“Costa dei
gelsomini”, “Costa delle Tartarughe Caretta Caretta”, è anche così che
viene definita Brancaleone e in generale la fascia jonica della
provincia di Reggio Calabria.
È proprio
nella cittadina di Brancaleone che la pianta di gelsomino venne importata dalla
Liguria, intorno al 1928. La sua coltivazione, introdotta in Europa nel XVI
secolo, vanta una storia antichissima, che risale a molti secoli prima di
Cristo, quando i suoi fiori servivano a celebrare i riti sacri in India e nel
Nepal. Giunta in territorio grecanico, grazie alla bonifica cui provvide la
Stazione Sperimentale delle Essenze di Reggio Calabria, diede luogo alla
realizzazione di importanti impianti di coltivazione, che alimentarono
un’industria profumiera alquanto redditizia, oltre a marcare specificamente
l’area, assieme alla coltivazione del prezioso oro verde, il bergamotto.
Ma Brancaleone
è nota anche per essere la “culla” di un importante progetto che mira alla
salvaguardia di una delle specie più minacciate del Mediterraneo, la Tartaruga Caretta
Caretta. È qui in infatti che ha sede il Centro Recupero Tartarughe Marine che
svolge un’importante attività di recupero e cura di questa specie. Le spiagge
grecaniche sono la principale area di nidificazione di tutto il Mediterraneo di
questa specie ospitando difatti ben il 70% dei nidi registrati in Italia. Grazie
al progetto “Tarta Care” portato avanti dallo staff di ricercatori
dell’Università della Calabria, dal 2000 questa specie è sottoposta a
monitoraggio e tutela e sono venuti alla luce sulla costa jonica più di 10.000
piccoli di tartaruga.
Il paese era
chiamato in passato Sperlonga o Sperlinga. Questa denominazione fu poi
sostituita con Mottaleonis, composto da motta (rialzo) e leone, probabilmente
con senso metaforico. Il nome attuale pare si riferisca al latino branca (in
riferimento alla forma di zampa di leone).

Brancaleone
Marina, oggi sede di un centro di recupero delle tartarughe Caretta Caretta,
tiene vivo il ricordo di Cesare Pavese che fu qui confinato dai
fascisti, tra il 1935 e il 1936. La storia di Brancaleone è legata al borgo
abbandonato che sta alle sue spalle, chiamato appunto Brancaleone vecchio.
Aggrappato ad
costone alto poco meno di 300 metri si erge Brancaleone vecchio, anticamente
chiamato Sperlinga, dal greco Spèlugx, ovvero caverna. Questo centro
sorse su un vasto complesso di ambienti rupestri, utilizzati da eremiti tra
l’VIII e il X sec. d.C., come luoghi di meditazione.
Recenti scavi
archeologici, sul fianco orientale dell’antica chiesa dell’Addolorata, hanno
evidenziato come parte di essi furono trasformati in silos per derrate
alimentari, indispensabili alla vita di un piccolo borgo, fortificato forse
nella tarda età bizantina.
Il punto più
alto della rocca ospitò una fortezza, documentata tra le proprietà dei Ruffo
nel Trecento, quando il sito iniziò a prendere il nome di Motta Leonis.
Nel 1489 l’edificio risulta nell’elenco dei castelli che gli Aragonesi
ritenevano dover ampliare, per meglio potenziare le difese del Regno. Infeudata
nel 1515 dagli Ayerbo d’Aragona, Brancaleone passò nel 1571 agli Spatafora da
cui pervenne ai Carafa fino al 1806.
Il borgo
si articolata in due nuclei: il primo è disposto in prossimità del sito
dell’antica Chiesa Matrice dell’Addolorata, di cui rimane esclusivamente il
piano di calpestio, il secondo si estende più a sud, alle spalle della Chiesa
Arcipretale dell’Annunziata, costruita nel Seicento su terrazzamento
pianeggiante, all’ingresso del paese, forse sui resti del monastero di
Cappuccini.
Nei pressi
della chiesa dell’Addolorata, adiacente il piazzale oggetto di un recente
scavo archeologico, sopravvive una chiesa rupestre, ricavata nel tufo, con al
centro una colonna scolpita nella roccia. Accanto all’ingresso, resiste un
altare, su cui è inciso il simbolo della croce affiancato da un uccello orante,
probabilmente una colomba o un pavone. Sul versante occidentale del borgo si
trova invece un’altra grotta, decorata in età Moderna con una scena di angeli
al cospetto della Vergine.
Brancaleone
Superore è un piccolo e pittoresco borgo, d’obbligo quindi una visita al
paese vecchio, dove si può fare un giro tra le case abbandonate godendo di un
panorama suggestivo. Da visitare anche le spiagge di Brancaleone Marina e il
Centro di recupero delle Tartarughe Marine Caretta Caretta.

Tra il 4 agosto
1935 e il 15 marzo 1936 Cesare Pavese (1908-1950) fu confinato a Brancaleone con
l'accusa di attività antifascista. Gli avevano trovato in casa alcune lettere
di Altiero Spinelli, allora detenuto a Regina Coeli a Roma per motivi politici.
Non erano
neanche indirizzate a lui, ma alla donna di cui all'epoca era innamorato e che
voleva proteggere: Tina Pizzardo, militante comunista, che non lo ricambiava.
Nell'isolamento
e nel silenzio dell'esilio Pavese scrisse molto: lettere, poesie, un romanzo, Il
Carcere, poi pubblicato nel 1948 da Einaudi. Cominciò anche ad appuntare
pensieri e riflessioni che sarebbero stati pubblicati postuni ne Il mestiere
di vivere (1952). Lavorava nella camera di una casa affacciata sui binari
della ferrovia oltre i quali c'era il mare, che lui definì "la quarta
parete della prigione".
Brancaleone era
quanto di più lontano potesse esserci dal mondo piemontese dello scrittore, ma
a bilanciare la malinconia e l'estraneità ci fu l'accoglienza degli abitanti.
"La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una
sola spiegazione: qui una volta la cività era greca. Persino le donne che, a
vedermi disteso in un campo come un morto, dicono 'Este u' confinatu', lo fanno
con una tale cadenza ellenica che io mi immagino di essere Ibico e sono bell'è
contento", scrisse alla sorella il 26 dicembre 1935.

Il Faro di Capo Spartivento, in località Capo Spartivento, è
costituito da una torre bianca quadrangolare su edificio a un piano, costruita
nel 1867 e rinnovato nel 1910. Il faro è completamente controllato e gestito
della Reggenza fari di punta Capo dell’Armi.
Il faro è
situato su una collinetta alta 64 m s.l.m. in Località Capo Spartivento, il
punto più a sud della penisola italiana.
Gli antichi
credevano che proprio qui Eracle si fosse riposato dalle sue fatiche e per
questo in epoca greco-romana veniva chiamato Heracleum
Promontorium. Di questo punto estremo della Calabria e dell'Italia
parlò anche il geografo Strabone, vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. e il I
secolo d.C., che lo descrisse come "l'ultimo a essere rivolto verso
Mezzogiorno".
La lanterna del
Faro proietta la sua luce per 22 miglia nautiche ed accompagna, di fatto, le
navi dal Faro di Punta Stilo al Faro di Capo dell’Armi e viceversa. La
lampada della lanterna fa il giro completo in 32 secondi, emanando ogni 8
secondi lampi di luce. Il Faro si accende mezz’ora prima del tramonto e si
spegne mezz’ora dopo il sorgere dell’alba.

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