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Il Duomo
di Monza
è stato edificato tra il VI e il
VII secolo e si trova nella piazza
omonima della città lombarda.
Monza
esce dal panorama nebuloso dei
centri minori del territorio
milanese durante il regno ostrogoto:
Paolo Diacono, nella sua Historia
Langobardorum,
ne sottolinea la prossimità a
Milano e la salubrità del clima,
ragioni che inducono Teodorico a
costruirvi il suo Palatium magnum.
Successivamente
Monza conosce nuova importanza
quando viene scelta come residenza
estiva dalla regina Teodolinda,
principessa bavarese, vedova di
Autari e sposa di Agilulfo, re dei
Longobardi.
Dice la tradizione che sia
stata la regina dei Longobardi,
Teodolinda a volere questo tempio.
Infatti aveva promesso di erigere un
tempio a San Giovanni ed aspettava
un'ispirazione divina che le
indicasse il luogo più adatto.
Mentre cavalcava un giorno col suo
seguito attraverso una piana ricca
di olmi e bagnata dal Lambro, la
regina si fermò a riposare lungo le
rive del fiume. In sogno elle vide
una colomba che si fermò poco
lontano da lei e le disse
"Modo" (qui); prontamente
la regina rispose "Etiam"
(sì) e la basilica sorse nel luogo
che la colomba aveva indicato e
dalle due parole pronunciate dalla
colomba e dalla regina venne il
primo nome della città Modoetia.
Teodolinda fece erigere nel 595
un oraculum (cappella della regina)
di pianta a croce greca, oggi di
questa prima costruzione rimangono
solo i muri risalenti al VI
secolo. Alla morte della
regina, sebbene l'edificio non fosse
ancora terminato, il suo corpo fu
sepolto qui, al centro della navata
sinistra. Sui resti dell'oraculum fu
prima edificato nel Duecento e poi
allungato verso occidente, un nuovo
tempio.

La
regina fa edificare a Monza anche un
Palazzo,
magnificamente decorato con le
imprese dei Longobardi, e accanto al
palazzo fonda una Basilica, che
dedica a San Giovanni Battista,
dotandola di molti ornamenti d'oro e
d'argento e di rendite sufficienti.
Le informazioni disponibili sul
tempio originario sono scarsissime e
l'unica fonte disponibile è ancora
la Historia Langobardorum,
che Paolo Diacono compose al
crepuscolo del regno Longobardo.
Il
San Giovanni monzese, nato come
cappella palatina, nel 603 è usato
eccezionalmente anche come luogo di
battesimo per Adaloaldo, figlio di
Teodolinda e Agilulfo ed erede al
trono longobardo. Il battesimo viene
celebrato da Secondo di Trento,
abate benedettino consigliere della
regina.
In
quella e in altre occasioni, papa
Gregorio I manifesta con doni e
lettere la propria approvazione per
il progetto politico di Teodolinda,
mirante alla normalizzazione dei
rapporti con la sede pontificia e
alla conversione del popolo
longobardo dall'eresia ariana al
cattolicesimo.
Alla
sua morte, avvenuta nel 627,
Teodolinda è sepolta all'interno
della Basilica. Il luogo della
sepoltura è subito fatto segno di
devozione, sino al 1308, quando i
resti della sovrana vengono traslati
in un sarcofago, oggi collocato
all'interno della Cappella della
Regina. Anche il sarcofago diviene
oggetto di venerazione e per secoli,
ogni anno, nell'anniversario della
morte di Teodolinda, il 22 gennaio,
si svolge una cerimonia all'altare
di quella cappella, presso il
sepolcro.
Come
tutto nel Medioevo anche la
rifondazione del Duomo si ammanta di
leggenda. Secondo un cronista
locale, Bonincontro Morigia,
all'origine di tutto sarebbe da
porre un'apparizione miracolosa (di
Teodolinda e di S. Elisabetta) a un
prete, Francesco da Giussano, al
quale viene chiesto di riscoprire
antiche reliquie, da tempo
dimenticate. Ritrovate le reliquie
all'interno di un sarcofago romano
(quello di Audasia Cales), ed
esposte alla pubblica venerazione,
il 31 Maggio si pone la prima pietra
della ricostruzione. Si tratta,
evidentemente, di un'operazione
insieme religiosa e politica (ai
Visconti era infatti legato
l'arciprete Avvocato degli Avvocati)
per affermare il dominio dei nuovi
signori sul contado, sostenere, in
opposizione alla curia romana, le
devozioni locali e recuperare la
tradizione regale longobarda. Nel
1308 si provvede a traslare il corpo
della regina in un sarcofago di
pietra sostenuto da colonnine (oggi
nella Cappella
di Teodolinda), secondo un
diffuso modello di prestigio.
La
prima fase edilizia si conclude nel
1346, anno della consacrazione
dell'altare maggiore e della
realizzazione del paliotto in
argento di Borgino del Pozzo,
ispirato all'altare d'oro di
Sant'Ambrogio a Milano.
Artefice
della seconda e più solenne fase è
Matteo da Campione, esponente di
quella stirpe di costruttori
proveniente dalla zona dei laghi tra
Lombardia e attuale Canton Ticino,
alla quale i Visconti
commissionarono tante imprese
edilizie e decorative del ducato nel
corso del Trecento. La sua
lapide
funeraria, immurata all'esterno
della cappella del Rosario, ci
informa sulla sua attività (il
completamento della grande facciata
"a vento", la
realizzazione del pulpito e del
battistero) e testimonia il
prestigio da lui raggiunto e la sua
devozione.
Egli fu certamente
interprete dell'aspirazione dei
Visconti a realizzare una grande
basilica per le incoronazioni
imperiali, secondo la tradizione
germanica che imponeva
all'imperatore di assumere tre
corone: quella d'argento ad
Aquisgrana, quella d'oro a Roma e
quella "di ferro" appunto
a Monza (o a Milano). E di ciò si
ha una straordinaria testimonianza
iconografica nella grande lastra (già
chiusura posteriore del pulpito)
oggi
collocata
presso l'ingresso della sacrestia.
A
Matteo spetta anche la costruzione
delle due cappelle gemelle ai lati
dell'abside maggiore. Quella di
destra (già del S. Chiodo e oggi
dedicata al S. Rosario) venne
decorata intorno al 1417-18
(sopravvive un unico frammento con
Cristo crocifisso, attribuito a
Michelino da Besozzo); quella di
sinistra (dedicata a Teodolinda)
decorata tra il 1444 e il 1446 dalla
famiglia di pittori lombardi
Zavattari che realizzarono il
celebre ciclo di affreschi
tardogotici.
Occorre
attendere oltre un secolo per
assistere alla ripresa dell'attività
decorativa, che questa volta
interessa i bracci dei transetti. È
sempre nella seconda metà del
Cinquecento che si avvia, in
rapporto alle trasformazioni imposte
dal Concilio di Trento, una profonda
rielaborazione della zona absidale,
con lo sfondamento del muro di fondo
della cappella maggiore e la
costruzione di un vasto presbiterio,
all'esterno rigorosamente intonato
alle precedenti architetture
tardogotiche.
Alla
fine del secolo viene anche
costruito, su progetto di Pellegrino
Tibaldi, il nuovo campanile, a
sinistra della facciata. Nel 1644
viene gettata la volta della navata
centrale e nel 1681 è costruita,
nell'area delle sacrestie, la
cappella ottagona destinata a
ospitare il Tesoro.


I primi decenni
del Settecento, anche in coincidenza
con il ripristino del culto del S.
Chiodo, segnano anche una forte
ripresa decorativa, che trasforma
l'edificio in una sorta di antologia
della pittura tardobarocca. La
stagione neoclassica è segnata
dall'altare maggiore progettato da
Andrea Appiani (1798) e dal nuovo
pulpito di Carlo Amati (1808).
Alla
fine dell'Ottocento si collocano le
grandi opere di restauro
conservativo e stilistico della
cappella di Teodolinda e soprattutto
della facciata (L. Beltrami, G.
Landriani), che viene trasformata
radicalmente con la reintegrazione
delle edicole sommitali (già tutte
cadute, ad eccezione di una,
all'inizio dei Seicento) e la
sostituzione dei filari di marmo
nero di Varenna
con serpentino verde d'Oira, per
enfatizzare, in una sorta di
ipercorrettismo, la componente
toscaneggiante della cultura
figurativa campionese.

Oggi il Duomo si presenta
imponente con la sua facciata
marmorea, sei contrafforti lo
dividono in cinque parti; sopra ad
ognuno di essi è impostata
un'edicola a guglia contenente
ciascuna una statua. Vi si aprono
finestre tonde, bifore e trifore. Il
centro della composizione è dato
dal rosone a sedici raggi,
incorniciato e sormontato da un
motivo architettonico ispirato ai
soffitti romani, con decorazioni a
rosette, maschere e motivi stellari.
Lo stile è romanico nella struttura
e gotico nell'ornamentazione.
Tipici sono i doccioni del
Trecento sui lati, a forma di draghi
e la lunetta del Duecento con i
rilievi dei busti della regina
Teodolinda e di re Agilulfo (questi
sono del Cinquecento). Sopra è
posta la statua di San Giovanni
Battista (secolo XIV).
Sopra il portale è
rappresentato il Battesimo di Gesù,
al quale assistono San Pietro, la
Madonna, San Zaccaria e San Paolo.
L'acqua battesimale, singolarmente,
esce da un'anforetta. Nello
scomparto superiore la regina
Teodolinda offre al Battista la
Corona Ferrea, assistita dal marito
Agilulfo, in ginocchio, e dai figli
Adaloaldo e Gundeberga; nei vuoti
degli angoli sono scolpiti alcuni
pezzi del tesoro donati dalla regina
al tempio.
Entrando nel duomo, per prima
cosa colpisce la ricchezza
decorativa degli affreschi barocchi,
poi si notano le colonne ottagonali
con capitelli romanici e le colonne
rotonde con capitelli
barocchi.
La chiesa è divisa in tre
navate con cappelle laterali. In
fondo, ampie, si aprono le absidi.
Sul centro del transetto piove la
luce proveniente dall'alto del
tiburio. Sul lato sinistro della
navata centrale si trova la
cantoria, antico evangelicatorio
attribuito a Matteo da Campione.
Vi sono altre opere degne di
nota: l'altare maggiore ideato
dall'Appiani, l'altare moderno con
il paliotto d'argento, la cappella
dedicata alla Madonna del Rosario,
il fonte battesimale, il pulpito, le
pale degli altari, i grandi quadri
della navata centrale con ai lati
medaglioni d'imperatori, gli
affreschi del presbiterio e quelli
dei transetti, a cui collaborarono
Giuseppe Meda e il celebre Giuseppe
Arcimboldi, qui in veste di pittore
sacro.

Il
paliotto dell'altare maggiore è
tuttora nella posizione originaria
davanti alla mensa al centro del
presbiterio del Duomo di Monza.
L'opera,
di argento dorato, sbalzato,
cesellato e contornata di smalti
traslucidi, fu commissionata dal
Vicario generale del Duomo, Graziano
d'Arona, e richiese otto anni di
lavoro, dal 1350 al 1357, al suo
creatore, l'orafo milanese Borgino
dal Pozzo.
- Diviso
in sedici scomparti narra
altrettanti episodi della vita
di San Giovanni Battista.
Le scene si sviluppano da
sinistra in alto,
orizzontalmente su tre
registri. Il racconto è
interrotto al centro da una
mandorla con l'episodio del Battesimo
di Cristo nel Giordano. Le
formelle rappresentano:
-
- ·
L'angelo
che appare a Zaccaria
- ·
L'Annunciazione
e la Visitazione
- ·
La
nascita del Battista
- ·
L'imposizione
del nome
- ·
Giovanni
Battista penitente
- ·
Il
Battesimo della folla
- ·
La
predicazione del Battista
- ·
Giovanni
proclama il Cristo
- ·
Il
Battista rimprovera Erode
- ·
La
prigionia di Giovanni
- ·
Un
miracolo di Cristo
- ·
Il
banchetto di Erode e la danza
di Salomè
- ·
La
decollazione del Battista
- ·
Salomè
porge ad Erodiade la testa del
Battista
- ·
Discesa
al Limbo del Battista
- ·
La
sepoltura del corpo di
Giovanni
Dal transetto di destra,
attraverso il grazioso chiostro del
settecentesco cimiterino, si accede
al Museo Serpero, ove si conserva il
Tesoro del Duomo.
Fino al XVI secolo il Duomo di
Monza era amministrativamente
autonomo dalla diocesi di Milano, e
l'arciprete del Duomo aveva persino
una parte dei poteri propri di un
vescovo; nei documenti d'epoca si
parla di "curia" di Monza,
proprio come se fosse stata una sede
vescovile.
Questa situazione fu sanata da
San Carlo Borromeo; per la forte
opposizione dei monzesi, egli
dovette tuttavia rinunciare ad
imporre il rito ambrosiano per la
celebrazione della messa, che vige
nel resto della diocesi. Tuttora a
Monza e dintorni si celebra secondo
il rito romano.

La
torre campanaria
La
torre campanaria, con la sua altezza
di circa 79 metri, svetta nel cielo
di Monza e costituisce un
significativo punto di riferimento
nel paesaggio della Brianza. La
sua costruzione iniziò il 23 maggio
1592, quando l'arciprete Camillo
Aulario pose la prima pietra della
fabbrica.
Nel
1606 la costruzione era completata,
tuttavia il castello con le campane
e il rivestimento si datano intorno
al 1620. Soltanto il 18 settembre
1628 il cardinale Federico Borromeo
benedisse le campane alla presenza
dell'arciprete Adamo Molteno e del
clero monzese.
Il
progetto del campanile, che rivela
l'influsso dello stile di Pellegrino
Pellegrini, architetto di S. Carlo
Borromeo, fu in realtà eseguito
dall'architetto Ercole Turati, al
quale si devono anche i progetti del
battistero, della cripta e
dell'ampliamento del coro,
realizzati nei primi due decenni del
XVII secolo.
Il
Turati inserì nei quattro frontoni
della cella grandi stemmi in cornici
barocche di granito, che
raffigurano: a sud, la Chioccia con
i pulcini, del Tesoro; a est, la
mitra e il pastorale, in uso
all'arciprete; a nord, la Corona
Ferrea e la Croce del Regno; a
ovest, l'Agnello sul libro dei sette
sigilli.
Alla
base della torre una lapide ricorda
la visita del 4 marzo 1816 dei
sovrani d'Austria, Francesco I e
della sua terza moglie Maria
Ludovica d'Asburgo-Este,
alias Maria Luigia (che morirà il
mese successivo a Verona), preceduta
dalla restituzione del tesoro
monzese, il 2 marzo.
Il
campanile possiede un concerto di 8
campane in scala diatonica maggiore
di LA2, fuse nel 1741 dal milanese Bartolomeo Bozzi, successivamente autore anche delle campane della Basilica di Sant'Ambrogio. Questo campanile ha la caratteristica di avere le campane che suonano a
"slancio", un'eccezione
nella Diocesi di Milano, che invece
usa il sistema
"Ambrosiano".
L'Arciprete
di Monza
L'Arciprete di Monza è un
presbitero che presiede il Capitolo del Duomo ed è a capo della comunità cattolica della città. Il Duomo, sin
dalla sua fondazione da parte della Regina Teodolinda, è retto da un arciprete.
La
Basilica di San Giovanni Battista di
Monza ha molti e antichi privilegi:
l'Arciprete gode delle insegne
episcopali quali la mitra e
l'anello, può indossare vesti
violacee e la cappa magna,
usufruisce dell'uso del baldacchino
per la processione del "Santo
Chiodo". Ma il privilegio
maggiore è quello di avere proprie
guardie armate, un corpo denominato
"Alabardieri" dal tipo di
arma in dotazione agli stessi.
Questo
onore è unico al mondo in quanto,
oltre alla Guardia Svizzera in
servizio al Vaticano a custodia del
Sommo Pontefice, solo il Duomo di
Monza può schierare delle guardie
armate all'interno della
Chiesa.
La
data certa della loro istituzione
non si conosce e si perde nella
notte dei tempi, dato che
nell'editto di Maria Teresa
d'Austria, del 1763, riguardante
l'approvazione della nuova divisa
degli alabardieri, si dice
"l'immemorabile possesso di
fare assistere le principali sacre
funzioni da dodici uomini armati
d'alabarda sotto la direzione di un
capo".
Non
si conosce l'uniforme indossata
prima dell'editto di Maria Teresa,
ma quella approvata è ancora la
stessa in uso oggi, ad eccezione del
cappello, prima a tricorno, poi da
Napoleone I sostituito con l'attuale
feluca.
L'attuale
uniforme di lana blu con filettature
dorate è di foggia settecentesca,
si compone di una lunga casacca e di
pantaloni al ginocchio, la cintura
porta fibbia con piccola
riproduzione della Corona Ferrea, le
calze sono color turchino ed uno
spadino con elsa in ottone. Il
servizio degli alabardieri è
riservato solo alla messa
pontificale delle 10,30 nelle grandi
solennità quali l'Epifania, la
Pasqua, il Corpus Domini, la natività
di San Giovanni Battista (24
Giugno), il Santo Chiodo e il S.
Natale.
I
cicli decorativi
Se
si eccettua il ciclo della cappella
di Teodolinda, poco è sopravvissuto
della decorazione precedente la
stagione barocca, che ha
profondamente inciso nella
percezione dello spazio interno del
Duomo. In clima tardomanierista ci
trasportano le decorazioni delle
testate interne dei transetti, a
iniziare da quella meridionale
(Albero di Jesse, di Giuseppe
Arcimboldi e Giuseppe Meda, 1558)
per passare a quella settentrionale
(Storie di S. Giovanni Battista, di
G. Meda e Giovan Battista
Fiammenghino, 1580).
La
decorazione del presbiterio e del
coro è la maggiore impresa
pittorica del Seicento e vede
all'opera Stefano Danedi detto il
Montalto, Isidoro Bianchi, Carlo
Cane e Ercole Procaccini il Giovane,
con quadrature di Francesco Villa.
La volta della navata maggiore viene
invece affrescata alla fine del
secolo da Stefano Maria Legnani
detto il Legnanino, con quadrature
del Castellino (1693).
I
dieci quadroni della navata centrale
con Storie di Teodolinda e della
Corona ferrea, realizzati tra Sei e
Settecento, appartengono a diversi
pittori, fra cui Sebastiano Ricci,
Filippo Abbiati e Andrea Porta.
E'
però soprattutto il Settecento a
segnare l'interno dell'edificio, che
costituisce un osservatorio
privilegiato per lo studio della
cultura figurativa lombarda tra
barocco, barocchetto e rococò.
Pietro Gilardi affresca con Storie
della Croce il tiburio (1718-19);
Giovan Angelo Borroni dipinge nella
cappella del Rosario (1719-21), in
quella del Battistero e in quella di
S. Lucia (1752-53); Mattia Bortoloni
decora la cappella del Corpus Domini
(1742). L'episodio conclusivo è
costituito dall'intervento in Duomo
di Carlo Innocenzo Carloni, il
grande maestro del rococò
internazionale, già attivo in
Austria, Germania e Boemia.
Tra
il 1738 e il 1740, secondo un
programma stabilito dal gesuita
Bernardino Capriate, egli decora le
volte delle navate laterali, l'arcone
trionfale e le pareti occidentali
del transetto.

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