Il
paese sorge alle pendici dell'Etna,
a sud del Vulcano attivo più alto d'Europa,
tra vari coni piroclastici,
i più importanti dei quali sono i Monti
Rossi e la collina di Mompileri.
Il territorio comunale si estende fino alla sommità dell'edificio
vulcanico. Ospita la sede del Parco
dell'Etna.
Per
la sua strategica e baricentrica posizione tra il mare ed il vulcano,
Nicolosi rappresenta storicamente la "Porta dell'Etna" e
così viene spesso anche identificato.
Deve
probabilmente il suo nome al monastero
benedettino di San Nicolò, situato nel suo territorio fin dal 1359.
Il
luogo scelto fu quello dove era già esistente dal XII secolo un ospizio (hospitalem)
per i monaci infermi, che aveva ospitato NEL 1341 la
regina Eleonora
d'Angiò che ivi spirò il 9 agosto di quell'anno.
Per
tutto il periodo che precedette la conquista normanna (1061-1091),
il territorio su cui in seguito sarebbe sorto il paese, era occupato da
boschi. Ruggero
I, conquistata la Sicilia dopo averne tolto il dominio agli Arabi,
divise il territorio in feudi,
che affidò in custodia sia ai soldati, che lo avevano sostenuto
nell'impresa, sia alla Chiesa ed
in modo particolare all'Ordine
dei Benedettini. In questo modo egli ed i suoi successori poterono
sfruttare con l'agricoltura il territorio e, nello stesso tempo, poterono
controllare l'economia di tutta l'isola.
Nel 1092 la
città di Catania ed
i territori etnei furono affidati all'abate bretone Angerio
da Sant'Eufemia. La parte del territorio etneo, su cui doveva in
seguito sorgere e svilupparsi Nicolosi, fu affidata (non se ne conosce la
data esatta) alla custodia e alla baronia di un certo Letho. Le pendici
dell'Etna cominciarono a popolarsi di tanti monasteri, come quello di Santa
Maria la Scala, di Santa Maria di Novaluce, di San
Leone di Pannacchio, di Santa
Maria di Licodia e di Santa
Maria di Maniace.
Il
monastero di San Leone fu il primo, fra questi, ad essere costruito nel 1136
per volontà di Enrico
del Vasto, conte
di Policastro e principe di Paternò.
Egli aveva sposato la figlia di Ruggero I, Flandina
d'Altavilla, che gli portò in dote il feudo di Paternò. Nel 1156,
mentre era re di Sicilia Guglielmo
il Malo (1154-1166), il figlio del conte Enrico, Simone
di Policastro, stabilì che il territorio affidato alla baronia del
Lheto, passasse sotto la custodia del monastero di San Leone. Nel 1205 il
monastero venne unito a quello di Santa Maria di Licodia, il quale, anche se
era stato costruito nel 1143, era diventato sede abbaziale.
Questa
situazione rimase tale fino al 25 luglio del 1359,
quando - siamo ormai sotto la dominazione spagnola - Marziale, vescovo di
Catania, con un documento denominato "Privilegio di Marziale"
stabilì ciò che era stata volontà di Federico
II d'Aragona e cioè che, presso la sede dell'Hospitalem di
San Nicolò, si costruisse un vero e proprio monastero, dipendente
anch'esso, come quello di San Leone, da Santa Maria di Licodia.
Benché
già prima di tale data attorno all'ospizio si fossero insediate famiglie di
pastori e di contadini, esse non costituivano ancora un vero casale. Dopo la
sua costruzione, il monastero divenne a poco a poco prospero, ricco e
importante così da superare quello da cui dipendeva e da diventare esso
stesso sede abbaziale. Con questa trasformazione si rese necessaria una
concentrazione stabile di personale. Le prime case si svilupparono quindi
attorno al monastero: il borgo si divideva in tre quartieri; il meridionale
denominato la Guardia, il settentrionale o del Piano e il centrale o della
Chiesa.
Grazie
al prestigio dei monaci benedettini, nonostante le frequenti traversie
legate alla vicinanza del vulcano che frequentemente minacciava e devastava
il paese con eruzioni e terremoti, sono documentate visite di personaggi
illustri come la regina Eleonora (1358-1382)
moglie di Federico
II di Aragona ed in seguito della regina Bianca
di Navarra che nel monastero lungamente soggiornò. Pare che
proprio la presenza a Nicolosi della regina Bianca, nel frattempo diventata
reggente vicaria del Regno
di Sicilia, contribuì a tenere la popolazione unita nel corso della
distruttiva eruzione
del 1408.
Nel
1447 il borgo di Nicolosi fu infeudato dal principe di Paternò che lo
amministrava per mezzo dei suoi procuratori residenti a Malpasso.
Più tardi gli abitanti ottennero dal principe di avere un'amministrazione
propria, pur restando dipendenti da Malpasso per gli affari di giustizia ed
altro.
Nel marzo
1536 scoppiò una violenta eruzione
vulcanica che distrusse parte delle campagne di Nicolosi e di Mompilieri.
La lava seppellì
il monastero di San Leone e le fertilissime terre vicine. Del monastero oggi
non è rimasto altro che il ricordo del nome, tramandatosi nel tempo, e che
fa chiamare quelle contrade terre di Santu Liu.
Anche
il monastero di San Nicolò fu danneggiato. La lava toccò la cisterna a
quattro bocche, che serviva nei periodi di siccità e parte del caseggiato.
I monaci per ricordare l'evento affissero una lapide, sulla quale si legge: Ai
20 di marzo exit lo foco di la Muntagna. Appena un anno dopo, l'11 maggio
del 1537, vi fu un'altra disastrosa eruzione. Le eruzioni del 1536 e del
1537 ed il successivo terremoto del 1542, oltre che continui attacchi di
briganti, spinsero i monaci di San Nicolò ad abbandonare il monastero.
Nel
1558 ottennero dai loro superiori di Montecassino il
permesso di costruire un loro monastero a Catania e quello di Nicolosi fu
abbandonato.
Nel
1601 Nicolosi ottenne comunque la dignità sacramentale e quindi l'autonomia
nella sfera spirituale da Mompilieri. Gli abitanti nel frattempo avevano
ricostruito l'abitato in una zona più bassa, dove fu anche edificata la
prima chiesa madre dedicata all'Immacolata,
che fu successivamente sepolta dalle sabbie eruttive dell'eruzione
dell'Etna del 1669 ed oggi si trova sotto gli edifici
all'incrocio tra via Martiri d'Ungheria e via Catania.
L'eruzione,
una delle più disastrose che le genti dell'Etna ricordino, ebbe inizio l'8
marzo con terremoti continui, prima lievi poi via via sempre più forti. La
zona sismica interessava il territorio di Nicolosi, Pedara, Trecastagni, Malpasso.
I nicolositi preferirono rimanere all'aperto nella zona chiamata
"Falliche" ad ovest del paese. Entro la giornata del 13 marzo era
già stata distrutta Mompilieri e raggiunto il territorio di Mascalucia
mentre sulla fenditura i piroclasti,
anche di grandi dimensioni, avevano costruito l'impalcatura dei coni gemelli
detti dagli abitanti "Monti della ruina" e in seguito
chiamati Monti
Rossi. L'eruzione cessò l'11 luglio 1669 dopo avere di fatto
cancellato il paese; a nord ovest dei Monti Rossi si formò la Grotta
delle Palombe, scoperta da Mario
Gemmellaro nel 1823.
Poiché
la popolazione locale rifiutava strenuamente il trasferimento nel nuovo
centro di Fenicia
Moncada assieme agli abitanti della vicina Malpasso, oggi
Belpasso, la caparbietà dei nicolositi fu premiata con l'ottenimento dal
principe di Campofranco (vicario del re spagnolo) del permesso di
ricostruire il paese sul sito originario intorno al 1670-1680 e
nel 1676 veniva accordata l'autonomia amministrativa mentre nel 1681, con
844 abitanti, Nicolosi poteva finalmente costituirsi in comunità autonoma.
Fu quindi rapidamente sistemata, con licenza del vescovo Bonadies, la
Chiesetta della Madonna delle Grazie, l'unica a non aver subito danni, e qui
furono portati, il 18 agosto 1671 i
Sacramenti della chiesa matrice (sotto il titolo dello Spirito Santo) della
quale erano rimasti in piedi pochi muri.
Sia
la chiesa madre che quella delle Anime del Purgatorio furono ricostruite
nello stesso luogo e con parte del materiale precedente, mentre alla prima
metà del '700 risale la costruzione della Chiesa di S. Maria delle Grazie,
di quella della Madonna del Carmelo nonché di quella di San Giuseppe. Solo
nel XIX
secolo vennero edificate le chiese di S. Francesco di Paola, e
la cappella dei ss. Cosma e Damiano. Si costruisce anche un collegio
femminile ("collegio pel bel sesso, sotto il titolo di S.M. della
Grazia").
L'Etna
intanto il 26 aprile 1766 con
un'altra eruzione, responsabile della formazione dell'apparato eruttivo dei Monti
Calcarazzi, minacciò da vicino il paese, con danni ingenti al
patrimonio boschivo. Cessato il pericolo, gli abitanti eressero i Tre
altarelli. Sotto le tre arcate erano dipinte le immagini della Madonna delle
Grazie, di S. Antonio di Padova e di S. Antonio Abate protettori del paese.
Nel
1812 il Regno
di Napoli dichiarò decaduto il regime feudale. Iniziava un
secolo di grandi innovazioni anche per Nicolosi.
Mario
Gemmellaro, uno dei figli più illustri della piccola comunità,
promosse ad inizio secolo una serie di opere pubbliche (nuove vie campestri,
piazze, cisterne e l'installazione di un sistema di parafulmini sulle cime
montuose che circondano la cittadina) e l'istruzione, introducendo nel 1821
le scuole lancasteriane prima
che fossero istituite a Catania.
Con la costruzione ad oltre 2.900 m di quota sull'Etna della "Casa
degli Inglesi" (o di Gemmellaro) apriva e tracciava la strada per le
future osservazioni sistematiche dell'Etna.
Il
taglio dell'asse dell'odierna Via Etnea determinò negli anni trenta del
secolo una rotazione nello sviluppo del paese e costituì una fondamentale
svolta sia dal punto di vista urbanistico che economico. La via,
ardentemente voluta da don
Alvaro Paternò Castello, principe di Manganelli, Intendente della
Val di Catania, fu dallo stesso progettata ed articolata in cinque tratti:
il primo portava dal quartiere della Barriera
del Bosco di Catania fino a Gravina
di Catania il secondo da Gravina a Mascalucia,
il terzo da Mascalucia a S. Rocco, il quarto da S. Rocco a Massannunziata ed
il quinto da Massannunziata a Nicolosi. Speranza del principe di Manganelli
era quella di prolungare la via ben oltre Nicolosi, fino all'Etna e
precisamente alla Grotta del Monte Colombaro o Grotta degli Inglesi, con
lungimirante volontà di dare un vigoroso impulso dal punto di vista
turistico.
Una
lapide commemorativa, ancora oggi affissa su uno dei due obelischi posti
alla partenza della strada presso Barriera del Bosco, ricorda i lavori di
realizzazione nel 1835.
Una lapide simile doveva essere apposta su un monumento piramidale che
segnasse la fine della strada stessa, all'ingresso del villaggio di Nicolosi
presso il cimitero, ma a causa di problemi strutturali non risolti, furti e
per gli alti costi, questo non fu mai realizzato ed oggi resta solo un
cumulo di pietra lavica e la lapide quasi illeggibile per l'incuria.
Nonostante
l'Etna terrorizzasse gli abitanti di tanto in tanto con scosse di terremoto
più o meno lievi, dopo l'eruzione del 1766 poche altre eruzioni avevano
minacciato molto da vicino il paese ed anche questo aveva contribuito ad un
generale miglioramento economico.
Quando,
il 17 marzo 1861 Nicolosi
divenne comune del Regno
d'Italia poteva finalmente definirsi "grosso
villaggio". Sicuramente vi erano due alberghi, come riferisce J.J.E.
Reclus in La Sicilia e l'eruzione dell'Etna nel 1865,
divenuti in seguito tre ed apprezzati per la pulizia e per le comodità che
vi si trovavano.

Nel 1886 il
paese venne nuovamente minacciato da una colata lavica. Fu ordinato anche lo
sgombero del paese, ma il braccio di lava si fermò a soli 100 m dalle
prime costruzioni, e il 13 giugno (giorno del S. Patrono del paese, S.
Antonio di Padova e della Pentecoste) gli abitanti ritornarono alle loro
case. L'anno dopo venne restaurata la chiesa madre, distrutta dai terremoti.
Come ringraziamento venne costruita la Cappella di Sant'Agata che
ricorda il luogo in cui il beato cardinale G.
B. Dusmet il 24 maggio aveva portato in processione il velo
della patrona di
Catania esortandola a salvare il paese e, benché la colata fosse in un
tratto in discesa, il magma lavico
si era arrestato immediatamente. Tra i testimoni dell'evento, il poeta
catanese Giovanni
Verga che poco dopo diede alle stampe la novella "L'agonia
di un villaggio", ambientata proprio a Nicolosi durante l'eruzione.
Negli
anni trenta del Novecento il paese ricevette un importante slancio turistico
con l'inaugurazione della Via Ferdinandea che ne fa di fatto la Porta
dell'Etna.
Agli
anni cinquanta risale l'opera forse più importante: arrivava l'acqua
potabile direttamente nelle case.
Gli
ultimi decenni hanno visto una radicale trasformazione del paese che a poco
a poco ha cambiato fisionomia; a ciò ha contribuito la realizzazione di
opere nuove: l'operazione di sostituzione edilizia dei vecchi con nuovi
fabbricati ed il processo di riempimento degli spazi non ancora edificati.
Dall'immediato
dopoguerra, inoltre, i pendii sud-orientali dell'Etna sono diventati meta di
villeggiatura estiva della popolazione catanese, che vi ha costruito le
seconde case dalle linee architettoniche moderne e dai colori vivaci che mal
si inseriscono nel paesaggio naturale ed agrario della montagna.
Durante
i 131 giorni dell'eruzione
dell'Etna del 1983 la stazione turistica di Nicolosi a quota
1910 m sul vulcano, venne pesantemente danneggiata dalle colate che con
varie sovrapposizioni distrussero la funivia dell'Etna, impianti sportivi,
vari ristoranti ed attività commerciali oltre che lunghi tratti della S.P.
92 per l'Etna nel
tratto tra il paese ed il Rifugio
Sapienza. Il centro stesso fu minacciato dal fronte lavico arrivato
sotto quota 1100 m tra Monte San Leo e Monte Rinazzi. Nota anche per il
primo tentativo al mondo di deviazione per mezzo di esplosivo della
colata, questa produsse circa 100 milioni di metri cubi di materiale lavico.
Lo
stretto legame tra il paese ed il vulcano che lo domina spiega il motto che
troviamo contornato da ramoscelli di ginestra, il primo fiore della lava,
sullo stemma ed il gonfalone municipale comunale: "SUBRIDENS OCELLUS
CIVITAS FERVIDO MONTIS IGNE FACTA" (cittadina resa dal fervido fuoco
del monte una gemma splendente).
Monastero
di San Nicolò l'Arena

L'antico
Monastero di San Nicola l'Arena, a pochi chilometri dal paese, fu edificato
come ricovero per monaci infermi dei vicini monasteri di Santa Maria di
Licodia e Monastero di San Leone del colle Pannacchio nei pressi di Malpasso,
accanto ad una antichissima cappella rupestre anteriore alla fondazione del
Monastero e che sorgeva in quel luogo per una spontanea formazione arenosa.
In seguito alla nascita di alcuni cenobi vicini, l'allora Vescovo di
Catania, Marziale, ordinò la costruzione del Monastero presso l'antico
ospizio. Fu Federico II d'Aragona a volerne la costruzione in un posto
"tanto bello e salubre".
Il
Monastero divenne sede principale dei cenobi e prese il nome di San Nicolò
la Rena per la devozione dei monaci al Santo e per la caratteristica terra
sabbiosa (rena) che ricopriva la zona.
Il
predominio del Monastero nicolosita sugli altri del territorio è databile
intorno al 1359. Attorno al Monastero di sviluppò, probabilmente durante il
XIV secolo, il borgo di Nicolosi. La comunità benedettina attirò una
concentrazione stabile di persone impegnate in attività agricole e pastorali,
i quali costruirono le loro case vicino al monastero, dando vita ad un vero
e proprio borgo rurale che prese il nome di Nicolosi. L'ingresso
dell'edificio era costituito da un piccolo portico, in parte ora distrutto,
sulle cui pareti si potevano ammirare bellissimi affreschi. Un lungo
sentiero, una volta fiancheggiato da mura merlate, portava al recinto del
monastero al quale si accedeva attraverso un nobile arco barocco di pietra
bianca, sulla cui chiave era scolpito lo stemma dell'edificio: tre pale
sormontate da una stella caudata.
Sul portone
d'ingresso principale campeggiava lo stemma dell'ordine benedettino, un
libro con il motto "ORA ET LABORA".
Sopra
si apriva il balcone a terrazza sul quale si affacciava l'appartamento
dell'abate ed il lato meridionale del cortile era occupato, in parte, dal
muro difensivo, oggi ricoperto di edera. A lato una cisterna a quattro
bocche indispensabile nei periodi si siccità.
Quando
il Monastero divenne Abbazia, qui si creò un austero centro di vita
monastica in cui soggiornavano anche ospiti illustri appartenenti ai nobili
casali dell'epoca quali la stessa regina Eleonora d'Angiò e viaggiatori
desiderosi di avventurarsi nell'ascesa al cratere. Tra questi il poeta e critico
inglese Samuel Taylor Coleridge, il biologo e naturalista emiliano, Lazzaro
Spallanzani, il viaggiatore inglese Thomas Watkins, il romanziere e
drammaturgo francese Alexandre Dumas nonchè il Re d'Italia e principe di
Piemonte Umberto di Savoia che, all'alba del 2 luglio 1862, compì
l'ascensione al vulcano insieme ai fratelli Amedeo Duca d'Aosta e Oddone
duca di Monferrato.
Colpiti
ed impauriti dal susseguirsi di eventi vulcanici del 1536-1537 e dai
pericoli derivanti dalle incursioni predatorie di numerose bande di briganti
i monaci nel 1545 chiesero il trasferimento a Catania dove fondarono in
breve tempo il nuovo monastero di San Nicolò l'Arena. Da quel momento il
monastero si avviò verso una progressiva decadenza, mentre lo sviluppo di
Nicolosi continuò, nonostante il susseguirsi delle calamità naturali.
Il
suo definitivo degrado avvenne con la soppressione degli ordini
religiosi, quando passò al Pubblico Demanio dello Stato per essere venduto
ai privati. Fino a qualche anno fa restavano i ruderi, carichi di memorie
del passato. Dal marzo del 2005 l'antico monastero etneo ristrutturato
ospita la sede dell'Ente Parco dell'Etna.
Dal
Monastero dei Benedettini di San Martino alle Scale (Palermo), come era
nella mente e nel cuore dei Nicolositi, è nato il risveglio.
Da
qui è giunto il piccolo gruppo dei Benedettini che, pur con diversa
ubicazione del nuovo Monastero hanno fatto in modo che il 25 settembre 1994
fosse posta la prima pietra e, a due anni di distanza, il Monastero è stato
edificato, in estrema semplicità.
L'inaugurazione
è avvenuta il 25 settembre 1996 ed i Monaci Benedettini che vi vivono hanno
riportato un clima di religiosità nuovo e profondo come il loro motto: ORA
ET LABORA.
Chiesa
Madre

Intitolata
allo Spirito Santo, in stile barocco, presenta una
navata unica e pianta a doppia croce latina, e tipica facciata rettangolare
dalle spigolature in pietra lavica.
Costruita su progetto
del Vaccarini nella prima metà del '700
dopo gli eventi catastrofici del 1669 ed i successivi del 1693 che avevano
praticamente distrutto la precedente costruzione che sorgeva tangente
all'antica via di comunicazione con Belpasso e Pedara,
incuneandosi nella grande curva che la strada doveva allora formare,
custodisce all'interno pregevoli opere d'arte, tra cui un magnifico
crocifisso ligneo del XVI secolo ed un coro ligneo del XVII sec. sormontato
dai bassorilievi in gesso, opere di V. Torre, raffiguranti l' Ultima Cena.
Sicuramente la chiesa doveva avere un aspetto simile alle
altre "chiese nere" del
territorio etneo, così definite per l'uso notevole della pietra lavica
nelle decorazioni e nei cornicioni ma poi il prospetto cambiò alla fine
dell'800 secondo il gusto della moda ottocentesca in arenaria bianca.
Il
campanile, invece, non ha subito modifiche rispetto al 1721 probabile data di
costruzione. Si osserva che il campanile non
costituisce parte integrante del prospetto ma si erge accanto in piena
autonomia architettonica: presenta un doppio basamento in pietra lavica ed
è attorniato a diverse altezze da tre cornicioni che segnano lo spazio
rispettivamente dell'orologio, delle campane e della guglia.
All'inizio
della Quaresima,
nella chiesa madre l'altare viene nascosto da una Tela che viene fatta
cadere il giorno della S. Pasqua.
La Tela databile al 1846 è stata cucita
dalle “Pie Donne” di Nicolosi, è in lino ed ha una altezza di oltre
venti metri nonché una larghezza di circa otto. È stata dipinta da
Giuseppe De Stefani e rappresenta la Deposizione dalla Croce con colori dal
turchese al blu oltremare.
Chiesa
S. Maria delle Grazie
Sin dal XVI sec. esisteva, nel luogo ove
oggi sorge la Chiesa parrocchiale Santa Maria delle Grazie, una chiesetta, poco
più grande di una cappella. Essa era dedicata alla Madonna di tutte le
Grazie e fu l'unica a non subire danni negli eventi del 1669, tanto che,
proprio qui, furono portati e conservati i paramenti sacri ed il S.S.
Sacramento dalla chiesa madre.
Della chiesetta originaria non rimane oggi
che il sito, in quanto alla fine del secolo scorso la stessa fu
completamente demolita, sacrificandola alla costruzione dell'attuale Chiesa
(ciò è deprecabile perché essa costituiva l'unica testimonianza dei
fabbricati anteriori al 1669).
Lo schema planimetrico è, forse, da
attribuire a maestranze locali e si caratterizza, come la Chiesa di S.
Giuseppe, per la luminosità interna. Nella Chiesa si conserva una pregevole
statua lignea settecentesca della Madonna delle Grazie e soprattutto, di
particolare importanza, la statua lignea di S. Antonio Abate. Tale statua, policroma, databile, considerate le
caratteristiche intrinseche ed estrinseche, alla prima metà del 1600, è
un'autentica opera d'arte. Il Santo, dal volto scuro e scavato ad indicare
le sue origini africane e le assidue privazioni, è seduto e maestosamente
rivestito da vesti abaziali, contrariamente a come usava realmente. Si
differenzia quindi notevolmente da quanto l'iconografia sacra ci offre
riguardo allo stesso personaggio, di particolare rilievo quello dedicato a San
Biagio, con un quadro rappresentante il martirio del Santo, da collocarsi
nella produzione del tardo Seicento o del primo Settecento, ed altrettanto
significativo l'altare dedicato al Cristo alla Colonna, ove è posta una
statua in legno precedente il 1669.

Luoghi
d'interesse
Chiesa
Anime del Purgatorio
Chiesa
San Francesco
Chiesa della Madonna del Carmelo
-
La Chiesa della Madonna del Carmelo (o
Chiesa della Madonna del Carmine) è una Chiesa ubicata nella parte antica
del paese e si innalza al culmine di una bella scalinata. Edificata nel
1724, venne intitolata alla Madonna del Carmelo
Chiesa
di S. Giuseppe
- Secondo alcune fonti, che considerano gli aspetti
delle linee strutturali simili alla chiesa madre, l'architetto potrebbe
essere il Vaccarini o un suo allievo, uno dei tanti che operarono a Catania
dopo l'eruzione del 1669 ed il terremoto del 1693.
È certo comunque che le
maestranze locali vollero nella Chiesa riproporre povertà, semplicità e
luminosità, usando materiali poco pregiati ed infatti solo successivamente
fu modificata la struttura interna grazie a donazioni dei devoti. Al suo
interno si possono ammirare diverse tele risalenti alla fine del 1700 ed
alcuni arredi sacri provenienti dal Monastero di S. Nicola.
Museo
della civiltà contadina
- Dedicato alle arti, usi e costumi degli abitanti
appartenenti alla civiltà contadina del luogo. È possibile ammirare gli
ambienti in cui si svolgevano le attività contadine. Il museo offre
testimonianze del lavoro e della vita nelle campagne siciliane tra Ottocento
e Novecento.
Etna
- Nicolosi è una tappa
quasi obbligata per tutti i turisti che vogliano raggiungere e visitare
l'Etna, il più grande ed attivo vulcano d'Europa. Sono presenti piste da
sci per gli sport
invernali, una funivia panoramica fino a quota 2500 m ed è
possibile arrivare fino alla bocca del cratere vulcanico, accompagnati dalle guide autorizzate. Con una
cabinovia, 1 seggiovia, 3 skilift fino alla quota di 2.505 metri s.l.m. Nicolosi
vanta la stazione sciistica più a sud d'Italia.
Sentiero
della Regina (Eleonora D'Angiò) - Percorso sito tra gli alberi e le rocce
vulcaniche di circa 2,5km con una pendenza massima di 52m che si snoda
dall'antico monastero al moderno monastero benedettino "G. B. Dusmet"
situato in prossimità dei Monti Rossi. Il sentiero mostra una parte
dell'antica strada che Eleonora D'Angiò, regina di Trinacria, percorreva
dalla sua residenza estiva di Malpasso (oggi Belpasso) fino al vecchio
monastero dove soggiornava e pregava insieme ai monaci benedettini.
I
Tre Altarelli
Altarino
Sant'Agata
Altarino
S. Antonio Abate alla Sciara
Monastero
Benedettino G. B. Dusmet
Monumento
a Goethe
Museo
vulcanologico dell'Etna
Pineta
di Nicolosi
Monti
Rossi
Funivia
dell'Etna
Crateri
Silvestri del Monte Etna

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