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Montagne
impenetrabili da cui girare alla larga, lande scomode abitate un tempo dai
briganti e di poco interesse, lontane dalle "eccellenze" alpine e
appenniniche. Sembra incredibile, ma una valanga di stereotipi come questi
condiziona ancora l'immagine dell’entroterra calabrese. E poi ecco la Sila, un
mondo di colori, atmosfere, suggestioni che mai si penserebbe di incontrare. Non
certo una Calabria deserta, assetata, riarsa dal sole.
Proprio
qui, dove la penisola calabrese si allarga di più (120 chilometri dal Tirreno
allo Ionio) "respira" un altopiano verdissimo che richiama paesaggi e
suggestioni nordiche, sbarcate chissà come sulle rive del Mediterraneo. 150.000
ettari convenzionalmente divisi, da nord a sud, in Sila Greca, Sila Grande e
Sila Piccola; di questi, 74.000 sono tutelati nel Parco Nazionale della Sila,
coperto per l'80 per cento da rigogliose foreste di conifere. Un dato che non
stupisce se si pensa che la Calabria ha un indice di boscosità pari al 42,7 per
cento, contro il 22,7 del resto del nostro Paese. È il "Gran Bosco
d'Italia": chilometri di folta vegetazione favorita dalle correnti fredde
dell'Atlantico che, impattandosi sui rilievi, generano precipitazioni
abbondanti, anche nevose.
Tecnicamente
ci troviamo su un grande altopiano, costituito in larga parte da granito e
bordato da una scarpata ripida, solcata da gole scoscese. L'altitudine media è
intorno ai 1.000 metri, valicata solo da alcune vette più importanti, mai
superiori però ai 2.000 metri. Diverse sono le "porte d'accesso". Per
chi parte dalla costa ionica, la più suggestiva si apre a Rossano, dove si
affaccia la Sila Greca, estremo lembo nord-orientale della Sila, preceduto da
ripide pendici, che in mezz'ora salgono dal mare. Da sud, per Catanzaro e
Taverna, abbandonati gli aranceti e gli uliveti della piana di Lamezia si
percorrono i dolci declivi che lentamente conducono alla Sila Piccola, il
settore più meridionale della Sila, che sale fino alle valli dei fiumi Savuto e
Ampollino. Più a nord, i castagneti cedono il passo, alle quote più elevate,
alle foreste di pini, faggi e abeti, tipiche della Sila Grande, nucleo centrale
dell'altopiano e del parco, aperto a nord sulla piana di Sibari. È l'unico
pezzo di Sila che ha conservato l'aggettivo magna, attribuito da Virgilio,
nell'Emide e nelle Georgiche, a tutto l'altopiano.

Dappertutto
trionfano colori che la spessa coltre di neve invernale trasforma in bianco
candido, con scarpate e pianure che diventano, soprattutto fra Camigliatello
Silano e Lorica, belle piste da sci, come quella per il fondo che si sviluppa
lungo la "Strada delle vette". E’ il crinale che divide la valle
dell'Arvo da quella del lecita, e che si trasforma, con il bel tempo, in una
delle passeggiate più panoramiche del parco. Venticinque Mometri che salgono
per le vette Botte Donato (1.928 metri), Curcio (1.768 metri) e il Valico di
Montescuro 1.618 metri). Da Botte Donato, raggiungibile da Lorica anche con una
cestovia, lo sguardo spazia libero.
Dall'alto
la Sila ricorda un mare verde scuro, interrotto solo da poche praterie, che in
primavera si vestono di magnifiche fioriture: distese multicolori di orchidee,
viole, narcisi, anemoni, gladioli, gigli, ginestre, che come tappeti introducono
ai freschi boschi. I numerosi specchi d'acqua completano la tavolozza con
pennellate azzurre che riflettono le sfumature del cielo.
D'estate, i fiumi
silani - Neto, Lese, Crati, Murane, Tacina, Crocchio, Trionto - richiamano le
greggi che, come in processione sui vecchi fratturi, rinnovano il rito della
transumanza. I più importanti formano grandi laghi artificiali, che alimentano
importanti centrali idroelettriche. Il lago d'Arvo, accoccolato nel cuore della
Sila Grande, presidia le pendici del Botte Donato. Il Cecità o Mucone è il
bacino più grande, importante centro di pesca sportiva: raccoglie 121 milioni
di metri cubi d'acqua, popolati da trote iridee. Ma il più affascinante è
forse l'Ampollino, che si insinua fra i lembi di terra con i suoi rami coperti
di foreste, disegnando scorci da fiordo norvegese.
Ovunque
regna incontrastato il pino laricio (Pinus nigra calabrica), marchio di fabbrica
della Sila. È una conifera autoctona, capace di raggiungere i 50 metri di
altezza con fusti regolari, senza nodi, e la caratteristica corteccia squamata
grigio-argentea. Forma pinete fitte, dove la luce s'insinua a fatica, o boschi
radi, costituiti da pochi maestosi esemplari contornati da splendide praterie.
Questi
colossi costituivano un tempo, prima dei tagli selvaggi perpetuati fino agli
anni 60, la Silva brutia, capolavoro della natura celebrato da Virgilio e
Plinio, meta delle battute di caccia di Federico II e nascondiglio perfetto dei
briganti nell'800. Norman Douglas, viaggiatore del Grand Tour, la descrisse nel
suo libro Olà Calabria, agli inizi del '900, come "un'autentica foresta
vergine mai sfiorata da mano umana".
Eppure
per secoli, a partire da Greci e Romani che la utilizzarono per costruire navi e
ricavare pece e resina, ha alimentato l'industria edile - le travi della
basilica di San Marco a Venezia vengono proprio da qui - e bellica, soprattutto
durante i due conflitti mondiali. Rimane traccia di questo sfruttamento nei
ruderi di segherie e teleferiche e nei caratteristici villaggi in legno
costruiti per operai e proprietari forestali.
Per
fortuna alcuni dei giganteschi esemplari arborei sono sopravvissuti alla mano
dell'uomo. La riserva dei Giganti di Fallistro, nel comune di Spezzano della
Sila, con le sue 56 piante di età compresa fra i 350 e i 380 anni, è la più
grande foresta in Europa per numero di alberi di questo tipo: giganti con
diametri di due metri e altezze di 45. Ma tutta la Sila è uno scrigno
biogenetico ricchissimo.
Nella foresta del Gariglione, sulla Sila Piccola,
considerata una delle più belle foreste d'Italia, prosperano in consociazione
decine di specie arboree. D'autunno il bosco esplode in una miriade di
sfumature, con i gialli dei pioppi, il rosso vivo degli aceri, il marroncino dei
faggi, il verde dei pini.

Il territorio
silano ospita la fauna tipica delle zone appenniniche. È ancora presente, con
un nucleo storico, il lupo malgrado
le persecuzioni, la scomparsa del suo habitat ideale e la rarefazione dei
mammiferi selvatici che costituiscono la sua base alimentare.
Il lupo,
protetto dalla legge dal 1976, nei decenni passati era in via di estinzione, ma
grazie all'istituzione del Parco Nazionale della Calabria è stata possibile una
ricolonizzazione di questo carnivoro sia all'interno che all'esterno dell'area
protetta. Attualmente è presente in Sila uno dei nuclei storici e più
consistenti di lupo dell'Appennino. Numerosa è la rappresentanza,
sull'Altopiano, dei piccoli predatori. Il gatto
selvatico è piuttosto elusivo, ma vive in diverse aree della Sila.
La volpe è
diffusa e attacca ancora i pollai dei casolari silani.
Diverse specie
di mustelidi sono presenti in Sila anche se, per la loro rarità e per le loro
abitudini notturne, è difficile avvistarli. Ci riferiamo al tasso,
il più grande della famiglia (raggiunge i 90 cm.) con le caratteristiche
bande nere su fondo chiaro che partendo dal naso passano per gli occhi e le
orecchie; alla martora,
abile predatrice di scoiattoli; alla faina che
si distingue dalla martora per la macchia bianca anziché gialla sul petto; alla donnola ed
alla puzzola.
Un progetto di
ricerca, attuato recentemente da parte del Parco Nazionale della Sila, riguarda
la rarissima lontra, in passato presente in diverse zone della Sila e oggi
confinata in alcune aree, un eccezionale avvistamento si è registrato nel mese
di maggio del 2013, all'interno di un'area mantenuta segreta, ricadente nel
Parco Nazionale della Sila, ad opera degli agenti della Polizia Provinciale di
Cosenza, in servizio presso il distaccamento operativo di San
Giovanni in Fiore (CS).
Tra i
roditori sono presenti il ghiro,
lo scoiattolo
nero caratteristico dell'Italia meridionale e delle montagne della
Sila, il quercino e il moscardino. Rara e particolare la presenza del driomio,
roditore che compare solo nell'arco alpino orientale e sui rilievi calabri tra
cui la Sila.
Altri mammiferi
attualmente presenti in Sila sono il capriolo ed
il cervo.
Il cervo si era estinto all'inizio del secolo scorso e da poco più di un
decennio è presente in particolar modo nella Sila grande grazie alla
reintroduzione attuata da parte del Corpo Forestale dello Stato. Il capriolo
invece è stato oggetto negli anni passati, di un'azione di ripopolamento ed
oggi è presente su tutti i settori dell'altipiano. Sono presenti anche il cinghiale e
la lepre,
sia la specie italica sia quella comune.
Fra la
popolazione ornitologica nidificante sono presenti dei rapaci come: l'astore,
lo sparviero,
la comunissima poiana,
il sempre più raro nibbio
reale, che nidifica nelle pendici orientali della Sila, il biancone che
ancora è presente con pochissime coppie e il rarissimo gufo
reale. Altri rapaci notturni nidificano dalle aree marginali e interne,
come il gufo comune Asio
otus, il barbagianni,
l'allocco e la civetta.
Tra i corvidi,
vive il corvo imperiale, dove in alcune aree è presente con colonie di
centinaia di individui. Diffusissima ed infestante è la cornacchia grigia
avvistabile in grandi stormi. Fra i picidi, in Sila, vivono il picchio
verde, il picchio rosso maggiore, minore e mezzano, quest'ultimo una
rarità assieme al picchio
nero. Nidifica anche il torcicollo. Non è raro osservare, nei laghi
silani, gabbiani reali, germani reali, svassi
maggiori, aironi bianchi
maggiori e aironi cenerini, sia tutto l'anno che nei periodi di
migrazione.
Sulla Sila
nidifica anche il lucherino, il regolo, lo stiaccino, la passera scopaiola, lo
spioncello, il prispolone e il crociere. Sono presenti anche nidificazioni
della passera lagia, del regolo, della cincia bigia, della tottavilla, della
tordela, dello zigolo muciatto, del merlo acquaiolo, del passero solitario e di
tante altre specie.
Nel periodo
primaverile-estivo è possibile avvistare lo stiaccino, il culbianco, la balia
dal collare, il luì verde, il calandro e l'averla piccola, tutte specie
nidificanti nel comprensorio. Negli anni, le osservazioni ornitologiche hanno
consentito di documentare il passaggio di diverse specie: falco pescatore,
albanella pallida, albanella reale, albanella minore, falco di palude, cavaliere
d'Italia, gru, piviere tortolino. In inverno è stata segnalata la presenza
della peppola e avvistato il ciuffolotto. Osservati durante il periodo
migratorio, la monachella, il codirossone, l'averla cenerina, l'averla capirossa
e la ghiandaia marina.
In una zona
interna dell'Altopiano della Sila sono presenti pure alcune piccole colonie
nidificanti di un variopinto uccello migratore transahariano, il gruccione.
Quest'uccello, in Italia, nidifica in pianura e nella bassa collina; quella
della Sila, sarebbe la nidificazione alla quota più elevata del Paese. Nel
Parco Nazionale della Sila, a partire dall'inverno 2016 è stato per la prima
volta documentato l'eccezionale svernamento della rarissima Cicogna nera (Ciconia
nigra). L'avifauna della Sila è descritta in una check-list pubblicata
in una prima edizione nel 2019 e aggiornata nel 2021. Tra gli anfibi che
vivono in Sila si segnalano, oltre alle comuni rana
verde, rospo e raganella, anche la salamandra
pezzata e la salamandrina
dagli occhiali esclusiva dell'Appennino meridionale.
Tra i rettili
è presente il ramarro
verde, che raggiunge i 40 centimetri, e serpenti come la vipera,
il biacco,
il cervone.
La vipera è diffusa e si trova nelle forme a dorso grigio, a dorso scuro e
ventre chiaro, a dorso completamente nero. Il biacco è
un comunissimo serpente interamente nero, non velenoso, di abitudini diurne. Il cervone è
il più grande rettile dell'Altopiano. Questo serpente, che può superare i due
metri di lunghezza, è denominato, in dialetto, "mpasturavacche" per
la credenza che si nutra del latte dei bovini che attingerebbe direttamente
dalle mammelle una volta bloccate le mucche attorcigliandosi alle loro
zampe.
Emblematica la
scoperta fatta alcuni anni fa, in Sila fu rinvenuto e documentato un rarissimo
caso di albinismo completo nel serpente cervone, probabilmente l'unico caso
chiaramente documentato. La trota
fario è il pesce più diffuso nei corsi d'acqua e nei laghi silani.
Nonostante i numerosi sbarramenti, dovuti agli impianti idroelettrici, ancora
oggi si riescono a pescare esemplari di anguilla.
Nei bacini silani è presente la trota lacustre.

Cenni
storici
La storia della
Calabria è molto vasta, ricordiamo che nell'Età del Bronzo vi era la civiltà
appenninica, che giungeva qui dall'Emilia. La civiltà appenninica si
caratterizza per un allevamento e un'agricoltura incentrati sulle risorse e
sulla caccia-pesca.
I Bruzi (in latino: Brettii
o Bruttii), antico popolo di pastori e artigiani, vennero a contatto con i Greci che
avevano colonizzato le zone costiere con la fondazione di Sibari,
di Crotone,
di Petelia,
di Krimisa e
con loro probabilmente stabilirono inizialmente rapporti di "buon
vicinato". Il più importante insediamento di età
greca (VI-III secolo a.C.), in Sila, è costituito dal santuario
scoperto - a breve distanza da Camigliatello
Silano - nel lago
artificiale Cecita ad opera della soprintendenza
per i beni archeologici della Calabria.
Dopo la
distruzione di Sibari avvenuta
nel 510 a.C. ad
opera dei Crotoniati, essi continuarono ad abitare prevalentemente nelle zone
interne. Solo molto più tardi, dopo le guerre
puniche, Roma iniziò
ad interessarsi a tutta la Calabria ed
anche a questo territorio montano traendone soprattutto legname pregiato
utilizzato nella costruzione di navi e per l'estrazione della pece (pix
bruttia). Scavi ad opera della Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Calabria hanno messo in luce un importante insediamento di età
romana dedicato all'estrazione e lavorazione della pece,
attivo tra il III
secolo a.C. ed il III
secolo d.C.

Con la caduta
dell'Impero romano d'Occidente ebbero luogo le invasioni
barbariche. Nel VI
secolo i Bizantini ristabilirono
l'ordine, la pratica dell'allevamento e dell'agricoltura. Nell'VIII
secolo i Longobardi sottrassero
molti terreni a Costantinopoli.
Le successive invasioni arabe lungo le coste calabre costituirono la decadenza
definitiva dei Bizantini.
Dal 1045 al 1060 si
sostituirono i Normanni che
contribuirono a diverse fondazioni monastiche che diedero vita (nel XII
secolo) alla costruzione delle abbazie cistercensi.
Alcuni esempi
sono l'Abbazia di
Santa Maria della Matina a San
Marco Argentano,l'Abbazia
di Sant'Angelo de Frigillo a Mesoraca,
l'Abbazia di Santa
Maria di Acquaformosa, l'Abbazia
di Santa Maria della Sambucina a Luzzi,
l'Abbazia di Santa
Maria di Corazzo a Castagna, frazione di Carlopoli e
l'Abbazia Florense a
San Giovanni in Fiore.Nel 1224 una concessione imperiale di Federico
II Svevia dotava l'Abbazia
di Sant'Angelo de Frigillo di Mesoraca di
una grande area silana da utilizzare per il libero pascolo e l'estrazione della pece,comprendeva :
Ciricilla, Caput Tacina, Pisarello e Gariglione.
I monasteri furono
luoghi di studio, centri di cultura e di stimolo per la rinascita agricola.

Le genti delle
coste migrarono verso le pendici dell'altopiano silano, dove fondarono i
cosiddetti Casali. In quell'epoca venne realizzato un monastero ad opera di Gioacchino
da Fiore intorno al quale si sviluppò il primo centro abitativo
dell'altopiano: San
Giovanni in Fiore. Tra il 1448 e
il 1535 molti
esuli dall'Albania si
insediarono nelle terre del versante ionico della Sila creando alcune comunità
dette Sila Greca. I comuni di lingua albanese sono circa trenta. I loro usi,
costumi e tradizioni sono rimasti inalterati nel tempo. Il territorio
successivamente appartenne alle diverse dinastie regnanti; da ultimi i Borbone prima
che tutto il Sud e le Isole vennero annesse al Regno
d'Italia dopo la spedizione
dei Mille ad opera di Garibaldi.
Solo nei decenni scorsi venne realizzata la Paola Cosenza Crotone,
per iniziativa di Giacomo Mancini nel 1974, oggi SS
107 che attraversa tutto l'altipiano dal Tirreno allo Jonio.
Per rompere
l'isolamento dei paesi montani, in inverno piuttosto forte a causa della neve,
vennero realizzate, con opere di ingegneria a volte spettacolari come viadotti e
tracciati di montagna, alcune ferrovie: la Cosenza-Camigliatello-San
Giovanni in Fiore delle Ferrovie
Calabro Lucane (a scartamento ridotto) e la Paola-Cosenza a cremagliera,
delle Ferrovie
dello Stato. Molti villaggi agricoli finirono per diventare insediamenti
a carattere turistico. Nel dopoguerra si cerca di dare un impulso allo sviluppo
dell'altopiano silano istituendo l'Opera per la valorizzazione della Sila.

Riserva
naturale I Giganti della Sila
La riserva
naturale I Giganti della Sila, nota anche come riserva naturale del
Fallistro dal nome della località in cui si trova, è un'area naturale
protetta situata nella provincia di Cosenza ed è stata istituita
nel 1987. La riserva occupa una superficie di 5,44 km² a nord-ovest e
a sud-est, all'interno del Parco nazionale della Sila.
Quest'area
protetta è nota in quanto ospita i famosi "Giganti della Sila" o
"Giganti di Fallistro", pini larici ultracentenari di
dimensioni maestose, i cui tronchi formano un perfetto colonnato naturale. Tali
tronchi possono innalzarsi fino a 45 metri di altezza e avere un diametro alla
base di circa due metri, tanto da essere spesso paragonati per dimensioni alle sequoie nordamericane (che
però raggiungono dimensioni quasi doppie in altezza e diametri di oltre 10
metri). I pini presenti nella riserva sono 58.
La
riserva è l'ultimo residuo dell'antica foresta silana, presente fino agli
inizi del Novecento, e che venne poi in gran parte tagliata dapprima con l'Unità
d'Italia, quando venne sacrificata per rifornire di legname pregiato il giovane Regno,
e poi nell'immediato secondo dopoguerra, come pegno da pagare agli alleati britannici
e americani, per aver liberato il paese.
Secondo
alcuni studi effettuati su campioni di legno, parte della riserva risalirebbe
invece agli anni 1620-1650.
La
Riserva è sostanzialmente una pineta di Pino Laricio, impiantata, secondo
alcuni studiosi, nella prima metà del 1600, da un nobile proprietario terriero
che edificò lì vicino la propria dimora estiva, con annesso una filanda.
Tale proprietario terriero decise di abbellire l'area intorno alla dimora
realizzando una sorta di orto botanico, impiantando varie specie di piante
autoctone, tipiche dell'area silana. Ad oggi quello che rimane nella Riserva,
sono 58 piante di Pino Laricio di cui diversi caduti per maltempo, dei
meli selvatici, di pioppi tremuli e degli aceri di montagna. 7 degli aceri sono
esemplari centenari e si collocano ai margini della riserva. Oltre al pino
laricio sono presenti anche meli selvatici, faggi, castagni, pioppi
tremuli e aceri montani.
Tutti
i 58 "giganti" presenti nella Riserva sono ultrasecolari, fino ai 350
anni, mentre altre piante, sempre presenti nella Riserva, hanno circa 150 anni.
Recentemente sono nati in maniera spontanea altri Pini Larici di età inferiore
ai 30 anni.
Lago
Ampollino
Il lago Ampollino è un lago artificiale situato
nell'altopiano appenninico calabro della Sila; fu il primo invaso
artificiale realizzato in Sila; le opere per realizzare lo sbarramento
iniziarono nel 1916 e terminarono nel 1927. Il lago bagna tre diverse
province: Cosenza, Crotone e Catanzaro.
Fu
realizzato dalla Società Meridionale Elettrica sbarrando il corso del fiume
Ampollino allo scopo di creare un bacino idroelettrico. È collegato,
tramite una condotta forzata, al lago Arvo dalla quale riceve
ulteriori acque. Le sue acque giungono ad alimentare la centrale di Orichella,
posta nel territorio di San Giovanni in Fiore a 800 m, facendo un
salto di 472 metri. Le sue acque vengono successivamente raccolte in un bacino
di compenso, dal quale poi si dirigono alla seconda centrale elettrica, quella
di Timpa grande, posta nel territorio di Cotronei compiendo un ulteriore
salto di 539 metri. Infine, le acque vengono nuovamente raccolte ed indirizzate
alla terza centrale, quella di Calusia, in territorio di Caccuri, con salto
finale di ulteriori 145 metri. Dopo la centrale di Calusia, le acque affluiscono
nel fiume Neto e vengono utilizzate per scopi irrigui irrorando la
pianura dell'alto Marchesato Crotonese.
A
monte il lago Arvo e il lago del Savuto l'alimentano nei
periodi di siccità. Il lago è collegato con il Lago Arvo tramite una
condotta in galleria.
Lo
sbarramento è effettuato a valle da una diga curva muraria a gravità
ordinaria, lunga 129 m e alta 29,50 m (secondo i dati ufficiali),
anche se alcuni dati riportano l'altezza della diga a 26 m e per
costruirla nei suoi pressi è stato creato il Villaggio Trepidò.
Essendo
in comunicazione con il lago Arvo, le specie ittiche sono pressoché le
stesse. Tra le specie autoctone vi sono: trote, tinche, cavedani ed altri ciprinidi minori
come l'alborella appenninica. Mentre tra le specie ittiche alloctone ci sono: persici
reali, carpe ed arborelle cisalpine, queste ultime particolarmente dannose perché
rischiano di ibridarsi con le appenniniche dando luogo ad ibridi. Grande
preoccupazione tra le associazioni di categoria, gli ambientalisti e molti
cittadini per il progetto di svuotare completamente il lago Ampollino per
effettuare opere di manutenzione sulla diga e sul fondale. Come già avvenuto in
occasione dello svaso totale del lago Passante, lo svuotamento
dell'Ampollino costituirebbe la morte certa di tutta la fauna ittica e della
flora che vive ai margini dell'invaso.Ci sono anche molte canne sulla riva e
ninfee.
Ricerche
dirette dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria hanno
individuato un importante insediamento dell'antica età del bronzo (2000-1800
a.C.) sulle rive del Lago Ampollino.
I
primi scavi archeologici furono condotti nel 1994 dall'archeologo Domenico
Marino. Importanti oggetti bronzei (pugnali, asce, alabarde) sono conservati
presso il Museo Nazionale di Reggio Calabria.
In
località Fiume Tassito sono visibili i resti di un ponte a doppia arcata (in
conci di granito silano) di età romana imperiale, testimonianza dell'antica
viabilità che attraversava la Sila in età antica. Purtroppo il ponte
è stato fortemente danneggiato e le arcate sono state prelevate.
Sulle
rive del lago, soggette alla sommersione periodica, nel corso delle suddette
ricerche sono stati individuati importanti resti archeologici attribuibili ad
attività mineraria e metallurgica.
Lago
Arvo
Il lago
Arvo è un lago artificiale situato in provincia di Cosenza,
fra i monti Melillo e Cardoneto, territorialmente compreso tra i comuni di
Aprigliano e San Giovanni in Fiore.
Con
una capacità di circa 70 milioni di metri cubi di acqua e una lunghezza di 8,7 km,
in Calabria questo lago è il secondo in grandezza dopo il lago Cecita. Il
lago è collegato con il lago Ampollino tramite una condotta in
galleria.
La
riva nord è frastagliata, mentre quella sud più rettilinea. Il fondale è
coperto principalmente di sabbia e ciottoli.
Questo
lago fu creato tra il 1927 e il 1931 sbarrando il fiume Arvo e i
ruscelli Bufalo e Fiego allo scopo di creare un bacino idroelettrico.
Il
lago Arvo venne realizzato in un'area paludosa, mediante sbarramento tramite
diga in terra compatta (unica in Calabria). Attualmente il lago ha una capacità
che varia tra i 70 e gli 80 milioni di metri cubi, mentre la lunghezza
diametrale è di circa 8,7 km per un perimetro totale di 24 km. In
virtù di a queste caratteristiche il lago si presta bene a gare di canottaggio,
ed è previsto il completamento del Centro olimpico di canottaggio.
La
diga del lago Arvo è unica nel suo genere in Calabria, in quanto realizzata non
in cemento armato e calcestruzzo, bensì in argilla e terra compatta. Lunga 280 m
(record di quel tempo), e alta 22 m, all'epoca della sua realizzazione era
la più lunga e grande diga costruita in Italia.
Il
progetto della diga, completamente rivoluzionario per quell'epoca, poté essere
attuato grazie alle caratteristiche del bacino idrico, meno ripido rispetto agli
altri bacini silani, e quindi esercitante una minor pressione sulla diga stessa.
A fine lavori, terminati nel 1932, la diga e tutto il suo complesso vennero
inaugurati dai principi Umberto di Savoia e Maria José.
Nelle
sue acque vivono trote, persici reali, anguille, cavedani, tinche, carpe e
ciprinidi minori come scardole, triotti, alborelle e carassi È possibile
avvistare, tutte le stagioni dell'anno, il gabbiano reale, che risale dalle
marine fino al cuore della Sila, attraverso le valli dei fiumi; quest'uccello,
nidifica sul Lago Arvo, nei pressi di un isolotto situato nel comune di
Aprigliano, con alcune decine di coppie ormai da parecchi anni, rappresentando
di fatto, un interessante dato ornitologico, in quanto queste riproduzioni sono
tra quelle alle quote più elevate del Paese.
Altri
uccelli frequenti sono lo Svasso maggiore, il Germano reale, la Folaga,
l'Airone cenerino e pur se di rado, durante i periodi migratori, sono stati
avvistati anche il Falco pescatore e il Cavaliere d'Italia. Nei
vasti boschi circostanti al lago vivono il Lupo, il Capriolo, il Cinghiale,
la Martora, il Tasso, la Volpe, la Faina, il Picchio
nero, la Poiana, l'Astore, la lepre e tante altre diverse specie tipiche
dell'ambiente silano. Sulla presenza della Lontra sono in corso studi da parte
dell'Ente Parco Nazionale della Sila, secondo diverse testimonianze storiche, un
tempo era presente anche nel bacino dell'Arvo.
Purtroppo
il recente progetto della società A2A di svuotare totalmente il bacino mette in
grave pericolo l'intera fauna del lago Arvo. Lo svaso, annunciato per il mese di
ottobre del 2013 dalla società si rende necessario per opere di manutenzione.
Come già avvenuto in occasione dello svaso totale del lago Passante, lo
svuotamento dell'Arvo costituirebbe la morte certa di tutta la fauna ittica e
della flora che vive ai margini dell'invaso.
Le
prime testimonianze umane in Sila risalgono all'homo erectus (circa
700.000 anni da oggi) e sono state individuate sulle sponde del lago Arvo
dall'archeologo Italo Biddittu. Altre testimonianze, sulle rive dello
stesso lago, risalgono all'uomo di Neandertal. Tra la fine del neolitico e
l'inizio dell'età del rame (3800-3300 a.C.), tutta la Sila venne occupata da
insediamenti di agricoltori e pescatori che sfruttavano le antiche conche
lacustri (Arvo e Cecita) con un particolare metodo di pesca con la rete.

Fonte:
Bell'Italia
(Vincenzo Petraglia)
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