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Storia
Villa
Borromeo Visconti Litta sorge nel
territorio di Lainate ed occupa una
superficie complessiva di circa tre
ettari. Conosciuta ed ammirata per
la ricchezza dei suoi beni artistici
e per lo stupore suscitato dai suoi
giochi d'acqua nel periodo tra la
seconda metà del 1500 e la seconda
metà del 1800, la Villa, con la
cessione al Demanio dello Stato da
parte della famiglia Litta nel 1866,
conosce dapprima la spoliazione dei
uoi beni artistici e poi un
progressivo degrado.
Ideatore
dell’intero complesso fu Pirro I
Visconti Borromeo, colui che,
ispirandosi alle ville della Toscana
medicea, verso il 1585 diede una
funzione prevalentemente ludica al
suo possedimento lainatese sino ad
allora destinato all’agricoltura.
Per
trasformare la proprietà di Lainate
in un luogo di delizie Pirro I si
avvalse della collaborazione
dell’architetto Martino Bassi,
degli scultori Francesco Brambilla
il Giovane e Marco Antonio
Prestinari, dei pittori Camillo
Procaccini, Pier Francesco
Mazzucchelli detto il Morazzone,
Giovanni Battista Volpino e Agostino
Lodola.
Oltre
ai lavori di sistemazione
architettonica del palazzo, Pirro I
impostò il giardino e fece
costruire il Ninfeo. Questo edificio
di frescura, può essere considerato
uno degli esempi più importanti
dell’Italia settentrionale per la
ricchezza delle decorazioni e la
varietà dei giochi d’acqua.
Il
Catasto Teresiano (1721) mostra come
l’impianto del complesso rimase
sostanzialmente invariato fino a
quella data. Negli anni
immediatamente successivi alla
stesura della mappa, Giulio Visconti
Borromeo Arese, ultimo erede della
famiglia, costruì il palazzo
occidentale o "Quarto
Nuovo".
Il
marchese Pompeo Litta, nipote di
Giulio Visconti Borromeo, dal quale
ereditò la Villa nel 1750, attuò
grandi lavori di sistemazione
scenografica, moltiplicando gli
effetti prospettici, creando quinte
e fondali, costruendo ex novo la
facciata del Ninfeo e avvalendosi
dell’opera di scultori quali
Donato Carabelli, Pietro
Santostefano e dell’architetto e
pittore Francesco Levati.
Ebbe
allora inizio il periodo di massimo
splendore della villa. Agli inizi
del XIX secolo, trasformata la parte
nord/ovest in giardino paesaggistico
o all’inglese, ebbero grande
sviluppo le sperimentazioni
botaniche in serra, fino a quando il
declino della famiglia Litta, parte
attiva nei moti per l’Unità
d’Italia, condusse, nel 1866, alla
acquisizione della Villa al Demanio
statale.
Il
complesso monumentale, dopo
successivi passaggi di proprietà,
nel 1932 venne acquistato da Alberto
Toselli che compì alcuni restauri e
riattivò i giochi d'acqua.
La
seconda guerra mondiale segnò il
decadimento totale della Villa che
si protrasse sino al 1970 quando
venne acquistata
dall’Amministrazione Comunale di
Lainate. Nel 1980 ebbero inizio i
primi interventi razionali, pubblici
e privati, di recupero per giungere
con il 1993 alla realizzazione di un
progetto di restauro di grande
respiro parzialmente finanziato
dalla Regione Lombardia.
Restauri
Il
complesso monumentale di Villa
Borromeo Visconti Litta fu
acquistato nel 1971
dall’Amministrazione Comunale di
Lainate al prezzo di 220 milioni di
lire (circa 115.000 Є).
L’acquisizione di questi spazi, la
cui superficie era ben più estesa
rispetto alle esigenze
dell’Amministrazione Comunale di
quel periodo, spinse alla decisione
di aprire una parte del giardino
storico e di collocare la Biblioteca
Comunale in alcune sale del palazzo
del XVIII secolo. Oggi la Biblioteca
è parzialmente ospitata in alcune
sale del palazzo del XVI secolo.

L’Amministrazione Comunale effettuò
in seguito i primi interventi di
restauro e, dopo aver stimato le
condizioni di degrado del Ninfeo e
del suo impianto di giochi
d’acqua, si premurò di portare
Villa Borromeo Visconti Litta
all’attenzione della
Sovrintendenza ai Beni
Architettonici ed Ambientali di
Milano segnalando il rischio di
perdita totale di questo prezioso
monumento artistico.
Così
all’inizio degli anni 1980, grazie
al supporto della Sovrintendenza,
cominciarono i lavori di recupero
dei tetti e gli interventi nel
Cortile delle Piogge nel Ninfeo.
Dopo
alcuni anni la Cassa di Risparmio
delle Province Lombarde patrocinò
il restauro della Fontana di
Galatea. Contemporaneamente
l’Amministrazione Comunale di
Lainate e la Sovrintendenza di
Milano convocarono una conferenza
stampa per presentare un piano di
restauro a lotti finanziato da
privati. I contributi finanziari dei
privati, a partire dalla conferenza
stampa fino al giugno 1996,
ammontarono a circa 415.000 Є.
Allo
stesso tempo l’Amministrazione
Comunale di Lainate realizzò i
lavori di restauro dei palazzi del
XVI e XVIII secolo e riuscì a
completare questi interventi grazie
ai contributi finanziari di privati.
 Nel
1992 l’Amministrazione Comunale di
Lainate ottenne un finanziamento da
parte della Regione Lombardia per il
restauro completo del Ninfeo, ivi
compreso il sistema idraulico dei
giochi d’acqua, la limonaia est e
una parte dei giardini
rinascimentali. Anche la
Sovrintendenza di Milano contribuì
enormemente tramite fondi statali.
I
restauri terminarono alla scadenza
prevista; l’inaugurazione del
Ninfeo e dei giochi d’acqua ebbe
luogo il 14 settembre 1996.
Il
22 ottobre 2000 si inaugurarono le
sale dei palazzi del XVI e XVIII
secolo nelle quali pregevoli
affreschi sono stati ricollocati
sulle volte dei soffitti e
restaurati.
Il
restauro dell’ultima sala del
Ninfeo fu terminato nel maggio 2001.
Nel mese di novembre 2001 il
complesso monumentale di Villa
Borromeo Visconti Litta è stato
dichiarato “Museo” dalla Regione
Lombardia.
I
Palazzi
L'ingresso
alla Villa è costituito da un corpo
allungato di rustici su due piani e
mette nella corte d'onore circondata
da ogni lato da corpi di fabbrica.
Sul lato sinistro si presenta la
maestosa costruzione settecentesca
in mattoni a vista con la pianta a
forma di leggera U rivolta verve un
teatro naturale a cui si accede da
un viale di tassi.
La
facciata rivolta al cortile presenta
a piano terreno un portico a tre
arcate simili a quelle del portico
dell'ala cinquecentesca.
L'imponenza
di questa parte del palazzo riduce
il "valve" della parte più
antica sul lato di fondo,
caratterizzato da un edificio a
pianta rettangolare, a due piani,
senza particolari elementi
decorativi, impostato su porticato
architravato retto da colonne di
granito disposte a coppia. Le sale
del pianterreno di questa ala sono
abbellite da affreschi del Morazzone.
Da
una sala a pianta circolare
inscritta in un quadrato con nicchie
agli angoli e coperta con una cupola
raffigurante Mercurio si accede alla
prima zona del giardino che conduce
ad un articolato edificio di
frescura denominato Ninfeo,
impreziosito dal Procaccini,
composto di più sale a mosaico di
ciottoli, conchiglie e pietre cure. 
Questo
complesso che nasconde una serie di
imprevedibili e scenografici giochi
d'acqua, ancora funzionanti,
racchiudeva, a suo tempo, la
pregiata quadreria di Pirro Visconti
e, nelle grotte, numerose statue di
chi possiamo ancora ammirare, tra
l'altro, una Venere al bagno del
Canova.
Il
palazzo definito "quarto
nuovo" riesce ad esprimere il
desiderio di Don Giulio Visconti di
sottolineare la propria importanza
di uomo politico e di gran
proprietario, anche facendo uso di
poca magnificenza e di molta sobrietà.
In
questo clima di trasformazioni
politiche e sociali viene a
consolidarsi il tipo edilizio della
Villa, che viene così ad
articolarsi con chiarezza sotto un
profilo degli ambienti e delle
funzioni.
Il
Settecento e l'Ottocento erano
epoche alquanto sfarzose e ricche di
manifestazioni mondane, alle quali
ben si adattava l'ormai imponente
complesso edilizio di Lainate,
diventata la residenza preferita
della nobile famiglia per ospitare
personaggi illustri, sia nelle
lettere, sia nell'arte, sia nel
governo, tra cui Ugo Foscolo,
Vincenzo Monti, la Contessa
Antonietta Fagnani Arese, il vicerè
di Milano Beauharnais, i poeti
milanesi Giuseppe Rovani e Carlo
Porta, in onore dei quali venivano
imbandite favolose feste e
ricevimenti.
I
Litta si impegnavano ad abbellire il
palazzo, ma soprattutto i giochi
d'acqua ed il giardino, che veniva
completato in un arco di circa
cinquant'anni.
 
L'eterogeneità
volumetrica, stilistica e
costruttiva dei corpi di fabbrica
residenziali e delle opere del
giardino presuppongono evidentemente
un'esecuzione dell'edificio in un
periodo abbastanza lungo; tuttavia
la sostanziale ricerca di unità
spaziale e distributiva della
composizione lascia supporre la
formulazione di un piano organico in
un ben precisato periodo, piano che,
pur realizzato con molte varianti,
rappresenta l'invenzione che
caratterizza la villa attuale.
Si
rileva la massima incuranza nel
mantenere l'equilibrio nell'impianto
della corte preesistente, sulla
quale si attesterà il nuovo
edificio con la demolizione completa
dell'ala posta ad ovest (ormai
inadatta a sopperire alle nuove
esigenze), ed altrettanta
indifferenza alla continuità del
linguaggio architettonico
nell'accostamento del nuovo corpo
settecentesco a quello
cinquecentesco, con la sola
accortezza forse di creare un
dialogo architettonico serrato ed
attivo con la decorazione affrescata
delle finestre cinquecentesche con
lo stesso stile delle modanature
settecentesche.
Anche
la struttura del quarto nuovo, in
apparenza rigorosamente simmetrica,
si adegua alla necessità di
equilibrio degli assi in
corrispondenza del cortile, con
qualche compromesso, dovuto
all'inserimento con il corpo di
fabbrica più antico; il porticato,
a tre fornici, è così leggermente
traslato rispetto all'asse di
simmetria dell'edificio, per essere
viceversa al centro della fronte
corrispondente al cortile.
È
probabile che la cascina era più
estesa di quella che ci si presenta
oggi: essa doveva infatti essere
simmetrica rispetto all'attuale
portico e comprendere così altre
quattro camere là dove ora è parte
del palazzo.
Osservando
questo palazzo sembra che la
tipologia tipicamente urbana del
blocco su strada sia stata trasposta
da una via cittadina e trapiantata
senza variazioni nella campagna
lainatese.
Nel
complesso questo edificio, privo di
sfrangiature e di logge, si presenta
con una compattezza e rigidità di
contorni, tale da farcelo pensare
come poco atto al luogo ove sorge,
ritenendo la sua struttura assai più
indicata per un palazzo di città,
che non per una villa di campagna.
Il
palazzo è ancora memore del
rinascimento Aureo nella ricerca di
effetti grandiosi per mezzo di masse
imponenti, di belle proporzioni e di
scompartizioni piacevoli all'occhio,
pur tuttavia alcuni elementi e
decorazioni rivelano un gusto già
decisamente barocco, denunciato, per
esempio, dai timpani arcuati a
cuspide e delle finestre e dalla
forma sinuosa possente delle mensole
a voluta, che svolgono la funzione
decorativa di coronamento
dell'intero palazzo.
La
libera interpretazione delle forme,
che sembra essere uno degli embrioni
del rococò maturo ed europeo, nasce
con il nome di barocchetto lombardo,
di cui il palazzo di Lainate è
tangibile testimonianza.
Il
barocchetto è un fenomeno
soprattutto lombardo e viene
definito quell'accezione ornata,
incessante di motivi decorativi, che
tuttavia rifuggono dalla fluidità
plastica del rococò; non deriva dal
Borromini, bensì dalla Spagna (il
cosiddetto stile plateresco,
facsimile dello stile ornamentale
italiano). Basando la propria
espressività esclusivamente
sull'ornamentazione, il barocchetto
è dato da un infittirsi di motivi.
La
sensibilizzazione plastica delle
superfici, proprie di questo stile,
che avviene principalmente negli
interni, non raggiungerà mai i
massimi valori estetici nel palazzo.
Il
palazzo rimane senza dubbio di una
austerità sempre più classica
perché mantiene un proprio
equilibrio nel trattamento già
rococò della superficie, per
l'ornato chiaroscurale delle
finestre ottenuto con il cotto (solo
i timpani in arenaria si staccano
dal fondo di facciata, creando una
cromia che rompe la monotonia
dell'insieme) e per la sostituzione
rispetto a tante ville coeve dei
plastici di facciata con una fiorita
e raffinata lavorazione in ferro
battuto raffigurante al centro
l'emblema dei Visconti.
Un
dato caratteristico delle ville
milanesi del periodo è quello di
ostentare quasi volutamente una
grande semplicità nella decorazione
esterna così da sottolineare la
differenza con l'architettura colta
del capoluogo.
In
ogni campo dell'arte la Lombardia
teresiana conserva il suo carattere
schivo ed introverso che, a causa
anche dei fattori climatici, porta i
nobili ad abbellire all'interno i
loro palazzi. Di questo pregio il
palazzo di Lainate non sembra essere
particolarmente dotato (la fattura
dell'ornato è buona ma non
eccezionale), ma con ciò riesce a
mantenere quella coerenza di
linguaggio che la semplicità di
vita e di costumi nell'architettura
della villa lombarda ha sempre
ispirato.
Il
nuovo palazzo si discosta nettamente
dalla tradizione architettonica
lombarda, non solo dal complesso
cinquecentesco in cui si inseriva,
ma anche dalle forme auliche
barocche allora in voga nelle ville
della provincia milanesi. Semmai
assistiamo ad una migrazione nel
milanese di una sensibilità
cromatica e decorativa di origine
piemontese soprattutto nella
ostentata volontà di lasciare a
vista la rossa muratura in cotto
(nata, oltretutto, dalla banale
necessità di rinunciare
all'intonaco di facciata dei palazzi
per permettere il finanziamento di
altre opere pubbliche della dinamica
Torino sabauda), che contrasta
visibilmente con le leggere
modanature a pagoda dei timpani
delle finestre in pietra.
  Forse
memori della lezione raffaellesca di
villa Madama (per la concezione
della villa suburbana), le tendenze
lombarde riprendono le invenzioni
del mezzanino, della fascia di
raccordo con riquadri al di sotto
delle finestre e delle logge che,
con palazzo Branconio dell'Aquila a
Roma, il maestro aveva introdotto
nella tipologia edilizia del palazzo
nobiliare.
La
sua muratura, piuttosto compatta di
forti mutamenti chiaroscurali, si
presenta in mattoni faccia a vista,
nel caratteristico colore
bruno-rosso patinato dal tempo,
interrotto solo dai leggeri ed
arcuati timpani baroccheggianti
delle finestre, in pietra grigia, e
dallo sporgente rinascimentale
cornicione a modiglioni.
Dovendo
affacciarsi ad est sulla corte e ad
ovest e a nord sul giardino il
palazzo di Lainate deve discostarsi
dalla tipologia urbana, inserendo ad
est un portico con archi alla
serliana e colonne tuscaniche binate
(altro omaggio all'architettura
classica e ricalcanti le misure di
quelle del corpo cinquecentesco) e
ad ovest la lieve conformazione ad U
tipicamente lombarda che dialoga
invece in un modo un po' introverso
con il teatro naturale prospiciente.
Altre
anomalia rispetto alla tradizione
lombarda sono il mancato
collegamento tra portico e salone,
dovuto forse allo slittamento del
portico, e la collocazione dello
scalone in posizione secondaria e
comunque non a diretto contatto del
porticato; quest'ultima soluzione fu
suggerita, forse, dalla preesistenza
di un altro scalone al termine del
più antico portico cinquecentesco.
Uno
degli aspetti più peculiari del
rococò italiano e lombardo è la
fervida attività di maestranze
anonime, ma altamente specializzate,
dirette da altrettanto
intraprendenti architetti di fama
locale. La loro libera
interpretazione delle forme,
svincolata dalla tradizionale
osservanza agli ordini classici, li
porta ad esercitarsi con una grazia
(non ancora compassata) sulla
definizione degli spazi (per lo più
di interni) e degli spartiti di
facciata: sembra che nella
decorazione delle ville riescano ad
esprimere, al di là di ambizioni di
protagonismo, la loro libertà
nell'estro artistico, senza mai
cadere nella trappola dell'eccessiva
ridondanza di effetti plastici.
Tipico
delle ville barocchette rococò è
il cantiere artigianale: di questa
tendenza sembra essere stata
investita anche Lainate, dato che
sino ad ora non si sono rinvenuti né
disegni né documenti d'epoca che
attestino la paternità dell'opera a
qualche architetto locale
dell'epoca.
Una
parete muraria è verso il cortile
forata dal portico a tre arcate,
poggianti su gruppi di tre pilastri
disposti in triangolo, così che
all'esterno appaiano come binati e
perciò simili a quelli dell'altro
portico. Sotto ad esso le volte sono
a crociera. La vera facciata si
trova però dalla parte opposta,
verso il giardino. Su di essa il
grande numero di finestre, il
balcone, le portefinestre del piano
terreno, la fascia orizzontale
lievemente rilevata sotto le
finestre del primo piano, uniti alla
leggera sporgenza dei due corpi
laterali, che gli conferiscono una
forma di pianta ad U, danno un
maggior movimento all'insieme,
liberandolo da quella sensazione di
pesante e gravoso che si nota
dall'altra parte. Forse ciò è
dovuto anche al maggior respiro
datole dall'aprirsi del giardino. Da
questa parte si nota una mancanza di
simmetria rispetto all'asse centrale
del palazzo: le finestre di destra
hanno la decorazione a mattoni sotto
il timpano eseguita in modo diverso
rispetto a quella delle finestre di
sinistra e la parte sporgente di
destra è più piccola di quella di
sinistra. Tutto ciò potrebbe far
pensare ad una esecuzione in due
tempi dell'edificio.
 L'edificio
poggia su larghi muri di base che ne
stabiliscono il perimetro e formano
l'ampia cantina nei due corpi
laterali e verso il fronte del
giardino, tra il piano terra e il
primo, vi sono dei mezzanini,
visibili all'esterno per l'aprirsi
di tre finestrelle appena sotto la
fascia segna piano. Il piano nobile
è contrassegnato dalla suddetta
fascia, dalle lunghe finestre e dai
timpani ad archi. In esso, nella
parte centrale, sempre verso il
giardino, due sale si affacciano su
di un balcone, mentre verso il
cortile a sei finestre risponde il
grandioso salone da ballo che misura
mt 24 di lunghezza, mt 7 di
larghezza, mt 8,65 di altezza,
comprende cioè due piani. Esso
termina con una volta a botte, e
presenta ai due estremi sinuose
balaustre, sorrette ognuna da sei
cariatidi in gesso.
L'apparato
decorativo che la famiglia Litta si
incaricò di far eseguire, una volta
preso possesso della villa si
esprime anche in un breve saggio di
arte scultorea. L'intervento,
attribuito cronologicamente ai primi
anni dell'Ottocento, riproduce negli
agili corpi dei giovinetti, che
sorreggono la mensola in pietra
naturale dei balconcini della
galleria, tutto l'estro ed il
candore artigiano dello stucco.
Anche
la struttura del quarto nuovo, in
apparenza rigorosamente simmetrica,
si adegua alla necessità di
equilibrio degli assi in
corrispondenza del cortile, con
qualche compromesso, dovuto
all'inserimento con il corpo di
fabbrica più antico; il porticato,
a tre fornici, è così leggermente
traslato rispetto all'asse di
simmetria dell'edificio, per essere
viceversa al centro della fronte
corrispondente al cortile.
È
probabile che la cascina era più
estesa di quella che ci si presenta
oggi: essa doveva infatti essere
simmetrica rispetto all'attuale
portico e comprendere così altre
quattro camere là dove ora è parte
del palazzo.
Osservando
questo palazzo sembra che la
tipologia tipicamente urbana del
blocco su strada sia stata trasposta
da una via cittadina e trapiantata
senza variazioni nella campagna
lainatese.
Nel
complesso questo edificio, privo di
sfrangiature e di logge, si presenta
con una compattezza e rigidità di
contorni, tale da farcelo pensare
come poco atto al luogo ove sorge,
ritenendo la sua struttura assai più
indicata per un palazzo di città,
che non per una villa di campagna.

Il
palazzo è ancora memore del
rinascimento Aureo nella ricerca di
effetti grandiosi per mezzo di masse
imponenti, di belle proporzioni e di
scompartizioni piacevoli all'occhio,
pur tuttavia alcuni elementi e
decorazioni rivelano un gusto già
decisamente barocco, denunciato, per
esempio, dai timpani arcuati a
cuspide e delle finestre e dalla
forma sinuosa possente delle mensole
a voluta, che svolgono la funzione
decorativa di coronamento
dell'intero palazzo.
La
libera interpretazione delle forme,
che sembra essere uno degli embrioni
del rococò maturo ed europeo, nasce
con il nome di barocchetto lombardo,
di cui il palazzo di Lainate è
tangibile testimonianza.
Il
barocchetto è un fenomeno
soprattutto lombardo e viene
definito quell'accezione ornata,
incessante di motivi decorativi, che
tuttavia rifuggono dalla fluidità
plastica del rococò; non deriva dal
Borromini, bensì dalla Spagna (il
cosiddetto stile plateresco,
facsimile dello stile ornamentale
italiano). Basando la propria
espressività esclusivamente
sull'ornamentazione, il barocchetto
è dato da un infittirsi di motivi.
La
sensibilizzazione plastica delle
superfici, proprie di questo stile,
che avviene principalmente negli
interni, non raggiungerà mai i
massimi valori estetici nel palazzo.
Il
palazzo rimane senza dubbio di una
austerità sempre più classica
perché mantiene un proprio
equilibrio nel trattamento già
rococò della superficie, per
l'ornato chiaroscurale delle
finestre ottenuto con il cotto (solo
i timpani in arenaria si staccano
dal fondo di facciata, creando una
cromia che rompe la monotonia
dell'insieme) e per la sostituzione
rispetto a tante ville coeve dei
plastici di facciata con una fiorita
e raffinata lavorazione in ferro
battuto raffigurante al centro
l'emblema dei Visconti.
Un
dato caratteristico delle ville
milanesi del periodo è quello di
ostentare quasi volutamente una
grande semplicità nella decorazione
esterna così da sottolineare la
differenza con l'architettura colta
del capoluogo.
In
ogni campo dell'arte la Lombardia
teresiana conserva il suo carattere
schivo ed introverso che, a causa
anche dei fattori climatici, porta i
nobili ad abbellire all'interno i
loro palazzi. Di questo pregio il
palazzo di Lainate non sembra essere
particolarmente dotato (la fattura
dell'ornato è buona ma non
eccezionale), ma con ciò riesce a
mantenere quella coerenza di
linguaggio che la semplicità di
vita e di costumi nell'architettura
della villa lombarda ha sempre
ispirato.
Il
nuovo palazzo si discosta nettamente
dalla tradizione architettonica
lombarda, non solo dal complesso
cinquecentesco in cui si inseriva,
ma anche dalle forme auliche
barocche allora in voga nelle ville
della provincia milanesi. Semmai
assistiamo ad una migrazione nel
milanese di una sensibilità
cromatica e decorativa di origine
piemontese soprattutto nella
ostentata volontà di lasciare a
vista la rossa muratura in cotto
(nata, oltretutto, dalla banale
necessità di rinunciare
all'intonaco di facciata dei palazzi
per permettere il finanziamento di
altre opere pubbliche della dinamica
Torino sabauda), che contrasta
visibilmente con le leggere
modanature a pagoda dei timpani
delle finestre in pietra.
Forse
memori della lezione raffaellesca di
villa Madama (per la concezione
della villa suburbana), le tendenze
lombarde riprendono le invenzioni
del mezzanino, della fascia di
raccordo con riquadri al di sotto
delle finestre e delle logge che,
con palazzo Branconio dell'Aquila a
Roma, il maestro aveva introdotto
nella tipologia edilizia del palazzo
nobiliare.
La
sua muratura, piuttosto compatta di
forti mutamenti chiaroscurali, si
presenta in mattoni faccia a vista,
nel caratteristico colore
bruno-rosso patinato dal tempo,
interrotto solo dai leggeri ed
arcuati timpani baroccheggianti
delle finestre, in pietra grigia, e
dallo sporgente rinascimentale
cornicione a modiglioni.
Dovendo
affacciarsi ad est sulla corte e ad
ovest e a nord sul giardino il
palazzo di Lainate deve discostarsi
dalla tipologia urbana, inserendo ad
est un portico con archi alla
serliana e colonne tuscaniche binate
(altro omaggio all'architettura
classica e ricalcanti le misure di
quelle del corpo cinquecentesco) e
ad ovest la lieve conformazione ad U
tipicamente lombarda che dialoga
invece in un modo un po' introverso
con il teatro naturale prospiciente.
Altre
anomalia rispetto alla tradizione
lombarda sono il mancato
collegamento tra portico e salone,
dovuto forse allo slittamento del
portico, e la collocazione dello
scalone in posizione secondaria e
comunque non a diretto contatto del
porticato; quest'ultima soluzione fu
suggerita, forse, dalla preesistenza
di un altro scalone al termine del
più antico portico cinquecentesco.
Uno
degli aspetti più peculiari del
rococò italiano e lombardo è la
fervida attività di maestranze
anonime, ma altamente specializzate,
dirette da altrettanto
intraprendenti architetti di fama
locale. La loro libera
interpretazione delle forme,
svincolata dalla tradizionale
osservanza agli ordini classici, li
porta ad esercitarsi con una grazia
(non ancora compassata) sulla
definizione degli spazi (per lo più
di interni) e degli spartiti di
facciata: sembra che nella
decorazione delle ville riescano ad
esprimere, al di là di ambizioni di
protagonismo, la loro libertà
nell'estro artistico, senza mai
cadere nella trappola dell'eccessiva
ridondanza di effetti plastici.
Tipico
delle ville barocchette rococò è
il cantiere artigianale: di questa
tendenza sembra essere stata
investita anche Lainate, dato che
sino ad ora non si sono rinvenuti né
disegni né documenti d'epoca che
attestino la paternità dell'opera a
qualche architetto locale
dell'epoca.
Una
parete muraria è verso il cortile
forata dal portico a tre arcate,
poggianti su gruppi di tre pilastri
disposti in triangolo, così che
all'esterno appaiano come binati e
perciò simili a quelli dell'altro
portico. Sotto ad esso le volte sono
a crociera. La vera facciata si
trova però dalla parte opposta,
verso il giardino.
Su
di essa il grande numero di
finestre, il balcone, le
portefinestre del piano terreno, la
fascia orizzontale lievemente
rilevata sotto le finestre del primo
piano, uniti alla leggera sporgenza
dei due corpi laterali, che gli
conferiscono una forma di pianta ad
U, danno un maggior movimento
all'insieme, liberandolo da quella
sensazione di pesante e gravoso che
si nota dall'altra parte. Forse ciò
è dovuto anche al maggior respiro
datole dall'aprirsi del giardino. Da
questa parte si nota una mancanza di
simmetria rispetto all'asse centrale
del palazzo: le finestre di destra
hanno la decorazione a mattoni sotto
il timpano eseguita in modo diverso
rispetto a quella delle finestre di
sinistra e la parte sporgente di
destra è più piccola di quella di
sinistra. Tutto ciò potrebbe far
pensare ad una esecuzione in due
tempi dell'edificio.
L'edificio
poggia su larghi muri di base che ne
stabiliscono il perimetro e formano
l'ampia cantina nei due corpi
laterali e verso il fronte del
giardino, tra il piano terra e il
primo, vi sono dei mezzanini,
visibili all'esterno per l'aprirsi
di tre finestrelle appena sotto la
fascia segna piano. Il piano nobile
è contrassegnato dalla suddetta
fascia, dalle lunghe finestre e dai
timpani ad archi. In esso, nella
parte centrale, sempre verso il
giardino, due sale si affacciano su
di un balcone, mentre verso il
cortile a sei finestre risponde il
grandioso salone da ballo che misura
mt 24 di lunghezza, mt 7 di
larghezza, mt 8,65 di altezza,
comprende cioè due piani. Esso
termina con una volta a botte, e
presenta ai due estremi sinuose
balaustre, sorrette ognuna da sei
cariatidi in gesso.
L'apparato
decorativo che la famiglia Litta si
incaricò di far eseguire, una volta
preso possesso della villa si
esprime anche in un breve saggio di
arte scultorea. L'intervento,
attribuito cronologicamente ai primi
anni dell'Ottocento, riproduce negli
agili corpi dei giovinetti, che
sorreggono la mensola in pietra
naturale dei balconcini della
galleria, tutto l'estro ed il
candore artigiano dello stucco.
Fra
un telamone e l'altro, nei riquadri
si vedono raffigurati degli
esponenti della famiglia Litta,
ritratti di profilo, secondo il
gusto neoclassico e dentro corone
d'alloro, come i ritratti
encomiastici eseguiti dagli antichi
romani per celebrare personaggi
illustri.
A
Lainate, le figure giovanili dei
telamoni emergono da piatta
decorazione, a scultura a tutto
tondo, tanto da divenire gli unici
protagonisti dell'ampio salone che
un tempo alloggiava sulle sue pareti
ritratti di famiglia.
La
stanza che invece ha valore
esornativo maggiore è la sala del
Levati che svolge la funzione,
introdotta proprio nel Settecento,
di sala da pranzo; ha una finta
cupola a cassettoni dipinta ed è
riccamente affrescata anche sulle
pareti, con ornamenti e figura
mitologiche di gusto classico, tutte
opere del Levati, pittore
prospettico della Reale Accademia di
Belle Arti.
Il
pittore, attraverso il tema
neoclassico, inserisce quella vena
ancora frizzante di discendenza
rococò che, pur sfruttando per la
decorazione la forma di oggetti
classici ed archeologici (treppiedi,
anfore, fiorami, rami di mirto,
corone d'alloro e foglie d'acanto,
memori delle recenti scoperte di
Pompei ed Ercolano, 1748), non cade
nella pura stilizzazione estetica
della rappresentazione.  
Le
ariose vedute paesaggistiche ed
arcadiche del periodo non sembrano
ispirare un pittore come il Levati,
la cui estrazione artistica si
rivela ben più classica ed
accademica: la sua specializzazione
nel campo della pittura è infatti
l'ornato. Un'ultima nota di
apprezzamento da concedere a questo
stimato artista ed architetto è
l'iniziativa che egli prese di
diffondere fra i primi in Milano
quel gusto per i motivi orientali,
attraverso mobili e decorazioni, che
costituirà uno degli interessi
predominanti della nascente
componente romantica.
È
inutile soffermarsi sulle
attribuzioni delle altre
decorazioni, quando non si è
rinvenuta alcuna traccia degli
autori: per certo si sa che per
tutto il 1700 gli stuccatori
ticinesi furono abili maestri
diffusi in tutto il nord d'Italia.
La
sala dei giochi presenta un soffitto
adornato in modo episodico da
personaggi in costume del tempo che
si riposano seduti, per godere un
po' di frescura, ambientati in un
accenno di paesaggio naturale appena
abbozzato sullo sfondo.
È
questa una tipica decorazione
ispirata allo spirito arcadico e
bucolico della letteratura del primo
Settecento che, come accade anche a
Lainate, completa la composizione
della volta con sottilissimi festoni
e volute fiorite su campo bianco,
procurando, così come era
nell'intenzione, una sensazione di
serenità e di svago, che già il
riposo della villeggiatura doveva
dare.
La
stanza successiva, detta dei Baci,
illustra nei suoi affreschi la
celebrazione un po' encomiastica, ma
anche ludica, di personaggi della
famiglia Litta, ripresi entro
cornici sorrette da amorini dorati e
giocondi a coppie di coniugi,
sorpresi nell'effusione amorosa del
bacio.
La
sala delle assi, locale posto a
nord, presenta nelle pareti una
fascia di pittura più recente fino
ad una altezza di cm 110 rifatta; da
questa altezza fino al cornicione di
imposta della volta, le pitture
rappresentano delle assi di legno
poste a doghe oblique (altezza cm
40), riprese successivamente solo in
alcuni punti.
Si
può accedere al piano interrato non
direttamente dalla villa ma dai
rustici attigui, tramite un tunnel
lungo m 8,65; i sotterranei hanno
scarsa ventilazione poiché le
aperture esistenti (bocche di lupo)
sono in parte chiuse, in parte
intasate dai detriti.
Tutte
le stanze della villa dovevano avere
un pavimento a medoni, di cm 20 x 40
x 4, posti a 45° e con una cornice
lineare di cm 20 al perimetro; fanno
eccezione alcuni locali al primo
piano, perché i pavimenti sono
stati rimossi, e alcune stanze del
piano terra (cinque), tra le quali
anche il salone del Levati, il cui
pavimento è costituto da un
seminato alla veneziana, risalente
al secolo scorso.
A
corredare l'intero impianto
settecentesco avrebbe dovuto
contribuire l'arredo che, tramite
gli influssi francesi, ritrova una
propria identità e diventa vero
protagonista del vezzo rococò, sul
quale esporre ninnoli di porcellane
raffinate. Ciò che rimane a Lainate
dell'arredo della sala da pranzo
sono due consolle con specchiera ed
una stufa in ceramica di origine
olandese. Le altre stanze vuote del
palazzo, invece, sarebbero rimaste
almeno impreziosite dai camini,
dislocati quasi in ogni stanza e di
pregevole fattura; purtroppo qualche
anno fa i pezzi migliori sono stati
trafugati e di essi non si è avuta
più notizia.
La
ricchezza di particolari decorativi
e l'attenzione ai minimi dettagli
degli infissi permettono il chiaro
riconoscimento dello stile gentile e
raffinato del Settecento
neoclassico. Possiamo portare come
esempio le maniglie in avorio e di
ebano al piano terreno, i pavimenti
in pietrisco alla veneziana e la
ringhiera in ferro battuto della
scala, che conduce al piano nobile.
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