La
bellissima Aci Castello e il primo centro della riviera dei Ciclopi, così
chiamata per gli scogli che emergono dal mare e che sembrano gettati da un
gigante; la leggenda narra che fu Polifemo accecato a scagliarli contro
Ulisse in fuga. Il paese fu distrutto da un terremoto nella seconda metà
del 1100.
Per
quell'evento gli abitanti furono costretti a riparare in località vicine,
che a loro volta si svilupparono come centri autonomi e oggi sono riconoscibili
dal prefisso Aci (Acitrezza, Acireale ecc.). La tenacia della popolazione di
questi luoghi la si può immaginare pensando alla sorte terribile di Aci
Castello, distrutta dal cataclisma nel 1169, ricostruita e distrutta
nuovamente dal terremoto del 1693 e ricostruita dai superstiti indomiti nel
1718.
Al
visitatore Aci Castello si presenta come una piccola stazione balneare,
adagiata ai piedi di un antico castello normanno. Il paese è molto
vicino a Catania, solo 9 km, ed è facilmente raggiungibile anche con
l'autobus, quindi se soggiornate nel capoluogo non perdetevi la visita della
suggestiva Aci Castello e trascorrerete qui una splendida giornata nella
natura, sulla spiaggia di lava o sui pontili di legno che vengono montati
durante l'estate. Potrete godere del mare, nuotare prendere il sole e fare
immersioni ma anche semplicemente passeggiare nelle vie del paese che
sboccano a mare. Suggestivo è perdersi nelle stradine interne tra lavori
settecenteschi in pietra lavica, alberi secolari e viuzze strette.
Camminando, alzando lo sguardo al castello viene da ripensare al passato
importante di questo luogo, ai re siciliani che hanno fatto proclami nelle
stanze del castello, agli aragonesi che hanno combattuto per averlo, ai
tempi in cui il maniero fu una prigione.
Il mare è
certo la prima attrazione di Aci Castello, pensate che questo paesaggio
costituito dal castello e dal litorale, punteggiato di limoni, agavi e
palme, è uno degli angoli di Sicilia più ritratti dagli artisti e pertanto
più famosi anche all'estero. Per noi italiani queste zone sono familiari
per l'ambientazione che Giovanni Verga qui dette ai suoi celebri Malavoglia,
in particolare nella vicina Acitrezza.
Ma torniamo
alla storia del castello normanno. Non dovete immaginarvi un castello
rinascimentale ma un castello risalente al Medioevo, che spartano e
massiccio sovrasta il mare minaccioso. La struttura fu costruita su una
roccia emersa durante le antiche eruzioni vulcaniche dell'Etna, risale
precisamente al 1076 ed è di origine normanna. La struttura è
davvero ben conservata considerando tutti gli assalti che ha subito, le
eruzioni vulcaniche che l'hanno assediata e gli scampati pericoli della
Seconda guerra mondiale.
Nel comune
di Aci Castello si trova una particolare area protetta costituita da isole e
i faraglioni di origine vulcanica che si trovano a poca distanza dalla
costa: sono gli Scogli dei ciclopi, frammenti alti fino a 70 m costituiti da
prismi di basalto. L'area protetta e grande oltre 600 ettari ed è celebre
con il nome di litorale dei Ciclopi.
Ricchissima
di odori, sapori e colori, la cucina locale ha attinto dalle tradizioni
gastronomiche dei diversi popoli che hanno vissuto, e spesso convissuto
felicemente, in questa terra: arabi, normanni, francesi,
spagnoli. Prelibati ovviamente i frutti del mare, pesci, molluschi e
crostacei. Tra i piatti più gustosi l'insalata di frutti di mare, il
carpaccio di pesce spada, il carpaccio di alici e quello di gamberi, gli
spaghetti al nero di seppia; sempre ottimo e fresco il pesce alla griglia.
Annaffiate tutto con ottimi vini locali doc e terminate con i dolci: gelati,
granite guarnite con panna montata a mano (da veri intenditori) i cannoli
siciliani e la cascatelle di ricotta.
Vicinissimo
a Aci Castello sorge Acitrezza, è il paese in cui Giovanni Verga ambientò
il famoso romanzo dei Malavoglia (1881) e nel quale, nel 1948, fu girato il
film La terra trema di Luchino Visconti e Antonio Pietrangeli. Questo film
è considerato un capolavoro del neorealismo italiano e fu realizzato
impiegando come attori gli abitanti del luogo. Molti anziani ne
parlano ancora volentieri.
Nei
dintorni da visitare certamente l'Etna, il maggior richiamo turistico
dell'intera Sicilia, il vulcano attivo più grande d'Europa, alto oltre 3000
metri. Il vulcano e le sue pendici fanno parte di un parco nazionale, il
parco naturale dell'Etna, istituito nel 1987 per tutelare la natura di
questa zona e la grande varietà di ambienti naturali che la
contraddistinguono; pensate qui si passa dai boschi alpini ai deserti
lavici.
Riviera
dei Ciclopi

Il
panorama di Aci Trezza è caratterizzato dai faraglioni dei Ciclopi:
sono otto scogli basaltici, che, secondo la leggenda, furono lanciati
da Polifemo ad Ulisse per ostacolarne la fuga. Poco
distante dalla costa, a circa 400 m di distanza, si trova l'isola Lachea,
identificata come l'omerica isola delle Capre, ospitante la sede di un
centro di studi di biologia afferente all'Università degli Studi
di Catania, adibito a museo naturalistico e archeologico che testimonia la
presenza umana sull'isola già in epoca precedente alla colonizzazione della
Sicilia da parte dei greci. Tutta l'area è riserva marina dal 1989 ed è
diventata area protetta dal 2004, mentre l'isola Lachea e i Faraglioni
dei Ciclopi sono riserve naturali integrali della Regione siciliana dal
1998, in gestione al Centro Universitario per la Tutela e la Gestione
degli Ambienti Naturali e degli Agroecosistemi.
Sotto
il mare di Aci Trezza, in corrispondenza dell'isola Lachea, si sta
espandendo una faglia crostale che ogni anno aumenta di alcuni millimetri.
Questo fenomeno conferma l'ipotesi geologica del bradisismo negativo,
sostenuta anche dalla presenza di alghe fossilizzate risalenti a circa 6 000
anni fa che emergendo incrostano le isole dei Ciclopi fino all'altezza di 6
metri sul livello del mare.
All'interno
del porto storico si trova il geosito dei basalti colonnari
di Aci Trezza, come testimonianza delle prime eruzioni dell'Etna, oggetto di
una lunga battaglia per la riqualificazione, portata avanti
dall'associazione culturale Centro Studi Aci Trezza e conclusa positivamente
nel 2010 con l'inaugurazione dei lavori, eseguiti dalla Sovrintendenza ai
beni culturali e ambientali di Catania e dell'Antico scalo dei Malavoglia.
Il geosito dei basalti colonnari comprende anche una zona più a sud, dove
si trovano i cosiddetti faragghiuneddi (piccoli faraglioni),
ovvero formazioni laviche composte da basalti colonnari obliqui. La zona è
un'oasi naturale, grazie anche alla presenza del torrente Feudo che permette
la crescita di piante e fiori e inoltre porta alla formazioni di pozze
d'acqua all'interno delle quali vive e si riproduce il Discoglossus
pictus.

A ridosso
della borgata marinara di Acitrezza, a circa 200 metri dalla riva, sorgono
questi spettacolari scogli lavici (Isole dei Ciclopi) che la leggenda vuole
essere le pietroline (per un gigante come lui) che il ciclope monocolo
Polifemo, innamorato della ninfa Galatea, scagliò contro il pastorello Aci,
rivale in amore (in foto un dipinto di Annibale Carracci alla galleria
Farnese di Roma). Secondo Omero l’origine è da imputare ai massi lanciati
da Polifemo contro la nave di Ulisse-Nessuno.
L’isola
Lachea, costituita prevalentemente da rocce basaltiche in più punti
sormontate da argille pleistoceniche, è la più grande (2 ettari) fra le
Isole dei Ciclopi, ed è di origine vulcanica legata alle prime eruzioni
sottomarine nel golfo di Acitrezza, risalenti a circa 500.000 anni fa.
L’arcipelago
dei Ciclopi rappresenta un sito di grande interesse sia naturalistico che
archeologico. Infatti sull’isola Lachea furono anche rinvenute
testimonianze della presenza umana risalenti alla preistoria, fra cui
un’ascia di diorite dell’età della pietra, e alcuni manufatti di epoca
romana (pentole, anfore, pesi da telaio, aghi in osso, frammenti di un
pettine osseo e una piccola lucerna).
Spettacolari
i fondali, per gli amanti dell’immersione: è possibile ammirare
bavose, salpe e cefali, mentre tra le rocce del fondale è facile
distinguere colonie di idrozoi, ascidie rosse, il verme cane e l’argenteo
balenio dei saraghi.
Più in
profondità oltre la gorgonia gialla è possibile ammirare colonie
arborescenti di polipi che possono superare anche il metro di altezza, ma
fra tutti chi spicca per singolarità e bellezza, è l’alicia mirabilis (foto),
la più grande attinia del Mediterraneo.
La fauna
dell’isola Lachea è abbastanza varia ma l’ospite più singolare è
l’endemica lucertola Podarcis sicula ciclopica. Sull’isola
nidificano pochissimi uccelli, fra cui la ballerina gialla e la passera
sarda. Abitanti tipici, in inverno, sono il cormorano, il gabbiano reale
mediterraneo e il gabbiano comune. Si vedono anche il falco pellegrino ed il
falco di palude.
La flora è
rappresentata, tra gli altri, da specie endemiche siciliane come l’Elotropio
di Boccone, il Senecione glauco e la Carlina hispanica.
Alla sommità
dell’isola si trovano: un museo che espone fauna e flora dell’isola, ed
i reperti archeologici e geologici ritrovati sul luogo; una cisterna; e la Grotta
del Monaco perché a quanto pare qua veniva in romitaggio San Pier
Damiani nato in Aquitania, vissuto tra il 974 e il 1044, quando in Sicilia
c’erano gli Arabi.
Castello
La
fortificazione di incerta origine, fu il fulcro dello sviluppo del
territorio delle Aci nel medioevo. Durante i Vespri siciliani, fu
assoggettato alla signoria di Ruggero di Lauria, quindi in epoca
aragonese fu di Giovanni di Sicilia ed infine degli Alagona venendo
più volte assediato. Attualmente è sede di un museo civico.
Il
promontorio basaltico dove il castello sorge, è costituito da colate
laviche sottomarine (pillow) che hanno un'età radiometrica di circa 500.000
anni dal presente. La rupe basaltica è circondata da una colata lavica di
epoca preistorica che nella storiografia del XIX secolo era stata attribuita
in maniera errata all'eruzione del 1169.
Storicamente
un primo castello fu edificato nel VII secolo d.C. (secondo altri
nel VI secolo) dai bizantini su di una preesistente
fortificazione di periodo romano forse del 38 d.C. e
chiamato Castrum Jacis e volto alla difesa della popolazione dalle
scorrerie.
Nato
dopo il castello Ursino, è stato fortificato solo da e per gli Alagona. Il
Kastron ed il Castrum di Aci vanno ricercati altrove.
Distrutta
ed occupata la forte Taormina, nell'estate del 902 l'emiro Ibrahim stava
per assaltare il castello di Aci. La popolazione sicura della sconfitta
preferì capitolare, pagare la giziah e deporre le armi
consegnandosi ai musulmani. Il paese fu lasciato intatto ma il castello e le
fortificazioni saranno rase al suolo.
Nel 909 il
califfo 'al-Mooz, fece riedificare sulla rupe una fortificazione (qalat),
che doveva far parte di un più vasto sistema difensivo atto a proteggere
l'abitato.
Nel X
secolo sotto la dominazione araba il borgo fu chiamato 'Al-Yâg o Lî-Yâg,
fu un importante centro della Sicilia orientale (secondo Al-Muqaddasi,
storiografo che scrisse il Kitab 'ahsan 'at taqasim ). Forte e
preminente rimase però l'impronta bizantina, tanto che lo scrittore Ibn
al-Athir, nella sua opera Kamil 'at tawarih, racconta di una Aci quale
centro della resistenza.
Giunti
i conquistatori normanni Roberto il Guiscardo e Ruggero
d'Altavilla, verrà introdotto in tutta la regione il sistema feudale. Vasti
territori saranno concessi a vescovi e milites. In questo contesto nel 1092 anche
il castello di Aci ed il territorio circostante furono concessi all'abate e vescovo di Catania Angerio
da S. Eufemia. Chiamato Castrum Jatium, si trattò del primo atto
riguardante la Terra di Aci. Le pertinenze erano costituite dai territori
degli attuali comuni di Aci Castello, Aci Sant'Antonio, Acireale, Aci
Catena, Aci Bonaccorsi, Valverde (già Aci Valverde). Il geografo
arabo Edrisi descriverà nel suo Libro di Ruggero la
terra di Aci come territorio importante.
Il
17 agosto 1126 il Vescovo abate Maurizio di Catania ricevette
nel castello di Aci le reliquie di sant'Agata, riportate in patria da
Costantinopoli dai cavalieri Goselmo e Gisliberto. All'interno di un
ambiente che probabilmente era una piccola cappella, sono ancora
visibili alcune tracce di un affresco che ricorda l'avvenimento.
Il
4 febbraio del 1169 si verificò in Sicilia orientale uno dei terremoti più
funesti che si ricordino. In quella occasione parte della popolazione si
spostò nella cosiddetta contrada di Aquilio (derivante dal console romano Manlio
Aquilio che si narra lì nel 104 a.C. sedò un tumulto di
folla) e che sarebbe la odierna zona di Anzalone, da cui prese il nome
di Aci Aquilia. (Secondo altri, invece, il nome risalirebbe
direttamente al periodo romano).
Quindi
il castello ritornerà al demanio nel 1239 quando l'imperatore Federico
II di Svevia rimosse il vescovo Gualtiero di Palearia.
Nel 1277 il
borgo attorno al castello contava 1.200 abitanti («183 fuochi»).
Alla
fine del XIII secolo, durante il breve periodo angioino il castello
passò di nuovo al vescovo di Catania. Durante i Vespri, a cui il borgo
parteciperà, Federico III d'Aragona concesse l'«Università di Aci»
all'ammiraglio Ruggero di Lauria nel 1297. La concessione
prevedeva che annualmente, il giorno di sant'Agata, venisse pagato un
canone di ben 30 once d'oro al vescovo di Catania, cosa che poi in realtà
non avvenne. Fu il riconoscimento ufficiale della «Università di Aci»,
formata dal castello e dal territorio delle Aci.
Dopo
alcuni anni, quando Ruggero di Lauria passò con gli angioini contro
la corte aragonese, il re Federico fece espugnare il castello, usando una
torre mobile di legno chiamata "cicogna", riprendendo
così con la forza la fortezza nel demanio.
Nel 1320 Federico
III d'Aragona cedeva il territorio del castello di Aci (ormai di proprietà
di Margherita di Lauria, discendente di Ruggero) a Blasco II Alagona al
quale successe il figlio Artale I . Nel 1326 avvenne il
saccheggio da parte delle truppe di Roberto d'Angiò comandate da Beltrando
Del Balzo (italianizzazione di "Beltrand de Boiax").
Nel 1329 il
territorio fu nuovamente sconvolto da un terribile terremoto e da una
eruzione che ne investì in parte il territorio. Dalla nuova ricostruzione,
stavolta più a nord nasceva «Aquilia Nuova» (nucleo iniziale della futura
Acireale), così chiamata per distinguersi dalla precedente che fu detta «la
Vetere»
Nel 1353 morì
nel castello di Aci il re Ludovico d'Aragona, di soli 17 anni.
Nel 1354 il
territorio di Aci fu devastato ed il castello espugnato dal maresciallo Acciaioli,
inviato in Sicilia da Ludovico d'Angiò.
Nel 1356 il
governatore di Messina, Niccolò Cesareo, in seguito a dissidi con Artale
I Alagona, richiese rinforzi a Ludovico d'Angiò, che inviò il
maresciallo Acciaiuoli. Le truppe, assistite dal mare da ben cinque galee
angioine saccheggiarono nuovamente il territorio di Aci, assediando il
castello. Proseguirono quindi in direzione di Catania cingendola
d'assedio. Artale I Alagona respinse l'attacco e quindi
contrattaccò con la flotta siciliana mettendo in fuga la flotta angioina.
La battaglia navale, che si svolse fra la borgata marinara catanese di Ognina ed
il castello di Aci, fu detta «Lo scacco di Ognina» segnò una svolta
definitiva a favore degli aragonesi nella guerra del Vespro.
Durante
la rivolta anti-aragonese Artale II Alagona, insorse contro il re Martino
il Giovane (nipote di Pietro IV d'Aragona), asserragliandosi nel
castello. Solo dopo un lungo assedio del re il castello fu espugnato. Si
narra che riuscì nell'impresa guastando il sistema di approvvigionamento
idrico del castello, approfittando dell'assenza di Artale II (1396).
Nel 1398 sempre
il re Martino il Giovane farà dichiarare dal Parlamento generale
di Siracusa che «... le terre acesi dovevano restare in perpetuo
nel regio demanio», probabilmente per evitare che tornasse in mano ai
baroni e favorendo così lo sviluppo dei tanti borghi che componevano l'«Università».
Nel 1399 venne
dato un privilegio di «esenzione dalla dogana» al territorio. Nel 1402 il
re Martino il Giovane fece del castello la sua dimora insieme alla
seconda moglie Bianca di Navarra.
Nel 1404 il
borgo contava 2.400 abitanti.
Nel XV
secolo la terra di Aci passerà di mano diverse volte, fino al 1530.
Nel 1421 il
viceré di Sicilia Ferdinando Velasquez acquisì per 10.000
fiorini il territorio del castello e quello del vicino Bosco d'Aci. Il
territorio quindi venne rinfeudata con molto malcontento popolare.
Nel 1422 per
sedare il malcontento della popolazione, il Velasquez su ordine del re
Aragonese Alfonso il Magnanimo concesse la facoltà di organizzare una fiera
senza dazi, chiamata la Fiera Franca, che ebbe notevole importanza.
Dalla morte di don Velasquez (1434), la terra passerà all'infante di Spagna don
Pietro e quindi ritornerà al re Alfonso (1437).
Nel 1439 il
castello e la sua università passeranno alla famiglia Platamone, ai Moncada,
ai Requisens e poi nel 1468 ai baroni di Mastrantonio.
Il 28 agosto del 1528, gli abitanti offrirono all'imperatore Carlo
V la somma di 20.000 fiorini, per rientrare nel Regio Demanio e
riscattarsi dal potere baronale. L'imperatore accetterà l'offerta il 5
luglio del 1530 concedendo il mero et misto impero,
confermando inoltre la concessione della Fiera Franca. Nel sigillo della
nuova universitas reale il castello di Aci fu il simbolo
principale insieme ai faraglioni di Aci Trezza.
Dalla
metà del XVI secolo si perderà la Università di Aci: il
castello sarà distinto di fatto da Aquilia Nuova e dai casali,
che nel frattempo si renderanno indipendenti, verrà quindi destinato prima
a caserma e poi a carcere. Nel 1647 il castello verrà ceduto da Filippo
IV di Spagna, per 7500 scudi al Duca Giovanni Andrea Massa. Subirà
quindi i danni del Terremoto del Val di Noto dell'11 gennaio 1693.
Rientrerà nel demanio comunale in epoca borbonica nel XIX secolo.
Nello stesso secolo Giovanni Verga vi ambienterà la novella Le
storie del Castello di Trezza. Negli anni 1967-1969 verrà
restaurato, e quindi dal 1985 è visitabile e sede di un Museo
Civico.

Il
castello sorge su di un promontorio di roccia lavica, a picco sul mare blu
cobalto ed inaccessibile tranne che per l'accesso attraverso una scalinata
in muratura. Il ponte levatoio in legno che oggi non esiste più occupava
parte della scalinata d'ingresso.
Al
centro della fortezza si trova il «donjon», la torre quadrangolare fulcro
del maniero. Rimangono poche strutture superstiti: l'accesso che conserva i
resti dell'impianto del ponte levatoio, il cortile dove si trova un piccolo
orto botanico, diversi ambienti, fra cui quelli dove è accolto il museo e
un cappella (secondo alcuni bizantina) ed un'ampia terrazza panoramica sul
golfo antistante.
Il
23 maggio 2012 il comune di Aci Castello ha scelto di intitolare a Jean
Calogero (1922-2001), pittore di rilievo internazionale che con la sua
arte ha fatto conoscere al mondo anche i paesaggi della Sicilia e in
particolare del territorio di Aci Castello, una sala del Castello. La
“Sala Jean Calogero”, già nota come la “Cappella bizantina”,
ospiterà in permanenza i tre dipinti a olio “Riviera dei Ciclopi” (cm
120×95, 1967), “Aci Trezza” (cm 102×71, 1991) e “Aci Castello” (cm
60×130, 1967) donati dalla famiglia al Comune. I tre dipinti danno lustro
al nostro territorio, contribuendo a valorizzare ulteriormente il nostro
Castello, sprigionando un nuovo impulso sotto il profilo culturale,
pittorico e turistico.
Il
museo civico allestito all'interno del castello consta di tre sezioni:
mineralogia, paleontologia ed archeologia.
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