Villa Reale
Monza

  

Nella seconda metà del 1700 Maria Teresa d'Austria, sovrana del riformismo illuminato, invia a Milano, come Governatore Austriaco della Lombardia, il figlio prediletto Ferdinando II. Egli ha il compito di rappresentare la casa d'Austria a Milano, e assolvere, attraverso lo sfarzo della sua corte, a quelle funzioni di rappresentanza, indispensabili a consolidare il potere degli Asburgo nella regione, secondo un preciso piano politico perseguito dagli stessi Asburgo nel corso di tutto il secolo.

La presenza del principe a Milano influisce notevolmente sul destino della città. Ferdinando, insomma, dà un'impronta profonda e personale alla vita politico-amministrativa della città attraverso importanti e complesse riforme e contribuisce in maniera decisiva a ridisegnarne e riqualificarne gli spazi. Il perno ed il nuovo assetto urbano sarà il "sistema di reggie" - il palazzo di città e la dimora di campagna - collegate dall'asse viario che passa dalla Porta Orientale.

Affrontato e felicemente risolto il problema della residenza a Milano, con l'adattamento della Corte Ducale in "comoda abitazione" dell'Arciduca, Ferdinando, già nel 1775, prende in considerazione l'ipotesi di una casa di campagna.

L'incarico viene affidato al Piermarini, insignito del titolo di Architetto Arciducale e Camerale, Ispettore delle Fabbriche dello Stato, per aver brillantemente portato a termine la ristrutturazione dell'antico Palazzo Ducale. Determinante fu per il Piermarini, la collaborazione con il Vanvitelli alla Reggia di Caserta, della quale trasse quelle regole espressive e quella metodologia progettuale che ne fecero "l'arbitro del fare architettonico a Milano". La scelta del luogo dove erigere la dimora estiva dell'Arciduca cade su Monza.

L'assenso al progetto ed il benestare all'investimento di ben 70.000 zecchini, successivamente aumentati di altri 35.000 per consentire la realizzazione dei giardini, fa si che la casa di campagna voluta inizialmente da Ferdinando venga sostituita dal ben più ambizioso disegno di una reggia vera e propria in grado di rappresentare il potere sovrano degli Asburgo.

La Villa può considerarsi quasi conclusa dopo solo tre anni di lavoro grazie all'esperta direzione del Piermarini. Nel 1780 Maria Teresa muore e Ferdinando deve affrontare il difficile rapporto con il fratello Giuseppe II, che ha una diversa concezione della sovranità, tutta rivolta al bene del popolo. Questo influenza non poco i lavori intorno alla Villa che andranno d'ora in poi nel senso del pubblico interesse. La realizzazione dei due viali verso Milano e verso il borgo di Monza sono sintomatici di questo nuovo indirizzo.

Con la morte di Giuseppe II nel 1790 cessano definitivamente ulteriori ampliamenti e abbellimenti. La Villa vive anni di splendore sino all'arrivo dei francesi a Milano che vi insediano un reggimento di ussari dando così avvio a quell'alternarsi di vicende storiche.

Venduta ad un privato per essere demolita, é successivamente oggetto di rivalutazione da parte del Governo Francese grazie alla vibrata protesta di un semplice cittadino che grida allo scandalo per l'abbattimento di uno "dei più magnifici monumenti della Lombardia, e senza esagerazione per molti riguardi, di tutta l'Italia".

Rimasta ai francesi diventa Villa della Repubblica ed é occupata da reparti militari. Le ricche sale decorate dall'Albertolli, dal Traballesi e dai migliori artisti dell'epoca vengono ridotte in uno stato talmente precario da quest'uso improprio e devastante, da richiedere urgenti interventi di manutenzione.

I lavori di ripristino, avviati da Melzi d'Eril, proseguono con ritmo incalzante, motivati anche dall'esigenza di sistemare l'edificio monzese per un possibile soggiorno di Napoleone. Con l'incoronazione di Napoleone del 1805, avvenuta nel Duomo di Milano con la Corona Ferrea, Monza assurge al titolo di "città imperiale" e anche la Villa, ormai completamente riadattata, riacquista l'originario ruolo di rappresentanza.

Visite di grandi personaggi, ricevimenti, udienze, animano la Villa, chiamata da quel momento Reale.

Negli anni di dominio francese l'architetto Canonica, che subentrò al Piermarini nel 1797, realizza alcuni importanti interventi riguardanti il complesso monzese, come la doppia recinzione, i corpi di guardia ed il teatrino, ma primo tra tutti costituisce, per decreto napoleonico, il vasto parco in estensione ai Giardini Reali.

Ad un nuovo periodo di relativo abbandono, che ha inizio nel 1814 con il ritorno delle truppe austriache, seguiranno quarant'anni di vita intensa per la Villa grazie alla figura di Raineri, Viceré del Regno Lombardo-Veneto, che si stabilirà a Monza dal 1818. Numerosi interventi, anche di notevole portata, verranno condotti, ad opera dell'architetto Giacomo Tazzini, Ispettore delle Pubbliche Costruzioni, nei corpi di fabbrica, nel parco e nei giardini.

Sono quest'ultimi in particolare a godere l'attenzione del Viceré, esperto in botanica, che seguirà da vicino l'operare dei giardinieri Rossi e Manetti, con risultati di notevole interesse.

Occupata nel 1848 dai militari di Radetsky, la Villa ritorna ad essere sede di una corte sfarzosa soltanto dal 1857 al 1859, durante il breve soggiorno monzese dell'ultimo rappresentante della casa d'Austria, Massimiliano I d'Asburgo, fratello di Francesco Giuseppe.

Con la proclamazione del Regno d'Italia, Milano decade dal ruolo di capitale e la Villa, svincolata da funzioni di rappresentatività di stato, per la prima volta nella sua storia diventa veramente luogo di villeggiatura; residenza privilegiata, però, perché Umberto I, é legato in modo particolare a Monza dove lo attira l'amenità della residenza immersa nel verde, il fascino del parco in cui cacciare e cavalcare e la felice prossimità di Villa Litta di Vedano, residenza della Duchessa Eugenia Attendolo Bolognini Litta.

Appassionato di Monza ogni anno vi profondeva spese e restauri e migliorie e lavori artistici sotto la fine direzione del suo Architetto Achille Majnoni d'Intignano, il quale rispettando allo scrupolo quanto v'era di originale opera del maestro Piermarini, modificò però qualche volta radicalmente certe sale e decorazioni e mobiglio, assolutamente incompatibile in una artistica regale residenza.

Alla fine dell'800, infatti, il Majnoni, il Marchese di Villamarina e l'architetto Tarantola operano una serie di trasformazioni mirate a conferire ai locali della Villa una sontuosa e ricercata comodità, ottenuta spesso a scapito del raffinato gusto estetico settecentesco.

L'uccisione di Umberto I, avvenuta proprio a Monza il 29 luglio 1900, pone definitivamente fine alla contrastata e alterna esistenza della Villa come dimora regale.

Vittorio Emanuele III, immediatamente dopo i funerali del Re, dà disposizioni di chiudere l'edificio e di non consentirvi l'accesso ad alcuno. Da quel momento il lento, ma inesorabile declino. Passata al demanio dello Stato nel 1919 e data in concessione d'uso ai Comuni di Milano e Monza nel 1921, vede un primo momento di fervore culturale.

Gli spazi interni, ormai completamente svuotati dall'arredo, disperso tra i Comuni, Enti e Ministeri vari, vengono usati dal 1923 al 1930 come sede di edizioni della Biennale delle Arti decorative e Industriali Moderne, la futura Triennale di Milano. Nelle sue prestigiose sale, tra gli stucchi, gli ori, le preziose tappezzerie trovarono posto opere di arte moderna.

Ma queste manifestazioni, seppur di livello, diedero avvio ad un'ulteriore spogliazione della Villa, quella relativa agli arredi fissi: porte, boiseries, camini, specchiere e quant'altro poteva intralciare l'allestimento delle sale, venne smantellato e accatastato nei depositi della Villa.

Trasferita la Triennale a Milano, chiusa nel 1929 l'Università delle Arti Decorative che aveva trovato posto nelle scuderie, la Villa, dapprima abbandonata, viene occupata, nel corso della seconda guerra mondiale, dalle truppe e dai senzatetto. Successivamente ospita, insieme alle più disparate manifestazioni, ben 43 edizioni della Mostra Internazionale dell'Arredamento che "violenta con i propri allestimenti il piano nobile ed il primo piano (della Villa) abbandonando poi, fino all'anno successivo, con gravissimi pericoli di incendio, i resti del festino".

Allontanata definitivamente la M.I.A. nel 1990, Stato e Comuni cercano di superare la lunga diattriba sulla proprietà concordando un uso dei prstigiosi spazi che possa restituire al complesso se non le funzioni che l'hanno vista protagonista di un secolo di storia, almeno la dignità ed il ruolo europeo che le sono consoni.
    

Dopo un lungo periodo di degrado dovuto anche al frazionamento delle amministrazioni, a marzo 2012 sono iniziati i lavori di restauro all’interno della villa, che prevedono il recupero e la valorizzazione del corpo centrale, il recupero parziale delle ali nord e sud, la realizzazione dell’area tecnica esterna alla Villa nel lato nord e la messa in sicurezza della corte d’Ingresso. Per quanto riguarda la struttura edilizia, è previsto il consolidamento delle murature del piano terra, il ripristino delle volte e dei solai lignei, la realizzazione di opere di manutenzione straordinaria per la messa in sicurezza della corte e il ripristino della pavimentazione, della cancellata e della facciata sud dell’area nord. Inoltre, il progetto prevede la riqualificazione del belvedere e il restauro delle sale del piano terra. Attualmente la Villa è gestita da un Consorzio unico, di cui fanno parte gli enti proprietari della villa.

STRUTTURA - Piermarini realizza un edificio esemplare della razionalità neoclassica adattata alle esigenze di una realtà suburbana. I tre corpi principali, disposti a U, delimitano un'ampia corte d'onore chiusa all'estremità dai due volumi cubici della Cappella e della Cavallerizza, da cui partono le ali più basse dei fabbricati di servizio: si definisce in tal modo uno spazio razionale, costituito dall'ordinata disposizione dei volumi che si intersecano ortogonalmente e che, progressivamente, si sviluppano in altezza. Come nella reggia di Caserta di Vanvitelli e prima ancora a Versailles, nella Villa reale di Monza si sottolinea un percorso che, attraverso un viale principale, collega la villa al centro del potere.

La decorazione delle facciate, rinunciando a timpani, colonnati e riquadri a rilievo, si presenta estremamente rigorosa, segnando le superfici di sottili gradazioni. L'essenzialità stilistica dell'edificio è dovuta, oltre che a precise scelte di gusto, anche a ragioni politiche: la corte illuminata di Vienna preferiva evitare un'eccessiva ostentazione di ricchezza e potere in un paese occupato. Anche gli interni si accordano al principio di razionalità e semplicità che caratterizza l'intero progetto. In particolare appare curata la loro funzionalità: i corridoi ad esempio sono tagliati in modo da servire indipendentemente varie sale adibite ad usi diversi.

Il complesso della Villa comprende la Cappella Reale, la Cavallerizza, la Rotonda dell'Appiani, il Teatrino di Corte, l'Orangerie. Nel primo piano nobile sono le sale di rappresentanza, gli appartamenti di Umberto I e della Regina Margherita. La fronte della Villa rivolta ad est si apre sui Giardini all'inglese progettati dal Piermarini.

GLI INTERNI - La vasta facciata della villa, fitta di finestre spartite da lesene, è adornata di uno scalone e di una terrazza, da cui si accede al vestibolo circolare, arricchito di colonne che danno un senso di maestà all'atrio.

Di fronte all'entrata c'è la grande sala del trono o sala degli arazzi, usata anche come salone da ballo; le pareti sono ricche di decorazioni, in alto corre una balaustra di legno, cui si accede dal secondo piano.

La villa è ricca di altre sale, di corridoi pieni di aria e di luce, di salottini decorati da stucchi ed affreschi, dovuto in massima parte all'Albertolli.

Le sale più importanti sono: la sala giapponese, il salone da pranzo (l'unico ambiente ancora originale e ben conservato), il salone della musica, la biblioteca della regina, l'armeria reale ed ancora una piccola sala del trono.
Nell'anticamera dell'appartamento de re, spicca un caminetto con piastrelle a fiori ed uno splendido pavimento di legno, coi suoi disegni di fiori, delicatamente colorati, opera di Giuseppe Maggiolini.

Salendo uno scalone di marmo bianco si accede al secondo piano nobile, qui troviamo una serie di sale ornatissime, sfarzose, ma tutte di epoca posteriore a quella del primo piano.

Edifici annessi

LA CAPPELLA - Si tratta di una vera e propria chiesa dedicata all'Immacolata: il Piermarini dispose la sua collocazione all'esterno della villa stessa, nel punto di snodo tra l'ala sinistra del corpo centrale e lo sviluppo delle ali basse verso settentrione. E' una chiesa tonda a croce greca, inserita in un perimetro esterno di forma quadrata, con la volta a crociera sorretta da due fasce diagonali, che si spezzano per dar luogo ad un lucernario con cristalli giallo oro.  

L'interno della chiesa è molto scenografico e ricco di stucchi, fregi e rosoni; una serie di colonne e lesene corinzie scandiscono gli altari e le nicchie. L'altare maggiore, sopra il quale è collocata una pala raffigurante la Vergine Immacolata (attribuita alla scuola dell'Appiani), è inserito in un tempietto formato da colonne corinzie sormontate da un timpano forgiato da ovoli e listelli.  

In fondo alla cappella, in una tribuna balconata, è installato l'organo, costruito nel 1825 dai fratelli Serassi, famosi organari bergamaschi.

Le nicchie sono occupate da statue di santi. Lo zoccolo è realizzato in scagliola imitante il bradiglio. In questa cappella vengono regolarmente tenute le funzioni religiose, il pubblico vi accede da una porticina laterale  

All'interno della chiesa sono conservati preziosi parametri sacri per le liturgie: un pallio, un tappeto ricamato dalle arciduchesse d'Austria, una stupenda pianeta ricamata in oro ed un "apparato" liturgico ricavato da un manto prezioso donato da Guglielmo di Prussia alla regina Margherita.

Fino al 1810 nella cappella officiarono i Frati Minori di San Francesco, del vicino convento delle Grazie.
In seguito, con la soppressione delle comunità religiose, voluta da Napoleone, la cura della cappella fu affidata al clero diocesano.

Nel 1968 gli stucchi della cappella furono restaurati. Ogni domenica la cappella è aperta al pubblico.

IL TEATRO - E' situato nell'ala laterale sinistra della Villa Reale, ed è costituito da una serie di salette che occupano tutta la parte di ala ribassata che va dalla cappella sino all'angolo che collega il fabbricato al Serrone. Il guardaroba del teatro confina con la Chiesetta Reale mentre il teatro vero e proprio è situato nell'ultimo salone a sinistra dopo l'ingresso.

Si tratta di un vero e proprio teatro di corte, di piccole dimensioni - soltanto 100 posti - con un palcoscenico in legno, leggermente inclinato verso gli spettatori ed un fondale di scena con soggetto mitologico realizzato dall' Appiani. Il soffitto della platea ha la volta a forma di ombrello, è interamente affrescato con motivi floreali, strumenti musicali e maschere dai colori vivacissimi; mentre il soffitto del palcoscenico ha la volta in cotto dipinta. Due grossi pilastri affrescati delimitano il boccascena e terminano con un'arcata all'interno della quale sono inseriti cinque rosoni quadrati e e quattro rosoni rettangolari, dipinti in colori contrastanti.

Nel lato opposto al palcoscenico, in posizione dominante ed inseriti in una specie di catino, è situato il palchetto reale e la balconata. Sotto il palchetto reale è posta una gradonata curvilinea in legno. Le pareti e il palchetto reale sono interamente affrescate con motivi di stile neoclassico. La parte superiore della fascia terminale delle pareti è fregiata con dentellature, ovuli e fogliette.

Secondo le documentazioni, il teatrino era collegato con la Rotonda per mezzo di un lunghissimo corridoio soprastante, che seguiva a nord e ad est l'angolo dell'ala subalterna delle cucine fino ad incontrare l'ammezzato nell'ala cappuccina settentrionale. Questo teatrino fu progettato nel 1806 da Luigi Canonica, allievo prediletto del Piermarini; ma ciò non significa che alla Villa Reale non si tenessero spettacoli teatrali.

A Monza però il Piermarini progettò nel 1777, oltre alla Villa Reale, un teatro costruito sulla piazza del Mercato denominato Teatro Ducale - in seguito Teatro Sociale - L'esecuzione dei lavori avvenne contemporaneamente all'edificazione del Teatro alla Scala di Milano, sempre del Piermarini. Questo Teatro Ducale subì un incendio nel 1802. Fu in seguito a tale incendio e alla volontà della principessa Amalia moglie di Beauharnais che venne chiesto al Luigi Canonica di progettare un teatro reale di piccole dimensioni da realizzarsi all'interno della Villa Reale, dove poter intrattenere gli ospiti.  

Quando la Villa fu chiusa nel 1900, il teatrino fu adibito a magazzino. Nel 1927 incominciarono i restauri agli affreschi. Anche se solo nel 1970 fu approvato un progetto vero e proprio di restauro, i lavori durarono cinque anni. Oggi, riportato al suo antico splendore, offre concerti, balletti e rappresentazioni teatrali.

LA PINACOTECA - Fu ordinata dal pittore monzese Erme Ripa nell'autunno del 1935 ed è situata nell'ala nord della Villa al piano rialzato; vi si accede sia dal cancello adiacente alla cappella reale, sia dai giardini, salendo per una scalinata lungo il fianco settentrionale.  

Vi sono raccolte opere della scuola lombarda dal 1500 al 1800.

Alcune sale sono dedicate ai pittori monzesi: Emilio Borsa, il pittore del Parco; Pompeo Mariani, celebre soprattutto per le sue marine; Eugenio Spreafico, il pittore del paesaggio brianzolo; Mosè Bianchi, valente paesaggista e ritrattista.

Compaiono anche opere di pittore contemporanei fra cui Raffaele De Grada, Achille Funi ed Aligi Sassu; dipinti ed incisioni di Anselmo Bucci; bronzetti e dipinti dello sculture monzese Eugenio Baroni.

LA ROTONDA - Alle spalle del teatrino, dove si trovano i fabbricati dei rustici, una costruzione detta la "Rotonda" collega le serre agli appartamenti reali per mezzo di due porte mobili, coperte da specchi. Fu voluta da Ferdinando in occasione del suo ventesimo anniversario di matrimonio.

Costruita nel 1790 dal Piermarini, dopo 13 anni dalla realizzazione del progetto iniziale della Villa Reale, è l'unico elemento architettonico di forma circolare che è presente in questa struttura rigidamente lineare e squadrata.

Il Piermarini la concepì come una specie di dépendance scenografica dove l'Arciduca potesse intrattenere gli ospiti e stupirli, mostrando delle porte che sparivano o delle fontane che zampillavano a suon di musica o dei camini girevoli azionati da meccanismi di ingegneria meccanica, facendo inoltre apprezzare a tutti le favolose piante esotiche fatte giungere da ogni parte del mondo. Anche in questa parte della Villa il Piermarini non tralasciò il linguaggio architettonico classico antico e quello del tardo Rinascimento Italiano.

All'interno è caratterizzata da arcate scandite da paraste; lo zoccolo e il cornicione sono a fascia. Quattro grandi porte si aprono al suo interno, una delle quali è a specchio per nascondere un passaggio segreto di raccordo tra la Rotonda e la Villa , specchio che riflette la bellezza del parco da una parte, il roseto dall'altra, e quando veniva aperta la porta meccanica, il contenuto del Serrone.

Il pavimento è in marmo bianco di Carrara, il soffitto, a volta, ha un medaglione centrale e quattro vele in corrispondenza delle porte. La Rotonda nel 1791 venne affrescata da Andrea Appiani, amico di Piermarini e di Parini, il grande letterato milanese illuminista , precettore di nobili lombardi, molto apprezzato dall'arciduchessa Maria Beatrice Ricciarda D'Este. La Rotonda venne realizzata ed affrescata in occasione del ventennale di nozze degli Arciduchi d'Asburgo. E' proprio su consiglio del Parini che l'Appiani affrontò il tema mitologico di Amore e Psiche per gli affreschi della Rotonda.

Gli affreschi sono collocati in posizioni diversificate per meglio comprendere la favola tratta dall'Asino d'oro di Apuleio. Quattro affreschi curvi, di forma rettangolare , posti sopra le finte porte che scandiscono la circolarità della struttura, raffigurano:

1) Psiche Adorata dalle genti, dove sono contrapposte due splendide figure, quella del vecchio sacerdote pronto a profferire l'offerta sull'altare , e quella di Psiche, avvolta in un manto giallo mentre passeggia fra corone di fiori, adorata dalla folla.

2) Psiche che guarda Eros dormiente

3) Psiche in ginocchio mentre supplica Proserpina a concederle il vaso della bellezza

4) Psiche svegliata dal dardi di Eros, dopo un lunghissimo sonno causatole dall'apertura del vaso della bellezza, per poter piacere maggiormente al suo sposo.

Le quattro vele proseguono il discorso della favola di Amore e Psiche:

1) Psiche riporta il vaso della bellezza a Venere

2) Eros vola da Giove a chiedere protezione, e la ottiene

3) Venere indica ad Eros la rea da punire

4) Mercurio rapisce Psiche su ordine di Giove

Infine il medaglione centrale raffigura Psiche sorretta da Eros nel momento in cui viene presentata a Giove e alla sua corte. Appiani ha voluto così distinguere gli episodi terreni da quelli celesti, infatti quelli raffigurati nei riquadri rettangolari sono prettamente ambientati nel mondo terreno, mentre per le vele e per il medaglione si tratta di episodi celesti.

La singolarità di questa struttura architettonica inserita in un corpo di fabbrica lineare e squadrato, sottolinea il gusto di un momento culturale di transizione, in cui Piermarini esalta e rievoca la pianta centrale dell'antica architettura termale romana, collegandola alla zona bucolica per eccellenza: il Serrone

IL SERRONE - Progettato e costruito contemporaneamente alla Rotonda, nel 1790 dall'Imperial Regio Architetto Piermarini, è collocata nella parte meridionale sinistra dell'ala laterale vicino ai rustici dal lato delle cucine.

100 metri di lunghezza per 6 di larghezza e 7 di altezza fino alle travi orizzontali delle capriate, prende luce dalla parte orientale attraverso 26 finestroni arcuati e da un portone arcuato dal quale si accede al roseto.

Il corpo di fabbrica era definito orangerie, citroneria, cedraja, agrumeria, serra di agrumi, limonaia, serrone, e conteneva piante esotiche e rare. E' edificato in cotto intonacato. Il tetto ha un'unica falda con spiovente verso il parco, poggia su una serie di capriate in legno a vista. L'originario pavimento in selciato è stato sostituito con il cotto naturale.

Il Serrone è collegato con la Rotonda attraverso un portone; all'epoca della sua costruzione il Piermarini affrontò il problema realizzando dei meccanismi di ingegneria meccanica, attraverso i quali faceva scomparire le porte e azionava i giochi d'acqua predisposti all'interno e all'esterno del serrone, questo perchè l'Arciduca amava molto stupire i suoi ospiti.

Dal 1985 questa struttura è stata restaurata per divenire sede museale di rassegne e mostre inerenti l'arte moderna e contemporanea. Per tale motivo è stata fornita di un sistema espositivo dotato di pannelli modulari scorrevoli che possono prestarsi alle diverse esigenze.

L’APPARTAMENTO DEL RE - L'appartamento privato di Umberto I é, nella sua veste attuale, il risultato dell'intervento operato alla fine dell'800 dall'Architetto di Corte Achille Majnoni d'Intignano, che adeguò al gusto dell'epoca tutti gli ambienti collocati a destra del Salone Centrale, da sempre destinati a tale funzione.

Per capire a fondo quanto importante e radicale fu tale trasformazione, basta soffermarsi sull'esame dell'Inventario Mobiliare che la precedette quello, cioè, relativo alla campagna inventariale promossa dai Savoia all'indomani dell'ascesa al trono di Umberto I.  

Dopo un primo raffronto planimetrico, che evidenzia l'ampliamento della Biblioteca e della Camera da letto, l'analisi dell'Inventario del 1881 mette in luce particolari di notevole interesse. Soffermandosi sulla Biblioteca, che già allora fungeva da cerniera tra gli appartamenti di Margherita e Umberto, si evidenzia quanto l'ambiente fosse improntato ancora ad una raffinatezza di sapore settecentesco per la presenza di mobili del Maggiolini.

La stanza era arricchita da un camino ed aveva le pareti rivestite di "percallo a listoni e fiori rossi in fondo bianco", stoffa che ricopriva anche poltrone e sedie.

Il locale attiguo alla Biblioteca era diviso in due ambienti, una "Piccola Anticamera" dove era collocato anche un "letto per la guardia", ed una "Anticamera all'Appartamento Privato di S.M.", entrambe con finiture che non prevedevano tappezzerie. La "Sala d'Aspetto" dava inizio alle stanze strettamente private e precedeva una "Galleria di Passaggio". 

Seguivano i due ambienti che Majnoni unificherà nella grande e ricca camera da letto con colonne scanalate e dorate, la "Camera con Alcova" e la "Camera da letto di S.M. il Re" con un semplice, ma prezioso "letto di legno mogano a contorno sagomato con lesene alla testiera inferiore e testa di putto e cimasa a fregio alla testata anteriore".

L'appartamento, che prosegue con una "Camera da toilette", un "Guardaroba" e si conclude con una stanza adibita a deposito di armi.  

LA BIBLIOTECA DEI CIECHI - Nel 1942 fu trasferito a Monza, nei fabbricati dell'ala destra della Villa Reale, il patrimonio librario della Biblioteca Nazionale per i ciechi, fondata a Genova nel 1928, ed è l'unica nel suo genere in Italia.

Agli inizi i libri erano scritti in alfabeto Braille a mano, in parte dai detenuti del carcere di Genova ed in parte dai ciechi che lavoravano sotto dettatura. Nel 1951 si ebbero le prime macchine dattilografiche a scrittura in rilievo, che alleviarono la fatica della trascrizione sulle apposite tavolette. Ora si è riusciti a realizzare una apparecchiatura elettronica, che ha notevolmente aumentato la produzione editoriale in Braille.

La Biblioteca è a disposizione di tutti i ciechi: i libri vengono spediti in prestito ed anche venduti allo stesso prezzo di copertina dei libri normali per consentire ai non vendenti l'acquisto di volumi alle medesime condizioni di ogni altro cittadino.

I GIARDINI REALI - L'importante complesso monzese ha dato origine ad una lunga serie di scritti, appunti di viaggio e ricerche sin dall'epoca della prima sistemazione piermariniana dei giardini. Da Ercole Silva che li descrive già nel 1801, a numerosi personaggi non meno famosi che decantano le bellezze e le amenità del luogo, al gruppo di esperti, infine, che recentemente ha condotto un approfondito ed esauriente studio sull'argomento.

Nei due volumi del 1984 e del 1989 sono stati affrontati ed analizzati i molteplici aspetti del più grande parco cintato d'Europa; da quello filosofico - estetico di Rosario Assunto,  a quello storico - compositivo di Annalisa Maniglio Calcagno per il parco e di Gianni Venturi per i giardini, a quello botanico di Franco Catalano e di Franco Agostoni. Saggi sul territorio, sulle acque, sui ponti, sul costruito e sulle cacce completano ed esauriscono, infine, questa fondamentale ricerca che si é in gran parte avvalsa del cospicuo materiale documentario conservato presso la Sopraintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Milano.

I giardini della Villa Reale, la cui superficie é di 40 ettari circa, circondano gli edifici del complesso monzese da tutti i lati e sono divisi dal  retrostante parco da una recinzione. Storicamente distinti da quest'ultimo, che fu realizzato trent'anni dopo, ne sono diventati con il tempo la naturale premessa. Da prato che dolcemente digrada a levante si apre, infatti, un cannocchiale che si perde a vista d'occhio nel parco creando continuità tra i due spazi verdi.

La conformazione planimetrica attuale rispecchia solo in minima parte il progetto originale del Piermarini che vedeva, in una sintesi tipica della cultura illuminista tardo-settecentesca, il giardino formale alla francese affiancarsi al primo esempio italiano di giardino paesaggistico, ed entrambi convivere sia con l'aspetto utilitaristico dell'arboreto del pomario e dell'orto, sia con quello scientifico sperimentale del giardino botanico.

Iniziati dall'architetto folignate nel 1778, ebbero una battuta d'arresto con la morte dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, ma la loro sistemazione si deve considerare in buona parte conclusa al momento del passaggio dell'incarico progettuale al Canonica, avvenuto nel 1797.

Orientati secondo l'asse est-ovest, i giardini formali erano caratterizzati da parterres geometricamente disegnati e comprendevano, nell'area prospiciente la corte d'onore, il giardino dei frutti e delle verdure a sinistra e quello degli agrumi a destra. Le numerose piante di agrumi venivano ricoverate d'inverno nell'"Arancera", importante serra fatta costruire da Ferdinando nel 1790 e collegata alla villa attraverso la Rotonda dell' Appiani.

Oltre il corpo principale della villa, sempre lungo l'asse est-ovest, altri parterres  simmetrici si distinguevano, anche per la quota, dal fulcro di questa composizione geometrica, un maestoso ninfeo con una vasca al centro. Un asse secondario, perpendicolare a quello principale, sottolineava il collegamento della Reggia con Monza; ad esso era affidata un'altra importante area del giardino formale, il Giardino delle Rose, che nei primi anni dell'800 vedrà coltivate, per merito di Luigi Villoresi, numerose varietà di questo fiore, tra cui la famosa "Rosa Mirabili Modoetiensis". Sul lato nord-est, defilato rispetto ai giardini alla francese, ecco infine l'episodio informale progettato dal Piermarini in aderenza alle nuove tendenze europee.

 Egli per primo in Italia plasmò la natura secondo le regole del giardino paesaggistico ottenendo un risultato estetico tale da suscitare l'ammirazione del più attento seguace della moda ottocentesca dei giardini: Ercole Silva. Una planimetria del complesso del 1808 circa testimonia in maniera molto chiara la trasformazione radicale subita dai giardini in seguito all'intervento di Luigi Canonica.

I parterre alla francese ed il ninfeo, nella parte posteriore della villa, lasciano il posto ad una nuovo giardino che altro non é se non il naturale ampliamento dell'episodio inglese del Piermarini. La scarpata, che geologicamente divideva i giardini di levante in due zone, si trasforma in un piano inclinato. Anche i giardini formali prospicienti la corte d'onore subiscono modifiche diventando simmetrici rispetto all'asse principale.

Alcuni anni più tardi, nel 1829, un "Disegno planimetrico degli Imperial Regi Giardini circostanti l'I.R. Palazzo presso Monza" testimonia il continuo riaffermarsi del giardino paesaggistico con l'ulteriore trasformazione di una zona a disegni geometrici in prati e sentieri curvilinei. Sempre a nord, dietro l'"Arancera", un'ampia area viene destinata alla scuola botanica.

Siamo ormai ritornati in piena epoca austriaca ed il Viceré Ranieri, che risiede a Monza dal 1818, da grande appassionato di scienze naturali, promuove e stimola intense attività legate alle sperimentazioni botaniche, alla cura ed alla coltivazione di un numero molto elevato di specie rare, dando vita ad un vero e proprio orto botanico. Da un catalogo compilato da Giuseppe Manetti, direttore dei Giardini Reali, come aggiornamento di due precedenti elenchi, risulta che le numerose serre contenevano ben 1700 generi botanici, 7800 specie e 1400 varietà, per un totale di 9000 unità. Un numero talmente elevato ed una qualità tale da suscitare l'ammirazione e la lode della Commissione incaricata di visitare "l'Orto Botanico annesso all'Imperial regia Villa presso Monza".

Piante dai fiori intensamente colorati, come le azalee, le camelie, le rose e le ortensie si affiancavano a collezioni di piante della Nuova Olanda, orchidee, piante alpine e piante officinali. Infine, accanto a queste coltivazioni, che in gran parte uscivano dalle serre per la decorazione e la manutenzione dei giardini, grande rilevanza estetica e quantitativa aveva la ricca produzione di verdure, agrumi, ananas e frutta. 

Alla metà dell'800 la villa diventa residenza di campagna di Umberto I perdendo la sua originale funzione di rappresentanza e assumendo da allora un ruolo "privato". La Scuola di Botanica viene chiusa e per i giardini inizia una fase di stasi. La morte del Re, avvenuta nel 1900, ed il conseguente abbandono della villa contribuiscono a cancellare definitivamente l'immagine di grandiosità, fasto ed operosità dei Regi Giardini.

Nella prima metà del 900 si effettuano ulteriori interventi nell'area prospiciente il palazzo, viene eliminato il viale d'ingresso lungo l'asse principale e vengono realizzati due specchi d'acqua con aiuole. l'area destinata alla coltivazione degli agrumi é successivamente trasformata nell'attuale roseto, curato dall'Associazione Italiana della Rosa; l' "Arancera" di Ferdinando é stata di recente sistemata come sede espositiva.

Mentre tutta l'area destinata a giardino formale, come si é visto, ha sùbito interventi tali da essere ormai un vago ricordo, i giardini all'inglese del Piermarini e del Canonica sono giunti quasi intatti sino a noi. Concessi in uso nel 1921 ai comuni di Milano e di Monza, sono aperti al pubblico e sono gestiti da una Commissione Amministratrice Paritetica costituita nel 1934.

Parco della Villa Reale

Il Parco di Monza è il più grande parco recintato d'Europa: con una superficie di 688 ettari è grande più del doppio del Central Park di New York. È situato a nord della città, tra i comuni di Lesmo, Villasanta, Vedano al Lambro e Biassono.

Al suo interno scorre il fiume Lambro che si insinua con cascatelle e specchi tranquilli. Sorge su terreno alluvionale trasportato dal fiume: terra argillosa e sabbiosa, ma fertile e ricca di umidità.  

Fu voluto all'inizio del XIX secolo da Eugenio di Beauharnais, vicerè del Regno italico, che teneva corte alla Villa Reale, per ampliarne i giardini sino ad ottenere una immensa riserva di caccia. Poco dopo l’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia, il 26 maggio 1805 in Duomo, il 14 settembre Eugenio emise un decreto imperiale per la costruzione, accanto alla villa e agli esistenti giardini, di un immenso parco con lo scopo di farne una tenuta modello ed una riserva di caccia. I lavori vennero affidati all’’Architetto di Stato’ Luigi Canonica, che li avviò già nel 1806, terminandoli nel 1808.  

Canonica (assistito dall’ingegnere Tazzini e dal capogiardiniere Luigi Villoresi), estese l’area verde del complesso, sino ad oltre 700 ettari, incorporando ville settecentesche con i loro giardini (le antiche ville dei conti Durini, il Mirabello e il Mirabellino, una dei Gallarati Scotti), cascine, mulini, una vasta area boschiva e un ampio tratto del Lambro. 

All’interno vennero organizzate tenute agricole modello, approvvigionate d’acqua, destinate alla sperimentazione agricola e d’allevamento.

Organizzando, però un vasto sistema di rettilinei (un asse principale Nord-Sud detto ‘viale Mirabello’, più una rete di viali secondari a distribuire i percorsi in tutto il parco) che mettevano in comunicazione i punti principali, formando delle vedute prospettiche dette ‘cannocchiali’, oltre ad una serie di gradevoli punti di vista.

La perimetrazione definitiva venne realizzata nel 1807, con la realizzazione di un muro di cinta (lungo 14 chilometri ed opera dell’architetto Carlo Fossati) utilizzando materiale proveniente dalla demolizione della mura medievali di Monza. Esso era originariamente interrotto da quattordici accessi: si essi rimangono le cinque porte principali che prendono il nome della località sulle quali si affacciano: Monza, Vedano al Lambro, San Giorgio, Villasanta e Biassono, più alcune porte minori.

Secondo tavole del secolo scorso il Parco presentava aree di coltivazioni ben definite: boschi cedui ed ad alto fusto, campi e vigneti, prati, viali, marciapiedi erbosi, recinto dei cervi, fagianaie all'inglese ed all'italiana ed il laghetto della valle dei sospiri.

I campi venivano coltivati per la segale, il granoturco ed il frumento; però ben presto si abbandonarono queste coltivazioni in quanto erano incompatibili con l'allevamento delle lepri che distruggevano i campi per cibarsi.

All'interno del Parco vi erano anche alcuni agricoltori che abitavano nelle cascine che si dedicavano all'allevamento dei bachi da seta, mentre altri erano addetti ai quattro mulini ed alla caccia.

Sulle collinette di Vedano al Lambro venne costruito un vigneto di circa 428 pertiche che produceva uva "Lambrusca", ma quando si decise di liberare i cervi ed i daini per lasciarli vagare liberi, se ne dovette abbandonare la cultura.

Si allevavano anche buoi, mucche, cavalli e qualche asino.

Ad ogni stagione di caccia, nei boschi e soprattutto nel Bosco Bello (ora autodromo) erano presenti un migliaio di lepri ed erano pronti nelle fagianaie 1500 fagiani.

Il 23 aprile 1814 Eugenio di Beauharnais abdicò e il feldmaresciallo austriaco Bellegarde prese possesso del Veneto e della Lombardia. I rientranti Asburgo trovano, accanto alla Villa Reale, il nuovo gioiello. Con la loro gestione il parco crebbe in bellezza ed importanza. Il parco fu spesso aperto al pubblico, che ne poté usufruire.

Giacomo Tazzini progettò nuove cascine e ne restaurò altre: Costa Alta, Costa Bassa (Mulini Asciutti), cascina del Sole, mulino del Cantone e Cascina Cernuschi.

Nel 1823, Luigi Villoresi fu nominato responsabile del parco ed introdusse numerose specie esotiche.

Con l'arrivo di Casa Savoia nel 1859, la struttura del Parco non si modificò. Il parco rimase intatto, ricco di vegetazione e fauna, ma dopo l'uccisione di Umberto I, la famiglia reale abbandonò Monza e le residenze della Villa Reale e del Parco.

Nel 1919, il Parco fu donato all'Associazione Nazionale Combattenti e Reduci. L'associazione voleva dividere l'area in tre: Una città-giardino, un'area di sport e divertimento e una colonia agricola. La gestione era troppo onerosa e l'associazione preferì alienare il complesso, cedendolo ai Comuni di Monza e di Milano e alla Società Umanitaria di Milano, uniti in consorzio. Il Parco fu così reso disponibile al pubblico.

Poi peggiorò gradatamente, tanto che nel 1945 la sua consistenza arborea era già ridotta al 25% di quella originaria.

Grandi aree furono date in gestione a enti ed organismi privati. Nel 1922, 344 ettari del Bosco Bello furono dati in gestione alla SIAS (Società Incremento Automobilistico e Sport), che vi costruì l'Autodromo. Nel parco fu costruito anche un ippodromo (109 ettari) dalla Società Incremento Razze Equine, che andò in abbandono, fino a che un incendio non distrusse completamente le tribune per gli spettatori.

Venne anche costruita una grande fattoria (20 ettari della Cascina Fontana) e la Scuola superiore di agricoltura si impiantò nel parco per la propria attività didattica, occupando circa 110 ettari.

La creazione di un campo di golf da parte del Golf Club Milano è del 1929. Gli impianti arrivarono ad occupare 77 ettari.

Nel 1938 Raffaele Cormio ricevette l'incarico di salvare la vegetazione del Parco. Le distruzioni continuarono, con la guerra e con un uragano che nel 1944 sradicò una gran quantità di piante.

Il Parco ospita anche una piscina ed un grande campeggio, annesso all'autodromo, una stazione di controllo RAI, una scuola superiore ed una scuola d'Agraria. In passato ospitava anche un allevamento di cani.

Dal dopoguerra la situazione cominciò a migliorare. Vaste aree vennero bonificate e riportate alla fruizione pubblica. Dal 1983 il Parco fa parte del Parco Regionale della Valle del Lambro.

Ogni anno si tengono nell'Autodromo varie manifestazioni automobilistiche e motociclistiche, la più importante ogni seconda domenica del mese di settembre quando la pista di Monza ospita il Gran Premio d'Italia di Formula 1.

LE CASCINE - Il Parco è anche conosciuto per le splendide cascine costruite al suo interno.  

IL MIRABELLO - Nata, nel 1656, per desiderio celebrativo della famiglia Durini, su progetto di Gerolamo Quadrio, la villa fu in gran parte compromessa da un incendio nel 1717 ed in periodo neoclassico restaurata ed ingrandita nel rispetto dello schema tipologico originario, simmetrico ed assiale, intorno alla metà del 1700 per volontà del Cardinale Angelo Maria Durini che l'abitò e la utilizzò come "villa di delizie" e cenacolo di letterati.

Nella tradizione lombarda, la corte principale a U del corpo centrale della villa si apre sulle ali rustiche simmetriche che ospitano le scuderie, gli ambienti di servizio e la cappella gentilizia, decorata da affreschi settecenteschi come le sale principali.

Nella facciata si inseriscono a pian terreno tre archi ribassati ed al piano nobile tre porte-finestre che si affacciano su un balcone. La controfaccia guarda verso la valle del Lambro ed ha un aspetto sobrio, come le ali laterali. Due torrette quadrate, con angoli smussati, si innalzano a guardia dell'edificio.

In seguito questa villa fu incorporata nel parco quando Eugenio de Beauhrnais la scelse come sua residenza insieme alla Villa Reale di Monza.

Nel 1805 la proprietà del Mirabello fu venduta a Don Carlo Vimercati Sanseverino e l'anno successivo venne acquistata dal Governo Italiano.

IL MIRABELLINO - Questa villa fu costruita, nel 1776 su ordine del cardinale Durini, come dependance della villa Mirabello per ospitare ed offrire momenti di svago ai colti invitati del cardinale; sono collegate da un viale di carpini.

La villa nel corso dei secoli ha subito diversi rifacimenti ma senza modificare lo schema della pianta.
Nel Mirabellino il consueto schema ad U viene reinterpretato: il corpo centrale, leggermente arretrato, funge da elemento di raccordo tra le due ali laterali che si articolano nello spazio esterno.

L'edificio ha aspetto sobrio ed elegante; il fronte principale che si affaccia sul pendio rivolto verso il Mirabello presenta un pronao ottocentesco semplice e lineare, da cui in origine partivano due scalinate semicircolari che conducevano a valle fino all'imbocco del viale dei carpini. All'interno la maggior parte degli spazi è occupata da locali destinati al tempo libero, tra cui la sala del biliardo ed il salone delle feste.

In seguito questa villa fu incorporata nel parco quando Eugenio de Beauhrnais la scelse come sua residenza insieme alla Villa Reale di Monza.

CASCINA SAN FEDELE - Fu progettata dall'architetto Luigi Canonica con forme neogotiche, rivestita da marmi in parte recuperati dalla demolita chiesa milanese di Santa Maria di Brera (le splendide bifore sono opera della scultore Giovanni di Balduccio). L'edificio venne costruito tra il 1805 ed il 1825 ed era circondata da alcuni vigneti ora totalmente scomparsi.

CASCINA FRUTTETO - Costruita sull'area dell'edificio omonimo precedente tra il 1805 ed il 1825 su progetto dell'architetto Luigi Canonica, oggi ospita la Scuola Agraria.

La facciata è con ampi archi su colonne quadrate che delimitano un grande porticato con pavimento in coccio.

L'edificio si presenta splendidamente inserito in un giardino ricco di alberi da frutta.

SERRAGLIO - Questo edificio si trova vicino all'autodromo e risale al primo ventennio dell'Ottocento.
La costruzione colpisce per il bellissimo arco d'entrata a sesto acuto, opera del Canonica, con ai lati due torrette in muratura su cui troneggiano gli stemmi viscontei con tanto di serpente.

CASCINA CASALTA - Risale al 1805-1825, è praticamente divisa in due parti: vecchia e nuova.
Si trova alle spalle del Mirabello ed ha un aspetto imponente, un centrato di architettura neoclassica trasportata alle esigenze della tradizione rurale.

MULINO DEL CANTONE - Ristrutturato dal Tazzini nel 1840 con fronte neoclassica a cavallo di una roggia e torre merlata in mattoni del XIV secolo.

Nel Parco sorgevano in tutto cinque mulini ma l'unico che conserva una ruota a pale ancora funzionante è quello della cascina Mulini Asciutti.

CASCINA DEL SOLE - Nel bel mezzo di quell'area verde denominata "Valle dei Sospiri" si trova questa cascina risalente al 1839, attualmente in concessione per un bar ed un'abitazione. Il suo nome ha origine proprio dalla sua assolata posizione nel bel mezzo di un prato sgombro di alberi con la facciata rivolta a mezzogiorno. Ora questa cascina è classico punto di gioco e svago per i bambini.

La presenza dell'autodromo nel Parco e gli effetti di inquinamento acustico e ambientale che provoca, ha da sempre creato polemiche sulla effettiva compatibilità della struttura sportiva e del Parco che la ospita. Negli ultimi mesi una sentenza del Tribunale di Milano, in seguito ad un esposto di due famiglie di Biassono, nonostante l'autodromo fosse presente e attivo ben prima del loro arrivo e ne potessero pertanto prevedere gli effetti, ha vietato le gare alle auto e alle moto a scarico libero (compresa la Formula 1). Per aggirare questo divieto, la Regione Lombardia ha emanato una legge che permette 37 giorni di deroga all'anno.