Delianuova (Borgo)
(Reggio Calabria)

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L'abitato è situato alle pendici dell'Aspromonte, ad un'altitudine che varia tra i 600 e gli 800 m s.l.m. L'ambiente circostante è caratterizzato da estesi uliveti (fino a 600 m di quota) che sono l'elemento trainante dell'economia del paese. 

Man mano che si sale di quota troviamo castagni e leccio (fino a 1100 metri). A circa 9 chilometri dall'abitato di Delianuova, immersa tra spettacolari boschi di pino laricio, vi è la località Carmelia (1324 m s.l.m.), meta molto ambita dai deliesi (e non solo) per sfuggire alla calura dei giorni estivi più caldi o semplicemente per fare una scampagnata. A partire dai 1400 metri il pino laricio lascia spazio al faggio e all'abete bianco. Nei vicini boschi di castagnoleccio e faggio crescono, soprattutto nel periodo autunnale, funghi molto pregiati come i porcini (boletus edulis) e gli ovoli (amanita caesarea).

Nasce ufficialmente il 27 gennaio del 1878 per volontà di Re Umberto I, il quale decretò, in tale data, la conurbazione di due piccoli comuni preesistenti: Paracorio e Pedavoli. 

Di essi, come piccoli villaggi si ha notizia già dal 1050, in alcuni documenti della Curia Vescovile di Oppido-Palmi (allora grecanica, di Agia-Agathè), conservati presso l’archivio Vaticano. Anche le origini dei due comuni sono diverse. 

La tradizione vuole Paracorio discendere dall’antica Delia, città della costa jonica meridionale, distrutta dai Saraceni nel IX secolo e precisamente nell’839 quando questi, provenienti dalla Sicilia, approdarono presso Capo Spartivento, saccheggiando le case sparse qua e là nel territorio di Bova, devastando i campi, depredando il bestiame e lasciando come unico mezzo di difesa la fuga. 

“...una porzione (di quegli abitanti) volendo quasi nascondersi al commercio degli uomini passò tutte le Montagne, ed in luogo, ove ancora pochissima gente vi era andata, formò un’abitazione, nomandola col termine greco Perachorio, cioè Paese di là dalle Montagne; ivi abitando posero gli stessi nomi alle loro contrade, che attualmente sono nella Marina di Bova, e tali fin’oggi si mantengono, anzi in una fontana si vede un’iscrizione, ove diceva: NOS GENS DELIA, il che ci fa comprendere essere stati quei popoli abitatori di quella contrada, situata nella Marina di Bova, che tocca il lido di Spartivento, e chiamata fin’oggi Delia, per essere stata fondata da una colonia di Greci venuti dall’isola di Delo... Questo paese, Peracorio, 30 miglia lontano da Bova nella Diocesi di Oppido, è soggetto nel temporale al Conte di Sinopoli. 

I suoi abitanti, per essere stati bovesi, in ogni bisogno di Bova prontamente correvano armati ad aiutarli, cosicchè da allora restò in uso di venire nella festa principale di San Leo in Bova una gran compagnia di essi, armati con tamburi e bandiere e con terribili scariche di schioppi a onorare la festa. 

I cittadini di Bova vicendevolmente, nella festa principale di Peracorio, colla guida di alcuni principali della Città armati di picca militare, sogliono sin’oggi andare armati colle proprie bandiere, e tamburi, e festeggiar quel giorno, colla differenza però, che quei di Peracorio, per antica convenzione devono venire due anni in Bova e poi li Bovesi uno solamente.” (Alagna D. - 1775) Chiara, quindi, l’origine jonica di Para- o Pericorio, mentre è tirrenica quella di PEDAVOLI. 

Sempre nello stesso periodo infatti (850-900) l’antica e vetusta Tauriana veniva ripetutamente presa d’assedio dagli stessi saraceni. I suoi abitanti, pertanto, si ritirarono alcuni nelle immediate vicinanze (Seminara) altri all’interno, dando così origine alla maggior parte dei paesini oggi presenti nel territorio e tra questi a Dapidalbon (è questo, invero, il primo nome attribuito al nostro villaggio). 

Nel corso degli anni cambiò il proprio nome in Pedavoli. 

Molte le chiese presenti nel territorio di Pedavoli. 

Oggi restano la chiesetta sconsacrata, dedicata a Maria SS. della Purità, appartenente alla famiglia Licastro, la chiesetta rurale dedicata a S. Elia e la chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola, che era “orientem versus” come gran parte delle chiese di antica costruzione della diocesi di Oppido. 

Poco distante sorgeva quella di San Giovanni Battista, che fu per lunga consuetudine soggetta a San Giovanni in Laterano e quindi esclusa dalla giurisdizione del vescovo tanto che vi si poteva fruire del rito di rifugio. 

Soltanto nel 1773, per gli abusi insorti intorno a questa sovranità, si provvide all'eliminazione del privilegio. 

È in questa chiesa che fu introdotto il culto di San Pasquale, dopo la sua beatificazione. Come viene ovvio pensare, Pedavoli con la sua molteplicità di chiese e di culti di santi rappresentava un centro d'elezione per il fervore religioso dei secoli scorsi. 

Pedavoli e Paracorio furono casali di Santa Cristina e come tali appartennero al feudo di Sinopoli che dal XIII secolo fu dominio dei Ruffo di Calabria fino al 1494. Dal 1495 (secondo altre fonti dal 1517), la signoria passò alla famiglia Spinelli, che la mantennero fino al 1806. Qualche anno prima, però, a fare scempio delle nostre terre, ci pensò quello che passò alla storia locale come “u fracellu” (il flagello).   

Fontana di Sant’Elia

Rinomata è Delianuova per la freschezza delle sue acque. Già nel 1768 l’abitato di Pedavoli poteva godere di tanta grazia. 

Fu l’allora podestà Giovanni Spadaro con la collaborazione della Curia oppidese e del vescovo Mandarani in particolare, a voler collocare ai quattro angoli del villaggio altrettanto fontane che potessero far “godere lietamente” chi avesse voluto “bere grato”, sia esso abitante del luogo sia esso forestiero, e poter tornare a casa “memore”. 

Delle quattro fontane solo una, quella del quartiere Sant’Elia, sopravvisse al sisma del 1783 ed è testimone del tempo. 

Oggi nel centro cittadino, tante sono le... bocche che all’assetato offrono questa possibilità. 

La fonte di acqua sorgiva reca un’iscrizione latina che recita: "Quis quis es fruere laetus, bibe gratus, abi memor " (Chiunque tu sia godi felice, abbi memoria, di questo tuo gradito bere)  

Chiesa di Maria S.S. Assunta

La chiesa dell'Assunta fu ricostruita dopo il terremoto del 1895, in unica navata. Monumentale e degno di nota è il portone in legno, opera di artigiani locali (la famiglia Caminiti), datato originariamente 1912 e più volte ristrutturato. 

È in legno di castagno intagliato e verniciato, ed in esso sono anche rappresentate scene di vita mariana (Assunzione e Annunciazione). 

All’interno, subito a destra, nella prima cappella, una stupenda statua in marmo bianco, raffigurante la Madonna, di scuola messinese, sapientemente restaurata da Mimmo Papalia. Nella stessa cappella, due dipinti: il primo, sulla parete destra, in tempera su tela, di Raffaele Angelo Musitano, del 1854, raffigurante San Luigi Gonzaga, il secondo, sulla parete sinistra, raffigurante San Francesco Saverio del 1906, dello stesso autore calabrese. 

Più avanti, nella seconda cappella, l’armadio contenente la statua, la macchina processionale ed il corredo della Madonna Assunta. L’armadio è in legno di noce intagliato. La statua della madonna così come gli angeli attorno ad essa, sono in legno scolpito e dipinto. Non c’è datazione per quanto riguarda la statua, verosimilmente è anteriore al 1801, poiché è proprio questa la data presente sulla corona, in argento sbalzato, traforato e dorato.

Nella stessa cappella è presente un confessionale del XIX secolo in legno tornito e intagliato, mentre nell’altra cappella vi è la statua di Santa Domenica, di bottega calabrese, in legno con le belve ai lati, anch’essi in legno scolpito; questi ultimi sono datati 1909. 

Sempre nella terza cappella, una statua di San Rocco del 1894, opera di Raffaele Angelo Musitano, in legno scolpito e dipinto. Nella quarta cappella destra, qualcosa di più recente: un altare in marmo bianco con dipinto olio su tela di Sant’Antonio di Padova, datati 1931 - 1936 ed una statua dello stesso santo. 

Nel transetto destro, l’altare con la statua di San Giuseppe. 

Altare in marmo bianco scolpito ed intarsiato, opera di maestranza meridionale, mentre la statua è in legno scolpito e dipinto, della scuola scultorea di Serra San Bruno. Sul presbiterio, interessante l’acquasantiera in marmo bianco scolpito, mentre imponente si presenta l’altare maggiore, in marmo bianco e rosso di Verona, scolpito, che accoglie un bel dipinto dell’Assunzione della Vergine, olio su tela, di scuola meridionale, non datato (si pensa sia appartenuto alla vecchia chiesa dell’Assunta di Paracorio, prima del terremoto del 1783). 

Nel transetto sinistro, a destra dell’altare, due interessanti reperti, che la dicono lunga sull’arte calabrese pre-sisma 1783: una lapide del 1735 in pietra serena scolpita ed una testina alata, pur essa in pietra serena, facente parte di un insieme lapideo del XVIII secolo andato distrutto con quel terremoto. 

Nello stesso transetto, l’altare con la statua del Sacro Cuore di Gesù. 

L’altare è in marmo bianco scolpito ed intarsiato, mentre la statua è in cartapesta, modellata e dipinta, opera anonima di bottega leccese. 

Stessa scuola leccese per il gruppo scultoreo presente nella cappella successiva raffigurante la Madonna del Carmelo che intercede per le anime del Purgatorio, anch’esso in cartapesta modellata e dipinta, posto in un altare in marmo bianco scolpito ed intarsiato. 

Di essa, però, si conosce l’autore che è il leccese Giuseppe Malecore. 

Sempre di Malecore è la statua di Sant’Espedito, sempre in catapesta, presente nella cappella successiva e datata 1904. 

Nella stessa cappella la statua in legno di san Diego d’Alcalà, di bottega meridionale e San Francesco Saverio in legno del 1850-99. Sempre in legno scolpito e dipinto una statua della Madonna del Rosario, di scuola meridionale, non datata. Sono datate invece le due corone presenti sulla stessa Madonna e sul Bambino: 1832 - 1839. Esse sono in argento sbalzato, cesellato e traforato. Nella terza cappella sinistra altri interessanti gruppi scultorei: San Raffaele Arcangelo con Tobia. In legno scolpito e dipinto, opera di Raffaele Angelo Musitano nel 1892 e la statua dell’Addolorata, sempre in legno, ma di cui non si conoscono con certezza nè autore nè datazione.

Molti, anche in questa chiesa, sono i suppellettili sacri ed i paramenti presenti nella sacrestia. 

Di particolare interesse: un reliquario a ostensorio del 1863 circa, (in esso, all’interno, l’autentica fatta da mons. Coppola, vescovo di Oppido Mamertina, a Paracorio, il 21 maggio 1863), in argento in lamina; una campana in bronzo fuso di bottega calabrese, del 1875-99 ed alcuni parati del XIX secolo, tutto il resto (paramenti, statuine, piccoli tabernacoli, calici, crocefissi, ombrellini processionali ecc.) sono tutti databili 1900 - 1949.

Via della Pietra Verde

Delianuova è innanzitutto il “PAESE della PIETRA VERDE”.

Conserva, infatti, un piccolo tesoro costituito sopratutto da elementi decorativi in pietra, di notevole importanza storico-artistica. È così possibile osservare, in giro per la cittadina, ben 15 portali in Pietra Verde, alcune fontane, alcune scalinate, come quelle della Chiesa San Nicola e di Piazza F. Leuzzi e tantissime mensole variamente modellate. Tutte di pregevole fattura, rendono Delianuova unica al mondo, per il semplice motivo che tale materiale (la Pietra Verde appunto, nella sua differenziazione di “Serpentino”), è stato utilizzato da scalpellini locali solo a Delianuova, sfruttando una cava sita in località Cotripa, fino al 1933.Pare che i primi artigiani giunsero più di 200 anni fa nei due villaggi di Pedavoli e Paracorio, originari dalla Sicilia.

I principali portali deliesi sono costituiti da una struttura elementare in cui gli stipiti sono prodotti con uno o più blocchi monoliti di pietra verde, mentre l’intervento decorativo è rappresentato per lo più, da una chiave di volta, posta ovviamente alla sommità dell’arco. Si tratta spesso di un mascherone che riconduce ad una tipologia presente nella regione sin dai primi anni del 1600.Altre volte è una vera e propria maschera apotropaica (portale palazzo Princi) che riprende la tradizione decorativa di origine sacrale, ancor oggi tipica dei “babbaluti”, tradizionali maschere di ceramica.

Tale caratteristica è presente anche in qualche fontana ed in alcune mensole di balconi.In un excursus guidato attraverso l’ideale “Via della Pietra Verde” deliese, partiamo da Piazza Vittorio Emanuele, meglio nota come piazza Buzzurra. Questa piazza, cui di recente è stata rifatta la pavimentazione, ospita, oltre quella che fu la casa natìa della famiglia Leuzzi (vedi cenni storici), la chiesa parrocchiale di San Nicola vescovo.

Ad essa si accede tramite una scalinata, tutta in pietra verde, costituita da gradini disposti ad archi concentrici. Dei tre portali, tutti in pietra verde, quello centrale presenta una composizione essenziale, secondo una tecnica medievale, con alla base degli stipiti, dei fregi curvilinei che rendono un pò mossa la rigorosa semplicità del complesso architettonico.Esso è sovrastato da una composizione, non in pietra verde, costituita da uno stemma a bassorilievo ed è sormontato da una corona sorretta ai lati da due angioletti. Semplici nella loro bellezza appaiono i due portali laterali.Lungo la salita, costruta in epoca di dominazione francese, che dalla piazza porta sulla via Roma, si può ammirare un altro portale, quello dell’ex palazzo Scullino, oggi Esposito. Stipiti lineari, capitelli privi di decorazioni ed arco sormontato dalla chiave a forma di voluta di dimensioni ridotte rispetto alle altre. Arrivati in via Roma, proprio di fronte alla salita, ecco il portale di palazzo Spadaro.

In quest’ultimo palazzo, nacque, il 10 febbraio 1888 il maestro Nicola Spadaro (oggi Vigliante). Caratteristica del portale di questo palazzo è che le bugne si presentano lievemente più aggettanti con il rilievo più profondo rispetto agli altri portali. Qualche metro a sinistra rispetto al portale di casa Spadaro, è consigliabile addentrarsi nella viuzza traversa di Via Garibaldi per ammirare uno dei portali più belli. Si tratta del portale della ex casa Scullino (oggi Melara).

Diverse le caratteristiche che fanno di questo portale uno dei più interessanti: due paraste, cioè due semipilastri addossati alla parete nella sezione superiore della mostra, un’esile mensola sovrastante che sorregge una cornice in cui è inscritto un rosone di ampie dimensioni con elementi decorativi spiraliformi.La piccola traversa che ci ospita ci porta poi in via Garibaldi, in direzione Sant’Elia, e qui, appena dietro l’angolo: CHIUNQUE TU SIA, GODI LIETO, BEVI GRATO, VA VIA MEMORE.

Quella che appare è la più antica fontana di Delianuova, l’unica rimasta dopo il terremoto del 1783 delle quattro fontane, le prime fontane pubbliche, che l’amministrazione comunale di Pedavoli aveva collocato ai quattro angoli del paese.L’acqua sgorga direttamente dalla bocca di una maschera apotropaica in pietra verde, al di sopra della quale vi è una targa marmorea dettata dall’allora vescovo di Oppido, Ferdinando Mandarani, ove si legge dell’operosità del sindaco, Giovanni Spadaro che volle costruire questa fontana e le altre derivate… affinchè duri lungamente la memoria del beneficio… 1768.

L’iscrizione si chiude con l’invito a goderne lietamente, a bere grato e ad andar via memore!

QUIS QUIS ES FRUERE LAETUS BIBE GRATUS ABI MEMOR

Appena qualche metro più avanti, sulla sinistra si apre un’altra viuzza, via Cristadi, in essa quello che è da ritenersi come il più antico tra i portali deliesi in pietra verde: il portale di casa Faraone. Riposizionato nella sede attuale dopo il terremoto del 1783, è databile nel XVII secolo.Facendo ritorno, attraverso largo Matteotti, via Garibaldi e via Maio in piazza De Nava, potremo osservare altri due portali. Quello di casa Carbone, con arco lievemente inflesso, in stile vagamente moresco Appena sulla destra rispetto a questo portale si apre vico San Sebastiano. Qui si notano i resti di quel che fu il Municipio di Pedavoli fino alla conurbazione del 1878, ex palazzo Carbone.

Il portale è tra i più belli. La chiave di volta è costituita da una voluta in cui è inscritto un volto umano. Lungo tutta l’arcata si notano altri elementi compositivi, ornati da motivi floreali o curvilinei ed insolite bugne verticali lungo gli stipiti e curve nell’arco.

Museo virtuale Garibaldino

Il Museo Virtuale Garibaldino in Aspromonte propone un nuovo modello di museo, integrando un archivio digitale e un sistema di regia dei contenuti multimediali; il percorso visuale è progettato per trasmettere suggestioni dalla storia attraverso un linguaggio di forte impatto emozionale che si rivolge, in particolare, alle giovani generazioni e pone questo nuovo museo calabrese fra le novità più interessanti d’Italia per quanto concerne la documentazione digitale sulla storia contemporanea del Mezzogiorno. 

Il Museo dedicato a Garibaldi si propone di esplorare la storia dell’uomo, dell’eroe del mito, che nel 1862 si intreccia con quella della Calabria in quello che gli storici definiscono come l’episodio più controverso dell’epopea dell’eroe dei due mondi.

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