Bronte (Borgo)
(Catania)

 

Real collegio Capizzi

Il complesso monumentale del Real Collegio Capizzi (convitto e scuole), iniziato il 1° Maggio del 1774 ed inaugurato il 12 Ottobre del 1778, è frutto dell’iniziativa e della perseveranza dell’umile sacerdote brontese Eustachio Ignazio Capizzi che, durante i quattordici anni trascorsi nella diocesi di Monreale, maturò una straordinaria esperienza di fondazione e di costruzione di collegi. Ignazio Capizzi avvertiva il movimento di studi e il fervore culturale che si manifestava nella prima metà del Settecento anche in Sicilia. Ma avvertiva altresì, per averlo sperimentato personalmente, che di tale fervore, vivissimo in altri centri dell’Isola, Bronte era condannata a non ricevere neppure gli echi più lontani. Lui stesso era stato costretto a lasciare il suo paese natale per darsi un'istruzione. Il paese era privo di scuole; l’analfabetismo dominava incontrastato tra il popolo di Bronte (all’epoca ancora proprietà feudale dell’Ospedale Grande e Nuovo di Palermo), ed agli studi potevano accedere solo clero e nobiltà. Da qui il disegno generoso di dotare il suo paese di un’istituzione che consentisse ai brontesi di affinarsi e di crescere culturalmente e, a ben ragione, ritenuta la più importante gloria cittadina, che pone Bronte, almeno negli ultimi due secoli, in posizione di sicura preminenza sugli altri centri della Sicilia.

L'umile sacerdote lavorò per oltre un decennio per realizzare il suo sogno, affrontò e superò grandi difficoltà e ostracismi ma la sua tenacia, il suo entusiasmo e la sua preparazione erano solidi: iniziata la costruzione (maggio 1774) il maestoso Collegio fu portato a termine in pochissimo tempo, poco più di quattro anni (ottobre 1778). Il 25 giugno 1771, in una lettera al sac. Sinatra di Bronte, Ignazio Capizzi stabilisce il luogo dove costruire le scuole: al quartiere di S. Rocco nel centro dell'abitato. Due anni dopo, nel 1773, vengono comprati per 80 onze il terreno ed un gruppo di case di proprietà del medico Rosario Stancanelli e, su sua iniziativa, è inviato a Bronte da Palermo il Sac. Salvatore Marvuglia, architetto del Comune di Palermo, per visionare il luogo dove doveva sorgere l’Istituto e disegnarne la struttura. Chiamato il capomastro legnaiuolo Giuseppe Lupo, consegnatogli il disegno, si pose mano all’opera. 

La realizzazione dell'opera non fu facile: Ignazio Capizzi affrontò e superò moltissimi impedimenti, ironie, ostracismi, contrasti e calunnie d’ogni genere; elemosinò le risorse necessarie in ogni luogo. Alla fine ebbe l’appoggio di tutti. 

Il 7 settembre 1777 Ferdinando III Re delle due Sicilie, accogliendo la supplica del Capizzi di quattro anni prima, concedeva 200 onze annue in perpetuo a spese della Mensa Arcivescovile di Monreale e decretava che l’erezione delle scuole pubbliche di Bronte dovesse comprendere cinque scuole: di aritmetica, di grammatica inferiore e superiore, di filosofia e teologia.

Nel mese di Settembre dello stesso anno erano pronte le stanze per le scuole, il refettorio, la cucina ed il primo piano per i convittori ed i superiori.

Ignazio Capizzi, approfittando della sua esperienza di educatore scrisse anche le "Regole" per il suo Istituto: ne disciplinò gli studi, l'elezione del direttore, gli stipendi degli insegnanti, i doveri e gli obblighi dei maestri, dei convittori e degli studenti.

L'umile sacerdote ben poche volte ritornò a Bronte dopo l'inaugurazione del Collegio, sicuro com'era di averlo affidato ad uomini e sacerdoti brontesi, non solo capaci, onesti e istruiti, ma profondamente impegnati con tutte le loro energie alla sua fioritura.

Dopo appena vent'anni, nel 1796-97, la biblioteca fu rifornita di altri libri e la cappella interna di arredi sacri. Furono costruiti pure un piccolo teatrino, andato successivamente perduto, ed altre aule per la scuola e per i dormitori. Ai convittori, oltre il catechismo e la messa giornaliera, non venivano suggerite altre pratiche religiose. Regole ferree ed analitiche disposizioni regolavano la vita del collegiale. L'inizio delle lezioni era fissato al 15 ottobre e il termine al 31 agosto; vacanza il giovedì pomeriggio e dal 1 settembre al 14 ottobre.

Dal 1805 al 1807 fu costruita la quarta ala del Collegio. I lavori riprendono dopo la parentesi del 1820-21 per la costruzione del cortile. Il 1 novembre 1846 viene iniziata la nuova cappella con la spesa di onze 314 incluso il contributo di tarì 12 l'anno chiesto ad ogni collegiale.

L'immediata affermazione del Collegio (nel giro di 20 anni i 37 convittori iniziali del 1778 passarono a 195 nel 1797) fu anche dovuta alla capacità del personale direttivo di camminare, in campo scolastico, al passo coi tempi, aggiornando e aumentando le materie di insegnamento, ossia superando i vecchi schemi scolastici così usuali, all'epoca, nei collegi dei Gesuiti.

Si inizia nel 1778, come da decreto di Re Ferdinando, con le classi di leggere e scrivere, umanità e retorica. Nel 1782-83 la retorica viene separata dall'umanità e stabiliti due distinti professori. Nel 1808 le materie d'insegnamento diventano dieci: leggere e scrivere, 2a classe, 4a minore e 4a maggiore, umanità, retorica, filosofia, teologia, alle quali nel 1810 si aggiunge il "canto fermo".

Il 20 febbraio del 1818 un devastante terremoto colpì il versante di nord-ovest dell'Etna. Il Real Collegio subì gravissimi danni con caduta di calcinacci e distaccamento parziale delle pareti verticali nel piano abitato dagli alunni, nei dormitori e nei corridoi. Un preventivo redatto a marzo dello stesso anno dall'architetto catanese Carlo Pulejo quantificò i danni in onze 311 (centoundici in più della dotazione annuale concessa quaranta anni prima, il 18 aprile 1778, ad Ignazio Capizzi dal re Ferdinando III).

Nel 1837, il Collegio assunse il titolo di "Real Collegio Borbonico"; fu introdotto il metodo "normale", e la classe, di leggere e scrivere assume il nome di "scuola dei piccoli"; fu aggiunto l'insegnamento della lingua italiana, mentre la teologia venne divisa in dogmatica e morale. Nel 1850 iniziò lo studio della letteratura italiana, eloquenza, geografia, lingua francese. Quattro anni dopo il diritto ecclesiastico, matematica, calligrafia e, nel 1864, la fisica. Nel 1852, riferisce la relazione statistica, essendo direttore mons. Biuso, vi erano 12 piazze franche, e vi insegnavano 19 sacerdoti.

Certo, gli avvenimenti, che in quel periodo sconvolsero l'Italia e l'Europa e la donazione fatta da Ferdinando IV nel 1799 del territorio brontese all'ammiraglio Horatio Nelson, influirono negativamente sulla vita del Collegio: le condizioni del popolo brontese peggiorarono e il Comune si dissanguò in una serie continua di cause nei tribunali per difendere i propri diritti, con accentuazione delle contrapposizioni interne tra ceto borghese e popolo contadino, che culminarono nei fatti del 1848 e del 1860.

Come non guardare oggi in controluce la Ducea di Nelson e il Collegio: di là l'esclusivo interesse economico, a volte vessatorio ed oppressivo, di qua la bandiera della cultura e dell'elevazione sociale del popolo, irradiate fino in lontane Terre.

Con l'unità d'Italia, l'accentramento dello Stato è anche causa di crisi del Collegio. Nel 1863-64 i convittori scendono a 134 e la retta sale a onze 24, nel 1883 l'Istituto raggiunge il minimo di 50 collegiali anche se pochi anni prima, il 22 novembre 1867, l'Istituto aveva ottenuto il pareggiamento del suo ginnasio. Contro il rischio di veder diminuito il numero dei convittori il Collegio venne dotato di scuole tecniche (non se ne fece poi nulla) e gli alunni smisero di vestire la talare sostituendola con una divisa militare alla marinara.

Anche le risorse economiche scarseggiano ed il Comune fa fatica a concedere finanziamenti. Il 1883 fu anno di vera crisi e non soltanto di natura finanziaria. Il Collegio vedeva appannarsi la sua prestigiosa immagine e rischiava la chiusura.

Quell’anno gli studenti che lo frequentavano superarono di poco il numero di 50. La Sicilia vedeva aumentare di anno in anno il numero delle scuole pubbliche, altri istituti nascevano e le famiglie non sentivano più il bisogno di mandare a Bronte i loro figlioli.
Nello stesso anno 1883, con l'introduzione della illuminazione a petrolio, furono messi nei corridoi, nel refettorio e nelle camerate 62 fanali di cristallo e viene perfezionato l'ultimo quarto del Collegio con la spese di onze 226.

Il 27 settembre di quell'anno si fecero grandi feste per ricordare il primo centenario della morte del fondatore ma nemmeno la solenne celebrazione conseguì gli effetti che si speravano: una più vasta conoscenza dell'Istituto.

Nella speranza di una sua rinascita e che i figli di Don Bosco potessero rimettere in auge il vecchio Istituto, nel 1892, il Collegio viene affidato ai Salesiani rimasti fino al 1914 (quando si dimisero). Nello stesso anno il rettore sac. Giuseppe Prestianni faceva restaurare e completare l’edificio. Il Collegio fu rinnovato negli interni e nelle strutture esterne, anche mediante modifiche al progetto originario del fondatore e dell'architetto palermitano Marvuglia. Con la speranza di far risorgere a nuova vita l'Istituto fu rifatta tutta la pavimentazione "a cemento" e sostituite le scale "primordiali" di pietra lavica e di mattoni con il marmo; sorsero ampie aule scolastiche, vasti dormitori.

La chiesa del Sacro Cuore, progettata dall’ing. Caselli e classicamente decorata dall'artista Sciuto Patti, eretta al posto della chiesa S. Rocco, resta l'opera che conclude nel modo più degno l'attivo rettorato del Prestianni. Contro il parere di Caselli che voleva ricomporre l’unità architettonica del Collegio, fu eretta anche una nuova costruzione ad uso di botteghe e case da affittare addossate al monumentale edificio. 

Sotto il rettorato del sac. Vincenzo Portaro (dal 1916 al 1936) il Collegio Capizzi riprese a crescere con un graduale aumento del numero dei convittori che vi affluivano da tutti gli angoli della Sicilia e della Calabria: nell'anno scolastico 1916-17 gli alunni interni furono 130, l'anno successivo 138 fino a superare nel 1920-21 il numero di 200. 

La scelta di nominare il Portaro, già professore di latino e greco al Regio Liceo Cutelli di Catania, a Rettore del Capizzi apparve subito avveduta e felice. Dopo oltre 150 anni dalla fondazione, apre il portone del Real Collegio Capizzi anche alle ragazze brontesi e non. Fra le altre iniziative tese a dar nuova linfa al secolare Istituto, nel 1924, il Rettore dotò il Convitto di un ottimo e completo Gabinetto di fisica (la spesa fu di circa 20 mila lire) che affiancò a quello di Scienze naturali e Chimica.

Il Real Collegio Capizzi vedeva però in lontananza il proprio declino e si cercava in tutti i modi di farlo rinascere a nuova vita anche perché in Sicilia molti altri istituti scolastici nascevano e le famiglie non sentivano più il bisogno di mandare a Bronte i loro figlioli sostenendo notevoli spese. In quegli anni la retta per l'anno scolastico (1 settembre - 30 Giugno) era di Lire 3.000 (1.000 in più del 1921), una somma notevole che poche privilegiate famiglie potevano permettersi. Le spese per libri, vestiario, tasse scolastiche, visite mediche straordinarie, medicine, vitto speciale, ecc., erano sempre a carico del convittore e venivano conteggiate a fine anno.

Pochi anni dopo, nel luglio del 1943, il Capizzi, venne parzialmente danneggiato dai disastrosi bombardamenti degli alleati e in un angolo fatto saltare dai tedeschi con le mine. 

Si deve all'impegno ventennale - dal 1946 al 1966 - del nuovo rettore, il sac. Giuseppe Calannae del suo vice, padre Giuseppe Zingale, l'opera di risanamento e di rinnovamento. Il suo rettorato, che è proseguito fino a pochi anni fa, quando per le mutate condizioni socio-culturali vennero chiuse la scuola ed il convitto d'istruzione e d'educazione, rappresenta più di un quarto della lunga e fascinosa storia del Collegio.

Ben presto i convittori dai trenta del periodo bellico (51 nel 1945, 90 nel 1946 e 119 un anno dopo) passarono a 160. Furono ricostruite le parti danneggiate dai bombardamenti, ristrutturati nuovi locali interni, rinnovati i dormitori, la palestra, le cucine, i servizi igienici, rammodernati il refettorio e le aule scolastiche. Ed infine il Rettore Calanna ed il suo vice, padre Zingale, portarono finalmente a compimento un antico desiderio di tutti i brontesi: la traslazione, a 211 anni dalla morte, dei resti mortali del ven. Ignazio Capizzi da Palermo a Bronte nel suo Collegio, dove riposano dal 17 Aprile 1994. Il Capizzi fu edificato dal popolo con il contributo dei sovrani Borboni. Per questo dall’iniziale nome di Casa di Educazione si chiamò Collegio Borbonico.

Successivamente, nel 1848, su iniziativa dell’abate Giuseppe Castiglione, pari del Regno, il Parlamento siciliano lo denominò "Collegio Nazionale". Dopo l’unità d’Italia mutò ancora nome in quello di "Real Collegio Capizzi". E tale è rimasto fino ad oggi.

Oggi le mutate condizioni socio-culturali hanno fatto chiudere la scuola ed il convitto d'istruzione del Collegio.

Struttura architettonica - L’edificio, a pianta quadrata con cortili interni, ha grandi dimensioni ed occupa l’intero perimetro di un grande isolato delimitato dalle vie Umberto, Card. De Luca, Attinà e Capizzi. Sorge nell’abitato costruito in massima parte tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Le mutate volumetrie urbane hanno cambiato in parte il rapporto architettonico con le costruzioni adiacenti, senza però alterare i punti di vista e le prospettive. La visione ravvicinata, determinata dalla larghezza della sede stradale, consente ancora una lettura dettagliata della raffinata decorazione parietale. La parte più antica del complesso ha carattere monumentale ed è costruita su tre livelli di cui uno seminterrato (con una palestra ginnica, le cucine, la lavanderia e le stalle). Un bel rinfaso orizzontale di pietra lavica sottolinea la separazione dei livelli frontestrada. Il ritmo regolare delle aperture è alternato alle forme ripetitive e geometriche delle decorazioni parietali. Il coronamento in muratura (finta balaustrata) chiude la facciata in alto sopra un cornicione in aggetto.

Sulle cornici e sulle trabeazioni delle finestre e sulla fascia marcapiano sono scolpiti motivi ornamentali a bassorilievo in pietra lavica di rara finezza. Ogni finestra, inquadrata da una cornice modanata, è sormontata da una trabeazione con motivi floreali al cui centro emergono festoni con cartiglio e conchiglia di gusto barocco. Al centro degli architravi risaltano alcune figure di volti umani. Al piano seminterrato dell’edificio sono collocati i servizi; la palestra apre su uno dei grandi cortili interni; le aule scolastiche e i dormitori sono al piano terra ed al primo piano. Due cortili interni al complesso e la "villetta" determinano l’articolazione delle aule e dei corridoi.

I locali a piano terra prospettanti su via Cardinale De Luca ospitano la Pinacoteca di Bronte.

Biblioteca - La biblioteca del Real Collegio Capizzi, organizzata come Tempio del Sapere, raccoglie quasi tutte le opere che costituivano la cultura umanistica del secolo XVIII. Rimasta chiusa per oltre quarant’anni, è stata riaperta al pubblico da alcuni decenni.

Anche questo prezioso patrimonio è opera di Ignazio Capizzi, fondatore del Collegio. Quando nel 1767, per ordine di Ferdinando III, i Gesuiti vennero cacciati dalla Sicilia, mentre tutti facevano a gara per impossessarsi dei loro beni demaniali, il Capizzi ottenne in dono numerosi volumi confiscati nelle biblioteche palermitane della Compagnia, preziosissimo patrimonio librario, parte del quale è oggi custodito nella biblioteca del suo Collegio. Col passare degli anni gli scaffali della biblioteca si sono arricchiti con libri, in particolare, dell'800, fra cui nel 1847 un tomo del Cantù e, nel 1850, la Storia ecclesiastica in 12 volumi, comprata a Napoli.
Nel 1864, il catalogo composto dal bibliotecario, sac. Gaetano Meli, numera 7.622 volumi, posti in due stanze in scaffali di legno, tuttora esistenti.

Nel 1879 il sindaco di Bronte, Guglielmo Leotta, dona 61 volumi provenienti dai soppressi conventi dei padri Cappuccini, dei Minori Osservanti e dei Basiliani di S. Blandano.

Oggi gli scaffali, colmi di oltre 21 mila volumi, tra testi scientifici, letterari, filosofici e teologici, offrono preziose edizioni di grandissimo interesse rendendo una evidente testimonianza del grado di cultura raggiunto nella vita del Collegio. Fra le opere di inestimabile valore giova citare un Aristotele del 1561, cinque grossi volumi su Aristotele pubblicati dal Didot, un raro dizionario del Calepino uscito nel 1571 dalla tipografia dei Manuzio, uno splendido atlante geografico del 1692, un trattato di astronomia del 1877, una Divina Commedia arricchita di raffinate incisioni stampata a Venezia nel 1536.

Oltre ad un archivio storico di inestimabile valore unico a Bronte, la biblioteca contiene oltre 21 mila volumi, tra libri scientifici, letterari, filosofici e teologici, con testo in greco e latino, oltre che in italiano, inglese, spagnolo, tedesco e francese. Rende evidente l'altissimo grado di cultura raggiunto nei secoli dal Collegio fondato dal ven. Ignazio Capizzi ed il livello di formazione scolastica che vi si impartiva.

Negli scaffali è conservata anche una copia del "Teatro Italiano" di Luigi Capuana (Palermo 1879), con dedica autografa dello scrittore. Il Capuana aveva studiato nel Collegio Capizzi negli anni 1853-54 avendo, fra gli altri, come professore padre Gesualdo De Luca.

Nel 1949 l'intera biblioteca già appartenuta agli illustri fratelli De Luca (Antonino, il cardinale e Placido, l'economista) è stata regalata dai discendenti al Collegio.

Cappella interna - Il completamento della costruzione della cappella posta all’interno dell’edificio del Real Collegio Capizzi venne iniziato il 1 novembre 1846.

La Cappella per oltre un secolo fu utilizzata per le cerimonie religiose, in forma privata, del Collegio (tutti i convittori, infatti, oltre al catechismo erano obbligati ad assistere alla messa giornaliera ed alle altre3 funzioni religiose).

Il fabbricato fu finito ed inaugurato nel 1855 dal Rettore don Gaetano Rizzo e restaurato nel 1892. Un ultimo restauro è stato fatto nel 2009, quando ci si propose di trasformare la Cappella, ormai non più utilizzata per le cerimonie religiose, nella sede della biblioteca del Collegio.

Della esistenza di questa piccola cappella interna si hanno notizie, fin dalla costruzione dell’Istituto e sembra sia stata disegnata ed edificata dal capomastro Giuseppe Lupo.

L’accesso alla cappella avviene soltanto dai locali del primo piano del Collegio; ha anche un ingresso secondario, attraverso un piccolo corridoio situato dietro l’altare maggiore della Chiesa del Sacro Cuore.

Quattro pilastri con semicolonne addossate disimpegnano l’ingresso; al di sopra una piccola cantoria con ringhiera in ferro battuto.

La cappella, che riceve luce soltanto dal lato destro, ha uno stile semplice con graziosi affreschi sulla volta che raffigurano il Sacrificio di Abramo che, per divino comando, offre in olocausto il figlio Isacco, Gesù disputante in mezzo ai dottori, Gesù che benedice i bambini e in orazione nell’orto degli ulivi.

Sulle pareti verticali leggere lesene con capitelli sorreggono una bianca cornice sopra la quale risalta il semplice cromatismo delle decorazioni sulle fasce e nei riquadri.

Chiesa del Sacro Cuore - La chiesa del Sacro Cuore, è posta sul Corso Umberto al centro del prospetto del Collegio Capizzi fra l’ala antica settecentesca (progettata dal Marvuglia e realizzata del ven. Ignazio Capizzi) e quella neoclassica costruita nei primi anni del 1900.

Fu voluta dal Rettore del Collegio Giuseppe Prestianni ed eretta in gran parte sull’area dell’antica Cappella di San Rocco, mensionata nel corso della visita pastorale a Bronte dell'arcivescovo di Monreale, Mons. Torres, del 1574 e della quale si hanno anche notizie dai riveli del 1580 e dai registri matrimoniali del 1589.

La costruzione del Sacro Cuore iniziò nel 1907 e la chiesa fu aperta solennemente al pubblico, il 15 Novembre 1914, con la benedizione dell’Arcivescovo Mons. Emilio Ferraris.

La  struttura e la composizione architettonica è opera dell’Arch. Leandro Caselli, lo stesso architetto che negli stessi anni progetto l'Ospedale Castiglione-Prestianni. Le decorazioni del prospetto e quelle interne, di stile barocco-rinascimentale, furono realizzate dal catanese Giuseppe D'Arrigo su disegno dell’ing. Sciuto Patti. Le statue del Sacro Cuore, di Sant'Eligio e di San Rocco furono realizzate dalla romana Ditta Zanazio.

La stile compositivo e la maggiore altezza della Chiesa rispetto al Collegio, la rendono visivamente autonoma ed emergente rispetto alle volumetrie dell’isolato. 

Nella facciata, alla scansione libera e moderna di superfici piane alternate a superfici a bugnato finto, si contrappongono elementi decorativi di chiaro gusto classico.

Due colonne in pietra lavica impostate su piedistalli prismatici, con capitello in pietra bianca, delimitano il portale d'ingresso nel cui centro su una lastra di marmo bianco è scolpita la frase "Ad mite cor accedite".

Le due colonne, possenti e ben delineate, sono raccordate attraverso un fregio in pietra lavica decorato da putti in pietra bianca, ad un architrave triangolare dalle linee spezzate, che fa bella mostra, attraverso la tonalità scura della pietra, nella chiara tonalità del prospetto.

Una cornice modanata separa il primo ordine dal secondo, dove, nello spazio delimitato dalle due paraste, con massiccia base in pietra lavica che racchiudono il portale, trova posizione un rosone a ventaglio in ferro e vetro colorato, inquadrato da una fascia bom­bata, che filtra la luce all’interno della chiesa. Al di sopra del rosone il disegno dell’architrave è ripreso nel cornicione che chiude la elegante composizione architettonica.

Nell’interno, a forma rettangolare con aula absidale, la navata unica è segnata da due grosse lesene riprese da grandi fasce anche sulla volta. Risaltano le decorazioni per la ridondanza di stucchi dorati di ispirazione barocca con elementi rinascimentali e classici.

La chiesa ha cinque altari in marmi policromi, opera dell'artigiano marmista Domenico Spampinato. Il primo altare, a destra entrando, è dedicato a S. Giuseppe con un quadro sovrastante dipinto dall'adranita prof. La Naia. Il secondo, quello più bello, è dedicato alla martire fanciulla Santa Caritosa con un quadro della Santa che, genuflessa dinnanzi alla Madonna con Bambino, circondati da angeli, angioletti, cherubini, intercede per Bronte. Il quadro, un olio su tela, misura m. 2,86 per una larghezza di 1,72 è opera del famoso pittore catanese Alessandro Abate (1867-1953, un altro quadro di Abate è posto nel prospiciente altare di S. Antonio ed altre sue opere sono anche nella Pinacoteca N. Sciavarrello).

Il corpo della Santa, custodito sotto l’altare, fu donato a Bronte dal filosofo Nicola Spedalieri. La statua che racchiude il corpo di Santa Caritosa è opera dello scultore e cartapestaio leccese Luigi Guacci (1871 –1934), uno dei più noti nella storia della cartapesta.

L'imponente altare maggiore, in marmo bianco, è sovrastato dalla statua del Sacro Cuore di Cesù; spiccano le figure in bronzo lavorato a bassorilievo dei quattro evangelisti e in basso, nel paliotto, le due statuine di San Pietro e San Paolo. In alto sotto il cornicione, sono rappresentate le teste dei dieci apostoli. Una piccola curiosità: per raffigurare il volto del Padre Eterno, sul bassorilievo posto sulla volta sopra l’altare maggiore, l'artista ha avuto come modello uno dei capostipite della famiglia Barbaria: Don Emanuele, nato nel 1833.

Sulla sinistra davanti all'altare con il quadro di Maria Ausiliatrice, opera di un pittore torinese, trovasi il monumento-sarcofago, realizzato da Ivo Celesti nel 1993, che contiene le spoglie del ven. Ignazio Capizzi  e di seguito l'altare di Sant'Antonio di Padova, con un dipinto di Alessandro Abate raffigurante l'apparizione di Gesù Bambino a Sant'Antonio da Padova. Anche questo quadro, un olio su tela di m. 2,60 per 1,50 di larghezza, è stato dipinto da Alessandro Abate nei primi anni del 1900.

A completamento dell'interno da vedere le vetrate istoriate e la cantoria sorretta da due colonnine sottili in ghisa.

Santuario della Madonna Annunziata

Il Santuario di Maria SS. Annunziata, Patrona con San Biagio di Bronte, è uno dei più antichi monumenti religiosi della Città. Sorge al margine ovest del paese, nella parte inferiore del antico centro storico, delimitato ora dal tracciato della circonvallazione che scende verso la contrada Sciarotta. Unisce in un’unica mirabile immagine la solida espressività del complesso e la forza innovativa degli elementi architettonici d’ispirazione rinascimentale.

L'inizio della costruzione della chiesa risale sicuramente a molto prima della riunione dei Casali (voluta da Carlo V nel 1535): la campana grande, infatti, riporta la data del 1535, e la chiesa già appare nei registri matrimoniali del 1505.

Nel periodo di trasferimento e di unificazione dei Casali (1535 - 1548), la chiesa fu rifatta e ingrandita e, dopo l’arrivo della statua dell’Annunziata verso il 1543, la nascente nuova città fu messa sotto la protezione della Madonna Annunziata, dando agli abitanti dei vecchi casali una comune nuova identità.

Quasi cinquant'anni dopo, nel 1625, fu costruito, il campanile. La facciata del Santuario fu completata nel 1631, e pochi anni dopo (nel 1651) fu compiuta la travatura della tettoia, come si legge sulla trave vicina al coro. Il coro e la cupola furono aggiunti nel 1811.

Sulla facciata principale risaltano il portale e la finestra con timpano, che sotto il davanzale porta la data del 1631 (forse ne indica il compimento). Gli stipiti ed il frontone in pietra arenaria della porta, sebbene sfaldati dal tempo, presentano ancora con chiarezza il semplice disegno del fiorame e le figure di puttini e di demoni a rilievo che l'adornano.

La scena raffigurata nella lunetta sopra porta ricorda il trasporto e l'arrivo sul piazzale della chiesa delle due statue del Gagini su un carro trainato da buoi.

Intorno alla lunetta è riportata la scritta "B.M.V. hujus civitatis Patronae principalis restauratum vetustissimum monumentum mirae traslationis simulacri".

Di particolare bellezza è il campanile, del 1625, cuspidato e di proporzioni massicce, che dà slancio all’insieme ed è caratterizzato dalle vistose parastre bugnate e dal coronamento merlato.

La chiesa costruita in muratura in pietrame lavico, ha una cupola emisferica a sesto acuto con lanterna e il tetto a capanna con capriate in legno.

Nei rilievi in bronzo della porta sono riportati i nomi di tutte le contrade e dei 24 Casali che dal 1535 al 1548 si riunirono per ordine di Carlo V nell'antica Bronte e che nella Madonna Annunziata, loro protettrice, ritrovarono una nuova "comune identità". La porta è opera è dello scultore brontese Mimmo Girbino.

La chiesa, a navata unica rettangolare, ha otto altari e due Cappelle, l'una dirimpetto all'altra, un presbiterio quadrato ante coro, e in fondo al coro uno stupendo arco (della stessa pietra arenaria della porta d'ingresso) che racchiude le due statue della Madonna e dell'angelo.

Nella chiesa sono custoditi capolavori d’inestimabile valore: opere di gusto rinascimentale degne di essere segnalate fra le espressioni artistiche più belle della Sicilia.

La navata, con soffitto a cassettoni policromi con dorature, è interrotta dagli ingressi di due cappelle dedicate al Cristo alla Colonna e a San Giuseppe.

Il transetto a pianta quadrata che precede il coro è sormontato da un tamburo circolare finestrato su cui si erge la cupola. I grandi archi delle cappelle e degli altari, che simmetricamente adornano le pareti, sono ricchi di plastici ornamenti e racchiudono preziosi quadri.

Entrando, da destra si trovano

- il dipinto della Madonna degli Angeli (n. 14). Raffigura la Vergine, seduta su una nube ed incoronata dagli angeli, che tiene ritto sulla gamba sinistra il Bambino benedicente.
Inferiormente, vestiti del saio francescano  i due santi di Assisi: S. Francesco e Santa Chiara (raffigurata anche in un bassorilievo della cappella di S. Giuseppe) e, in basso al centro, uno scorcio del paese di Bronte miracolosamente salvato dalla furia dell'Etna.
La tela misura 276 cm x 170 ed è opera del pittore Giuseppe Tommasi (1610-1672) da Tortorici.

- Subito dopo, nella parete laterale (dove un tempo era la porta del campanile) si trova l’altare della Natività di Gesù con l'omonimo quadro (n. 12);

- l'altare di San Martino di Tours (n. 8) con un bellissimo dipinto di San Martino (raffigurato ai piedi della Madonna tra San Giacinto e Santa Barbara).

- la cappella del Cristo alla Colonna (n. 6 della mappa)

- l’altare di S. Ignazio di Lojola (n. 4), racchiuso dentro un pregevole arco di gusto rinascimentale, con la statua settecentesca. Degna di nota l'artistica testa del Santo: rappresenta, particolarmente negli occhi, un mirabile esempio di perfezione raffigurativa.

- Il quadro, appeso in una nicchia subito dopo l'altare di S. Ignazio, rappresenta Santa Apollonia, la Patrona dei dentisti e di coloro che soffrono di mal di denti. Proviene, probabilmente, dalla ormai scomparsa chiesa di S. Maria della Venia o della Vina, un piccolo santuario, posto un po' più su del cimitero, dove esisteva un altare dedicato a Santa Apollonia. E' opera, come si legge, in basso al centro, di Sebastianus Calanna.

A sinistra della navata si vedono

- L'altare con il quadro di Sant'Orsola del 1580 (posto nella parete accanto alla porta, n. 13); la Santa, attorniata dalle sue compagne e da Papa Ciriaco, secondo l'iconografia tradizionale è rappresentata come una principessa, in abiti regali, con la corona in testa e con un vessillo bianco con croce rossa, come segno di vittoria sulla morte per mezzo del martirio; nella parte destra in basso il pittore (Sebastiano De Torres per p. G. De Luca) ha dipinto il suo autoritratto nell'atto di pregare.

- L’altare della Madonna della Grazie (primo altare a sinistra, n. 11): molto bello il quadro, del 1646, attribuito a Giuseppe Tomasio; raffigura la Madonna con, ai suoi piedi, a sinistra Sant'Andrea apostolo e S. Benigno di Digione, prete e martire, e, a destra, S. Domenico e S. Francesco. In basso a sinistra il pittore ha dipinto ai piedi di Sant'Andrea il ritratto del procuratore della chiesa e committente del quadro, Francesco Lazzaro.

- L'altare di Gesù e Maria (n. 7) con l'omonimo dipinto che simboleggia la Redenzione (vi sono riprodotti tutti i simboli della Passione di Cristo).

- la Cappella di San Giuseppe (n. 5): i due bassorilievi, alla base delle colonne laterali, rappresentano a sinistra Sant'Agnese (raffigurata iconograficamente con la palma del suo martirio e un agnello in braccio ) e a destra Santa Chiara, che nella mano sinistra tiene una lanterna (il suo simbolo) e con la destra mostra tre dita a simboleggiare la Santa Trinità (Santa Chiara è anche raffigurata con S. Francesco nel quadro della Madonna degli Angeli); da ammirare nella parte frontale dell'altare un delizioso bassorilievo raffigurante la "fuga in Egitto".

- L’altare di San Michele Arcangelo (n. 3) con un pregevole arco d’elegante stile barocco; i due bassorilievi, alla base delle colonne laterali, rappresentano, sorretti da due angeli, S. Ignazio vescovo di Antiochia (a destra), e S. Policarpo vescovo di Smirne (a sinistra).

- subito dopo l'altare di S. Michele Arcangelo trovasi la porta d'ingresso della sacrestia (n. 2).

In fondo al coro si erge l’altare maggiore dedicato all’Annunziata (n. 1).

La Cappella del Cristo alla colonna (n. 6), detta prima la cappella della disciplina o dei flagellanti, un tempo si apriva con il prezioso arco di travertino che oggi, smontato e rimontato nell'altare maggiore tra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90, fa da cornice al gruppo marmoreo dell'Annunciazione.

Nella nicchia dell'altare si trova la bella statua del Cristo alla colonna, secondo alcuni proveniente dalla chiesa del SS. Cristo, sopra San Vito, sepolta dalla lava. La tradizione dice che sia opera di un pastore brontese. La statua mostra in grandezza naturale il Cristo con le mani legate dietro la schiena ad una colonna, il corpo piagato e sanguinante ed il viso pieno di umana sofferenza. Evoca con grande realismo il dramma della passione; ogni anno, nella processione del Venerdì Santo viene portata a spalla, su un pesantissimo fercolo in legno; precede le altre statue statue del Crocifisso, del Cristo morto e dell’Addolorata.

Accanto alla cappella si trova un balconcino ligneo rettangolare sostenuto da grossi mensoloni all’altare e, sulla sinistra, un pulpito ligneo con baldacchino.

All’interno della chiesa, sull'altare maggiore (n. 1), sormontato da un arco di travertino dal 1549, è posta l’Annunciazione (gruppo marmoreo della Vergine Annunziata, dell’Angelo Gabriele e di un inginocchiatoio, opera dello scultore palermitano Antonio Gagini), alla quale il popolo brontese è devotamente legato da sentimenti di comune identità e d’antica e profonda religiosità.

Recentemente la zona intorno all'altare maggiore riservata al clero (il presbiterio) è stata risistemata con l'aggiunta di nuovi elementi architettonici: un altare centrale, l'ambòne (un piccolo pulpito destinato al predicatore o alla lettura), una sedia e due lunghe panche laterali. Il tutto realizzato con marmi pregiati variamente colorati.

Il bellissimo arco rinascimentale di travertino del 1500 che caratterizza l'altare maggiore, fino al 1980 era montato nel vano dell’entrata della Cappella del Cristo alla Colonna.

E' tutto costruito con pregevoli bassorilievi, ornati e figure, indorati e variamente colorati, col classico frontone sormontato da tre guglie lavorate a fiorami.

Vasi con vari fregi, zampilli d'acqua e fiori adornano le colonne: quelle della base a destra sono sostenute da leoni alati, quelli a sinistra da animali col volto più di sfingi che di leoni.

Figure di profeti o re, con turbanti in capo, dei quali è scomparso il nome, che prima si leggeva negli svolazzi, sono al centro delle colonne ed accanto ai capitelli con foglie d’acanto. In alto, sotto la cornice del frontone, c’è un mascherone con ai lati due delfini dal volto umano.

Nel frontone piramidale è rappresentato lo Spirito Santo, a forma di colomba, circondato da due angeli. Dodici volti di angeli, sei da un lato e sei dall’altro, e lo Spirito Santo in mezzo, abbelliscono l’interno della centinatura.

L’Annunciazione del Gagini è opera di grande pregio e bellezza: s’inserisce in quel filone artistico rinascimentale che nella scuola gaginiana si fuse con le forme nuove del manierismo toscano e romano.

Le figure della Vergine e dell'angelo annunciatore ed il piccolo inginocchiatoio compongono un insieme armonico animato dalla bellezza dei volti e delle modalità espressive e da una viva tensione spirituale. I corpi alti e di squisite proporzioni delle due statue vibrano dentro le vesti dal fluente panneggiamento riccamente decorato nell’essenzialità dei loro movimenti. Il viso di giovinetta della Vergine esprime riverenza e turbamento, con la destra sembra allontanare l'immane peso di ciò che ascolta; mentre Gabriele, leggermente genuflesso, con le mani appoggiate sul petto, guarda l’eletta con deferenza ed occhi pieni di ammirazione e di rispetto.

Le statue furono commissionate da Niccolò Spitaleri, per conto dei cit­tadini brontesi, allo scultore palermitano Antonio Gagini, per pubblico atto rogato dal Notaio Dimitri di Palermo del 21 Gennaio 1540.

Il gruppo marmoreo costò 48 onze (circa 100 mila euro di oggi) e fu consegnato ai Brontesi pochi anni dopo, nel 1543. Fu portato per mare da Palermo fino alla marina di San Marco e da qui a Bronte attraverso i boschi dell'Etna su un carro trainato da buoi.

L'oratorio di Gesù e Maria - L'Oratorio di Gesù e Maria, costruito adiacente alla parte sinistra del prospetto della chiesa, ed ad essa annesso, è ancora oggi la sede dell'omonima Confraternita, fondata del XVI secolo, ed un tempo una delle più importanti ed organizzate associazioni brontesi di questo tipo.

L'esterno dell'oratorio è poco significativo sovrastato com'è dal maestoso prospetto del Santuario nel quale si confonde e si integra. Basta attraversare però la piccola porta per trovarsi in un luogo delizioso: una piccola chiesa, a navata unica, semplice e lineare, ricca di documentazioni e di opere d'arte, dimostrazione della profonda religiosità che animava un tempo la vita delle confraternite.

Di particolare interesse gli affreschi centinati raffiguranti Gesù Cristo e vari santi quasi tutti dipinti nella prima metà del XIX secolo che coprono le pareti che il Radice stranamente definisce "grossolani".

Quasi tutti sono opera di artisti brontesi; rappresentano figure di di santi e, in un angolo della parte bassa, riportano le sembianze dei tesorieri della Confraternita che a proprie spese fecero eseguire le pitture.

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