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Nella
seconda metà del 1700 Maria Teresa
d'Austria, sovrana del riformismo
illuminato, invia a Milano, come
Governatore Austriaco della
Lombardia, il figlio prediletto
Ferdinando II. Egli ha il compito di
rappresentare la casa d'Austria a
Milano, e assolvere, attraverso lo
sfarzo della sua corte, a quelle
funzioni di rappresentanza,
indispensabili a consolidare il
potere degli Asburgo nella regione,
secondo un preciso piano politico
perseguito dagli stessi Asburgo nel
corso di tutto il secolo.
La presenza del principe a Milano
influisce notevolmente sul destino
della città. Ferdinando, insomma, dà
un'impronta profonda e personale
alla vita politico-amministrativa
della città attraverso importanti e
complesse riforme e contribuisce in
maniera decisiva a ridisegnarne e
riqualificarne gli spazi. Il perno
ed il nuovo assetto urbano sarà il
"sistema di reggie" - il
palazzo di città e la dimora di
campagna - collegate dall'asse
viario che passa dalla Porta
Orientale.
Affrontato e felicemente risolto il
problema della residenza a Milano,
con l'adattamento della Corte Ducale
in "comoda abitazione"
dell'Arciduca, Ferdinando, già nel
1775, prende in considerazione
l'ipotesi di una casa di campagna.
L'incarico viene affidato al
Piermarini, insignito del titolo di
Architetto Arciducale e Camerale,
Ispettore delle Fabbriche dello
Stato, per aver brillantemente
portato a termine la
ristrutturazione dell'antico Palazzo
Ducale. Determinante fu per il
Piermarini, la collaborazione con il
Vanvitelli alla Reggia di Caserta,
della quale trasse quelle regole
espressive e quella metodologia
progettuale che ne fecero
"l'arbitro del fare
architettonico a Milano". La
scelta del luogo dove erigere la
dimora estiva dell'Arciduca cade su
Monza.
L'assenso al progetto ed il
benestare all'investimento di ben
70.000 zecchini, successivamente
aumentati di altri 35.000 per
consentire la realizzazione dei
giardini, fa si che la casa di
campagna voluta inizialmente da
Ferdinando venga sostituita dal ben
più ambizioso disegno di una reggia
vera e propria in grado di
rappresentare il potere sovrano
degli Asburgo.

La Villa può considerarsi quasi
conclusa dopo solo tre anni di
lavoro grazie all'esperta direzione
del Piermarini. Nel 1780 Maria
Teresa muore e Ferdinando deve
affrontare il difficile rapporto con
il fratello Giuseppe II, che ha una
diversa concezione della sovranità,
tutta rivolta al bene del popolo.
Questo influenza non poco i lavori
intorno alla Villa che andranno
d'ora in poi nel senso del pubblico
interesse. La realizzazione dei due
viali verso Milano e verso il borgo
di Monza sono sintomatici di questo
nuovo indirizzo.
Con la morte di Giuseppe II nel 1790
cessano definitivamente ulteriori
ampliamenti e abbellimenti. La Villa
vive anni di splendore sino
all'arrivo dei francesi a Milano che
vi insediano un reggimento di ussari
dando così avvio a quell'alternarsi
di vicende storiche.
Venduta ad un privato per essere
demolita, é successivamente oggetto
di rivalutazione da parte del
Governo Francese grazie alla vibrata
protesta di un semplice cittadino
che grida allo scandalo per
l'abbattimento di uno "dei più
magnifici monumenti della Lombardia,
e senza esagerazione per molti
riguardi, di tutta l'Italia".
Rimasta ai francesi diventa Villa
della Repubblica ed é occupata da
reparti militari. Le ricche sale
decorate dall'Albertolli, dal
Traballesi e dai migliori artisti
dell'epoca vengono ridotte in uno
stato talmente precario da quest'uso
improprio e devastante, da
richiedere urgenti interventi di
manutenzione.
I lavori di ripristino, avviati da
Melzi d'Eril, proseguono con ritmo
incalzante, motivati anche
dall'esigenza di sistemare
l'edificio monzese per un possibile
soggiorno di Napoleone. Con
l'incoronazione di Napoleone del
1805, avvenuta nel Duomo di Milano
con la Corona Ferrea, Monza assurge
al titolo di "città
imperiale" e anche la Villa,
ormai completamente riadattata,
riacquista l'originario ruolo di
rappresentanza.
Visite di grandi personaggi,
ricevimenti, udienze, animano la
Villa, chiamata da quel momento
Reale.
Negli anni di dominio francese
l'architetto Canonica, che subentrò
al Piermarini nel 1797, realizza
alcuni importanti interventi
riguardanti il complesso monzese,
come la doppia recinzione, i corpi
di guardia ed il teatrino, ma primo
tra tutti costituisce, per decreto
napoleonico, il vasto parco in
estensione ai Giardini Reali.

Ad un nuovo periodo di relativo
abbandono, che ha inizio nel 1814
con il ritorno delle truppe
austriache, seguiranno quarant'anni
di vita intensa per la Villa grazie
alla figura di Raineri, Viceré del
Regno Lombardo-Veneto, che si
stabilirà a Monza dal 1818.
Numerosi interventi, anche di
notevole portata, verranno condotti,
ad opera dell'architetto Giacomo
Tazzini, Ispettore delle Pubbliche
Costruzioni, nei corpi di fabbrica,
nel parco e nei giardini.
Sono quest'ultimi in particolare a
godere l'attenzione del Viceré,
esperto in botanica, che seguirà da
vicino l'operare dei giardinieri
Rossi e Manetti, con risultati di
notevole interesse.
Occupata nel 1848 dai militari di
Radetsky, la Villa ritorna ad essere
sede di una corte sfarzosa soltanto
dal 1857 al 1859, durante il breve
soggiorno monzese dell'ultimo
rappresentante della casa d'Austria,
Massimiliano I d'Asburgo, fratello
di Francesco Giuseppe.
Con la proclamazione del Regno
d'Italia, Milano decade dal ruolo di
capitale e la Villa, svincolata da
funzioni di rappresentatività di
stato, per la prima volta nella sua
storia diventa veramente luogo di
villeggiatura; residenza
privilegiata, però, perché Umberto
I, é legato in modo particolare a
Monza dove lo attira l'amenità
della residenza immersa nel verde,
il fascino del parco in cui cacciare
e cavalcare e la felice prossimità
di Villa Litta di Vedano, residenza
della Duchessa Eugenia Attendolo
Bolognini Litta.
Appassionato di Monza ogni anno vi
profondeva spese e restauri e
migliorie e lavori artistici sotto
la fine direzione del suo Architetto
Achille Majnoni d'Intignano, il
quale rispettando allo scrupolo
quanto v'era di originale opera del
maestro Piermarini, modificò però
qualche volta radicalmente certe
sale e decorazioni e mobiglio,
assolutamente incompatibile in una
artistica regale residenza.
Alla fine dell'800, infatti, il
Majnoni, il Marchese di Villamarina
e l'architetto Tarantola operano una
serie di trasformazioni mirate a
conferire ai locali della Villa una
sontuosa e ricercata comodità,
ottenuta spesso a scapito del
raffinato gusto estetico
settecentesco.
L'uccisione di Umberto I, avvenuta
proprio a Monza il 29 luglio 1900,
pone definitivamente fine alla
contrastata e alterna esistenza
della Villa come dimora regale.

Vittorio Emanuele
III,
immediatamente dopo i funerali del
Re, dà disposizioni di chiudere
l'edificio e di non consentirvi
l'accesso ad alcuno. Da quel momento
il lento, ma inesorabile declino.
Passata al demanio dello Stato nel
1919 e data in concessione d'uso ai
Comuni di Milano e Monza nel 1921,
vede un primo momento di fervore
culturale.
Gli spazi interni, ormai
completamente svuotati dall'arredo,
disperso tra i Comuni, Enti e
Ministeri vari, vengono usati dal
1923 al 1930 come sede di edizioni
della Biennale delle Arti decorative
e Industriali Moderne, la futura
Triennale di Milano. Nelle sue
prestigiose sale, tra gli stucchi,
gli ori, le preziose tappezzerie
trovarono posto opere di arte
moderna.
Ma queste manifestazioni, seppur di
livello, diedero avvio ad
un'ulteriore spogliazione della
Villa, quella relativa agli arredi
fissi: porte, boiseries, camini,
specchiere e quant'altro poteva
intralciare l'allestimento delle
sale, venne smantellato e
accatastato nei depositi della
Villa.
Trasferita la Triennale a Milano,
chiusa nel 1929 l'Università delle
Arti Decorative che aveva trovato
posto nelle scuderie, la Villa,
dapprima abbandonata, viene
occupata, nel corso della seconda
guerra mondiale, dalle truppe e dai
senzatetto. Successivamente ospita,
insieme alle più disparate
manifestazioni, ben 43 edizioni
della Mostra Internazionale
dell'Arredamento che "violenta
con i propri allestimenti il piano
nobile ed il primo piano (della
Villa) abbandonando poi, fino
all'anno successivo, con gravissimi
pericoli di incendio, i resti del
festino".
Allontanata definitivamente la
M.I.A. nel 1990, Stato e Comuni
cercano di superare la lunga
diattriba sulla proprietà
concordando un uso dei prstigiosi
spazi che possa restituire al
complesso se non le funzioni che
l'hanno vista protagonista di un
secolo di storia, almeno la dignità
ed il ruolo europeo che le sono
consoni.
Dopo
un lungo periodo di degrado dovuto
anche al frazionamento delle
amministrazioni, a marzo 2012 sono
iniziati i lavori di restauro
all’interno della villa, che
prevedono il recupero e la
valorizzazione del corpo centrale,
il recupero parziale delle ali nord
e sud, la realizzazione dell’area
tecnica esterna alla Villa nel lato
nord e la messa in sicurezza della
corte d’Ingresso. Per quanto
riguarda la struttura edilizia, è
previsto il consolidamento delle
murature del piano terra, il
ripristino delle volte e dei solai
lignei, la realizzazione di opere di
manutenzione straordinaria per la
messa in sicurezza della corte e il
ripristino della pavimentazione,
della cancellata e della facciata
sud dell’area nord. Inoltre, il
progetto prevede la riqualificazione
del belvedere e il restauro delle
sale del piano terra. Attualmente la
Villa è gestita da un Consorzio
unico, di cui fanno parte gli enti
proprietari della villa.

STRUTTURA
- Piermarini
realizza un edificio esemplare della
razionalità neoclassica adattata
alle esigenze di una realtà
suburbana. I tre corpi principali,
disposti a U, delimitano un'ampia corte
d'onore chiusa all'estremità
dai due volumi cubici della Cappella
e della Cavallerizza, da cui partono
le ali più basse dei fabbricati di
servizio: si definisce in tal modo
uno spazio razionale, costituito
dall'ordinata disposizione dei
volumi che si intersecano
ortogonalmente e che,
progressivamente, si sviluppano in
altezza. Come nella reggia di
Caserta di Vanvitelli e prima ancora
a Versailles, nella Villa reale di
Monza si sottolinea un percorso che,
attraverso un viale principale,
collega la villa al centro del
potere.
La
decorazione delle facciate,
rinunciando a timpani, colonnati e
riquadri a rilievo, si presenta
estremamente rigorosa, segnando le
superfici di sottili gradazioni.
L'essenzialità stilistica
dell'edificio è dovuta, oltre che a
precise scelte di gusto, anche a
ragioni politiche: la corte
illuminata di Vienna preferiva
evitare un'eccessiva ostentazione di
ricchezza e potere in un paese
occupato. Anche gli interni si
accordano al principio di razionalità
e semplicità che caratterizza
l'intero progetto. In particolare
appare curata la loro funzionalità:
i corridoi ad esempio sono tagliati
in modo da servire indipendentemente
varie sale adibite ad usi diversi.
Il
complesso della Villa comprende la Cappella
Reale,
la Cavallerizza,
la Rotonda
dell'Appiani,
il Teatrino di Corte, l'Orangerie.
Nel primo piano nobile sono le sale
di rappresentanza, gli appartamenti
di Umberto
I
e della Regina Margherita.
La fronte della Villa rivolta ad est
si apre sui Giardini
all'inglese progettati dal
Piermarini.
GLI
INTERNI - La
vasta facciata della villa, fitta di
finestre spartite da lesene, è
adornata di uno scalone e di una
terrazza, da cui si accede al
vestibolo circolare, arricchito di
colonne che danno un senso di maestà
all'atrio.
Di fronte all'entrata c'è la
grande sala del trono o sala degli
arazzi, usata anche come salone da
ballo; le pareti sono ricche di
decorazioni, in alto corre una
balaustra di legno, cui si accede
dal secondo piano.
La villa è ricca di altre
sale, di corridoi pieni di aria e di
luce, di salottini decorati da
stucchi ed affreschi, dovuto in
massima parte all'Albertolli.
Le sale più importanti sono:
la sala giapponese, il salone da
pranzo (l'unico ambiente ancora
originale e ben conservato), il
salone della musica, la biblioteca
della regina, l'armeria reale ed
ancora una piccola sala del trono.
Nell'anticamera dell'appartamento de
re, spicca un caminetto con
piastrelle a fiori ed uno splendido
pavimento di legno, coi suoi disegni
di fiori, delicatamente colorati,
opera di Giuseppe Maggiolini.
Salendo uno scalone di marmo
bianco si accede al secondo piano
nobile, qui troviamo una serie di
sale ornatissime, sfarzose, ma tutte
di epoca posteriore a quella del
primo piano.
Edifici
annessi
LA CAPPELLA
- Si tratta di una vera e propria chiesa
dedicata all'Immacolata: il
Piermarini dispose la sua
collocazione all'esterno della villa
stessa, nel punto di snodo tra l'ala
sinistra del corpo centrale e lo
sviluppo delle ali basse verso
settentrione. E' una chiesa tonda a
croce greca, inserita in un
perimetro esterno di forma quadrata,
con la volta a crociera sorretta da
due fasce diagonali, che si spezzano
per dar luogo ad un lucernario con
cristalli giallo
oro.
L'interno
della chiesa è molto scenografico e
ricco di stucchi, fregi e rosoni;
una serie di colonne e lesene
corinzie scandiscono gli altari e le
nicchie. L'altare maggiore, sopra il
quale è collocata una pala
raffigurante
la Vergine Immacolata (attribuita alla scuola dell'Appiani),
è inserito in un tempietto formato
da colonne corinzie sormontate da un
timpano forgiato da ovoli e
listelli.
In fondo alla cappella, in una tribuna
balconata, è installato l'organo,
costruito nel 1825 dai fratelli
Serassi, famosi organari
bergamaschi.
Le
nicchie sono occupate da statue di
santi. Lo zoccolo è realizzato in
scagliola imitante il bradiglio. In
questa cappella vengono regolarmente
tenute le funzioni religiose, il
pubblico vi accede da una porticina
laterale
All'interno della chiesa sono
conservati preziosi parametri sacri
per le liturgie: un pallio, un
tappeto ricamato dalle arciduchesse
d'Austria, una stupenda pianeta
ricamata in oro ed un
"apparato" liturgico
ricavato da un manto prezioso donato
da Guglielmo di Prussia alla regina
Margherita.
Fino al 1810 nella cappella
officiarono i Frati Minori di San
Francesco, del vicino convento delle
Grazie.
In seguito, con la soppressione
delle comunità religiose, voluta da
Napoleone, la cura della cappella fu
affidata al clero diocesano.
Nel 1968 gli stucchi della
cappella furono restaurati.
Ogni domenica la cappella è aperta
al pubblico.
IL
TEATRO
- E'
situato nell'ala laterale sinistra
della Villa Reale, ed è costituito
da una serie di salette che occupano
tutta la parte di ala ribassata che
va dalla cappella sino all'angolo
che collega il fabbricato al Serrone.
Il guardaroba del teatro confina con
la Chiesetta Reale
mentre il teatro vero e proprio è
situato nell'ultimo salone a
sinistra dopo l'ingresso.
Si
tratta di un vero e proprio teatro
di corte, di piccole dimensioni -
soltanto 100 posti - con un
palcoscenico in legno, leggermente
inclinato verso gli spettatori ed un
fondale di scena con soggetto
mitologico realizzato dall' Appiani.
Il soffitto della platea ha la volta
a forma di ombrello, è interamente
affrescato con motivi floreali,
strumenti musicali e maschere dai
colori vivacissimi; mentre il
soffitto del palcoscenico ha la
volta in cotto dipinta. Due grossi
pilastri affrescati delimitano il
boccascena e terminano con un'arcata
all'interno della quale sono
inseriti cinque rosoni quadrati e e
quattro rosoni rettangolari, dipinti
in colori contrastanti.
Nel
lato opposto al palcoscenico, in
posizione dominante ed inseriti in
una specie di catino, è situato il
palchetto reale e la balconata.
Sotto il palchetto reale è posta
una gradonata curvilinea in legno.
Le pareti e il palchetto reale sono
interamente affrescate con motivi di
stile neoclassico. La parte
superiore della fascia terminale
delle pareti è fregiata con
dentellature, ovuli e fogliette.
Secondo
le documentazioni, il teatrino era
collegato con
la Rotonda
per mezzo di un lunghissimo
corridoio soprastante, che seguiva a
nord e ad est l'angolo dell'ala
subalterna delle cucine fino ad
incontrare l'ammezzato nell'ala
cappuccina settentrionale. Questo
teatrino fu progettato nel 1806 da
Luigi Canonica, allievo prediletto
del Piermarini; ma ciò non
significa che alla Villa Reale non
si tenessero spettacoli teatrali.
A
Monza però il Piermarini progettò
nel 1777, oltre alla Villa Reale, un
teatro costruito sulla piazza del
Mercato denominato Teatro Ducale -
in seguito Teatro Sociale -
L'esecuzione dei lavori avvenne
contemporaneamente all'edificazione
del Teatro alla Scala di Milano,
sempre del Piermarini. Questo Teatro
Ducale subì un incendio nel 1802.
Fu in seguito a tale incendio e alla
volontà della principessa Amalia
moglie di Beauharnais che venne
chiesto al Luigi Canonica di
progettare un teatro reale di
piccole dimensioni da realizzarsi
all'interno della Villa Reale, dove
poter intrattenere gli ospiti.
Quando
la Villa
fu chiusa nel 1900, il teatrino fu
adibito a magazzino. Nel 1927
incominciarono i restauri agli
affreschi. Anche se solo nel 1970 fu
approvato un progetto vero e proprio
di restauro, i lavori durarono
cinque anni. Oggi, riportato al suo
antico splendore, offre concerti,
balletti e rappresentazioni
teatrali.
LA
PINACOTECA
- Fu ordinata dal pittore monzese Erme Ripa
nell'autunno del 1935 ed è situata
nell'ala nord della Villa al piano
rialzato; vi si accede sia dal
cancello adiacente alla cappella
reale, sia dai giardini, salendo per
una scalinata lungo il fianco
settentrionale.
Vi sono raccolte opere della
scuola lombarda dal 1500 al 1800.
Alcune sale sono dedicate ai
pittori monzesi: Emilio Borsa, il
pittore del Parco; Pompeo Mariani,
celebre soprattutto per le sue
marine; Eugenio Spreafico, il
pittore del paesaggio brianzolo; Mosè
Bianchi, valente paesaggista e
ritrattista.
Compaiono anche opere di
pittore contemporanei fra cui
Raffaele De Grada, Achille Funi ed
Aligi Sassu; dipinti ed incisioni di
Anselmo Bucci; bronzetti e dipinti
dello sculture monzese Eugenio
Baroni.
LA
ROTONDA - Alle spalle del teatrino, dove si trovano i
fabbricati dei rustici, una
costruzione detta la
"Rotonda" collega le serre
agli appartamenti reali per mezzo di
due porte mobili, coperte da
specchi. Fu voluta da Ferdinando in
occasione del suo ventesimo
anniversario di matrimonio.
Costruita
nel 1790 dal Piermarini, dopo 13
anni dalla realizzazione del
progetto iniziale della Villa Reale,
è l'unico elemento architettonico
di forma circolare che è presente
in questa struttura rigidamente
lineare e squadrata.
Il
Piermarini la concepì come una
specie di dépendance scenografica
dove l'Arciduca potesse intrattenere
gli ospiti e stupirli, mostrando
delle porte che sparivano o delle
fontane che zampillavano a suon di
musica o dei camini girevoli
azionati da meccanismi di ingegneria
meccanica, facendo inoltre
apprezzare a tutti le favolose
piante esotiche fatte giungere da
ogni parte del mondo. Anche in
questa parte della Villa il
Piermarini non tralasciò il
linguaggio architettonico classico
antico e quello del tardo
Rinascimento Italiano.
All'interno
è caratterizzata da arcate scandite
da paraste; lo zoccolo e il
cornicione sono a fascia. Quattro
grandi porte si aprono al suo
interno, una delle quali è a
specchio per nascondere un passaggio
segreto di raccordo tra
la Rotonda
e
la Villa
, specchio che riflette la bellezza
del parco da una parte, il roseto
dall'altra, e quando veniva aperta
la porta meccanica, il contenuto del
Serrone.
Il
pavimento è in marmo bianco di
Carrara, il soffitto, a volta, ha un
medaglione centrale e quattro vele
in corrispondenza delle porte.
La Rotonda
nel 1791 venne affrescata da Andrea
Appiani, amico di Piermarini e di
Parini, il grande letterato milanese
illuminista , precettore di nobili
lombardi, molto apprezzato
dall'arciduchessa Maria Beatrice
Ricciarda D'Este.
La Rotonda
venne realizzata ed affrescata in
occasione del ventennale di nozze
degli Arciduchi d'Asburgo. E'
proprio su consiglio del Parini che
l'Appiani affrontò il tema
mitologico di Amore e Psiche per gli
affreschi della Rotonda.
Gli
affreschi sono collocati in
posizioni diversificate per meglio
comprendere la favola tratta
dall'Asino d'oro di Apuleio. Quattro
affreschi curvi, di forma
rettangolare , posti sopra le finte
porte che scandiscono la circolarità
della struttura, raffigurano:
1)
Psiche Adorata dalle genti, dove
sono contrapposte due splendide
figure, quella del vecchio sacerdote
pronto a profferire l'offerta
sull'altare , e quella di Psiche,
avvolta in un manto giallo mentre
passeggia fra corone di fiori,
adorata dalla folla.
2)
Psiche che guarda Eros dormiente
3)
Psiche in ginocchio mentre supplica
Proserpina a concederle il vaso
della bellezza
4)
Psiche svegliata dal dardi di Eros,
dopo un lunghissimo sonno causatole
dall'apertura del vaso della
bellezza, per poter piacere
maggiormente al suo sposo.
Le
quattro vele proseguono il discorso
della favola di Amore e Psiche:
1)
Psiche riporta il vaso della
bellezza a Venere
2)
Eros vola da Giove a chiedere
protezione, e la ottiene
3)
Venere indica ad Eros la rea da
punire
4)
Mercurio rapisce Psiche su ordine di
Giove
Infine
il medaglione centrale raffigura
Psiche sorretta da Eros nel momento
in cui viene presentata a Giove e
alla sua corte. Appiani ha voluto
così distinguere gli episodi
terreni da quelli celesti, infatti
quelli raffigurati nei riquadri
rettangolari sono prettamente
ambientati nel mondo terreno, mentre
per le vele e per il medaglione si
tratta di episodi celesti.
La
singolarità di questa struttura
architettonica inserita in un corpo
di fabbrica lineare e squadrato,
sottolinea il gusto di un momento
culturale di transizione, in cui
Piermarini esalta e rievoca la
pianta centrale dell'antica
architettura termale romana,
collegandola alla zona bucolica per
eccellenza: il Serrone
IL SERRONE
-
Progettato
e costruito contemporaneamente alla
Rotonda, nel 1790 dall'Imperial
Regio Architetto Piermarini, è
collocata nella parte meridionale
sinistra dell'ala laterale vicino ai
rustici dal lato delle cucine.
100
metri di lunghezza per 6 di
larghezza e 7 di altezza fino alle
travi orizzontali delle capriate,
prende luce dalla parte orientale
attraverso 26 finestroni arcuati e
da un portone arcuato dal quale si
accede al roseto.
Il
corpo di fabbrica era definito
orangerie, citroneria, cedraja,
agrumeria, serra di agrumi,
limonaia, serrone, e conteneva
piante esotiche e rare. E' edificato
in cotto intonacato. Il tetto ha
un'unica falda con spiovente verso
il parco, poggia su una serie di
capriate in legno a vista.
L'originario
pavimento in selciato è stato
sostituito con il cotto naturale.
Il
Serrone è collegato con
la Rotonda
attraverso un portone; all'epoca
della sua costruzione il Piermarini
affrontò il problema realizzando
dei meccanismi di ingegneria
meccanica, attraverso i quali faceva
scomparire le porte e azionava i
giochi d'acqua predisposti
all'interno e all'esterno del
serrone, questo perchè l'Arciduca
amava molto stupire i suoi ospiti.
Dal
1985 questa struttura è stata
restaurata per divenire sede museale
di rassegne e mostre inerenti l'arte
moderna e contemporanea. Per tale
motivo è stata fornita di un
sistema espositivo dotato di
pannelli modulari scorrevoli che
possono prestarsi alle diverse
esigenze.
L’APPARTAMENTO DEL RE
-
L'appartamento
privato di Umberto I é, nella sua
veste attuale, il risultato
dell'intervento operato alla fine
dell'800 dall'Architetto di Corte
Achille Majnoni d'Intignano, che
adeguò al gusto dell'epoca tutti
gli ambienti collocati a destra del
Salone Centrale, da sempre destinati
a tale funzione.
Per
capire a fondo quanto importante e
radicale fu tale trasformazione,
basta soffermarsi sull'esame
dell'Inventario Mobiliare che la
precedette quello, cioè, relativo
alla campagna inventariale promossa
dai Savoia all'indomani dell'ascesa
al trono di Umberto I.
Dopo
un primo raffronto planimetrico, che
evidenzia l'ampliamento della
Biblioteca e della Camera da letto,
l'analisi dell'Inventario del 1881
mette in luce particolari di
notevole interesse. Soffermandosi
sulla Biblioteca, che già allora
fungeva da cerniera tra gli
appartamenti di Margherita e
Umberto, si evidenzia quanto
l'ambiente fosse improntato ancora
ad una raffinatezza di sapore
settecentesco per la presenza di
mobili del Maggiolini.
La
stanza era arricchita da un camino
ed aveva le pareti rivestite di
"percallo a listoni e fiori
rossi in fondo bianco", stoffa
che ricopriva anche poltrone e
sedie.
Il
locale attiguo alla Biblioteca era
diviso in due ambienti, una
"Piccola Anticamera" dove
era collocato anche un "letto
per la guardia", ed una
"Anticamera all'Appartamento
Privato di S.M.", entrambe con
finiture che non prevedevano
tappezzerie. La "Sala
d'Aspetto" dava inizio alle
stanze strettamente private e
precedeva una "Galleria di
Passaggio".
Seguivano
i due ambienti che Majnoni unificherà
nella grande e ricca camera da letto
con colonne scanalate e dorate, la
"Camera con Alcova" e la
"Camera da letto di S.M. il
Re" con un semplice, ma
prezioso "letto di legno mogano
a contorno sagomato con lesene alla
testiera inferiore e testa di putto
e cimasa a fregio alla testata
anteriore".
L'appartamento,
che prosegue con una "Camera da
toilette", un
"Guardaroba" e si conclude
con una stanza adibita a deposito di
armi.

LA
BIBLIOTECA DEI
CIECHI
-
Nel 1942 fu trasferito a Monza, nei fabbricati
dell'ala destra della Villa Reale,
il patrimonio librario della
Biblioteca Nazionale per i ciechi,
fondata a Genova nel 1928, ed è
l'unica nel suo genere in Italia.
Agli inizi i libri erano
scritti in alfabeto Braille a mano,
in parte dai detenuti del carcere di
Genova ed in parte dai ciechi che
lavoravano sotto dettatura. Nel 1951
si ebbero le prime macchine
dattilografiche a scrittura in
rilievo, che alleviarono la fatica
della trascrizione sulle apposite
tavolette. Ora si è riusciti a
realizzare una apparecchiatura
elettronica, che ha notevolmente
aumentato la produzione editoriale
in Braille.
La
Biblioteca
è
a disposizione di tutti i ciechi: i
libri vengono spediti in prestito ed
anche venduti allo stesso prezzo di
copertina dei libri normali per
consentire ai non vendenti
l'acquisto di volumi alle medesime
condizioni di ogni altro cittadino.
I GIARDINI REALI
-
L'importante
complesso monzese ha dato origine ad
una lunga serie di scritti, appunti
di viaggio e ricerche sin dall'epoca
della prima sistemazione
piermariniana dei giardini. Da
Ercole Silva che li descrive già
nel 1801, a numerosi personaggi non
meno famosi che decantano le
bellezze e le amenità del luogo, al
gruppo di esperti, infine, che
recentemente ha condotto un
approfondito ed esauriente studio
sull'argomento.
Nei due volumi del 1984 e del 1989
sono stati affrontati ed analizzati
i molteplici aspetti del più grande
parco cintato d'Europa; da quello
filosofico - estetico di Rosario
Assunto, a quello storico -
compositivo di Annalisa Maniglio
Calcagno per il parco e di Gianni
Venturi per i giardini, a quello
botanico di Franco Catalano e di
Franco Agostoni. Saggi sul
territorio, sulle acque, sui ponti,
sul costruito e sulle cacce
completano ed esauriscono, infine,
questa fondamentale ricerca che si
é in gran parte avvalsa del
cospicuo materiale documentario
conservato presso la Sopraintendenza
per i Beni Ambientali e
Architettonici di Milano.
I giardini della Villa Reale, la cui
superficie é di 40 ettari circa,
circondano gli edifici del complesso
monzese da tutti i lati e sono
divisi dal retrostante parco
da una recinzione. Storicamente
distinti da quest'ultimo, che fu
realizzato trent'anni dopo, ne sono
diventati con il tempo la naturale
premessa. Da prato che dolcemente
digrada a levante si apre, infatti,
un cannocchiale che si perde a vista
d'occhio nel parco creando continuità
tra i due spazi verdi.
La
conformazione planimetrica attuale
rispecchia solo in minima parte il
progetto originale del Piermarini
che vedeva, in una sintesi tipica
della cultura illuminista
tardo-settecentesca, il giardino
formale alla francese affiancarsi al
primo esempio italiano di giardino
paesaggistico, ed entrambi convivere
sia con l'aspetto utilitaristico
dell'arboreto del pomario e
dell'orto, sia con quello
scientifico sperimentale del
giardino botanico.
Iniziati dall'architetto folignate
nel 1778, ebbero una battuta
d'arresto con la morte
dell'imperatrice Maria Teresa
d'Austria, ma la loro sistemazione
si deve considerare in buona parte
conclusa al momento del passaggio
dell'incarico progettuale al
Canonica, avvenuto nel 1797.
Orientati secondo l'asse est-ovest,
i giardini formali erano
caratterizzati da parterres
geometricamente disegnati e
comprendevano, nell'area prospiciente
la corte d'onore, il giardino dei
frutti e delle verdure a sinistra e
quello degli agrumi a destra. Le
numerose piante di agrumi venivano
ricoverate d'inverno nell'"Arancera",
importante serra fatta costruire
da Ferdinando nel 1790 e collegata
alla villa attraverso la Rotonda
dell' Appiani.
Oltre il corpo principale della
villa, sempre lungo l'asse
est-ovest, altri parterres
simmetrici si distinguevano, anche
per la quota, dal fulcro di questa
composizione geometrica, un maestoso
ninfeo con una vasca al centro. Un
asse secondario, perpendicolare a
quello principale, sottolineava il
collegamento della Reggia con Monza;
ad esso era affidata un'altra
importante area del giardino
formale, il Giardino delle Rose, che
nei primi anni dell'800 vedrà
coltivate, per merito di Luigi
Villoresi, numerose varietà di
questo fiore, tra cui la famosa
"Rosa Mirabili Modoetiensis".
Sul lato nord-est, defilato rispetto
ai giardini alla francese, ecco
infine l'episodio informale
progettato dal Piermarini in
aderenza alle nuove tendenze
europee.
Egli per primo in Italia plasmò la
natura secondo le regole del
giardino paesaggistico ottenendo un
risultato estetico tale da suscitare
l'ammirazione del più attento
seguace della moda ottocentesca dei
giardini: Ercole Silva.
Una planimetria del complesso del
1808 circa
testimonia in maniera molto chiara
la trasformazione radicale subita
dai giardini in seguito
all'intervento di Luigi Canonica.
I parterre alla francese ed
il ninfeo, nella parte posteriore
della villa, lasciano il posto ad
una nuovo giardino che altro non é
se non il naturale ampliamento
dell'episodio inglese del Piermarini. La
scarpata, che geologicamente
divideva i giardini di levante in
due zone, si trasforma in un piano
inclinato.
Anche i giardini formali prospicienti
la corte d'onore subiscono modifiche
diventando simmetrici rispetto
all'asse principale.
Alcuni anni più tardi, nel 1829, un
"Disegno planimetrico degli
Imperial Regi Giardini circostanti
l'I.R. Palazzo presso Monza"
testimonia il continuo riaffermarsi
del giardino paesaggistico con
l'ulteriore trasformazione di una
zona a disegni geometrici in prati e
sentieri curvilinei. Sempre a nord,
dietro l'"Arancera",
un'ampia area viene destinata alla
scuola botanica.

Siamo ormai ritornati in piena epoca
austriaca ed il Viceré Ranieri, che
risiede a Monza dal 1818, da grande
appassionato di scienze naturali,
promuove e stimola intense attività
legate alle sperimentazioni
botaniche, alla cura ed alla
coltivazione di un numero molto
elevato di specie rare, dando vita
ad un vero e proprio orto botanico.
Da un catalogo compilato da Giuseppe
Manetti, direttore dei Giardini
Reali, come aggiornamento di due
precedenti elenchi, risulta che le
numerose serre contenevano ben 1700
generi botanici, 7800 specie e 1400
varietà, per un totale di 9000 unità.
Un numero talmente elevato ed una
qualità tale da suscitare
l'ammirazione e la lode della
Commissione incaricata di visitare
"l'Orto Botanico annesso all'Imperial
regia Villa presso Monza".
Piante dai fiori intensamente
colorati, come le azalee, le
camelie, le rose e le ortensie si
affiancavano a collezioni di piante
della Nuova Olanda, orchidee, piante
alpine e piante officinali. Infine,
accanto a queste coltivazioni, che
in gran parte uscivano dalle serre
per la decorazione e la manutenzione
dei giardini, grande rilevanza
estetica e quantitativa aveva la
ricca produzione di verdure, agrumi,
ananas e frutta.
Alla metà dell'800 la villa diventa
residenza di campagna di Umberto I
perdendo la sua originale funzione
di rappresentanza e assumendo da
allora un ruolo "privato".
La Scuola di Botanica viene chiusa e
per i giardini inizia una fase di
stasi. La morte del Re, avvenuta nel
1900, ed il conseguente abbandono
della villa contribuiscono a
cancellare definitivamente
l'immagine di grandiosità, fasto ed
operosità dei Regi Giardini.
Nella prima metà del 900 si
effettuano ulteriori interventi
nell'area prospiciente il palazzo,
viene eliminato il viale d'ingresso
lungo l'asse principale e vengono
realizzati due specchi d'acqua con
aiuole. l'area destinata alla
coltivazione degli agrumi é
successivamente trasformata
nell'attuale roseto, curato
dall'Associazione Italiana della
Rosa; l' "Arancera" di
Ferdinando é stata di recente
sistemata come sede espositiva.
Mentre tutta l'area destinata a
giardino formale, come si é visto,
ha sùbito interventi tali da essere
ormai un vago ricordo, i giardini
all'inglese del Piermarini e del
Canonica sono giunti quasi intatti
sino a noi. Concessi in uso nel 1921
ai comuni di Milano e di Monza, sono
aperti al pubblico e sono gestiti da
una Commissione Amministratrice
Paritetica costituita nel 1934.
Parco
della Villa Reale
Il Parco
di Monza è il più grande
parco recintato d'Europa: con una
superficie di
688 ettari
è grande più del doppio del
Central Park di New York. È situato
a nord della città, tra i comuni di
Lesmo, Villasanta, Vedano al Lambro
e Biassono.
Al suo interno scorre il fiume
Lambro che si insinua con cascatelle
e specchi tranquilli. Sorge su
terreno alluvionale trasportato dal
fiume: terra argillosa e sabbiosa,
ma fertile e ricca di umidità.
Fu voluto all'inizio del XIX
secolo da Eugenio di Beauharnais,
vicerè del Regno italico, che
teneva corte alla Villa Reale, per
ampliarne i giardini sino ad
ottenere una immensa riserva di
caccia. Poco dopo l’incoronazione
di Napoleone a Re d’Italia, il 26
maggio
1805 in
Duomo, il 14 settembre Eugenio emise
un decreto imperiale per la
costruzione, accanto alla villa e
agli esistenti giardini, di un
immenso parco con lo scopo di farne
una tenuta modello ed una riserva di
caccia. I lavori vennero affidati
all’’Architetto di Stato’
Luigi Canonica, che li avviò già
nel 1806, terminandoli nel 1808.
Canonica
(assistito dall’ingegnere Tazzini
e dal capogiardiniere Luigi
Villoresi), estese l’area verde
del complesso, sino ad oltre 700
ettari, incorporando ville
settecentesche con i loro giardini
(le antiche ville dei conti Durini,
il Mirabello e il Mirabellino, una
dei Gallarati Scotti), cascine,
mulini, una vasta area boschiva e un
ampio tratto del Lambro.
All’interno vennero
organizzate tenute agricole modello,
approvvigionate d’acqua, destinate
alla sperimentazione agricola e
d’allevamento.
Organizzando, però un vasto
sistema di rettilinei (un asse
principale Nord-Sud detto ‘viale
Mirabello’, più una rete di viali
secondari a distribuire i percorsi
in tutto il parco) che mettevano in
comunicazione i punti principali,
formando delle vedute prospettiche
dette ‘cannocchiali’, oltre ad
una serie di gradevoli punti di
vista.
La perimetrazione definitiva
venne realizzata nel 1807, con la
realizzazione di un muro di cinta
(lungo
14 chilometri
ed opera dell’architetto Carlo
Fossati) utilizzando materiale
proveniente dalla demolizione della
mura medievali di Monza. Esso era
originariamente interrotto da
quattordici accessi: si essi
rimangono le cinque porte principali
che prendono il nome della località
sulle quali si affacciano: Monza,
Vedano al Lambro, San Giorgio,
Villasanta e Biassono, più alcune
porte minori.
Secondo tavole del secolo
scorso il Parco presentava aree di
coltivazioni ben definite: boschi
cedui ed ad alto fusto, campi e
vigneti, prati, viali, marciapiedi
erbosi, recinto dei cervi, fagianaie
all'inglese ed all'italiana ed il
laghetto della valle dei sospiri.
I campi venivano coltivati per
la segale, il granoturco ed il
frumento; però ben presto si
abbandonarono queste coltivazioni in
quanto erano incompatibili con
l'allevamento delle lepri che
distruggevano i campi per cibarsi.
All'interno del Parco vi erano
anche alcuni agricoltori che
abitavano nelle cascine che si
dedicavano all'allevamento dei bachi
da seta, mentre altri erano addetti
ai quattro mulini ed alla caccia.
Sulle collinette di Vedano al
Lambro venne costruito un vigneto di
circa 428 pertiche che produceva uva
"Lambrusca", ma quando si
decise di liberare i cervi ed i
daini per lasciarli vagare liberi,
se ne dovette abbandonare la
cultura.
Si allevavano anche buoi,
mucche, cavalli e qualche asino.
Ad ogni stagione di caccia,
nei boschi e soprattutto nel Bosco
Bello (ora autodromo) erano presenti
un migliaio di lepri ed erano pronti
nelle fagianaie 1500 fagiani.
Il
23 aprile 1814 Eugenio di
Beauharnais abdicò e il
feldmaresciallo austriaco Bellegarde
prese possesso del Veneto e della
Lombardia. I rientranti Asburgo
trovano, accanto alla Villa Reale,
il nuovo gioiello. Con la loro
gestione il parco crebbe in bellezza
ed importanza. Il parco fu spesso
aperto al pubblico, che ne poté
usufruire.
Giacomo Tazzini progettò
nuove cascine e ne restaurò altre:
Costa Alta, Costa Bassa (Mulini
Asciutti), cascina del Sole, mulino
del Cantone e Cascina Cernuschi.
Nel 1823, Luigi Villoresi fu
nominato responsabile del parco ed
introdusse numerose specie esotiche.
Con l'arrivo di Casa Savoia
nel 1859, la struttura del Parco non
si modificò. Il parco rimase
intatto, ricco di vegetazione e
fauna, ma dopo l'uccisione di
Umberto I, la famiglia reale
abbandonò Monza e le residenze
della Villa Reale e del Parco.
Nel 1919, il Parco fu donato
all'Associazione Nazionale
Combattenti e Reduci. L'associazione
voleva dividere l'area in tre: Una
città-giardino, un'area di sport e
divertimento e una colonia agricola.
La gestione era troppo onerosa e
l'associazione preferì alienare il
complesso, cedendolo ai Comuni di
Monza e di Milano e alla Società
Umanitaria di Milano, uniti in
consorzio. Il Parco fu così reso
disponibile al pubblico.
Poi peggiorò gradatamente,
tanto che nel 1945 la sua
consistenza arborea era già ridotta
al 25% di quella originaria.
Grandi aree furono date in
gestione a enti ed organismi
privati. Nel 1922,
344 ettari
del Bosco Bello furono dati in
gestione alla SIAS (Società
Incremento Automobilistico e Sport),
che vi costruì l'Autodromo. Nel
parco fu costruito anche un
ippodromo (109 ettari) dalla Società Incremento Razze
Equine, che andò in abbandono, fino
a che un incendio non distrusse
completamente le tribune per gli
spettatori.
Venne anche costruita una
grande fattoria (20 ettari
della Cascina Fontana) e
la Scuola
superiore di agricoltura si impiantò
nel parco per la propria attività
didattica, occupando circa
110 ettari.
La creazione di un campo di
golf da parte del Golf Club Milano
è del 1929. Gli impianti arrivarono
ad occupare
77 ettari.
Nel 1938 Raffaele Cormio
ricevette l'incarico di salvare la
vegetazione del Parco. Le
distruzioni continuarono, con la
guerra e con un uragano che nel 1944
sradicò una gran quantità di
piante.
Il Parco ospita anche una
piscina ed un grande campeggio,
annesso all'autodromo, una stazione
di controllo RAI, una scuola
superiore ed una scuola d'Agraria.
In passato ospitava anche un
allevamento di cani.
Dal dopoguerra la situazione cominciò a
migliorare. Vaste aree vennero
bonificate e riportate alla
fruizione pubblica. Dal 1983 il
Parco fa parte del Parco Regionale
della Valle del Lambro.
Ogni anno si tengono
nell'Autodromo varie manifestazioni
automobilistiche e motociclistiche,
la più importante ogni seconda
domenica del mese di settembre
quando la pista di Monza ospita il
Gran Premio d'Italia di Formula 1.
LE
CASCINE
-
Il Parco è anche conosciuto per le splendide
cascine costruite al suo interno.
IL
MIRABELLO
-
Nata, nel 1656, per desiderio celebrativo
della famiglia Durini, su progetto
di Gerolamo Quadrio, la villa fu in
gran parte compromessa da un
incendio nel 1717 ed in periodo
neoclassico restaurata ed ingrandita
nel rispetto dello schema tipologico
originario, simmetrico ed assiale,
intorno alla metà del 1700 per
volontà del Cardinale Angelo Maria
Durini che l'abitò e la utilizzò
come "villa di delizie" e
cenacolo di letterati.
Nella tradizione lombarda, la
corte principale a U del corpo
centrale della villa si apre sulle
ali rustiche simmetriche che
ospitano le scuderie, gli ambienti
di servizio e la cappella
gentilizia, decorata da affreschi
settecenteschi come le sale
principali.
Nella facciata si inseriscono
a pian terreno tre archi ribassati
ed al piano nobile tre
porte-finestre che si affacciano su
un balcone.
La controfaccia guarda verso
la valle del Lambro ed ha un aspetto
sobrio, come le ali laterali.
Due torrette quadrate, con angoli
smussati, si innalzano a guardia
dell'edificio.
In seguito questa villa fu
incorporata nel parco quando Eugenio
de Beauhrnais la scelse come sua
residenza insieme alla Villa Reale
di Monza.
Nel 1805 la proprietà del
Mirabello fu venduta a Don Carlo
Vimercati Sanseverino e l'anno
successivo venne acquistata dal
Governo Italiano.
IL MIRABELLINO
-
Questa villa fu costruita, nel 1776 su ordine
del cardinale Durini, come
dependance della villa Mirabello per
ospitare ed offrire momenti di svago
ai colti invitati del cardinale;
sono collegate da un viale di
carpini.
La villa nel corso dei secoli
ha subito diversi rifacimenti ma
senza modificare lo schema della
pianta.
Nel Mirabellino il consueto schema
ad U viene reinterpretato: il corpo
centrale, leggermente arretrato,
funge da elemento di raccordo tra le
due ali laterali che si articolano
nello spazio esterno.
L'edificio ha aspetto sobrio ed
elegante; il fronte principale che
si affaccia sul pendio rivolto verso
il Mirabello presenta un pronao
ottocentesco semplice e lineare, da
cui in origine partivano due
scalinate semicircolari che
conducevano a valle fino all'imbocco
del viale dei carpini.
All'interno la maggior parte degli
spazi è occupata da locali
destinati al tempo libero, tra cui
la sala del biliardo ed il salone
delle feste.
In seguito questa villa fu
incorporata nel parco quando Eugenio
de Beauhrnais la scelse come sua
residenza insieme alla Villa Reale
di Monza.
CASCINA SAN FEDELE
-
Fu progettata dall'architetto Luigi Canonica
con forme neogotiche, rivestita da
marmi in parte recuperati dalla
demolita chiesa milanese di Santa
Maria di Brera (le splendide bifore
sono opera della scultore Giovanni
di Balduccio).
L'edificio venne costruito tra
il 1805 ed il 1825 ed era circondata
da alcuni vigneti ora totalmente
scomparsi.
CASCINA FRUTTETO
-
Costruita sull'area dell'edificio omonimo
precedente tra il 1805 ed il 1825 su
progetto dell'architetto Luigi
Canonica, oggi ospita
la Scuola Agraria.
La facciata è con ampi archi
su colonne quadrate che delimitano
un grande porticato con pavimento in
coccio.
L'edificio si presenta
splendidamente inserito in un
giardino ricco di alberi da frutta.
SERRAGLIO
-
Questo edificio si trova vicino all'autodromo
e risale al primo ventennio
dell'Ottocento.
La costruzione colpisce per il
bellissimo arco d'entrata a sesto
acuto, opera del Canonica, con ai
lati due torrette in muratura su cui
troneggiano gli stemmi viscontei con
tanto di serpente.
CASCINA CASALTA
-
Risale al 1805-1825, è praticamente divisa in
due parti: vecchia e nuova.
Si trova alle spalle del Mirabello
ed ha un aspetto imponente, un
centrato di architettura neoclassica
trasportata alle esigenze della
tradizione rurale.
MULINO
DEL CANTONE
-
Ristrutturato dal Tazzini nel 1840 con fronte
neoclassica a cavallo di una roggia
e torre merlata in mattoni del XIV
secolo.
Nel Parco sorgevano in tutto
cinque mulini ma l'unico che
conserva una ruota a pale ancora
funzionante è quello della cascina
Mulini Asciutti.
CASCINA DEL SOLE
-
Nel bel mezzo di quell'area verde denominata
"Valle dei Sospiri" si
trova questa cascina risalente al
1839, attualmente in concessione per
un bar ed un'abitazione. Il suo nome ha origine proprio dalla
sua assolata posizione nel bel mezzo
di un prato sgombro di alberi con la
facciata rivolta a mezzogiorno. Ora
questa cascina è classico punto di
gioco e svago per i bambini.
La presenza dell'autodromo nel
Parco e gli effetti di inquinamento
acustico e ambientale che provoca,
ha da sempre creato polemiche sulla
effettiva compatibilità della
struttura sportiva e del Parco che
la ospita. Negli ultimi mesi una
sentenza del Tribunale di Milano, in
seguito ad un esposto di due
famiglie di Biassono, nonostante
l'autodromo fosse presente e attivo
ben prima del loro arrivo e ne
potessero pertanto prevedere gli
effetti, ha vietato le gare alle
auto e alle moto a scarico libero
(compresa
la Formula
1). Per aggirare questo divieto,
la Regione Lombardia
ha emanato una legge che permette 37
giorni di deroga all'anno.

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