Caltagirone
(Catania)

 

Centro urbano situato tra la Sicilia centrale e quella orientale, è famoso per la produzione della ceramica. È stata per oltre due millenni un punto strategico di controllo per molti popoli che controllavano le piane di Catania e di Gela, tra cui bizantini, arabi, genovesi e normanni. È anche un rilevante centro agricolo, per via delle sue estese campagne.

Il centro storico è stato insignito del titolo di Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 2002, facente parte del consorzio del Val di Noto.

Sin dall'antichità la località fu scelta per la sua posizione privilegiata, che essendo sullo spartiacque che divide le due più vaste pianure della Sicilia, la Piana di Gela e la Piana di Catania, le consentiva di controllare e difendere un vasto territorio.

I primi insediamenti stabili nel territorio dell'odierna Caltagirone risalgono alla preistoria. Il più antico insediamento del territorio finora noto è il Riparo Cafici, nella valle di Terrana, risalente al Paleolitico superiore o al primo Mesolitico. Gli scavi archeologici effettuati in contrada Sant'Ippolito – alle sorgenti del fiume Caltagirone – hanno portato alla luce i resti di un villaggio neolitico abitato ininterrottamente sino all'arrivo dei Greci.

Poco distante, in contrada Montagna, vi è una vasta necropoli risalente alla tarda età del bronzo. Vi sono presenti delle tombe a tholos.

Sulle colline che dominano la vallata del fiume Maroglio si trova il grande centro prima indigeno e poi greco di Monte San Mauro con resti di edifici tra i quali un anaktoron.

Altri insediamenti preistorici si trovano nelle contrade Moschitta, Paradiso, Piano dell'Angelo e nella stessa Caltagirone.  

Scavi archeologici nell'intero territorio cittadino hanno dimostrato una presenza certa dei greci nel territorio di Caltagirone, seppur questa presenza non sia stata in continuità con la storia della città. Precedentemente alla presenza greca, è molto probabile che nel territorio si siano installati dapprima i sicani, e successivamente i siculi.

Data la posizione centrale, è possibile che, durante la dominazione greca della Sicilia, l'attuale territorio complessivo di Caltagirone fosse un territorio di confine tra la sfera di influenza dei rodio-cretesi di Gela e quella dei calcidesi: è accertabile il fatto che vi fossero insediamenti calcidesi  – come nel caso del centro di Monte San Mauro o di un fortificato di contrada Montagna. Sempre tenendo conto della posizione del territorio caltagironese, è attestato che gli insediamenti lì posti avessero contatti commerciali con diverse póleis siceliote, tra le quali la prossima Gela, Selinunte e Siracusa. 

L'area archeologica più documentata è quella di Monte San Mauro, dove con molta probabilità si installarono coloni di provenienza mista sotto legge calcidese, i quali si sarebbero installati in pre-esistenti villaggi siculi (forse coabitando con essi) o avrebbero costituito una colonia ex novo: questa sarebbe identificabile con Euboia, subcolonia di Leontinoi. La stessa San Mauro potrebbe avere come identificazione alternativa come insediamento sotto il dominio di Gela, seppur in stretto contatto col mondo calcidese. Molto probabilmente, il centro ebbe fine a causa di una distruzione dolosa: una delle possibili ipotesi rimanda all'avanzata di Ippocrate verso la costa ionica, ossia quella che lo condusse alla conquista delle importanti città di Naxos, Callipoli, Leontinoi, Zancle e Katane.

Durante l'età moderna, gli studiosi locali del tempo, della Compagnia di Gesù per commissione del senato locale a fini di prestigio, insisterono nella correlazione tra la città e Hybla Geleatis, la quale però rimanderebbe alla vicina Gela.

La presenza dei romani e dei bizantini nel territorio è grosso modo dimostrata – sono state rinvenute necropoli bizantine nelle contrade Cotominello e Racineci, nonché di un sistema di canalizzazione in contrada Rocca –, seppur le tracce della loro permanenza siano decisamente più sparute di quella greca o sicula, nonché meno rilevanti.

L'espansione vera e propria dell'abitato, il fiorire della sua economia e in generale la nascita della città come oggi è conosciuta e localizzata sono probabilmente avvenute durante il periodo altomedievale, da parte di coloni provenienti dal Genovesato, molto probabilmente dell'areale di Savona: da ciò si presume lo sviluppo della leggenda secondo cui dei genovesi sbarcarono presso Camarina e si addentrarono nel territorio di Caltagirone, liberandola dalla presenza musulmana.

Detto ciò, è molto probabile che i liguri fossero il primo popolo a latinizzare religiosamente e linguisticamente il territorio di Caltagirone, più o meno contemporaneamente ai coloni delle altre aree d'Alta Italia arrivati con Adelasia del Vasto nel resto della Sicilia centro-orientale, come nell'esempio del centro limitrofo di Piazza Armerina.

Nel 1154 Edrisi, il celebre geografo arabo alla corte di Ruggero il Normanno, descrive così Qal'at al-Genūn (Castello dei Genovesi): "Il castello di Caltagirone sorge imponente sulla vetta di un monte inaccessibile; nel suo territorio si estendono campi coltivati a perdita d'occhio."

La fiorente comunità ligure diede manforte al conte Ruggero contro i musulmani durante l'assedio della Rocca di Judica. Quest'aiuto valse alla città di Caltagirone gli estesi possedimenti dei territori di Fetanasimo (l'attuale insieme del Bosco di Santo Pietro e Sughereta di Niscemi), Regalsemi e Camopietro (detta anche Judica, che coincide con i comuni di Ramacca, Raddusa e Castel di Iudica) ed è all'origine della ricchezza feudale della città, la quale si protrasse fino agli albori della modernità.

Nonostante la natura lombarda della città  – si presume che la città si sia progressivamente disallineata politicamente rispetto a queste, nel XIII secolo Caltagirone partecipò alla rivolta contro gli Angioini nei Vespri siciliani, avendone espresso una delle figure principali, il nobile Gualtiero di Caltagirone, che sollecitò l'avvento di re Pietro d'Aragona nel corso dell'assedio di Messina. Deluso nelle sue aspettative dal nuovo monarca, Gualtiero cospirò contro di lui e fu per questo decapitato in Piazza San Giuliano nel 1283.

In seguito allo sviluppo dell'artigianato e del commercio, legati alla produzione della ceramica e positivamente influenzati dalla posizione geografica interna ma affacciata alla costa mediterranea, nacque una classe di ricchi commercianti che si stabilirono provenendo anche da altre parti d'Italia.

Lo sviluppo di cui godette la città è ravvisabile in special modo nella struttura del centro storico, che presenta diversi edifici sacri e pubblici di valore artistico, la cui costruzione e il cui rifacimento fu affidato, com'era in uso, a famosi architetti ed artisti dell'epoca.

Durante il XV secolo, pur avendo subito un fenomeno considerevole di emigrazione verso la vicina Eraclea attestato nel 1474, la città nel complesso si sviluppò demograficamente, a tal punto da conferirle una certa importanza complessiva nel Regno: a tal proposito, nel 1458 si tenne il pubblico Parlamento di giuramento verso re Giovanni II di Aragona. Nel 1496 la città, sempre da parte del medesimo sovrano, viene promossa da terra demaniale a città, con il titolo di Urbs Gratissima.

Nel XIV secolo a Caltagirone viveva una piccola comunità ebraica stabilitasi in una zona vicino al quartiere San Giuliano, che prende il nome di Via Iudeca o Zona Miracoli. Gli ebrei si dedicavano all'artigianato (in particolare nel settore tessile), molte famiglie della comunità ebraica finirono con l'assumere alcuni cognomi tipici (come per esempio Alba) e a cimentarsi nelle attività creditizie. Si attesta il fatto che ve ne fossero un centinaio in città.

Nel 1492 la dominazione spagnola decretò la scomparsa degli ebrei in Sicilia, e perciò la città fu colpita duramente nella sua vita economica e culturale.

I secoli XV e XVII furono l'epoca aurea della Città della ceramica, che allora si arricchì di chiese, palazzi nobiliari, istituti, collegi e conventi. Nacque pure l'università (sotto la Compagnia di Gesù) nella quale si insegnavano giurisprudenza, filosofia e medicina, nonché un ospedale.

In quei secoli la popolazione della città si aggirò sempre attorno ai 10 000 abitanti, numero che la poneva tra le città più grandi e importanti della Sicilia, di cui solo un migliaio erano ceramisti di professione e diverse centinaia i chierici. La città era caratterizzata da una fervida attività socio-culturale, specialmente da parte del suo ceto artigianale e da parte del mondo gesuita: quest'ultimi emersero come forza sociale e culturale della città.

Nel 1671, a causa di una carestia, morirono circa 2 000 persone, per fame e per stenti, mentre il 1693 è l'anno che segna una radicale svolta per Caltagirone, così come del resto per l'intera Sicilia orientale: un catastrofico terremoto la rade al suolo insieme ad altre dieci città; il fatto costò la vita a circa 100 000 persone, un migliaio nel caso della città.

Con questo evento, Caltagirone perse quasi completamente le tracce monumentali di stampo medioevale e tardo-rinascimentale, con pochi esempi rimasti in piedi, posti fuori dell'allora cinta urbana (esempio la chiesa di Santa Maria di Gesù e relativo convento). Nonostante ciò, la pianta originaria rimase grosso modo intatta, permettendo di ricostruire esattamente nei punti prima della distruzione sismica, a differenza di altri centri colpiti come Ragusa o la fu Occhiolà. Nell'arco di circa dieci anni, la città venne ricostruita con un volto tardo-barocco, quello che oggi conserva nel suo centro storico, e quello che oggi caratterizza la città per buona parte del suo aspetto.

Nell'epoca contemporanea la città seguì le sorti del resto della Sicilia.

Nella costituzione del Regno di Sicilia del 1812 la città venne individuata come capoluogo di uno dei ventitrè distretti, mentre con la sua soppressione e l'istituzione della costituzione del Regno delle Due Sicilie del 1820, seppur la città venne riconfermata come capoluogo di distretto, questo era invece inglobato nell'allora neocostituita provincia di Catania.

Il 29 maggio 1860 la città fu assediata dall'esercito del Regno delle Due Sicilie, capitanato dal generale Gaetano Afan De Rivera, mentre queste scappavano dalle forze garibaldine in direzione di Catania.

Agli inizi del XX secolo, Caltagirone fu città simbolo del popolarismo italiano di Don Luigi Sturzo. Fu anche il simbolo del movimento antifascista siciliano, dato che lo stesso sacerdote fu uno dei più accesi detrattori e oppositori del regime mussoliniano, a tal punto da doversi rifugiare fuori dall'Italia, prima a Londra e poi a New York.

Tra la fine del XIX secolo e l'inizio di quello successivo, Caltagirone si caratterizzò architettonicamente di palazzi ed edifici in stile Liberty, tra i quali spiccano Palazzo della Magnolia, il Palazzo delle Poste di corso Vittorio Emanuele, la facciata della Cattedrale di San Giuliano e il teatro Politeama-Ingrassia. La città inoltre si dotò dell'illuminazione elettrica e in generale si ammodernò nei servizi, grazie all'attività di pro-sindaco di Don Luigi Sturzo. In questo periodo prende forma l'attuale giardino pubblico e il cimitero monumentale.

Negli anni venti, per via della dismissione delle miniere di zolfo, come quella in contrada Balchino, la città subì un decremento di popolazione, comunque modesto (circa il 10% tra il 1911 e il 1921) rispetto ad altre città della Sicilia centrale (alcune di queste persero dal 20 fino al 30%).   

Sempre nello stesso periodo, venne soppresso il suo circondario (come già scritto, fu istituito a partire dalla costituzione del Regno di Sicilia del 1812, confermato durante il Regno delle Due Sicilie e mantenuto durante il periodo post-unitario), e perciò la città rimase all'interno dei confini provinciali catanesi, diversamente da Nicosia, il cui già circondario andò a costituire l'attuale libero consorzio comunale di Enna.

Durante la seconda guerra mondiale, Caltagirone soffrì dei pesanti bombardamenti degli Alleati, sbarcati in Sicilia con l'operazione Husky, i quali distrussero alcuni monumenti significativi per la città e procurarono centinaia di vittime civili. Fu altresi l'unica città ad esser toccata da tutti e tre i contingenti che composero lo sbarco degli Alleati (inglese, statunitense e canadese).

A dicembre del 1945 avvenne nel territorio di Caltagirone uno tra i fatti più importanti e decisivi della stagione indipendentista siciliana durante la seconda guerra mondiale: una battaglia tra l'EVIS e i Carabinieri in località San Mauro, nota appunto come Battaglia di Monte San Mauro, che provocò complessivamente 3 morti.

Dagli anni sessanta agli anni settanta, la città subì un esodo di popolazione verso le regioni italiane del nord (specialmente Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna) e verso la Germania (specialmente in Baviera e soprattutto nella Renania Settentrionale- Vestfalia), come avveniva anche in altri centri siciliani, finché nel decennio successivo si ebbe una nuova crescita generale, dovuta allo sviluppo dell'attività artigianale e dell'edilizia, che rese la città soggetta a una rapida espansione urbana, che ne aumentò considerevolmente le dimensioni del centro abitato, poggiandolo anche sulla vallata discendente la Piana di Gela.

Oggi Caltagirone è un'importante destinazione turistica della Sicilia, merito soprattutto del suo patrimonio artistico e artigianale. Nonostante non sia un centro capoluogo, è sede di diversi presidi pubblici importanti, tra cui il tribunale (che insieme a quello di Ragusa e Siracusa fanno parte della Corte d'Appello di Catania) e la Procura della Repubblica.

La città è oggi un centro urbano di medie dimensioni all'interno del contesto siciliano, specialmente quello interno, nel quale il suo dato demografico e di estensione geografica risultano essere di dimensioni considerevoli se paragonati ad altre realtà affini.

Tra le sue risorse turistiche più cospicue vanno ricordati i musei (Museo Regionale della Ceramica, Mostra dei Pupi siciliani, Galleria Civica d'Arte Contemporanea e molti altri), le chiese (se ne contano più di 50) e le ville (Villa Patti, Villa Milazzo, Giardino Pubblico Vittorio Emanuele).  

Oggi Caltagirone è un'importante destinazione turistica della Sicilia, merito soprattutto del suo patrimonio artistico e artigianale. Di altissima qualità, la ceramica di Caltagirone si contraddistingue per le armonie dei colori e l'originalità della fattura, caratterizzata spesso dallo sfondo bianco e da una varietà cromatica giocata sui toni del blu, del giallo e del verde. Tra i soggetti più diffusi vi è quello delle cosiddette Teste di Moro, riferito a un'antica leggenda che, con alcune varianti, è incentrata sulla passione esplosa tra un giovane saraceno e una fanciulla siciliana durante la dominazione araba. Per gelosia, o in seguito allo scandalo, i due sarebbero stati decapitati: di qui la tradizione dei vasi, spesso a coppie, segno di perdono per i due amanti sfortunati.

Tra le sue risorse più cospicue vanno ricordati i musei (Museo Regionale della Ceramica, Mostra dei Pupi siciliani, Galleria Civica d'Arte Contemporanea e molti altri), le chiese (se ne contano più di 50) e le ville (Villa Patti, Villa Milazzo, Giardino Pubblico Vittorio Emanuele).  

Visitare il centro storico

Accogliente e vivace, Patrimonio dell'Umanità Unesco dal 2002, la splendida Caltagirone vanta una storia antichissima, che affonda le proprie radici nell'epoca antecedente l'arrivo dei primi coloni greci in Sicilia. L'abitato sorge in una posizione geografica particolarmente felice, tra le fertili Piane di Catania e di Gela, su tre alture dei Monti Erei e nei pressi della Riserva naturale orientata Bosco di Santo Pietro, vero polmone verde in un panorama che nei mesi più caldi si fa torrido.

La presenza di qual'at, "castello, fortezza" e gerun, "grotte", nel suo nome lascia indovinare un passato fortemente influenzato dalla presenza araba, fondamentale nell'avvio di una produzione artigianale di altissima qualità, specie nel campo di quella ceramica che fino alla fine del Seicento dava lavoro a buona parte della popolazione, e che ancora oggi rappresenta il vanto del luogo.

Il centro storico di Caltagirone risale ai primi anni del XVIII secolo, in quanto venne ricostruito dopo che il terremoto del Val di Noto del 1693 distrusse la città assieme a tutti gli altri insediamenti della Sicilia orientale.

Per la visita del centro storico si parte dal Museo della ceramica. Il museo è specializzato nell'esposizione di reperti di ceramiche realizzate in Sicilia a partire dalla preistoria. Assieme al Museo di Faenza, è il più importante d’Italia per la documentazione dell'arte ceramica.

Il Museo espone una vasta raccolta di ceramiche, circa 2.500 reperti, che forniscono al visitatore un'ampia visione della storia dell'arte ceramica dal IV millennio a.C. all'età contemporanea.  

Il museo è ospitato in un edificio con costruzione datata negli anni cinquanta, il cui ingresso è preceduto da un portico ad arcate sostenute da pilastri e colonne. Nel 1965, venne inaugurato come sede museale, dopo interventi di restauro.

L'itinerario di accesso è in via Roma, l'antica strada regia Maria Carolina, aperta nel Settecento per creare un collegamento tra la parte vecchia della città e la zona nuova di Santa Maria del Gesù. Il percorso di via Roma, che fiancheggia il Giardino pubblico, è delimitato da una balaustra con raffinate e fantasiose decorazioni in maiolica che accompagnano il visitatore fino al Teatrino, una scalinata a terrazza decorata con mattonelle in ceramica del Settecento (ideata dall'architetto siracusano Natale Bonajuto); in cima ad essa si erge il Museo della Ceramica.

Il Museo s'articola in sette sezioni:

- Sala didattica: offre una panoramica della produzione ceramica dalla preistoria ai nostri giorni. Di rilievo un cratere del V secolo a.C., decorato a figure rosse, che raffigura la bottega di un vasaio al lavoro sotto protezione della dea Atena che fu ritrovato all'interno di una fornace attiva a Caltagirone in età greca.  

- Ceramica preistorica, protostorica, sicula, siceliota, greca e bizantina. La sala espone molti manufatti dell'eneolitico provenienti da Sant'Ippolito, quali il vaso mistiforme e la fiaschetta, dalle contrade Angelo, Moschitta, Balchino e da località al di là del Salso. Inoltre è visibile la grande tomba del V secolo a.C. rinvenuta in via Escuriales ed il chiusino tombale in calcare con sfingi attergate e scena di danza funebre in rilievo, trovato nella necropoli di Monte San Mauro, del VI secolo a.C. Vi sono esposte inoltre ceramiche greche a figure nere e rosse, terracotte ellenistiche e vetri romani della collezione Russo-Perez.

- Patio riservato ai modellini di forni medievali. Sono visibili le riproduzioni in scala di due delle quattro fornaci medievali rinvenute nel 1960 ad Agrigento (modellini del prof. Antonino Ragona). La prima fornace è del periodo normanno, la seconda d'epoca angioino-aragonese.

- Ceramica medievale. Nella sala sono esposte ceramiche siculo-arabe e normanne dal X al XV secolo. Fra le più antiche quelle ben documentate rinvenute ad Ortigia, nell'area del Tempio d'Apollo, dove si trovavano fornaci per la produzione ceramica in età medievale. Da notare: una ciotola del X secolo, con invetriatura piombifera e decorazione dipinta in giallo, verde e bruno; ciotole in protomaiolica decorate in bruno e verde o in policromia del XIII secolo, ed un terzo gruppo decorato in bruno del XIV secolo; e poi brocche, anfore e boccali. Le brocchette sono dotate di un particolare filtro all'attacco del collo, forse per le impurità dell'acqua dei pozzi. Nei reperti a partire dal XV secolo l'invetriatura del rivestimento delle ceramiche diviene più brillante e corposa, assumendo le caratteristiche dello smalto. Da questo secolo vengono definite maioliche. Di tale periodo sono ciotole decorate in monocromia in blu con motivi fitomorfi, piatti decorati in blu e lustro con motivi floreali.

- Ceramica rinascimentale. Sono esposte maioliche per la mensa o per la conservazione dei cibi e decorate in blu, blu e verde o blu e giallo, prevalentemente di produzione di Caltagirone; coppe e ciotole con motivi vegetali e floreali e numerose maioliche del XVII secolo.

- Ceramica barocca. Si trovano anfore da sacrestia e acquasantiere con applicazioni plastiche, del XVII secolo con soggetti vegetali, animali e piccole figure di santi.

- Grande sala con panoramica di tutta la maiolica siciliana dal XVII al XIX secolo. Nelle vetrine pregevoli vasi, albarelli, bombole che raffigurano angeli, santi, stemmi e profili femminili. Pregevoli lucerne antropomorfe e maioliche con decorazioni in smalto blu turchino. Inoltre pavimenti maiolicati, grandi vasi ornamentali in maiolica e mattonelle segnaporta smaltate. Ed originali scaldamani in maiolica del XVII secolo a forma di pesce o di tartaruga. Infine, ceramiche d'autore, fra cui le terrecotte settecentesche di Giacomo Bongiovanni (1772-1859): la Natività, la Bottega del Ciabattino, lo Zampognaro e i Suonatori Ciechi. Il presepe di Giuseppe Vaccaro Bongiovanni ed il gruppo in terracotta raffigurante una lite fra nuora e suocera. Completano l'esposizione altri gruppi figurati di Giuseppe Vaccaro e di Giuseppe Failla, in particolare l'opera raffigurante San Giacomo Maggiore Apostolo.

Il Museo della Ceramica fornisce anche un servizio didattico di approfondimento, con l'uso di apparecchi audiovisivi e multimediali.

La Villa Vittorio Emanuele è un giardino pubblico tra i più estesi della Sicilia e si trova alle spalle del Museo della Ceramica, nell'estrema propaggine meridionale del centro storico della città.

Vi si può accedere dal Teatrino, mediante due rampe di scale, da via Roma, dove si trova l'ingresso principale a fianco del Teatro Politeama, e dal viale principessa Maria José.

Il giardino, su modello dei parchi inglesi, è opera dell'architetto Giovan Battista Filippo Basile. La realizzazione di una villa comunale sull'area della cosiddetta "silva di San Francesco", parzialmente occupata da una collinetta, iniziò nel 1846.

La progettazione dell'ingresso in stile liberty, caratterizzato da un'insolita cancellata - tra fasci di canne palustri dove s'indovinano piccoli pesci, uccelli acquatici e rettili - alternata a pilastri, è opera dell'architetto Saverio Fragapane.

I giardini sono caratterizzati dalla presenza di numerose essenze floreali e botaniche, viburni, lentischi, bossi, ligustri, pittosfori, acacie, alberi di Giuda, frassini, casuarine. Un magnifico esemplare di Cedrus atlantica che supera i 16 metri di altezza è stato incluso tra gli alberi monumentali d'Italia.

All'interno, lungo i viali, si trovano vasi in terracotta realizzati dalla bottega Bongiovanni Vaccaro, maioliche di Giuseppe Di Bartolo e terrecotte ornamentali di Gioacchino AliGesualdo Vittorio Nicoletti e Enrico Vella.

Nel piazzale centrale è in grande evidenza il palco musicale in stile moresco con rivestimento in maiolica policroma realizzata dalla I.P.A.C.

Nella parte inferiore si può ammirare una delle vasche della Fontana della Flora dello scultore ed architetto fiorentino Camillo Camilliani del XVI secolo.

Se si opta per l'ingresso di viale principessa Maria José si scende per una duplice scalinata alla base della quale si possono ammirare due pannelli maiolicati di Gianni Ballarò e, racchiusa in una nicchia, una bella statua di Cerere opera del plasticatore Nicolò Barrano, in tema con la decorazione dei pannelli, che rappresenta quasi un inno alla natura.

Di fronte all'ingresso si può ammirare una gradevole balaustra in ceramica, realizzata nella seconda metà del Novecento dal ceramista Gesualdo Vittorio Nicoletti, che circonda il giardinello antistante la ex caserma dei Carabinieri, oggi sede del Museo della Fotografia e di esposizioni temporanee.

Nei confini della villa è anche presente la ex-biblioteca comunale, pregevole esempio di architettura Liberty su progetto di Ernesto Basile, oggi sede del Museo internazionale del Presepe.

Di fronte all'ingresso del Museo si trova il Monumento ai Caduti, realizzato in bronzo dal palermitano Antonio Ugo. Poco oltre sulla destra, in via Gueli, si può ammirare la casa di uno dei più grandi artisti della maiolica calatini, Benedetto Ventimiglia, con una scenografica balconata ed un bel portale finemente decorato, naturalmente in ceramica settecentesca

Inoltrandosi nell'attigua via omonima, degna di nota è la chiesa di San Pietro. La chiesa venne restaurata a seguito del terremoto del 1693: nella seconda metà dell'800 su progetto dell'arch. Gaetano Auricchiella, venne realizzato il prospetto in stile neogotico rivestito in maiolica policroma ad opera del ceramista Giacomo Arcidiacono. 

La facciata presenta una porta in bronzo opera del Calatino Gaetano Angelico, inaugurata l'8 dicembre 1987, sormontata da una vetrata a colori che ritrae la pesca miracolosa. Alla facciata vennero affiancate le due torri capanarie. In uno dei campanili fu collocato un orologio di Pietra Bianca che nel 1944, a spese di un facoltoso agricoltore fu sostituito da un altro orologio di torre.

L'interno, ad unica navata con abside, presenta una volta decorata da stucchi ed affreschi, di Giuseppe Vaccaro, che rappresentano episodi della vita di San Pietro e nei peducci della cupola raffiguranti i quattro Evangelisti. L'abside conserva ancora l'antico altare maggiore con tabernacolo di marmo policromo intarsiato sormotato da un grande Crocifisso ligeo.

All'interno della chiesa sono presenti statue in legno di San Pietro, di San Vito, del Cristo Apassionato, di autori ignoti, e la statua della Madonna con Bambino di Antonino Ragona del 1946.  

È da questa chiesa che la domenica di Pasqua, nelle ore pomeridiane, parte la caratteristica processione denominata 'A Giunta, cioè l'incontro fra Gesù e la Madonna, che ha come protagonista una gigantesca statua di San Pietro. I fedeli salutano al grido "Viva Maria" il loro santo che annunzia a Maria la resurrezione di Cristo portato in trionfo. È una delle feste più sentite.

A pochi passi, sulla sinistra, s'incontra il Teatro Politeama, in stile liberty Il teatro fu costruito nel primo decennio del Novecento ad opera di Saverio Fragapane, e che venne inserito nel Piano Regolatore presentato dal pro-sindaco Don Luigi Sturzo nel 1907. Il teatro si trova in corrispondenza con l'ingresso monumentale del Giardino Pubblico Vittorio Emanuele. Esso costituisce il fulcro della vita culturale e artistica della città. Il teatro funge anche da sala cinematografica, munito di più sale.

Più avanti, sempre sulla sinistra, si apre Piazza Marconi sulla quale si ergono il recente Monumento a Luigi Sturzo e la chiesa di San Francesco di Paola, dallo splendido portale in bronzo realizzato dallo scultore Mario Lucerna, con l'annesso ex-convento. Venne edificata nel 1593 come completamento dell’opera di rifacimento della chiesetta di Sant’Antonio Abate e del convento annesso abitato per alcuni anni dai Padri Domenicani. 

Il terremoto del 1693 non causò gravissimi danni alla struttura: rimasero in piedi il prospetto gaginesco e quello laterale sinistro dove si può ancora ammirare una nicchia con una figura in pietra del santo che reca la data del 1625. 

La chiesa, eretta parrocchia solo nel 1926, ha subito diverse modifiche, anche strutturali, che ne hanno ormai compromesso l’armonia originale. Al suo interno accoglie quadri e arredi sacri provenienti da altre chiese nel frattempo chiuse al culto o addirittura demolite. All'esterno, sul lato destro, un pannello in ceramica raffigura San Francesco di Paola. 

Proseguendo sulla via Roma si giunge al monumento bronzeo dedicato a Gualtiero da Caltagirone, dello scultore Giacomo Baragli, e ad un piazzale su cui si erge la chiesa di San Francesco d'Assisi all'Immacolata

La chiesa di San Francesco d'Assisi all'immacolata, o semplicemente chiesa dell'Immacolata, insieme all'ex convento dell'Ordine dei frati minori conventuali, costituisce un polo monumentale ubicato in Piazza San Francesco d'Assisi - nei pressi del ponte omonimo.

La tradizione locale indica in San Francesco d'Assisi il fondatore dell'istituzione conventuale calatina. Nel 1219, Francesco si recò ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell'assedio crociato alla città egiziana di Damietta incontrò il sultano ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Pertanto è verosimile che durante il transito d'andata o di ritorno, il Serafico abbia effettuato delle tappe e soste in terra di Sicilia fondando conventi.

La primitiva struttura era originariamente consacrata a San Michele Arcangelo. Edificata in forme gotiche nel 1236 da uno dei più devoti seguaci di San Francesco, il beato Riccardo, assunse il titolo di San Francesco all'Immacolata, dal momento che i religiosi dell'Ordine dei frati minori conventuali vi introdussero ed incrementarono le devozioni verso il Padre Serafico e per la Vergine Maria sotto il titolo di Immacolata Concezione.

Modificata nel XVI secolo, nei suoi cantieri lavorarono a partire dal 1592 alcuni esponenti dei Gagini: Antonuzzo e Giandomenico Gagini junior. Il vicino ponte di San Francesco, costruito nel 1626 - 1666 e successivamente decorato da maioliche, collega la collina del convento con il piano di San Giuliano.

Ricostruita dopo il terremoto del Val di Noto del 1693 in stile barocco sui resti della precedente chiesa. Dell'originaria struttura gotica conserva una cappella con volta a crociera.

Non si conosce il nome di chi progettò per primo la nuova facciata subito dopo il sisma con quattro nicchie ospitanti figure di santi francescani, tuttavia già nel 1727 furono incaricati gli architetti catanesi Tommaso Amato e Francesco Battaglia di completarla "di tutto punto", compresi i quattro tabelloni con simboli mariani. Le quattro raffigurazioni contornavano la nicchia per la statua dell'Immacolata Concezione scolpita dal palermitano Giovanni Travaglia nel 1627 e posta originariamente su un piedistallo davanti alla chiesa.

Nel 1807, fu realizzata nella facciata la piccola abside con cupolino. Completata con il campanile nel 1852 e la cupola, rimasta incompiuta.

I bombardamenti aerei del secondo conflitto mondiale nel pomeriggio del 9 luglio 1943 hanno arrecato danni nelle strutture conventuali.

In funzione del caratteristico prospetto e delle opere custodite, l'intero aggregato monumentale è stato recentemente inserito nel patrimonio storico - artistico appartenente al Fondo edifici di culto.

Si accede al sagrato attraverso una scalinata a ventaglio, un paio di metri separano il piano stradale dallo spiazzo sacro delimitato da pilastrini e ringhiera in ferro battuto. Ulteriori rampe raccordano il piano antistante i varchi d'accesso col piano di calpestio interno del tempio. Dei tre varchi primitivi sono rimasti attivi il grande portale centrale e il portalino sinistro, l'ingresso destro è stato trasformato i cappella absidata.

La parte monumentale del prospetto è costituita dalla partizione interna compresa fra i due spioventi laterali limitati - questi ultimi - al primo ordine. Cornicioni - marcapiano con dadi aggettanti in corrispondenza delle colonne più avanzate, ripartiscono in prospetto in tre livelli chiusi da un lunettone sommitale (doppio timpano ad arco sovrapposti, spezzato quello aggettante). Sull'asse mediano verso l'alto si alternano il portale, la nicchia dell'Immacolata, il grande finestrone con cornice e lo stemma dell'ordine.

I grandi altorilievi dei quattro quadranti sono delimitati da colonne di fondo e colonne aggettanti collocate su alti plinti, ornate da capitelli dorici al primo livello e capitelli corinzi al secondo. Al terzo livello grandi volute con riccioli raccordano l'ultimo cornicione, festoni di volute, riccioli e vasotti fiammati completano la decorazione, una croce apicale in ferro battuto chiude la prospettiva.

La facciata rivolta ad occidente si presenta a due ordini su cui campeggiano sculture - stemmi sostenuti da putti e decorati con festoni fitomorfi e foglie d'acanto - riproducenti gli elementi della simbologia mariana: in basso da sinistra la Palma, in senso orario la Torre di Davide, la Porta del cielo e l'albero di Cedro. Al centro, nella nicchia sopra l'ingresso, la statua raffigurante l'Immacolata Concezione. In alto, nella lunetta campeggia l'emblema araldico francescano raffigurante il braccio di Cristo incrociato con il braccio manicato di San Francesco con la croce sullo sfondo, entrambi con le mani mostranti le stimmate.

La cupola è sprovvista della calotta e del lanternino che non furono mai realizzati dopo il rovinoso crollo, avvenuto nel corso dei lavori di completamento il 24 novembre 1702. Sul tamburo si aprono otto finestroni ad arco delimitati da colonne e lesene, sul cornicione dall'articolata modanatura, ad ogni coppia di capitelli corrisponde una coppia di sfere in pietra bianca.

Il campanile svetta agile accanto alla cupola, costruita nel 1852 nella sola cella campanaria su progetto dell'architetto caltagironese Salvatore Marino. Le quattro monofore dono delimitate da lesene scanalate con capitelli ionici, a loro volta sormontate da timpani a triangolo. Il cupolino e percorso da caratteristiche nervature radiali, lanternino con pinnacolo. La cella campanaria è decorata ai vertici con coppie di pinnacoli ad obelisco e sfera sommitale. Tutte le decorazioni sono dotate di puntali e banderuole segnavento.  

Tracce dell'edificio del XIII sono presenti all'interno nella sagrestia, a sinistra dell'abside.

Internamente sono custodite numerose tele dei fratelli Vaccaro, una statua lignea di Sant'Antonio del 1677, rivestita in argento, ed un grande pannello in maiolica di Antonio Ragona, raffigurante il presepio con san Francesco.  

Tornati sulla via Roma, si giunge in breve ad una delle opere architettoniche più interessanti di Caltagirone, il Ponte di San Francesco. Decorato con bellissime ceramiche in rilievo, costruito nel 1626 da Orazio Torriani per collegare due delle tre colline su cui sorge la città fu ultimato nel 1665 dall’architetto Bonaventura Certò da Messina. Poggia le sue fondamenta nelle sottostanti vie Infermeria e Porta Veneto, presenta 5 arcate di cui una sola aperta. 

Nel 1776, in occasione dell’apertura della via Carolina (l’attuale via Roma) il ponte, originariamente con due arcate, fu ampliato con altre due arcate cieche ad opera dell’architetto Francesco Battaglia al fine di ampliarne l’imboccatura meridionale.

Sulla destra si fa notare il Palazzo Sant'Elia, uno degli edifici privati più importanti della città. Fu costruito nel XVIII secolo su pregetto dell'architetto Natale Bonaiuto. Il palazzo mostra diversi elementi di chiara influenza barocca e si trova in una posizione altamente suggestiva: un lato è visibile dal ponte di San Francesco, in quanto l'ultimo piano sovrasa il livello del ponte stesso.

Oltrepassato il ponte, ci si trova in pieno centro storico; subito, sulla sinistra, si staglia la massiccia mole dell'ex Carcere Borbonico. Fu costruito, tra il 1782 e il 1798, dall'architetto siracusano Natale Bonaiuto, nel luogo in cui sorgevano le officine dei ceramisti ai quali venne assegnato in cambio, per la costruzione delle nuove officine, un terreno a S. Orsola.

La necessità di costruire questo nuovo edificio carcerario si presentò in seguito al terremoto dell'11 gennaio 1693 che distrusse completamente il vecchio castello arabo-normanno, parzialmente adibito a carcere. Si tratta di un edificio severo a pianta quadrata, di grande mole, molto compatto e tuttavia elegante, perché alleggerito dall'inserimento dell'ordine gigante, posto su basamento bugnato, e dalle volute delle finestre che, con il loro chiaroscuro, disegnano e scandiscono il ritmo della facciata. Questa è coronata da un cornicione con, al centro, lo stemma della città. L'edificio ha un elegante androne e custodisce una preziosa porta bronzea del XVI secolo.

L’edificio rappresenta un raro esempio di tipologia carceraria settecentesca ed è stato testimone di importanti eventi storici come, ad esempio, i tumulti contro i giacobini a seguito dei quali furono rinchiusi in esso molti nobili calatini.

Rimase destinato a carcere fino al 1890; in seguito, nel 1899, fu adibito a monte di pietà, subendo gravi manomissioni; infine è diventato sede del Museo Civico la cui fondazione ufficiale, nel 1914, si fa risalire all'opera di don Luigi Sturzo. 

Il Museo comprende una sezione archeologica, una pinacoteca ed una raccolta storica d'oggetti ed opere di vario genere appartenenti ad epoche diverse. Vi si possono ammirare, fra gli altri beni, lo storico fercolo di San Giacomo, pergamene medievali e moderne, una pisside in argento del 1588 ed una pregevole balestra medievale riccamente intagliata. 

Sullo stesso piazzale del Museo Civico sorge la chiesa di Sant'Agata. La Chiesa di Sant’Agata, si colloca all’interno del tessuto urbano del centro storico di Caltagirone, nelle immediate vicinanze delle piazze Umberto I° e Municipio, essa è prospiciente sul lato nord al Carcere Borbonico, il suo prospetto principale rivolto ad est si affaccia su un piccolo slargo sulla via Roma, ad ovest è adiacente ad altri edifici, mentre a sud e prospiciente la omonima Discesa Sant’Agata.

La chiesa è stata eretta nel 1576 su richiesta di Gilberto Isfar y Corillas, vescovo di Siracusa. Nel 1776, l'architetto Natale Bonaiuto effettuò una ristrutturazione parziale dell'edificio.

Nel 1883 il decano Antonio Zafferana, rettore della chiesa, l’arricchì di nuovi stucchi e di un nuovo altare maggiore in marmo. Essa, con elegante prospetto barocco di pietra intagliata, è rivolta a settentrione.

La facciata è caratterizzata dalla presenza di un portale con timpano, e sovrastante ampia apertura, vi sono due lesene poste alle estremità del prospetto definite alla loro sommità dal cornicione, al di sopra del quale è posto un campanile in pietra arenaria triforo decorato da inserti a buglia maiolicati.

La chiesa è costituita da una unica navata centrale, coperta da una volta a botte con “unghie” in corrispondenza delle aperture laterali; la pianta rettangolare si sviluppa da est verso ovest a raggiungere l’area absidale. Sui rispettivi due lati, sono posti tre altari laterali in legno; mantre sul portale di ingresso è presente una balconata per il coro.

Il presbiterio, rialzato da due gradini rispetto alla navata, un altare maggiore marmoreo policromo.

Il suo interno, ad unica navata, è decorato di stucchi e di altari marmorei, ornati delle tele ad olio della Madonna della Lettera, donata dal senato messinese a quello di Caltagirone nel 1799, di San Giacomo Maggiore, di Sant'Anastasia vergine e martire, di San Paolino da Nola ed ancora delle statue di terracotta della Madonna di Lourdes e di Santa Bernadette Soubirous, collocate sull'altare maggiore dal 1917 e di quella lignea di Sant’Agata.

Sono inoltre degne di nota: l’acquasantiera di marmo, datata 1610, di Giandomenico Gagini junior, una lastra ovale di maiolica con epigrafe, che ricorda la benedizione della chiesa, avvenuta il 24 gennaio 1792.

Negli anni 1924-1925 la chiesa fu restaurata dall’attivo rettore, il can. Francesco Traversa, da San Michele di Ganzaria, esperto d’arte, che vi costituì la Pia Unione dell’Immacolata, aggregata alla primaria del Santuario di Lourdes, con le indulgenze ed i privilegi del 15 febbraio 1915. Ne fu rettore, prima del Traversa, il padre crocifero Giacomo Cona; e dopo ricordiamo i canonici Salvatore Busà, mons. Costantino La Magna, mons. Mario Messina e l'attuale don Innocenzo Mangano.

Tra il 2015 ed il 2016 è stato eseguito un intervento alle coperture a falda, alla volta della navata ed al consolidamento delle centinature lignee, ai prospetti, ed alla collocazione di idoneo sistema anticaduta di protezione collettivo – linee vita.  

A pochi passi da qui, la via Roma sfocia nell'antico Piano di San Giuliano (attuale Piazza Umberto I) che in età normanna prese nome dalla chiesa di San Giuliano. La meravigliosa Cattedrale di San Giuliano è il più importante edificio religioso della città ed è situata nel cuore del suo centro storico, parecchio rinomato per ospitare numerosi punti d’interesse di forte attrazione per i turisti. Oltre ad essere un monumentale edificio che chiama all’attenzione tutti gli appassionati di architettura, in quanto diversi tratti che richiamano lo stile Barocco Siciliano l’arte Normanna, svolge un ruolo molto importante nel culto locale, proprio perché al suo interno sono custodite le reliquie di Beata Lucia da Caltagirone, unica Beata, di questa città, ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa Cattolica, a cui sono attribuiti diversi miracoli.

La primitiva chiesa di San Giuliano, secondo la tradizione, è stata edificata in epoca normanna con annesso campanile, ad una sola navata decorata di stucchi arabo - normanni e con l'abside rivolta ad oriente. Il tempio è datato al 1282, in piena età aragonese, grazie all'iscrizione che era posta sull'architrave d'ingresso, dove era riportato il nome dell'architetto Magister Gofredus. In questa data, verosimilmente, avvenne una delle prime riedificazioni documentate: altre ricostruzioni avvennero dopo il terremoto nel Val di Noto, Anno Domini 1542 e dopo il terremoto del Val di Noto del 1693.

Semidistrutto dal terremoto del 30 novembre, 10 dicembre 1542, fu prontamente restaurato, ad eccezione della sommità della torre campanaria, che rimase dimezzata e sulla quale nel 1575, il Consiglio dei Giurati fece installare un orologio.

I giurati il 23 aprile 1582 deliberarono d'elevare un nuovo tempio più ampio e più bello nello stesso sito, con prospetto rivolto ad oriente, affidandone l'incarico all'architetto Francesco Zagarella da Ragusa, coadiuvato dall'architetto messinese Giacomo Firini, laico gesuita. I lavori, iniziati nel 1598, si protrassero al punto di affidare nel 1627 l'incarico di un nuovo progetto all'architetto Simone Gullì.

La nuova chiesa di San Giuliano, costruita a croce latina con tre navate, a distanza di 60 anni, non resistette al catastrofico terremoto del 9 e 11 gennaio 1693, che sconvolse tutta la Sicilia orientale, che rovinò al suolo l'antico campanile, crollarono le volte dei soffitti e la stessa cupola.

Per la ricostruzione in stile toscano nelle forme attuali fu dato incarico all'architetto agrigentino Simone Mancuso, coadiuvato dal costruttore ed intagliatore palermitano Giuseppe Montes. Fu eliminata l'antica chiesa normanna, che l'architetto Gullì aveva conservato nell'interno, si servì di nuove e più alte colonne di pietra bianca per sorreggere le volte e la grande cupola, riprese dalle fondamenta un nuovo ed elegante prospetto, con sovrapposto campanile a trifora, che fu ultimato nel 1756. Si pavimentò il piano di calpestio con piastrelle bianche di maiolica.

Nella seconda metà del '700, furono ornate le pareti esterne di due artistici portali in pietra, progettati dall'architetto Natale Bonaiuto da Siracusa. Nel 1773, come riportato da un'epigrafe posta su una delle porte minori del prospetto, il Comune fece sostituire l'orologio, che era stato sistemato sulla porta centrale, rimosso il vecchio ne fu collocato uno più "esatto" a spese della pubblica cassa, ad utilità dei cittadini.

Nei primi decenni dell'800 per volere del primo vescovo monsignore Gaetano Trigona e Parisi, gli interni furono stilisticamente rivoluzionati, tutte le colonne in stile toscano furono inglobate in massicci pilastri di stile corinzio, furono commissionati all'architetto palermitano Emanuele Di Bartolo, il quale progettò tutta la decorazione di stucchi e pitture, coadiuvato dagli stuccatori Gaetano Signorelli siracusano, ed Agostino Perez palermitano, e del pittore e scultore Giuseppe Vaccaro.

Si devono a monsignore Benedetto Denti il rivestimento marmoreo dell'altare della Madonna della Mercede, il ripavimentazione in marmo bianco, e la costruzione di un piccolo soglio vescovile di legno.

Il 12 settembre 1816 papa Pio VII con la bolla pontificia Romanus Pontifex eresse la diocesi di Caltagirone ed elevò la chiesa di San Giuliano a cattedrale, mentre dal 1948 è stata ulteriormente elevata a Basilica Minore

La Cattedrale di San Giuliano mostra una facciata di due soli ordini, col secondo che si sviluppa solo in conseguenza del corpo centrale dell’edificio. L’ordine inferiore presenta ben tre portali d’ingresso che permettono l’accesso alle tre navate interne, mentre nell’ordine supere figura una scenografica finestrata, sul cui sfondo si può notare la splendida cupola rivestita con la Ceramica di Caltagirone

Sulla sinistra della Cattedrale di San Giuliano è posto uno scenografico campanile, 48 metri d’altezza che culminano nella cella campanaria posta alla sua sommità. 

Le tre navate poste all’interno della Cattedrale di San Giuliano sono separate da particolari colonne che sono circondate da un bellissimo stile neoclassico, con stucchi e affreschi presenti sia nelle pareti laterali che sulla volta della navata centrale.

L'interno della cattedrale custodisce numerosissime opere, alcune delle quali degne di nota: gli affreschi della volta, realizzati dai Vaccaro, il coro ligneo settecentesco, quattro antichi sarcofagi marmorei, una scultura raffigurante il Cristo morto opera di Giuseppe Vaccaro, un Crocifisso ligneo risalente agli inizi del Cinquecento. Notevole la Cappella del SS. Sacramento per la ricchezza delle decorazioni. Sono visitabili anche il Tesoro della Cattedrale e l'Aula Capitolare.  

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