
dello scrittore militellese Pietro
Carrera (1573-1647), che fa risalire la fondazione di Militello al
tempo della Seconda Guerra Punica: le truppe romane del console Marco
Claudio Marcello, durante l'assedio di Siracusa del
212 a.C., nel tentativo di scampare ad un'epidemia di malaria cercarono un
luogo più sicuro dove accamparsi, trovando a circa trenta miglia dalla
costa un altopiano caratterizzato da aria salubre e acque limpide. Fu così
che sarebbe stata fondata la colonia di Militum Tellus ("terra
di soldati") che diede il nome all'abitato.

Più
verosimilmente, invece, come suggeriscono importanti testimonianze
monumentali (resti di una torre-dongione normanna)
e diplomatiche (un provvedimento ecclesiastico di Ruggero
II, gran conte di Sicilia e Calabria, dell'anno 1115), l'origine
dell'odierno abitato è da ricondurre alla politica di controllo del
territorio intrapresa dai Normanni al
termine della conquista della Sicilia (fine sec. XI). Pertanto, il
toponimo latino-medievale "Militellus" (da Militum Tellus,
ossia "terra dei soldati") farebbe riferimento alla
distribuzione di terre, operata dal conte Ruggero
I, in favore dei membri del suo esercito (come riferisce il
cronista Goffredo
Malaterra). Ai Normanni si devono infatti i primi cenni di attività
edilizia nel luogo, come la chiesa di Santa Maria (poi divenuta Santa
Maria della Stella) e la torre-dongione ad essa adiacente, edifici
costruiti a ridosso della cava, in un contesto abitativo prevalentemente
rupestre.
Durante
il periodo normanno, l'abitato e il suo territorio furono infeudati a Simone
del Vasto, conte degli Aleramici di
Sicilia, al quale succedette il figlio Manfredi. Passò successivamente ai
nobili Alaimo Lentini e Lanfranco Lentini di San Basilio, i due si
distinsero per le loro imprese militari nell'armata normanna del gran
conte Ruggero che per premiarli nel 1101 diede loro i castelli di
Militello, Ossina, e Idra. Nel 1248, l'imperatore Federico
II concesse in perpetuo il casale et castrum di
Militello in Val di Noto, col rango di baronia, al nobile Bonifacio
de Camerana figlio di Oddone.
Quest'ultimo, milite originario delle Langhe piemontesi, nel 1237 aveva
ottenuto dall'imperatore il permesso di immigrare in Sicilia, col suo
seguito di coloni lombardi (a quel tempo erano genericamente chiamati
"lombardi" tutti gli abitanti dell'Italia settentrionale, quella
nord-occidentale in particolare) i quali andarono ad accrescere così il
numero dei cosiddetti Lombardi
di Sicilia.
I
Camerana tennero il casale di Militello per alcuni decenni, fino a quando
l'ultima esponente della famiglia, Maria Camerana, lasciò il feudo al
figlio Abbo Barresi (1308). Nel 1339 il re di Sicilia Pietro
II d'Aragona concesse al barone Abbo Barresi il privilegio di
circondare di mura l'abitato, collocandovi all'interno il castello. Fu in
seguito a questa circostanza, che l'abitato di Militello divenne una
"terra" del regno (ossia città con capacità fiscale e
militare).
I
Barresi rimarranno signori di Militello fino all fine del XVI secolo.
Nel
1473 il castello di Militello fu teatro di un delitto passionale ai danni
di donna Aldonza Santapau dei marchesi di Licodia,
moglie del barone di Militello Antonio Piero Barresi. Falsamente accusata
di adulterio dai cognati, fu uccisa dal marito insieme al presunto amante,
il segretario baronale Pietro Caruso, detto "Bellopiede" per la
sua perizia nella danza. La fosca vicenda ha alimentato, nel corso dei
secoli, una ricca produzione letteraria e di racconti popolari,
inaugurando così la lunga serie di storie di drammi della gelosia
siciliana, fra i quali il noto romanzo La
baronessa di Carini di Salomone Marino, e la famosissima
novella Cavalleria
Rusticana di Giovanni
Verga.
Sotto
la signoria dei Barresi, a metà del XVI secolo, il feudo assurse alla
dignità di marchesato. Estinta la dinastia per mancanza di eredi maschi,
con il matrimonio tra la marchesa Caterina Barresi e Fabrizio Branciforte,
principe di Butera e
conte di Mazzarino,
nel 1571 la città passò ai Branciforte,
uno dei casati più importanti di Sicilia, che la tennero fino
all'abolizione della feudalità (1812).
A
cavallo tra i secoli XV e XVI è ben documentata a Militello la presenza
di una numerosa comunità ebraica con la sua sinagoga.
Il
periodo compreso fra i secoli XVI e XVIII fu un'epoca di splendore per la
città, in particolare gli anni della signoria del marchese Francesco
Branciforte (1575-1622) e della consorte Giovanna d'Austria
(figlia di don
Giovanni d'Austria e nipote dell'imperatore Carlo
V d'Asburgo, re
di Spagna e di Sicilia), e della loro figlia Margherita
d'Austria e Branciforte (1605-1649). Durante il loro governo
la città si arricchì di nuovi edifici e fondazioni: la nuova ala del
castello, chiese, monasteri, palazzi per l'amministrazione, fontane
pubbliche, una grande biblioteca e una stamperia tra le prime del Regno
di Sicilia, dove nel 1617 fu pubblicato il trattato Il gioco
de gli scacchi di Pietro
Carrera, importante testo di riferimento della scacchistica moderna
(famoso per la cosiddetta difesa
siciliana).
Il
terribile terremoto
dell'11 gennaio 1693 distrusse molti di questi edifici,
purtuttavia la felice ricostruzione del secolo successivo porterà alla
realizzazione di gioielli di pregio architettonico, come le nuove chiese
parrocchiali di Santa Maria della Stella e di San Nicolò, e nuovi palazzi
nobiliari. Fra le fondazioni più importanti di Francesco Branciforte va
menzionato il grandioso monastero
di San Benedetto (1616), vero cuore pulsante della vita
economica e culturale della città. Intorno al 1735 ne divenne priore Vito
Maria Amico, erudita, scrittore e storico di grande fama (Carlo
di Borbone, re
di Napoli e di Sicilia, lo nominò nel 1751 regio
storiografo). Questi, durante il suo soggiorno militellese, raccolse
fossili e reperti archeologici nel territorio intorno alla città, da
destinare al Museo
di antichità greco-romane da lui fondato insieme alla
Biblioteca nel Monastero
di San Nicolò l'Arena di Catania.
In
età moderna, oltre all'agricoltura, a Militello erano fiorenti molteplici
attività economiche: la produzione della polvere
da sparo, della seta, della salsola (sali di potassio per
la preparazione del sapone), della colla; la concia delle pelli (vi era
impiegato il 10% della popolazione); la molitura dei cereali (tutti i
mulini lungo i corsi d'acqua erano proprietà del marchese); la
lavorazione del tabacco anche da fiuto (qui nacque il marchio
"Tabacco Branciforte"). Non è raro in questo periodo vedere le
diverse maestranze organizzarsi in confraternite religiose, animando
ulteriormente la vita della città con feste e processioni. Con la morte
di Giuseppe Branciforte (1675), vicario generale del Regno di Sicilia
sotto Carlo
II d'Asburgo, nessuno dei marchesi di Militello risiedette più
nella città, e nel corso del XVIII secolo l'amministrazione del feudo sarà
delegata a funzionari locali, esponenti dell'aristocrazia militellese,
come i Majorana. Ultimo signore di Militello fu Michele
Ercole II Branciforte, che tenne il feudo dal 1799 al 1812.
Con
l'abolizione del feudalesimo (1812) a Militello si affacciò una nuova
classe dirigente, composta da nobili, clero e ricchi proprietari terrieri,
rappresentata dalle famiglie Majorana, Baldanza, Reforgiato, Reina e
altre. I Majorana, in particolare, divennero protagonisti assoluti della
vicenda politica di Militello lungo tutto l'Ottocento e i primi del
Novecento. Con la creazione del nuovo Stato Unitario Italiano (1861) la
condizione economica e sociale di Militello non migliorò, anzi la
soppressione degli ordini religiosi e l'incameramento dei monasteri che ne
seguì (1867) sottrasse alla città le sue principali agenzie d'impiego e
le sue più importanti istituzioni assistenziali. Un nuovo avvio di
crescita demografica e di ripresa dell'edilizia pubblica si avrà soltanto
a partire dai primi decenni del XX secolo (in questi anni venne realizzata
la Villa Comunale "Vittorio Veneto", l'Ospedale "Basso
Ragusa", l'Istituto "Melchiorre Bisicchia", la Scuola
Elementare "Pietro Carrera", il Cine-Teatro "Tempio",
ecc.), con una appendice fra gli anni '70 e '80.
In
età più recente, la storia di Militello non è diversa da quella della
maggior parte dei piccoli comuni siciliani, in cui a una economia basata
essenzialmente sull'agricoltura e su una modesta attività artigianale fa
riscontro una forte emigrazione e un costante calo demografico. Per la
ricchezza del suo patrimonio artistico-monumentale, Militello nel 2002 ha
ottenuto il riconoscimento UNESCO,
venendo inserita fra le città del Val di Noto dichiarate Patrimonio
dell'Umanità. Un riconoscimento prestigioso dal quale sperare un rilancio
della cittadina, soprattutto sotto il profilo turistico, culturale ed
economico.
Nel
2020 Militello è entrato a far parte dell'associazione "borghi
più belli d'Italia" e nel 2022 è stato nominato "Borgo
più bello di Sicilia 2022".
Chiesa
madre di San Nicolò e del Santissimo Salvatore
Primitiva chiesa
madre e principale luogo di culto cittadino patrocinato dalle
famiglie Barresi - Branciforte è
la Chiesa Madre San Nicolò il Vecchio.
Il
lungo sciame sismico danneggia parzialmente il monumento che sarà in più
riprese oggetto di lunghi cantieri di lavoro di ingrandimento e
perfezionamento. Il polo monumentale fu totalmente distrutto dal terremoto
del Val di Noto del 1693, progressivamente spogliato a partire dal
XVIII secolo dei
materiali da costruzione, degli arredi e delle opere d'arte, per la
costruzione e abbellimento della nuova Matrice.
Nel
lungo frangente della ricostruzione fu la chiesa della Madonna della
Catena a ricoprire le funzioni di chiesa madre, in seguito dalla chiesa di
San Sebastiano. Il 6 dicembre del 1721, dopo 28 anni trascorsi dal tragico
evento, fu posta la prima pietra della nuova fabbrica.
Edificio
dal profilo ampio e slanciato, edificato a partire dal 1721, in
sostituzione dell'antica matrice (oggi detta San
Nicolò il Vecchio), aperta al culto nel 1740.
Nel
1750 fu completato il primo ordine della facciata, progettato
dall'architetto Girolamo
Palazzotto, mentre nel 1765 furono realizzati il secondo ordine e
il campanile con cupolino in stile orientale dal celebre architetto
catanese Francesco
Battaglia.
Sul
finire del XIX secolo, fu ingrandita con la costruzione del transetto e
dell'abside, nel 1904 fu sopraelevata la cupola su un alto tamburo con
finestroni, prima opera in cemento
armato della Sicilia orientale, alta 30 metri, il cui plastico
per la sua originalità ricevette il primo premio all'Esposizione
Internazionale di Parigi del 1900.
Dopo
il sisma del 13 dicembre 1990, altrimenti noto come terremoto
di Santa Lucia, la chiesa è stata sottoposta a lunghi lavori di
consolidamento strutturale e restauri.
Il
28 giugno 2002 il monumento è stato inserito da parte dell'UNESCO come patrimonio
dell'umanità.
Nel
2022,è stata elevata a Basilica Pontifica Minore.
FACCIATA
- Il prospetto
tardo-barocco della chiesa, scandito da otto grandi paraste con alti basamenti e capitelli
corinzi, comprende il portale centrale (recuperato dall'altare
maggiore della vecchia matrice) con colonne binate e timpano ad arco
spezzato e le due porte laterali, dette del sole e della
luna, sormontate da finestre a rosone.
INTERNO
- L'interno della
chiesa, a croce
latina, presenta tre navate divise da cinque arcate sorrette da
dodici pilastri con capitelli ionici, decorate da raffinati stucchi
settecenteschi ai quali si aggiungono nei pennacchi della
cupola le statue dei quattro
evangelisti, eseguiti dallo scultore catanese Giuseppe
D'Arrigo. Nel 1950 furono realizzati gli affreschi della volta e
dell'abside dal concittadino Giuseppe
Barone, raffiguranti scene della vita di San Nicola e
i Misteri
gloriosi di Gesù - le Tre doti di San
Nicolò, Storia di San Nicolò e l'Apoteosi del Santissimo
Salvatore - opere realizzate nella volta e nell'abside.
Navata
destra
-
Prima campata: Cappella di San Gerardo Maiella,
primitiva Cappella di Sant'Andrea. L'antico dipinto
raffigurante Sant'Andrea nella riconversione del titolo è stato
sostituito con la statua in cartapesta raffigurante San
Gerardo Maiella. Nell'ambiente è realizzato il ciclo di affreschi
su episodi di vita del redentorista: Miracolo di San
Gerardo, Ascensione di San Gerardo, Comunione di San
Gerardo, Morte di San Gerardo, opere realizzate da Giuseppe Barone
nel 1921.
-
Seconda campata: Cappella di Sant'Antonio di Padova,
primitiva Cappella di Sant'Eligio. Manufatti provenienti dalla
primitiva chiesa madre, la statua raffigurante Sant'Eligio è
custodita nel Museo. La nicchia ospita la secentesca statua lignea
raffigurante Sant'Antonio
di Padova.
-
Terza campata: Cappella di Maria Santissima del Carmelo,
primitiva Cappella di San Nicola di Bari. Dal 1906 l'ambiente è
dedicato alla Madonna
del Carmelo.
-
Quarta campata: Cappella di Santa Rita, primitiva Cappella di
Maria Santissima dei Sette Dolori o Cappella della Pietà.
Manufatto marmoreo seicentesco proveniente dalla chiesa di San Nicolò il
Vecchio. La sopraelevazione e costituita da colonne con capitelli
corinzi che presentano la parte inferiore del fusto decorata
con rilievi ad arabesco, scanalature di stile dorico nella
parte superiore. Timpano ad archi spezzati, sovrapposti e simmetrici con
stemma sulla cornice, edicola intermedia e raffigurazione dei Tre
chiodi della Crocifissione. Una elegante e raffinata decorazione delimita
la nicchia. In origine l'ambiente accoglieva il gruppo ligneo
della Pietà con la settecentesca statua del Cristo Morto,
oggi custodito presso il Museo. La nicchia era racchiusa da una tela
settecentesca raffigurante la Pietà o Deposizione dalla
Croce, attribuita allo Scirè. Dal 1950c. circa ospita la statua
raffigurante Santa
Rita da Cascia.
-
Quinta campata: Cappella della Madonna di Pompei,
primitiva Cappella di San Francesco di Sales. Nella nicchia è
collocato il gruppo in cartapesta di scuola leccese raffigurante la Vergine
del Rosario attorniata da San
Domenico di Guzmán e Santa
Caterina d'Alessandria genuflessi, l'intero manufatto
parietale è delimitato dai quadretti che riproducono i 15 misteri
del Rosario.
Navata
sinistra
-
Prima campata: Battistero delimitato da cancellata in ferro
battuto e fonte
battesimale in marmo di Carrara con cupolino ligneo a bulbo.
-
Seconda campata: Cappella della Sacra Famiglia,
primitiva Cappella della Madonna delle Grazie. Altare con nicchia
contenente la Sacra Famiglia, gruppo scultoreo di fattura napoletana
del 1748.
-
Terza campata: Cappella del Sacro Cuore di Gesù. Altare in marmi
policromi, la nicchia ospita la statua lignea raffigurante il Sacro
Cuore di Gesù, opera di Girolamo
Bagnasco.
-
Quarta campata: Cappella di Santa Lucia. Altare in marmi policromi e
nicchia contenente la statua raffigurante Santa Lucia vergine e
martire del XVII
secolo, opere provenienti dalla vecchia matrice.
-
Quinta campata: Cappella del Santissimo Crocifisso. Ambiente
recuperato dal 1992 adibito a varco e convertito a cappella votiva. Alla
parete un Crocifisso seicentesco d'ignoto autore delimitato in
basso da due angeli ceroforari di scuola romana.
Santuario
di Santa Maria della Stella
Edificata
a partire dal 1722, in sostituzione dell'antica Basilica di Santa Maria
della Stella distrutta dal terremoto
del Val di Noto del 1693, fu aperta al culto nel 1741. Durante il
lungo frangente post - terremoto, la parrocchia trovò sede provvisoria
presso la chiesa di San Pietro, successivamente nella chiesa di
Sant'Antonio di Padova, poi nella chiesa di Sant'Antonio Abate.
La
costruzione dedicata alla Madonna della
Stella, Patrona Principale della città, è collocata in cima ad una
scenografica scalinata e presenta un'armoniosa facciata barocca ricca di
intagli affiancata da una poderosa torre campanaria. Il disegno del
prospetto si deve all'architetto Giuseppe
Ferrara da Palazzolo
Acreide, attivo nel Val
di Noto negli anni del dopo terremoto, i pregevoli stucchi
settecenteschi che decorano l'interno sono invece dell'agrigentino Onofrio
Russo, allievo del celebre Giacomo
Serpotta. Gli eleganti pilastri e le arcate interne presentano lo
stesso profilo di quelli della coeva chiesa
del Santissimo Crocifisso di Noto.
Nel
1783, l'anno del terremoto
della Calabria meridionale, la festa patronale fu resa
particolarmente solenne, arricchendola di splendide manifestazioni
religiose e d'intrattenimento, per ringraziamento alla Vergine di aver
preservato la città dalla furia distruttrice del sisma. A causa del terremoto
di Messina del 1908 il tempio fu temporaneamente chiuso al
culto. La sede parrocchiale ospitata dapprima presso la chiesa del
Santissimo Sacramento al Circolo, quindi nella chiesa di San Domenico.
L'edificio fu riparato a partire dal 1909 grazie alla munificenza di Sua
Santità Pio
X.
Nel
1929 accanto alla chiesa sorse la canonica,
ricavata dall'abbattimento della Chiesa di Sant'Antonio Abate.
L'8
settembre 1954, sotto il Parrocato di Mons. Francesco Iatrini, la
Veneratissima effigie della Madonna della Stella fu incoronata con una
preziosa corona d'oro dal Rev. Capitolo Vaticano alla presenza delle
autorità religiose, regionali e nazionali.
L'11
ottobre 1969, essendo Parroco Don Sebastiano Cataldo, con decreto di Carmelo
Canzonieri, vescovo di Caltagirone, la Basilica è elevata alla
dignità di Santuario Mariano.

Il
16 settembre 1984, alla presenza di Sua Eccellenza Mons. Vittorio
Mondello, Vescovo di Caltagirone, vi fu l'Atto di Affidamento della
Città alla Madonna della Stella.
Dopo
il sisma del 13 dicembre 1990, altrimenti noto come terremoto
di Santa Lucia, la chiesa è stata sottoposta a lunghi lavori di
consolidamento strutturale e restauri.
Il
28 giugno 2002 il monumento è stato inserito da parte dell'UNESCO nella
lista dei patrimoni
dell'umanità.
Dal
22 febbraio 2018, il Santuario di Santa Maria della Stella è unito con
vincolo di Affinità Spirituale alla Papale Basilica Liberiana di Santa
Maria Maggiore.
INTERNO
- L'apparato pittorico fu realizzato da Giuseppe
Barone nel 1947 con la realizzazione del ciclo di affreschi
raffiguranti la Presentazione al Tempio, Annunciazione, Incoronazione
della Beata Vergine, Fuga in Egitto e Apoteosi.
Navata
destra
-
Prima campata: cappella di Sant'Anna. Altare di Sant'Anna, ambiente
definito per atto di devozione della famiglia Iatrini. Nelle adiacenze la
porticina varco d'accesso alla canonica.
-
Seconda campata: cappella di San Gaetano. Altare di San
Gaetano da Thiene, manufatto proveniente dalla chiesa di San
Domenico, la tela è opera del sacerdote Antonino Scirè. Ambiente
definito per atto di devozione della famiglia Reforgiato.
-
Terza campata: cappella dell'Assunta. Nell'edicola è collocata l'Apoteosi
di Maria raffigurata tra angeli, affresco realizzato da Giuseppe
Barone. Le strutture in marmo policromo provengono dalla chiesa di San
Domenico, manufatti ove costituivano l'altare maggiore.
-
Pulpito sormontato da baldacchino.
-
Quarta campata: cappella della Maddalena Penitente. Ambiente definito per
atto di devozione della famiglia Baldanza caratterizzato dal monumento
funebre di Carlo Barresi ritratto in ginocchio.
-
Quinta campata: cappella della Natività. Sulla parete è incastonata la Natività in ceramica
invetriata, capolavoro di Andrea
della Robbia, opera proveniente da Santa
Maria la Vetere. La pala d'altare fu acquistata da Antonio Piero
Barresi, signore di Militello, nel giugno del 1487. Il manufatto costò
101 fiorini, di cui 31 costituirono le spese per la spedizione dal porto
di Livorno, trasporto effettuato dalla compagnia Strozzi.
Nel
bassorilievo, fra lesene con
decorazioni a candelabra è
raffigurata la capanna di Betlemme, in alto schiere di angeli musici
recanti un cartiglio con
l'iscrizione "Nuntio
vobis gaudium magnum", messaggio rivolto ai pastori. Dentro la
capanna è ritratta la Sacra Famiglia adorante il Bambinello, in alto
altri angeli con il cartiglio recante la scritta "Gloria
in excelsis Deo" e un pastore col suo fardello. Il registro
superiore è costituito da lunetta con il Padreterno che regge il libro
dove figurano le lettere "Α e Ω",
personaggio raffigurato fra angeli adoranti e schiere di putti osannanti.
Nel registro inferiore o predella è
raffigurato Gesù
Risorto ritratto fra Maria e i dodici Apostoli. Tutta la pala
in origine era toccata d'oro zecchino, di cui adesso si notano solo tracce
annerite. Dalla comparazione delle opere della stessa bottega si evince
che il manufatto di Militello costituisce il capolavoro più animato e
affollato in termini di personaggi presenti della peculiare produzione
toscana.
Navata
sinistra
Prima
campata: L'ambiente adibito a battistero ospita
il fonte
battesimale sovrastato dal dipinto di Pietro da Mineo
raffigurante il Battesimo di Gesù.
Seconda
campata: Cappella di San Giovanni di Dio. Il manufatto marmoreo
proviene dalla chiesa di Sant'Antonio Abate. L'ambiente ospita il
monumento funebre del marchese di Militello don Vincenzo Barresi-Branciforte,
primo marchese di Militello, opera del 1567.
Terza
campata: varco laterale sinistro. Il portale proviene verosimilmente dalla
chiesa di Santa Maria la Vetere, reca nella parte esterna la data del
1506. In questo ambiente è collocate il sepolcro di Blasco II Barresi del XV
secolo. Il personaggio, morto nel 1461, è raffigurato in armatura
militare: capo appoggiato sul ricco cuscino, spada mantenuta lungo gli
arti inferiori, i piedi accostati al fido cane accucciato in atteggiamento
dormiente. Nella lastra frontale del sarcofago sormontata dalla figura
giacente, l'episodio biblico dell'Annunciazione riprodotta in due
riquadri, delimita lo stemma familiare collocato in centro.
Quarta
campata: Cappella dell'Ecce Homo. L'ambiente ospita la nicchia
contenente il Cristo flagellato o Cristo alla colonna dello
scultore Frate Umile
da Petralia, opera in legno e canapa del XVII
secolo proveniente dalla chiesa di Sant'Antonio Abate.
Quinta
campata: Cappella di San Bartolomeo. La sopraelevazione custodisce
una pala del 1694 raffigurante il Martirio di San Bartolomeo incastonata
in una monumentale cornice di legno dorato del 1703, opera commissionata
dalle maestranze dei conciatori di pelli, attive a Militello, in onore del
loro santo protettore.
SACRESTIA
E TESORO - La Sacrestia-Tesoro del Santuario conserva suppellettili
sacre in argento (XV - XVIII
secolo) provenienti dalla chiesa parrocchiale e dalle sue chiese
filiali, il corredo in argento e oro della statua della Madonna della
Stella, ex voto in oro, paramenti in seta e oro (XVII - XVIII
secolo) e apparati di damasco, immagini sacre tra cui un San
Paolo di Giovan Battista Baldanza del 1644, il monumentale polittico quattrocentesco
raffigurante San Pietro in cattedra e storie della sua vita,
attribuito ad Antonello
da Messina o al Maestro della Croce di Piazza Armerina, un
dipinto di Vito
D'Anna raffigurante l'Immacolata, e altre tele di pregio, come
una Madonna della Stella di Giacinto
Platania (sec. XVII).
Monastero
di San Benedetto

Voluto
dal marchese Francesco Branciforte e dalla moglie Giovanna
d'Austria, e completato dalla figlia Margherita, il maestoso complesso
benedettino di Militello (secondo in Sicilia per dimensioni solo a quelli
di Catania e Monreale) fu costruito tra il 1616 e il 1646, su
disegno di Valeriano De Franchis, e si contraddistingue per
l'impianto manierista con notevoli spunti barocchi nell'intaglio.
Il terremoto
del 1693 danneggiò il terzo ordine della facciata che fu ricostruito
ad arte, per ospitare la cella campanaria, su disegno dall'architetto
militellese Antonino Scirè (1725); gravi danni riportò anche l'artistico
portico colonnato del chiostro dei monaci, sopra il quale si aprivano
ampie terrazze, che fu quindi demolito e non più ricostruito.
La
chiesa ampia e luminosa, sormontata nel transetto da un originale tiburio
ottagonale, presenta all'interno dell'unica navata capolavori di
eccezionale fattura, come: L'Ultima Comunione di San Benedetto di Sebastiano
Conca (1680-1764); un busto reliquiario in argento raffigurante San
Benedetto del XVIII secolo; la bellissima statua seicentesca
della Vergine del Rosario (o delle Vittorie), di bottega
napoletana, donata all'abbazia da Giovanna d'Austria in omaggio alla
Vergine per la vittoria del padre don Giovanni d'Austria contro i Turchi
nella Battaglia di Lepanto; lo straordinario coro dei monaci del
1727, in legno intagliato, raffigurante i misteri del Santo Rosario e
scene della vita di San Benedetto e di San Placido; l'altare maggiore di
marmo pario con elaborati intarsi di pietre del 1727; la decoratissima
cappella del Santo Bambino, caratterizzata da un ricco ciborio a
gradoni in legno dorato e da notevoli affreschi che incorniciano la tomba
del principe fondatore, all'interno della quale sono sepolti anche il
fratello Vincenzo (abate di Nuovaluce) e due figlie.
Le
biblioteche custodivano il Tabulario, in cui si conservava la bolla
di erezione del monastero a firma di papa Paolo V (18 gennaio 1614).
Chiesa
Santa Maria la Vetere

Fu
edificata dai Normanni intorno
al 1090 dopo aver sottratto queste contrade al dominio saraceno. Il sito
non fu scelto a caso, in quanto il primitivo edificio fu impostato in
prossimità di un luogo sacro più antico: un cimitero cristiano di età
tardoantica o altomedievale. La presenza di questo cimitero avvalorerebbe
le notizie delle fonti diplomatiche (anno 1115) che ricordano la
riedificazione di un tempio distrutto dai Saraceni da parte del gran conte
Ruggero d'Altavilla.
Sin
dalla fondazione esercitò la cura delle anime come chiesa sacramentale
del borgo, in particolare per il gruppo etnico di provenienza normanna e
lombarda di lingua latina, e in essa i feudatari del luogo esercitarono il
diritto di patronato concesso dall'istituto dell'Apostolica
Legazia di Sicilia. Fu dunque Regia Cappella annessa alla
Cappellania Maggiore del Regno di Sicilia fino a tutto il XV secolo.
Distrutta
e riedificata più volte nel corso dei secoli (disastroso fu l'incendio
del 1618), in forme sempre più ampie e monumentali, subì l'ultima
parziale distruzione a causa del terremoto
del 1693. Spogliata di molti elementi architettonici, che servirono
alla costruzione, in altro sito, della nuova basilica di Santa Maria della
Stella, fu riadattata al culto grazie al tamponamento delle arcate della
navata meridionale superstite.
Il
sarcofago di Blasco
II Barresi, barone di Militello, notevole monumento di gusto gotico
recentemente attribuito a Domenico
Gagini, realizzato intorno agli anni '70 del '400, era collocato in
questo luogo di culto.

Conserva
oggi: tracce di affreschi riferibili alle fasi edilizie più antiche;
capitelli e fregi medievali, tra i quali alcuni in stile anglo-normanno;
una camera con volta
a crociera costolonata e porta con fasci di colonnine del
'400; un magnifico portale policromo in stile gotico con
un ricco ciclo di sculture realizzato nella seconda metà del '400 e
rimaneggiato a inizio '500 verosimilmente da Domenico
Gagini, sormontato da un protiro sostenuto
da leoni stilofori (unico
esempio in Sicilia); pilastri e finestroni incorniciati da cariatidi a
seno nudo in stile manieristico, e alcune ornatissime cappelle gentilizie
in pietra policroma arricchite da colonne
tortili del XVII secolo. In fondo all'unica navata superstite
è collocata una bella statua in pietra di scuola gaginesca raffigurante
Santa Maria
della Provvidenza della metà del '500.
All'interno,
come all'esterno, si trova un complesso di sepolture e ipogei di
epoche diverse (dall'età tardo-romana all'età moderna), fra cui un
oratorio rupestre con croci e simboli templari (detto
"Cripta dello Spirito Santo"), e una vasca
battesimale circolare, anch'essa con croce
templare pomata, testimone della funzione parrocchiale che la
chiesa esercitò sin dal XII secolo. Al lato di Nord-Est, si trovano le
rovine della torre/dongione normanna (XII sec.), che costituiva insieme
alla chiesa un unico complesso edilizio di tipo castrale, nucleo
originario del borgo medievale di Militello.

Chiesa
di Sant'Antonio di Padova
Fu
edificata nel 1503 per interessamento della confraternita omonima, nel
luogo dove, secondo una tradizione locale, sostò sant'Antonio
di Padova durante il suo viaggio da Lentini a Vizzini nel
1223 (secondo viaggio in Sicilia).
La
chiesa, rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, presentava sei
cappelle a intaglio di stile rinascimentale, una delle quali ancora
visibile. Oltre alla devozione al santo titolare, in essa era coltivata la
devozione alla Vergine di Monserrato della quale si conservava
una statua realizzata da Matteo Frazzetto nel 1583 e poi rifatta nel '700
(oggi al museo San Nicolò).
La
presenza di una cappella chiamata del Santo Sepolcro, corredata da un
gruppo scultoreo in creta raffigurante la Deposizione di Gesù (oggi
scomparso), e di una croce
di Malta sulla facciata fanno pensare ad un collegamento tra
la confraternita di questa chiesa e qualche ordine gerosolomitano.
Del
tutto singolare è il cupolino del 1574 con lanterna cieca esagonale che
sovrasta l'area presbiteriale (ex cappella del Santo Sepolcro):
caratterizzato da una volta a vela su base ottagonale con pennacchi
angolari a gradoni aggettanti, rimanda ad analoghe soluzioni
dell'architettura medievale di Sicilia, filtrate alla luce del nuovo
linguaggio del Rinascimento importato forse, in questo caso, da Giandomenico e Antonuzzo
Gagini attivi a Militello in quegli anni.
Chiesa
del Santissimo Sacramento al Circolo
Chiesa
votiva edificata nel secondo decennio del '700, su progetto
dell'architetto militellese don Antonino Scirè Giarro, era destinata
all'esposizione perpetua del Santissimo Sacramento.
Presenta
una singolare facciata barocca a intaglio dal profilo concavo di impronta
borrominiana, sormontata da una loggia campanaria con profilo a ventaglio
a tre luci.
All'interno,
decorato da eleganti stucchi di gusto tardo barocco, conserva la pregevole
statua con relativo fercolo di Sant'Antonio abate in cattedra del
1575, opera dello scultore bivonese Antonio De Mauro, proveniente dalla
chiesa di S. Antonio Abate. Di particolare interesse la predella della
statua del santo con scene della sua vita raffigurate a rilievo.
Una
lapide tombale del 1724 (oggi esposta nel Tesoro di S. Maria della
Stella) ricorda i coniugi Alfio Palermo e Fortunata dei baroni Lamia,
benefattori della chiesa, qui sepolti. La chiesa presenta inoltre due
interessanti affreschi, sui pilastri del cappellone del presbiterio,
raffiguranti lo Stemma dei Borbone di Napoli e di Sicilia nelle
due diverse elaborazioni, di Carlo
III e di Ferdinando
III di Sicilia.
Chiesa
del Santissimo Crocifisso al Calvario
La
chiesa è menzionata per la prima volta in un decreto vescovile del 1503.
Fu costruita a scopo devozionale in cima al colle Caruso, in posizione
dominante rispetto all'abitato, a ricordo del Golgota.
In seguito la confraternita del SS. Crocifisso al Calvario ne assumerà la
cura e l'amministrazione.
Nel
secolo successivo fu ampliata e assunse la forma di una croce con
l'aggiunta di tre absidi sormontate da un tiburio cieco ottagonale, come
oggi si vede. Appartiene a questa fase edilizia la pregevole cappella a
intaglio con reliquiario dell'altare maggiore. Danneggiata dal terremoto
del 1693 (nel crollo morirono numerosi fedeli radunati in preghiera), a
metà '700 fu riparata e arricchita di stucchi, nuovi altari, arredi sacri
e di un pregevole Crocifisso oggetto di una particolare
venerazione in Quaresima.
Nel
1740 furono commissionati al pittore catanese Giovanni Meli le grandi tele
collocate lungo le pareti della navata, raffiguranti: Cristo al Calvario (trafugata), Cristo
deriso, Cristo flagellato e Cristo nell'orto. Nel 1762
l'architetto catanese Francesco
Battaglia disegnò l'originale portico che chiude la facciata,
sotto il quale il venerdì santo di ogni anno si svolge il celebre e
suggestivo rito della crocifissione e deposizione di Gesù.
Chiesa
confraternale della Madonna della Catena
Questa
bellissima chiesa fu costruita agli inizi del '500 per iniziativa
devozionale del sacerdote militellese don Nicola Di Salvo che desiderava
così incrementare il culto mariano nella città. Il decreto di erezione,
a firma del vescovo di Siracusa mons. Dalmazio Gabriele, riporta la data
del 18 aprile 1503. L'edificio fu costruito in prossimità del palazzo
estivo dei Barresi nel cui prospetto era presente un'edicola votiva
raffigurante la Madonna della Catena. Tradizionalmente in Sicilia la
Madonna della Catena era invocata da coloro che desideravano il riscatto
di un prigioniero e dalle donne gravide e dalle partorienti. Nel 1652, la
confraternita del SS. Crocifisso al Calvario, che qua ha la propria sede,
si prese cura della sua riedificazione.
All'esterno
presenta un affaccio ricco di intagli che si distinguono per il
caratteristico motivo a graticcio tipico dei lapicidi militellesi del XVII
secolo. All'interno, ad unica navata e senza altari, presenta invece una
straordinaria decorazione a stucco, opera della seconda metà del '600,
raffigurante Storie della Vita della Madonna nel registro
superiore (Annunciazione, Sposalizio, Nascita di Gesù, Adorazione dei
Magi, Fuga in Egitto e Nozze di Cana) e dieci Sante Vergini, incorniciate
da putti, festoni e cornucopie, in quello inferiore. Questo oratorio
costituisce dunque un singolare "pantheon" al femminile dove
sono raffigurate alcune tra le sante più venerate della cattolicità:
Agrippina, Apollonia, Barbara, Caterina, Dorotea, Lucia, Maddalena,
Margherita, Marta, Orsola, ciascuna riconoscibile dai rispettivi attributi
iconografici. A queste figure di sante si aggiungono due figure
allegoriche ai lati del cappellone dell'altare maggiore (popolarmente
scambiate per Sant'Agata e Sant'Anastasia, ma più verosimilmente
allegorie delle virtù cristiane). Secondo un modello artistico piuttosto
diffuso nel Cattolicesimo, le dieci vergini inscenano un mistico corteo
che culmina nella figura della Vergine delle Vergini, Maria Santissima,
sull'altare maggiore. Nella volta che sovrasta l'altare maggiore si vede
la figura di Dio Padre benedicente con ai lati le immagini delle vergini
Agnese, Barbara, Cecilia e Margherita. Altre figure allegoriche, bibliche
o mitologiche sono presenti nei plinti. A completare l'insieme un soffitto
ligneo intarsiato a cassettoni del 1674 e una bella cantoria lignea
intagliata e dorata dove era collocato l'organo (ora trasferito nella
navata).
Nell'altare
maggiore, in parte rifatto nel XIX secolo, è collocata la statua della Madonna
della Catena; in passato vi era collocata una grande tela (oggi sostituita
da una copia) raffigurante la Madonna della Catena tra sante vergini del
XVIII sec., oggi al Museo San Nicolò per ragioni di sicurezza.
Per
antica tradizione, in chiesta chiesa ogni anno viene celebrata con
particolare devozione e solennità la Novena del Santo Natale. La sua
confraternita ha in carico anche l'organizzazione dei riti della Quaresima
e della Settimana Santa.
Chiesa
confraternale degli Angeli Custodi (o di San Michele Arcangelo).
Conosciuta dai militellesi semplicemente come l'Angelo, fu edificata nel
1639 per iniziativa di alcuni sacerdoti della città, zelanti nelle opere
di carità, nel sito dove già dal XIII secolo sorgeva una chiesa dedicata
a San Michele Arcangelo. A quest'ultima era annesso il vecchio ospedale
retto dalla Compagnia dei Bianchi (ospedale forse costruito in origine dai Cavalieri
Templari). Trasferito l'ospedale in altro luogo e cessata la cura
della chiesa da parte della Compagnia, nel 1657 divenne sede della nuova
Congregazione di Maria Santissima degli Agonizzanti, ancora oggi attiva,
che aveva lo scopo di offrire conforto ai moribondi e degna sepoltura agli
indigenti. Restaurato a seguito del terremoto del 1693, l'edificio
presenta pregevoli stucchi in stile rococò e uno splendido pavimento in
ceramica calatina del 1768 (nel 2000 alcune maioliche del pavimento sono
state rubate). La chiesa possiede anche due tele raffiguranti gli Arcangeli
Michele e Raffaele e un organo positivo dei primi del '700, ora
trasferiti in Santa Maria della Stella per ragioni di sicurezza.
Chiesa
confraternale di San Sebastiano
Menzionata
per la prima volta nel 1504, fu sede dell'omonima confraternita collegata
forse all'Ordine
di Malta (come si evincerebbe da un'insegna presente in
facciata). Nel 1572 divenne meta di devoti e pellegrini che acclamarono
San Sebastiano martire compatrono di Militello, per aver liberato dal
flagello della peste la città. Distrutta dal terremoto del 1693, fu
rifatta nel 1702 inglobando nella facciata il portale della chiesa
cinquecentesca.
Presenta
in tutto tre altari e all'altare maggiore conserva la statua di San
Sebastiano con fercolo ligneo, incorniciata da una magnifica
cappella di pietra ad intaglio in stile barocco del 1708. Altri arredi,
paramenti e sacre suppellettili, compreso l'argenteo reliquiario di San
Sebastiano, sono esposti presso il Tesoro di Santa Maria della Stella. Un
rilievo in pietra ancora oggi visibile all'interno della chiesa rimanda
alla leggenda dei Rosacroce.
Chiesa
confraternale delle Anime Sante del Purgatorio
Dedicata
ai Santi Vito e Gregorio
Magno, ma meglio conosciuta come il Purgatorio, fu costruita
nel 1613 in sostituzione della vecchia chiesa di San Vito, sita altrove e
ormai in rovina.
L'elegante
prospetto a intaglio del 1690 si deve al capomastro militellese Giacomo
Barone. Danneggiata parzialmente dal terremoto del 1693, fu immediatamente
riparata. Ad unica navata e con tre altari in tutto, è decorata
all'interno da pregevoli e fastosi stucchi policromi con figure
allegoriche e presenta un grandioso altare maggiore a gradoni in legno
dorato a zecchino, sormontato da un tronetto per l'esposizione
del Santissimo Sacramento.
Completava
l'altare una pregevole pala raffigurante la Messa di San Gregorio (1619)
di Alfio Marotta, recentemente rubata. In uno dei due altari laterali è
esposta la statua di San Vito Martire opera dello scultore
Domenico Barone del 1680. La chiesa possiede inoltre una bella cantoria
decorata a intaglio dove è collocato l'organo.
Chiesa
di Santa Maria dello Spasimo
In
origine solo una cappella rupestre situata nella parte alta della città
verso ponente, menzionata in un atto del 1517. In essa i vescovi di
Siracusa in visita pastorale a Militello indossavano gli abiti
pontificali, trovandosi essa lungo l'antico tracciato che collegava
Militello a Mineo, Vizzini e Caltagirone.
Venne
sostituita da una nuova chiesa in muratura nel 1568, posta a breve
distanza dall'antica.
Questa
non fu danneggiata dal sisma del 1693 e presenta oggi un bel portale a
intaglio (realizzato probabilmente dalle maestranze operanti in città, a
metà '700, al seguito di Francesco
Battaglia), graziosi stucchi settecenteschi e i venerati simulacri
della Addolorata e della Madonna dell'Aiuto.
Chiesa
ed ex monastero benedettino femminile di San Giovanni Battista (o la Badìa)
Di
fondazione medievale, il complesso monastico benedettino femminile di San
Giovanni Battista fu dotato intorno al 1470 dalla contessa Eleonora
Speciale, vedova del barone Blasco II Barresi di Militello, figlia
del viceré
di Sicilia Niccolò
Speciale e di Beatrice Landolina che qui si ritirò negli
ultimi anni della sua vita. Danneggiato dal terremoto del 1693 e
restaurato successivamente, conserva ancora alcune delle strutture
originarie, come un bel portale di stile rinascimentale.
Come
tutti gli altri monasteri di Sicilia subì gli effetti delle Leggi
eversive del 1866 che trasferirono la proprietà dell'edificio
allo Stato italiano. Successivamente il monastero fu venduto a privati che
ne ricavarono abitazioni, mentre la chiesa fu riscattata e ceduta di
proprietà alla Parrocchia di Santa Maria della Stella.
L'unica
navata è impreziosita da un bel pavimento settecentesco in maiolica
calatina a disegno seriale e presenta in tutto tre altari, oltre al coro
delle monache in cantoria. Nell'altare maggiore è conservata una
settecentesca statua di San Giovanni Battista, un tempo protetta da
una tela raffigurante il Battesimo di Gesù nel Giordano (ora in
Santa Maria della Stella).
Gli
altri due altari esibivano invece due belle tele di Alessandro
Comparetto raffiguranti rispettivamente la Natività di
San Giovanni (1631) e la Decollazione di San Giovanni (1634).
Per ragioni di sicurezza le tele, insieme ad altre sacre suppellettili
(tra cui una pisside del '400 e un paliotto in fili d'oro), sono oggi
custodite nel Tesoro di Santa Maria della Stella.
Chiesa
ed ex monastero benedettino femminile di Sant'Agata

La
chiesa e il primo reclusorio furono costruiti agli inizi del '500, grazie
alle offerte di devoti militellesi che desideravano erigere nella loro
città una chiesa dedicata alla martire catanese. Una "contrada di
Sant'Agata" è menzionata in un atto del notaio Matteo Mancarello di
Militello del 1514. Questa iniziativa, alcuni decenni dopo, fu ripresa dai
signori della città che dotarono il reclusorio adibendolo a collegio per
"povere zitelle".
Danneggiato
in parte dal terremoto del 1693, il monastero fu riparato e ampliato nel
1695 dal principe Carlo
Maria Carafa Branciforte, marchese di Militello, che vi insediò la
clausura delle monache benedettine.
La
facciata della chiesa fu invece rifatta nel tardo settecento a intaglio in
forme neoclassiche, rimanendo però incompleta.
Nel
1869, espulse le monache a seguito della soppressione degli ordini
religiosi da parte dello Stato italiano, il locali del monastero furono
venduti a privati che ne ricavarono abitazioni (alcune strutture
dell'antico monastero sono ancora visibili sul retro da un cortile di via
Clausura), la chiesa invece fu riscattata e trasferita di proprietà alla
matrice.
L'interno
ad aula, essenziale nelle decorazioni, custodisce la pregevole cappella
seicentesca dell'altare maggiore in pietra policroma di stile manierista
(simile alla cappella dell'altare maggiore della chiesa del Purgatorio e
alla cappella della Natività di Santa Maria la Vetere), questa fa da
cornice alla statua con fercolo della Madonna delle Grazie.
Sono
anche custodite al suo interno le seicentesche statue di Sant'Agata e
di San Benedetto. Sono poi ancora presenti la bella grata in cantoria
che chiudeva il coro delle monache e un settecentesco organo a canne della
bottega dei Platania di Acireale.
Chiesa
ed ex convento agostiniano di San Leonardo Abate
Dedicata
al santo eremita di Noblac, la chiesa fu costruita a metà del '500 come
sede di confraternita. Successivamente i Branciforte vollero affiancarle
un cenobio per trasferirvi i frati Agostiniani Riformati
della Congregazione Siciliana Centorbina che fino ad allora erano ospitati
in un piccolo convento fuori città (oggi detto il Conventazzu). I
lavori furono completati nel 1630 e l'anno successivo i frati vi si
trasferirono. Chiesa e convento non subirono i danni del terremoto del
1693.
Tuttavia
a seguito della soppressione degli enti ecclesiastici del 1866 la chiesa
andò in disuso (anche per via dell'abbassamento del livello stradale che
ne rese impraticabile l'accesso), mentre i locali del convento furono
adibiti a scuole pubbliche fino agli anni '50 del XX secolo. L'intero
complesso è oggi in rovina.
Della
chiesa si individuano appena gli stucchi seicenteschi e i resti
dell'altare maggiore all'interno. All'esterno, il frontalino della porta
d'ingresso presenta un fregio col monogramma di Cristo inscritto in un
sole a dodici raggi e un'epigrafe con la dedica al santo titolare datata
1638. Vi si conservava una bella statua seicentesca raffigurante San
Leonardo Abate, una raffinata Madonna di Trapani del '400 in
alabastro e numerose altre opere d'arte (tele, marmi e sacre
suppellettili) oggi esposte presso il Museo San Nicolò. Una statua in
cartapesta raffigurante Santa Monica (madre di sant'Agostino) fu
modificata a rappresentare la più popolare Santa Rita (religiosa
agostiniana) e collocata nella chiesa madre di San Nicola.
Chiesa
ed ex convento di San Domenico dei Frati
Predicatori

I
frati domenicani giunsero a Militello nel 1536, per volere dei Barresi, e
qui si insediarono presso la chiesa dell'Annunziata fuori città,
rimanendovi fino agli inizi del '600. Successivamente il principe
Francesco Branciforte, per agevolare il controllo sulla popolazione da
parte della Santa
Inquisizione, volle trasferire la sede dei domenicani in città, e
fece edificare loro la nuova chiesa e il nuovo convento che furono
inaugurati nel 1613.
Danneggiati
dal terremoto del 1693, furono entrambi presto rifatti. La chiesa che oggi
si vede, una delle più grandi di Militello, è caratterizzata da un'ampia
facciata classicheggiante, con timpano a guglie, e da un interno ad aula,
decorato da stucchi, con profondo presbiterio.
Custodiva
al suo interno sei cappelle di pietra a intaglio, tra le quali spiccava
quella della Madonna del Rosario con una tela di Mario
Minniti del 1620 (oggi dispersa). Sebbene il convento e la
chiesa subirono gli effetti della soppressione del 1866, quest'ultima
rimase in funzione ancora fino a metà '900, quando ormai pericolante fu
definitivamente spogliata di tutti gli arredi e abbandonata (alcune opere
superstiti sono in Santa Maria della Stella e in San Benedetto).
I
locali del convento ospitarono invece un asilo infantile (Asilo Laganà
Campisi), scuole e abitazioni private. Fortunatamente l'intero complesso
nei primi anni 2000 è stato recuperato e valorizzato. La chiesa è
adibita oggi ad Auditorium Comunale, l'ex convento ospita invece una
sala conferenze, la Biblioteca Comunale "Angelo Majorana", il
Museo Civico, l'Archivio Storico e la Pinacoteca Civica "Sebastiano
Guzzone".
Chiesa
ed ex convento di San Francesco d'Assisi dei Frati
Minori Conventuali (o dell'Immacolata)
Secondo
un'antica tradizione, suffragata da riscontri documentali, il convento fu
fondato nel 1235 da frate Paolo da Venezia, discepolo di San
Francesco d'Assisi, e rimase in funzione fino alla soppressione del
1866. Fu uno dei primi conventi francescani di Sicilia. Ricostruito più
volte a seguito di eventi calamitosi e dell'usura del tempo, di esso oggi
rimane la sola chiesa, in quanto l'intero edificio conventuale, ormai
fatisciente e pericolante, è stato demolito nel 1964. Dell'antico
convento, che si presentava essenziale nelle forme, si individuano solo il
vano della cisterna, alcuni peducci di raccordo del portico colonnato del
chiostro e un vano adibito oggi a sacrestia (area presbiteriale della
chiesa pre-terremoto del 1693). La chiesa invece esibisce un semplice
portale con finestra a intaglio nel prospetto e graziosi stucchi di gusto
neoclassico all'interno. In passato era impreziosita da diverse tele
d'autore (alcune di Filippo
Paladini) raffiguranti in prevalenza santi francescani, oggi
trasferite presso il Museo "San Nicolò" per ragioni di
sicurezza e miglior fruizione. L'8 dicembre di ogni anno vi si celebra la
festa dell'Immacolata Concezione di Maria, della quale si conserva una
pregevole statua lignea policroma realizzata nel 1693 dallo scultore
Camillo Confalone.
Chiesa
e convento di Santa Maria degli Angeli dei Frati
Cappuccini
Nel Capitolo provinciale
del 1574 venne designata la città di Militello quale luogo dove far
sorgere una nuova presenza conventuale; i lavori per l'edificazione del convento iniziarono
nel 1575. Costruito grazie alla munificenza dei Marchesi di Militello,
l'edificio sorse accanto alla preesistente chiesa dedicata
alla Madonna degli Infermi (o Santa Maria degli Infermi).
La
chiesa, crollata nel 1582, venne riedificata e ultimata nel 1612.
Il
disastroso sisma del
1693, che colpì il Val
di Noto, distrusse l'intero complesso, che venne presto
ripristinato; nel 1709 il convento era già stato ultimato, mentre la
chiesa venne completata e consacrata nel 1750, col nuovo titolo di Santa
Maria degli Angeli.
Espropriato,
nel 1866, a causa della soppressione
degli ordini religiosi, fu ricomprato dai frati nel 1881.
In
virtù della sua capienza, il convento, in più occasioni venne scelto per
la celebrazione dei capitoli provinciali e come luogo di formazione (noviziato e
studentato). A causa della penuria di vocazioni, è stato chiuso negli
anni '80.
Il
prospetto della chiesa è a capanna, con il frontone interrotto
da un campanile di piccole dimensioni. Il portale d’ingresso,
riprende il motivo delle lesene laterali,
con trabeazione intercalata
da triglifi e
al centro sormontata da una lapide.
Al
suo interno, la chiesa, si presenta a navata unica,
con sei altari minori, delineati da archi
a tutto sesto con chiave fregiata.
L'altare
maggiore possiede, nella parete frontale, un poderoso e
ricchissimo apparato ligneo, splendida opera dell'arte ebanistica
cappuccina del XVIII secolo.
Il
grande apparato ospita e fa da cornice alle sette tele del polittico,
al centro del quale possiamo apprezzare il pregiato dipinto raffigurante Santa
Maria degli Angeli e santi (1612), opera del pittore manierista Filippo
Paladini. Ai lati, due tele più piccole, con San
Michele Arcangelo, a sinistra e San
Raffaele o Angelo
Custode, a destra; in appendice i piccoli dipinti raffiguranti San
Pietro e San Paolo. In cima, al di sopra della tela centrale, il
consueto dipinto raffigurante Dio
Padre; tutte opere di autori ignoti del XVIII secolo.
Tra
le altre opere d'arte, degne di nota, che qui si conservano, ricordiamo:
il reliquiario ligneo,
del 1777, nascosto dietro la tela del Paladini, contenente 440 reliquie di
santi; le tele degli altari minori, raffiguranti la Madonna degli
Ammalati con San
Francesco e Sant'Antonio di Padova, opera del pittore Vincenzo
Provenzani (figlio del più noto Domenico),
la Madonna con Bambino e San
Felice da Cantalice, la Madonna con Bambino e santi (tutte
opere di autori ignoti); il crocifisso ligneo
con, ai lati, i dipinti dell'Addolorata e San
Giovanni.
Infine,
nel convento sono presenti alcuni affreschi attribuiti
al cappuccino Bernardo da Palermo e un'Annunciazione nell'ex refettorio.
Chiesa
ed ex convento di San Francesco di Paola all'Annunziata dei Frati
Minimi
Inizialmente intitolata a Maria SS. Annunziata, questa
chiesa fu voluta dal barone di Militello Antonio Piero Barresi intorno al
1480. Pochi decenni dopo, tra il 1503 e il 1515, fu notevolmente
ingrandita e le fu affiancato un cenobio dove si insediarono i frati
Domenicani. Nel 1613 i Domenicani si trasferirono presso il nuovo convento
fatto costruire per loro al centro della città, e al loro posto si
insediarono i Frati Minimi di San
Francesco di Paola. Questi ultimi vollero intitolare la chiesa
al loro fondatore e riedificare il cenobio rimanendovi fino al 1866, anno
in cui il complesso fu sequestrato dallo Stato italiano e passato di
proprietà al Comune di Militello, che a sua volta lo cedette alla
Congregazione della Carità per adibirlo a nosocomio.
La chiesa di inizio
'500, ad unica navata, presentava all'esterno un portico sostenuto da
colonne sotto il quale erano raffigurate in affresco la Gloria del
Paradiso e le Pene del Purgatorio; all'interno possedeva invece
tre cappelle in pietra bianca riccamente scolpite. Danneggiata dal
terremoto del 1693, fu riparata e decorata di semplici e graziosi intagli
nella facciata e di pregevoli stucchi tardo-barocchi all'interno, ancor
oggi visibili. Solo gli stucchi dell'altare maggiore, che fanno da cornice
alla statua di San Francesco di Paola, sono precedenti al terremoto.
Numerose opere d'arte, preziosi paramenti e sacre suppellettili si
conservavano in questa chiesa, anche per via del patronato esercitatovi
dai signori della città, in particolare: una bellissima tavola del 1552
del militellese Francesco Frazzetto raffigurante l'Annunciazione; una
tela con Sant'Isidoro Agricola del 1630 dell'artista militellese
Giovan Battista Baldanza jr.; un tronetto in legno dorato donato
nel 1718 dal principe di Butera e marchese di Militello Nicolò Placido
III Branciforte. Molte di queste opere d'arte sono oggi esposte presso il
Museo "San Nicolò". La chiesa, rimasta in funzione fino ai
primi anni 2000, versa oggi in stato di abbandono e necessita di urgente
restauro.
Torre
Normanna
Il
sito, sul fianco Nord della chiesa di Santa Maria la Vetere, suggerisce
l'originario legame fra i due edifici, rivelando la natura castrale del
luogo di culto in età normanna. Ormai soltanto un rudere, la torre
riflette la tipologia del dongione anglo-normanno (XI-XII sec.),
e la sua duplice funzione residenziale e difensiva.
Si
tratta di una costruzione quadrangolare di circa 10 metri per 9 metri di
lato, distribuita su più ordini di piani fino ad un'altezza ipotizzata di
circa 20 metri, parecchio somigliante nella planimetria e tipologia
realizzativa ai coevi edifici fortificati di Motta S. Anastasia, Milazzo
("Torre Saracena"), Scicli ("Castellaccio") e
Brucato.
Il
piano terreno è addossato al fianco roccioso della collina, e al suo
interno custodisce una interessante camera ipogea più antica,
probabilmente una tomba di età greca, come si evincerebbe da
un'iscrizione in greco arcaico presente in una parete; il primo piano,
invece, sostenuto da una volta a botte in conci di pietra, presenta
un'ampia finestra a Nord, con larga mensola.
Del
secondo piano sopravvive un brano del muro Est, e alcuni gradini della
scala a chiocciola di raccordo, ricavati all'interno del muro perimetrale.
Trascurata a seguito della costruzione più a monte del castello
Barresi-Branciforte (XIV-XVII sec.), la torre fu successivamente adibita
ad ossario della parrocchia di Santa Maria della Stella, circostanza che
ha oscurato del tutto, nella storiografia locale, il ricordo della sua
primitiva funzione militare, in relazione alle origini normanne di
Militello.
Castello
Barresi-Branciforte
Il Castello
Barresi-Branciforte fu costruito agli inizi del XIV secolo,
probabilmente su un preesistente fortilizio di età
sveva.
Nel
1303 diviene signore di Militello il barone Abbo
Barresi (o Abbone de Barresio, confermato nel feudo dal re Federico
III di Sicilia nel 1308) ed è a lui che viene
tradizionalmente attribuita la costruzione del castello.
A seguito
dell'aumento della popolazione e del numero di abitazioni del
"casale", nel 1337 il re Pietro
II di Sicilia concede a Giovanni
IV Barresi, succeduto al padre intorno al 1330, il privilegio di
circondare di mura l'abitato includendovi all'interno il castello. Fu con
la realizzazione di queste opere che Militello diventa una
"terra" del Regno, ossia un centro abitato "chiuso", e
quindi una città con capacità fiscale e militare proprie. Il castello
era addossato su un fianco al circuito delle mura e delimitato da un
fossato sul lato Ovest. Sebbene di dimensioni minori, ricordava
nell'impianto i castelli
Maniace di Siracusa e Ursino di Catania.
Presentava
una pianta quadrata di circa 33 m di lato con ampia corte interna, con
torri cilindriche merlate ai quattro vertici e, al centro del lato di
ponente, un grande mastio quadrangolare
adibito ad abitazione del signore. L'accesso principale al castello era
dal lato Ovest dove si trovava la grande porta d'ingresso attrezzata di
argani e saracinesca.
Fra
storia e leggenda sembrano dipanarsi gli avvenimenti successivi.
Nell'autunno del 1357 il castello di Militello ospitò una riunione del
parlamento
siciliano che, su iniziativa di Artale
Alagona, gran giustiziere del Regno e leader della parzialità
catalana che controllava Catania e il Val
di Noto, vi deliberò la lotta a oltranza ai i nemici del re Federico
IV di Sicilia.
Nel 1410,
al tempo della signoria del barone Antonio
Barresi, la regina Bianca
di Navarra, vedova del re Martino
I di Sicilia (casa d'Aragona), vi avrebbe trovato ospitalità
durante la sua fuga dal vecchio Bernardo
Cabrera, conte di Modica e capitano
di giustizia del Regno, che intendeva sposarla per
impadronirsi così di tutta la Sicilia.
Il
Barresi, che era stato esiliato pochi anni prima da re Martino per
ribellione, avendo appoggiato le ambizioni del Cabrera, volle in questo
modo offrire prova di rinnovata fedeltà alla casa
d'Aragona. Nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1473 il castello fu
invece teatro di un delitto passionale che vide come protagonisti il
barone di Militello Antonio
Piero Barresi e sua moglie, donna Aldonza
Santapau figlia del barone di Licodia.
Accusata falsamente di adulterio dai due cognati, la nobildonna venne
uccisa dal marito insieme al presunto amante, il segretario Pietro Caruso,
detto "bellopiede" per la destrezza nella danza. La fosca
vicenda ha alimentato nel corso dei secoli una ricca produzione letteraria
e di racconti popolari sui drammi della gelosia siciliana.
Durante
la signoria dei Barresi il maniero subì complessivamente diversi
interventi, soprattutto dopo il terremoto
del 1542 «che provocò il crollo della torre quadrata
chiamata "di donna Aldonza"», «arrecando danni anche alla
porta principale. Da quel momento l'ingresso al castello avvenne dal muro
di mezzogiorno». Artefice degli interventi post terremoto fu il
barone Carlo
Barresi che governò il feudo dal 1528 al 1557.
Il 24
ottobre 1564 il barone di Militello Vincenzo
Barresi, figlio di Carlo, fu insignito del titolo di marchese, ma
alla sua morte (16 agosto 1567) e, in seguito al matrimonio fra Caterina
Barresi (sorella ed erede di Vincenzo) e Fabrizio
Branciforte principe di Butera e conte di Mazzarino,
unico figlio di Giovanni Branciforte e di Dorotea
Barresi, nel 1571, città e fortezza passarono ai Branciforte,
uno dei casati più ricchi e importanti di tutta la Sicilia.
In questo
periodo i più significativi interventi sul castello si devono al marchese Francesco
Branciforte (1575-1622) e alla consorte donna Giovanna
d'Austria (figlia di Don
Giovanni d'Austria e nipote dell'imperatore Carlo
V d'Asburgo) che fra il 1602 e il 1622 (anno della morte improvvisa
del principe) vi tennero una splendida corte circondandosi di una folta
schiera di uomini di talento, fra i quali il poeta ed erudito Pietro
Carrera. Don Francesco smantellò il mastio per costruire una nuova
ala a Sud chiamata la "galleria", con funzione abitativa e
rappresentativa in linea con l'edilizia aristocratica del tempo, e la
trasformò in un luogo di cultura e di scienza. Vi fece infatti installare
una biblioteca di 10.000 volumi, una tipografia giunta appositamente da
Venezia (collocata poi nel vicino palazzo "dei Leoni"), una
ricca armeria con una prestigiosa collezione di armature, una distilleria
e una cavallerizza (le scuderie); vi istituì due compagnie teatrali, e
nel 1607 vi portò l'acqua potabile, come testimonia la Fontana della
Ninfa Zizza, decorata dallo scultore Giandomenico
Gagini junior al centro della nuova corte Sud.
La
"galleria" terminava in un ampio balcone (ancora esistente)
sorretto da grandi mensole a intaglio dal quale si godeva (e si gode) una
superba vista dell'agro militellese e dei monti
Iblei fino a Buccheri e monte
Lauro. Il Branciforte fece anche realizzare un artistico portale a
decoro dell'ingresso principale del castello a mezzogiorno, non molto
dissimile da quello realizzato nello stesso periodo per l'abbazia
benedettina da lui fondata a Militello. In cima al portale era collocata
una lapide (oggi dispersa) che recitava: D.O.M. Philippus III
Hispaniarum et Siciliae Rex, Don Francisco Brancifortio et Joanna
Austriaca principibus Petrapertiae et Militelli marchionibus Porta haec
Oppidi vetustissima restituta et Bibliotheca vero erecta - MDCXVII.
Nella
seconda metà del Seicento, Giuseppe
Branciforte marchese di Militello, principe di Butera e conte
di Mazzarino, abitò il castello e lo abbellì ulteriormente con
magnifiche stanze, gallerie e fontane. Il suo segretario e uomo di lettere
Filippo Caruso ebbe a scrivere: "non è in Sicilia palazzo signorile
più comodo e più bello". Dopo la morte del principe Giuseppe
(1675), sebbene i Branciforte abbiano mantenuto il feudo di Militello fino
all'abolizione della feudalità (1812), nessun marchese abitò più il
palazzo, preferendo la capitale Palermo ai loro feudi sparsi nell'isola.
Gravemente
danneggiato dal catastrofico terremoto
del 1693, negli anni del governo del marchese Carlo
Maria Carafa Branciforte, il castello fu solo in parte riparato.
Nel corso del '700 è solo di rado utilizzato dai signori in occasione di
qualche visita. A inizio '900 l'edificio, ormai abbandonato, è stato
diviso e venduto a privati che ne hanno ricavato abitazioni, alterandone
l'insieme con superfetazioni o smantellamenti. Dell'imponente costruzione
oggi rimangono soltanto: la porta d'ingresso alla corte Sud (detta Porta
della Terra, con riferimento al quartiere Terra Vecchia di cui il castello
faceva parte), la fontana della Ninfa Zizza, due torri cilindriche con le
sale adiacenti, i grandi vani del trappeto per la molitura delle
olive, l'estremità Sud della "galleria" dove era collocata la
biblioteca e qualche brano murario della cortina Nord. A Sud del castello,
in asse con la Porta della Terra, sopravvive una delle porte secondarie
delle mura medievali della città, la Porta del "Bastione".
Fontana
della Ninfa Zizza
Venne
edificata nel 1607 nella corte Sud del castello per celebrare la
realizzazione del primo acquedotto di Militello, voluto dal principe
Francesco Branciforte. Di forme manieriste con vasca ottagonale, in essa
si ammirava il pregevole bassorilievo in marmo raffigurante la Ninfa
Zizza di Giandomenico
Gagini. Il bassorilievo originario, al fine della sua maggiore
tutela, è stato sostituito da una copia in gesso.
Palazzi
Palazzo
Baldanza (ex Caruso della Sanzà e di Rossitto).
È situato in via G.B. Baldanza. Fu costruito nel XVIII secolo e occupa un
intero isolato. Presenta sei balconi con ricche mensole a mascheroni e
festoni nelle lesene. È arricchito da un giardino lussureggiante oggi
cinto da un muro. Appartenne alla nobile famiglia Caruso, il cui ramo
principale si estinse alla fine del XVIII sec., con il barone don Antonino
Caruso morto senza figli; mentre il ramo secondario nei primi anni del XIX
sec., con donna Marianna Caruso-Scuderi, sposata con Antonino Malgioglio e
Cardaci di Ramacca.
Palazzo
Baldanza-Denaro (ex Campisi). Situato nell'odierna piazza San Benedetto (o piazza Municipio), fu
costruito a inizio XVII secolo. È attualmente sede dell'Associazione
Turistica "Pro Loco". Anch'esso presenta balconi decorati da
ricchi intagli barocchi nelle mensole e nelle lesene. Appartenne
alla signora Denaro, vedova Basso La Bianca.
Palazzo
Niceforo.
Si trova in via Baldanza. Costruito nel XVIII secolo, presenta un
ricchissimo portale a telamoni. È uno degli esempi più belli
dell'edilizia aristocratica del post-terremoto.

Palazzo
Iatrini. Situato in largo Iatrini, è una splendida dimora gentilizia
del 1717. All'esterno offre un magnifico balcone sorretto da ricche
mensole a intaglio con maschere. All'interno presenta numerosi ambienti,
comprendenti anche una corte con cisterna e un giardino. Appartenne
all'antica famiglia militellese degli Iatrini che vide in molti suoi
esponenti illustri giuristi e religiosi, come mons. Alfio Iatrini priore
del capitolo della cattedrale di Catania e mons. Francesco Iatrini prelato
di Sua Santità e vicario foraneo. L'ultima esponente della famiglia, nel
1995, donò l'intero stabile alla parrocchia S. Maria della Stella.
Palazzo
Iatrini (ex Costantino, ex Reforgiato di Linziti).
È situato in via Porta della Terra, all'angolo con via Baldanza. La sua
costruzione fu completata nel 1771, e presenta sei balconi con cornici e
mensole tardo-barocche. Voluto dal barone Reforgiato di Linziti, passò in
seguito ai Costantino per poi pervenire agli Iatrini. Venne adibito fino
agli anni 60 del XX sec. a sede della Agenzia delle Imposte e
successivamente a casa religiosa. Oggi è di proprietà della parrocchia
S. Maria della Stella.
Palazzo
Liggieri (ex Reforgiato).
Si tratta di un grande edificio che chiude per un intero lato piazza
Vittorio Emanuele II. Oltre che per le dimensioni, questo edificio del
XVIII secolo si caratterizza per i notevoli intagli barocchi dei balconi e
del grande portale bugnato sormontato dallo stemma gentilizio.
Palazzo
Majorana della Nicchiara (XVI-XVIII sec.). Sullo sfondo l'ex Convento
di San Domenico.Palazzo Majorana della Nicchiara (o "dei
Leoni"). Si trova in via Porta della Terra dirimpetto la piazza
di Santa Maria della Stella. Rara testimonianza dell'edilizia civile di
epoca cinquecentesca, l'enorme edificio fu voluto dai Barresi come sede
della corte giuratoria e della corte capitanale (i due principali organi
di amministrazione della città). Sebbene rimaneggiato in epoche
successive, e trasferito più volte di proprietà (tra cui i
Majorana-Cocuzzella baroni della Nicchiara), presenta gli originali
cantonali a bugnato, arricchiti da severi leoni in pietra di età
medievale recuperati da edifici più antichi.

Palazzo
Oliva (ex Tinnirello, ex Interlandi di Bellaprima).
Situato in via Porta della Terra, risale ai secoli XVII-XVIIII. Presenta
un'elegante finestra ad intaglio, di stile manierista, sul cui timpano è
collocato uno stemma araldico in marmo. Appartenuto dapprima alla famiglia
calatina degli Interlandi principi di Bellaprima (vi abitò il parroco di
San Nicola don Lorenzo Interlandi), nella prima metà del '700 passò
all'illustre famiglia militellese dei Tinnirello che vi abitò fino al
1921, ospitandovi al piano terra l'omonima farmacia, e infine alla
famiglia Oliva.
Palazzo
Guttadauro di Reburdone.
Situato in via Reburdone, importante arteria del tessuto urbano
cinquecentesco, questo edificio di severo stile manierista sopravvisse in
parte al terremoto del 1693. Appartenne dapprima ai Ciccaglia e quindi ai
baroni Guttadauro di Reburdone (originari di Vizzini) a seguito del
matrimonio tra donna Pietra Antonia Ciccaglia e don Gaetano Guttadauro
(1678). I Guttadauro si trasferirono successivamente a Catania dove
assursero alla dignità di principi.
Palazzo
Rejna dell'Aere del Conte. Situato in via Pietro Carrera, questo grande palazzo dalle forme severe,
con spunti neoclassici, risale alla fine del XVIII secolo.
Palazzo
Sciannaca.
Si staglia fra piazza Sant'Agata e via Pietro Carrera, sulla quale si
esibisce l'affaccio principale. Fu costruito nel XIX secolo in forme
classiche, nello stesso luogo dove sorgeva l'antico palazzo d'estate dei
Barresi. Nel 1936 vi nasce Pippo Baudo.
Palazzo
Tineo.
È situato in via San Sebastiano. Elegante palazzetto ricco di intagli
barocchi, risale al XVII secolo.
Casa
Guzzone.
Situata in via Guzzone, fu residenza del noto pittore militellese
Sebastiano Guzzone e Sangiorgi (1856-1890), e dello zio don Rosario
Guzzone, che molto si adoperò per il ripristino dei diritti parrocchiali
di S. Maria della Stella. Oggi è abitata dagli eredi di Sebastiano
Guzzone.
Cascate
dell'Oxena

Il
fiume Oxena scorre sugli Iblei nordorientali ed il suo nome ricorda
l’antichissima storia di queste terre, ovvero l’insediamento di
Essena: un antico centro abitato i cui ruderi sono situati lungo il corso
del fiume, più a valle. Il corso d’acqua ha scavato una sinuosa gola
(localmente chiamata ‘cava’) oggi colonizzata da una lussureggiante
vegetazione.
Mentre
le pareti della cava sono caratterizzate da depositi sedimentari recenti,
il letto del fiume è costituito dai prodotti di antichissimi centri
vulcanici, ben precedenti all’Etna e risalenti ad almeno due milioni di
anni fa. In prossimità di una stretta ansa, a breve distanza
dall’abitato di Militello in Val di Catania, il fiume incontra un grosso
blocco di lava, che viene superato con alcuni spettacolari salti.
Si
formano così le cascate dell’Oxena, una piccola meraviglia
paesaggistica, arricchita dalla presenza di alcune piscine naturali che
consentono un bel bagno ristoratore.
Le
cascate rappresentano un punto di partenza per brevi ma bellissime
escursioni nella valle omonima; basta percorrere il greto del fiume per
ammirare ambienti naturali ancora del tutto incontaminati e arricchiti da
una preziosa vegetazione ripariale. Olmi, frassini, salici, oleandri,
fichi d’india e olivastri accompagnano l’escursionista per chilometri,
spesso creando spettacolari gallerie vegetali, mentre la
presenza dei granchi di fiume e di altre specie acquatiche suggerisce un
elevato grado di purezza delle acque.
Risalendo
l’asta fluviale sarà facile trovare inoltre numerose pozze e piscine
naturali dove poter sostare e fare un bagno. Un paesaggio che ricorda
vagamente quello delle piccole gole dell’Alcantara, vista anche la
presenza di splendidi basalti colonnari ben più antichi di quelli etnei.
Gran
parte del Plateau Ibleo è testimonianza di un’intermittente attività
vulcanica che dal Triassico si è spinta fino a qualche milione di anni
fa. In particolare, l’attività vulcanica più recente (pleistocenica)
è stata caratterizzata dall’emissione di voluminose colate di lava messe
in posto in ambienti di mare poco profondo o in condizioni subaeree. Il
vulcanismo sembra poi essere migrato verso l’area etnea, e dunque verso
nord, come testimoniato dal rinvenimento di unità vulcaniche più giovani
nel sottosuolo della Piana di Catania, e dalla maestosa presenza del
giovane grande vulcano siciliano.
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