Villa Borromeo Visconti Litta
Lainate (Milano)

    

Il Parco

Elemento fondamentale che costantemente viene riscontrato nell'analisi delle ville sono il parco e i giardini. Essi tendevano ad instaurare un rapporto molto stretto tra natura ed artificio ed evidenziare un processo in evoluzione nell'arte della sistemazione degli elementi naturali e architettonici.
Infatti il giardino, come veniva rappresentato nei vari periodi, tendeva a manifestare sia il carattere che il significato, l'indole, il gusto e la sensibilità di una società.

Nel medioevo, il giardino era concepito più come luogo di riposo, di convegni amichevoli e non aveva pretese d'arte. Il tracciato era elementare, i prati avevano forme geometriche ed erano delimitati da vialetti.

Veduta aerea del parco, giardini e NinfeoIl cinquecento, invece, porta una svolta alla concezione del giardino e tende a rappresentare il razionalismo dell'epoca e il dominio dell'uomo sul mondo sensibile. L'uomo del rinascimento non veniva attratto dalla natura, ma guardava il giardino come uno spazio di residenza all'aria aperta che rispecchiava la magnificenza della casa. È il seicento il periodo in cui le concezioni cinquecentesche vengono riprese nel giardino che adesso tende ad ampliarsi e a tramutarsi in parco. Si usano grandi curve regolari e subentra la fusione tra il giardino, lasciato crescere al suo stato naturale, ed il paesaggio circostante.

Il parco della Villa è un insieme di giardini promiscui e testimonia la parziale adesione alla poetica del giardino paesaggistico o all’inglese che, tra la fine del XVII e gli inizi del XIX secolo, si preferisce affiancare alla consolidata tradizione del giardino formale.

La parte compresa tra il palazzo e il ninfeo era costituita nel 1656 da un prato con un’area destinata al gioco e con diverse piante di rovere antistanti la facciata del ninfeo. Successivamente fu suddivisa in vari scomparti curvilinei a tappeto verde con arbusti e piante di alto fusto.

Oltrepassato l’edificio del ninfeo, che si colloca come elemento separatore, si raggiunge la zona destinata a giardino formale. Lo schema iniziale era quadripartito con vasi di agrumi che ne sottolineavano la scansione. In quest’area si sono concentrati gli interventi settecenteschi più qualificanti quali l’edificazione della fontana di Galatea, le serre degli ananas e dei limoni per la coltivazione di piante esotiche e le quattro aiuole da fiore dette "quadri all’olandese", con cordoli in "cornettone" che sottolineano il ricco disegno curvilineo.

A ovest è situata la parte più estesa del parco, definita nei documenti citati "Novo Boschetto". È caratterizzata da scomparti irregolari a tappeto verde con arbusti e piante d’alto fusto, dove è intervenuto l’architetto L. Canonica agli inizi dell’ottocento.

Questa zona era tagliata in due da un ampio viale (l’asse est-ovest) eliminato durante le ultime modifiche effettuate all’inizio del nostro secolo.Una veduta della Limonaia appena restaurata

L’altra parte che ha subito numerose trasformazioni è il "giardino degli agrumi", affiancato al precedente in direzione sud e composto da due zone a diversa quota. La superficie a quota inferiore, con al centro la fontana di Nettuno, era quadripartita e scandita da basi in granito per i grandi vasi di cedri. La zona più settentrionale, invece, comprendeva due sistemi di serre, di cui due destinate ai cedri, e una più a nord, a riparare il berceau dei limoni ed era costituita da una parte fissa in muratura e una mobile in legno e vetro. Tutta questa zona era recintata sui tre lati da una siepe di bosso e da una doppia fila di carpini con rami potati a volta.

Infine l’ultima parte del giardino è quella che fronteggia il quarto nuovo, cosiddetta "teatro di verzura". Destinata a feste e rappresentazioni, è composta da una parte centrale a tappeto verde circondata da tassi e carpini potati, che si riflettono a ovest in una esedra con al centro la nicchia per la statua di Adone del Prestinari. Ancora siepi di bosso e carpini formavano, un poco più a nord, un labirinto di cui oggi non è rimasta alcuna traccia.

Tracce dell’antico splendore del parco si possono cogliere nella permanenza di alcuni tracciati, nei doppi filari di carpini, nel raffinato disegno delle aiuole superstiti e nei leggeri dislivelli in cui si articolava il giardino.

Le matrici geometriche del parco sono costituite da un doppio sistema di assi ortogonali adattati all’irregolarità del lotto. Il sistema primario include l’asse di penetrazione sud-nord, che partendo dall’ingresso della Villa attraversa l’edificio del ninfeo e termina nell’esedra a settentrione, e l’asse est-ovest, che percorre una corte minore, il cortile d’onore, il "quarto nuovo" culminando in un anfiteatro naturale.

Quasi parallelamente a quest’ultimo, e perpendicolare all’asse nord-sud, troviamo l’asse Nerviano-Bariola di collegamento tra l’impianto della Villa e il contesto territoriale.

Il sistema secondario organizza le varie parti del giardino mantenendo la suddivisione cruciforme in quattro campi uguali con il centro evidenziato da una fontana.

Nell’organizzazione scenografica del complesso, la qualificazione dei punti di snodo attestati lungo gli assi e la caratterizzazione dei loro estremi ha prodotto un ricco repertorio formale spesso impreziosito dalla presenza dell’acqua.

Così l’uso ripetitivo dell’elemento circolare enfatizza tutti i punti di snodo dell’asse principale sud-nord (in successione l’atrio del Mercurio, l’atrio dei quattro venti, la fontana di Galatea). Le nicchie con statue costituiscono i punti terminali degli assi, la cui importanza si riflette nella dimensione delle nicchie e nella fattura delle decorazioni.

Il sistema primario ha ai suoi lembi l’esedra a nord e a ovest la nicchia "verde" formata da carpini con una statua di Adone. Punto terminale dell'asse nord-sud, con nicchione in travertino ricavato da una finta edicola in calcare grigio, è il gruppo scultoreo in cotto raffigurante il Ratto di Proserpina. Copia dell’opera del Giambologna (Firenze - Piazza della Signoria, Loggia dei Lanzi) è attribuita dal critico Federico Zeri a Pietro Francavilla, allievo dell'artista.

Le limonaie chiudono il fronte nord del giardino. Collocate ai lati dell'esedra, sono edifici con ampie aperture ad arco e servivano per il ricovero dei "naranzi et limoni", come si riscontra nell'inventario del luogo del 1604, in cui si fa riferimento a 156 di tali piante collocate, parte in vasi in cotto, parte in mastelli in legno reggiati.

Il sistema secondario prevede nicchie di ridotte dimensioni tra cui tre incluse nel muro di cinta a ovest, e una situata al centro delle serre nel giardino degli agrumi, purtroppo oggi tutte perdute.

Grande valenza compositiva è attribuita alla fontana di Galatea e alla fontana di Nettuno. La prima costituisce un insieme di bellezza unica. Opera di Donato Carabelli, sempre databile alla metà del 1700, è in marmo bianco di Candoglia, lo stesso usato per la costruzione del Duomo di Milano. Collocata al centro del giardino, costituisce il punto di intersezione tra l'asse costruttivo principale (sud-nord) e l'asse dei viali (est-ovest) che collegavano i vastissimi possedimenti della famiglia dalla cascina Camilla alla cascina del Piede, oggi nel territorio di Nerviano. Di notevoli dimensioni e articolata su piani diversi. Al bacino centrale, in cui campeggiano, sorretti da coppie di puttini, gli stemmi nobiliari delle famiglie Visconti, Borromeo, Arese e Litta, si accede da quattro scale a gradoni che sfociano in un percorso anulare. Delimitano le estremità degli accessi otto supporti in marmo che reggono altrettanti vasi in pietra viva.

Tre tritoni, due maschili e uno femminile, emergono dal bacino. Queste figure, nei cui volti l'artista ha rappresentato insieme la violenza della lotta contro il serpente marino e lo sforzo della fatica fisica sorreggono la conchiglia centrale. Galatea, figlia di Nereo e Doride, guarda sorridendo un amorino e Cupido che, con faretra e turcasso, pare interrogare la dea. Un delicato drappeggio marmoreo copre il grembo della divinità. Gli spruzzi dell'acqua che con il vento colpiscono il gruppo scultoreo danno al marmo la lucentezza dell'avorio e creano, nell'atmosfera del giardino, effetti di intensa suggestione.

La seconda, Collocata, intorno alla metà del Settecento, nel luogo in cui originariamente si trovava il giardino degli agrumi a opera di Donato Carabelli. Il gruppo marmoreo che ricorda i contemporanei interventi del Bernini è costituito da un bacino circolare al centro del quale, coppie di amorini sorreggono i trofei nobiliari della famiglia Litta. Il bacino è posizionato a livello del prato e Nettuno con il tridente è attorniato da due putti coronati con pampini; quattro grandi tritoni sorreggono la conchiglia su cui e adagiata la divinità marina.

Il Ninfeo

In origine il ninfeo era stato il tempio delle ninfee, che secondo la mitologia greco-romana, popolavano i mari, le fonti, i boschi ed i monti. Mutando il significato culturale, il termine ninfeo nella Roma imperiale, diveniva sinonimo di fontana monumentale.

Un primo scrittore nel Rinascimento che ci tramandava le descrizioni di queste costruzioni, fu Leon Battista Alberti, che narrandoci di grotte artificiali, sembrava riferirsi a grotte naturali abbellite dalla mano dell'uomo.

Nel cinquecento però, la maggior parte dei ninfei era costituita da uno o più ambienti in muratura, che situati in ampi parchi, volevano rappresentare antri naturali con la creazione illusoria di un regno d'acque, attraverso un uso appropriato di spugne, pietre pomici, madreperle, coralli, conchiglie e tufi. Questi materiali incastonati l'uno nell'altro su tortuose pareti, formavano magnifiche decorazioni alle quali si univano mosaici, affreschi, e stucchi. Le raccolte di statue che disposte lungo pareti o in nicchie, contribuivano ad abbellire l'edificio rappresentavano una sorta di rinascita del paganesimo antico, con ninfe e satiri burleschi.

Il ninfeo diveniva per analogia la grande fontana monumentale delle ville rinascimentali e barocche arricchito da portici, esedre, nicchie, grotte artificiali e scenograficamente realizzato il più delle volte sul declivio naturale del terreno.

A Lainate assume una grande importanza non solo per la sua splendida architettura e l'avanzatissimo impianto idraulico, ma anche per il significato culturale che acquista con le collezioni d'arte racchiuse.

Il ninfeo di Lainate corre parallelamente e simmetricamente al nucleo abitato della Villa ed è costituito da un complesso rettangolare coperto, il cui lato lungo misura 50 metri circa e il lato corto 10 metri circa; verso nord l'edificio si estende (alle estremità lunghe del rettangolo) con due emicicli affrontati simmetricamente e perpendicolari alla costruzione, che continuano in due strutture monumentali a L, sorta di quinte laterali che chiudono a nord il gioco di linee dell'edificio.

Un rifacimento del tardo settecento, di cui conosciamo ogni minimo dettaglio, ha modificato in maniera sostanziale l'architettura esterna del ninfeo: originariamente la facciata era costituita in "cotto a vista" con una probabile attenzione filologica tesa a recuperare l'uso del materiale costruttivo degli edifici termali romani, per tutto il cinquecento punto di riferimento per i costruttori di fontane monumentali. Con il restauro ad opera dei Litta lo stesso fronte viene ricoperto da una "pellicola" di arenaria ("cornettone") con funzione protettiva dell'umidità.

Diversamente il prospetto sud viene letteralmente ricostruito da una equipe di artisti guidata dal pittore Levati e dallo scultore Carabelli. Gli artisti, con il loro intervento, hanno voluto riassumere nella fronte d'entrata alle sale del ninfeo le caratteristiche di "luogo d'acqua" proprie dell'edificio.

Attraverso l'uso del tufo e bassorilievi raffiguranti divinità marine si voleva ricostruire un "regno d'acque" e, in questo senso, ben si reinterpretava la procedura costruttiva delle fontane artificiali già tipica del rinascimento, ma nel nostro caso si snaturava la concezione originaria dell'edificio.

Gli ospiti, che dalla corte del palazzo giungono al giardino, si imbattono nel ninfeo; li attende un pronao avanzato rispetto al corpo dell'edificio formato da quattro pilastri in cotto a fianco dei quali corrono due balaustre in pietra, decorate a intervalli regolari con figure di draghi e arpie "idraulicizzate", attraverso le quali defluiscono le acque zampillanti da fiorami di rame.

Gli ospiti proseguono, e attraversato il pronao entrano nel primo ambiente: una stanza centrale dell'edificio a pianta ottagonale (denominato atrio dei quattro venti) costruita, all'interno, con una cupola illusionistica che allunga verso l'alto la stanza.

Da questo ottagono si accede alla altre stanze del ninfeo, circa 500 mq. interamente "tappezzati" a mosaico di sassi colorati (pareti e pavimenti), adibiti all'esposizione della collezione di Pirro I, statue di bronzo e di marmo, quadri di Coreggio, Bronzino, e Luini, curiosità della natura e dell'arte che, in ogni angolo, suscitano la meraviglia dello spettatore.

Il succedersi di queste stanze a mosaici è interrotta da un piccolo ambiente costruito con incrostazioni di tufo, elementi marini, mosaici, dove le acque gocciolanti fra i tufi si raccolgono in una vasca di marmo inserita in una sorta di grotta e, esplosione di curiosità e "notturnismo", da un grande emiciclo dove un passaggio ricco di conchiglie, stalattiti, stalagmiti, composte ad arte richiamava in mondo delle grotte marine ed un magico sfondo all'esposizione di statue di venere di marmo, disposte in alcune vasche dove si raccolgono le acque provenienti dalle rocce di questo "museo geologico e statuario".

Ambiente estraneo alla concezione del rettangolo a mosaici è il "cortino delle piogge", ambiente a cielo aperto con pianta ottagonale ristrutturato nel tardo settecento con interventi scultorei di Carabelli (cariatidi di gesso) e pittorici di Levati (prospettive fantastiche)".

Martino Bassi progettò la cupola dell'atrio dei quattro venti e la pianta del ninfeo, ma sono da attribuire a Francesco Brambilla la balaustra delle "romane" (draghi e arpie a sud del ninfeo), la progettazione dell'apparato decorativo di tufi e conchiglie dell'emiciclo e delle grotte, la progettazione del grottino (detta stanza dell'uovo", l'esecuzione delle due statue entro le nicchie ai lati dell'entrata dell'atrio ottagonale centro dell'edificio.

Nell'esecuzione dei giochi d'acqua lavora un ingegnere idraulico che, all'avanguardia nel nord Italia, costruisce uno dei rarissimi impianti idrici per fontana servito dall'acqua di un pozzo.

Al di sotto di una graziosa balconata e di una celletta a nicchie binate, un serbatoio in rame dalla capacità di sette metri cubi e mezzo, costituiva la riserva idrica che, grazie a 20 metri di caduta, attraverso una tubazione in piombo di 890 metri con registri (rubinetti), permetteva il funzionamento dell'intero sistema delle fontane, dei mormorii, delle nove cascate e dei 53 "scherzi". E il buon cavallo, nella "casa del macchinista idraulico" adiacente alla torre, girando in tondo, azionava le pompe a vuoto che pescavano l'acqua dal pozzo principale e alimentavano il serbatoio collocato lassù.

Una personalità certamente importante quanto riconoscibile nella "fucina artistica" di Lainate è quella di Camillo Procaccini. Egli interviene nei soffitti delle sei stanze a nord dell'edificio, simmetricamente divise dall'ottagono centrale in tre stanze per lato. Le decorazioni di questi ambienti sono ispirate a un gusto per il movimento e il metamorfismo che già abbiamo visto essere alla base della concezione di tutto l'edificio: lo spettatore vede terminare un busto d'uomo con arti d'animale o in forma di pianta, o un corpo d'animale assottigliarsi in un fusto di pianta, tutto in una continuità di linee che non lascia mai pausa allo sguardo.

Le decorazioni si ripetono simmetricamente nei quattro spicchi delle volte delle stanze raddoppiandosi specularmente nelle stante aventi lati lunghi contrapposti a lati corti.

La tecnica di questi mosaici ha dei procedimenti in parte simili alla pittura ad affresco: il pittore delineava con una "sinòpia" i contorni della raffigurazione per lasciare ad un mosaicista a tappezzare di sassi pareti, soffitti e pavimenti delineati dalla sinòpia. Sul supporto a mosaico interviene nuovamente il pittore, che con l'uso dei tempera colorata ammorbidita con latte di fico dà forma alle complesse figure.

Come nel processo "a fresco" il lavoro era frammentario e procedeva pezzo a pezzo; è chiaro il motivo per cui Procaccini rimase impegnato dal 1587 al 1589.

Un’eccezione in questo piano decorativo interamente a mosaico è costituita da un piccolo ambiente chiamato stanza dell'uovo. Costruito con incrostazioni di travertino, mosaico di ciottoli bianchi e neri e conchiglie disposte a riprodurre la forma di una valve entro le nicchie delle pareti. Arricchiscono la stanzetta composizioni con pietre dure azzurre e, nei riquadri, raffigurazioni di animali, tra cui la civetta, sacra a Minerva, dea della sapienza.

Una pianta e una decorazione singolare ha pure l'atrio del sedile, sorta di portico affacciato su un piccolo giardino dove sono sistemate, sopra una montagnola di travertino, due statue in stucco che riproducono l'Aurora e il Crepuscolo (tombe Medicee, Firenze, San Lorenzo, Michelangelo).

L'insieme presenta un divano e appoggi, posandosi sui quali, il visitatore viene investito da getti d'acqua. Sulla volta, l'emblema ducale di casa Litta. Un angioletto femminile collocato su una mensola accoglie gli ospiti con zampilli e spruzzi.

Prospiciente il cortiletto della girandola un putto, al centro di una vasca, sostiene una girandola che, azionata dalla forza dell'acqua, offre agli ospiti riflessi e iridiscenze mediante gli specchietti su di essa applicati.

Un emiciclo, sorta di passeggiata coperta, costruito con una volta a botte sulla quale si alternano composizioni di stalattiti e pareti in cotto, decorate con formazioni travertinose e stalattitiche, riproduce numerosi anfratti ricchi di statue e panchine.

Oltre questo emiciclo si estende un labirinto costruito artificialmente con travertino le cui vie conducono ad una galleria coperta decorata con mosaico di ciottoli colorati. All'ingresso della galleria si presentano tre najadi che, studi recenti (A. Morandotti), attribuiscono a Francesco Brambilla il giovane. Di esse, quella centrale, secondo la tradizione popolare lainatese e detta "La Vegia Tuntona" (da tentona, tentatrice) sinonimo di perdizione o vita peccaminosa.

La lunga galleria, posta al di sotto della torre delle acque, è decorata a mosaico con sassi colorati da Francesco Levati (fine XVIII sec.). Alle pareti una finta ara, rovine di un tempio e motivi arborei. Sulla volta, riproduzioni di stormi di rondini.

Un altro ambiente, isolato rispetto alla predominante simmetria dell'edificio, è una sala ottagonale con soffitto a cielo aperto: il cortile delle piogge. Costituito da otto cariatidi perimetrali (ne rimangono, frammentarie, quattro) che raccordano pareti affrescate e prospettive architettoniche. Al centro una colonna cava in marmo delle Valli ossolane.

L'acqua, opportunamente manovrata, che zampillava o che cadeva dalla trabeazione, consentiva di produrre differenti effetti di pioggia e la creazione simultanea di arcobaleni. Ai piedi della porta che immette nella galleria "lo scalino di Stendhal", il grande poeta francese ospite nella villa del Duca Litta nel 1817.

Il fronte nord dell’edificio è costituito da due lunghe pareti simmetriche ricoperte di arenaria, due ampi emicicli scanditi da colonne ioniche e due nicchie con statue allegoriche del Mattino e del Vespro.

Collocata su una montagnola artificiale, collegata al giardino rinascimentale da rampe in ciottoli di pietra, si erge la costruzione della Torre dell’Acqua o serbatoio.

A metà delle rampe, il Grottino, piccolo ambiente con giochi d’acqua ai sedili e alcuni soffioni. Ai quattro lati della Torre tracce di affresco rappresentanti forse le stagioni.

All'interno della Torre, un serbatoio in rame dalla capacità di 7,5 metri cubi costituiva la riserva idrica che, grazie a 20 metri di caduta, attraverso una tubazione in piombo di 890 metri con registri (rubinetti), permetteva il funzionamento dell’intero sistema delle fontane, dei mormorii, delle nove cascate e dei 53 "scherzi".

I giochi d'acqua

Il piacevole incanto del Ninfeo è costituito dai suoi giochi d’acqua. L'impianto idraulico, che coglieva la geniale intuizione dell'ingegnere militare Agostino Ramelli, profondo conoscitore delle macchine idrauliche di Leonardo cui apporta oltre cento modifiche, utilizzava la meccanica di un pozzo e non la forza idraulica di un torrente o di una cascata, come comunemente accadeva negli "edifici di frescura" dell'epoca.

Il Pronao, costruito su una idea architettonica di Sebastiano Serlio (XVI sec.), raccolta dagli studi e ricerche di Vincenzo Scamozzi "L'idea dell'architettura universale", accoglie i visitatori. Nelle lunette: due bassorilievi del Carabelli rappresentanti Venere al bagno e Diana cacciatrice. Sulle balaustrate sono collocati dodici vasi in pietra viva, opera di Francesco Brambilla il giovane. Dai vasi, altrettanti getti a fontana alimentano draghi e arpie. L'espressione del viso di alcune di queste figure ha toni di intensa drammaticità.

Superati i primi gradini, la scritta a mosaico 1780 (data dell'ultimo importante intervento di rifacimento), le cascatelle delle vaschette in marmo rosa, le statue cinquecentesche in stucco di Giano (sinistra) ed Ercole (destra) e il trionfo degli spruzzi dell'atrio. Due gallerie simmetriche e con eguale numero di getti che si levano dal pavimento conducono l'una, a sinistra, alle grotte nuove, l'altra, a destra, detta galleria delle romane, al cortile delle piogge. In alto, su entrambi i lati, nei lunettoni, allegorie di fiumi creano nell'ospite l'illusione e il timore di essere investito da un'autentica cascata. L'acqua, invece, opportunamente guidata da fontanieri celati in nicchie nascoste ricoperte di tufo ove, da feritole mascherate osservavano i movimenti di dame e cavalieri, ricade attraverso saltelli artificiali che ne frenano la forza ma ne aumentano l’efficacia e lo stupore.

Attraverso un arco pensile si raggiunge, superati ed ammirati gli zampilli del pavimento, il cortile delle piogge con la colonna in marmo verde dell'Ossola.

La sorpresa maggiore e data dallo spettacolo scenografico dell'Atrio dei Quattro Venti. L'acqua gorgoglia cadendo a cascatelle dall'alto e nelle quattro vasche laterali. Gli spruzzi si incrociano ai due ingressi e soprattutto, con differente intensità, si levano circolarmente dal centro della stanza. I fontanieri cadenzano i movimenti dell'acqua sulle note musicali di brani d'epoca.

I complessi e delicati interventi di ripristino hanno portato al recupero dei giochi d'acqua della stanza dell'uovo, unica ad essere dotata di impianto idrico. L'acqua sgorga da un bacile collocato entro una nicchia, ricade, dopo una serie di evoluzioni, in una vasca di marmo rosa ed aziona lo zampillo centrale ove, in origine, era posizionata una gallina di metallo dorato. Altri giochi alle pareti e all'intorno dell'apertura al soffitto.

Alle sporgenze laterali del fronte nord del Ninfeo, due grandi statue in marmo bianco,il Vespro e il Mattino, con ai piedi, una vasca con fontana.

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