Acireale
ebbe a chiamarsi così soltanto verso la seconda metà del '600, allorchè
con l'attributo "reale" dato al sostantivo "Aci" si
volle orgogliosamente sottolineare nei confronti di tutte le altre Aci
baronali la diretta soggezione al regio demanio.
Precedentemente si era
chiamata Aquilia o Aci Aquilia, cui talora si aggiungeva l'aggettivo
"nuova" per distinguerla da Aquilia "vecchia". Le
origini di Aquilia (nuova) sono relativamente recenti.
Agli
inizi del 1400 essa non era altro che un agglomerato di poche case, ma già
sul finire del secolo tendeva ad acquistare fisionomia di città, divenendo
nel corso del '500 il centro piu' importante di tutto il territorio acese.
Circa Aquilia vetere ben poco si sa di storicamente accertato: fu di certo
un borgo di assai scarsa rilevanza nel '300; distante circa tre km
dall'attuale città (in direzione sud), nel XV secolo venne progressivamente
abbandonata dai suoi pochi abitanti fin quasi a perdersene le tracce.
L'incendio di Aquilia vetere nel 1326 da parte dell'angioino Beltrando Del
Balzo per vendicarsi delle offese degli Acesi che si beffavano di lui è
supposizione.
L'azione
della flotta angioina in verità fu rivolta contro il castello di Aci che
costituisce il punto diriferimento per tutta la storia medioevale acese. Che
poi a seguito di quella incursione e della eruzione del 1329 gli abitanti di
Aquilia vetere decidessero di spostarsi più a monte ponendo così le
premesse al sorgere di Aquilia nuova è possibile. Ciò che è certo è il
fatto che nel corso del '300 e del '400 i continui attacchi provenienti dal
mare, soprattutto ad opera della pirateria saracena, fecero si' che la
popolazione che abitava vicino alla costa preferisse stanziarsi in luoghi più
alti e meno esposti alle incursioni. La crescita demografica, economica,
politica di Aquilia nuova per tutto il '500 non conobbe soste, malgrado il
frequente verificarsi di carestie e della peste.
La trasformazione di una modesta contrada in una città pulsante di vita si
evince dagli elementi più disparati: dal privilegio del mero e misto impero
(potestà di amministrare la giustizia) alla formazione dell'archivio
comunale, dalla costituzione di milizie territoriali alla nascita delle
prime scuole pagate con pubblico denaro, dall'istituzione di un ospedale e
del monte di pietà alla costruzione di numerose chiese e conventi,
dall'ampliamento della piazza maggiore alla deliberazione per l'ultima
fabbrica della chiesa dell'Annunziata (oggi Duomo).
Quando nel 1528 l'imperatore Carlo V a corto di denari vendette anche il
diritto di ricompra della terra di Aci alla famiglia dei Mastrantonio, che
l'aveva acquistata nel 1466, Aquilia, che fra i casali acesi pignorati era
quello in fase emergente, si adoperò fermamente per il proprio riscatto,
riuscendo nel 1531 con cospicui donativi ad emanciparsi dal dominio baronale
e a ritornare in grembo al regio demanio. Nel '300 e '400 l'intero
territorio di Aci, che aveva nel castello il suo centro di prestigio, era
stato più volte venduto a baroni e banchieri e tale alienazione aveva
comportato la perdita di privilegi legati alla demanialità ed il pagamento
di esosi tributi.
Nel
1553 nuovamente Aquilia ed il restante Aci, o meglio l'Università di Aci,
come si chiamava allora, corse il pericolo di essere rivenduta e soltanto un
donativo di 100 onze da ricavarsi da una nuova gabella del vino e dei mosti,
la fece scampare al pericolo di ricadere sotto il dominio baronale.

Nel
1558 la chiesa dell'Annunziata era elevata a sacramentale (parrocchia),
finendo cosi' di dipendere dalla chiesa di Aci San Filippo: il fatto sanciva
l'ascesa di Aquilia anche in campo religioso. La presenza degli Spagnoli non
mancava talora di creare gravi momenti di attrito: nel 1577 un tumulto
spontaneo e sanguinoso contro talune imposizioni delle milizie spagnole
costava alla città 17 impiccagioni e 15000 scudi per ottenere l'amnistia.
La città in quel periodo oscillava tra i sei ed i settemila abitanti.
Malgrado la sconfitta di Lepanto le scorrerie dei Turchi lungo il litorale
continuarono ad essere frequenti: il che rese necessario agli inizi del
Seicento due importanti opere di fortificazione: la prima a Capo Mulini è
la torre quadrata di Sant'Anna (dal 1868 adibita a faro) in prossimità di
altra piccola torre circolare della famiglia Alessandrano; la seconda sulla
Timpa di Santa Maria La Scala è la "Fortezza seu Bastione" del
Tocco, edificato su disegno dell'ing. fiorentino Camillo Camilliani (al suo
consolidamento partecipo' l'ing. acese Vincenzo Geremia cui si deve nel 1674
un cannoncino portatile in fili di ferro e canapa, oggi alla pinacoteca
Zelantea).
Sempre
nella prima metà del Seicento diventò definitiva l'iconografia del sigillo
cittadino che passerà poi nello stemma. Esso presenta a destra il castello
merlato con in cima un leone coronato rampante che tiene una bandiera, a
sinistra i tre faraglioni uscenti dal mare con in alto le lettere A.G. a
ricordo del mito di Aci e Galatea. Nei sigilli compare anche la dicitura:
"Acis civitas amplissima et fida regibus". Il senso dell'antica
unità e la concordia di intenti dimostrati nella ferma decisione di restare
terra demaniale lungo il corso degli anni si erano venuti logorando.
Tra la città di Aci Aquilia ed i restanti "casali" sorgevano di
continuo contrasti: non ultimo quello a seguito del trasferimento nel centro
di Aquilia della Fiera Franca (1616) che dal 1422, per concessione di Re
Alfonso, si era tenuta in contrada Reitana. Contrasti e gelosie, che,
acuiti, dovevano portare ad una prima separazione nel 1628. Dopo una
momentanea e quanto mai precaria pacificazione, nel 1640 si giungeva alla
separazione definitiva. I casali di S. Antonio e S. Filippo erano eretti in
città, costituendo quella che polemicamente avrebbe voluto chiamarsi la
Urbs Acis Superioris; ma, mentre appena qualche anno dopo tale Urbs diveniva
terra baronale, Aci Aquilia restava demaniale; in pari tempo tendeva a
divenire d'uso corrente la denominazione "Reale" con la
contemporanea perdita del sostantivo "Aquilia".
Il che non significò che periodicamente da parte della corte non si
riaffacciasse la tentazione di alienare la città. Ma gli Acesi seppero
sempre stornare da sè quel pericolo, come quando, venutosi a sapere che la
città era stata data in feudo al banchiere genovese Agostino Ayroli,
mandarono due ambasciatori fino a Madrid per difendere la causa
dell'autonomia. Ancora una volta fu una difesa vittoriosa e la vendita
feudale venne dichiarata nulla. Il passaggio dinanzi alla marina di
Acireale, nel 1657, della flotta di Martino De Redin, Gran Maestro
dell'Ordine Gerosolimitano, già valido difensore degli Acesi, veniva
festeggiato con spari dalla fortezza del Tocco, cui rispondevano in segno di
saluto le artiglierie delle navi (l'avvenimento sarebbe stato immortalato in
un quadro, oggi alla Pinacoteca Zelantea, che offre uno splendido scenario
di Acireale).
Tre
anni dopo veniva avviata la costruzione della Corte Giuratoria (Palazzo di
Città). Nel 1669, allorche' l'eruzione lavica dell'Etna fece sentire la sua
azione devastatrice su Catania, assai numerosi profughi catanesi trovarono
soccorso nella pronta ospitalità della città (Catania contava in quel
periodo sui 16000 abitanti; Aci Aquilia circa 11000). Il 3 ottobre 1671 il
vescovo catanese Michelangelo Bonadies fondava l'Accademia degli Zelanti,
destinata ad essere il sodalizio vessillifero della cultura acese.
Ribellatasi Messina agli Spagnoli e chiesto l'intervento dei Francesi, nel
1677 in uno scontro presso le alture della vicina S. Leonardello gli Acesi
battevano alcuni reparti dei Francesi e successivamente ne respingevano un
attacco della flotta.
Durante il Seicento veniva precisandosi l'assetto urbanistico della città:
era ribadita la centralità di piazza Duomo che diveniva perno di un sistema
viario radiale; erano tagliate importanti vie quali la Galatea, S. Martino,
via delle Maestranze (oggi Romeo), nonchè due strette e tortuose vie
destinate poi a divenire corso Umberto e corso Savoia; era portata a termine
la strada della Scala che metteva in comunicazione la città con il mare
sottostante. Quasi sul finire del secolo un tremendo terremoto sconvolgeva
la Sicilia orientale.
Acireale ebbe a soffrire danni rilevantissimi. La corte del capitano di
giustizia e la loggia dei giurati furono "fracassate"; tutte le
chiese e i monasteri subirono lesioni più o meno gravi. Le vittime furono
739 su una popolazione di quasi 13.000 abitanti. E però le distruzioni
dell'11 gennaio 1693 diedero l'avvio ad un'opera di ricostruzione che
testimonia della ricchezza e della grande capacità di ripresa della città.
Acireale si trasformò in un cantiere; sorsero nuovi palazzi e chiese al
posto di quelli demoliti; le vecchie strade furono allargate, ne furono
tracciate nuove. Il pittore Pietro Paolo Vasta e l'architetto Paolo Amico
furono gli interpreti più illustri della ripresa che diede ad Acireale il
suo volto settecentesco tardo barocco.
Il
28 aprile 1714 Vittorio Amedeo II, cui a seguito del trattato di Utrecht era
stato assegnato il regno di Sicilia, era il primo re a giungere in visita.
Accolto festosamente da tutta la popolazione (si contavano poco piu' di
12.000 abitanti), pernottava nel palazzo Costa Grimaldi di piazza Duomo. Ma
l'attaccamento al Savoia non era sentito e nel 1717 la città era pronta ad
insorgere, sperando (invano) nel ritorno degli Spagnoli.
Nel 1770 Orlandi nel suo Delle citta' d'Italia e isole adiacenti pubblicava
la "pianta scenografica della città di Aci-Reale".
Nel 1778 veniva fondata l'Accademia dei Geniali, successivamente trasformata
in Dafnica (1816). Nel corso del '700 ebbe un notevolissimo sviluppo
l'industria della seta: tessuti e manifatture acesi godevano di rinomanza in
tutto il regno. L'opposizione di Catania all'incremento di tale attività
industriale in Acireale era stata tenace, determinando un lungo periodo di
dissidio che si sarebbe rinverdito nella prima metà dell'800 in diverse
occasioni: la prima, allorchè nel 1813 il Parlamento Siciliano privò
Acireale (non più capocomarca malgrado i suoi 18.000 abitanti) della sede
giudiziaria, restando la città così soggetta alla magistratura catanese;
la seconda, allorchè la strada litoranea per Catania decisa nel 1819 venne
deliberatamente ritardata dai Catanesi; la terza, infine, allorchè la
richiesta di un porto a Capo Mulini andò delusa a tutto vantaggio del porto
di Catania (1835). Durante i moti del 1837 Acireale rimase fedele ai Borboni
e Ferdinando II nel '38 la elevava a sede di distretto. Lo stesso anno il re
visitando la città (un'altra visita reale si era avuta nel 1806 da parte di
Ferdinando IV) accoglieva la domanda di istituzione della diocesi. Il che
era un indorare la pillola per la mancata concessione del porto a Capo
Mulini.
Scoppiata la rivoluzione del 1848, Acireale accolse subito l'invito per
l'indipendenza del regno di Sicilia, costituendo un comitato rivoluzionario
ed una guardia nazionale acesi quanto mai attivi. Grazie a quest'ultima
venne presa e prontamente fucilata una banda di delinquenti, detti "spataioli",
che spadroneggiava in città.
In
un clima di fervido patriottismo le rivalità municipali vennero dimenticate
e Catania offrì ad Acireale la bandiera tricolore con l'emblema della
Trinacria (conservata presso la Pinacoteca Zelantea) ed una spada dall'elsa
d'oro (che fa parte del tesoro di S. Venera). Le truppe borboniche al
comando del generale Carlo Filangieri spensero ben presto tanti entusiasmi
ed il 5 aprile 1849 Acireale si arrendeva. Il poeta e patriota Gregorio
Romeo andava esule a Malta, dove sarebbe morto nel 1850 a 25 anni.
Più
tardi, nel 1860 la città tra le prime tornava ad inalberare il tricolore,
contribuendo al meglio delle proprie risorse alla riuscita dell'impresa dei
Mille. Successivamente votava plebiscitariamente per l'annessione.
Nel
1866 arrivava il primo treno; lo stesso anno veniva fondato il "Comizio
Agrario", destinato a diventare prima "Stazione Sperimentale di
Frutticoltura" (1907) e poi l'attuale "Istituto Sperimentale per
l'Agrumicoltura" (1967); l'anno dopo il colera provocava più di 1.000
vittime.
Nel 1872 papa Pio IX, concretizzando un'antica aspirazione degli Acesi,
istituiva di fatto la diocesi di Acireale, che solo pochi anni dopo
realizzava un suo seminario vescovile (1881).
Nel 1870 era stato inaugurato il teatro "Bellini"; tre anni dopo
era inaugurato lo stabilimento termale "S. Venera" sorto per
iniziativa del barone Agostino Pennisi di Floristella. Nel 1881 il re
Umberto e la regina Margherita visitavano Acireale alloggiando al Grand
Hotel des Bains che il suddetto barone Pennisi aveva fatto costruire insieme
alle terme.
Nel 1892 entrava in funzione il primo telefono; qualche anno più tardi
(1896) brillava per la prima volta la luce elettrica; nel 1901 cessava
l'attività dei maceratoi presso Capo Mulini.
Il terremoto del 1908 che distrusse Messina aveva come unica conseguenza la
demolizione della parte superiore del settecentesco loggiato delle
Benedettine che prospettava in piazza Duomo. Durante gli anni della prima
guerra mondiale Acireale veniva collegata con Catania mediante tranvai.
Il
1918 è l'anno della spagnola: nella città che all'inizio del secolo
contava quasi 27.000 abitanti i morti sono circa mille.
Nel 1927 veniva creata l'Azienda autonoma della Stazione di Cura.
Nel
1937 Mussolini passa per Acireale; due anni dopo in occasione del
cinquantenario del Collegio Pennisi la città ospita il principe Umberto di
Savoia (tornerà nel 1946 per il referendum istituzionale).

Durante
la seconda guerra mondiale due i fatti di rilievo: il bombardamento alleato
del 14 novembre 1941 ed il sabotaggio di un piano tedesco che nell'estate
del '43 voleva far saltare con esplosivo i punti nevralgici della città.
Nel dopoguerra Acireale si è notevolmente ingrandita: soprattutto a nord
sono sorti interi nuovi quartieri. Di pari passo è andato l'incremento
demografico: oggi la città sta per toccare i 50.000 abitanti. Due grandi
arterie stradali, la Panoramica lungo la Timpa ed il raccordo con
l'autostrada Messina-Catania l'hanno liberata dalla morsa del traffico
pesante.
Il potenziamento delle attività connesse con l'agrumicoltura ed il turismo
(parecchi e di buon livello i complessi alberghieri sorti negli ultimi
decenni) sono oggi le direttive di sviluppo che vengono perseguite con
maggiore incisività.
Tra gli avvenimenti che mette conto ricordare sono: l'incendio del teatro
"Bellini" (1952), l'apertura della "Città del
Fanciullo" (1952), la nascita della rassegna d'arte "Acireale
Turistico-Termale" (1967), l'inaugurazione del nuovo stabilimento
termale "S. Caterina" (1987), l'apertura del "Museo delle
Uniformi" (1988) e del "Museo della Civiltà Contadina" (Aci
Platani) e, per concludere, l'emissione di un francobollo celebrativo nel
1997: un avvenimento piccolo, ma di rilevanza per segnalare la vitale
presenza della Città nel contesto della Nazione.
Miti
e leggende
Ad Acireale
alla storia si affianca spesso la leggenda, soprattutto nel mito
della fondazione. Tra le leggende Aci e Galatea, l'avventura di
Odisseo contro il ciclope Polifemo, un bosco nato dalla vendetta di Zeus contro
dei giganti e
una leggenda relativa alla fuga dell'esercito
cartaginese davanti a una colata dell'Etna.
La leggenda
paronima, da cui poi nascerebbe anche il nome della città e dei casali, fu
l'idillio di amore fra Aci e Galatea ed
è introdotta da Ovidio nelle Metamorfosi,
da Teocrito,
da Virgilio,
da Posidippo,
da Filosseno,
da Callimaco,
da Ermesianatte e
da Euforione.
La
bellissima ninfa Galatea era innamorata del pastorello Aci. Il loro amore
era contrastato da Polifemo,
terribile ciclope che, infuriato dalla gelosia, scagliò contro il
pastorello un sasso, provocandone la morte. La ninfa, disperata per la
perdita di Aci, supplicò gli dèi affinché lo restituissero in vita ed
essi, accogliendo le preghiere, trasformarono il pastorello in un fiume
eterno, chiamato Aci (Akis). Il fiume
Aci, che ha un cammino sotterraneo ignoto e fa parte del ricchissimo
sistema imbrifero etneo, sfocia sia in località Acque grandi ("acquaranni")
tra Acireale e Capomulini, sotto un poderoso banco lavico, sia nella
frazione di Santa Maria la Scala (Testa di l'Acqua), presso il "Molino
di Miuccio", con acqua limpidissima e gelida, sia a nord del quartiere
di Santa Caterina (Acqu'e ferru) dove ha un caratteristico effetto
rossiccio, causato dalla presenza di ossidi
di ferro, che nella fantasia popolare, sulla base dei versi ovidiani,
viene attribuito al sangue di
Aci ("u sangu di Jaci", in dialetto siciliano).
Nella Villa
Belvedere è esposto un gruppo scultorio di Aci e Galatea, copia
in marmo eseguita al pantografo sul modello in gesso patinato esposto alla Biblioteca
Zelantea, opera di Rosario
Anastasi del 1846,
che rappresenta l'epilogo del mito, l'ultimo atto, quando Galatea, con la
sua drammatica invocazione agli dèi, vorrebbe risuscitare il suo amato Aci
ucciso da un sasso scagliato da Polifemo.
A venti
anni di distanza, nel 1866, Auguste
Ottin adatta nella seicentesca Fontana Medici dei Giardini
del Lussemburgo di Parigi,
la marmorea composizione con Galatea languidamente distesa accanto ad Aci
cui fa da contrasto il bronzeo Polifemo che li guata geloso sovrastandoli,
preludio della sua primordiale vendetta.
Un altro
riferimento al figlio di Poseidone si ha nel libro IX dell'Odissea.
Nell'identificare l'antro dove abitò il feroce avversario di Ulisse in Virgilio,
in Callimaco e in altri autori classici e moderni si fa riferimento
alle balze dell'Etna,
propriamente nel tratto di costa situato tra Capo
Mulini e Aci
Trezza. I faraglioni
di Acitrezza inoltre sarebbero secondo il mito i massi scagliati
contro il Laerziade dall'accecato mostro.
L'Isola
Lachea venne identificata con l'isola bassa dove sostò la
flotta delle dodici navi achee di cui fa menzione Omero solo
nel XIX
secolo (prima infatti era nota semplicemente come l'Isola).
Nella Gigantomachia di Claudiano si
fa riferimento allo scontro che funestò il mondo dei miti, tra i Titani
dell'Olimpo e i Giganti.
Questi ultimi vennero puniti cadendo nel Lucus Jovis identificato
col Bosco
d'Aci, nel quale bosco si sarebbero potute scorgere, come riportato
sempre nella stessa opera, sia le pelli che le teste recise di questi
sfortunati in strazianti espressioni di dolore tanto che persino Polifemo vi
si teneva lontano.
Secondo la
tradizione l'eruzione
dell'Etna del 396 a.C. - che storicamente investì e stravolse
il territorio acese - avrebbe anche terrorizzato e messo in fuga la flotta cartaginese comandata
da Imilcone che
si preparava ad uno sbarco durante la seconda
guerra punica, determinandone un grave smacco.
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