Centro
urbano situato tra la Sicilia
centrale
e quella orientale, è famoso per la produzione della ceramica.
È stata per oltre due millenni un punto strategico di controllo per
molti popoli che controllavano le piane di
Catania
e di
Gela,
tra cui bizantini,
arabi,
genovesi
e normanni.
È anche un rilevante centro agricolo, per via delle sue estese
campagne.
Il
centro storico è stato insignito del titolo di Patrimonio
dell'umanità
dall'UNESCO
nel 2002,
facente parte del consorzio del Val
di Noto.
Sin
dall'antichità la località fu scelta per la sua posizione
privilegiata, che essendo sullo spartiacque che divide le due più vaste
pianure della Sicilia, la Piana di Gela
e la Piana
di Catania,
le consentiva di controllare e difendere un vasto territorio.
I
primi insediamenti stabili nel territorio dell'odierna Caltagirone
risalgono alla preistoria.
Il più antico insediamento del territorio finora noto è il Riparo Cafici,
nella valle di Terrana, risalente al Paleolitico
superiore o al primo Mesolitico.
Gli scavi archeologici
effettuati in contrada Sant'Ippolito – alle sorgenti del fiume
Caltagirone – hanno portato alla luce i resti di un villaggio neolitico
abitato ininterrottamente sino all'arrivo dei Greci.
Poco
distante, in contrada Montagna, vi è una vasta necropoli risalente alla
tarda età
del bronzo.
Vi sono presenti delle tombe a tholos.
Sulle
colline che dominano la vallata del fiume Maroglio
si trova il grande centro prima indigeno e poi greco di Monte San Mauro
con resti di edifici tra i quali un anaktoron.
Altri
insediamenti preistorici si trovano nelle contrade Moschitta, Paradiso,
Piano dell'Angelo e nella stessa Caltagirone.
Scavi
archeologici nell'intero territorio cittadino hanno dimostrato una
presenza certa dei greci nel territorio di Caltagirone, seppur
questa presenza non sia stata in continuità con la storia della città.
Precedentemente alla presenza greca, è molto probabile che nel
territorio si siano installati dapprima i sicani, e successivamente
i siculi.
Data
la posizione centrale, è possibile che, durante la dominazione greca
della Sicilia, l'attuale territorio complessivo di Caltagirone fosse un
territorio di confine tra la sfera di influenza dei rodio-cretesi di
Gela e quella dei calcidesi: è accertabile il fatto che vi fossero
insediamenti calcidesi – come nel caso del centro di Monte San
Mauro o di un fortificato di contrada Montagna. Sempre tenendo conto
della posizione del territorio caltagironese, è attestato che gli
insediamenti lì posti avessero contatti commerciali con diverse póleis siceliote,
tra le quali la prossima Gela, Selinunte e Siracusa.
L'area
archeologica più documentata è quella di Monte San Mauro, dove con
molta probabilità si installarono coloni di provenienza mista sotto
legge calcidese, i quali si sarebbero installati in pre-esistenti
villaggi siculi (forse coabitando con essi) o avrebbero
costituito una colonia ex novo: questa sarebbe identificabile con Euboia,
subcolonia di Leontinoi. La stessa San Mauro potrebbe avere come
identificazione alternativa come insediamento sotto il dominio di Gela,
seppur in stretto contatto col mondo calcidese. Molto probabilmente, il
centro ebbe fine a causa di una distruzione dolosa: una delle possibili
ipotesi rimanda all'avanzata di Ippocrate verso la costa
ionica, ossia quella che lo condusse alla conquista delle
importanti città di Naxos, Callipoli, Leontinoi, Zancle e Katane.
Durante
l'età moderna, gli studiosi locali del tempo, della Compagnia di Gesù
per commissione del senato locale a fini di prestigio, insisterono nella
correlazione tra la città e Hybla Geleatis, la quale però
rimanderebbe alla vicina Gela.
La
presenza dei romani e dei bizantini nel territorio
è grosso modo dimostrata – sono state rinvenute necropoli bizantine
nelle contrade Cotominello e Racineci, nonché di un sistema di
canalizzazione in contrada Rocca –, seppur le tracce della loro
permanenza siano decisamente più sparute di quella greca o sicula,
nonché meno rilevanti.
L'espansione
vera e propria dell'abitato, il fiorire della sua economia e in generale
la nascita della città come oggi è conosciuta e localizzata sono
probabilmente avvenute durante
il periodo altomedievale, da parte di coloni provenienti dal Genovesato,
molto probabilmente dell'areale di Savona: da ciò si presume lo
sviluppo della leggenda secondo cui dei genovesi sbarcarono presso
Camarina e si addentrarono nel territorio di Caltagirone,
liberandola dalla presenza musulmana.
Detto
ciò, è molto probabile che i liguri fossero il primo popolo a
latinizzare religiosamente e linguisticamente il territorio di
Caltagirone, più o meno contemporaneamente ai coloni delle altre aree
d'Alta Italia arrivati con Adelasia del Vasto nel resto
della Sicilia centro-orientale, come nell'esempio del centro limitrofo
di Piazza Armerina.
Nel 1154 Edrisi,
il celebre geografo arabo alla corte di Ruggero il Normanno, descrive
così Qal'at al-Genūn (Castello dei Genovesi): "Il castello
di Caltagirone sorge imponente sulla vetta di un monte inaccessibile;
nel suo territorio si estendono campi coltivati a perdita
d'occhio."
La
fiorente comunità ligure diede manforte al conte Ruggero contro i musulmani durante
l'assedio della Rocca di Judica. Quest'aiuto valse alla città di
Caltagirone gli estesi possedimenti dei territori di Fetanasimo (l'attuale
insieme del Bosco di Santo Pietro e Sughereta di
Niscemi), Regalsemi e Camopietro (detta anche Judica, che
coincide con i comuni di Ramacca, Raddusa e Castel
di Iudica) ed è all'origine della ricchezza feudale della città, la
quale si protrasse fino agli albori della modernità.
Nonostante
la natura lombarda della città – si presume che la
città si sia progressivamente disallineata politicamente rispetto a
queste, nel XIII secolo Caltagirone partecipò alla rivolta
contro gli Angioini nei Vespri siciliani, avendone
espresso una delle figure principali, il nobile Gualtiero di
Caltagirone, che sollecitò l'avvento di re Pietro d'Aragona nel
corso dell'assedio di Messina. Deluso nelle sue aspettative dal
nuovo monarca, Gualtiero cospirò contro di lui e fu per questo
decapitato in Piazza San Giuliano nel 1283.
In
seguito allo sviluppo dell'artigianato e del commercio, legati alla
produzione della ceramica e positivamente influenzati dalla posizione
geografica interna ma affacciata alla costa mediterranea, nacque una
classe di ricchi commercianti che si stabilirono provenendo anche da
altre parti d'Italia.
Lo
sviluppo di cui godette la città è ravvisabile in special modo nella
struttura del centro storico, che presenta diversi edifici sacri e
pubblici di valore artistico, la cui costruzione e il cui rifacimento fu
affidato, com'era in uso, a famosi architetti ed artisti dell'epoca.
Durante
il XV secolo, pur avendo subito un fenomeno considerevole di
emigrazione verso la vicina Eraclea attestato nel 1474,
la città nel complesso si sviluppò demograficamente, a tal punto da
conferirle una certa importanza complessiva nel Regno: a tal
proposito, nel 1458 si tenne il pubblico Parlamento di
giuramento verso re Giovanni II di Aragona. Nel 1496 la
città, sempre da parte del medesimo sovrano, viene promossa da terra
demaniale a città, con il titolo di Urbs Gratissima.
Nel XIV
secolo a Caltagirone viveva una piccola comunità ebraica
stabilitasi in una zona vicino al quartiere San Giuliano, che prende il
nome di Via Iudeca o Zona Miracoli. Gli ebrei si dedicavano
all'artigianato (in particolare nel settore tessile), molte famiglie
della comunità ebraica finirono con l'assumere alcuni cognomi tipici
(come per esempio Alba) e a cimentarsi nelle attività creditizie.
Si attesta il fatto che ve ne fossero un centinaio in città.
Nel 1492 la dominazione
spagnola decretò la scomparsa degli ebrei in Sicilia, e perciò
la città fu colpita duramente nella sua vita economica e culturale.
I
secoli XV e XVII furono l'epoca aurea della Città della ceramica,
che allora si arricchì di chiese, palazzi nobiliari, istituti, collegi
e conventi. Nacque pure l'università (sotto la Compagnia di
Gesù) nella quale si insegnavano giurisprudenza, filosofia e medicina,
nonché un ospedale.
In
quei secoli la popolazione della città si aggirò sempre attorno ai 10
000 abitanti, numero che la poneva tra le città più grandi e
importanti della Sicilia, di cui solo un migliaio erano ceramisti di
professione e diverse centinaia i chierici. La città era caratterizzata
da una fervida attività socio-culturale, specialmente da parte del suo
ceto artigianale e da parte del mondo gesuita: quest'ultimi
emersero come forza sociale e culturale della città.
Nel 1671,
a causa di una carestia, morirono circa 2 000 persone, per fame e per
stenti, mentre il 1693 è l'anno che segna una radicale svolta
per Caltagirone, così come del resto per l'intera Sicilia
orientale: un catastrofico terremoto la rade al suolo insieme ad altre
dieci città; il fatto costò la vita a circa 100 000 persone, un
migliaio nel caso della città.
Con
questo evento, Caltagirone perse quasi completamente le tracce
monumentali di stampo medioevale e tardo-rinascimentale, con
pochi esempi rimasti in piedi, posti fuori dell'allora cinta urbana
(esempio la chiesa di Santa Maria di Gesù e relativo convento).
Nonostante ciò, la pianta originaria rimase grosso modo intatta,
permettendo di ricostruire esattamente nei punti prima della distruzione
sismica, a differenza di altri centri colpiti come Ragusa o la fu Occhiolà.
Nell'arco di circa dieci anni, la città venne ricostruita con un volto
tardo-barocco, quello che oggi conserva nel suo centro storico, e quello
che oggi caratterizza la città per buona parte del suo aspetto.
Nell'epoca
contemporanea la città seguì le sorti del resto della Sicilia.
Nella costituzione
del Regno di Sicilia del 1812 la città venne individuata come
capoluogo di uno dei ventitrè distretti, mentre con la sua soppressione
e l'istituzione della costituzione del Regno delle Due Sicilie del
1820, seppur la città venne riconfermata come capoluogo di distretto,
questo era invece inglobato nell'allora neocostituita provincia di
Catania.
Il
29 maggio 1860 la città fu assediata dall'esercito del Regno delle Due
Sicilie, capitanato dal generale Gaetano Afan De Rivera, mentre
queste scappavano dalle forze garibaldine in direzione di
Catania.
Agli
inizi del XX secolo, Caltagirone fu città simbolo del popolarismo
italiano di Don Luigi Sturzo. Fu anche il simbolo del movimento
antifascista siciliano, dato che lo stesso sacerdote fu uno dei più
accesi detrattori e oppositori del regime mussoliniano, a tal punto da
doversi rifugiare fuori dall'Italia, prima a Londra e poi a New
York.
Tra
la fine del XIX secolo e l'inizio di quello successivo,
Caltagirone si caratterizzò architettonicamente di palazzi ed edifici
in stile Liberty, tra i quali spiccano Palazzo della Magnolia, il
Palazzo delle Poste di corso Vittorio Emanuele, la facciata
della Cattedrale di San Giuliano e il teatro Politeama-Ingrassia. La
città inoltre si dotò dell'illuminazione elettrica e in generale
si ammodernò nei servizi, grazie all'attività di pro-sindaco di
Don Luigi Sturzo. In questo periodo prende forma l'attuale giardino
pubblico e il cimitero monumentale.
Negli
anni venti, per via della dismissione delle miniere di zolfo, come
quella in contrada Balchino, la città subì un decremento di
popolazione, comunque modesto (circa il 10% tra il 1911 e il 1921)
rispetto ad altre città della Sicilia centrale (alcune di
queste persero dal 20 fino al 30%).
Sempre
nello stesso periodo, venne soppresso il suo circondario (come
già scritto, fu istituito a partire dalla costituzione del Regno
di Sicilia del 1812, confermato durante il Regno delle Due
Sicilie e mantenuto durante il periodo post-unitario), e perciò
la città rimase all'interno dei confini provinciali catanesi,
diversamente da Nicosia, il cui già circondario andò a costituire
l'attuale libero consorzio comunale di Enna.
Durante
la seconda guerra mondiale, Caltagirone soffrì dei pesanti
bombardamenti degli Alleati, sbarcati in Sicilia con l'operazione
Husky, i quali distrussero alcuni monumenti significativi per la città
e procurarono centinaia di vittime civili. Fu altresi l'unica città ad
esser toccata da tutti e tre i contingenti che composero lo sbarco degli Alleati (inglese, statunitense e canadese).
A
dicembre del 1945 avvenne nel territorio di Caltagirone uno tra i fatti
più importanti e decisivi della stagione indipendentista siciliana
durante la seconda guerra mondiale: una battaglia tra l'EVIS e
i Carabinieri in località San Mauro, nota appunto come Battaglia di Monte San Mauro, che provocò complessivamente 3 morti.
Dagli anni
sessanta agli anni settanta, la città subì un esodo di
popolazione verso le regioni italiane del nord (specialmente Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna)
e verso la Germania (specialmente in Baviera e
soprattutto nella Renania Settentrionale- Vestfalia), come avveniva
anche in altri centri siciliani, finché nel decennio successivo si ebbe
una nuova crescita generale, dovuta allo sviluppo dell'attività
artigianale e dell'edilizia, che rese la città soggetta a una rapida
espansione urbana, che ne aumentò considerevolmente le dimensioni del
centro abitato, poggiandolo anche sulla vallata discendente la Piana
di Gela.
Oggi
Caltagirone è un'importante destinazione turistica della Sicilia,
merito soprattutto del suo patrimonio artistico e artigianale.
Nonostante non sia un centro capoluogo, è sede di diversi presidi
pubblici importanti, tra cui il tribunale (che insieme a quello di
Ragusa e Siracusa fanno parte della Corte d'Appello di Catania) e
la Procura della Repubblica.
La
città è oggi un centro urbano di medie dimensioni all'interno del
contesto siciliano, specialmente quello interno, nel quale il suo dato
demografico e di estensione geografica risultano essere di dimensioni
considerevoli se paragonati ad altre realtà affini.
Tra
le sue risorse turistiche più cospicue vanno ricordati i musei (Museo
Regionale della Ceramica, Mostra dei Pupi siciliani, Galleria
Civica d'Arte Contemporanea e molti altri), le chiese (se ne contano più
di 50) e le ville (Villa Patti, Villa Milazzo, Giardino Pubblico
Vittorio Emanuele).
Oggi
Caltagirone è un'importante destinazione turistica della Sicilia,
merito soprattutto del suo patrimonio artistico e artigianale. Di
altissima qualità, la ceramica di Caltagirone si contraddistingue per
le armonie dei colori e l'originalità della fattura, caratterizzata
spesso dallo sfondo bianco e da una varietà cromatica giocata
sui toni del blu, del giallo e del verde. Tra i soggetti più diffusi vi
è quello delle cosiddette Teste di Moro, riferito a un'antica
leggenda che, con alcune varianti, è incentrata sulla passione esplosa
tra un giovane saraceno e una fanciulla siciliana durante la dominazione
araba. Per gelosia, o in seguito allo scandalo, i due sarebbero stati
decapitati: di qui la tradizione dei vasi, spesso a coppie, segno di
perdono per i due amanti sfortunati.
Tra
le sue risorse più cospicue vanno ricordati i musei (Museo Regionale
della Ceramica, Mostra dei Pupi
siciliani,
Galleria Civica d'Arte Contemporanea e molti altri), le chiese (se ne
contano più di 50) e le ville (Villa Patti, Villa Milazzo, Giardino
Pubblico Vittorio Emanuele).
Visitare
il centro storico
Accogliente
e vivace, Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 2002, la splendida
Caltagirone vanta una storia antichissima, che affonda le proprie radici
nell'epoca antecedente l'arrivo dei primi coloni greci in Sicilia.
L'abitato sorge in una posizione geografica particolarmente felice, tra
le fertili Piane di Catania e di Gela, su tre alture dei Monti Erei e
nei pressi della Riserva naturale orientata Bosco di Santo Pietro, vero
polmone verde in un panorama che nei mesi più caldi si fa torrido.
La
presenza di qual'at, "castello, fortezza" e gerun,
"grotte", nel suo nome lascia indovinare un passato fortemente
influenzato dalla presenza araba, fondamentale nell'avvio di una
produzione artigianale di altissima qualità, specie nel campo di quella
ceramica che fino alla fine del Seicento dava lavoro a buona parte della
popolazione, e che ancora oggi rappresenta il vanto del luogo.
Il
centro storico di Caltagirone risale ai primi anni del XVIII
secolo, in quanto venne ricostruito dopo che il terremoto del Val di Noto del 1693 distrusse la città
assieme a tutti gli altri insediamenti della Sicilia
orientale.
Per
la visita del centro storico si parte dal Museo della ceramica. Il museo è specializzato
nell'esposizione di reperti di ceramiche realizzate in Sicilia a
partire dalla preistoria.
Assieme al Museo di Faenza,
è il più importante d’Italia per la documentazione dell'arte
ceramica.
Il
Museo espone una vasta raccolta di ceramiche, circa 2.500 reperti, che
forniscono al visitatore un'ampia visione della storia dell'arte
ceramica dal IV
millennio a.C. all'età contemporanea.
Il
museo è ospitato in un edificio con costruzione datata negli anni
cinquanta, il cui ingresso è preceduto da un portico ad arcate
sostenute da pilastri e colonne.
Nel 1965,
venne inaugurato come sede museale, dopo interventi di restauro.
L'itinerario
di accesso è in via Roma, l'antica strada regia Maria Carolina, aperta
nel Settecento per creare un collegamento tra la parte vecchia della
città e la zona nuova di Santa Maria del Gesù. Il percorso di via
Roma, che fiancheggia il Giardino pubblico, è delimitato da una
balaustra con raffinate e fantasiose decorazioni in maiolica che
accompagnano il visitatore fino al Teatrino, una scalinata a terrazza
decorata con mattonelle in ceramica del Settecento (ideata
dall'architetto siracusano Natale
Bonajuto); in cima ad essa si erge il Museo della Ceramica.
Il
Museo s'articola in sette sezioni:
-
Sala didattica: offre una panoramica della produzione ceramica dalla
preistoria ai nostri giorni. Di rilievo un cratere del V
secolo a.C., decorato a figure rosse, che raffigura la bottega di
un vasaio al lavoro sotto protezione della dea Atena che
fu ritrovato all'interno di una fornace attiva a Caltagirone in età
greca.
-
Ceramica preistorica,
protostorica, sicula, siceliota, greca e bizantina.
La sala espone molti manufatti dell'eneolitico provenienti da
Sant'Ippolito, quali il vaso mistiforme e la fiaschetta, dalle contrade
Angelo, Moschitta, Balchino e da località al di là del Salso.
Inoltre è visibile la grande tomba del V secolo a.C. rinvenuta in via
Escuriales ed il chiusino tombale in calcare con sfingi attergate e
scena di danza funebre in rilievo, trovato nella necropoli di
Monte San Mauro, del VI
secolo a.C. Vi sono esposte inoltre ceramiche greche a
figure nere e rosse, terracotte ellenistiche e vetri romani della
collezione Russo-Perez.
-
Patio riservato ai modellini di forni medievali. Sono visibili le
riproduzioni in scala di due delle quattro fornaci medievali rinvenute
nel 1960 ad Agrigento (modellini
del prof. Antonino Ragona). La prima fornace è del periodo normanno, la
seconda d'epoca angioino-aragonese.
-
Ceramica medievale. Nella sala sono esposte ceramiche siculo-arabe e
normanne dal X al XV secolo. Fra le più antiche quelle ben documentate
rinvenute ad Ortigia,
nell'area del Tempio d'Apollo, dove si trovavano fornaci per la
produzione ceramica in età medievale. Da notare: una ciotola del X
secolo, con invetriatura piombifera e decorazione dipinta in
giallo, verde e bruno; ciotole in protomaiolica decorate in bruno e
verde o in policromia del XIII
secolo, ed un terzo gruppo decorato in bruno del XIV
secolo; e poi brocche, anfore e boccali. Le brocchette sono
dotate di un particolare filtro all'attacco del collo, forse per le
impurità dell'acqua dei pozzi. Nei reperti a partire dal XV
secolo l'invetriatura del rivestimento delle ceramiche
diviene più brillante e corposa, assumendo le caratteristiche dello smalto.
Da questo secolo vengono definite maioliche.
Di tale periodo sono ciotole decorate in monocromia in blu con
motivi fitomorfi, piatti decorati in blu e lustro con motivi floreali.
-
Ceramica rinascimentale. Sono esposte maioliche per la mensa o per la
conservazione dei cibi e decorate in blu, blu e verde o
blu e giallo,
prevalentemente di produzione di Caltagirone; coppe e ciotole con motivi
vegetali e floreali e numerose maioliche del XVII
secolo.
-
Ceramica barocca. Si trovano anfore da sacrestia e acquasantiere con
applicazioni plastiche, del XVII
secolo con soggetti vegetali, animali e piccole figure di
santi.
-
Grande sala con panoramica di tutta la maiolica siciliana dal XVII al XIX
secolo. Nelle vetrine pregevoli vasi,
albarelli, bombole che raffigurano angeli,
santi, stemmi e
profili femminili. Pregevoli lucerne antropomorfe
e maioliche con decorazioni in smalto blu turchino.
Inoltre pavimenti maiolicati, grandi vasi ornamentali in maiolica e
mattonelle segnaporta smaltate. Ed originali scaldamani in maiolica del XVII
secolo a forma di pesce o
di tartaruga.
Infine, ceramiche d'autore, fra cui le terrecotte settecentesche di
Giacomo Bongiovanni (1772-1859): la Natività, la Bottega del
Ciabattino, lo Zampognaro e i Suonatori Ciechi. Il
presepe di Giuseppe Vaccaro Bongiovanni ed il gruppo in terracotta
raffigurante una lite fra nuora e suocera. Completano l'esposizione
altri gruppi figurati di Giuseppe Vaccaro e di Giuseppe Failla, in
particolare l'opera raffigurante San
Giacomo Maggiore Apostolo.
Il
Museo della Ceramica fornisce anche un servizio didattico di
approfondimento, con l'uso di apparecchi audiovisivi e multimediali.

La Villa
Vittorio Emanuele è un giardino pubblico tra i più estesi della
Sicilia e si trova alle spalle del Museo
della Ceramica, nell'estrema propaggine meridionale del centro
storico della città.
Vi si
può accedere dal Teatrino, mediante due rampe di scale, da via Roma,
dove si trova l'ingresso principale a fianco del Teatro Politeama, e dal
viale principessa Maria José.
Il
giardino, su modello dei parchi inglesi, è opera dell'architetto Giovan
Battista Filippo Basile. La realizzazione di una villa comunale
sull'area della cosiddetta "silva di San Francesco",
parzialmente occupata da una collinetta, iniziò nel 1846.
La
progettazione dell'ingresso in stile
liberty, caratterizzato da un'insolita cancellata - tra fasci di
canne palustri dove s'indovinano piccoli pesci, uccelli acquatici e
rettili - alternata a pilastri, è opera dell'architetto Saverio
Fragapane.
I
giardini sono caratterizzati dalla presenza di numerose essenze floreali
e botaniche, viburni, lentischi, bossi, ligustri, pittosfori, acacie,
alberi di Giuda, frassini, casuarine. Un magnifico esemplare di Cedrus
atlantica che supera i 16 metri di altezza è stato incluso tra gli
alberi monumentali d'Italia.
All'interno,
lungo i viali, si trovano vasi in terracotta realizzati dalla bottega Bongiovanni
Vaccaro, maioliche di Giuseppe
Di Bartolo e terrecotte ornamentali di Gioacchino
Ali, Gesualdo
Vittorio Nicoletti e Enrico
Vella.
Nel
piazzale centrale è in grande evidenza il palco musicale in stile
moresco con rivestimento in maiolica policroma
realizzata dalla I.P.A.C.
Nella
parte inferiore si può ammirare una delle vasche della Fontana
della Flora dello scultore ed architetto fiorentino Camillo
Camilliani del XVI
secolo.
Se si
opta per l'ingresso di viale principessa Maria José si scende per una
duplice scalinata alla base della quale si possono ammirare due pannelli
maiolicati di Gianni
Ballarò e, racchiusa in una nicchia, una bella statua di Cerere opera
del plasticatore Nicolò Barrano, in tema con la decorazione dei
pannelli, che rappresenta quasi un inno alla natura.
Di
fronte all'ingresso si può ammirare una gradevole balaustra in
ceramica, realizzata nella seconda metà del Novecento dal
ceramista Gesualdo
Vittorio Nicoletti, che circonda il giardinello antistante la ex
caserma dei Carabinieri,
oggi sede del Museo della Fotografia e di esposizioni temporanee.
Nei
confini della villa è anche presente la ex-biblioteca comunale,
pregevole esempio di architettura Liberty su
progetto di Ernesto
Basile, oggi sede del Museo
internazionale del Presepe.
Di fronte all'ingresso del Museo si
trova il Monumento ai Caduti, realizzato in bronzo
dal palermitano Antonio
Ugo. Poco oltre sulla destra, in via Gueli, si può
ammirare la casa di uno dei più grandi artisti della maiolica calatini,
Benedetto
Ventimiglia, con una scenografica balconata ed un bel
portale finemente decorato, naturalmente in ceramica
settecentesca.
Inoltrandosi nell'attigua via omonima, degna di nota è la chiesa di San
Pietro.
La
chiesa venne restaurata a seguito del terremoto del 1693: nella seconda
metà dell'800 su progetto dell'arch. Gaetano Auricchiella, venne
realizzato il prospetto in stile neogotico rivestito in maiolica
policroma ad opera del ceramista Giacomo Arcidiacono.
La
facciata presenta una porta in bronzo opera del Calatino Gaetano
Angelico, inaugurata l'8 dicembre 1987, sormontata da una vetrata a
colori che ritrae la pesca miracolosa. Alla facciata vennero affiancate
le due torri capanarie. In uno dei campanili fu collocato un orologio di
Pietra Bianca che nel 1944, a spese di un facoltoso agricoltore fu
sostituito da un altro orologio di torre.
L'interno,
ad unica navata con abside, presenta una volta decorata da stucchi ed
affreschi, di Giuseppe Vaccaro, che rappresentano episodi della vita di
San Pietro e nei peducci della cupola raffiguranti i quattro
Evangelisti. L'abside conserva ancora l'antico altare maggiore con
tabernacolo di marmo policromo intarsiato sormotato da un grande
Crocifisso ligeo.
All'interno
della chiesa sono presenti statue in legno di San Pietro, di San Vito,
del Cristo Apassionato, di autori ignoti, e la statua della Madonna con
Bambino di Antonino Ragona del 1946.
È da questa chiesa che la domenica di Pasqua,
nelle ore pomeridiane, parte la caratteristica processione denominata 'A
Giunta, cioè l'incontro fra Gesù
e la Madonna,
che ha come protagonista una gigantesca statua di San
Pietro. I fedeli salutano al grido "Viva
Maria" il loro santo che annunzia a Maria la resurrezione di Cristo
portato in trionfo. È una delle feste più sentite.
A
pochi passi, sulla sinistra, s'incontra il Teatro Politeama, in stile
liberty Il teatro fu
costruito nel primo decennio del Novecento ad opera di Saverio
Fragapane, e che venne inserito nel Piano Regolatore presentato dal
pro-sindaco Don Luigi
Sturzo nel 1907. Il teatro si trova in corrispondenza con
l'ingresso monumentale del Giardino Pubblico Vittorio Emanuele. Esso
costituisce il fulcro della vita culturale e artistica della città. Il
teatro funge anche da sala cinematografica, munito di più sale.
Più avanti, sempre sulla sinistra, si apre
Piazza Marconi sulla quale si ergono il recente Monumento a Luigi
Sturzo e la chiesa di San
Francesco di Paola, dallo splendido portale in bronzo
realizzato dallo scultore Mario
Lucerna, con l'annesso ex-convento.
Venne edificata nel 1593 come completamento dell’opera di
rifacimento della chiesetta di Sant’Antonio Abate e del convento
annesso abitato per alcuni anni dai Padri Domenicani.
Il
terremoto del 1693 non causò gravissimi danni alla struttura: rimasero
in piedi il prospetto gaginesco e quello laterale sinistro dove si può
ancora ammirare una nicchia con una figura in pietra del santo che reca
la data del 1625.
La
chiesa, eretta parrocchia solo nel 1926, ha subito diverse modifiche,
anche strutturali, che ne hanno ormai compromesso l’armonia originale.
Al suo interno accoglie quadri e arredi sacri provenienti da altre
chiese nel frattempo chiuse al culto o addirittura demolite. All'esterno, sul lato destro, un pannello in ceramica raffigura San
Francesco di Paola.

Proseguendo
sulla via Roma si giunge al monumento bronzeo dedicato a Gualtiero
da Caltagirone, dello scultore Giacomo Baragli, e ad un piazzale su cui si erge la chiesa
di San
Francesco d'Assisi all'Immacolata.
La chiesa
di San Francesco d'Assisi all'immacolata, o semplicemente chiesa
dell'Immacolata, insieme all'ex convento dell'Ordine dei frati minori
conventuali, costituisce un polo monumentale ubicato in Piazza San
Francesco d'Assisi - nei pressi del ponte omonimo.
La
tradizione locale indica in San Francesco d'Assisi il fondatore
dell'istituzione conventuale calatina. Nel 1219, Francesco si recò ad
Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e Palestina, dove da due
anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in
occasione dell'assedio crociato alla città egiziana di Damietta incontrò
il sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino.
Pertanto è verosimile che durante il transito d'andata o di ritorno, il
Serafico abbia effettuato delle tappe e soste in terra di Sicilia
fondando conventi.
La
primitiva struttura era originariamente consacrata a San Michele
Arcangelo. Edificata in forme gotiche nel 1236 da uno dei più devoti
seguaci di San Francesco, il beato Riccardo, assunse il titolo di
San Francesco all'Immacolata, dal momento che i religiosi dell'Ordine
dei frati minori conventuali vi introdussero ed incrementarono le
devozioni verso il Padre Serafico e per la Vergine Maria sotto il titolo
di Immacolata Concezione.
Modificata
nel XVI secolo, nei suoi cantieri lavorarono a partire dal 1592 alcuni
esponenti dei Gagini: Antonuzzo e Giandomenico
Gagini junior. Il vicino ponte di San Francesco, costruito nel 1626 - 1666 e
successivamente decorato da maioliche, collega la collina del convento
con il piano di San Giuliano.
Ricostruita
dopo il terremoto del Val di Noto del 1693 in stile barocco
sui resti della precedente chiesa. Dell'originaria struttura gotica
conserva una cappella con volta a crociera.
Non si
conosce il nome di chi progettò per primo la nuova facciata subito dopo
il sisma con quattro nicchie ospitanti figure di santi francescani,
tuttavia già nel 1727 furono incaricati gli architetti catanesi Tommaso
Amato e Francesco Battaglia di completarla "di tutto
punto", compresi i quattro tabelloni con simboli mariani. Le
quattro raffigurazioni contornavano la nicchia per la statua
dell'Immacolata Concezione scolpita dal palermitano Giovanni
Travaglia nel 1627 e posta originariamente su un piedistallo
davanti alla chiesa.
Nel
1807, fu realizzata nella facciata la piccola abside con cupolino.
Completata con il campanile nel 1852 e la cupola, rimasta incompiuta.
I
bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale nel
pomeriggio del 9 luglio 1943 hanno arrecato danni nelle strutture
conventuali.
In
funzione del caratteristico prospetto e delle opere custodite, l'intero
aggregato monumentale è stato recentemente inserito nel patrimonio
storico - artistico appartenente al Fondo edifici di culto.
Si
accede al sagrato attraverso una scalinata a ventaglio, un
paio di metri separano il piano stradale dallo spiazzo sacro delimitato
da pilastrini e ringhiera in ferro battuto. Ulteriori rampe raccordano
il piano antistante i varchi d'accesso col piano di calpestio interno
del tempio. Dei tre varchi primitivi sono rimasti attivi il grande
portale centrale e il portalino sinistro, l'ingresso destro è stato
trasformato i cappella absidata.
La
parte monumentale del prospetto è costituita dalla partizione interna
compresa fra i due spioventi laterali limitati - questi ultimi - al
primo ordine. Cornicioni - marcapiano con dadi
aggettanti in corrispondenza delle colonne più avanzate, ripartiscono
in prospetto in tre livelli chiusi da un lunettone sommitale (doppio
timpano ad arco sovrapposti, spezzato quello aggettante). Sull'asse
mediano verso l'alto si alternano il portale, la nicchia
dell'Immacolata, il grande finestrone con cornice e lo stemma
dell'ordine.
I
grandi altorilievi dei quattro quadranti sono delimitati da colonne di
fondo e colonne aggettanti collocate su alti plinti, ornate da capitelli
dorici al primo livello e capitelli corinzi al secondo.
Al terzo livello grandi volute con riccioli raccordano l'ultimo
cornicione, festoni di volute, riccioli e vasotti fiammati completano la
decorazione, una croce apicale in ferro battuto chiude la prospettiva.
La
facciata rivolta ad occidente si presenta a due ordini su cui
campeggiano sculture - stemmi sostenuti da putti e decorati con festoni
fitomorfi e foglie d'acanto - riproducenti gli elementi della simbologia
mariana: in basso da sinistra la Palma, in senso orario la Torre
di Davide, la Porta del cielo e l'albero di Cedro. Al
centro, nella nicchia sopra l'ingresso, la statua raffigurante
l'Immacolata Concezione. In alto, nella lunetta campeggia
l'emblema araldico francescano raffigurante il braccio di Cristo
incrociato con il braccio manicato di San Francesco con la croce sullo
sfondo, entrambi con le mani mostranti le stimmate.
La
cupola è sprovvista della calotta e del lanternino che non furono mai
realizzati dopo il rovinoso crollo, avvenuto nel corso dei lavori di
completamento il 24 novembre 1702. Sul tamburo si aprono otto finestroni
ad arco delimitati da colonne e lesene, sul cornicione dall'articolata modanatura,
ad ogni coppia di capitelli corrisponde una coppia di sfere in pietra
bianca.
Il
campanile svetta agile accanto alla cupola, costruita nel 1852 nella
sola cella campanaria su progetto dell'architetto caltagironese
Salvatore Marino. Le quattro monofore dono delimitate da lesene
scanalate con capitelli ionici, a loro volta sormontate da timpani a
triangolo. Il cupolino e percorso da caratteristiche nervature radiali,
lanternino con pinnacolo. La cella campanaria è decorata ai vertici con
coppie di pinnacoli ad obelisco e sfera sommitale. Tutte le decorazioni
sono dotate di puntali e banderuole segnavento.
Tracce
dell'edificio del XIII sono presenti all'interno nella sagrestia, a
sinistra dell'abside.
Internamente sono custodite numerose tele dei fratelli
Vaccaro, una statua lignea di Sant'Antonio
del 1677, rivestita in argento,
ed un grande pannello in maiolica di Antonio Ragona, raffigurante il presepio con san
Francesco.

Tornati
sulla via Roma, si giunge in breve ad una delle opere architettoniche più
interessanti di Caltagirone, il Ponte di San Francesco. Decorato
con bellissime ceramiche in rilievo, costruito nel 1626 da Orazio
Torriani per collegare due delle tre colline su cui sorge la città fu
ultimato nel 1665 dall’architetto Bonaventura Certò da Messina.
Poggia le sue fondamenta nelle sottostanti vie Infermeria e Porta
Veneto, presenta 5 arcate di cui una sola aperta.
Nel
1776, in occasione dell’apertura della via Carolina (l’attuale via
Roma) il ponte, originariamente con due arcate, fu ampliato con altre
due arcate cieche ad opera dell’architetto Francesco Battaglia al fine
di ampliarne l’imboccatura meridionale.
Sulla destra
si fa notare il Palazzo Sant'Elia,
uno
degli edifici privati più importanti della città. Fu costruito nel
XVIII secolo su pregetto dell'architetto Natale Bonaiuto. Il palazzo
mostra diversi elementi di chiara influenza barocca e si trova in una
posizione altamente suggestiva: un lato è visibile dal ponte di San
Francesco, in quanto l'ultimo piano sovrasa il livello del ponte stesso.

Oltrepassato il ponte, ci si trova in pieno centro storico; subito,
sulla sinistra, si staglia la massiccia mole dell'ex Carcere
Borbonico.
Fu costruito, tra
il 1782 e il 1798, dall'architetto siracusano Natale Bonaiuto, nel luogo
in cui sorgevano le officine dei ceramisti ai quali venne assegnato in
cambio, per la costruzione delle nuove officine, un terreno a S. Orsola.
La
necessità di costruire questo nuovo edificio carcerario si presentò in
seguito al terremoto dell'11 gennaio 1693 che distrusse completamente il
vecchio castello arabo-normanno, parzialmente adibito a carcere. Si
tratta di un edificio severo a pianta quadrata, di grande mole, molto
compatto e tuttavia elegante, perché alleggerito dall'inserimento
dell'ordine gigante, posto su basamento bugnato, e dalle volute delle
finestre che, con il loro chiaroscuro, disegnano e scandiscono il ritmo
della facciata. Questa è coronata da un cornicione con, al centro, lo
stemma della città.
L'edificio ha un elegante androne e
custodisce una preziosa porta bronzea del XVI
secolo.
L’edificio
rappresenta un raro esempio di tipologia carceraria settecentesca ed è
stato testimone di importanti eventi storici come, ad esempio, i tumulti
contro i giacobini a seguito dei quali furono rinchiusi in esso molti
nobili calatini.
Rimase
destinato a carcere fino al 1890; in seguito, nel 1899, fu adibito a
monte di pietà, subendo gravi manomissioni; infine è diventato sede
del Museo Civico la cui fondazione ufficiale, nel 1914, si fa risalire
all'opera di don Luigi Sturzo.
Il Museo comprende una sezione archeologica,
una pinacoteca
ed una raccolta storica d'oggetti ed opere di vario genere appartenenti
ad epoche diverse. Vi si possono ammirare, fra gli altri beni, lo
storico fercolo di San
Giacomo, pergamene medievali e moderne, una pisside
in argento del 1588
ed una pregevole balestra
medievale riccamente intagliata.

Sullo stesso piazzale del Museo Civico
sorge la chiesa di Sant'Agata.
La Chiesa di
Sant’Agata, si colloca all’interno del tessuto urbano del centro
storico di Caltagirone, nelle immediate vicinanze delle piazze Umberto I°
e Municipio, essa è prospiciente sul lato nord al Carcere Borbonico, il
suo prospetto principale rivolto ad est si affaccia su un piccolo slargo
sulla via Roma, ad ovest è adiacente ad altri edifici, mentre a sud e
prospiciente la omonima Discesa Sant’Agata.
La
chiesa è stata eretta nel 1576 su richiesta di Gilberto
Isfar y Corillas, vescovo di Siracusa. Nel 1776,
l'architetto Natale Bonaiuto effettuò una ristrutturazione parziale
dell'edificio.
Nel 1883 il
decano Antonio Zafferana, rettore della chiesa, l’arricchì di nuovi
stucchi e di un nuovo altare maggiore in marmo. Essa, con elegante
prospetto barocco di pietra intagliata, è rivolta a settentrione.
La
facciata è caratterizzata dalla presenza di un portale con timpano, e
sovrastante ampia apertura, vi sono due lesene poste alle estremità del
prospetto definite alla loro sommità dal cornicione, al di sopra del
quale è posto un campanile in pietra arenaria triforo decorato da
inserti a buglia maiolicati.
La
chiesa è costituita da una unica navata centrale, coperta da una volta
a botte con “unghie” in corrispondenza delle aperture laterali; la
pianta rettangolare si sviluppa da est verso ovest a raggiungere
l’area absidale. Sui rispettivi due lati, sono posti tre altari
laterali in legno; mantre sul portale di ingresso è presente una
balconata per il coro.
Il
presbiterio, rialzato da due gradini rispetto alla navata, un altare
maggiore marmoreo policromo.
Il
suo interno, ad unica navata, è decorato di stucchi e di altari
marmorei, ornati delle tele ad olio della Madonna della Lettera,
donata dal senato messinese a quello di Caltagirone nel 1799, di San
Giacomo Maggiore, di Sant'Anastasia vergine e martire, di San
Paolino da Nola ed ancora delle statue di terracotta della Madonna
di Lourdes e di Santa Bernadette Soubirous, collocate
sull'altare maggiore dal 1917 e di quella lignea di
Sant’Agata.
Sono
inoltre degne di nota: l’acquasantiera di marmo, datata 1610, di Giandomenico
Gagini junior, una lastra ovale di maiolica con epigrafe, che ricorda la
benedizione della chiesa, avvenuta il 24 gennaio 1792.
Negli
anni 1924-1925 la chiesa fu restaurata dall’attivo rettore, il can.
Francesco Traversa, da San Michele di Ganzaria, esperto d’arte, che vi
costituì la Pia Unione dell’Immacolata, aggregata alla primaria del
Santuario di Lourdes, con le indulgenze ed i privilegi del 15 febbraio
1915. Ne fu rettore, prima del Traversa, il padre crocifero Giacomo
Cona; e dopo ricordiamo i canonici Salvatore Busà, mons. Costantino La
Magna, mons. Mario Messina e l'attuale don Innocenzo Mangano.
Tra
il 2015 ed il 2016 è stato eseguito un intervento alle coperture a
falda, alla volta della navata ed al consolidamento delle centinature
lignee, ai prospetti, ed alla collocazione di idoneo sistema anticaduta
di protezione collettivo – linee vita.
A
pochi passi da qui, la via Roma sfocia nell'antico Piano di San Giuliano
(attuale Piazza Umberto I) che in età normanna prese nome dalla
chiesa di San
Giuliano.
La meravigliosa Cattedrale
di San Giuliano è il più importante edificio religioso
della città ed è situata nel cuore del suo centro storico,
parecchio rinomato per ospitare numerosi punti d’interesse di forte
attrazione per i turisti. Oltre ad essere un monumentale edificio che
chiama all’attenzione tutti gli appassionati di architettura, in
quanto diversi tratti che richiamano lo stile Barocco
Siciliano l’arte Normanna,
svolge un ruolo molto importante nel culto locale, proprio perché al
suo interno sono custodite le reliquie
di Beata Lucia da Caltagirone, unica Beata, di questa città,
ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa Cattolica, a cui sono attribuiti
diversi miracoli.
La
primitiva chiesa di San Giuliano, secondo la tradizione, è stata
edificata in epoca normanna con annesso campanile, ad una sola
navata decorata di stucchi arabo - normanni e con l'abside rivolta ad
oriente. Il tempio è datato al 1282, in piena età aragonese,
grazie all'iscrizione che era posta sull'architrave d'ingresso, dove era
riportato il nome dell'architetto Magister Gofredus. In questa
data, verosimilmente, avvenne una delle prime riedificazioni
documentate: altre ricostruzioni avvennero dopo il terremoto nel
Val di Noto, Anno Domini 1542 e dopo il terremoto del Val di
Noto del 1693.
Semidistrutto
dal terremoto del 30 novembre, 10 dicembre 1542, fu prontamente
restaurato, ad eccezione della sommità della torre campanaria, che
rimase dimezzata e sulla quale nel 1575, il Consiglio dei Giurati fece
installare un orologio.
I
giurati il 23 aprile 1582 deliberarono d'elevare un nuovo tempio più
ampio e più bello nello stesso sito, con prospetto rivolto ad oriente,
affidandone l'incarico all'architetto Francesco Zagarella da
Ragusa, coadiuvato dall'architetto messinese Giacomo Firini, laico
gesuita. I lavori, iniziati nel 1598, si protrassero al punto di
affidare nel 1627 l'incarico di un nuovo progetto all'architetto Simone
Gullì.
La
nuova chiesa di San Giuliano, costruita a croce latina con tre navate, a
distanza di 60 anni, non resistette al catastrofico terremoto del 9 e 11
gennaio 1693, che sconvolse tutta la Sicilia orientale, che rovinò al
suolo l'antico campanile, crollarono le volte dei soffitti e la stessa
cupola.
Per
la ricostruzione in stile toscano nelle forme attuali fu dato incarico
all'architetto agrigentino Simone Mancuso, coadiuvato dal
costruttore ed intagliatore palermitano Giuseppe Montes. Fu
eliminata l'antica chiesa normanna, che l'architetto Gullì aveva
conservato nell'interno, si servì di nuove e più alte colonne di
pietra bianca per sorreggere le volte e la grande cupola, riprese dalle
fondamenta un nuovo ed elegante prospetto, con sovrapposto campanile a
trifora, che fu ultimato nel 1756. Si pavimentò il piano di calpestio
con piastrelle bianche di maiolica.
Nella
seconda metà del '700, furono ornate le pareti esterne di due artistici
portali in pietra, progettati dall'architetto Natale Bonaiuto da
Siracusa. Nel 1773, come riportato da un'epigrafe posta su una delle
porte minori del prospetto, il Comune fece sostituire l'orologio, che
era stato sistemato sulla porta centrale, rimosso il vecchio ne fu
collocato uno più "esatto" a spese della pubblica cassa, ad
utilità dei cittadini.
Nei
primi decenni dell'800 per volere del primo vescovo monsignore Gaetano
Trigona e Parisi, gli interni furono stilisticamente rivoluzionati,
tutte le colonne in stile toscano furono inglobate in massicci pilastri
di stile corinzio, furono commissionati all'architetto palermitano Emanuele
Di Bartolo, il quale progettò tutta la decorazione di stucchi e
pitture, coadiuvato dagli stuccatori Gaetano Signorelli siracusano, ed Agostino
Perez palermitano, e del pittore e scultore Giuseppe Vaccaro.
Si
devono a monsignore Benedetto Denti il rivestimento marmoreo
dell'altare della Madonna della Mercede, il ripavimentazione in
marmo bianco, e la costruzione di un piccolo soglio vescovile di legno.
Il
12 settembre 1816 papa Pio VII con la bolla pontificia Romanus
Pontifex eresse la diocesi di Caltagirone ed elevò la
chiesa di San Giuliano a cattedrale, mentre dal 1948 è stata
ulteriormente elevata a Basilica
Minore.

La
Cattedrale di San Giuliano mostra una facciata di due soli ordini, col
secondo che si sviluppa solo in conseguenza del corpo centrale
dell’edificio. L’ordine inferiore presenta ben tre portali
d’ingresso che permettono l’accesso alle tre navate interne, mentre
nell’ordine supere figura una scenografica finestrata, sul cui sfondo
si può notare la splendida cupola
rivestita con la Ceramica di Caltagirone.
Sulla
sinistra della Cattedrale di San Giuliano è posto uno scenografico campanile,
48 metri d’altezza che culminano nella cella campanaria posta alla sua
sommità.
Le
tre navate poste all’interno della Cattedrale di San Giuliano sono
separate da particolari colonne che sono circondate da un bellissimo stile
neoclassico, con stucchi e affreschi presenti sia nelle pareti
laterali che sulla volta della navata centrale.
L'interno della cattedrale custodisce numerosissime opere, alcune delle
quali degne di nota: gli affreschi della volta, realizzati dai Vaccaro,
il coro ligneo settecentesco, quattro antichi sarcofagi marmorei, una
scultura raffigurante il Cristo morto opera di Giuseppe Vaccaro, un
Crocifisso ligneo risalente agli inizi del Cinquecento.
Notevole la Cappella del SS. Sacramento per la ricchezza delle
decorazioni. Sono visitabili anche il Tesoro della Cattedrale e l'Aula
Capitolare.
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