Sila - Laghi scandinavi e foresta da lupi
  


Montagne impenetrabili da cui girare alla larga, lande scomode abitate un tempo dai briganti e di poco interesse, lontane dalle "eccellenze" alpine e appenniniche. Sembra incredibile, ma una valanga di stereotipi come questi condiziona ancora l'immagine dell’entroterra calabrese. E poi ecco la Sila, un mondo di colori, atmosfere, suggestioni che mai si penserebbe di incontrare. Non certo una Calabria deserta, assetata, riarsa dal sole.

Proprio qui, dove la penisola calabrese si allarga di più (120 chilometri dal Tirreno allo Ionio) "respira" un altopiano verdissimo che richiama paesaggi e suggestioni nordiche, sbarcate chissà come sulle rive del Mediterraneo. 150.000 ettari convenzionalmente divisi, da nord a sud, in Sila Greca, Sila Grande e Sila Piccola; di questi, 74.000 sono tutelati nel Parco Nazionale della Sila, coperto per l'80 per cento da rigogliose foreste di conifere. Un dato che non stupisce se si pensa che la Calabria ha un indice di boscosità pari al 42,7 per cento, contro il 22,7 del resto del nostro Paese. È il "Gran Bosco d'Italia": chilometri di folta vegetazione favorita dalle correnti fredde dell'Atlantico che, impattandosi sui rilievi, generano precipitazioni abbondanti, anche nevose.

Tecnicamente ci troviamo su un grande altopiano, costituito in larga parte da granito e bordato da una scarpata ripida, solcata da gole scoscese. L'altitudine media è intorno ai 1.000 metri, valicata solo da alcune vette più importanti, mai superiori però ai 2.000 metri. Diverse sono le "porte d'accesso". Per chi parte dalla costa ionica, la più suggestiva si apre a Rossano, dove si affaccia la Sila Greca, estremo lembo nord-orientale della Sila, preceduto da ripide pendici, che in mezz'ora salgono dal mare. Da sud, per Catanzaro e Taverna, abbandonati gli aranceti e gli uliveti della piana di Lamezia si percorrono i dolci declivi che lentamente conducono alla Sila Piccola, il settore più meridionale della Sila, che sale fino alle valli dei fiumi Savuto e Ampollino. Più a nord, i castagneti cedono il passo, alle quote più elevate, alle foreste di pini, faggi e abeti, tipiche della Sila Grande, nucleo centrale dell'altopiano e del parco, aperto a nord sulla piana di Sibari. È l'unico pezzo di Sila che ha conservato l'aggettivo magna, attribuito da Virgilio, nell'Emide e nelle Georgiche, a tutto l'altopiano.

Dappertutto trionfano colori che la spessa coltre di neve invernale trasforma in bianco candido, con scarpate e pianure che diventano, soprattutto fra Camigliatello Silano e Lorica, belle piste da sci, come quella per il fondo che si sviluppa lungo la "Strada delle vette". E’ il crinale che divide la valle dell'Arvo da quella del lecita, e che si trasforma, con il bel tempo, in una delle passeggiate più panoramiche del parco. Venticinque Mometri che salgono per le vette Botte Donato (1.928 metri), Curcio (1.768 metri) e il Valico di Montescuro 1.618 metri). Da Botte Donato, raggiungibile da Lorica anche con una cestovia, lo sguardo spazia libero.

Dall'alto la Sila ricorda un mare verde scuro, interrotto solo da poche praterie, che in primavera si vestono di magnifiche fioriture: distese multicolori di orchidee, viole, narcisi, anemoni, gladioli, gigli, ginestre, che come tappeti introducono ai freschi boschi. I numerosi specchi d'acqua completano la tavolozza con pennellate azzurre che riflettono le sfumature del cielo. 

D'estate, i fiumi silani - Neto, Lese, Crati, Murane, Tacina, Crocchio, Trionto - richiamano le greggi che, come in processione sui vecchi fratturi, rinnovano il rito della transumanza. I più importanti formano grandi laghi artificiali, che alimentano importanti centrali idroelettriche. Il lago d'Arvo, accoccolato nel cuore della Sila Grande, presidia le pendici del Botte Donato. Il Cecità o Mucone è il bacino più grande, importante centro di pesca sportiva: raccoglie 121 milioni di metri cubi d'acqua, popolati da trote iridee. Ma il più affascinante è forse l'Ampollino, che si insinua fra i lembi di terra con i suoi rami coperti di foreste, disegnando scorci da fiordo norvegese.

Ovunque regna incontrastato il pino laricio (Pinus nigra calabrica), marchio di fabbrica della Sila. È una conifera autoctona, capace di raggiungere i 50 metri di altezza con fusti regolari, senza nodi, e la caratteristica corteccia squamata grigio-argentea. Forma pinete fitte, dove la luce s'insinua a fatica, o boschi radi, costituiti da pochi maestosi esemplari contornati da splendide praterie.

Questi colossi costituivano un tempo, prima dei tagli selvaggi perpetuati fino agli anni 60, la Silva brutia, capolavoro della natura celebrato da Virgilio e Plinio, meta delle battute di caccia di Federico II e nascondiglio perfetto dei briganti nell'800. Norman Douglas, viaggiatore del Grand Tour, la descrisse nel suo libro Olà Calabria, agli inizi del '900, come "un'autentica foresta vergine mai sfiorata da mano umana".

Eppure per secoli, a partire da Greci e Romani che la utilizzarono per costruire navi e ricavare pece e resina, ha alimentato l'industria edile - le travi della basilica di San Marco a Venezia vengono proprio da qui - e bellica, soprattutto durante i due conflitti mondiali. Rimane traccia di questo sfruttamento nei ruderi di segherie e teleferiche e nei caratteristici villaggi in legno costruiti per operai e proprietari forestali.

Per fortuna alcuni dei giganteschi esemplari arborei sono sopravvissuti alla mano dell'uomo. La riserva dei Giganti di Fallistro, nel comune di Spezzano della Sila, con le sue 56 piante di età compresa fra i 350 e i 380 anni, è la più grande foresta in Europa per numero di alberi di questo tipo: giganti con diametri di due metri e altezze di 45. Ma tutta la Sila è uno scrigno biogenetico ricchissimo. 

Nella foresta del Gariglione, sulla Sila Piccola, considerata una delle più belle foreste d'Italia, prosperano in consociazione decine di specie arboree. D'autunno il bosco esplode in una miriade di sfumature, con i gialli dei pioppi, il rosso vivo degli aceri, il marroncino dei faggi, il verde dei pini.  

Il territorio silano ospita la fauna tipica delle zone appenniniche. È ancora presente, con un nucleo storico, il lupo malgrado le persecuzioni, la scomparsa del suo habitat ideale e la rarefazione dei mammiferi selvatici che costituiscono la sua base alimentare.

Il lupo, protetto dalla legge dal 1976, nei decenni passati era in via di estinzione, ma grazie all'istituzione del Parco Nazionale della Calabria è stata possibile una ricolonizzazione di questo carnivoro sia all'interno che all'esterno dell'area protetta. Attualmente è presente in Sila uno dei nuclei storici e più consistenti di lupo dell'Appennino. Numerosa è la rappresentanza, sull'Altopiano, dei piccoli predatori. Il gatto selvatico è piuttosto elusivo, ma vive in diverse aree della Sila. La volpe è diffusa e attacca ancora i pollai dei casolari silani.

Diverse specie di mustelidi sono presenti in Sila anche se, per la loro rarità e per le loro abitudini notturne, è difficile avvistarli. Ci riferiamo al tasso, il più grande della famiglia (raggiunge i 90 cm.) con le caratteristiche bande nere su fondo chiaro che partendo dal naso passano per gli occhi e le orecchie; alla martora, abile predatrice di scoiattoli; alla faina che si distingue dalla martora per la macchia bianca anziché gialla sul petto; alla donnola ed alla puzzola

Un progetto di ricerca, attuato recentemente da parte del Parco Nazionale della Sila, riguarda la rarissima lontra, in passato presente in diverse zone della Sila e oggi confinata in alcune aree, un eccezionale avvistamento si è registrato nel mese di maggio del 2013, all'interno di un'area mantenuta segreta, ricadente nel Parco Nazionale della Sila, ad opera degli agenti della Polizia Provinciale di Cosenza, in servizio presso il distaccamento operativo di San Giovanni in Fiore (CS).

 Tra i roditori sono presenti il ghiro, lo scoiattolo nero caratteristico dell'Italia meridionale e delle montagne della Sila, il quercino e il moscardino. Rara e particolare la presenza del driomio, roditore che compare solo nell'arco alpino orientale e sui rilievi calabri tra cui la Sila.

Altri mammiferi attualmente presenti in Sila sono il capriolo ed il cervo. Il cervo si era estinto all'inizio del secolo scorso e da poco più di un decennio è presente in particolar modo nella Sila grande grazie alla reintroduzione attuata da parte del Corpo Forestale dello Stato. Il capriolo invece è stato oggetto negli anni passati, di un'azione di ripopolamento ed oggi è presente su tutti i settori dell'altipiano. Sono presenti anche il cinghiale e la lepre, sia la specie italica sia quella comune.

Fra la popolazione ornitologica nidificante sono presenti dei rapaci come: l'astore, lo sparviero, la comunissima poiana, il sempre più raro nibbio reale, che nidifica nelle pendici orientali della Sila, il biancone che ancora è presente con pochissime coppie e il rarissimo gufo reale. Altri rapaci notturni nidificano dalle aree marginali e interne, come il gufo comune Asio otus, il barbagianni, l'allocco e la civetta

Tra i corvidi, vive il corvo imperiale, dove in alcune aree è presente con colonie di centinaia di individui. Diffusissima ed infestante è la cornacchia grigia avvistabile in grandi stormi. Fra i picidi, in Sila, vivono il picchio verde, il picchio rosso maggiore, minore e mezzano, quest'ultimo una rarità assieme al picchio nero. Nidifica anche il torcicollo. Non è raro osservare, nei laghi silani, gabbiani reali, germani reali, svassi maggioriaironi bianchi maggiori e aironi cenerini, sia tutto l'anno che nei periodi di migrazione. 

Sulla Sila nidifica anche il lucherino, il regolo, lo stiaccino, la passera scopaiola, lo spioncello, il prispolone e il crociere. Sono presenti anche nidificazioni della passera lagia, del regolo, della cincia bigia, della tottavilla, della tordela, dello zigolo muciatto, del merlo acquaiolo, del passero solitario e di tante altre specie.

Nel periodo primaverile-estivo è possibile avvistare lo stiaccino, il culbianco, la balia dal collare, il luì verde, il calandro e l'averla piccola, tutte specie nidificanti nel comprensorio. Negli anni, le osservazioni ornitologiche hanno consentito di documentare il passaggio di diverse specie: falco pescatore, albanella pallida, albanella reale, albanella minore, falco di palude, cavaliere d'Italia, gru, piviere tortolino. In inverno è stata segnalata la presenza della peppola e avvistato il ciuffolotto. Osservati durante il periodo migratorio, la monachella, il codirossone, l'averla cenerina, l'averla capirossa e la ghiandaia marina.

In una zona interna dell'Altopiano della Sila sono presenti pure alcune piccole colonie nidificanti di un variopinto uccello migratore transahariano, il gruccione. Quest'uccello, in Italia, nidifica in pianura e nella bassa collina; quella della Sila, sarebbe la nidificazione alla quota più elevata del Paese. Nel Parco Nazionale della Sila, a partire dall'inverno 2016 è stato per la prima volta documentato l'eccezionale svernamento della rarissima Cicogna nera (Ciconia nigra). L'avifauna della Sila è descritta in una check-list pubblicata in una prima edizione nel 2019 e aggiornata nel 2021. Tra gli anfibi che vivono in Sila si segnalano, oltre alle comuni rana verde, rospo e raganella, anche la salamandra pezzata e la salamandrina dagli occhiali esclusiva dell'Appennino meridionale.

Tra i rettili è presente il ramarro verde, che raggiunge i 40 centimetri, e serpenti come la vipera, il biacco, il cervone. La vipera è diffusa e si trova nelle forme a dorso grigio, a dorso scuro e ventre chiaro, a dorso completamente nero. Il biacco è un comunissimo serpente interamente nero, non velenoso, di abitudini diurne. Il cervone è il più grande rettile dell'Altopiano. Questo serpente, che può superare i due metri di lunghezza, è denominato, in dialetto, "mpasturavacche" per la credenza che si nutra del latte dei bovini che attingerebbe direttamente dalle mammelle una volta bloccate le mucche attorcigliandosi alle loro zampe. 

Emblematica la scoperta fatta alcuni anni fa, in Sila fu rinvenuto e documentato un rarissimo caso di albinismo completo nel serpente cervone, probabilmente l'unico caso chiaramente documentato. La trota fario è il pesce più diffuso nei corsi d'acqua e nei laghi silani. Nonostante i numerosi sbarramenti, dovuti agli impianti idroelettrici, ancora oggi si riescono a pescare esemplari di anguilla. Nei bacini silani è presente la trota lacustre.

Cenni storici

La storia della Calabria è molto vasta, ricordiamo che nell'Età del Bronzo vi era la civiltà appenninica, che giungeva qui dall'Emilia. La civiltà appenninica si caratterizza per un allevamento e un'agricoltura incentrati sulle risorse e sulla caccia-pesca.

Bruzi (in latino: Brettii o Bruttii), antico popolo di pastori e artigiani, vennero a contatto con i Greci che avevano colonizzato le zone costiere con la fondazione di Sibari, di Crotone, di Petelia, di Krimisa e con loro probabilmente stabilirono inizialmente rapporti di "buon vicinato". Il più importante insediamento di età greca (VI-III secolo a.C.), in Sila, è costituito dal santuario scoperto - a breve distanza da Camigliatello Silano - nel lago artificiale Cecita ad opera della soprintendenza per i beni archeologici della Calabria.

Dopo la distruzione di Sibari avvenuta nel 510 a.C. ad opera dei Crotoniati, essi continuarono ad abitare prevalentemente nelle zone interne. Solo molto più tardi, dopo le guerre punicheRoma iniziò ad interessarsi a tutta la Calabria ed anche a questo territorio montano traendone soprattutto legname pregiato utilizzato nella costruzione di navi e per l'estrazione della pece (pix bruttia). Scavi ad opera della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria hanno messo in luce un importante insediamento di età romana dedicato all'estrazione e lavorazione della pece, attivo tra il III secolo a.C. ed il III secolo d.C.

Con la caduta dell'Impero romano d'Occidente ebbero luogo le invasioni barbariche. Nel VI secolo i Bizantini ristabilirono l'ordine, la pratica dell'allevamento e dell'agricoltura. Nell'VIII secolo i Longobardi sottrassero molti terreni a Costantinopoli. Le successive invasioni arabe lungo le coste calabre costituirono la decadenza definitiva dei Bizantini

Dal 1045 al 1060 si sostituirono i Normanni che contribuirono a diverse fondazioni monastiche che diedero vita (nel XII secolo) alla costruzione delle abbazie cistercensi

Alcuni esempi sono l'Abbazia di Santa Maria della Matina a San Marco Argentano,l'Abbazia di Sant'Angelo de Frigillo a Mesoraca, l'Abbazia di Santa Maria di Acquaformosa, l'Abbazia di Santa Maria della Sambucina a Luzzi, l'Abbazia di Santa Maria di Corazzo a Castagna, frazione di Carlopoli e l'Abbazia Florense a San Giovanni in Fiore.Nel 1224 una concessione imperiale di Federico II Svevia dotava l'Abbazia di Sant'Angelo de Frigillo di Mesoraca di una grande area silana da utilizzare per il libero pascolo e l'estrazione della pece,comprendeva : Ciricilla, Caput Tacina, Pisarello e Gariglione. I monasteri furono luoghi di studio, centri di cultura e di stimolo per la rinascita agricola.

Le genti delle coste migrarono verso le pendici dell'altopiano silano, dove fondarono i cosiddetti Casali. In quell'epoca venne realizzato un monastero ad opera di Gioacchino da Fiore intorno al quale si sviluppò il primo centro abitativo dell'altopiano: San Giovanni in Fiore. Tra il 1448 e il 1535 molti esuli dall'Albania si insediarono nelle terre del versante ionico della Sila creando alcune comunità dette Sila Greca. I comuni di lingua albanese sono circa trenta. I loro usi, costumi e tradizioni sono rimasti inalterati nel tempo. Il territorio successivamente appartenne alle diverse dinastie regnanti; da ultimi i Borbone prima che tutto il Sud e le Isole vennero annesse al Regno d'Italia dopo la spedizione dei Mille ad opera di Garibaldi. Solo nei decenni scorsi venne realizzata la Paola Cosenza Crotone, per iniziativa di Giacomo Mancini nel 1974, oggi SS 107 che attraversa tutto l'altipiano dal Tirreno allo Jonio.

Per rompere l'isolamento dei paesi montani, in inverno piuttosto forte a causa della neve, vennero realizzate, con opere di ingegneria a volte spettacolari come viadotti e tracciati di montagna, alcune ferrovie: la Cosenza-Camigliatello-San Giovanni in Fiore delle Ferrovie Calabro Lucane (a scartamento ridotto) e la Paola-Cosenza a cremagliera, delle Ferrovie dello Stato. Molti villaggi agricoli finirono per diventare insediamenti a carattere turistico. Nel dopoguerra si cerca di dare un impulso allo sviluppo dell'altopiano silano istituendo l'Opera per la valorizzazione della Sila.

Riserva naturale I Giganti della Sila

La riserva naturale I Giganti della Sila, nota anche come riserva naturale del Fallistro dal nome della località in cui si trova, è un'area naturale protetta situata nella provincia di Cosenza ed è stata istituita nel 1987. La riserva occupa una superficie di 5,44 km² a nord-ovest e a sud-est, all'interno del Parco nazionale della Sila.

Quest'area protetta è nota in quanto ospita i famosi "Giganti della Sila" o "Giganti di Fallistro", pini larici ultracentenari di dimensioni maestose, i cui tronchi formano un perfetto colonnato naturale. Tali tronchi possono innalzarsi fino a 45 metri di altezza e avere un diametro alla base di circa due metri, tanto da essere spesso paragonati per dimensioni alle sequoie nordamericane (che però raggiungono dimensioni quasi doppie in altezza e diametri di oltre 10 metri). I pini presenti nella riserva sono 58.

La riserva è l'ultimo residuo dell'antica foresta silana, presente fino agli inizi del Novecento, e che venne poi in gran parte tagliata dapprima con l'Unità d'Italia, quando venne sacrificata per rifornire di legname pregiato il giovane Regno, e poi nell'immediato secondo dopoguerra, come pegno da pagare agli alleati britannici e americani, per aver liberato il paese.

Secondo alcuni studi effettuati su campioni di legno, parte della riserva risalirebbe invece agli anni 1620-1650.

La Riserva è sostanzialmente una pineta di Pino Laricio, impiantata, secondo alcuni studiosi, nella prima metà del 1600, da un nobile proprietario terriero che edificò lì vicino la propria dimora estiva, con annesso una filanda. Tale proprietario terriero decise di abbellire l'area intorno alla dimora realizzando una sorta di orto botanico, impiantando varie specie di piante autoctone, tipiche dell'area silana. Ad oggi quello che rimane nella Riserva, sono 58 piante di Pino Laricio di cui diversi caduti per maltempo, dei meli selvatici, di pioppi tremuli e degli aceri di montagna. 7 degli aceri sono esemplari centenari e si collocano ai margini della riserva. Oltre al pino laricio sono presenti anche meli selvatici, faggi, castagni, pioppi tremuli e aceri montani.

Tutti i 58 "giganti" presenti nella Riserva sono ultrasecolari, fino ai 350 anni, mentre altre piante, sempre presenti nella Riserva, hanno circa 150 anni. Recentemente sono nati in maniera spontanea altri Pini Larici di età inferiore ai 30 anni.

Lago Ampollino

Il lago Ampollino è un lago artificiale situato nell'altopiano appenninico calabro della Sila; fu il primo invaso artificiale realizzato in Sila; le opere per realizzare lo sbarramento iniziarono nel 1916 e terminarono nel 1927. Il lago bagna tre diverse province: Cosenza, Crotone e Catanzaro.

Fu realizzato dalla Società Meridionale Elettrica sbarrando il corso del fiume Ampollino allo scopo di creare un bacino idroelettrico. È collegato, tramite una condotta forzata, al lago Arvo dalla quale riceve ulteriori acque. Le sue acque giungono ad alimentare la centrale di Orichella, posta nel territorio di San Giovanni in Fiore a 800 m, facendo un salto di 472 metri. Le sue acque vengono successivamente raccolte in un bacino di compenso, dal quale poi si dirigono alla seconda centrale elettrica, quella di Timpa grande, posta nel territorio di Cotronei compiendo un ulteriore salto di 539 metri. Infine, le acque vengono nuovamente raccolte ed indirizzate alla terza centrale, quella di Calusia, in territorio di Caccuri, con salto finale di ulteriori 145 metri. Dopo la centrale di Calusia, le acque affluiscono nel fiume Neto e vengono utilizzate per scopi irrigui irrorando la pianura dell'alto Marchesato Crotonese.

A monte il lago Arvo e il lago del Savuto l'alimentano nei periodi di siccità. Il lago è collegato con il Lago Arvo tramite una condotta in galleria.

Lo sbarramento è effettuato a valle da una diga curva muraria a gravità ordinaria, lunga 129 m e alta 29,50 m (secondo i dati ufficiali), anche se alcuni dati riportano l'altezza della diga a 26 m e per costruirla nei suoi pressi è stato creato il Villaggio Trepidò.

Essendo in comunicazione con il lago Arvo, le specie ittiche sono pressoché le stesse. Tra le specie autoctone vi sono: trote, tinche, cavedani ed altri ciprinidi minori come l'alborella appenninica. Mentre tra le specie ittiche alloctone ci sono: persici reali, carpe ed arborelle cisalpine, queste ultime particolarmente dannose perché rischiano di ibridarsi con le appenniniche dando luogo ad ibridi. Grande preoccupazione tra le associazioni di categoria, gli ambientalisti e molti cittadini per il progetto di svuotare completamente il lago Ampollino per effettuare opere di manutenzione sulla diga e sul fondale. Come già avvenuto in occasione dello svaso totale del lago Passante, lo svuotamento dell'Ampollino costituirebbe la morte certa di tutta la fauna ittica e della flora che vive ai margini dell'invaso.Ci sono anche molte canne sulla riva e ninfee.

Ricerche dirette dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria hanno individuato un importante insediamento dell'antica età del bronzo (2000-1800 a.C.) sulle rive del Lago Ampollino.

I primi scavi archeologici furono condotti nel 1994 dall'archeologo Domenico Marino. Importanti oggetti bronzei (pugnali, asce, alabarde) sono conservati presso il Museo Nazionale di Reggio Calabria.

In località Fiume Tassito sono visibili i resti di un ponte a doppia arcata (in conci di granito silano) di età romana imperiale, testimonianza dell'antica viabilità che attraversava la Sila in età antica. Purtroppo il ponte è stato fortemente danneggiato e le arcate sono state prelevate.

Sulle rive del lago, soggette alla sommersione periodica, nel corso delle suddette ricerche sono stati individuati importanti resti archeologici attribuibili ad attività mineraria e metallurgica.

Lago Arvo

Il lago Arvo è un lago artificiale situato in provincia di Cosenza, fra i monti Melillo e Cardoneto, territorialmente compreso tra i comuni di Aprigliano e San Giovanni in Fiore.

Con una capacità di circa 70 milioni di metri cubi di acqua e una lunghezza di 8,7 km, in Calabria questo lago è il secondo in grandezza dopo il lago Cecita. Il lago è collegato con il lago Ampollino tramite una condotta in galleria.

La riva nord è frastagliata, mentre quella sud più rettilinea. Il fondale è coperto principalmente di sabbia e ciottoli.

Questo lago fu creato tra il 1927 e il 1931 sbarrando il fiume Arvo e i ruscelli Bufalo e Fiego allo scopo di creare un bacino idroelettrico.

Il lago Arvo venne realizzato in un'area paludosa, mediante sbarramento tramite diga in terra compatta (unica in Calabria). Attualmente il lago ha una capacità che varia tra i 70 e gli 80 milioni di metri cubi, mentre la lunghezza diametrale è di circa 8,7 km per un perimetro totale di 24 km. In virtù di a queste caratteristiche il lago si presta bene a gare di canottaggio, ed è previsto il completamento del Centro olimpico di canottaggio.

La diga del lago Arvo è unica nel suo genere in Calabria, in quanto realizzata non in cemento armato e calcestruzzo, bensì in argilla e terra compatta. Lunga 280 m (record di quel tempo), e alta 22 m, all'epoca della sua realizzazione era la più lunga e grande diga costruita in Italia.

Il progetto della diga, completamente rivoluzionario per quell'epoca, poté essere attuato grazie alle caratteristiche del bacino idrico, meno ripido rispetto agli altri bacini silani, e quindi esercitante una minor pressione sulla diga stessa. A fine lavori, terminati nel 1932, la diga e tutto il suo complesso vennero inaugurati dai principi Umberto di Savoia e Maria José.

Nelle sue acque vivono trote, persici reali, anguille, cavedani, tinche, carpe e ciprinidi minori come scardole, triotti, alborelle e carassi È possibile avvistare, tutte le stagioni dell'anno, il gabbiano reale, che risale dalle marine fino al cuore della Sila, attraverso le valli dei fiumi; quest'uccello, nidifica sul Lago Arvo, nei pressi di un isolotto situato nel comune di Aprigliano, con alcune decine di coppie ormai da parecchi anni, rappresentando di fatto, un interessante dato ornitologico, in quanto queste riproduzioni sono tra quelle alle quote più elevate del Paese.

Altri uccelli frequenti sono lo Svasso maggiore, il Germano reale, la Folaga, l'Airone cenerino e pur se di rado, durante i periodi migratori, sono stati avvistati anche il Falco pescatore e il Cavaliere d'Italia. Nei vasti boschi circostanti al lago vivono il Lupo, il Capriolo, il Cinghiale, la Martora, il Tasso, la Volpe, la Faina, il Picchio nero, la Poiana, l'Astore, la lepre e tante altre diverse specie tipiche dell'ambiente silano. Sulla presenza della Lontra sono in corso studi da parte dell'Ente Parco Nazionale della Sila, secondo diverse testimonianze storiche, un tempo era presente anche nel bacino dell'Arvo.

Purtroppo il recente progetto della società A2A di svuotare totalmente il bacino mette in grave pericolo l'intera fauna del lago Arvo. Lo svaso, annunciato per il mese di ottobre del 2013 dalla società si rende necessario per opere di manutenzione. Come già avvenuto in occasione dello svaso totale del lago Passante, lo svuotamento dell'Arvo costituirebbe la morte certa di tutta la fauna ittica e della flora che vive ai margini dell'invaso.

Le prime testimonianze umane in Sila risalgono all'homo erectus (circa 700.000 anni da oggi) e sono state individuate sulle sponde del lago Arvo dall'archeologo Italo Biddittu. Altre testimonianze, sulle rive dello stesso lago, risalgono all'uomo di Neandertal. Tra la fine del neolitico e l'inizio dell'età del rame (3800-3300 a.C.), tutta la Sila venne occupata da insediamenti di agricoltori e pescatori che sfruttavano le antiche conche lacustri (Arvo e Cecita) con un particolare metodo di pesca con la rete.

 

 

 

Fonte:
Bell'Italia (Vincenzo Petraglia)