Bronte (Borgo)
(Catania)
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Santa Maria della Catena

La chiesa di Santa Maria della Catena fu fondata ed iniziata a costruire nel 1569, per la generosità di Don Antonino Lombardo, barone della Rivolia.  

La chiesa non era ancora finita nel 1574, durante la visita pastorale che il vescovo di Monreale, Mons. Torres, fece a Bronte. Fu comunque portata a compimento nel 1601, come leggesi in una lapide della cantoria, successivamente restaurata e decorata nel 1891, con l'aggiunta delle tre bifore poste tra lo spartito superiore del portale ed il timpano triangolare.

La chiesa è ubicata sul corso Umberto, su un terreno in forte pendio, in posizione molto sopraelevata e raccordata al piano stradale da una alta scalinata in pietra lavica, dovuta anche all'allargamento e raddrizzamento del Corso Umberto effettuati nel 1870.

L'edificio è dedicato alla Madonna della Catena o Santa Maria della Neve, alla quale i brontesi sono molto devoti e  alla quale, nel corso dei secoli, tante volte i contadini hanno rivolto preghiere e chiesto protezione contro la siccità che minacciava i loro raccolti. 

Il frontone della chiesa con un bel portale con timpano curvilineo è di pietra lavica sostenuto da colonne corinzie. Sopra il portale tre semplici bifore (aggiunte come detto nel 1891) interrompono lo spartito superiore coronato dal grande timpano triangolare.

Sul lato destro della facciata emerge imponente  la tozza torre del campanile sormontata dalla cella campanaria con eleganti bifore in pietra lavica arricchite da leggiadre colonnine corinzie che richiamano per stile e fattura quelle del portale. Il coronamento merlato del campanile è quello tipico di tutte le torri brontesi. Piccole mensole laviche sorreggono i quattro archetti pensili di ogni lato decorati con elementi lapidei calcarei ("rosette") scolpiti a bassorilievo e laterizi smaltati policromi.  

L'interno ha tipologia, ricorrente a Bronte, ad aula unica con abside semicircolare e cantoria che ha l'ingresso dalla torre campanaria.

La navata, dalla forma rettangolare semplice e ben proporzionata, è sormontata da una travatura di notevoli dimensioni con puntoni e tavolato e con un’orditura portante sorretta da mensole lignee scolpite a forme antropomorfe.

Una piccola cappella, a sinistra entrando, di cui si vedono ancora modanature e cornici, fu ristrutturata e modificata per costruirvi sopra la cantoria che incombe nella zona d'ingresso della navata.

L’abside ha volta a botte con testata a calotta sferica, decorata con dorature ed affreschi.

La decorazione è del pittore Nicolò Dinaro (figlio del pittore brontese Giuseppe) con vistosi motivi geometrici, floreali e grotteschi.

L'interno della chiesa ed il soffitto sono stati recentemente restaurati (1988).  

La chiesa ha cinque altari: il primo, a destra entrando , è la cappella della Madonna della Mercede, a seguire trovasi l'altare di San Filippo Neri; sulla sinistra la cappella delle Cinque Piaghe e l'altare di Santo Stefano; in fondo nel presbiterio l'altare maggiore in marmi policromi scolpiti.

Le decorazioni del soffitto ligneo della chiesa, recentemente restaurato, è opera del pittore Nicolò Dinaro (Biancavilla 1836 - Bronte 1908). Nelle travi e negli scomparti risalta l'effetto insistito e vistoso dei motivi geometrici, floreali e grotteschi mediato da cadenze tipiche della decorazione popolare.  

Nel presbiterio, in una nicchia dell’altare maggiore, fra colonne doriche binate e soprastante timpano, è posta la statua in marmo scolpito e dipinto della Madonna della Catena o Santa Maria della Neve.

Fra le altre opere presenti nella chiesa da notare due bei quadri che adornano le navate laterali: rappresentano San Filippo NeriSanto Stefano. Furono eseguiti nel 1876 dal pittore brontese Agostino Attinà da due originali più grandi.

San Filippo Neri, al quale era dedicato l'antico Oratorio adiacente alla chiesa fondato nei primi anni del '600 dai padri Filippini, intercede a favore della Città di Bronte, raffigurata in basso a destra con le sue chiese e con l'Etna che incombe minacciosa sullo sfondo e che S. Filippo indica alla Madonna con il gesto delle mani.

Sull'altare dedicato a Santo Stefano (il secondo a sinistra) trovasi un grande quadro di scuola classica raffigurante la lapidazione del Santo (misura m. 4,25 x 3,50). L'originale fino al 1876 era esposto sullo stesso altare ma in seguito fu sostituito dalla copia e mal conservato nell'attiguo oratorio di San Filippo Neri ed oggi se ne è persa traccia.

Dello stesso pittore G. Tommasio possiamo, invece, ancora ammirare a Bronte altre due opere originali: la Madonna degli Angeli del 1650 conservato nella Chiesa dell'Annunziata e San Benedetto del 1663 conservato nella chiesa di S. Silvestro.

Sullo stesso altare dedicato a Santo Stefano è posto ai piedi del quadro un piccolo leggiadro gruppo marmoreo della Vergine col Bambino a cui Sant'Anna offre un grappolo d'uva.

L'opera, in marmo bianco scolpito e dipinto di circa 60 cm. di altezza, è della seconda metà del XVII secolo.

Nella chiesa sono custoditi anche numerosi e pregevoli oggetti sacri e devozionali (fra i quali preziose pianete, piviali e stole ricamati in oro e argento, corone di statue e un reliquario a braccio, in legno scolpito e dipinto della seconda metà del 1800).  

Chiesa di San Giovanni

La Chiesa di San Giovanni Evangelista, dal caratteristico campanile di grossi conci squadrati di pietra, ricade all'interno del nucleo più antico di Bronte. Si erge su un grande scalinata lavica a ventaglio, leggermente arretrata rispetto alla sede stradale del Corso Umberto, strada d'attraversamento di tutto il centro storico brontese nonché principale asse viario e infrastrutturale della città.

La chiesa esisteva già dagli inizi del 1500 e fin dalle origini è stata dedicata a San Giovanni Evangelista e a Santa Rosalia come si legge nell'architrave della finestra sopra il portale: «Ad honorem divi. Joannis Ev. et D. Rosaliae - Ph.s Sottosanti, 1659». Le due altre date 1680-1790, scolpite sul frontone dell’architrave, indicano probabilmente l’epoca di una prima ricca dotazione (da parte della stessa famiglia baronale Sottosanti) e di un secondo rifacimento ad opera dell’abate don Francesco Sanfilippo, il cui nome è scolpito nell’architrave della porta, quando fu restaurata ed abbellita di arabeschi e stucchi.

Il linguaggio espressivo della chiesa risalta nella finezza e cura dei dettagli delle forme del portale lavico, lavorato secondo modanature e fregi dalle abili mani dei maestri scalpellini brontesi. Risale al 1799. La mole massiccia del campanile lo sovrasta dall’alto della torre merlata; la forma massiccia e tozza si conclude in alto con un volume prismatico a base ottagonale.

I blocchi di pietra lavica, ben squadrati e di grosse dimensioni, sono interrotti dall’alta zoccolatura e dalla cornice aggettante della cella campanaria. Tre monofore si aprono sul lato frontale e destro.

L’interno, nel quale sono sviluppati i temi caratteristici del gusto barocco, è diviso in tre parti:

  -  il pronao con sovrastante cantoria ed un piccolo organo, dalla quale si accede alle scale del campanile;

  -  la navata unica rettangolare con volta a botte;

  -  il grande presbiterio anomalo e singolare per forma e dimensione.

All’interno la chiesa è adornata da sette altari con un insieme compositivo di ogni singolo altare di notevole fattura.

Il primo altare, a destra entrando, è dedicato alla morte di S. Giuseppe, con una tela ad olio di stile barocco della prima metà del XVIII secolo. La cornice, in legno decorato con oro a mistura, presenta decori rappresentanti stilizzazioni floreali.

Segue, quindi, la Cappella di Santa Rosalia e l’altare del Crocifisso, considerato dai nostri avi testimone e notaio nelle contrattazioni.

Il primo altare a sinistra è dedicato a Santa Maria degli Agonizzanti. Il quadro, una tela ad olio della prima metà del XIX secolo, misura 3,40 per 2,20 metri circa e rappresenta la Madonna con Bambino e un moribondo assistito da un sacerdote. Il tema del quadro, unico nel suo genere a Bronte, caratterizzava un tempo la chiesa dove aveva sede ed operò a lungo una congregazione di preti sotto il titolo proprio di Santa Maria degli Agonizzanti.

Seguono l’altare del Cristo morto con una tela ad olio della prima metà del XVIII secolo di stile barocco siciliano e l’altare di Sant’Antonio abate con una statua in legno scolpito e decorato con foglia d’oro di stile barocco siciliano della prima metà del XVIII secolo.

L’altare maggiore è dedicato alla Madonna del Lume. La statua della Madonna col Bambino (delle dimensioni di m 1,80 x 1,20 x 0,70 circa), in gesso modellato dipinto e legno scolpito, intagliato e dipinto con foglia d'oro, risale alla prima metà del XVIII secolo. Di stile barocco siciliano della scuola palermitana ricalca quasi fedelmente l'iconografia classica della Madonna del Lume.

La statua, infatti, raffigura la Madonna, vestita da una lunga veste bianca, con una fascia tempestata di gemme preziose che le cinge con i fianchi ed un manto azzurro, che regge in grembo Gesù Bambino sorridente e, con la mano destra, un'anima peccatrice nell'atto di precipitare all'inferno. Alla sua sinistra un angelo in ginocchio sorregge un cestino sul quale Gesù conservava i cuori dei peccatori convertiti, per intercessione della Madre.

L'altare, della stessa epoca, è in marmo policromo scolpito; sul fronte, un delizioso bassorilievo in marmo contiene un medaglione, sormontato dalla testa di due angeli, con l'effige della Madonna del Lume.

Due coppie di colonne tortili con capitelli sormontati da un arcone ornamentale, delimitano la nicchia dell’altare, sormontata a sua volta da una struttura decorativa barocca.

Le coppie di colonne reggono la trabeazione spezzata da un frontone accartoc­ciato interrotto e cartella con festoni nella sommità; il tutto in gesso modellato e legno scolpito, intagliato e dipinto.

Ai lati dell'altare due nicchie con due piccole graziose statue rappresentanti S. Giovanni Evangelista (a destra) e S. Giovanni Battista.

L'aggregazione alla basilica di San Giovanni in Laterano, che non ci risulta che sia stata rinnovata, faceva sì che i fedeli che visitavano la chiesa “aggregata” di S. Giovanni potevano beneficiare delle indulgenze, dei privilegi e delle grazie spirituali che si ottengono nella Basilica romana.  

Chiesa di San Blandano

La chiesa di San Blandano (o Brandano) è posta al centro di Bronte di fronte alla casa natale dello storico brontese Benedetto Radice e sull’omonima via ha l’ingresso principale mentre, all'interno, un corridoio laterale collega la sacrestia con la via Annunziata.

Ormai inesorabilmente schiacciata dalle costruzioni adiacenti in cemento armato, costruite in aderenza alla chiesa, San Blandano conserva ben poco dell'originaria armoniosa struttura classicheggiante. Impostata su un’alta piattaforma con scalinata in pietra lavica a doppia rampa contrapposta, ha comunque ancora un aspetto lineare e gradevole.

Il suo piccolo prospetto evidenzia il portale in pietra lavica su cui è scolpita la frase "S. Maria a fundamentis quasi edificata anno D.ni 1820", una finestra, in asse con il portale, ed un’alta cornice in aggetto che sottolinea la divisione del doppio ordine sovrapposto. A coronamento del cornicione, appena accennato sullo spartito centrale, emerge un piccolo timpano triangolare nel quale spicca un rilievo ornamentale raffigurante le insegne vescovili (mitria, pastorale, croce patriarcale) di San Basilio (320-379) vescovo metropolita di Cesarea.

L'epoca della sua originaria costruzione è molto incerta.

La sua vera storia inizia nella metà del 1695 quando i padri basiliani dell’Abbazia di Maniace, a causa della malaria e del devastante terremoto dell'11 Gennaio 1693 che abbatté molte parti del monastero, furono costretti ad abbandonarlo ed a trasferirsi a Bronte.

Pochi anni dopo, nel 1698, l'arcivescovo di Monreale, da cui dipendeva l'abbazia di Maniace, la Sacra Congregazione ed il Governo davano il permesso di trasferire in Bronte il monastero, poiché per i monaci era molto scomodo e anche pericoloso ritornare a Maniace sia per la malaria, che per le strade impraticabili ed il pericolo dei numerosi  banditi che infestavano il territorio.

Il trasferimento veniva confermato nel 1708 anche dal Tribunale del Real Patrimonio.

Procurato il denaro per la compra di alcune case, attigue alla chiesa di S. Blandano, i monaci dettero inizio alla costruzione del monastero.

L'opera fu costruita in poco tempo, comoda ed ampia, anche con il contributo dell’abate Guglielmo Stancanelli.

L’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo, dal quale all'epoca Bronte dipendeva, assegnò per il mantenimento dei monaci 200 onze all'anno, somma che, per un certo periodo di tempo, anche i Nelson, nuovi padroni di Bronte dal 1791, furono obbligati a versare.

Nel 1708 furono completati gli alloggi attorno alla chiesa e nel 1784 re Ferdinando IV in seguito alla concessione all'ammiraglio Horatio Nelson dell’antica abbazia di Maniace e delle sue proprietà, decretò il trasferimento definitivo dell’Abbazia.

Nel 1824 la chiesa fu quasi rifatta dalle fondamenta per opera dell’abate D. Giuseppe Auriti.

Per un periodo di tempo, come risulta da alcuni documenti e da una planimetria del 1890 relativa alla ristrutturazione dell'adiacente Casa comunale la chiesa risulta dedicata anche a San Basilio.

Il monastero basiliano di S. Blandano scomparve alla fine alla fine del XVIII secolo: fu soppresso in seguito alle leggi del 1886 che sancirono l'alienazione dei beni ecclesiastici. Il vecchio stabile dei monaci addossato alla parte destra della chiesa fu demolito e trasformato, per un breve periodo, in Casa comunale.

Successivamente, cambiando radicalmente il con­testo urbano nel quale sorgeva la chiesa, venne costruito l'attua­le palaz­zone che ha ospitato la Caserma dei Carabinieri, la Biblioteca comunale ed altri uffici pubblici. 

Oggi, quindi, nulla è rimasto o è più visibile del monastero se non piccolissime tracce. L'unica testimonianza rimasta dell'antico insediamento dei padri Basiliani è il vecchio nome di una via adiacente ("Via Orto Basiliani").

Alcuni decenni fà anche questo nome rischiava di scomparire: si è salvato dalla cancellazione per le proteste che gli abitanti fecero contro una barbara iniziativa che all'epoca rinominava molte tradizionali denominazioni delle strade di Bronte.

L’interno della chiesa, a navata unica rettangolare, è segnato in alto da una grande cornice che partendo dalla cantoria, sopra l’atrio di ingresso, si conclude sopra l’altare maggiore riproponendo il motivo del timpano della facciata.

L'organo della chiesa, posto nella cantoria, è stato realizzato nel 1762 ed è tra i più antichi della provincia di Catania. È stato restaurato nel 2012 dal maestro Francesco Oliveri.

La chiesa era originariamente adorna di cinque altari; i quattro laterali sono stati abbattuti alcuni anni fa, allo scopo di allargare la chiesa; sono rimaste, però alle pareti quattro nicchie archivoltate appena accennate per i quattro altari minori.

Sul primo altare a destra si trova il quadro raffigurante San Giovanni Damasceno (rappresentato con tre braccia, due nell'atto di pregare ed il terzo per scrivere) e, su quello di sinistra, il quadro di  San Lorenzo da Frazzanò (fu abate del monastero di S. Filippo di Fragalà), entrambi del 1827 opera del pittore brontese Giuseppe Dinaro (1795 – 1848).

Sul secondo altare a destra, dedicato alla Madonna Addolorata, è posta una teca di legno con vetri dove si conservano le ossa di tre martiri: al centro è collocato S. Costanzo, il cui cranio mostra in  evidenza una larga ferita, a destra Sant'Innocenzo e a destra S. Blandino, donati dal 1748 al 1751 al Monastero e provenienti dal cimitero romano di Santa Priscilla.

Nel quadro dell’Addolorata, per il Radice copia dell’originale di Agostino Caracciolo, attorno alla Vergine che tiene il Cristo morto sulle ginocchia sono effigiati in vari atteggiamenti tre martiri: S. Costanzo col coltello conficcato nella testa, Sant'Innocenzo e S. Blandino che hanno in mano la palma del martirio.

L'altro altare è dedicato a S. Basilio Magno.

Sopra l’altare maggiore dentro una decorazione di gusto barocco (panno drappeggiato con puttini in stucco ad altorilievo), un tempo era collocata l’icona bizantina della Madonna col Bambino.

Il tabernacolo è un blocco di marmo monolitico con scolpite una conchiglia sormontata da due fronde e, lateralmente, due lesene poggianti su due angeli.

Chiesa della Madonna del Riparo  

Per Bronte il titolo di Chiesa della "Madonna del Riparo" è legato ad un avvenimento doloroso e ricorda (o, meglio, ricordava, perché l'antica chiesetta è stata completamente demolita!) la protezione dell’Annunziata, patrona di Bronte, verso la Città contro la furia distruttrice dell’Etna. Con tale titolo è stata sempre invocata dai nostri avi e all'Annunziata sono sempre accorsi gli abitanti di tutti i quartieri in ogni loro necessità e nei momenti cruciali della loro tormentata storia.

Nel febbraio del 1651 ebbe inizio nel versante etneo di Bronte una spaventosa eruzione che restò attiva per tre anni. Devastò in lungo ed in largo gran parte del paese e del territorio ed arrivò fino al Simeto.

Nel 1654 l'eruzione riprese con nuovo vigore ed un braccio di lava investì la parte alta del paese distruggendo molte case, lambì la chiesa di Sant’Antonio, entrò nell'orto dei Cappuccini, costruito 25 anni prima, seppellì la chiesa del Purgatorio con le abitazioni circostanti e bruciò la chiesetta di San Nicolò, poi ricostruita.

Il popolo di Bronte si riversò in preghiera, giorno e notte, nella chiesa dell'Annunziata per implorare aiuto dalla Vergine e fu portato il suo simulacro marmoreo di fronte alla lava. Ed ecco la lava deviò il suo corso verso tramontana e formò un cordone lavico come un muraglione, come si nota ancora, che parte a ridosso dell'ospedale e scende verso S. Nicola fino al Simeto. Il popolo brontese, per gratitudine verso la Madonna, costruì sotto quel muraglione una chiesetta che intitolò "Madonna del Riparo".

L'antica chiesetta, piccola e modesta (aveva una superficie di circa 60 mq), un tempo solitaria e circondata da alberi e terreno lavico, con l'espandersi dei fabbricati urbani venne a trovarsi al centro di un quartiere che tendeva a crescere sempre più. In considerazione delle sue modeste dimensioni e delle notevoli lesioni, provocate da incuria, intemperie e terremoti, si pensò ad un restauro e ad un ingrandimento.

Fu predisposto il progetto per il restauro e l’ampliamento della chiesa nello stesso luogo, ma l’Arciprete dell'epoca, p. Antonio Marcantonio, sconsigliò la ristrutturazione della vecchia chiesa nello stesso sito perché troppo vicina alle chiese dei Cappuccini e di S. Silvestro, poiché il quartiere tendeva ad allargarsi verso la zona di Salice.

Furono decisi così, di fatto, dopo tre secoli, la vendita e la distruzione della "graziosa" antica chiesetta e della testimonianza che essa tramandava.

Il 9 luglio 1967, l'Arcivescovo di Catania, Mons. Bentivoglio, benediceva la posa della prima pietra e, essendo insufficienti i mezzi finanziari a disposizione, iniziava la costruzione della prima metà della chiesa.

Tre anni dopo, il 18 luglio 1970, ancora incompleta, era aperta al culto; l'antica statua della Madonna del Riparo, restaurata, accompagnata dal Clero e dal popolo entrava nella nuova chiesa.

Nel 1971 Padre Napoli riceveva la consegna ufficiale quale primo parroco della nuova Parrocchia della Madonna del Riparo. Il completamento della chiesa e dei servizi accessori del progetto fu portato a termine solo nel 1984.

Dal punto di vista storico e testimoniale, oggi la nuova chiesa, dalla forma anonima e priva d'interesse artistico o documentale, ha solo il pregio di trovarsi sullo stesso costone lavico formatosi con la devastante eruzione del 1654, in una posizione panoramica visibile da tutto il paese di Bronte.

Dell’antica “romita chiesuola della Madonna del Riparo” (così la chiamava il Radice) non è rimasta alcuna traccia; solo alcune foto sbiadite. Nel luogo dove era stata costruita "per gratitudine alla Madonna" dal popolo brontese è sorto un alto e insignificante blocco di cemento che ha del tutto cancellato l'antica testimonianza ed una documentazione del nostro passato.

Chiesa e Convento dei Padri Cappuccini  

Il convento dei Padri Cappuccini di Bronte fu il 34° convento dell’Ordine. Costruito nel XVII secolo è stato per molto tempo un convento molto fiorente.

Prima i frati abitarono sotto il colle San Marco in un vecchio convento domenicano, dove vissero per un breve periodo anche i padri Minori Riformati Conventuali di San Francesco, ma furono costretti ad abbandonarlo per le precarie condizioni tanto da andare in seguito completamente distrutto.

I frati, presenti attivamente nelle vicende del paese, erano ben voluti. Si dedicavano in particolare alla predicazione e alle confessioni, assistevano i brontesi nelle pestilenze e nelle eruzioni vulcaniche e contribuivano attivamente nella formazione ed educazione della gioventù.

Quando nel 1629 abbandonarono il vecchio convento, i brontesi, per il grande affetto che portavano ai Padri Cappuccini, deliberarono di costruirne uno nuovo in una campagna adiacente il vecchio quartiere periferico di San Silvestro.

La costruzione fu iniziata nel 1632. Nel settembre del 1635, per completare la fabbrica, fu venduto con il consenso della Santa Sede il "Conventazzo" e col ricavato, con una gabella del grano per tre anni e con altri finanziamenti offerti da privati si portò a compi­mento l’opera.

Ben presto il convento, al quale fu assegnato un sussidio di quarantaquattro onze l'anno, divenne un noviziato ed un centro di studi.

Tra i frati che hanno dato lustro al convento dei Cappuccini ricordiamo padre Antonino Uccellatore (morto nel 1762) denominato Padre Purgatorio, vissuto e poi sepolto nel duomo di Cefalù, e padre Gesualdo De Luca, scrittore (e superiore del Convento) morto nel 1892.

Oggi l’edificio è articolato in più volumi disposti secondo la forma a "U". In epoca imprecisata sul lato Nord-ovest sono stati costruiti due grossi contrafforti in muratura a presidio dell’edificio, visibili dall’ingresso carrabile del Corso Umberto.

Dall’ingresso di Piazza Cappuccini, sulla destra della chiesa, si accede al piccolo chiostro interno con colonnato su due lati. Al centro si trova una vasca d’acqua non più usata ed agli angoli quattro palme molto alte. Dal loggiato si accede direttamente alla chiesa dei Cappuccini, alla sala grande con palco (piccolo teatro) ed ai locali di servizio conventuali ed alla sala della biblioteca.

Da un piccolo disimpegno si passa all'ampio e bel salone del refettorio. In alto, dentro piccole lunette, vi sono affreschi (1950) rappre­sentanti la vita di alcuni santi. Sopra la lunetta d’ingresso un’ultima cena.

Al piano superiore lunghi corridoi disimpegnano le stanze (le antiche celle) per i monaci attualmente, purtroppo, completamente vuote e disabitate. La vista è sul chiostro interno. Dal primo piano si accede alla cantoria della chiesa.  

La chiesa, costruita unitamente al convento dai PP. Cappuccini, si presenta in bella posizione prospettica sull’omonima piazza.

Al piano superiore lunghi corridoi disimpegnano le stanze (ex cellette per i monaci) con vista sul chiostro interno. Dal primo piano si accede alla cantoria della chiesa annessa.

Il prospetto, semplice e d’ispirazione tardo-rinascimentale, è composto da due ordini sovrapposti di lesene con capitelli: il primo è impostato su una bassa zoccolatura, il secondo su una grossa cornice modanata.

Un timpano triangolare con decorazioni a rilievo chiude in alto l’edificio.

Nello spartito centrale, al primo piano, si apre una finestra incorniciata e sormontata da un timpano triangolare.

L’ingresso della chiesa è impostato su una piccola scalinata in pietra lavica.

L’originario ingresso, archivoltato con una cancellata e rientrato sul prospetto, è stato modificato verso la meta del XX secolo e sostituito con una rettangolare di dimensioni ridotte.

All’interno la chiesa ha un’unica navata, una cappella laterale e sette altari con decorazioni a bassorilievo. La successione delle lesene scandisce il ritmo dei fondi pieni e dei vuoti nei quali sono inseriti gli altari minori.

Al di sopra della piatta cornice, su una serie continua di vele e volte, è impostata la bianca volta a botte.

La chiesa contiene opere degne di nota:

-  un quadro della Deposizione dove spiccano due figure di frati (San Felice da Cantalice e il beato Crispino da Viterbo),

-  una pittura del XVIII secolo rappresentante la Vergine con i Santi Fedele e Giuseppe,

-  il grande quadro dell’altare maggiore con, in alto, Santa Maria degli Angeli, in basso un gruppo di santi (Sant’Agata e San Francesco a sinistra, San Felice da Cantalice e Santa Chiara a destra) e, al centro, l’Etna fumante ed un delizioso disegno del convento e del piccolo paese di Bronte salvati dalla lava del 1654  per intercessione di S. Felice da Cantalice e di P. Paolo da Messina.

Da vedere anche gli intarsi policromi dell’altare maggiore, opera di un frate (fra Felice Costanzo di Bronte), eseguito nello stile tradizionale degli arredi sacri dei padri cappuccini.

Nella piccola cappella laterale della chiesa è conservata l'urna con la statua del Cristo Morto che prende parte alla tradizionale processione del Venerdì Santo.

Nella chiesa ha sede la confraternita del Terzo Ordine di S. Francesco istituita nel 1863, approvata dalla Prefettura di Catania con nota del 28 marzo 1863 e dal vicario capitolare con decreto del 7 luglio 1863.

Fino a poco tempo fa nel Convento esisteva un'antica biblioteca, con manoscritti e libri rari e pregiati, che dimostrava l'alto livello culturale raggiunto a Bronte dai frati cappuccini e il lungo contributo da loro dato all'educazione ed alla formazione dei giovani brontesi.

In particolare nel convento erano conservati manoscritti di Padre Gesualdo De Luca, custode Generale e priore cappuccino e autore di numerose e dotte opere teologiche, canoniche e storiche.   

Chiesa e Convento di San Vito

La Chiesa di San Vito e l’omonimo attiguo convento sorgono nella parte più alta del paese e prospettano sulla grande piazza panoramica in prossimità dell’asse viario più antico del paese: la via Santi che partendo da Piazza Maddalena (oggi Piazza Nunzio Azzia) arriva fino al santuario dell'Annunziata, nella parte bassa di Bronte.

L'edificio è posto in posizione angolare rispetto alla piazza; la tipologia è quella tipica della chiesa ad aula a navata unica con ingresso sopraelevato e scale in pietra lavica, a tre lati.

Inizialmente fu costruita dove sono ora la sacrestia ed il corridoio del refettorio e forse, come si usava allora fabbricare a Bronte, era stata cementata con argilla.  

La piccola chiesa ha subito numerosi restauri e rifacimenti:

-  fu ristrutturata nel 1643 (dai maestri Matteo e Michele di Palermo, essendo guardiano padre Antonio da Bronte, comè è riportato sull’architrave della porta maggiore);

-  l’interno fu restaurato e decorato nel 1879 (per cura di Nunzio Capizzi Monachello);

-  l’abside venne rifatta a nuovo con ricche dorature e fregi nel 1880 (dall’arciprete Giuseppe Ardizzone);

-  la balaustra dell’altare maggiore fu fatta nel 1894 (a cura del frate Francesco di Bronte).

Non si hanno notizie, invece, circa la costruzione della cantoria, composta da una solida volumetria voltata poggiante su colonne di marmo (vi si accede esclusivamente dall’attiguo convento).

Sul prospetto, semplice e composto, concluso in alto dal timpano appena accennato, risaltano la sagoma nera del portale basaltico di belle proporzioni, con decorazioni floreali scolpite a bassorilievo, e la scalinata prismatica centrale in pietra lavica. Sull'arcosolio è scolpita la scritta "Pax et bonum".  

L’interno ha una configurazione volumetrica semplice ed unitaria anche se è certo che è risultato di interventi succedutesi in epoche diverse.  

E' ad unica navata, con abside e cantoria.

Le ricche dorature ed i fregi raggiungono il massimo della decorazione nella parte emisferica dell’abside.

La chiesa ha sette altari.

A destra entrando, Sant’Antonino, San Vito e San Pasquale; a sinistra San Giuseppe (l'altare prima era dedicato alla Beata Vergine degli Angeli), San Francesco ed il Crocifisso, un tempo altare di Maria SS. della Purità.

L’altare maggiore, adorno di marmi policromi, è consa­crato alla Vergine Immacolata (preziosa la statua in legno). Su di esso sono impostate quattro colonne con capitello corinzio che sorreggono l’aggetto della cornice su cui è impostata la volta della cupola. 

Nella cantoria (accessibile solo dall'interno del convento) si notano un coro ligneo con sedili e schienali raccordati in alto da una cornice intarsiata su colonnine e capitelli scolpiti, un legio girevole su basamento esagonale ed un dipinto su tela raffigurante un monaco francescano seduto.

Accanto al convento, un tempo, esisteva un piccolo cam­po­santo dove erano seppelliti i poveri (l'attuale via Cam­po dei Fiori, vedi mappa del 1850 riportata sotto), diritto che si era riservato la Universitas di Bronte nel cedere la chiesa ai frati Minori.  

Chiesa di Santa Caterina  

La chiesa di Santa Caterina sorge in prossimità dell’omonima via, in un quartiere posto al margine del centro storico. La costruzione, come riporta una iscrizione scolpita nell’architrave della porta maggiore, risale al 1610.

La chiesa, dalle linee semplici e lineari,  prospetta su un piccolo slargo, dai quali è separata da un semplice "distacco", e quelli prospicienti le strade intorno che riflettono ancora lo schema urbano originario.

Fondarono la chiesa Domenico Vellina, oriundo calabrese, e il figlio Sac. Bartolomeo. Successivamente, con atto del 18 novembre 1679, avendo intenzione di istituire a Bronte un Collegio delle Scuole Pie, i due benefattori assegnarono le proprie case e la chiesa di Santa Caterina per la costruzione ed il mantenimento di dette scuole.

La chiesa fu parzialmente danneggiata dal terremoto del 1818. E' stata restaurata recentemente (1988-1989) nell'interno e nella facciata. L’edificio, di piccole dimensioni,  è di impianto lineare e molto sobrio.                

Di aspetto austero è il semplice disegno del portale basaltico, sopra il quale un tempo erano rilevabili tracce di pitture policrome.

La cupola del transetto, a tutto sesto, è impostata su quattro pennacchi e sormontata da una piccola e caratteristica lanterna lucifera.

La piccola cella campanaria è ubicata sopra la navata sinistra, lungo il bordo prospiciente via Santa Caterina.

Sulla parte posteriore, lungo una viuzza strettissima), sono ben visibili le basi ed i grossi conci squadrati in pietra lavica celle lesene d'angolo corrispondenti all'ingombro volumetrico dell'abside.

L'interno è a croce latina, ad una navata, con pertinenze contigue; il disegno, pulito e lineare, è movimentato dallo spartito delle lesene e delle cornici a semplice aggetto.

La chiesa ha tre altari di buona fattura rivestiti di marmi policromi: a destra l’altare dedicato all’Assunta, a sinistra quello del martirio di S. Bartolomeo (di fine 1800, probabilmente eretto in onore di uno dei fondatori della chiesa, il sac. Bartolomeo Vellina) e quello di Santa Caterina. La tela, in pessimo stato di conservazione tanto da essere difficilmente leggibile, rappresenta le mistiche nozze della Santa con Gesù alla presenza della Vergine, degli Apostoli e di Santi.

Sul pavimento della chiesa, all'inizio della navata centrale, è posta una lapide marmorea leggiadramente scolpita a rilievo con ornamenti floreali e figure.

Fra i preziosi oggetti di carattere religioso e cerimoniale fino a pochi decenni fa di proprietà della chiesa (reliquari, calici ed ostensori di varie epoche) vi mostriamo un turibolo in argento sbalzato, cesellato e traforato di Bartolomeo Bartolotta.  

Pistacchi di Bronte

Terra antica, sapori antichi: il pistaccchio, apprezzatissima varietà di frutta secca, ha una storia assai lunga alle spalle, tant'è vero che viene citato persino nella Bibbia, libro della Genesi (43,11); "mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti del paese e portateli in dono a quell'uomo: un po' di balsamo, un po' di miele, resina e laudano, pistacchi e mandorle".

L'albero del pistacchio è inizialmente diffuso nel Medio Oriente: la pianta è di origine persiana e può arrivare a vivere anche 200 o 300 anni, perfetta per la coltivazione in zone calde come la Sicilia, ove si adatta magnificamente, e dove è giunto attraverso antiche tratte commerciali. Anche se l'etimologia è greca - il termine italiano pistacchio deriva da pistàkion - la parola dialettale frastuca, con cui viene indicato il frutto, deriva dall'arabo frustuq, tramandando il ricordo della forte influenza che la dominazione araba ha avuto nella coltivazione di questa pianta. Quando non è sgusciato (tignosella), si indica con il locale babbalucella.

La Sicilia è l'unica regione d'Italia ove si produce il pistacchio, nello specifico fra i territori di Bronte, Adrano e Biancavilla: il Pistacchio verde di Bronte ha ottenuto nel 2009 il marchio D.O.P. Questo "oro verde" è la principale risorsa della cittadina etnea, che lo esporta in tutto il mondo, dal Giappone al Canada.

Celebrato nel mese di settembre con la Sagra del Pistacchio, la raccolta avviene tra agosto e settembre, ogni due anni. Sebbene venga impiegato soprattutto in pasticceria per preparare torte, paste, torroni, mousse, confetti, gelati, granite, o rendere ancora più golosa l'antica filletta - tipico dolce brontese, un pan di Spagna di forma circolare - nonchè per creme spalmabili, questa incredibile varietà di utilizzo non deve ingannare: i pistacchi sono squisiti protagonisti anche di preparazioni salate e vengono impiegati per profumare mortadelle e soppressate.

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