Patria
di Zaleuco,
primo legislatore del mondo occidentale, e di Nosside,
la più grande poetessa magnogreca, Locri, in antichità Locri
Epizefiri, è stata un'importante città della Magna
Grecia. La storia dell'odierna città è strettamente collegata a quella
di Gerace,
infatti questi due centri un tempo formavano un unico ed importantissimo
comune.
Oggi
è centro turistico balneare, polo direttivo per l'intera Locride in cui hanno
luogo numerosi eventi culturali.
Locri
è situata sulla pianura della fascia costiera ionica Reggina, fra il massiccio
dell'Aspromonte ed
il Mar Ionio.
È circondata da parecchie colline da cui si possono ammirare i tipici paesaggi
Locridei, agrumeti di ogni genere, fra cui il prezioso bergamotto,
uliveti secolari, vigneti, mandorleti, lecceti spontanei, mirteti, gelsominaie, ginestre e fichi
d'india. Le spiagge locresi, chiamate spiagge dei Greci, sono grandi,
incontaminate e disseminate della tipica vegetazione mediterranea, con una
particolarità, la presenza dei Carpobrotus e
del giglio di
mare.
Noto
fino al 1934 come Gerace
Marina, l'attuale nome deriva dall'antica Locri
Epizefiri, città magnogreca i
cui scavi si trovano parte nel comune di Locri parte nel comune di Portigliola,
alcuni km a sud dall'odierno centro abitato.
La
storia di Locri è strettamente legata alla storia di altri due centri sorti
nella zona circostante: Locri
Epizefiri, polis della
Magna Grecia fondata nel VII
secolo a.C., e Gerace,
città medievale costruita
nel IX secolo.
Dopo
la conquista romana di Locri Epizephiri e a seguito sia delle scorrerie saracene e
turche che della piaga della malaria,
il sito fu progressivamente abbandonato e gli abitanti si spostarono verso le più
sicure colline dell'entroterra dove sorse Gerace.
Nel XIX
secolo, col ritorno della popolazione verso le zone costiere e grazie
anche all'avvento della ferrovia,
si sviluppò l'abitato di Gerace Marina, frazione appartenente
al comune di Gerace.
Gerace Marina acquistò sempre più importanza col trasferimento, da Gerace, di
alcune importanti strutture amministrative e commerciali, tra cui il Tribunale e
la Banca Popolare nel 1880, fino a divenire comune autonomo nel 1905.
A dare ulteriore slancio furono la nascita e lo sviluppo di importanti attività
commerciali ed industriali: ad esempio, le Officine
Meccaniche Calabresi (OMC), nei primi anni
trenta, impiegavano 200 operai. Nel 1934 il
comune di Gerace Marina assunse l'attuale denominazione di Locri.
Monumenti
e luoghi d'interesse

Cattedrale
di Santa Maria del Mastro - La
chiesa, in stile romanico lombardo, è stata edificata nel 1933 per volere
del vescovo Giorgio Delrio (1906-1920).
L'interno
a croce latina è a tre navate, di cui le due laterali concludono in due piccole
cappelle.
Nella
parte centrale della navata sinistra si trova una scultura marmorea raffigurante
il vescovo Francesco Saverio Mangeruva (1872-1905) e il sarcofago del vescovo
Michele Alberto Arduino (1962-1972).
Chiesa
di Santa Caterina - L'origine della chiesa risale al 1843. Fu il primo luogo
di culto Locrese e al suo interno conserva sculture lignee processionali
risalenti al 1850.
Chiesa
di San Biagio - L'interno mononavata, conserva una tela di V.Valerioti del
1842 rappresentante l'Annunciazione.
Chiesa
di San Filareto - Posizionata sul colle di contrada San Fili, inglobata in
un'antica masseria del settecento, sorge questa caratteristica chiesa con
campaniletto a vela. Al suo interno è presente un affresco del 1891
raffigurante la Madonna con Gesù, san Gerolamo e San Filareto.
Monumento
ai cinque martiri di Gerace - Davanti
a piazza dei Martiri, fu eretto questo monumento dedicato ai martiri per l'unità
nazionale fucilati l'11 ottobre 1847,
lavorato da scultori carraresi nel 1872.
Su
di esso vi sono tali incisioni (rispettivamente frontalmente e dietro, dal punto
di vista della piazza):
«Bello Michele da Siderno,
Mazzone Pietro da Roccella,
Ruffo Gaetano da Bovalino,
Salvadori Domenico da Bianco,
Verduci Rocco da Caraffa morendo
gloriosamente per fucilazione il 11 ottobre MDCCCXLVII resero sacre queste
contrade. All'unità nazionale. Alla libertà.»
«Compiuti
i voti in Roma, grata, la Nazione risorta onora i suoi martiri dai cittadini
liberi, ad esempio di propositi forti, a scongiuro di altri lutti per interne ed
esterne perfidie. Con offerte spontanee questo monumento solennemente fu
eretto.»

Monumento
a Nosside - Nella
piazza del lungomare è presente un monumento a Nosside, poetessa magno-greca locrese,
scolpito dallo scultore Tony
Custureri.
Monumento
ai caduti di Gerace Marina nella prima guerra mondiale - Di
fronte al Palazzo comunale è presente un monumento dedicato ai caduti della prima
guerra mondiale.
Palazzo
comunale "A. Spinola" - Edificato
nel 1880 in stile Rinascimentale, è la struttura pubblica istituzionale più
grande della Locride. Oggi è sede degli uffici comunali ed ospita spesso
riunioni ed assemblee territoriali.
Palazzo
"V. Scannapieco" - Costruito
nel 1923 in stile Neoclassico, ospitava i bambini abbandonati. oggi è sede del
Liceo Classico "Ivo Oliveti" e dell'Ente Morale
"Scannapieco".
Palazzo
"Fondazione G. Zappia" - Risalente
al primo novecento, è stato realizzato dal Magistrato Giuseppe Zappia ed è
sede dell'omonimo Ente Morale.
Palazzo
"Teotino - Nieddu del Rio" - Uno
dei primi palazzi del centro storico, appartenuto alla famiglia Teotino ed in
seguito ai Nieddu Del Rio. Quest'ultimi originari della Sardegna e trasferitosi
a Gerace per le funzioni di Mons. Giorgio Del Rio. Oggi è sede museale e di
congressi.
Palazzo
Scaglione - Fu la prima
sede della collezione archeologica locrese. Appartenente ad una ricca famiglia
geracese ritenuta fondatrice della città di Locri. Ospitò l'archeologo
trentino Paolo Orsi.
Locri
Epizefiri
Locri Epizefiri fu
una città della Magna
Grecia, fondata sul mar
Ionio, nel VII
secolo a.C., da greci provenienti dalla Locride.
Locri Epizefiri
fu l'ultima delle colonie
greche fondate sul territorio dell'attuale Calabria.
I coloni, giunti all'inizio del VII secolo a.C., si stabilirono inizialmente
presso lo Zephyrion Acra (Capo Zefirio), oggi Capo
Bruzzano, e solo più tardi si insediarono pochi chilometri a nord della
città storica conservando però l'appellativo di Epizephyrioi, che
significa appunto "attorno a Zephyrio".
Le
fonti riguardo alla fondazione di Locri Epizefiri sono quindi discordanti.
Secondo il passo di Strabone, qui riportato, la città fu fondata dai Locresi del
golfo di Crisa, guidati dall'ecista Evante. Altre fonti, tra cui Polibio, dicono
che i coloni sarebbero venuti dalla Locride
Opunzia (Locride orientale) di fronte all'isola Eubea,
e questa testimonianza è confermata da Eforo, con cui polemizza Strabone, e da Virgilio,
che chiamò i fondatori della colonia Narici. Altre testimonianze
parlano di una provenienza dalla Locride
Ozolia, sul golfo di Corinto.
Per quel che
concerne la cronologia della fondazione della colonia, Pausania e Polibio la
collegano alla prima
guerra messenica, in una data quindi molto alta rispetto al quadro
generale della grecizzazione del golfo ionico. Eusebio
di Cesarea nelle Cronache indica il 673
a.C., e Girolamo,
che curò la traduzione latina dell'opera di Eusebio scritta in lingua
armena, colloca l'avvenimento nel 679
a.C. Secondo Strabone essa seguì di poco quella di Siracusa (734
a.C.) e di Crotone (710
a.C.), dunque sarebbe avvenuta alla fine dell'VIII
secolo a.C.
Aristotele sostiene
che i fondatori fossero dei servi fuggiti con le mogli dei loro padroni,
impegnati con Sparta nella
guerra contro i Messeni. Tale asserzione, negata più tardi da Timeo, fu
confermata da Polibio che raccolse le testimonianze dirette dei discendenti
locresi. Pausania, dal canto suo, ha respinto la tesi della fondazione
della colonia da parte di servi fuggiti, con tutta una serie di motivazioni ben
argomentate. Innanzitutto riferisce della tradizionale leggenda Locrese riguardo
ad una spedizione ufficialmente inviata da Sparta, ai tempi del re Polidoro, per
partecipare alla fondazione della colonia, in netto contrasto quindi con l'idea
di una fuga di servi. In secondo luogo, Pausania evidenzia molti punti di
contatto tra Locri e Sparta relativi all'aspetto religioso: il culto di Persefone era
fondamentale nella società Locrese, così come a Sparta; allo stesso modo erano
importanti per Locri e Crotone i culti di Achille, Eaco e Tetide, provenienti da
Sparta, da cui derivò la genealogia di Locro fratello di Crotone; e, altro
importante elemento, la richiesta da parte dei Locresi a Sparta, prima della
battaglia della Sagra, di un aiuto militare. Aiuto che, concretizzatosi in modo
pressoché simbolico con l'invio di un ristretto manipolo di soldati, diede
origine al culto dei Dioscuri, i quali si sarebbero materializzati sul campo di
battaglia prendendovi parte attiva.
Tutti questi
dettagli sembrano quindi invalidare l'idea di Polibio, restituendo valore a
quella di Timeo. Tra gli studiosi ha preso piede l'idea che questi
spostamenti dalla Grecia fossero inizialmente occasionali, da parte di mercanti,
esploratori e pirati, in un periodo di "pre-colonizzazione" compreso
tra la fine del IX e
l'inizio del VIII
secolo a.C., prima quindi del periodo di vera e propria colonizzazione
successiva. Questo rende, se non plausibile, quantomeno ipotizzabile l'idea
della fondazione di Locri da parte di una spedizione di coloni, accompagnati da
soldati spartani od addirittura da pirati, assoldati come mercenari da Sparta
che a causa della prima
guerra messenica, probabilmente avrebbe ritenuto più prudente questa
soluzione che non distrarre delle forze militari dalle operazioni in corso.
Il primo
insediamento venne fondato nel luogo indicato dall'oracolo
di Delfi, presso capo Zefirio (l'attuale capo Bruzzano), ma dopo alcuni
anni i coloni - insoddisfatti della località occupata pur corrispondente
all'indicazione dell'oracolo - si spostarono verso nord di circa venti
chilometri, dove fondarono una nuova città alla quale diedero lo stesso nome
del primo insediamento, probabilmente per sentirsi sempre sotto la protezione
del dio Apollo.
I coloni si
trasferirono sul colle Epopis, dove però trovarono insediate popolazioni
indigene di Siculi,
che sarebbero state scacciate dai locresi con uno stratagemma molto astuto: i
coloni giurarono che fin quando avrebbero calcato la stessa terra e portato la
testa sulle spalle sarebbero stati fedeli, ma a giuramento fatto essi si
liberarono della terra messa in precedenza nei calzari e delle teste d'aglio,
scacciando i Siculi dalla zona.
Nel corso di un
secolo la polis di
Locri Epizefiri estese la propria presenza dalla costa ionica al versante
tirrenico dell'attuale Calabria, probabilmente per tenere lontana la minaccia di
un'espansione della nemica Kroton (Crotone);
così i locresi fondarono tra il 650
a.C. ed il 600
a.C. le due colonie di Medma (oggi Rosarno)
e di Hipponion (oggi Vibo
Valentia), probabilmente su preesistenti centri abitati, ed occuparono Metauros (oggi Gioia
Tauro), centro già fondato come propria colonia da Zancle (Messina)
o Rhegion (Reggio
Calabria).
Verso il 560
a.C.-550 a.C. Locri
Epizefiri fu alleata di Reggio nella vittoriosa battaglia avvenuta al fiume
Sagra che fermò la volontà espansionistica verso sud di Crotone.
Secondo la
leggenda, i 15 000 uomini dell'alleanza locrese-reggina sbaragliarono ben
130 000 crotoniati, e Zeus avrebbe
sorvolato la battaglia sotto forma di aquila, mentre i suoi figli (i Dioscuri)
sarebbero apparsi a cavallo prendendovi parte.
In seguito a
tale vittoria nelle due poleis italiote di Reggio e Locri Epizefiri
iniziò ad essere praticato il culto dei Dioscuri; in particolare presso gli
scavi del tempio
ionico di "Marasà" a Locri Epizefiri sono state rinvenute
due statue, gli acroteri in marmo,
che potrebbero raffigurare i gemelli figli di Zeus (oggi custodite a Reggio
presso il Museo
nazionale della Magna Grecia).
L'esito della
battaglia della Sagra confermò Locri Epizefiri come una nuova potenza della Magna
Grecia.
Successivamente,
con il crescere della potenza di Reggio governata dal tiranno Anassila,
Locri Epizefiri dovette respingere l'egemonia della città dello stretto,
ricorrendo all'aiuto di Siracusa.
Dal V
secolo a.C. Locri Epizefiri stabilì alleanze con la Siracusa dei Dinomenidi prima
e di Dionisio I e
del figlio Dionisio
II poi, entrando così nell'orbita dei tiranni della polis siceliota. Erodoto riporta
di un arrivo nel 493
a.C. di profughi samii a Locri. Nel 477
a.C. Anassila
di Reggio durante la sua campagna espansionistica attaccò Locri,
che si rivolse al tiranno Ierone
di Siracusa. Successivamente, quando Atene organizzò
la spedizione in Sicilia,
Locri Epizefiri si schierò dalla parte di Siracusa nella sua personale guerra
contro Reggio (alleata di Atene).
L'alleanza tra
Locri e Siracusa venne ulteriormente rafforzata dal matrimonio tra Dionigi e la
locrese Doride. Quando nel 389
a.C. il tiranno siracusano sconfisse la Lega
Italiota, donò a Locri Epizefiri le terre di Kaulonia (presso Monasterace
marina e di Scolacium (nei pressi di Squillace),
che delimitavano il confine nord con Crotone, mentre a sud il confine con Reggio
era delimitato dal fiume Halex (presso Palizzi).
Il IV secolo a.C. fu
per Locri Epizefiri un periodo di grande splendore artistico, economico e,
soprattutto, culturale. In particolare, di questo periodo storico, vanno
ricordate le figure della poetessa Nosside e
dei filosofi Echecrate, Timeo ed Acrione fondatori
di una fiorente scuola pitagorica (introdotto a Locri all'epoca di Dionisio I):
lo stesso Platone,
secondo quanto attesta Cicerone, si sarebbe recato di persona a Locri per
apprenderne i fondamenti.
Dopo la morte
di Dionigi I, Locri Epizefiri ospitò fra le proprie mura Dionigi
II il quale, esiliato da Siracusa, instaurò tra il 357 e
il 347 a.C. la
tirannide nella polis italiota. Ma la sua politica contro gli
aristocratici locali mirava solo al ritorno in patria e dunque, una volta che
ebbe svuotate le casse della cittadina calabra, il popolo insorse uccidendo
tutta la sua famiglia e cacciandolo ancora. Venne dunque instaurata la democrazia.
Nel 280
a.C. Locri Epizefiri si alleò con Pirro,
re dell'Epiro, nella guerra tra Romani e Sanniti,
sia per esigenza militare che per far fede a un'alleanza stabilita da tempo con Taranto.
Dopo qualche
anno però i locresi passarono dalla parte dei Romani e Pirro nel 266
a.C. devastò la città e saccheggiò il tempio di Persefone.
Nella seconda
guerra punica Locri si schierò con Annibale e
fu conquistata dai Romani nel 205
a.C..
In seguito la
città declinò e nell'VIII
secolo fu abbandonata dagli abitanti che si ritirarono
nell'entroterra.

Cicale di
Locri e di Reggio - La storia di Eunomo nasconde un motivo che nel corso del
tempo, a più riprese, riaffiora nella tradizione leggendaria di Locri e si
collega alle contese territoriali tra Locri e Reggio.
Diodoro
Siculo tramanda un episodio accaduto ad Eracle durante
la sua sosta sul fiume Halex, al confine tra Rhegion e Locri.
Mentre riposava per la fatica del viaggio, l'eroe molestato dalle cicale pregò
gli dei di fare sparire quelle che lo disturbavano. Accadde allora che queste
scomparvero non solo in quel momento, ma anche nel tempo a venire.
Secondo una
versione più antica della leggenda che riguarda le cicale sul fiume Halex
(forse l'odierna fiumara Galati), quelle che dimoravano sulla sponda
locrese erano canore, mentre quelle sulla sponda rhegina quasi mute. Già Timeo era
a conoscenza di tale storia e, a suo parere, alludeva a una contesa poetica tra
Aristone di Reghion ed Eunomo di Locri, vinta peraltro da
quest'ultimo. Eliano parla di una controversia tra gli abitanti di Reghion e
quelli di Locri a proposito del diritto di transitare o lavorare i campi
appartenenti al territorio di confine. A questa leggenda potrebbe riferirsi
quanto riporta Aristotele che
dice di rifarsi a Stesicoro circa un proverbio,
noto ai locresi, che raccomandava di temere il canto delle cavallette, volendo
alludere con questo al pericolo di un'invasione dei Reghini. Va ricordato
che la notizia del silenzio delle cicale reggine, che si contrapponeva al canto
di quelle di Locri, compare pure in Plinio.
Strabone dà
una spiegazione del fenomeno in termini razionalistici sostenendo che, siccome
le cicale locresi si trovavano al sole, le loro membrane potevano asciugarsi
dalla rugiada e quindi permettere il canto, mentre quelle reggine, poste in una
zona d'ombra, avevano sempre le membrane umide.

Archeologia
- La zona archeologica dell'antica Locri Epizefiri si trova nel comune di Portigliola,
circa 3 km a sud dell'attuale centro abitato del comune di Locri,
si estende nel territorio pianeggiante compreso tra la fiumara Portigliola, la
fiumara Gerace, le basse colline di Castellace, Abbadessa e Manella, e il mare.
Il fatto che tale area si trovi a distanza dagli odierni centri abitati ha
preservato quasi integralmente la città antica: tuttavia, nel corso dei secoli,
sono state usate pietre prelevate nell'area per edificare nuove case nei
dintorni.
Gli
scavi archeologici portati avanti da Paolo
Orsi (tra il 1908 ed
il 1912),
da Paolo Enrico Arias (tra
il 1940 ed
il 1941)
e da Giulio Jacopi (nel 1951),
hanno rivelato che l'abitato, organizzato con un impianto urbanistico regolare,
è attraversato da una grande arteria che ancora oggi conserva il nome greco di
"dromo".
La
città antica, che era difesa da una cinta muraria di 7 km, in molti
tratti ancora visibile. All'esterno delle mura si estendono le necropoli,
mentre la maggior parte delle aree sacre sono disposte in prossimità della
cinta. I santuari all'interno delle mura sono dotati di edifici templari
monumentali e risalgono al periodo arcaico, mentre quelli situati immediatamente
all'esterno presentano un aspetto meno monumentale, pur essendovi state
rinvenute abbondanti offerte votive.
Tra
i monumenti ancora oggi visibili c'è il teatro, risalente al IV
secolo a.C. con rifacimenti in età
romana: è l'unico edificio pubblico non sacro riportato alla luce a Locri. Si
tratta di una costruzione realizzata sfruttando una conca naturale situata ai
piedi dell'altura di Casa Marafioti. Rimangono, oltre alle
fondazioni dell'edificio scenico, parte dei gradoni in arenaria della cavea,
che potevano accogliere circa 4 500 spettatori. In età romana imperiale
l'edificio fu trasformato eliminando le file più basse delle gradinate e
costruendo un alto muro semicircolare in blocchi di calcare,
in modo da proteggere gli spettatori durante le lotte tra gladiatori o tra
uomini e animali.
Per
quel che concerne il periodo arcaico va menzionato il santuario di Zeus che
nel corso del tempo ebbe un'articolazione sempre più ricca. In base alla
scoperta a metà altezza della collina della Mannella di un
deposito di iscrizioni, così importante per la più tarda amministrazione della
città, si è congetturata la presenza dell'agorà ai suoi piedi.
E
sempre all'interno della cinta di mura sulla collina della Mannella fu
apprestato, con ogni probabilità nel VI
secolo a.C., un luogo di culto per
un'altra divinità olimpica, Atena. Altri
luoghi di culto, sorti a mano a mano fuori dalla cinta muraria, come il
santuario delle ninfe in Contrada Caruso o quello di Demetra in Contrada
Paparezza (cf. infra), oltre a diverse installazioni
domestiche vanno a completare e arricchire il quadro di una colonia, dove dalla
molteplicità di costumanze religiose ben trapela anche la differenziazione
della cultura cittadina.

L'area
sacra di Afrodite si
trova nei pressi dell'abitato di Centocamere, situato vicino alla
costa, ed è un complesso formato da un tempietto, da una serie di ambienti con
portico a "U" e da un cortile centrale; la sua costruzione, avvenuta
in due tempi, è da collocarsi tra la fine del VII e
la metà del VI secolo a.C.,
mentre il suo utilizzo si è protratto fino alla metà del IV
secolo a.C. In località Marasà
sud, immediatamente all'esterno delle mura, e a contatto con l'area
delimitata dalla stoa ad U sorgono un sacello tardo
arcaico (databile tra il 500 e il 480 a.C.) dedicato senza dubbio ad Afrodite e
la cosiddetta casa dei leoni, dove avevano luogo celebrazioni
private delle Adonie,
improntate allo "stile" di culto ateniese, tenute da tiasi femminili.
La
necropoli locrese più nota è quella di Lucifero, dove sono state
rinvenute circa 1 700 tombe databili tra il VII e
il II secolo a.C. e
spesso segnalate da vasi di grandi dimensioni, di buona fattura e pregio, opera
di ceramografi ateniesi di fama, oppure da "arule", piccoli altari in
terracotta decorati con immagini del mondo dell'oltretomba.
Uno
dei templi interni alla cinta muraria è il Tempio ionico di Marasà, una
costruzione databile attorno al VI-V secolo a.C.
Tra
i maggiori rinvenimenti statuari vi è il gruppo marmoreo dei Dioscuri a
cavallo, esposto nel Museo nazionale
della Magna Grecia di Reggio
Calabria. Si tratta di una imponente
scultura raffigurante un Dioscuro che scende da un cavallo impennato sorretto da
un tritone con la barba, il busto umano coperto da un panno e il resto del corpo
con sembianze di pesce. Nello stesso Museo, oltre ai numerosi reperti
provenienti dagli scavi effettuati nella zona dell'antica colonia greca, sono
esposte alcune antefisse a testa di sileno,
che forse coronavano a scopo decorativo la scena del Teatro. Nella cella
tesauraria del santuario della Mannella dedicato a Kore-Persefone sono
state trovate numerose tavolette fittili (Pinakes),
scolpite con la tecnica del bassorilievo, risalenti per la maggior parte alla
prima metà del V secolo a.C. Alcune
fanno riferimento alla pratica della prostituzione sacra delle vergini, in uso
presso la società locrese.
Secondo
molti studiosi, il celebre Trono
Ludovisi proviene proprio dal
tempio ionico di Afrodite di contrada Marasà dell'antica polis. Del
resto un frammento di pínax, quadretto votivo in terracotta del 470-60 a.
C.circa rinvenuto nel tempio di Persefone in contrada Mannella presso Locri e
attualmente nel Museo della Magna Grecia a Reggio Calabria, mostra parte di una
figura femminile pressoché identica a una delle due donne rappresentate sui
lati del Trono Ludovisi.
Secondo
l'archeologa Margherita Guarducci,
il Trono costituiva il parapetto del bothros; ipotesi avvalorata dal
fatto che le dimensioni della scultura combaciano al centimetro con i tre
lastroni di pietra superstiti, del rivestimento del bothros, ancora
visibili nell'area archeologica del Tempio di contrada Marasà.

Necropoli
- All'esterno della città vi sono diverse necropoli, presso le
contrade Monaci, Russo, Faraone, Lucifero, dove sono state
ritrovate oltre 1 700 tombe.
La Necropoli
di contrada Lucifero, in uso dall'VIII
secolo a.C. al III
secolo a.C. comprende tombe di tre tipi: tomba a fossa, tomba
alla cappuccina e tomba a semibotte.
Vi
sono stati trovati oggetti di valore e pregiati, importati dalla Grecia o dalla
Magna Grecia (IV
secolo a.C.), tra cui vasi, specchi, ornamenti di bronzo e monili in
metallo prezioso. Gli
oggetti da toletta per donna erano per la cosmesi personale.
Nella
necropoli di Lucifero sono stati trovati specchi in bronzo (prodotti
da artigiani locali), e fibule (spille di bronzo per abiti, prodotti
locali del VI e V
secolo a.C.).
In
tutte le tombe sono state trovate delle lekythoi, ovvero vasi per contenere
oli profumati per toeletta, usati anche dagli atleti prima degli esercizi
sportivi e per i rituali funebri.
Gli
specchi, produzione tipica locrese, esportati in Magna Grecia ed in Sicilia,
erano fabbricati in bronzo con manici a figura maschile o femminile.
La Necropoli
di contrada Parapezza, a sud-ovest di Lucifero, comprende oltre 200 tombe. Fu
usata intensamente in età arcaica (VI
secolo a.C.) e in età ellenistica (III e II
secolo a.C.).
In
una tomba ad inumazione sono stati trovati piccoli contenitori importati
da Corinto,
dall'oriente greco (Asia
Minore) e dall'Attica.
Nel VI secolo
a.C. erano usati grandi contenitori di ceramica (anfore per il
trasporto del vino e dell'olio), molte delle quali erano state importate da
Corinto o da Atene.
Vi sono inoltre delle anfore importate dalla Laconia;
questo tipo di ceramiche fu prodotto nel VII e VI
secolo a.C. La ceramica
laconica, diffusa in tutto il Mediterraneo,
veniva fabbricata usando un'argilla rosata,
coperta da ingubbiatura giallina, sulla quale si dipingevano figure in nero.
Sono
state ritrovate delle hydriai, vasi a tre anse per attingere e trasportare
acqua. I vasi più grossi venivano usati per contenere i corpi senza vita di
piccoli bambini. Altri vasi venivano usati per le ceneri dei defunti.
I
giardini di Adone (IV
secolo a.C.) erano realizzati nelle anfore da trasporto, opportunamente
spezzate e capovolte. Venivano coltivati finocchi e lattughe, innaffiati con
acqua calda per accelerarne la crescita.
La Necropoli
di contrada Faraone è posizionata nel nord-est dell'area urbana. Durante
gli scavi è stato trovato un piccolo frontone in calcare con fregi dorici
(frontone del naiskos),
datato tra il IV e III
secolo a.C.

Vita
nella città di Locri
- I
banchetti erano molto diffusi e frequentati dagli uomini. Le donne partecipavano
solo in veste di cortigiane o schiave. Per bere si usavano dei vasi e delle
coppe oppure delle tazze.
Locri
è insieme alla città di Sparta una delle pochissime città greche in cui le
donne partecipavano alle gare atletiche. Gli atleti usavano uno strumento
ricurvo in metallo per pulirsi dal sudore e dagli unguenti ed oli profumati alla
fine delle gare.
In
alcuni corredi per bambini si trovano delle bamboline in terracotta con arti
snodabili, palline di bronzo e
terracotta ed oggetti in miniatura, come ad esempio delle piccole lampade.
In
cucina venivano usati vasellami a vernice nera (coppe per bere, piatti e
coppette). Venivano inoltre usati dei contenitori per cibi cotti e crudi e per i
liquidi. Soltanto i più ricchi potevano permettersi vasi in vetro o metallo.
Per la conservazione o trasporto di vino, olio, olive e salse venivano usate
delle anfore.
Il
sostentamento della popolazione era basato su cereali e legumi, sulla caccia
alle lepri, cervi e cinghiali. Veniva praticata anche la pesca con lenza e reti.
Nel museo sono visibili degli ami da pesca.
I
latticini erano forniti da capre, montoni e suini. Infine la frutta era composta
da mele, melograni, fichi, mandorle, uva e miele.

Templi
- Il celebre Santuario di Persefone situato a mezza costa del colle
della Mannella è stato definito da Diodoro
Siculo come "il più famoso tra i santuari dell'Italia
meridionale" (ma escludeva la Sicilia). Non è ancora stato
compreso quale culto si praticasse in questo santuario, ma sembra si tratti
delle divinità dell'oltretomba, principalmente Persefone.
Le
ricchezze del Persephoneion locrese furono depredate da Dionisio
II (360
a.C.), Pirro (276
a.C.) e dal comandante romano Pleminio luogotenente di Scipione dopo
la cacciata da Locri Epizefiri durante la seconda
guerra punica (205
a.C.). Gli oggetti votivi rinvenuti nel complesso architettonico
(terrecotte figurate, frammenti di vasi, arule, pinakes, specchi e
iscrizioni con dedica alla dea) si datano tra il VII e il II secolo a.C.
Riguardo
al Tempio Ionico in contrada Marasà si sa che nella prima metà del V
secolo a.C. i locresi abbatterono il tempio arcaico e lo
sostituirono con uno più grande in stile
ionico in calcare. Orsi pensa che il tempio sia stato importato da Siracusa.
Il
tempio di Marasà fu realizzato da architetti e maestranze siracusane operanti a
Locri Epizefiri nel 470
a.C. su iniziativa del tiranno Ierone
di Siracusa (alleato e protettore dei locresi). Il nuovo tempio ha
la stessa ubicazione ma è orientato diversamente.
Il
tempio è stato distrutto nel XIX
secolo ed i ruderi mostrano oggi un solo rostro di colonna.
La
dimensione del tempio era di 45,5 m per 19,8 m. La
cella, libera da sostegni sull'asse centrale, era preceduta da un pronaos
(vestibolo) con due colonne fra le ante, che si ripetevano anche fra le ante
dell'opistodomo,
il vano retrostante la cella, non comunicante con questo. Nello spessore dei
muri tra pronaos e cella erano inserite le scale di servizio, per
accedere al tetto, come in alcuni templi agrigentini.
Al
centro della cella tre grandi lastre di calcare,
infisse verticalmente nel terreno, rivestivano un bothros (fossa sotto
il livello del pavimento), che doveva essere di notevole importanza per il
culto.
Il
tempio aveva 17 colonne ioniche sui lati lunghi, e 6 colonne sulla fronte. Le
colonne dovevano essere di circa 12 m di altezza, con base a capitello
ionico a volute.
L'epistilio (blocchi
sulle colonne) con architrave a
tre fasce e dentelli in sostituzione del fregio,
non era molto sviluppato in altezza, così come i frontoni dall'inclinazione
assai poco accentuata.
Questo
tempio era molto più alto dei templi dorici (rapporto altezza e larghezza 1:1),
ed è uno dei pochi templi ionici della Magna Grecia.
Da
un esame preliminare risulta che a Locri Epizefiri vi fosse un Tesmophorion,
un Iatreion di Demetra (Grotta Caruso), e un Persephoneion che
apparentemente veniva adibito a Telesterion per i Misteri "Eleusini".
La
connessione di Locri con il culto occidentale di Afrodite e Adone è stata
evidenziata dall'analisi di Torelli che ha identificato il bothos del
tempio di Marasà con la cassa-tomba del giovane dio. Si tenga conto che
nella stoà ad U sono stati rinvenuti 356 bothroi con resti
di pasti, evidentemente destinati alla celebrazione di banchetti sacri. La casa
dei leoni che sorge in zona limitrofa a questo complesso è un luogo
destinato all'omaggio rituale privato nei confronti di Adone. Di questo culto
locrese ci dà notizia anche la poetessa Nosside, che forse faceva parte di uno
dei thiasi femminili che onoravano il dio.
Nel
santuario della Mannella sono stati trovati molti pinakes: quadretti in
terracotta decorati con scene a rilievo policrome.
I pinakes (ex
voto) illustrano aspetti del mito e del culto di Persephone. Sono stati
realizzati nella metà del secolo V a.C. Sono di forma rettangolare o quasi
quadrata, ed hanno una dimensione massima di 30 cm di lato. Questi quadretti
avevano dei fori, utilizzabili per appenderli.
Il
soggetto raffigurato più frequentemente è il rapimento di Kore.
Kore è la figlia di Demetra,
che diventa Persefone (regina
degli inferi) e sposa di Ade (dio
dell'oltretomba). Secondo Helmut Prueckner, Afrodite è
la dea più venerata a Locri nel V secolo a.C. Altre divinità venerate sono Ermes e Dioniso
Teatro
- Identificato
nel XX secolo da
P. E. Arias, il teatro greco di contrada Pirettina sfrutta una concavità
naturale ai piedi del pianoro Cusemi ed è stato scavato tagliando i gradini
nell'arenaria tenerissima. La prima fase del teatro risale alla metà del IV
secolo a.C.
L'edificio
conteneva fino a 4 500 spettatori. Dalla cavea costituita
da gradoni tagliati in parte nella roccia ed in parte sistemati con lastre della
stessa arenaria, si godeva un notevole panorama della città e del mare.
La gradinata
era divisa in sette cunei mediante 6 scalette. Una partizione orizzontale (diazoma)
separava le gradinate da altre (epitheatron) oggi rovinate. Si pensa che il
teatro servisse anche per riunioni politiche.

Fonte:
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