Centro
di antica tradizione peschereccia, fondato alla fine del Seicento dal
nobile palermitano Stefano Riggio come approdo marittimo per il
proprio feudo, il paese si affaccia sul mar Ionio dinanzi al
piccolo arcipelago delle isole Ciclopi, sito di interesse
naturalistico e geologico; dalla seconda metà del Novecento il
borgo è divenuto anche una destinazione turistica.
Aci
Trezza è nota inoltre per essere il luogo in cui sono stati ambientati il
romanzo I
Malavoglia di Giovanni
Verga e il film La
terra trema di Luchino
Visconti, a sua volta direttamente ispirato all'opera dello scrittore verista.
L'origine
del nome Trezza è incerto: la prima e più accettata ipotesi lo fa derivare
dai "tre pizzi" dei faraglioni. Invece, secondo
l'arciprete De Maria, deriverebbe dalle fabbriche di laterizi che
avrebbero dato il nome alla contrada: Acis Lateritie. Un'altra
teoria vuole che il nome derivi da uno scoglio che si trova "a venti
passi dalla ripa" chiamato Trizza e per metonimia lo
abbia passato all'intera zona, ove successivamente sorse il paese.
La
zona dove sorge Aci Trezza era il cuore dell'antica città siceliota di Xiphonia.
A nord della stessa, al confine con l'attuale paese di Capo Mulini,
sfociava il fiume Aci.
Durante
il periodo romano divenne un luogo di transito e approdo: ne sono
testimonianze le diverse ancore e anfore che si trovano nei
fondali della Riviera dei Ciclopi e il relitto di nave romana al largo
di Aci Trezza.
Il
paese venne ufficialmente fondato alla fine del XVII secolo da
Stefano Riggio. La scelta non fu casuale essendo questi proprietario dal 1672 della
città di Aci Sant'Antonio e Filippo Inizialmente nacque come approdo
marittimo del principato dei Riggio poiché il sito u locu di la
Trizza era l'unico sbocco al mare del feudo e se debitamente
sistemato sarebbe divenuto un ottimo scalo.
Ben
presto, grazie agli sforzi del principe Stefano II, divenne centro pulsante
della vita commerciale locale: vennero costruiti un riparo per le barche, la
chiesa, un emporio e un forno dove era possibile produrre anche la pasta.
Infine attorno allo scalo vennero innalzati numerosi magazzini atti a
contenere olio, ferro, salumi e formaggi. Il carricatore della
Trizza divenne uno dei porti commerciali più attivi di Sicilia. La
neonata cittadina subì il devastante terremoto del Val di Noto del
1693 che fece diciassette vittime, numero ingente paragonato alla
numero degli abitanti dell'epoca. Le salme vennero sepolte sotto le macerie
dell'antica chiesa di San Giuseppe.
La
comunità venne gestita da Stefano Riggio fino al 1678, dal figlio
Luigi Riggio Giuffrè fino al 1680, da Stefano Riggio Saladino fino al 1704,
da Luigi Riggio Branciforte fino al 1757. Quest'ultimo però risiedette
in Spagna dove agli ordini del re Filippo V ricoprì
incarichi di rilievo. Lasciò quindi l'amministrazione del feudo allo
zio Gioacchino Riggio. Prima di partire per la Spagna, Luigi Riggio
Branciforte si dedicò ai restauri e alle ricostruzioni degli edifici
colpiti dal terremoto e alla risistemazione del molo danneggiato dai marosi.
Rientrò
nel suo feudo in età avanzata dedicandosi alla trasformazione dello scalo
di Aci Trezza: costruzione di altre case, magazzini e officine per i
bastimenti che sempre più numerosi approdavano. Inoltre fece realizzare una
strada carrabile per unire Aci Trezza con il resto dei quartieri del feudo
che risultò essere una delle prime carrozzabili dell'intero territorio
etneo. Infine fece erigere sulla marina di Aci Trezza un sontuoso palazzo,
le cui rovine erano ancora visibili agli inizi del XX secolo.
In
seguito il feudo passò a Stefano Riggio Gravina fino al 1790 e a
Giuseppe Riggio Grugno fino al 1792, quando divenne territorio libero.
Giuseppe Riggio Grugno morì nel 1820 a Palermo, decapitato dalla folla
in rivolta. Si estingueva così il ramo maschile della famiglia dei principi
di Aci. In ogni caso il feudalesimo era già stato abrogato in
Sicilia nel 1812.
La
fine della dinastia Riggio condusse il paese in un periodo di
decadenza: venne persa l'indipendenza dell'Universitas e la
gestione amministrativa passò inizialmente ai giurati catenoti e
successivamente al barone Pennisi. Furono anni travagliati in
cui i trezzoti lottarono per riaffermare la loro autonomia e i loro diritti.
Il 20 febbraio 1821 venne inviata al Presidente e ai Deputati del
Consiglio provinciale del Vallo competente una petizione firmata
da 34 cittadini per chiedere l'erezione a Comune di Acitrezza.
Contestualmente
gli abitanti di Aci Trezza capeggiavano una rivolta contro la città di Acireale a
causa dei maceratoi di lino e canapa posti nella frazione di Capo
Mulini, che rendevano l'aria malsana in un periodo storico dove il colera tornava
a mietere vittime. La "guerra dei maceratoi" si risolse con
l'accettazione delle istanze trezzote e la chiusura delle vasche nel 1825. Queste
lotte portarono alla separazione, sancita dal decreto del Re
delle Due Sicilie Francesco I, di Aci Trezza insieme a Ficarazzi,
da Aci San Filippo e Catena per essere però accorpata ad Aci
Castello il 15 settembre 1828. La
cittadina mantenne comunque una certa autonomia, espressa dall'Ufficio dell'eletto
particolare avente sede nel centro storico di Aci Trezza; l'ufficio
rimase attivo dal 1828 al 1867 e il segretario era
dotato di timbro. Venne abrogato dal neonato Regno d'Italia.
Cuore
della Riviera dei Ciclopi, è il luogo dove secondo la tradizione è
ambientato il IX canto dell'Odissea di Omero,
nel quale Ulisse si scontra con Polifemo accecandolo
dopo averlo fatto ubriacare. Così facendo riusce a fuggire dalla grotta
dove era stato intrappolato con i suoi compagni. Il Ciclope, cieco e
iracondo, scaglia contro le navi dei greci in fuga degli enormi
massi che secondo la tradizione divennero le Isole dei Ciclopi.
Il
III canto dell'Eneide di Publio
Virgilio Marone racconta l'incontro dell'eroe troiano Enea con
il compagno di Ulisse Achemenide, dimenticato dall'eroe greco nella
terra dei Ciclopi durante la rocambolesca fuga. Anche questo episodio è
ambientato nell'odierna Aci Trezza.
Chiesa
di San Giovanni Battista
Chiesa
principale del paese, è stata ricostruita dopo il Terremoto del Val di
Noto dell'11 gennaio 1693. Venne benedetta il 14 ottobre 1696.
Tra il 1746 ed
il 1768, sotto la direzione dell'arciprete don Silvestro De Amico,
arriva la statua del Santo Patrono. Contestualmente la popolazione aumenta e
pertanto si decide di ampliare la chiesa che era a navata unica e senza la
canonica. Il primo arciprete nativo di Acitrezza, don Francesco Spina che
esercitò il suo ministero dal 1768 al 1808, iniziò i lavori
di ampliamento e di abbellimento: vennero aggiunti stucchi, decori ed
affreschi arricchendo la chiesa anche di paramenti pregevoli ed argenti
preziosi.
A cavallo
dei secoli XIX e XX vi operò l'Arciprete don Salvatore
De Maria, che la ristrutturò e soprattutto l'ampliò, costruendovi la casa
canonica e la navata minore nel 1889. La fece, inoltre, ritornare
parrocchia indipendente dalla chiesa madre di Aci San Filippo, come
stabilito alla sua fondazione dal principe Stefano Riggio.
Nel 1948
fece da sfondo al film La terra trema di Luchino Visconti,
girato interamente ad Aci Trezza.
Agli inizi
del terzo millennio, sotto la direzione dell'arciprete Giovanni Mammino,
furono portati a termine importanti lavori di restauro e consolidamento
della chiesa. Vennero anche restaurate le tele presenti all'interno
dell'edificio sacro.
Il 14
ottobre 2016, in occasione del 320º anniversario della benedizione della
chiesa, è stato officiato il rito della dedicazione e consacrazione del
luogo di culto alla presenza del Vescovo di Acireale Mons. Antonino
Raspanti e dell'Arciprete di Aci Trezza e futuro Vicario generale della Diocesi
di Acireale don Giovanni Mammino.
La facciata
è in stile barocco con portale classico, al di sopra del quale si trovano
due celle campanarie. Il finestrone centrale è sormontato da una seconda
finestra superiore con la statua del Santo Patrono, collocata in occasione
del Giubileo universale della Chiesa cattolica del 1900. In
cima al centro vi è un piccolo campanile a vela con una campana. Il secondo
campanile turrito è laterale.
L'interno
è a doppia navata, con abside semicircolare nella navata maggiore,
splendidamente decorato da stucchi che circondano le quattro cappelle
laterali. Al suo interno, oltre alla statua lignea settecentesca di San
Giovanni Battista posta all'interno di una cameretta sull'Altare maggiore,
vi sono conservati dentro due nicchie nella navata minore i simulacri della
Madonna della Buona Nuova e di San Giuseppe; quest'ultimo, con ogni
probabilità è l'originale statua conservata nella vecchia chiesa,
distrutta dal terremoto del 1693.
Accanto
all'altare maggiore vi è collocata una tela di Francesco Mancini,
realizzata nel 1909, raffigurante la predicazione del Battista sul Giordano.
Dopo le balaustre in marmo, forse appartenenti alla distrutta chiesa di San
Giuseppe, troviamo un pulpito ligneo e subito dopo il più bel dipinto
della Diocesi, realizzato quasi certamente da Giacinto Platania e
restaurato dal Mancini nel 1908: rappresenta il Battesimo di Gesù.
Accanto
alla piccola porta laterale vi è l'altare con la tela della Sacra
Famiglia di autore ignoto del XVIII secolo. La volta fu affrescata
nel Settecento da Vincenzo Sciuto con cinque medaglioni
raffiguranti la vita del Battista. Lungo tutto il perimetro interno vi è
affrescata la frase biblica Inter natos mulieribus non surrexit maior
Ioannes Baptista. Ecce agnus Dei tollit peccata Mundi. Infine è possibile
notare sulla sinistra una statua di Santa Teresa di Gesù
Bambino.
La navata
minore, realizzata nel 1889, conserva due opere moderne, il Gesù Cristo di
Giovanni Giuffrè e la decollazione del Battista di Orazio Greco e la
settecentesca Madonna del Rosario tra Santa Caterina da Siena e San
Gaetano da Thiene di Matteo Desiderato. In fondo alla navata minore,
prima dell'ingresso in Sagrestia dove sono collocati i dipinti degli
arcipreti ed un lavabo marmoreo opera di Domenico Alati rappresentante lo
stemma di Aci Trezza, si trova un altare con il Crocifisso affiancato
da Maria Addolorata e Giovanni apostolo ed evangelista: è
probabile che Giovanni Verga alluda a quest'opera quando cita ne I
Malavoglia l'Altare dell'Addolorata. Sopra l'ingresso principale vi è la
cantoria che possiede un'artistica ringhiera barocca in legno; in essa è
collocato un organo del 1781 realizzato dai maestri organari Platania.
Casa
del Nespolo

Il
Museo La Casa del Nespolo è stato aperto nel centro storico di Aci Trezza,
per far conoscere e rivivere la scenografia de I Malavoglia, il celebre
romanzo di Giovanni Verga.
Proprio
questa abitazione di Aci Trezza, famosa per il suo stupendo panorama,
sembrerebbe, in base alla descrizione del romanzo, quella in cui lo
scrittore realista avrebbe ambientato le vicende della famiglia di Padron
‘Ntoni. Situato in cima ad una scalinata, accanto alla Chiesa di San
Giovanni, l’edificio della piccola struttura espositiva permette di
conoscere quella che era una tipica abitazione siciliana della metà del XIX
secolo, con l’ingresso caratterizzato da arco a tutto sesto, il cortile,
all’interno del quale si può ammirare il vecchio nespolo, e
l’orticello.
All’interno
il Museo è composto da due stanze, una dedicata al film La terra trema,
altro capolavoro del realismo, girato ad Aci Trezza da Luchino Visconti nel
1947, e l’altra dedicata agli strumenti della pesca e alla vita quotidiana
degli abitanti del paese all’epoca dei Malavoglia.

Fattoria
del Feudo
Posta
in cima alla via Feudo costituisce l'ultima testimonianza
architettonica della vita contadina di Aci Trezza. A fianco scorre il
torrente Feudo che nascendo dalla retrostante collina in epoche passate
veniva utilizzato per irrigare i campi, prima di alimentare più a valle
il lavatoio.
La
fattoria è una grande casa padronale composta dal terrazzo di accesso e da
due ampie stanze vicine al cortile con il cancello d’ingresso. Sul retro
è possibile scorgere l’antico frantoio, la stalla, il pollaio e il
giardinetto di limoni. Si trova in pieno centro storico, rialzata rispetto
alla via d'ingresso ma staccata dal retrostante feudo, ormai divenuto
quartiere residenziale. Negli anni trenta fu aperta la strada
Nazionale che divise la struttura dalle colline retrostanti dove si
sviluppava la zona coltivata.
Casa
Merra
Una
leggenda vuole che il nome di Acitrezza derivi da latruzza. Chi era
costei? Era la proprietaria della antica posada che esisteva nel luogo dove
ora è stanziata Acitrezza. La notte quando i viandanti, che soggiornavano
nella posada, dormivano li derubava. Da qui "latruzza".
Appare
difficile che il nome del paese provenga da questo e ancor più difficile
che tale fatto sia veramente accaduto. Una cosa però è certa: ad Acitrezza
esisteva una posada ancora più antica del paese, se si vuole fare risalire
la sua fondazione alla nascita della prima chiesa. Infatti il principe di
Campofiorito fondando l'arcipretura di Acitrezza assegnava 24 onze perpetue
alla chiesa di S. Giuseppe (la prima chiesa) con atto del 19 dicembre 1690 e
a garanzia di questa rendita dava i proventi della posada(che a quel tempo
ammontavano a circa 50 onze annue).
Dagli
appunti di padre De Maria(parroco dal 1884-1928) sappiamo che la posada era
costituita da due stanze al piano superiore e due sotto, con un atrio
coperto da tettoia e tra una porta e l'altra vi era una nicchia contenente
la tela della Vergine del Carmine illuminata da una lampada ad olio.
Giovanni Carrapipano raccoglieva l'olio per la lampada e poi con un
campanello manuale avvisava i pescatori del rosario. I membri degli
equipaggi si avvicinavano e recitavano il rosario ogni sera. Ma dove era
questa antica posada?
Grazie
sempre al De Maria possiamo individuare con certezza in quale luogo era
stanziata. Il parroco ci dice che fu abbattuta e che sorgeva dove e' oggi il
palazzotto detto "la casa Merra" che mantiene ancora tale
denominazione nel linguaggio dei più vecchi.
Chiamato
così perché la proprietaria del tempo Domenica Fichera era detta "
micia la merra"; la stessa Merra dopo la costruzione del palazzo lo utilizzò
a "fondaco", cioè come una posada, per parecchio tempo.
La tela
della Vergine del Carmine, secondo il De Maria, con la costruzione della
"casa merra" fu trasferita in casa Ricca nel quartiere della
Barriera. La veccia posada quindi andò distrutta. Il parroco ci dice che,
all'incirca, tale fatto avvenne quando questa passò dal principe di
Campofiorito a Donato Quattrini e a Giovanni Del Monte. La datazione e'
quindi incerta, tuttavia è sempre il De Maria che ci viene in aiuto,
infatti dai suoi appunti sappiamo che nel 1846 nel palazzo del principe di
Campofiorito fu costituito uno stabilimento enologico i cui titolari erano i
personaggi anzidetti, ma noi sappiamo pure che l'ultimo discendente della
casa dei Riggio muore nel 1790.
Possiamo
quindi a buona ragione pensare che in qualche modo a Quattrini e Del Monte
fosse rimasta l'amministrazione dei beni del Principe(di cui faceva parte la
posada) e che probabilmente intorno alla seconda metà del 1800 scompare
definitivamente l'antica Posada della Trezza.
Oggi però
"la casa merra", forse il più vecchio palazzo di Acitrezza, ci
ricorda ancora l'esistenza di quella antica Posada la cui data di
edificazione si perde nella notte dei tempi, o se vogliamo essere così
arditi come il De Maria, all'epoca in cui dominavano i Romani.
Torre
dei Faraglioni
Unica
torre superstite del sistema difensivo fatto erigere dai Principi di Aci a
protezione della città di Aci Trezza, serviva alla difesa del porto e dello
spazio acqueo tra lo stesso e i faraglioni. Costruita su due piani non
comunicanti tra di loro è stata eretta su una precedente costruzione la cui
base poggia su ruderi di epoca romana o bizantina.
Trattasi
di una torre di deputazione, non citata dalle descrizioni del XVI secolo del
Camilliani e dello Spannocchi. È dunque lecito supporre che essa sia stata
edificata in un secondo momento probabilmente durante la prima metà del
XVII secolo d.C. Dagli archivi della Regia Deputazione si apprende che la
struttura fortificata fosse munita, nel 1690, di artiglieria e ospitasse tre
uomini d’arme: un capitano, un soldato semplice e un artigliere. Nel XVIII
secolo risultava sovrintendente della struttura il principe di Campofiorito;
ancora nel XIX secolo ne era responsabile il principe di Aci, sebbene nel
1807 la medesima carica risultasse occupata da un certo “don Casimiro
Cantarella”. Inoltre, sempre agli inizi del XIX secolo la struttura pare
fosse già fatiscente: alcune lettere, risalenti al 1806 e 1807,
ingiungevano al Capomastro Gerardi di verificare urgentemente lo stato della
torre, che minacciava rovina e mancava di armi e munizioni.
La
torre, che possiede una pianta rettangolare di 7 per 8,20 m., si distingue
per una tecnica edilizia composta da pietra lavica leggermente sbozzata e
inzeppature di laterizi; i cantonali si presentano rinforzati da pietre
squadrate, ancora esistenti in particolar modo lungo il lato orientale della
struttura (probabilmente anche causa recenti restauri).
Inoltre
l’edificio si presenta leggermente scarpato, con un piccolo ingresso ad
arco lungo il lato occidentale. È impossibile ottenere una
perfetta lettura del complesso: moderni edifici letteralmente offuscano la
fortificazione e un notevole innalzamento del piano di calpestio,
particolarmente evidente lungo il lato occidentale, non permette di
percepire la costruzione per l’intera sua altezza.
Il
piano inferiore è in buono stato di conservazione, mentre il primo è un
rudere del quale sono visibili le mensole per la difesa e la terrazza sulla
quale erano posizionati i cannoni. Nel corso del suo pieno d'utilizzo era
presidiata ventiquattro ore al giorno da un caporale e due
soldati. Insieme alla più grande Torre della Trizza posta sulla collina e
alla terrazza fortificata del palazzo del Principe Riggio difendeva l'intero
territorio di Aci Trezza. È visibile in un dipinto di Jakob Philipp
Hackert conservato alla Reggia di Caserta.
Faraglioni
e Isola di Lachea

Il
panorama di Aci Trezza è caratterizzato dai faraglioni dei Ciclopi:
sono otto scogli basaltici, che, secondo la leggenda, furono lanciati
da Polifemo ad Ulisse per ostacolarne la fuga. Poco
distante dalla costa, a circa 400 m di distanza, si trova l'isola Lachea,
identificata come l'omerica isola delle Capre, ospitante la sede di un
centro di studi di biologia afferente all'Università degli Studi
di Catania, adibito a museo naturalistico e archeologico che testimonia la
presenza umana sull'isola già in epoca precedente alla colonizzazione della
Sicilia da parte dei greci. Tutta l'area è riserva marina dal 1989 ed è
diventata area protetta dal 2004, mentre l'isola Lachea e i Faraglioni
dei Ciclopi sono riserve naturali integrali della Regione siciliana dal
1998, in gestione al Centro Universitario per la Tutela e la Gestione
degli Ambienti Naturali e degli Agroecosistemi.
Sotto
il mare di Aci Trezza, in corrispondenza dell'isola Lachea, si sta
espandendo una faglia crostale che ogni anno aumenta di alcuni millimetri.
Questo fenomeno conferma l'ipotesi geologica del bradisismo negativo,
sostenuta anche dalla presenza di alghe fossilizzate risalenti a circa 6 000
anni fa che emergendo incrostano le isole dei Ciclopi fino all'altezza di 6
metri sul livello del mare.
All'interno
del porto storico si trova il geosito dei basalti colonnari
di Aci Trezza, come testimonianza delle prime eruzioni dell'Etna, oggetto di
una lunga battaglia per la riqualificazione, portata avanti
dall'associazione culturale Centro Studi Aci Trezza e conclusa positivamente
nel 2010 con l'inaugurazione dei lavori, eseguiti dalla Sovrintendenza ai
beni culturali e ambientali di Catania e dell'Antico scalo dei Malavoglia.
Il geosito dei basalti colonnari comprende anche una zona più a sud, dove
si trovano i cosiddetti faragghiuneddi (piccoli faraglioni),
ovvero formazioni laviche composte da basalti colonnari obliqui. La zona è
un'oasi naturale, grazie anche alla presenza del torrente Feudo che permette
la crescita di piante e fiori e inoltre porta alla formazioni di pozze
d'acqua all'interno delle quali vive e si riproduce il Discoglossus
pictus.

A ridosso
della borgata marinara di Acitrezza, a circa 200 metri dalla riva, sorgono
questi spettacolari scogli lavici (Isole dei Ciclopi) che la leggenda vuole
essere le pietroline (per un gigante come lui) che il ciclope monocolo
Polifemo, innamorato della ninfa Galatea, scagliò contro il pastorello Aci,
rivale in amore (in foto un dipinto di Annibale Carracci alla galleria
Farnese di Roma). Secondo Omero l’origine è da imputare ai massi lanciati
da Polifemo contro la nave di Ulisse-Nessuno.
L’isola
Lachea, costituita prevalentemente da rocce basaltiche in più punti
sormontate da argille pleistoceniche, è la più grande (2 ettari) fra le
Isole dei Ciclopi, ed è di origine vulcanica legata alle prime eruzioni
sottomarine nel golfo di Acitrezza, risalenti a circa 500.000 anni fa.
L’arcipelago
dei Ciclopi rappresenta un sito di grande interesse sia naturalistico che
archeologico. Infatti sull’isola Lachea furono anche rinvenute
testimonianze della presenza umana risalenti alla preistoria, fra cui
un’ascia di diorite dell’età della pietra, e alcuni manufatti di epoca
romana (pentole, anfore, pesi da telaio, aghi in osso, frammenti di un
pettine osseo e una piccola lucerna).
Spettacolari
i fondali, per gli amanti dell’immersione: è possibile ammirare
bavose, salpe e cefali, mentre tra le rocce del fondale è facile
distinguere colonie di idrozoi, ascidie rosse, il verme cane e l’argenteo
balenio dei saraghi.
Più in
profondità oltre la gorgonia gialla è possibile ammirare colonie
arborescenti di polipi che possono superare anche il metro di altezza, ma
fra tutti chi spicca per singolarità e bellezza, è l’alicia mirabilis (foto),
la più grande attinia del Mediterraneo.
La fauna
dell’isola Lachea è abbastanza varia ma l’ospite più singolare è
l’endemica lucertola Podarcis sicula ciclopica. Sull’isola
nidificano pochissimi uccelli, fra cui la ballerina gialla e la passera
sarda. Abitanti tipici, in inverno, sono il cormorano, il gabbiano reale
mediterraneo e il gabbiano comune. Si vedono anche il falco pellegrino ed il
falco di palude.
La flora è
rappresentata, tra gli altri, da specie endemiche siciliane come l’Elotropio
di Boccone, il Senecione glauco e la Carlina hispanica.
Alla sommità
dell’isola si trovano: un museo che espone fauna e flora dell’isola, ed
i reperti archeologici e geologici ritrovati sul luogo; una cisterna; e la Grotta
del Monaco perché a quanto pare qua veniva in romitaggio San Pier
Damiani nato in Aquitania, vissuto tra il 974 e il 1044, quando in Sicilia
c’erano gli Arabi.
Festa
di San Giovanni Battista e U pisci a mari
La
festa patronale di Aci Trezza, dedicata a Giovanni Battista,
si svolge nei giorni 24 e 25 giugno, ma già nei tre precedenti viene
celebrato il solenne triduo. La svelata del simulacro avviene
la mattina, mentre nel pomeriggio inizia il giro del centro storico. Il
giorno seguente invece ha luogo il percorso che tocca i quartieri collinari,
con una sosta all'interno della chiesa della Madonna della Buona Nuova. Dal
1993, in occasione della commemorazione del martirio del Battista,
il simulacro viene esposto per l'intera giornata sull'altare maggiore ed in
seguito si tiene la solenne celebrazione eucaristica vespertina sul sagrato della
chiesa.
I
riti religiosi sono accompagnati da alcune manifestazioni folcloristiche tradizionali.
Tra queste si annovera la pantomima U pisci a mari, antica
rappresentazione della pesca del pesce spada che dal 1750 circa
si svolge nelle acque del porto storico con le medesime modalità: un
giovane trezzoto impersona il pesce mentre alcuni pescatori recitano le
parti del «Rais di mare», il quale comanda le operazioni dalla poppa,
del «Rais di terra», che incita i compagni sulla barca, del rematore e del
fiocinatore, pronto a colpire il pesce.
Al
pari della festa di san Giovanni Battista, la pantomima è
inserita nel «Registro delle eredità immateriali» della Regione siciliana.
Festa
Madonna della Buona Nuova
La compatrona di
Aci Trezza è la Madonna della Buona Nuova, festeggiata il primo fine
settimana di settembre. Il culto è antico, legato a un'edicola votiva di
inizio Settecento situata nella zona della marina di Trezza.
L'edicola conserva un affresco raffigurante la Madonna con il
Bambino Gesù.
La
prima festa solenne risale al 1907, quando l'arciprete Salvatore De Maria
proclamò la Madonna della Nova «patrona dei pescatori e dei marinai». Nel
1911 fu inaugurata una statua che da allora è posta all'interno della chiesa
madre di Aci Trezza e portata in processione ogni anno.
Il giorno della festa viene illuminata la scala che porta alla scultura
marmorea opera di Sarino Piazza posta
sul faraglione grande.
|