Villa Borromeo Visconti Litta
Lainate (Milano)

    

Storia

Villa Borromeo Visconti Litta sorge nel territorio di Lainate ed occupa una superficie complessiva di circa tre ettari. Conosciuta ed ammirata per la ricchezza dei suoi beni artistici e per lo stupore suscitato dai suoi giochi d'acqua nel periodo tra la seconda metà del 1500 e la seconda metà del 1800, la Villa, con la cessione al Demanio dello Stato da parte della famiglia Litta nel 1866, conosce dapprima la spoliazione dei uoi beni artistici e poi un progressivo degrado.

Ideatore dell’intero complesso fu Pirro I Visconti Borromeo, colui che, ispirandosi alle ville della Toscana medicea, verso il 1585 diede una funzione prevalentemente ludica al suo possedimento lainatese sino ad allora destinato all’agricoltura.

Per trasformare la proprietà di Lainate in un luogo di delizie Pirro I si avvalse della collaborazione dell’architetto Martino Bassi, degli scultori Francesco Brambilla il Giovane e Marco Antonio Prestinari, dei pittori Camillo Procaccini, Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Giovanni Battista Volpino e Agostino Lodola.

Oltre ai lavori di sistemazione architettonica del palazzo, Pirro I impostò il giardino e fece costruire il Ninfeo. Questo edificio di frescura, può essere considerato uno degli esempi più importanti dell’Italia settentrionale per la ricchezza delle decorazioni e la varietà dei giochi d’acqua.

Il Catasto Teresiano (1721) mostra come l’impianto del complesso rimase sostanzialmente invariato fino a quella data. Negli anni immediatamente successivi alla stesura della mappa, Giulio Visconti Borromeo Arese, ultimo erede della famiglia, costruì il palazzo occidentale o "Quarto Nuovo".

Il marchese Pompeo Litta, nipote di Giulio Visconti Borromeo, dal quale ereditò la Villa nel 1750, attuò grandi lavori di sistemazione scenografica, moltiplicando gli effetti prospettici, creando quinte e fondali, costruendo ex novo la facciata del Ninfeo e avvalendosi dell’opera di scultori quali Donato Carabelli, Pietro Santostefano e dell’architetto e pittore Francesco Levati.

Ebbe allora inizio il periodo di massimo splendore della villa. Agli inizi del XIX secolo, trasformata la parte nord/ovest in giardino paesaggistico o all’inglese, ebbero grande sviluppo le sperimentazioni botaniche in serra, fino a quando il declino della famiglia Litta, parte attiva nei moti per l’Unità d’Italia, condusse, nel 1866, alla acquisizione della Villa al Demanio statale.

Il complesso monumentale, dopo successivi passaggi di proprietà, nel 1932 venne acquistato da Alberto Toselli che compì alcuni restauri e riattivò i giochi d'acqua.

La seconda guerra mondiale segnò il decadimento totale della Villa che si protrasse sino al 1970 quando venne acquistata dall’Amministrazione Comunale di Lainate. Nel 1980 ebbero inizio i primi interventi razionali, pubblici e privati, di recupero per giungere con il 1993 alla realizzazione di un progetto di restauro di grande respiro parzialmente finanziato dalla Regione Lombardia.

Restauri

Il complesso monumentale di Villa Borromeo Visconti Litta fu acquistato nel 1971 dall’Amministrazione Comunale di Lainate al prezzo di 220 milioni di lire (circa 115.000 Є). L’acquisizione di questi spazi, la cui superficie era ben più estesa rispetto alle esigenze dell’Amministrazione Comunale di quel periodo, spinse alla decisione di aprire una parte del giardino storico e di collocare la Biblioteca Comunale in alcune sale del palazzo del XVIII secolo. Oggi la Biblioteca è parzialmente ospitata in alcune sale del palazzo del XVI secolo.

L’Amministrazione Comunale effettuò in seguito i primi interventi di restauro e, dopo aver stimato le condizioni di degrado del Ninfeo e del suo impianto di giochi d’acqua, si premurò di portare Villa Borromeo Visconti Litta all’attenzione della Sovrintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali di Milano segnalando il rischio di perdita totale di questo prezioso monumento artistico.

Così all’inizio degli anni 1980, grazie al supporto della Sovrintendenza, cominciarono i lavori di recupero dei tetti e gli interventi nel Cortile delle Piogge nel Ninfeo.

Dopo alcuni anni la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde patrocinò il restauro della Fontana di Galatea. Contemporaneamente l’Amministrazione Comunale di Lainate e la Sovrintendenza di Milano convocarono una conferenza stampa per presentare un piano di restauro a lotti finanziato da privati. I contributi finanziari dei privati, a partire dalla conferenza stampa fino al giugno 1996, ammontarono a circa 415.000 Є.

Allo stesso tempo l’Amministrazione Comunale di Lainate realizzò i lavori di restauro dei palazzi del XVI e XVIII secolo e riuscì a completare questi interventi grazie ai contributi finanziari di privati.

Nel 1992 l’Amministrazione Comunale di Lainate ottenne un finanziamento da parte della Regione Lombardia per il restauro completo del Ninfeo, ivi compreso il sistema idraulico dei giochi d’acqua, la limonaia est e una parte dei giardini rinascimentali. Anche la Sovrintendenza di Milano contribuì enormemente tramite fondi statali.

I restauri terminarono alla scadenza prevista; l’inaugurazione del Ninfeo e dei giochi d’acqua ebbe luogo il 14 settembre 1996.

Il 22 ottobre 2000 si inaugurarono le sale dei palazzi del XVI e XVIII secolo nelle quali pregevoli affreschi sono stati ricollocati sulle volte dei soffitti e restaurati.

Il restauro dell’ultima sala del Ninfeo fu terminato nel maggio 2001. Nel mese di novembre 2001 il complesso monumentale di Villa Borromeo Visconti Litta è stato dichiarato “Museo” dalla Regione Lombardia.

I Palazzi

L'ingresso alla Villa è costituito da un corpo allungato di rustici su due piani e mette nella corte d'onore circondata da ogni lato da corpi di fabbrica. Sul lato sinistro si presenta la maestosa costruzione settecentesca in mattoni a vista con la pianta a forma di leggera U rivolta verve un teatro naturale a cui si accede da un viale di tassi.

La facciata rivolta al cortile presenta a piano terreno un portico a tre arcate simili a quelle del portico dell'ala cinquecentesca.

Rotonda del Mercurio: affresco attribuito al MorazzoneL'imponenza di questa parte del palazzo riduce il "valve" della parte più antica sul lato di fondo, caratterizzato da un edificio a pianta rettangolare, a due piani, senza particolari elementi decorativi, impostato su porticato architravato retto da colonne di granito disposte a coppia. Le sale del pianterreno di questa ala sono abbellite da affreschi del Morazzone.

Da una sala a pianta circolare inscritta in un quadrato con nicchie agli angoli e coperta con una cupola raffigurante Mercurio si accede alla prima zona del giardino che conduce ad un articolato edificio di frescura denominato Ninfeo, impreziosito dal Procaccini, composto di più sale a mosaico di ciottoli, conchiglie e pietre cure.

Questo complesso che nasconde una serie di imprevedibili e scenografici giochi d'acqua, ancora funzionanti, racchiudeva, a suo tempo, la pregiata quadreria di Pirro Visconti e, nelle grotte, numerose statue di chi possiamo ancora ammirare, tra l'altro, una Venere al bagno del Canova.

Il palazzo definito "quarto nuovo" riesce ad esprimere il desiderio di Don Giulio Visconti di sottolineare la propria importanza di uomo politico e di gran proprietario, anche facendo uso di poca magnificenza e di molta sobrietà. 

In questo clima di trasformazioni politiche e sociali viene a consolidarsi il tipo edilizio della Villa, che viene così ad articolarsi con chiarezza sotto un profilo degli ambienti e delle funzioni.

Il Settecento e l'Ottocento erano epoche alquanto sfarzose e ricche di manifestazioni mondane, alle quali ben si adattava l'ormai imponente complesso edilizio di Lainate, diventata la residenza preferita della nobile famiglia per ospitare personaggi illustri, sia nelle lettere, sia nell'arte, sia nel governo, tra cui Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, la Contessa Antonietta Fagnani Arese, il vicerè di Milano Beauharnais, i poeti milanesi Giuseppe Rovani e Carlo Porta, in onore dei quali venivano imbandite favolose feste e ricevimenti.

I Litta si impegnavano ad abbellire il palazzo, ma soprattutto i giochi d'acqua ed il giardino, che veniva completato in un arco di circa cinquant'anni.

Vista aerea del Cortile delle carrozzeParticolare architettonico dell'unione tra i due Palazzi

L'eterogeneità volumetrica, stilistica e costruttiva dei corpi di fabbrica residenziali e delle opere del giardino presuppongono evidentemente un'esecuzione dell'edificio in un periodo abbastanza lungo; tuttavia la sostanziale ricerca di unità spaziale e distributiva della composizione lascia supporre la formulazione di un piano organico in un ben precisato periodo, piano che, pur realizzato con molte varianti, rappresenta l'invenzione che caratterizza la villa attuale.

Si rileva la massima incuranza nel mantenere l'equilibrio nell'impianto della corte preesistente, sulla quale si attesterà il nuovo edificio con la demolizione completa dell'ala posta ad ovest (ormai inadatta a sopperire alle nuove esigenze), ed altrettanta indifferenza alla continuità del linguaggio architettonico nell'accostamento del nuovo corpo settecentesco a quello cinquecentesco, con la sola accortezza forse di creare un dialogo architettonico serrato ed attivo con la decorazione affrescata delle finestre cinquecentesche con lo stesso stile delle modanature settecentesche.

Anche la struttura del quarto nuovo, in apparenza rigorosamente simmetrica, si adegua alla necessità di equilibrio degli assi in corrispondenza del cortile, con qualche compromesso, dovuto all'inserimento con il corpo di fabbrica più antico; il porticato, a tre fornici, è così leggermente traslato rispetto all'asse di simmetria dell'edificio, per essere viceversa al centro della fronte corrispondente al cortile.

È probabile che la cascina era più estesa di quella che ci si presenta oggi: essa doveva infatti essere simmetrica rispetto all'attuale portico e comprendere così altre quattro camere là dove ora è parte del palazzo.

Osservando questo palazzo sembra che la tipologia tipicamente urbana del blocco su strada sia stata trasposta da una via cittadina e trapiantata senza variazioni nella campagna lainatese.

Nel complesso questo edificio, privo di sfrangiature e di logge, si presenta con una compattezza e rigidità di contorni, tale da farcelo pensare come poco atto al luogo ove sorge, ritenendo la sua struttura assai più indicata per un palazzo di città, che non per una villa di campagna.Salone da pranzo affrescato dal Levati (Quarto Nuovo): Archivio Fotografico MI

Il palazzo è ancora memore del rinascimento Aureo nella ricerca di effetti grandiosi per mezzo di masse imponenti, di belle proporzioni e di scompartizioni piacevoli all'occhio, pur tuttavia alcuni elementi e decorazioni rivelano un gusto già decisamente barocco, denunciato, per esempio, dai timpani arcuati a cuspide e delle finestre e dalla forma sinuosa possente delle mensole a voluta, che svolgono la funzione decorativa di coronamento dell'intero palazzo.

La libera interpretazione delle forme, che sembra essere uno degli embrioni del rococò maturo ed europeo, nasce con il nome di barocchetto lombardo, di cui il palazzo di Lainate è tangibile testimonianza.

Il barocchetto è un fenomeno soprattutto lombardo e viene definito quell'accezione ornata, incessante di motivi decorativi, che tuttavia rifuggono dalla fluidità plastica del rococò; non deriva dal Borromini, bensì dalla Spagna (il cosiddetto stile plateresco, facsimile dello stile ornamentale italiano). Basando la propria espressività esclusivamente sull'ornamentazione, il barocchetto è dato da un infittirsi di motivi.

La sensibilizzazione plastica delle superfici, proprie di questo stile, che avviene principalmente negli interni, non raggiungerà mai i massimi valori estetici nel palazzo.

Il palazzo rimane senza dubbio di una austerità sempre più classica perché mantiene un proprio equilibrio nel trattamento già rococò della superficie, per l'ornato chiaroscurale delle finestre ottenuto con il cotto (solo i timpani in arenaria si staccano dal fondo di facciata, creando una cromia che rompe la monotonia dell'insieme) e per la sostituzione rispetto a tante ville coeve dei plastici di facciata con una fiorita e raffinata lavorazione in ferro battuto raffigurante al centro l'emblema dei Visconti.

Un dato caratteristico delle ville milanesi del periodo è quello di ostentare quasi volutamente una grande semplicità nella decorazione esterna così da sottolineare la differenza con l'architettura colta del capoluogo.

In ogni campo dell'arte la Lombardia teresiana conserva il suo carattere schivo ed introverso che, a causa anche dei fattori climatici, porta i nobili ad abbellire all'interno i loro palazzi. Di questo pregio il palazzo di Lainate non sembra essere particolarmente dotato (la fattura dell'ornato è buona ma non eccezionale), ma con ciò riesce a mantenere quella coerenza di linguaggio che la semplicità di vita e di costumi nell'architettura della villa lombarda ha sempre ispirato.

Il nuovo palazzo si discosta nettamente dalla tradizione architettonica lombarda, non solo dal complesso cinquecentesco in cui si inseriva, ma anche dalle forme auliche barocche allora in voga nelle ville della provincia milanesi. Semmai assistiamo ad una migrazione nel milanese di una sensibilità cromatica e decorativa di origine piemontese soprattutto nella ostentata volontà di lasciare a vista la rossa muratura in cotto (nata, oltretutto, dalla banale necessità di rinunciare all'intonaco di facciata dei palazzi per permettere il finanziamento di altre opere pubbliche della dinamica Torino sabauda), che contrasta visibilmente con le leggere modanature a pagoda dei timpani delle finestre in pietra.

Forse memori della lezione raffaellesca di villa Madama (per la concezione della villa suburbana), le tendenze lombarde riprendono le invenzioni del mezzanino, della fascia di raccordo con riquadri al di sotto delle finestre e delle logge che, con palazzo Branconio dell'Aquila a Roma, il maestro aveva introdotto nella tipologia edilizia del palazzo nobiliare.

La sua muratura, piuttosto compatta di forti mutamenti chiaroscurali, si presenta in mattoni faccia a vista, nel caratteristico colore bruno-rosso patinato dal tempo, interrotto solo dai leggeri ed arcuati timpani baroccheggianti delle finestre, in pietra grigia, e dallo sporgente rinascimentale cornicione a modiglioni.

Dovendo affacciarsi ad est sulla corte e ad ovest e a nord sul giardino il palazzo di Lainate deve discostarsi dalla tipologia urbana, inserendo ad est un portico con archi alla serliana e colonne tuscaniche binate (altro omaggio all'architettura classica e ricalcanti le misure di quelle del corpo cinquecentesco) e ad ovest la lieve conformazione ad U tipicamente lombarda che dialoga invece in un modo un po' introverso con il teatro naturale prospiciente.

Altre anomalia rispetto alla tradizione lombarda sono il mancato collegamento tra portico e salone, dovuto forse allo slittamento del portico, e la collocazione dello scalone in posizione secondaria e comunque non a diretto contatto del porticato; quest'ultima soluzione fu suggerita, forse, dalla preesistenza di un altro scalone al termine del più antico portico cinquecentesco.

Uno degli aspetti più peculiari del rococò italiano e lombardo è la fervida attività di maestranze anonime, ma altamente specializzate, dirette da altrettanto intraprendenti architetti di fama locale. La loro libera interpretazione delle forme, svincolata dalla tradizionale osservanza agli ordini classici, li porta ad esercitarsi con una grazia (non ancora compassata) sulla definizione degli spazi (per lo più di interni) e degli spartiti di facciata: sembra che nella decorazione delle ville riescano ad esprimere, al di là di ambizioni di protagonismo, la loro libertà nell'estro artistico, senza mai cadere nella trappola dell'eccessiva ridondanza di effetti plastici.

Tipico delle ville barocchette rococò è il cantiere artigianale: di questa tendenza sembra essere stata investita anche Lainate, dato che sino ad ora non si sono rinvenuti né disegni né documenti d'epoca che attestino la paternità dell'opera a qualche architetto locale dell'epoca.

Una parete muraria è verso il cortile forata dal portico a tre arcate, poggianti su gruppi di tre pilastri disposti in triangolo, così che all'esterno appaiano come binati e perciò simili a quelli dell'altro portico. Sotto ad esso le volte sono a crociera. La vera facciata si trova però dalla parte opposta, verso il giardino. Su di essa il grande numero di finestre, il balcone, le portefinestre del piano terreno, la fascia orizzontale lievemente rilevata sotto le finestre del primo piano, uniti alla leggera sporgenza dei due corpi laterali, che gli conferiscono una forma di pianta ad U, danno un maggior movimento all'insieme, liberandolo da quella sensazione di pesante e gravoso che si nota dall'altra parte. Forse ciò è dovuto anche al maggior respiro datole dall'aprirsi del giardino. Da questa parte si nota una mancanza di simmetria rispetto all'asse centrale del palazzo: le finestre di destra hanno la decorazione a mattoni sotto il timpano eseguita in modo diverso rispetto a quella delle finestre di sinistra e la parte sporgente di destra è più piccola di quella di sinistra. Tutto ciò potrebbe far pensare ad una esecuzione in due tempi dell'edificio.

L'edificio poggia su larghi muri di base che ne stabiliscono il perimetro e formano l'ampia cantina nei due corpi laterali e verso il fronte del giardino, tra il piano terra e il primo, vi sono dei mezzanini, visibili all'esterno per l'aprirsi di tre finestrelle appena sotto la fascia segna piano. Il piano nobile è contrassegnato dalla suddetta fascia, dalle lunghe finestre e dai timpani ad archi. In esso, nella parte centrale, sempre verso il giardino, due sale si affacciano su di un balcone, mentre verso il cortile a sei finestre risponde il grandioso salone da ballo che misura mt 24 di lunghezza, mt 7 di larghezza, mt 8,65 di altezza, comprende cioè due piani. Esso termina con una volta a botte, e presenta ai due estremi sinuose balaustre, sorrette ognuna da sei cariatidi in gesso.

L'apparato decorativo che la famiglia Litta si incaricò di far eseguire, una volta preso possesso della villa si esprime anche in un breve saggio di arte scultorea. L'intervento, attribuito cronologicamente ai primi anni dell'Ottocento, riproduce negli agili corpi dei giovinetti, che sorreggono la mensola in pietra naturale dei balconcini della galleria, tutto l'estro ed il candore artigiano dello stucco.

Anche la struttura del quarto nuovo, in apparenza rigorosamente simmetrica, si adegua alla necessità di equilibrio degli assi in corrispondenza del cortile, con qualche compromesso, dovuto all'inserimento con il corpo di fabbrica più antico; il porticato, a tre fornici, è così leggermente traslato rispetto all'asse di simmetria dell'edificio, per essere viceversa al centro della fronte corrispondente al cortile.

È probabile che la cascina era più estesa di quella che ci si presenta oggi: essa doveva infatti essere simmetrica rispetto all'attuale portico e comprendere così altre quattro camere là dove ora è parte del palazzo.

Osservando questo palazzo sembra che la tipologia tipicamente urbana del blocco su strada sia stata trasposta da una via cittadina e trapiantata senza variazioni nella campagna lainatese.

Nel complesso questo edificio, privo di sfrangiature e di logge, si presenta con una compattezza e rigidità di contorni, tale da farcelo pensare come poco atto al luogo ove sorge, ritenendo la sua struttura assai più indicata per un palazzo di città, che non per una villa di campagna.

Il palazzo è ancora memore del rinascimento Aureo nella ricerca di effetti grandiosi per mezzo di masse imponenti, di belle proporzioni e di scompartizioni piacevoli all'occhio, pur tuttavia alcuni elementi e decorazioni rivelano un gusto già decisamente barocco, denunciato, per esempio, dai timpani arcuati a cuspide e delle finestre e dalla forma sinuosa possente delle mensole a voluta, che svolgono la funzione decorativa di coronamento dell'intero palazzo.

La libera interpretazione delle forme, che sembra essere uno degli embrioni del rococò maturo ed europeo, nasce con il nome di barocchetto lombardo, di cui il palazzo di Lainate è tangibile testimonianza.

Il barocchetto è un fenomeno soprattutto lombardo e viene definito quell'accezione ornata, incessante di motivi decorativi, che tuttavia rifuggono dalla fluidità plastica del rococò; non deriva dal Borromini, bensì dalla Spagna (il cosiddetto stile plateresco, facsimile dello stile ornamentale italiano). Basando la propria espressività esclusivamente sull'ornamentazione, il barocchetto è dato da un infittirsi di motivi.

La sensibilizzazione plastica delle superfici, proprie di questo stile, che avviene principalmente negli interni, non raggiungerà mai i massimi valori estetici nel palazzo.

Il palazzo rimane senza dubbio di una austerità sempre più classica perché mantiene un proprio equilibrio nel trattamento già rococò della superficie, per l'ornato chiaroscurale delle finestre ottenuto con il cotto (solo i timpani in arenaria si staccano dal fondo di facciata, creando una cromia che rompe la monotonia dell'insieme) e per la sostituzione rispetto a tante ville coeve dei plastici di facciata con una fiorita e raffinata lavorazione in ferro battuto raffigurante al centro l'emblema dei Visconti.

Un dato caratteristico delle ville milanesi del periodo è quello di ostentare quasi volutamente una grande semplicità nella decorazione esterna così da sottolineare la differenza con l'architettura colta del capoluogo.

In ogni campo dell'arte la Lombardia teresiana conserva il suo carattere schivo ed introverso che, a causa anche dei fattori climatici, porta i nobili ad abbellire all'interno i loro palazzi. Di questo pregio il palazzo di Lainate non sembra essere particolarmente dotato (la fattura dell'ornato è buona ma non eccezionale), ma con ciò riesce a mantenere quella coerenza di linguaggio che la semplicità di vita e di costumi nell'architettura della villa lombarda ha sempre ispirato.

Il nuovo palazzo si discosta nettamente dalla tradizione architettonica lombarda, non solo dal complesso cinquecentesco in cui si inseriva, ma anche dalle forme auliche barocche allora in voga nelle ville della provincia milanesi. Semmai assistiamo ad una migrazione nel milanese di una sensibilità cromatica e decorativa di origine piemontese soprattutto nella ostentata volontà di lasciare a vista la rossa muratura in cotto (nata, oltretutto, dalla banale necessità di rinunciare all'intonaco di facciata dei palazzi per permettere il finanziamento di altre opere pubbliche della dinamica Torino sabauda), che contrasta visibilmente con le leggere modanature a pagoda dei timpani delle finestre in pietra.

Forse memori della lezione raffaellesca di villa Madama (per la concezione della villa suburbana), le tendenze lombarde riprendono le invenzioni del mezzanino, della fascia di raccordo con riquadri al di sotto delle finestre e delle logge che, con palazzo Branconio dell'Aquila a Roma, il maestro aveva introdotto nella tipologia edilizia del palazzo nobiliare.

La sua muratura, piuttosto compatta di forti mutamenti chiaroscurali, si presenta in mattoni faccia a vista, nel caratteristico colore bruno-rosso patinato dal tempo, interrotto solo dai leggeri ed arcuati timpani baroccheggianti delle finestre, in pietra grigia, e dallo sporgente rinascimentale cornicione a modiglioni.

Dovendo affacciarsi ad est sulla corte e ad ovest e a nord sul giardino il palazzo di Lainate deve discostarsi dalla tipologia urbana, inserendo ad est un portico con archi alla serliana e colonne tuscaniche binate (altro omaggio all'architettura classica e ricalcanti le misure di quelle del corpo cinquecentesco) e ad ovest la lieve conformazione ad U tipicamente lombarda che dialoga invece in un modo un po' introverso con il teatro naturale prospiciente.

Altre anomalia rispetto alla tradizione lombarda sono il mancato collegamento tra portico e salone, dovuto forse allo slittamento del portico, e la collocazione dello scalone in posizione secondaria e comunque non a diretto contatto del porticato; quest'ultima soluzione fu suggerita, forse, dalla preesistenza di un altro scalone al termine del più antico portico cinquecentesco.

Uno degli aspetti più peculiari del rococò italiano e lombardo è la fervida attività di maestranze anonime, ma altamente specializzate, dirette da altrettanto intraprendenti architetti di fama locale. La loro libera interpretazione delle forme, svincolata dalla tradizionale osservanza agli ordini classici, li porta ad esercitarsi con una grazia (non ancora compassata) sulla definizione degli spazi (per lo più di interni) e degli spartiti di facciata: sembra che nella decorazione delle ville riescano ad esprimere, al di là di ambizioni di protagonismo, la loro libertà nell'estro artistico, senza mai cadere nella trappola dell'eccessiva ridondanza di effetti plastici.

Tipico delle ville barocchette rococò è il cantiere artigianale: di questa tendenza sembra essere stata investita anche Lainate, dato che sino ad ora non si sono rinvenuti né disegni né documenti d'epoca che attestino la paternità dell'opera a qualche architetto locale dell'epoca.

Una parete muraria è verso il cortile forata dal portico a tre arcate, poggianti su gruppi di tre pilastri disposti in triangolo, così che all'esterno appaiano come binati e perciò simili a quelli dell'altro portico. Sotto ad esso le volte sono a crociera. La vera facciata si trova però dalla parte opposta, verso il giardino. 

Su di essa il grande numero di finestre, il balcone, le portefinestre del piano terreno, la fascia orizzontale lievemente rilevata sotto le finestre del primo piano, uniti alla leggera sporgenza dei due corpi laterali, che gli conferiscono una forma di pianta ad U, danno un maggior movimento all'insieme, liberandolo da quella sensazione di pesante e gravoso che si nota dall'altra parte. Forse ciò è dovuto anche al maggior respiro datole dall'aprirsi del giardino. Da questa parte si nota una mancanza di simmetria rispetto all'asse centrale del palazzo: le finestre di destra hanno la decorazione a mattoni sotto il timpano eseguita in modo diverso rispetto a quella delle finestre di sinistra e la parte sporgente di destra è più piccola di quella di sinistra. Tutto ciò potrebbe far pensare ad una esecuzione in due tempi dell'edificio.

L'edificio poggia su larghi muri di base che ne stabiliscono il perimetro e formano l'ampia cantina nei due corpi laterali e verso il fronte del giardino, tra il piano terra e il primo, vi sono dei mezzanini, visibili all'esterno per l'aprirsi di tre finestrelle appena sotto la fascia segna piano. Il piano nobile è contrassegnato dalla suddetta fascia, dalle lunghe finestre e dai timpani ad archi. In esso, nella parte centrale, sempre verso il giardino, due sale si affacciano su di un balcone, mentre verso il cortile a sei finestre risponde il grandioso salone da ballo che misura mt 24 di lunghezza, mt 7 di larghezza, mt 8,65 di altezza, comprende cioè due piani. Esso termina con una volta a botte, e presenta ai due estremi sinuose balaustre, sorrette ognuna da sei cariatidi in gesso.

L'apparato decorativo che la famiglia Litta si incaricò di far eseguire, una volta preso possesso della villa si esprime anche in un breve saggio di arte scultorea. L'intervento, attribuito cronologicamente ai primi anni dell'Ottocento, riproduce negli agili corpi dei giovinetti, che sorreggono la mensola in pietra naturale dei balconcini della galleria, tutto l'estro ed il candore artigiano dello stucco.

Fra un telamone e l'altro, nei riquadri si vedono raffigurati degli esponenti della famiglia Litta, ritratti di profilo, secondo il gusto neoclassico e dentro corone d'alloro, come i ritratti encomiastici eseguiti dagli antichi romani per celebrare personaggi illustri.

A Lainate, le figure giovanili dei telamoni emergono da piatta decorazione, a scultura a tutto tondo, tanto da divenire gli unici protagonisti dell'ampio salone che un tempo alloggiava sulle sue pareti ritratti di famiglia.

La stanza che invece ha valore esornativo maggiore è la sala del Levati che svolge la funzione, introdotta proprio nel Settecento, di sala da pranzo; ha una finta cupola a cassettoni dipinta ed è riccamente affrescata anche sulle pareti, con ornamenti e figura mitologiche di gusto classico, tutte opere del Levati, pittore prospettico della Reale Accademia di Belle Arti.

Il pittore, attraverso il tema neoclassico, inserisce quella vena ancora frizzante di discendenza rococò che, pur sfruttando per la decorazione la forma di oggetti classici ed archeologici (treppiedi, anfore, fiorami, rami di mirto, corone d'alloro e foglie d'acanto, memori delle recenti scoperte di Pompei ed Ercolano, 1748), non cade nella pura stilizzazione estetica della rappresentazione. 

Le ariose vedute paesaggistiche ed arcadiche del periodo non sembrano ispirare un pittore come il Levati, la cui estrazione artistica si rivela ben più classica ed accademica: la sua specializzazione nel campo della pittura è infatti l'ornato. Un'ultima nota di apprezzamento da concedere a questo stimato artista ed architetto è l'iniziativa che egli prese di diffondere fra i primi in Milano quel gusto per i motivi orientali, attraverso mobili e decorazioni, che costituirà uno degli interessi predominanti della nascente componente romantica.

È inutile soffermarsi sulle attribuzioni delle altre decorazioni, quando non si è rinvenuta alcuna traccia degli autori: per certo si sa che per tutto il 1700 gli stuccatori ticinesi furono abili maestri diffusi in tutto il nord d'Italia.

La sala dei giochi presenta un soffitto adornato in modo episodico da personaggi in costume del tempo che si riposano seduti, per godere un po' di frescura, ambientati in un accenno di paesaggio naturale appena abbozzato sullo sfondo.

È questa una tipica decorazione ispirata allo spirito arcadico e bucolico della letteratura del primo Settecento che, come accade anche a Lainate, completa la composizione della volta con sottilissimi festoni e volute fiorite su campo bianco, procurando, così come era nell'intenzione, una sensazione di serenità e di svago, che già il riposo della villeggiatura doveva dare.

La stanza successiva, detta dei Baci, illustra nei suoi affreschi la celebrazione un po' encomiastica, ma anche ludica, di personaggi della famiglia Litta, ripresi entro cornici sorrette da amorini dorati e giocondi a coppie di coniugi, sorpresi nell'effusione amorosa del bacio.

La sala delle assi, locale posto a nord, presenta nelle pareti una fascia di pittura più recente fino ad una altezza di cm 110 rifatta; da questa altezza fino al cornicione di imposta della volta, le pitture rappresentano delle assi di legno poste a doghe oblique (altezza cm 40), riprese successivamente solo in alcuni punti.

Si può accedere al piano interrato non direttamente dalla villa ma dai rustici attigui, tramite un tunnel lungo m 8,65; i sotterranei hanno scarsa ventilazione poiché le aperture esistenti (bocche di lupo) sono in parte chiuse, in parte intasate dai detriti.

Tutte le stanze della villa dovevano avere un pavimento a medoni, di cm 20 x 40 x 4, posti a 45° e con una cornice lineare di cm 20 al perimetro; fanno eccezione alcuni locali al primo piano, perché i pavimenti sono stati rimossi, e alcune stanze del piano terra (cinque), tra le quali anche il salone del Levati, il cui pavimento è costituto da un seminato alla veneziana, risalente al secolo scorso. 

A corredare l'intero impianto settecentesco avrebbe dovuto contribuire l'arredo che, tramite gli influssi francesi, ritrova una propria identità e diventa vero protagonista del vezzo rococò, sul quale esporre ninnoli di porcellane raffinate. Ciò che rimane a Lainate dell'arredo della sala da pranzo sono due consolle con specchiera ed una stufa in ceramica di origine olandese. Le altre stanze vuote del palazzo, invece, sarebbero rimaste almeno impreziosite dai camini, dislocati quasi in ogni stanza e di pregevole fattura; purtroppo qualche anno fa i pezzi migliori sono stati trafugati e di essi non si è avuta più notizia.

La ricchezza di particolari decorativi e l'attenzione ai minimi dettagli degli infissi permettono il chiaro riconoscimento dello stile gentile e raffinato del Settecento neoclassico. Possiamo portare come esempio le maniglie in avorio e di ebano al piano terreno, i pavimenti in pietrisco alla veneziana e la ringhiera in ferro battuto della scala, che conduce al piano nobile.

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