Gerace (Borgo)
(Reggio Calabria)
  
  


La storia di Gerace è strettamente collegata a quella di Locri Epizephiri. Il nucleo abitativo, infatti, nonostante esistano tracce di frequentazione in epoca pre-greca, greca e romana, si sviluppa solo in seguito all'abbandono della città di Locri, avvenuto a partire dal VII secolo d.C., a causa del sempre maggiore pericolo piratesco e la sempre crescente insalubrità delle coste. A questo spostamento dei Locresi dall'antico sito costiero verso l'interno è strettamente collegato anche il nome della cittadina che, a dispetto delle leggende che vogliono che esso sia legato ad un leggendario sparviero, in greco Ièrax, che avrebbe guidato i Locresi, inseguiti dai Saraceni, verso la rocca, pare dipendere dal nome della Diocesi di Locri, dedicata a Santa Ciriaca.

Che la cittadina fosse da sempre strettamente collegata alla cristianità appare evidente non solo dal fatto che sia stata spostata, in realtà, la sede della diocesi locrese, ma anche dalla presenza innumerevole di chiese e monasteri, che ha contribuito a identificare la rocca come una sorta di Monte Santo.

La Città era circondata anticamente da solide mura turrite che ne delimitavano l'accesso. Il centro storico era così chiuso in una sorta di fortezza alla quale si accedeva tramite delle porte urbiche. Le strade interne erano lastricate con pietra viva messa di "cozzo", cioè verticalmente per frenare sia il movimento impetuoso dell'acqua piovana che gli zoccoli dei cavalli; il fondo si presentava leggermente ottuso in modo da permettere lo scolo delle acque piovane.

Gli spazi che si aprivano erano destinati a varie funzioni: Piazza del Tocco rappresentante la Curia Civilis (antica sede del Parlamento locale costituito da rappresentanti della nobiltà, della borghesia e dei "mastri"), l'Amministrazione civile; Piazza Tribuna che anticipa l'ingresso alla cittadella  vescovile, la Curia Episcopalis, la sede della Madre di tutte le Chiese della Diocesi e sede del vescovo.

Il prospetto principale delle costruzioni nobiliari, che si affaccia di solito sulle arterie principali e sulle piazze della Città, è caratterizzato da maestosi portali sui quali è inciso lo stemma del casato, illeggiadrito da panciuti balconi su cui aprono, all'interno, spazi aperti come cortili e giardini. Intorno alle sedi del potere si estendevano le costruzioni di altri benestanti e del ceto popolare. Tutti questi edifici caratterizzano il paesaggio geracese che nel corso del tempo si è sviluppato in maniera ordinata e secondo precisi criteri urbanistici.

Per la sua particolare posizione, però, Gerace divenne ben presto un centro di importanza eccezionale nella Calabria Meridionale; la possibilità di controllare i traffici costieri, la sua particolare conformazione orografica che permetteva una naturale fortificazione, fece sì che divenisse oggetto di attenzione sia dell'Impero bizantino che del regno di Sicilia. La presenza congiunta di tali potenze fece sì che il centro resistesse a lungo agli attacchi degli Arabi, che mantenesse una certa autonomia rispetto ai Normanni e che fosse, in seguito, oggetto di attenzione per i dominatori non solo dell'Italia ma di tutto il Mediterraneo. Testimonianza di tale importanza è la grande ed eccezionale (per qualità) quantità di architetture ecclesiastiche e laiche, frutto di committenze imperiali (Cappellone di San Giuseppe nella Concattedrale certamente svevo), regali (si pensi agli interventi normanni nel Castello, nella Concattedrale e in altre chiese sparse all'interno delle mura o alla Chiesa di san Francesco, voluta da Carlo II d'Angiò nel 1294), principesche e feudali.

I 5 martiri - La loro età non superava i 28 anni quando furono fucilati per ordine del governo borbonico il 2 ottobre 1847 e i loro corpi furono gettati in una fossa comune detta "la lupa". Appartenevano a famiglie facoltose ed erano stati inviati a Napoli per frequentare gli studi universitari necessari per il loro brillante avvenire, verso il quale sembravano indirizzati. Nella città partenopea si nutrirono delle nuove idee liberali e patriottiche che ormai circolavano in Europa fra gli strati della borghesia illuminata,  e per la loro vivacità furono rimpatriati dalla locale gendarmeria. Inoltre Michele Bello, Gaetano Ruffo e Pietro Mazzoni erano massoni (i primi due iniziati nella Loggia "Losanna" di Napoli e il Mazzoni nell'"Umanità Liberale" di Catanzaro) portatori e testimoni di una morale che impone di essere tolleranti e rispettosi nei confronti di tutti gli uomini e della loro dignità. 

In Calabria i giovani elaborarono un piano insurrezionale, insieme a G. Domenico Romeo di Reggio Calabria e approvato dal Comitato di Napoli, che prevedeva la sollevazione contemporanea di Messina, non avvenuta perché fallita sul nascere, di Reggio Calabria, soffocata nel sangue con la decapitazione di Romeo, e del Distretto di Gerace, per propagarsi poi in tutto il Regno. I Cinque si attivarono nell'ambito del Distretto e occuparono Bianco, Ardore, Siderno e Gioiosa Ionica al grido di W Pio IX, W l'Italia, W la Costituzione, abbatterono gli stemmi reali, abolirono la tassa sul macinato, catturarono il Sopraintendente di Gerace, il palermitano Antonio Bonafede, che si era distinto per l'odio e la ferocia dimostrati nella cattura e condanna dei Fratelli Bandiera, nella qualità di sottointendente di Crotone, tanto da costringere le autorità a trasferirlo proprio nella sede di Gerace; al Bonafede, costretto a seguire gli insorti, non fu fatta violenza, né ad altri. Avuta notizia del fallimento dell'insurrezione di Reggio Calabria e di Messina, temendo uno sbarco delle truppe borboniche, i rivoltosi si dispersero. 

I capi, rimasti soli, furono costretti a trovare scampo nella fuga. Traditi da Nicola Ciccarelli di Caulonia, nella notte tra il 9 e il 10 settembre, furono arrestati Michele Bello, Rocco Verduci, Domenico Salvadori e Stefano Gemelli, che furono condotti in carcere a Gerace. Mazzone e Ruffo, che si erano separati dai compagni per dirigersi verso Catanzaro, in un primo momemto evitarono la cattura, successivamente ritornati nella Locride furono arrestati, il 21 settembre Ruffo vicino Siderno e il giorno dopo Mazzone nei pressi di Roccella Ionica. 

Fallito il moto rivoluzionario con l'arresto dei capi della rivolta, venne il momento della resa dei conti. Il Bonafede manifestò di nuovo tutta la sua ferocia: sollecitò la Commissione militare giudicatrice a concludere subito i lavori, fece da "testimone implacabile con cinismo sfacciato e con viltà d'animo di fronte a quei giovani che, con tanta generosità, gli avevano salvato la vita, che ora egli così malamente usava vomitando accuse contro di loro". Si attivò perché l'esecuzione fosse fatta in tempi brevi per non dare tempo al generale Nunziante inviato dal re a spegnere la rivolta di poter chiedere e ottenere la grazia sovrana, perseguitò dopo l'esecuzione anche i familiari e i compagni del moto con efferata determinazione, tanto da provocare un nuovo suo trasferimento. 

Gli insorti furono condannati "per essersi macchiati di lesa maestà e per aver commesso atti prossimi all'esecuzione di detti misfatti" e furono fucilati il 2 ottobre 1847 sulla Piana di Gerace. In effetti erano "colpevoli" di aver chiesto la Costituzione e il riconoscimento della dignità dell'uomo, calpestati da un potere assoluto e dispotico, nonostante che la Rivoluzione Francese, anticipata da quella americana, avesse affermato i diritti inviolabili dell'uomo e del cittadino. I loro corpi martoriati vennero gettati nella fossa comune detta "la lupa". 

Alla fucilazione erano stati condannati anche Stefano Gemelli di Bianco e Giovanni Rossetti di Reggio Calabria, entrambi di 47 anni, ma la pena capitale fu commutata in 30 anni di carcere perché non considerati capi. Il vescovo di Gerace mons. Luigi Maria Perrone qualche giorno dopo, durante una funzione religiosa tenuta nella maestosa cattedrale normanna, esultò per la fucilazione dei Cinque, tenendo un'omelia sul tema "Moestitia nostra conversa est in gaudium"! L'esecuzione dei Cinque Martiri riempì di sdegno e d'orrore l'Italia e il mondo intero. In molte città si protestò e si celebrarono solenni esequie.Numerose furono le persone che, nelle varie regioni italiane, in onore della loro memoria, portarono il cappello alla calabrese. A Rocca di Neto, alcuni cittadini avevano organizzato il rapimento di Ferdinando II, ma furono traditi e arrestati. Il re, definito tra l'altro "ignorante e testardo, alieno dai buoni studi, che guardava di traverso gli uomini di lettere e scienze e li derideva col nome di pennaruli", dopo quattro mesi dalla fucilazione fu costretto a concedere la Costituzione, che poco tempo dopo rinnegò. 

Il movimento insurrezionale capeggiato dai Cinque non ebbe un grosso seguito perché la gente comune non conosceva il significato di libertà - abituati per secoli alla monarchia assoluta - né quello di libertà di stampa -per una popolazione per la maggior parte analfabeta. Non c'erano elementi culturali sufficienti per legare le aspirazioni della borghesia e quelle del proletariato. L'azione rivoluzionaria non era matura; il popolo non era sufficientemente educato a sopportare il peso della libertà perché non ne conosceva i termini. Il moto, che in ogni modo contribuirà ad aprire le coscienze dei calabresi, fallì anche per l'impreparazione militare del seguito e per la mancanza di un capo che sapesse dirigere e coordinare la complessa operazione. Sul luogo della fucilazione sorge un monumento inaugurato il 7 giugno 1931, sul quale è collocato un pannello bronzeo raffigurante la fucilazione degli Eroi, opera dello scultore Francesco Jerace.

Scoprire la cittadina

La visita della città inizia dal borgo, là dov'era l'antica porta della Varvara e le Botteghe dei vasai. La strada statale aggira sulla destra la cittadella, un quartiere parzialmente fondato sulla roccia, fino a Piazza della repubblica dove è situata la splendida Chiesa di Santa Maria del Mastro, nelle immediate vicinanze si trova l'antico Palazzo del Balzo che si affaccia alla piana, questa ultima raggiungibile percorrendo una strada che si dirama dalla statale poco oltre la settecentesca Chiesa di San Giorgio. 

Nella piana si possono visitare due conventi: quello dei Cappuccini ( risalente al 1534) e quello dei Minori Osservanti (Risalente al 1612) la cui chiesa è dedicata a Santa Francesca Romana, oggi cappella del cimitero; poco distante si trova la suggestiva Chiesa di Santa Maria di Monserrato di origine bizantina. 

Lasciato il Borgo Maggiore e percorrendo nuovamente la statale si raggiunge il Borghetto, dove attraversata la porta urbica, sulla sinistra vi è la Chiesa di San Martino che può ascriversi ad un'epoca remota, anche se totalmente ricostruita dopo il terremoto del 1783. Percorrendo la via Roma, si arriva al belvedere Bombarde e sulla sinistra vi è ciò che resta del "venerabile Hospitale di San Giacomo", oggi abitazione privata; proseguendo sulla stessa via Roma ed attraversando l'architettura cinquecentesca della "Porta del Sole" si raggiunge la Piazza del Tocco (Tocco va inteso nell'etimo greco: Assemblea). Sette strade vi si immettono e delimitano altrettanti isolati e palazzi (a sinistra il Palazzo Grimaldi-Serra, sede municipale). 

Immettendosi in Via Zaleuco fra palazzi e ricchi portali si arriva alla Piazza Tribuna dove domina il superbo impianto absidale della maestosa Cattedrale consacrata nel 1.045 in stile romanico- normanno, ha sviluppo basilicale costruita, parte sulla nuda roccia e parte su una cripta a croce greca che pur se molto rimaneggiata si pensa risalga all'VIII secolo. Dalla Cattedrale anziché attraversare l'Arco dei Vescovi si percorre la via Caduti sul Lavoro, lungo la quale troviamo l'ottocentesca Chiesa del Sacro Cuore e, subito dopo, in Piazza delle Tre Chiese si possono ammirare: la Chiesa Convento di San Francesco d'Assisi dalle purissime linee gotiche (1252) e la Chiesa di San Giovannello XI° secolo, chiesa greco-ortodossa. 

Da qui si può salire al castello costeggiando l'abitato fino ad arrivare ad un vasto spiazzo il Baglio, rifugio tradizionale della popolazione in caso di pericolo. All'estremità dello spiazzo si ergono i resti dell'antico Castello normanno risalente all'XI° secolo, anche se rimaneggiato. Dal castello si ridiscende in Città per via Buonarroti che costeggia il complesso dell'Episcopio seminario. E qui, invece di tornare in Piazza Tribuna si può scendere attraverso la Via Gioberti ammirando, così le finestre Bifore duecentesce e, proseguendo, una suggestione di archi, palazzi settecentesche, chiese e portali finché si giunge al complesso monastico di Sant'Anna (1344 nelle parti più antiche). 

Dalla passeggiata delle bombarde si scende per via Santa Lucia fino al Borgo maggiore che si può ora visitare nella sua metà occidentale. Dalla Chiesa del Carmine, a metà della discesa a quella di San Siminio e di San Nicola, si percorre, poi, la Via L. Da Vinci dove si trovano le Bifore Medievali di Casa Marvasi e il loggiato cinquecentesco della via G. Bruno per poi ritornare in Piazza della Repubblica dove il nostro itinerario si conclude.

Duomo

La basilica concattedrale di Santa Maria Assunta di Gerace è una delle più importanti costruzioni normanne della Calabria, oltreché uno degli edifici religiosi più grandi della regione. La basilica concattedrale di Gerace è stata dichiarata "bene architettonico" di interesse nazionale. È stata elevata alla dignità di basilica minore l'8 settembre 2018.

I lavori di costruzione dell'edificio ebbero inizio in epoca normanna, con transetto sporgente, rispecchiante modi normanni. La chiesa fu consacrata al culto nel 1045 (data riportata su due targhe affisse all'interno della chiesa, secondo quanto si legge nel Bollario del vescovo Ottaviano Pasqua di fine sec. XVI). In epoca sveva, nell'anno 1222, si ebbe una seconda consacrazione.

La simmetria delle due absidi poste sulla stessa linea, è dovuta ad eventi sismici che hanno invalidato fin dall’epoca sveva tutto il settore ovest della Fabbrica. In seguito a ciò l’abside occidentale, eretta con blocchi parallelepipedi di arenaria locale, fu e ampliata da Battista Caracciolo conte di Gerace dal 1432 al 1449; mentre quella centrale in conci di pietra e malta, venne fatta riedificare dal vescovo Pellicano assieme al portale baroccheggiante nel 1829, sostituendo la loggia caduta in seguito al terremoto del 1744. Sulle due absidi, orientate ad Est secondo lo stile bizantino, sono posti due monoculi.  

Dall'esterno, in stile romanico, l'edificio religioso appare come una fortificazione a causa dell'imponente parete in pietra calcarea dalla quale sporgono due delle tre absidi di forma semicilindrica. Sull'abside centrale si apre un portale ligneo del XIX secolo ad archi concentrici, sormontato da una finestra. Quella sinistra, di diametro inferiore, presenta invece una lunga feritoia. 

Sovrastano le absidi due finestre circolari a strombo. Il grande campanile neoclassico è a sezione quadrata, incompiuto. 

L'interno della chiesa si presenta come un grande ambiente basilicale, con ampio transetto sporgente, e con innesto corrispondente alla navata centrale, un coro quasi quadrato che completa la figura della croce latina. 

Le tre grandi navate, che costituiscono il braccio più lungo della croce, sono separate da due file di dieci colonne, scanalate o lisce, in marmo policromo e granito, tutte diverse tra loro per qualità e dimensioni. Le due file di colonne sono separate in gruppi da cinque da un grande pilastro di irrigidimento, che originariamente delimitava la posizione delle balaustre di chiusura della schola cantorum. 

Le colonne provengono dalle ville prediali della marina (Locri, scomparsa, era denominata Pagliopoli, Antica Città), mentre i capitelli sono in parte antichi e in parte rifatti. Sopra le possenti arcate a tutto sesto, le tonalità scure del soffitto a capriate in legno spiccano per contrasto rispetto alle pareti bianche.

L'altare maggiore, in stile barocco, è stato realizzato con marmi policromi dai fratelli catanesi Antonino e Giuseppe Palazzotto con la collaborazione dell'artista messinese Amato. All'interno della cattedrale si trovano anche alcuni monumenti funerari, fra i quali il sarcofago del conte Giovanni Battista Caracciolo e la cappella gotica del SS. Sacramento del 1431, e numerosi arredi sacri, in parte custoditi nella suggestiva cripta bizantina, cui si accede dal braccio sinistro del transetto (o direttamente dalla Piazza Tribona). Merita anche un'attenzione particolare il rilievo raffigurante l'Incredulità di san Tommaso, opera dei Gagini, risalente al 1535. L'influenza bizantina è evidente sia nella zona del transetto, sporgente rispetto alle navate laterali. Il capocroce è coperto da una cupola a prisma. Delle tre absidi, colo il corpo nord è originario, le altre due sono ricostruzioni del XV secolo, operate dai conti Caracciolo, dopo un rovinoso terremoto. La chiesa (Cattedrale dal 1100) è il prototipo delle chiese normanne di Sicilia.

All'interno della Cattedrale, molto probabilmente sul pilastro tra l'altare maggiore e quello laterale a nord, si trovava la raffigurazione in mosaico di Cristo, affiancato da Ruggero II, a sinistra, e dal vescovo della città Leonzio (morto nel 1143 ca.), a destra. Tale opera fu distrutta agli inizi del XVIII secolo per volontà dell'allora vescovo Diez, ma risaliva alla prima metà del XII secolo.

La cripta normanna si presenta con pianta a croce greca e absidiole ricavate nello spessore del muro affiancante l'abside centrale. Ventisei colonne, anch'esse provenienti da ville di età imperiale (o forse da un tempio in situ), sorreggono la volta del nucleo più antico della cattedrale, scavato nella roccia nell'VIII secolo (quando Gerace era Santa Ciriaca). La cripta ospita la cappella della Madonna dell'Itria, piccolo ambiente ricavato nel 1261 da una chiesa rupestre, con volta a botte e decorazioni in marmo e pavimentata con maioliche geracesi del XVII secolo; l'altare con la trecentesca statua, opera dell'artista senese Tino da Camaino della Vergine col Bambino che gioca con una colonna e la cappella di San Giuseppe che ospita il museo diocesano del tesoro della cattedrale. 

Tra i tesori custoditi vanno menzionati:

- una stauroteca (custodia del sacro legno) in argento dorato, pietre dure e perline fabbricata probabilmente nei laboratori normanni siciliani nel XII secolo,

- un grande ostensorio ottocentesco in argento dorato e ornato da pietre dure,

- un calice in filigrana e pietre dure, datato 1726 e opera di argentieri siciliani,

- una statua dell'Assunta in argento realizzata nel 1722

- vari paramenti sacri e pregiati tessuti in oro e argento realizzati da artigiani locali e da argentieri napoletani quali Gennaro Pace e Romanelli.

Chiesa di San Francesco

La chiesa di San Francesco d'Assisi è un antichissimo luogo di culto situato nella "piazza delle tre chiese" del borgo medioevale. La monumentale chiesa è stata dichiarata "bene architettonico" di interesse nazionale e rappresenta un importante edificio in stile gotico della Calabria.

Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali la gestisce tramite il Polo museale della Calabria, nel dicembre 2019 divenuto Direzione regionale Musei.  

La chiesa, costruita nel 1252 sulle rovine di un preesistente edificio romanico, si presenta a navata unica e faceva parte di un antico convento, fondato nei primi anni del XIII sec. da Daniele, compagno di san Francesco, e del quale rimane solo il pozzo ed una parte del chiostro. 

Analogamente a quanto si è verificato per la cattedrale dell'antico borgo, l'importante edificio religioso nel corso dei secoli ha conosciuto periodi di grandezza e splendore alternati a epoche buie, di decadenza e distruzione. Con la venuta dei francesi nel 1806 i frati dell'attiguo convento, temendo la confisca dei beni, portarono via tutte le opere ed i beni in essa presenti, impoverendo e disperdendo così l'enorme e ricco patrimonio artistico della chiesa. 

Tra il 1806 e il 1897 la chiesa venne adibita a prigione e subì enormi danni. Con la chiusura del carcere, l'edificio rimasto vuoto e privato della sua funzione di luogo di culto, ospitò un mulino, un frantoio e abitazioni per uso civile. La struttura sembrava definitivamente compromessa fin quando, grazie alla Sovraintendenza alle antichità della Calabria, nel 1951 iniziarono i lavori di recupero e restauro dell'edificio che si protrassero per oltre vent'anni e consentirono all'intero complesso architettonico di essere recuperato e riportato all'antico splendore.

La facciata principale, sulla quale si apre un imponente portale gotico ad arco acuto, con triplice archivolto decorato con motivi di ispirazione arabo-normanna, è inoltre arricchita da una monadatura, da diversi capitelli e da una svastica raffigurante il sole che, nella simbologia orientale, rappresenta l'eternità.  

L'interno della chiesa, pur presentandosi sobrio e disadorno, custodisce importanti elementi artistici ed architettonici. Vanno menzionati:

il fastoso altare maggiore seicentesco in marmi policromi intarsiati, che costituisce uno dei più alti documenti del barocco calabrese.

l'arco trionfale del 1664, in stile barocco e decorato con intarsi in marmi poilicromi, opera del frate geracese Bonaventura Perna,

il sarcofago funebre del 1372 del guerriero Nicola Ruffo, opera eseguita da un discepolo dello scultore senese Tino da Camaino, sul quale vegliano santa Maria de Jesu affiancata ai lati da due angeli e i santi Pietro, Elena, Caterina e Paolo.

Tra gli scarsi resti dell'antica cappella di Santa Maria de Jesu, attigua alla chiesa, rimangono un sarcofago romanico anepigrafo e alcuni resti di due colonne gotiche. Le lunghe opere di restauro hanno consentito di portare alla luce parti del monastero dei padri Conventuali e un'ala del chiostro.  

Chiesetta di San Giovannello

La piccola chiesa in pietra e mattoni, a navata unica, fu edificata attorno al X secolo. Attualmente di rito greco ortodosso, consacrata il 5 novembre 1991 quale Santuario Ortodosso Panitalico della Sacra Arcidiocesi ortodossa d'Italia e Malta dal metropolita Ghenadios, è considerata la più antica Chiesa Ortodossa d'Italia.

Nel corso della sua lunga storia ha conservato la sua semplice e originaria architettura che si presenta con tetto a campana, campanile a vela sulla cuspide del lato occidentale e ingresso principale sul suo lato sud. 

Sui suoi prospetti si aprono sette monofore arcate e laterali che consentono un'adeguata illuminazione. 

Al suo interno si trovano il Diaconicòn e Prothesis, accanto all'abside sporgente, tracce di affreschi e una cisterna per la raccolta delle acque piovane.

Chiesa di Santa Maria del Mastro

L'edificio, storicamente uno dei più importanti della città nell'XI secolo, nonostante sorgesse fuori dalle mura della città, nell'attuale Borgo maggiore, mostra adesso una configurazione neoclassica a croce greca, dovuta alla sua totale ricostruzione in seguito al terremoto del 1783. 

Un'accurata campagna di scavi archeologici ha portato alla luce importanti fasi protomedievale che vedono, su una fase di frequentazione laica, la costruzione di una piccola chiesa ad aula, probabilmente bizantina, inglobata da un più grande edificio normanno, dal quale provengono importanti frammenti in stucco con decorazioni fitomorfe e zoomorfe certamente vicine a stilemi siculo-arabi. 

La facciata ottocentesca è dominata da un maestoso portale sorretto da colonne su plinti. Sulla destra si erge il campanile a sezione quadrata.

Chiesa del Sacro Cuore

Edificio settecentesco con prospetto e portale in stile barocco e cupola a coppo sporgente. Danneggiata dal terremoto del 1783, è stata riedificata nel 1851 grazie all'intervento della Confraternita del Sacro Cuore.

Chiesa di Santa Maria di Monserrato

Costruita nella prima metà del XVII secolo, presenta una caratteristica cupola ad embrici. Al suo interno si trova il sarcofago del latinista Francesco Nicolai ed un'antica statua lignea della Madonna.

Chiesa di Maria Santissima del Carmine

L'edificio religioso originariamente fu edificato tra il XVI e il XVII secolo a navata unica. Nel 1908 la struttura è stata arricchita da due navate laterali e da un soffitto a cassettoni.

Chiesa di San Martino

L'originale edificio fu costruito in età bizantina, l'attuale struttura nasce dalla ricostruzione conseguente al terremoto del 1783. Nelle sue adiacenze si trova una piccola necropoli bizantina.

Chiesa di Maria Santissima Addolorata

Al suo interno si trovano un organo a canne del 1850, la statua della Madonna Addolorata del 1762, opera dello scultore napoletano Francesco Vittozzi.

Chiesa di Santa Caterina

Edificio a tre navate di epoca normanna, custodisce lungo la navata centrale alcuni ovali del 1753 che raffigurano alcuni Santi.

Chiesa di San Nicola del Cofino

Edificio a tre navate del periodo bizantino-paleocristiano, ha la forma di cesta e si fa risalire al VII-VIII secolo. Durante alcuni scavi sono state ritrovate quindici tombe di tipo basso-medioevale, alcune monete del XV-XVI secolo e una cisterna.

Chiesa di Santa Maria delle Grazie

Edificio annesso al Convento dei Cappuccini, possiede un altare maggiore, due altari in noce posti ai lati di quello principale e un ciborio con decorazioni in madreperla e avorio del 1720 ad opera di fra Ludovico da Pernocari. Dal 2007 proprio il Convento dei Cappuccini è stato al centro di un progetto di consolidamento e restauro. Alcuni di questi interventi sono stati realizzati anche grazie ai fondi del Gioco del Lotto, in base a quanto regolato dalla legge 662/96.

Architetture civili

La ricca storia dell'arte della città può essere letta lungo le sue piazzette, i suoi vicoli, i muri delle sue case e i suoi palazzi storici e dalle numerose chiese monumentali edificate nel corso della sua lunga storia.

I sontuosi palazzi che la abbelliscono sono quasi sempre forniti di portali in pietra lavorata da scalpellini locali e, pur, essendo spesso frutto di restauri ottocenteschi, a seguito dei danni causati alla città dal terremoto del 1783, ripetono spesso volumetrie proprie di una fase medievale (XIII-XV secolo); non è raro trovare, infatti, al di sotto di intonaci moderni tracce di finestre bifore, di archi a sesto acuto, di finestre strombate che denunciano un'attività costruttiva importante già nel XII secolo.

Tra gli edifici più importanti sono da ricordare:

- Palazzo Grimaldi-Serra, sede del Comune.

- Il Palazzo Migliaccio, posto in Piazza del Tocco,

- Palazzo Candida, che mostra chiare vicinanze con modi e stilemi siciliani;

- Il Palazzo Arcano, dotato di un imponente portale in pietra,

- Il Palazzo De Balzo, munito di feritoie difensive,

- La Casa Marvasi, sulla cui facciata si apre una caratteristica bifora catalana;

- Palazzo Delfino (che ospita due finestre bifore di sapore catalano databili al pieno '400);

- Palazzo Spanò che si svolge attorno ad uno dei più bei cortili spagnoli della città;

- Palazzo Cacheopulo in piazza del Tocco;

- Palazzo Parrotta

- Ex Monastero di Sant'Anna, che si affaccia sulle Bombarde e guarda verso la costa.

All'interno dei vicoli si trovano numerosi archi a "volta a gistuni", costruiti con un'originale tecnica tipica del luogo. La tecnica consisteva nel costruire l'arco facendo una gettata di calce su una struttura di canne intrecciate, allo stesso modo con cui vengono intrecciati i tipici cestini, chiamati "gistuni". 

Delle dodici porte che originariamente si aprivano sulle mura del nucleo storico del paese ne sono sopravvissute soltanto quattro: Porta dei vescovi o della Meridiana, prossima alla Concattedrale-Porta Santa Lucia-Porta Maggiore-Porta del sole. Di particolare importanza è lo spazio pubblico rappresentato da Piazza del Tocco sulla quale hanno affaccio alcuni palazzi nobiliari, tra i quali Palazzo CalcheopuloPalazzo Migliaccio e Palazzo Macrì. Nel quartiere Borgo si trova anche un'antica fontana del 1606 con il relativo acquedotto.

In prossimità del centro abitato sono stati scoperti i resti di una necropoli che è testimone di tre diverse epoche. Gli scavi archeologici che l'hanno interessata hanno riportato alla luce ceramiche del IX secolo a.C., corredi locali e di importazione risalenti al VII secolo a.C. e varie suppellettili di origine greca e italiota risalenti al VII secolo a.C.

Castello

Edificato probabilmente durante il VII secolo d.C., la sua esistenza è testimoniata già nel X secolo d.C. quando fu devastato insieme alla città dai bizantini. Con la venuta dei normanni, intorno al 1050, fu ristrutturato e fortificato. 

Nei secoli successivi subì le devastazioni di alcuni catastrofici terremoti. Di esso rimangono una grande torre e poche mura, in parte ricavate dalla roccia e in parte si ergono a picco sui burroni circostanti. 

Originariamente era dotato di sistemi di canalizzazione delle acque meteoriche, di un grande pozzo, un ponte levatoio sul suo lato orientale, un'ampia armeria, un cortile interno, del quale rimangono alcuni ruderi del colonnato, e altri locali adibiti alle più svariate funzioni. 

Nella zona antistante il castello vi è un piazzale, denominato "Baglio".

Usi e Costumi

Il costume geracese è quello settecentesco con richiami agli stilemi greci.

Quello femminile è composto da: gonna a tinta unita plessata; camicetta in seta fiorata tipo damascato (intonata alla gonna) a piegoline sottili attillata con scollo a V e maniche lunghe aderenti che terminano con un volant della stoffa.

Tutta abbottonata, termina a forcella, mentre dietro rimane in vita, tipo corsetto; fardaIi (grembiule) colorato simile allo scialletto (triangolo di stoffa con una sottile frangetta); saja (sopragonna): stoffa in taffetà, molto ricca, tale da poter essere piegata in testa.

Essa veniva indossata dalle donne sposate e il motivo nero della mantella è spezzato da una doppia striscia che riprende il leit motiv della gonna; tutto sobriamente addobbato con spille e oggetti in oro.

Eleganza anche "sotto" il vestito: calze lunghe fino alla caviglia finemente ricamate con merlettature. Scarponcina a mezzo tacco, allacciata.

Il costume maschile è formato dalle caratteristiche calandrelle (ciocie) avvinghiate come calzari greci a metà polpaccio, a cui viene innestata una fodera di tela bianca fino al ginocchio; questa è sovrapposta da calzoni neri di arbagio abbottonati per circa 6 occhiellini, lasciati artisticamente aperti e tenuti da una cinta di cuoio molto larga riccamente addobbata; camicia in tela bianca con doppia piega dietro le spalle; colletto alla garibaldina.

Corpetto dello stesso panno. Copricapo anch'esso nero, conico a calzamaglia con bon-bon cadente sulla schiena, oppure tondo.

Presso Palazzo del Tocco viene conservato un prototipo di abito femminile del 700, e un accessorio appartenuto alla Confraternita del SS. Sacramento, del '500.

Tra le notevoli arti tramandate dal passato sopravvive ancora oggi, grazie a Mastro Carmelo Ascioti, quella dell'argagnaro, che realizza, modellando la terracotta, Pinakes, anfore, crateri, lekites, bumbulelle. Visitando il paese è possibile essere attratti da qualche abile tessitrice che, ancora oggi, sfoggia coperte di lino, ginestra, ricami vari e le famose pezzare (coperte o tappeti realizzati con ritagli di varie stoffe) tutte realizzate con il tradizionale telaio.

Nonostante la "modernità" abbia annullato parte del patrimonio lessicale ed etnologico, rimangono alcune manifestazioni arcaiche legate all'uso di simboli antropomorfi e di costumi di origine molto antica.

In alcune famiglie è in uso dotare il bambino appena nato dell' "abitino" riportante l 'immagine della Madonna del Monte Carmelo.

La rappresentazione del Carnevale viene salutata con bevute e scorpacciate di insaccati e "frittole" (cotiche di maiale bollite); mentre il ballo del cavalluccio nelle feste religiose, è accompagnato da una sfrenata tarantella (intreccio di salti e schiocchi di mano) alla quale prendono parte, rapiti dal "morso della tarantola", tutti i presenti.

Numerosi gli aneddoti, poesie, racconti o proverbi riferiti alla filosofia del saper vivere quotidiano; esperienze di vita condensate in forma di semplici aforismi, modellati dal credo popolare.

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