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Il
Parco
Elemento
fondamentale che costantemente viene
riscontrato nell'analisi delle ville
sono il parco e i giardini. Essi
tendevano ad instaurare un rapporto
molto stretto tra natura ed
artificio ed evidenziare un processo
in evoluzione nell'arte della
sistemazione degli elementi naturali
e architettonici.
Infatti il giardino, come veniva
rappresentato nei vari periodi,
tendeva a manifestare sia il
carattere che il significato,
l'indole, il gusto e la sensibilità
di una società.
Nel
medioevo, il giardino era concepito
più come luogo di riposo, di
convegni amichevoli e non aveva
pretese d'arte. Il tracciato era
elementare, i prati avevano forme
geometriche ed erano delimitati da
vialetti.
Il
cinquecento, invece, porta una
svolta alla concezione del giardino
e tende a rappresentare il
razionalismo dell'epoca e il dominio
dell'uomo sul mondo sensibile.
L'uomo del rinascimento non veniva
attratto dalla natura, ma guardava
il giardino come uno spazio di
residenza all'aria aperta che
rispecchiava la magnificenza della
casa. È il seicento il periodo in
cui le concezioni cinquecentesche
vengono riprese nel giardino che
adesso tende ad ampliarsi e a
tramutarsi in parco. Si usano grandi
curve regolari e subentra la fusione
tra il giardino, lasciato crescere
al suo stato naturale, ed il
paesaggio circostante.
Il
parco della Villa è un insieme di
giardini promiscui e testimonia la
parziale adesione alla poetica del
giardino paesaggistico o
all’inglese che, tra la fine del
XVII e gli inizi del XIX secolo, si
preferisce affiancare alla
consolidata tradizione del giardino
formale.
La
parte compresa tra il palazzo e il
ninfeo era costituita nel 1656 da un
prato con un’area destinata al
gioco e con diverse piante di rovere
antistanti la facciata del ninfeo.
Successivamente fu suddivisa in vari
scomparti curvilinei a tappeto verde
con arbusti e piante di alto fusto.
Oltrepassato
l’edificio del ninfeo, che si
colloca come elemento separatore, si
raggiunge la zona destinata a
giardino formale. Lo schema iniziale
era quadripartito con vasi di agrumi
che ne sottolineavano la scansione.
In quest’area si sono concentrati
gli interventi settecenteschi più
qualificanti quali l’edificazione
della fontana di Galatea, le serre
degli ananas e dei limoni per la
coltivazione di piante esotiche e le
quattro aiuole da fiore dette
"quadri all’olandese",
con cordoli in "cornettone"
che sottolineano il ricco disegno
curvilineo.
A
ovest è situata la parte più
estesa del parco, definita nei
documenti citati "Novo
Boschetto". È caratterizzata
da scomparti irregolari a tappeto
verde con arbusti e piante d’alto
fusto, dove è intervenuto
l’architetto L. Canonica agli
inizi dell’ottocento.
Questa
zona era tagliata in due da un ampio
viale (l’asse est-ovest) eliminato
durante le ultime modifiche
effettuate all’inizio del nostro
secolo.
L’altra
parte che ha subito numerose
trasformazioni è il "giardino
degli agrumi", affiancato al
precedente in direzione sud e
composto da due zone a diversa
quota. La superficie a quota
inferiore, con al centro la fontana
di Nettuno, era quadripartita e
scandita da basi in granito per i
grandi vasi di cedri. La zona più
settentrionale, invece, comprendeva
due sistemi di serre, di cui due
destinate ai cedri, e una più a
nord, a riparare il berceau dei
limoni ed era costituita da una
parte fissa in muratura e una mobile
in legno e vetro. Tutta questa zona
era recintata sui tre lati da una
siepe di bosso e da una doppia fila
di carpini con rami potati a volta.
Infine
l’ultima parte del giardino è
quella che fronteggia il quarto
nuovo, cosiddetta "teatro di
verzura". Destinata a feste e
rappresentazioni, è composta da una
parte centrale a tappeto verde
circondata da tassi e carpini
potati, che si riflettono a ovest in
una esedra con al centro la nicchia
per la statua di Adone del
Prestinari. Ancora siepi di bosso e
carpini formavano, un poco più a
nord, un labirinto di cui oggi non
è rimasta alcuna traccia.
Tracce
dell’antico splendore del parco si
possono cogliere nella permanenza di
alcuni tracciati, nei doppi filari
di carpini, nel raffinato disegno
delle aiuole superstiti e nei
leggeri dislivelli in cui si
articolava il giardino.
Le
matrici geometriche del parco sono
costituite da un doppio sistema di
assi ortogonali adattati
all’irregolarità del lotto. Il
sistema primario include l’asse di
penetrazione sud-nord, che partendo
dall’ingresso della Villa
attraversa l’edificio del ninfeo e
termina nell’esedra a
settentrione, e l’asse est-ovest,
che percorre una corte minore, il
cortile d’onore, il "quarto
nuovo" culminando in un
anfiteatro naturale.
Quasi
parallelamente a quest’ultimo, e
perpendicolare all’asse nord-sud,
troviamo l’asse Nerviano-Bariola
di collegamento tra l’impianto
della Villa e il contesto
territoriale.

Il
sistema secondario organizza le
varie parti del giardino mantenendo
la suddivisione cruciforme in
quattro campi uguali con il centro
evidenziato da una fontana.
Nell’organizzazione
scenografica del complesso, la
qualificazione dei punti di snodo
attestati lungo gli assi e la
caratterizzazione dei loro estremi
ha prodotto un ricco repertorio
formale spesso impreziosito dalla
presenza dell’acqua.
Così
l’uso ripetitivo dell’elemento
circolare enfatizza tutti i punti di
snodo dell’asse principale
sud-nord (in successione l’atrio
del Mercurio, l’atrio dei quattro
venti, la fontana di Galatea). Le
nicchie con statue costituiscono i
punti terminali degli assi, la cui
importanza si riflette nella
dimensione delle nicchie e nella
fattura delle decorazioni.
Il
sistema primario ha ai suoi lembi
l’esedra a nord e a ovest la
nicchia "verde" formata da
carpini con una statua di Adone.
Punto terminale dell'asse nord-sud,
con nicchione in travertino ricavato
da una finta edicola in calcare
grigio, è il gruppo scultoreo in
cotto raffigurante il Ratto di
Proserpina. Copia dell’opera del
Giambologna (Firenze - Piazza della
Signoria, Loggia dei Lanzi) è
attribuita dal critico Federico Zeri
a Pietro Francavilla, allievo
dell'artista.
Le
limonaie chiudono il fronte nord del
giardino. Collocate ai lati
dell'esedra, sono edifici con ampie
aperture ad arco e servivano per il
ricovero dei "naranzi et
limoni", come si riscontra
nell'inventario del luogo del 1604,
in cui si fa riferimento a 156 di
tali piante collocate, parte in vasi
in cotto, parte in mastelli in legno
reggiati.
Il
sistema secondario prevede nicchie
di ridotte dimensioni tra cui tre
incluse nel muro di cinta a ovest, e
una situata al centro delle serre
nel giardino degli agrumi, purtroppo
oggi tutte perdute.
Grande
valenza compositiva è attribuita
alla fontana di Galatea e alla
fontana di Nettuno. La prima
costituisce un insieme di bellezza
unica. Opera di Donato Carabelli,
sempre databile alla metà del 1700,
è in marmo bianco di Candoglia, lo
stesso usato per la costruzione del
Duomo di Milano. Collocata al centro
del giardino, costituisce il punto
di intersezione tra l'asse
costruttivo principale (sud-nord) e
l'asse dei viali (est-ovest) che
collegavano i vastissimi
possedimenti della famiglia dalla
cascina Camilla alla cascina del
Piede, oggi nel territorio di
Nerviano. Di notevoli dimensioni e
articolata su piani diversi. Al
bacino centrale, in cui campeggiano,
sorretti da coppie di puttini, gli
stemmi nobiliari delle famiglie
Visconti, Borromeo, Arese e Litta,
si accede da quattro scale a gradoni
che sfociano in un percorso anulare.
Delimitano le estremità degli
accessi otto supporti in marmo che
reggono altrettanti vasi in pietra
viva.
Tre
tritoni, due maschili e uno
femminile, emergono dal bacino.
Queste figure, nei cui volti
l'artista ha rappresentato insieme
la violenza della lotta contro il
serpente marino e lo sforzo della
fatica fisica sorreggono la
conchiglia centrale. Galatea, figlia
di Nereo e Doride, guarda sorridendo
un amorino e Cupido che, con faretra
e turcasso, pare interrogare la dea.
Un delicato drappeggio marmoreo
copre il grembo della divinità. Gli
spruzzi dell'acqua che con il vento
colpiscono il gruppo scultoreo danno
al marmo la lucentezza dell'avorio e
creano, nell'atmosfera del giardino,
effetti di intensa suggestione.  
La
seconda, Collocata, intorno alla metà
del Settecento, nel luogo in cui
originariamente si trovava il
giardino degli agrumi a opera di
Donato Carabelli. Il gruppo marmoreo
che ricorda i contemporanei
interventi del Bernini è costituito
da un bacino circolare al centro del
quale, coppie di amorini sorreggono
i trofei nobiliari della famiglia
Litta. Il bacino è posizionato a
livello del prato e Nettuno con il
tridente è attorniato da due putti
coronati con pampini; quattro grandi
tritoni sorreggono la conchiglia su
cui e adagiata la divinità marina.
Il
Ninfeo
In
origine il ninfeo era stato il
tempio delle ninfee, che secondo la
mitologia greco-romana, popolavano i
mari, le fonti, i boschi ed i monti.
Mutando il significato culturale, il
termine ninfeo nella Roma imperiale,
diveniva sinonimo di fontana
monumentale.
Un
primo scrittore nel Rinascimento che
ci tramandava le descrizioni di
queste costruzioni, fu Leon Battista
Alberti, che narrandoci di grotte
artificiali, sembrava riferirsi a
grotte naturali abbellite dalla mano
dell'uomo.
Nel
cinquecento però, la maggior parte
dei ninfei era costituita da uno o
più ambienti in muratura, che
situati in ampi parchi, volevano
rappresentare antri naturali con la
creazione illusoria di un regno
d'acque, attraverso un uso
appropriato di spugne, pietre
pomici, madreperle, coralli,
conchiglie e tufi. Questi materiali
incastonati l'uno nell'altro su
tortuose pareti, formavano
magnifiche decorazioni alle quali si
univano mosaici, affreschi, e
stucchi. Le raccolte di statue che
disposte lungo pareti o in nicchie,
contribuivano ad abbellire
l'edificio rappresentavano una sorta
di rinascita del paganesimo antico,
con ninfe e satiri burleschi.
Il
ninfeo diveniva per analogia la
grande fontana monumentale delle
ville rinascimentali e barocche
arricchito da portici, esedre,
nicchie, grotte artificiali e
scenograficamente realizzato il più
delle volte sul declivio naturale
del terreno.
A
Lainate assume una grande importanza
non solo per la sua splendida
architettura e l'avanzatissimo
impianto idraulico, ma anche per il
significato culturale che acquista
con le collezioni d'arte racchiuse.
Il
ninfeo di Lainate corre
parallelamente e simmetricamente al
nucleo abitato della Villa ed è
costituito da un complesso
rettangolare coperto, il cui lato
lungo misura 50 metri circa e il
lato corto 10 metri circa; verso
nord l'edificio si estende (alle
estremità lunghe del rettangolo)
con due emicicli affrontati
simmetricamente e perpendicolari
alla costruzione, che continuano in
due strutture monumentali a L, sorta
di quinte laterali che chiudono a
nord il gioco di linee
dell'edificio.

Un
rifacimento del tardo settecento, di
cui conosciamo ogni minimo
dettaglio, ha modificato in maniera
sostanziale l'architettura esterna
del ninfeo: originariamente la
facciata era costituita in
"cotto a vista" con una
probabile attenzione filologica tesa
a recuperare l'uso del materiale
costruttivo degli edifici termali
romani, per tutto il cinquecento
punto di riferimento per i
costruttori di fontane monumentali.
Con il restauro ad opera dei Litta
lo stesso fronte viene ricoperto da
una "pellicola" di
arenaria ("cornettone")
con funzione protettiva dell'umidità.
Diversamente
il prospetto sud viene letteralmente
ricostruito da una equipe di artisti
guidata dal pittore Levati e dallo
scultore Carabelli. Gli artisti, con
il loro intervento, hanno voluto
riassumere nella fronte d'entrata
alle sale del ninfeo le
caratteristiche di "luogo
d'acqua" proprie dell'edificio.
Attraverso
l'uso del tufo e bassorilievi
raffiguranti divinità marine si
voleva ricostruire un "regno
d'acque" e, in questo senso,
ben si reinterpretava la procedura
costruttiva delle fontane
artificiali già tipica del
rinascimento, ma nel nostro caso si
snaturava la concezione originaria
dell'edificio.
 
Gli
ospiti, che dalla corte del palazzo
giungono al giardino, si imbattono
nel ninfeo; li attende un pronao
avanzato rispetto al corpo
dell'edificio formato da quattro
pilastri in cotto a fianco dei quali
corrono due balaustre in pietra,
decorate a intervalli regolari con
figure di draghi e arpie "idraulicizzate",
attraverso le quali defluiscono le
acque zampillanti da fiorami di
rame.
Gli
ospiti proseguono, e attraversato il
pronao entrano nel primo ambiente:
una stanza centrale dell'edificio a
pianta ottagonale (denominato atrio
dei quattro venti) costruita,
all'interno, con una cupola
illusionistica che allunga verso
l'alto la stanza.
Da
questo ottagono si accede alla altre
stanze del ninfeo, circa 500 mq.
interamente "tappezzati" a
mosaico di sassi colorati (pareti e
pavimenti), adibiti all'esposizione
della collezione di Pirro I, statue
di bronzo e di marmo, quadri di
Coreggio, Bronzino, e Luini,
curiosità della natura e dell'arte
che, in ogni angolo, suscitano la
meraviglia dello spettatore.
Il
succedersi di queste stanze a
mosaici è interrotta da un piccolo
ambiente costruito con incrostazioni
di tufo, elementi marini, mosaici,
dove le acque gocciolanti fra i tufi
si raccolgono in una vasca di marmo
inserita in una sorta di grotta e,
esplosione di curiosità e "notturnismo",
da un grande emiciclo dove un
passaggio ricco di conchiglie,
stalattiti, stalagmiti, composte ad
arte richiamava in mondo delle
grotte marine ed un magico sfondo
all'esposizione di statue di venere
di marmo, disposte in alcune vasche
dove si raccolgono le acque
provenienti dalle rocce di questo
"museo geologico e
statuario".
Ambiente
estraneo alla concezione del
rettangolo a mosaici è il "cortino
delle piogge", ambiente a cielo
aperto con pianta ottagonale
ristrutturato nel tardo settecento
con interventi scultorei di
Carabelli (cariatidi di gesso) e
pittorici di Levati (prospettive
fantastiche)".
Martino
Bassi progettò la cupola dell'atrio
dei quattro venti e la pianta del
ninfeo, ma sono da attribuire a
Francesco Brambilla la balaustra
delle "romane" (draghi e
arpie a sud del ninfeo), la
progettazione dell'apparato
decorativo di tufi e conchiglie
dell'emiciclo e delle grotte, la
progettazione del grottino (detta
stanza dell'uovo", l'esecuzione
delle due statue entro le nicchie ai
lati dell'entrata dell'atrio
ottagonale centro dell'edificio.
Nell'esecuzione
dei giochi d'acqua lavora un
ingegnere idraulico che,
all'avanguardia nel nord Italia,
costruisce uno dei rarissimi
impianti idrici per fontana servito
dall'acqua di un pozzo.
Al
di sotto di una graziosa balconata e
di una celletta a nicchie binate, un
serbatoio in rame dalla capacità di
sette metri cubi e mezzo, costituiva
la riserva idrica che, grazie a 20
metri di caduta, attraverso una
tubazione in piombo di 890 metri con
registri (rubinetti), permetteva il
funzionamento dell'intero sistema
delle fontane, dei mormorii, delle
nove cascate e dei 53
"scherzi". E il buon
cavallo, nella "casa del
macchinista idraulico"
adiacente alla torre, girando in
tondo, azionava le pompe a vuoto che
pescavano l'acqua dal pozzo
principale e alimentavano il
serbatoio collocato lassù.
 
Una
personalità certamente importante
quanto riconoscibile nella
"fucina artistica" di
Lainate è quella di Camillo
Procaccini. Egli interviene nei
soffitti delle sei stanze a nord
dell'edificio, simmetricamente
divise dall'ottagono centrale in tre
stanze per lato. Le decorazioni di
questi ambienti sono ispirate a un
gusto per il movimento e il
metamorfismo che già abbiamo visto
essere alla base della concezione di
tutto l'edificio: lo spettatore vede
terminare un busto d'uomo con arti
d'animale o in forma di pianta, o un
corpo d'animale assottigliarsi in un
fusto di pianta, tutto in una
continuità di linee che non lascia
mai pausa allo sguardo.
Le
decorazioni si ripetono
simmetricamente nei quattro spicchi
delle volte delle stanze
raddoppiandosi specularmente nelle
stante aventi lati lunghi
contrapposti a lati corti.
La
tecnica di questi mosaici ha dei
procedimenti in parte simili alla
pittura ad affresco: il pittore
delineava con una "sinòpia"
i contorni della raffigurazione per
lasciare ad un mosaicista a
tappezzare di sassi pareti, soffitti
e pavimenti delineati dalla sinòpia.
Sul supporto a mosaico interviene
nuovamente il pittore, che con l'uso
dei tempera colorata ammorbidita con
latte di fico dà forma alle
complesse figure.
Come
nel processo "a fresco" il
lavoro era frammentario e procedeva
pezzo a pezzo; è chiaro il motivo
per cui Procaccini rimase impegnato
dal 1587 al 1589.
Un’eccezione
in questo piano decorativo
interamente a mosaico è costituita
da un piccolo ambiente chiamato
stanza dell'uovo. Costruito con
incrostazioni di travertino, mosaico
di ciottoli bianchi e neri e
conchiglie disposte a riprodurre la
forma di una valve entro le nicchie
delle pareti. Arricchiscono la
stanzetta composizioni con pietre
dure azzurre e, nei riquadri,
raffigurazioni di animali, tra cui
la civetta, sacra a Minerva, dea
della sapienza.
Una
pianta e una decorazione singolare
ha pure l'atrio del sedile, sorta di
portico affacciato su un piccolo
giardino dove sono sistemate, sopra
una montagnola di travertino, due
statue in stucco che riproducono
l'Aurora e il Crepuscolo (tombe
Medicee, Firenze, San Lorenzo,
Michelangelo).
L'insieme
presenta un divano e appoggi,
posandosi sui quali, il visitatore
viene investito da getti d'acqua.
Sulla volta, l'emblema ducale di
casa Litta. Un angioletto femminile
collocato su una mensola accoglie
gli ospiti con zampilli e spruzzi.
Prospiciente
il cortiletto della girandola un
putto, al centro di una vasca,
sostiene una girandola che, azionata
dalla forza dell'acqua, offre agli
ospiti riflessi e iridiscenze
mediante gli specchietti su di essa
applicati.
Un
emiciclo, sorta di passeggiata
coperta, costruito con una volta a
botte sulla quale si alternano
composizioni di stalattiti e pareti
in cotto, decorate con formazioni
travertinose e stalattitiche,
riproduce numerosi anfratti ricchi
di statue e panchine.
Oltre
questo emiciclo si estende un
labirinto costruito artificialmente
con travertino le cui vie conducono
ad una galleria coperta decorata con
mosaico di ciottoli colorati.
All'ingresso della galleria si
presentano tre najadi che, studi
recenti (A. Morandotti),
attribuiscono a Francesco Brambilla
il giovane. Di esse, quella
centrale, secondo la tradizione
popolare lainatese e detta "La
Vegia Tuntona" (da tentona,
tentatrice) sinonimo di perdizione o
vita peccaminosa.
La
lunga galleria, posta al di sotto
della torre delle acque, è decorata
a mosaico con sassi colorati da
Francesco Levati (fine XVIII sec.).
Alle pareti una finta ara, rovine di
un tempio e motivi arborei. Sulla
volta, riproduzioni di stormi di
rondini.
Un
altro ambiente, isolato rispetto
alla predominante simmetria
dell'edificio, è una sala
ottagonale con soffitto a cielo
aperto: il cortile delle piogge.
Costituito da otto cariatidi
perimetrali (ne rimangono,
frammentarie, quattro) che
raccordano pareti affrescate e
prospettive architettoniche. Al
centro una colonna cava in marmo
delle Valli ossolane.
L'acqua,
opportunamente manovrata, che
zampillava o che cadeva dalla
trabeazione, consentiva di produrre
differenti effetti di pioggia e la
creazione simultanea di arcobaleni.
Ai piedi della porta che immette
nella galleria "lo scalino di
Stendhal", il grande poeta
francese ospite nella villa del Duca
Litta nel 1817.
Il
fronte nord dell’edificio è
costituito da due lunghe pareti
simmetriche ricoperte di arenaria,
due ampi emicicli scanditi da
colonne ioniche e due nicchie con
statue allegoriche del Mattino e del
Vespro.
Collocata
su una montagnola artificiale,
collegata al giardino rinascimentale
da rampe in ciottoli di pietra, si
erge la costruzione della Torre
dell’Acqua o serbatoio.
A
metà delle rampe, il Grottino,
piccolo ambiente con giochi
d’acqua ai sedili e alcuni
soffioni. Ai quattro lati della
Torre tracce di affresco
rappresentanti forse le stagioni.
All'interno
della Torre, un serbatoio in rame
dalla capacità di 7,5 metri cubi
costituiva la riserva idrica che,
grazie a 20 metri di caduta,
attraverso una tubazione in piombo
di 890 metri con registri
(rubinetti), permetteva il
funzionamento dell’intero sistema
delle fontane, dei mormorii, delle
nove cascate e dei 53
"scherzi".
I
giochi d'acqua
Il
piacevole incanto del Ninfeo è
costituito dai suoi giochi
d’acqua. L'impianto idraulico, che
coglieva la geniale intuizione
dell'ingegnere militare Agostino
Ramelli, profondo conoscitore delle
macchine idrauliche di Leonardo cui
apporta oltre cento modifiche,
utilizzava la meccanica di un pozzo
e non la forza idraulica di un
torrente o di una cascata, come
comunemente accadeva negli
"edifici di frescura"
dell'epoca.
Il
Pronao, costruito su una idea
architettonica di Sebastiano Serlio
(XVI sec.), raccolta dagli studi e
ricerche di Vincenzo Scamozzi
"L'idea dell'architettura
universale", accoglie i
visitatori. Nelle lunette: due
bassorilievi del Carabelli
rappresentanti Venere al bagno e
Diana cacciatrice. Sulle balaustrate
sono collocati dodici vasi in pietra
viva, opera di Francesco Brambilla
il giovane. Dai vasi, altrettanti
getti a fontana alimentano draghi e
arpie. L'espressione del viso di
alcune di queste figure ha toni di
intensa drammaticità.
Superati
i primi gradini, la scritta a
mosaico 1780 (data dell'ultimo
importante intervento di
rifacimento), le cascatelle delle
vaschette in marmo rosa, le statue
cinquecentesche in stucco di Giano
(sinistra) ed Ercole (destra)
e il trionfo degli spruzzi
dell'atrio. Due gallerie simmetriche
e con eguale numero di getti che si
levano dal pavimento conducono
l'una, a sinistra, alle grotte
nuove, l'altra, a destra, detta
galleria delle romane, al cortile
delle piogge. In alto, su entrambi i
lati, nei lunettoni, allegorie di
fiumi creano nell'ospite l'illusione
e il timore di essere investito da
un'autentica cascata. L'acqua,
invece, opportunamente guidata da
fontanieri celati in nicchie
nascoste ricoperte di tufo ove, da
feritole mascherate osservavano i
movimenti di dame e cavalieri,
ricade attraverso saltelli
artificiali che ne frenano la forza
ma ne aumentano l’efficacia e lo
stupore.
Attraverso
un arco pensile si raggiunge,
superati ed ammirati gli zampilli
del pavimento, il cortile delle
piogge con la colonna in marmo verde
dell'Ossola.
La
sorpresa maggiore e data dallo
spettacolo scenografico dell'Atrio
dei Quattro Venti. L'acqua gorgoglia
cadendo a cascatelle dall'alto e
nelle quattro vasche laterali. Gli
spruzzi si incrociano ai due
ingressi e soprattutto, con
differente intensità, si levano
circolarmente dal centro della
stanza. I fontanieri cadenzano i
movimenti dell'acqua sulle note
musicali di brani d'epoca.
I
complessi e delicati interventi di
ripristino hanno portato al recupero
dei giochi d'acqua della stanza
dell'uovo, unica ad essere dotata di
impianto idrico. L'acqua sgorga da
un bacile collocato entro una
nicchia, ricade, dopo una serie di
evoluzioni, in una vasca di marmo
rosa ed aziona lo zampillo centrale
ove, in origine, era posizionata una
gallina di metallo dorato. Altri
giochi alle pareti e all'intorno
dell'apertura al soffitto.
Alle
sporgenze laterali del fronte nord
del Ninfeo, due grandi statue in
marmo bianco,il Vespro e il Mattino,
con ai piedi, una vasca con fontana.
 
Pag.
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