Aci Trezza (Borgo)
(Catania)

 

Centro di antica tradizione peschereccia, fondato alla fine del Seicento dal nobile palermitano Stefano Riggio come approdo marittimo per il proprio feudo, il paese si affaccia sul mar Ionio dinanzi al piccolo arcipelago delle isole Ciclopi, sito di interesse naturalistico e geologico; dalla seconda metà del Novecento il borgo è divenuto anche una destinazione turistica.

Aci Trezza è nota inoltre per essere il luogo in cui sono stati ambientati il romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga e il film La terra trema di Luchino Visconti, a sua volta direttamente ispirato all'opera dello scrittore verista.  

L'origine del nome Trezza è incerto: la prima e più accettata ipotesi lo fa derivare dai "tre pizzi" dei faraglioni. Invece, secondo l'arciprete De Maria, deriverebbe dalle fabbriche di laterizi che avrebbero dato il nome alla contrada: Acis Lateritie. Un'altra teoria vuole che il nome derivi da uno scoglio che si trova "a venti passi dalla ripa" chiamato Trizza e per metonimia lo abbia passato all'intera zona, ove successivamente sorse il paese.  

La zona dove sorge Aci Trezza era il cuore dell'antica città siceliota di Xiphonia. A nord della stessa, al confine con l'attuale paese di Capo Mulini, sfociava il fiume Aci.

Durante il periodo romano divenne un luogo di transito e approdo: ne sono testimonianze le diverse ancore e anfore che si trovano nei fondali della Riviera dei Ciclopi e il relitto di nave romana al largo di Aci Trezza.

Il paese venne ufficialmente fondato alla fine del XVII secolo da Stefano Riggio. La scelta non fu casuale essendo questi proprietario dal 1672 della città di Aci Sant'Antonio e Filippo Inizialmente nacque come approdo marittimo del principato dei Riggio poiché il sito u locu di la Trizza era l'unico sbocco al mare del feudo e se debitamente sistemato sarebbe divenuto un ottimo scalo.

Ben presto, grazie agli sforzi del principe Stefano II, divenne centro pulsante della vita commerciale locale: vennero costruiti un riparo per le barche, la chiesa, un emporio e un forno dove era possibile produrre anche la pasta. Infine attorno allo scalo vennero innalzati numerosi magazzini atti a contenere olio, ferro, salumi e formaggi. Il carricatore della Trizza divenne uno dei porti commerciali più attivi di Sicilia. La neonata cittadina subì il devastante terremoto del Val di Noto del 1693 che fece diciassette vittime, numero ingente paragonato alla numero degli abitanti dell'epoca. Le salme vennero sepolte sotto le macerie dell'antica chiesa di San Giuseppe.

La comunità venne gestita da Stefano Riggio fino al 1678, dal figlio Luigi Riggio Giuffrè fino al 1680, da Stefano Riggio Saladino fino al 1704, da Luigi Riggio Branciforte fino al 1757. Quest'ultimo però risiedette in Spagna dove agli ordini del re Filippo V ricoprì incarichi di rilievo. Lasciò quindi l'amministrazione del feudo allo zio Gioacchino Riggio. Prima di partire per la Spagna, Luigi Riggio Branciforte si dedicò ai restauri e alle ricostruzioni degli edifici colpiti dal terremoto e alla risistemazione del molo danneggiato dai marosi. 

Rientrò nel suo feudo in età avanzata dedicandosi alla trasformazione dello scalo di Aci Trezza: costruzione di altre case, magazzini e officine per i bastimenti che sempre più numerosi approdavano. Inoltre fece realizzare una strada carrabile per unire Aci Trezza con il resto dei quartieri del feudo che risultò essere una delle prime carrozzabili dell'intero territorio etneo. Infine fece erigere sulla marina di Aci Trezza un sontuoso palazzo, le cui rovine erano ancora visibili agli inizi del XX secolo. 

In seguito il feudo passò a Stefano Riggio Gravina fino al 1790 e a Giuseppe Riggio Grugno fino al 1792, quando divenne territorio libero. Giuseppe Riggio Grugno morì nel 1820 a Palermo, decapitato dalla folla in rivolta. Si estingueva così il ramo maschile della famiglia dei principi di Aci. In ogni caso il feudalesimo era già stato abrogato in Sicilia nel 1812.

La fine della dinastia Riggio condusse il paese in un periodo di decadenza: venne persa l'indipendenza dell'Universitas e la gestione amministrativa passò inizialmente ai giurati catenoti e successivamente al barone Pennisi. Furono anni travagliati in cui i trezzoti lottarono per riaffermare la loro autonomia e i loro diritti. Il 20 febbraio 1821 venne inviata al Presidente e ai Deputati del Consiglio provinciale del Vallo competente una petizione firmata da 34 cittadini per chiedere l'erezione a Comune di Acitrezza.

Contestualmente gli abitanti di Aci Trezza capeggiavano una rivolta contro la città di Acireale a causa dei maceratoi di lino e canapa posti nella frazione di Capo Mulini, che rendevano l'aria malsana in un periodo storico dove il colera tornava a mietere vittime. La "guerra dei maceratoi" si risolse con l'accettazione delle istanze trezzote e la chiusura delle vasche nel 1825. Queste lotte portarono alla separazione, sancita dal decreto del Re delle Due Sicilie Francesco I, di Aci Trezza insieme a Ficarazzi, da Aci San Filippo e Catena per essere però accorpata ad Aci Castello il 15 settembre 1828. La cittadina mantenne comunque una certa autonomia, espressa dall'Ufficio dell'eletto particolare avente sede nel centro storico di Aci Trezza; l'ufficio rimase attivo dal 1828 al 1867 e il segretario era dotato di timbro. Venne abrogato dal neonato Regno d'Italia.  

Cuore della Riviera dei Ciclopi, è il luogo dove secondo la tradizione è ambientato il IX canto dell'Odissea di Omero, nel quale Ulisse si scontra con Polifemo accecandolo dopo averlo fatto ubriacare. Così facendo riusce a fuggire dalla grotta dove era stato intrappolato con i suoi compagni. Il Ciclope, cieco e iracondo, scaglia contro le navi dei greci in fuga degli enormi massi che secondo la tradizione divennero le Isole dei Ciclopi.

Il III canto dell'Eneide di Publio Virgilio Marone racconta l'incontro dell'eroe troiano Enea con il compagno di Ulisse Achemenide, dimenticato dall'eroe greco nella terra dei Ciclopi durante la rocambolesca fuga. Anche questo episodio è ambientato nell'odierna Aci Trezza.  

Chiesa di San Giovanni Battista

Chiesa principale del paese, è stata ricostruita dopo il Terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693. Venne benedetta il 14 ottobre 1696.

Tra il 1746 ed il 1768, sotto la direzione dell'arciprete don Silvestro De Amico, arriva la statua del Santo Patrono. Contestualmente la popolazione aumenta e pertanto si decide di ampliare la chiesa che era a navata unica e senza la canonica. Il primo arciprete nativo di Acitrezza, don Francesco Spina che esercitò il suo ministero dal 1768 al 1808, iniziò i lavori di ampliamento e di abbellimento: vennero aggiunti stucchi, decori ed affreschi arricchendo la chiesa anche di paramenti pregevoli ed argenti preziosi.

A cavallo dei secoli XIX e XX vi operò l'Arciprete don Salvatore De Maria, che la ristrutturò e soprattutto l'ampliò, costruendovi la casa canonica e la navata minore nel 1889. La fece, inoltre, ritornare parrocchia indipendente dalla chiesa madre di Aci San Filippo, come stabilito alla sua fondazione dal principe Stefano Riggio.

Nel 1948 fece da sfondo al film La terra trema di Luchino Visconti, girato interamente ad Aci Trezza.

Agli inizi del terzo millennio, sotto la direzione dell'arciprete Giovanni Mammino, furono portati a termine importanti lavori di restauro e consolidamento della chiesa. Vennero anche restaurate le tele presenti all'interno dell'edificio sacro.

Il 14 ottobre 2016, in occasione del 320º anniversario della benedizione della chiesa, è stato officiato il rito della dedicazione e consacrazione del luogo di culto alla presenza del Vescovo di Acireale Mons. Antonino Raspanti e dell'Arciprete di Aci Trezza e futuro Vicario generale della Diocesi di Acireale don Giovanni Mammino.

La facciata è in stile barocco con portale classico, al di sopra del quale si trovano due celle campanarie. Il finestrone centrale è sormontato da una seconda finestra superiore con la statua del Santo Patrono, collocata in occasione del Giubileo universale della Chiesa cattolica del 1900. In cima al centro vi è un piccolo campanile a vela con una campana. Il secondo campanile turrito è laterale.

L'interno è a doppia navata, con abside semicircolare nella navata maggiore, splendidamente decorato da stucchi che circondano le quattro cappelle laterali. Al suo interno, oltre alla statua lignea settecentesca di San Giovanni Battista posta all'interno di una cameretta sull'Altare maggiore, vi sono conservati dentro due nicchie nella navata minore i simulacri della Madonna della Buona Nuova e di San Giuseppe; quest'ultimo, con ogni probabilità è l'originale statua conservata nella vecchia chiesa, distrutta dal terremoto del 1693. 

Accanto all'altare maggiore vi è collocata una tela di Francesco Mancini, realizzata nel 1909, raffigurante la predicazione del Battista sul Giordano. Dopo le balaustre in marmo, forse appartenenti alla distrutta chiesa di San Giuseppe, troviamo un pulpito ligneo e subito dopo il più bel dipinto della Diocesi, realizzato quasi certamente da Giacinto Platania e restaurato dal Mancini nel 1908: rappresenta il Battesimo di Gesù. 

Accanto alla piccola porta laterale vi è l'altare con la tela della Sacra Famiglia di autore ignoto del XVIII secolo. La volta fu affrescata nel Settecento da Vincenzo Sciuto con cinque medaglioni raffiguranti la vita del Battista. Lungo tutto il perimetro interno vi è affrescata la frase biblica Inter natos mulieribus non surrexit maior Ioannes Baptista. Ecce agnus Dei tollit peccata Mundi. Infine è possibile notare sulla sinistra una statua di Santa Teresa di Gesù Bambino. 

La navata minore, realizzata nel 1889, conserva due opere moderne, il Gesù Cristo di Giovanni Giuffrè e la decollazione del Battista di Orazio Greco e la settecentesca Madonna del Rosario tra Santa Caterina da Siena e San Gaetano da Thiene di Matteo Desiderato. In fondo alla navata minore, prima dell'ingresso in Sagrestia dove sono collocati i dipinti degli arcipreti ed un lavabo marmoreo opera di Domenico Alati rappresentante lo stemma di Aci Trezza, si trova un altare con il Crocifisso affiancato da Maria Addolorata e Giovanni apostolo ed evangelista: è probabile che Giovanni Verga alluda a quest'opera quando cita ne I Malavoglia l'Altare dell'Addolorata. Sopra l'ingresso principale vi è la cantoria che possiede un'artistica ringhiera barocca in legno; in essa è collocato un organo del 1781 realizzato dai maestri organari Platania.

Casa del Nespolo

Il Museo La Casa del Nespolo è stato aperto nel centro storico di Aci Trezza, per far conoscere e rivivere la scenografia de I Malavoglia, il celebre romanzo di Giovanni Verga.

Proprio questa abitazione di Aci Trezza, famosa per il suo stupendo panorama, sembrerebbe, in base alla descrizione del romanzo, quella in cui lo scrittore realista avrebbe ambientato le vicende della famiglia di Padron ‘Ntoni. Situato in cima ad una scalinata, accanto alla Chiesa di San Giovanni, l’edificio della piccola struttura espositiva permette di conoscere quella che era una tipica abitazione siciliana della metà del XIX secolo, con l’ingresso caratterizzato da arco a tutto sesto, il cortile, all’interno del quale si può ammirare il vecchio nespolo, e l’orticello. 

All’interno il Museo è composto da due stanze, una dedicata al film La terra trema, altro capolavoro del realismo, girato ad Aci Trezza da Luchino Visconti nel 1947, e l’altra dedicata agli strumenti della pesca e alla vita quotidiana degli abitanti del paese all’epoca dei Malavoglia.

Fattoria del Feudo

Posta in cima alla via Feudo costituisce l'ultima testimonianza architettonica della vita contadina di Aci Trezza. A fianco scorre il torrente Feudo che nascendo dalla retrostante collina in epoche passate veniva utilizzato per irrigare i campi, prima di alimentare più a valle il lavatoio. 

La fattoria è una grande casa padronale composta dal terrazzo di accesso e da due ampie stanze vicine al cortile con il cancello d’ingresso. Sul retro è possibile scorgere l’antico frantoio, la stalla, il pollaio e il giardinetto di limoni. Si trova in pieno centro storico, rialzata rispetto alla via d'ingresso ma staccata dal retrostante feudo, ormai divenuto quartiere residenziale. Negli anni trenta fu aperta la strada Nazionale che divise la struttura dalle colline retrostanti dove si sviluppava la zona coltivata.

Casa Merra

Una leggenda vuole che il nome di Acitrezza derivi da latruzza.  Chi era costei? Era la proprietaria della antica posada che esisteva nel luogo dove ora è stanziata Acitrezza. La notte quando i viandanti, che soggiornavano nella posada, dormivano li derubava. Da qui "latruzza".

Appare difficile che il nome del paese provenga da questo e ancor più difficile che tale fatto sia veramente accaduto. Una cosa però è certa: ad Acitrezza esisteva una posada ancora più antica del paese, se si vuole fare risalire la sua fondazione alla nascita della prima chiesa. Infatti il principe di Campofiorito fondando l'arcipretura di Acitrezza assegnava 24 onze perpetue alla chiesa di S. Giuseppe (la prima chiesa) con atto del 19 dicembre 1690 e a garanzia di questa rendita dava i proventi della posada(che a quel tempo ammontavano a circa 50 onze annue). 

Dagli appunti di padre De Maria(parroco dal 1884-1928) sappiamo che la posada era costituita da due stanze al piano superiore e due sotto, con un atrio coperto da tettoia e tra una porta e l'altra vi era una nicchia contenente la tela della Vergine del Carmine illuminata da una lampada ad olio. Giovanni Carrapipano raccoglieva l'olio per la lampada e poi con un campanello manuale avvisava i pescatori del rosario. I membri degli equipaggi si avvicinavano e recitavano il rosario ogni sera. Ma dove era questa antica posada?

Grazie sempre al De Maria possiamo individuare con certezza in quale luogo era stanziata. Il parroco ci dice che fu abbattuta e che sorgeva dove e' oggi il palazzotto detto "la casa Merra" che mantiene ancora tale denominazione nel linguaggio dei più vecchi.

Chiamato così perché la proprietaria del tempo Domenica Fichera era detta " micia la merra"; la stessa Merra dopo la costruzione del palazzo lo utilizzò a "fondaco", cioè come una posada, per parecchio tempo. 

La tela della Vergine del Carmine, secondo il De Maria, con la costruzione della "casa merra" fu trasferita in casa Ricca nel quartiere della Barriera. La veccia posada quindi andò distrutta. Il parroco ci dice che, all'incirca, tale fatto avvenne quando questa passò dal principe di Campofiorito a Donato Quattrini e a Giovanni Del Monte. La datazione e' quindi incerta, tuttavia è sempre il De Maria che ci viene in aiuto, infatti dai suoi appunti sappiamo che nel 1846 nel palazzo del principe di Campofiorito fu costituito uno stabilimento enologico i cui titolari erano i personaggi anzidetti, ma noi sappiamo pure che l'ultimo discendente della casa dei Riggio muore nel 1790. 

Possiamo quindi a buona ragione pensare che in qualche modo a Quattrini e Del Monte fosse rimasta l'amministrazione dei beni del Principe(di cui faceva parte la posada) e che probabilmente intorno alla seconda metà del 1800 scompare definitivamente l'antica Posada della Trezza.

Oggi però "la casa merra", forse il più vecchio palazzo di Acitrezza, ci ricorda ancora l'esistenza di quella antica Posada la cui data di edificazione si perde nella notte dei tempi, o se vogliamo essere così arditi come il De Maria, all'epoca in cui dominavano i Romani.

Torre dei Faraglioni

Unica torre superstite del sistema difensivo fatto erigere dai Principi di Aci a protezione della città di Aci Trezza, serviva alla difesa del porto e dello spazio acqueo tra lo stesso e i faraglioni. Costruita su due piani non comunicanti tra di loro è stata eretta su una precedente costruzione la cui base poggia su ruderi di epoca romana o bizantina.

Trattasi di una torre di deputazione, non citata dalle descrizioni del XVI secolo del Camilliani e dello Spannocchi. È dunque lecito supporre che essa sia stata edificata in un secondo momento probabilmente durante la prima metà del XVII secolo d.C. Dagli archivi della Regia Deputazione si apprende che la struttura fortificata fosse munita, nel 1690, di artiglieria e ospitasse tre uomini d’arme: un capitano, un soldato semplice e un artigliere. Nel XVIII secolo risultava sovrintendente della struttura il principe di Campofiorito; ancora nel XIX secolo ne era responsabile il principe di Aci, sebbene nel 1807 la medesima carica risultasse occupata da un certo “don Casimiro Cantarella”. Inoltre, sempre agli inizi del XIX secolo la struttura pare fosse già fatiscente: alcune lettere, risalenti al 1806 e 1807, ingiungevano al Capomastro Gerardi di verificare urgentemente lo stato della torre, che minacciava rovina e mancava di armi e munizioni.    

La torre, che possiede una pianta rettangolare di 7 per 8,20 m., si distingue per una tecnica edilizia composta da pietra lavica leggermente sbozzata e inzeppature di laterizi; i cantonali si presentano rinforzati da pietre squadrate, ancora esistenti in particolar modo lungo il lato orientale della struttura (probabilmente anche causa recenti restauri). 

Inoltre l’edificio si presenta leggermente scarpato, con un piccolo ingresso ad arco lungo il lato occidentale. È impossibile ottenere una perfetta lettura del complesso: moderni edifici letteralmente offuscano la fortificazione e un notevole innalzamento del piano di calpestio, particolarmente evidente lungo il lato occidentale, non permette di percepire la costruzione per l’intera sua altezza. 

Il piano inferiore è in buono stato di conservazione, mentre il primo è un rudere del quale sono visibili le mensole per la difesa e la terrazza sulla quale erano posizionati i cannoni. Nel corso del suo pieno d'utilizzo era presidiata ventiquattro ore al giorno da un caporale e due soldati. Insieme alla più grande Torre della Trizza posta sulla collina e alla terrazza fortificata del palazzo del Principe Riggio difendeva l'intero territorio di Aci Trezza. È visibile in un dipinto di Jakob Philipp Hackert conservato alla Reggia di Caserta.

Faraglioni e Isola di Lachea

Il panorama di Aci Trezza è caratterizzato dai faraglioni dei Ciclopi: sono otto scogli basaltici, che, secondo la leggenda, furono lanciati da Polifemo ad Ulisse per ostacolarne la fuga. Poco distante dalla costa, a circa 400 m di distanza, si trova l'isola Lachea, identificata come l'omerica isola delle Capre, ospitante la sede di un centro di studi di biologia afferente all'Università degli Studi di Catania, adibito a museo naturalistico e archeologico che testimonia la presenza umana sull'isola già in epoca precedente alla colonizzazione della Sicilia da parte dei greci. Tutta l'area è riserva marina dal 1989 ed è diventata area protetta dal 2004, mentre l'isola Lachea e i Faraglioni dei Ciclopi sono riserve naturali integrali della Regione siciliana dal 1998, in gestione al Centro Universitario per la Tutela e la Gestione degli Ambienti Naturali e degli Agroecosistemi.

Sotto il mare di Aci Trezza, in corrispondenza dell'isola Lachea, si sta espandendo una faglia crostale che ogni anno aumenta di alcuni millimetri. Questo fenomeno conferma l'ipotesi geologica del bradisismo negativo, sostenuta anche dalla presenza di alghe fossilizzate risalenti a circa 6 000 anni fa che emergendo incrostano le isole dei Ciclopi fino all'altezza di 6 metri sul livello del mare.

All'interno del porto storico si trova il geosito dei basalti colonnari di Aci Trezza, come testimonianza delle prime eruzioni dell'Etna, oggetto di una lunga battaglia per la riqualificazione, portata avanti dall'associazione culturale Centro Studi Aci Trezza e conclusa positivamente nel 2010 con l'inaugurazione dei lavori, eseguiti dalla Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali di Catania e dell'Antico scalo dei Malavoglia. Il geosito dei basalti colonnari comprende anche una zona più a sud, dove si trovano i cosiddetti faragghiuneddi (piccoli faraglioni), ovvero formazioni laviche composte da basalti colonnari obliqui. La zona è un'oasi naturale, grazie anche alla presenza del torrente Feudo che permette la crescita di piante e fiori e inoltre porta alla formazioni di pozze d'acqua all'interno delle quali vive e si riproduce il Discoglossus pictus.

A ridosso della borgata marinara di Acitrezza, a circa 200 metri dalla riva, sorgono questi spettacolari scogli lavici (Isole dei Ciclopi) che la leggenda vuole essere le pietroline (per un gigante come lui) che il ciclope monocolo Polifemo, innamorato della ninfa Galatea, scagliò contro il pastorello Aci, rivale in amore (in foto un dipinto di Annibale Carracci alla galleria Farnese di Roma). Secondo Omero l’origine è da imputare ai massi lanciati da Polifemo contro la nave di Ulisse-Nessuno.

L’isola Lachea, costituita prevalentemente da rocce basaltiche in più punti sormontate da argille pleistoceniche, è la più grande (2 ettari) fra le Isole dei Ciclopi, ed è di origine vulcanica legata alle prime eruzioni sottomarine nel golfo di Acitrezza, risalenti a circa 500.000 anni fa.

L’arcipelago dei Ciclopi rappresenta un sito di grande interesse sia naturalistico che archeologico. Infatti sull’isola Lachea furono anche rinvenute testimonianze della presenza umana risalenti alla preistoria, fra cui un’ascia di diorite dell’età della pietra, e alcuni manufatti di epoca romana (pentole, anfore, pesi da telaio, aghi in osso, frammenti di un pettine osseo e una piccola lucerna).

Spettacolari i fondali, per gli amanti dell’immersione: è possibile ammirare bavose, salpe e cefali, mentre tra le rocce del fondale è facile distinguere colonie di idrozoi, ascidie rosse, il verme cane e l’argenteo balenio dei saraghi.

Più in profondità oltre la gorgonia gialla è possibile ammirare colonie arborescenti di polipi che possono superare anche il metro di altezza, ma fra tutti chi spicca per singolarità e bellezza, è l’alicia mirabilis (foto), la più grande attinia del Mediterraneo.

La fauna dell’isola Lachea è abbastanza varia ma l’ospite più singolare è l’endemica lucertola Podarcis sicula ciclopica. Sull’isola nidificano pochissimi uccelli, fra cui la ballerina gialla e la passera sarda. Abitanti tipici, in inverno, sono il cormorano, il gabbiano reale mediterraneo e il gabbiano comune. Si vedono anche il falco pellegrino ed il falco di palude. 

La flora è rappresentata, tra gli altri, da specie endemiche siciliane come l’Elotropio di Boccone, il Senecione glauco e la Carlina hispanica.

Alla sommità dell’isola si trovano: un museo che espone fauna e flora dell’isola, ed i reperti archeologici e geologici ritrovati sul luogo; una cisterna; e la Grotta del Monaco perché a quanto pare qua veniva in romitaggio San Pier Damiani nato in Aquitania, vissuto tra il 974 e il 1044, quando in Sicilia c’erano gli Arabi.  

Festa di San Giovanni Battista e U pisci a mari

La festa patronale di Aci Trezza, dedicata a Giovanni Battista, si svolge nei giorni 24 e 25 giugno, ma già nei tre precedenti viene celebrato il solenne triduo. La svelata del simulacro avviene la mattina, mentre nel pomeriggio inizia il giro del centro storico. Il giorno seguente invece ha luogo il percorso che tocca i quartieri collinari, con una sosta all'interno della chiesa della Madonna della Buona Nuova. Dal 1993, in occasione della commemorazione del martirio del Battista, il simulacro viene esposto per l'intera giornata sull'altare maggiore ed in seguito si tiene la solenne celebrazione eucaristica vespertina sul sagrato della chiesa.

I riti religiosi sono accompagnati da alcune manifestazioni folcloristiche tradizionali. Tra queste si annovera la pantomima U pisci a mari, antica rappresentazione della pesca del pesce spada che dal 1750 circa si svolge nelle acque del porto storico con le medesime modalità: un giovane trezzoto impersona il pesce mentre alcuni pescatori recitano le parti del «Rais di mare», il quale comanda le operazioni dalla poppa, del «Rais di terra», che incita i compagni sulla barca, del rematore e del fiocinatore, pronto a colpire il pesce.

Al pari della festa di san Giovanni Battista, la pantomima è inserita nel «Registro delle eredità immateriali» della Regione siciliana.  

Festa Madonna della Buona Nuova

La compatrona di Aci Trezza è la Madonna della Buona Nuova, festeggiata il primo fine settimana di settembre. Il culto è antico, legato a un'edicola votiva di inizio Settecento situata nella zona della marina di Trezza. L'edicola conserva un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino Gesù

La prima festa solenne risale al 1907, quando l'arciprete Salvatore De Maria proclamò la Madonna della Nova «patrona dei pescatori e dei marinai». Nel 1911 fu inaugurata una statua che da allora è posta all'interno della chiesa madre di Aci Trezza e portata in processione ogni anno. Il giorno della festa viene illuminata la scala che porta alla scultura marmorea opera di Sarino Piazza posta sul faraglione grande.