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Monastero
di Sant'Agostino
La chiesa
di Sant'Agostino si trova sulla via
delle mura vicino alla omonima porta,
nella parte più orientale dei colli di Bergamo,
quasi estranea alla città, trovandosi in
una posizione che è tra la parte alta e la
parte bassa della stessa. Donato Calvi nel
suo Effemeride sagro-profana di
quanto di memorabile sia successo in Bergamo del 1670,
colloca nel 1290 la data di inizio
alla costruzione del grande complesso. Dal 2015 è
aula magna dell'Università degli Studi di
Bergamo.
La
certezza di una preesistente chiesa a quella
iniziata nel 1290, dedicata ai santi
Filippo e Giacomo, non è suffragata dai
referti riemersi dagli scavi effettuati dal 2008 al 2010.
Negli scavi sono state rinvenute tracce
dell'edificio a pianta rettangolare, ad una
navata unica, con una superficie di 40 m² edificato
nel 1290. I muri perimetrali di cui si è
trovata traccia, sono larghi 80 cm, e
realizzati in pietre sbozzate. L'edificio
sicuramente era a una unica navata, mentre
è difficile stabilire l'antica forma
dell'abside. La presenza di alcuni frati
eremitani o giambonini. Un atto di
donazione del 1076 disponeva che
il 3 maggio di ogni anno, giorno dei santi Filippo e Giacomo,
fosse distribuito pane a sessanta poveri
della città. Questa devozione motiverebbe
l'intitolazione della nuova chiesa, ma non
certo la presenza di una preesistente.
Gli
eremitani, quindi sono documentati a Bergamo
dopo la seconda metà del XIII secolo.
Ottennero dal vescovo Roberto Bonghi e
dalla popolazione che abitava fuori delle mura medioevali,
di ricostruire la chiesa dell'XI secolo.
C'era anche la volontà di riunire in un
unico ordine eremiti di differenti comunità
in un'unica locazione.
La
chiesa fu intitolata ai santi Filippo e
Giacomo con l'aggiunta di sant'Agostino, e
fu consacrata l'11 febbraio 1347, dal
vescovo Bernardo Bernardi. Secondo il Calvi,
le dimensioni finali della chiesa, furono
maggiori di quanto inizialmente si fosse
progettato.
Si
ha la certezza che la costruzione della
chiesa fosse già terminata nel 1330,
è infatti risalente al 1331 la
costruzione del chiostro posto contro la
parete nord della chiesa stessa e la sala
capitolare, mentre del 1333 la
stesura di un testamento "in loco
sagrestie ipsius monasterii" (nella
sagrestia). Del 1336 il lascito
testamentario di Cara Rivola, della nobile
famiglia dei Rivola, che disponeva la
sepolta davanti all'altare delle Undicimila
Vergini. Contemporaneamente fu costruito il podiolo,
o iconostasi, la parte rialzata che
separava il presbiterio della parte
ospitante i fedeli, che il Calvi cita come
"haveva il choro in alta parte
situato", sicuramente intendendo quello
che era il poggiolo.
La
chiesa e la vita dei monaci, divennero una
parte importante della città, tanto che
nello statuto cittadino del 1391, fu
stabilito un versamento di dieci lire
imperiali ogni 7 dicembre
per la chiesa, e il 27 agosto 1399 risulta
fossero presenti 10.000 fedeli, tra questi
anche il vescovo di Milano, ad ascoltare la
predica del priore Giovanni da Romano.
Ai
piedi dello scalone del Palazzo della
Ragione è posizionato il sarcofago di
Giovanni Maria Suardi, che era stato
inserito nella chiesa nel 1340, mentre
quello di Guiscardo de' Lanzi, sepolto nel 1352,
è andato perso. Non fu però poco lo
stupore, negli scavi del 2008, la scoperta
che fossero ben 150 i loculi sepolcrali
presenti sotto la pavimentazione della
chiesa.
Nei
primi anni del XV secolo il
monastero e la chiesa si trovavano in un
grave stato di degrado. Gli
scontri tra le famiglie di Bergamo delle
diverse fazioni sicuramente contribuì allo
sfacelo del monastero. L'incendio a seguito
dell'attacco dei guelfi nel 1403 non
portò danni alla struttura della chiesa, ma
gravi deterioramento al monastero, tanto che
nel 1441 venne abbandonato.
Durante
i lavori di scavo e di ricerca del
2014-2010, si riteneva di trovare risposte
circa la forma della chiesa, perché le
raffigurazioni una del XV secolo su di un
codice mantovano e su di una tela anonima
ripresa poi da Alvise Cima nel
1693, è raffigurata con le due parti
laterali di altezza inferiore, si considera
quindi a tre navate, sembra invece che
queste rappresentazioni siano idealizzate, e
non motivate da una visione reale dei
luoghi, la chiesa venne edificata con una
navata unica scandita da grandi archi. Anche
la facciata fa parte della costruzione
iniziale dell'aula. L'incendio del 1403
aveva rovinato solo il convento e non la
chiesa che quindi non richiese lavori di
restauro.
Bergamo,
e tutto il territorio bergamasco, nel 1428
passò sotto il Dominio veneto. Nel gennaio
1443 nel convento di Bergamo arrivarono da Crema i
frati dell'Osservanza Regolare di Lombardia: Agostino
e Bartolomeo Cazzuli.
Fu
avviato il culto a san Nicola da
Tolentino, frate francescano del XIII
secolo, a lui fu intitolato un altare, un
ciclo di affreschi che ne raccontavano la
vita, e a fondarne, nel 1502 una confraternita.
L'intitolazione a sant'Agostino diventerà
lentamente la sola. Le famiglie aristocratiche e la nuova
borghesia arricchitesi con l'incremento dei
commerci, ottennero il permesso di costruire
cappelle private per seppellire i propri
morti, quale esternazione di prestigio,
dedicandole a un santo particolare,
designato protettore di tutta la famiglia,
in cambio di lasciti per i legati della
messe a suffragio, che i frati garantivano
quotidianamente.
La
riparazione della chiesa e del monastero,
che fu la prima parte riedificata avvenne
grazie a frate Giovanni da Novara
(1433-1455), che ottenendo il permesso di
vendere alcune proprietà dando inizio alla
risistemazione. Tra le spese ritenute
prioritarie risultano quelle della libreria,
indicando quanto il priore ritenesse
importante la cultura, cosa che
caratterizzerà questo convento anche
successivamente.
Architettonicamente
le cappelle si presentano simili, segno che
vi erano precise indicazioni e regole
imposte dai canonici. Durante il XV
secolo furono costruite sette cappelle
su di ogni lato, alcune anche oltre il podiolo ad
indicare che i frati osservanti non volevano
mantenere questa separazione tra i laici e
gli ecclesiastici. Non vi è documentazione
certa, ma un aneddoto racconta che Martin
Lutero, durante il suo viaggio di ritorno da Roma,
soggiornò presso il monastero.
Jacopo
Filippo Foresti fu
il frate incaricato della parte
architettonica della chiesa, riuscendo ad
ottenere molti contributi e lasciti dalla
città e dalle famiglie, autorizzò la
demolizione e ricostruzione della parete di
sinistra per poter costruire le cappelle,
sono sue le firme dei contratti con le
famiglie. Il Foresti autorizzò anche
modifiche nel monastero come la
raffigurazione degli otto volti nel claustro,
e le tredici colone in pietra del chiostro,
simili a quelle presenti sotto le celle del
dormitorio. Tra i tanti lasciti
testamentari, importante fu quello di Salvino
Rivola che proprietario della cava
di pietra a Castel Belfonte, che serviva il
materiale per la costruzione del secondo
chiostro, lasciò la cava al monastero in
cambio di una messa perpetua da recitare
all'altare di san Nicola.
Il sedicesimo
secolo è quello che cambierà
architettonicamente l'aspetto della chiesa,
sarà tolto il podiolo formato
da un muro, facendo spostare le cappelle
lateralmente. Nella visita di san Carlo
Borromeo del 1575 non è
infatti presenta questa separazione, solo
una inferriata divide il clero dai fedeli.
Gli altari addossati al podiolo furono
spostati nelle cappelle laterali, che
vennero arricchite di affreschi, lesene e
colonne.
La
chiesa e il convento si salvarono dalla
distruzione per la costruzione delle mura
venete che vide l'abbattimento di
ventiquattro chiese, ma i frati furono
espropriati dai molti terreni che erano il
loro sostentamento, ma il declino del
monastero e dell'ordine degli agostiniani
nella bergamasca, avvenne per conseguenza
dell'editto veneziano del 15 ottobre 1752 che
stabiliva la soppressione di ogni ordine
monastico, questo contro il parere di Papa
Clemente XIII.
Il
decreto fu reso esecutivo nel 1797 con
l'arrivo di Napoleone Bonaparte e
la proclamazione della Repubblica
Cisalpina. La chiesa fu sequestrata e
trasformata in caserma militare. Le famiglie
cercarono di salvare gli arredi degli
altari, che erano di loro proprietà, ma
moltissimo andò perso. La chiesa nel 1827 è
adibita a maneggio, e dalle Notizie
patrie opera di Carlo Fachinetti in
grandissimo degrado, così come testimoniano
le fotografie della seconda metà dell'800.
Se
fino allora Piazza Vecchia era stato il
luogo delle pubbliche esecuzioni, il
monastero divenne una prigione, la chiesa
sede e magazzino della milizia e il grande
prato della Fara posto di
fronte, divenne il luogo delle decapitazioni
con la ghigliottina. Rimane documentata
quella di Pacì Paciana, brigante di
cui si mischia un po' di storia un poco di
leggenda, al quale avevano già tagliato la
testa dopo la cattura, ma che venne comunque
esposto acefalo alla pubblica visione, con
la testa ai piedi del patibolo.
Il
Genio civile nel 1880 tenta un
primo recupero della facciata, cercando di
bloccarne il degrado. Nel 1881
l'amministrazione comunale, per creare un
archivio, costruì all'interno della navata
un soppalco accessibile da una scala che
poggiava sulla seconda cappella laterale,
danneggiandola ulteriormente. Fu il vescovo Adriano
Bernareggi nel 1933 a fare
un'istanza al capo del governo Benito
Mussolini, per ottenere la cessione della
chiesa e del complesso monastico, alla diocesi,
che si sarebbe accollata l'onere della
ristrutturazione. Il desiderio del vescovo
era di riaprire la chiesa al culto. La
richiesta non venne accolta. Del monastero
si discusse nel Convegno nazionale
di storia dell’architettura del 1949,
venne mobilitata anche la Soprintendenza ai
Monumenti della Lombardia, nella persona
dell'ispettore onorario Luigi Angelini,
che dichiarò l'immobile gravemente
deteriorato, risultava che la sagrestia
fosse ancora residenza di alcune famiglie di
militari, e questo fino al 1955. Nel 1966 divenne
di proprietà del comune di Bergamo.
Solo
nel 2001, i chiostri monastici
diventano campus umanistici dell'Università
degli Studi di Bergamo con incontri di
formazione scientifica, e nel 2014 viene
intrapreso un grande lavoro di
ristrutturazione, in collaborazione tra il
comune di Bergamo e l'Università, con un
rifacimento della pavimentazione, la
formazione di impianti di riscaldamento e
illuminazione, trasformando la grande navata
della chiesa nell'aula magna universitaria.

Il
complesso monastico, posto nella parte più
a est dei colli di Bergamo, è composto
dalla chiesa, dal monastero e da due
chiostri. Era originariamente separato dalla
città da un foppone chiamato Vallone
di Sant'Agostino che venne riempito
nel 1876 diventando il piano
chiamato Fara.
La
facciata gotica con tetto a capanna, è
strutturata con blocchi di arenaria
squadrati e spianati a scalpello formando
una superficie liscia che non richiese
ulteriori decorazioni se non pochi elementi
architettonici simmetrici: due lesene
laterali che terminano con pinnacoli, uno
ulteriore era presente anche nella parte
centrale, ma fu distrutto da un fulmine il
14 agosto 1665 e mai ricostruito.
Vi sono due grandi finestre con loggiato e
colonne, un rosone centrale e nella parte
alta una piccola nicchia con la statua
marmorea di sant'Agostino, forse opera di Giovanni
da Campione.
L'interno
della chiesa a una unica navata, copre una
superficie di circa 1000 m² e termina con
tre absidi quadrangolari, ha 15 cappelle
laterali, sette archi trasversali a sesto
acuto, ripartite in 4 ordini da travi
longitudinali, sorreggono il tetto di legno
completamente rivestito da 1632 tavelle
dipinte a tempera nel '400 raffiguranti
da beati e angeli, fiori e figure
allegoriche. Il soffitto fu terminato nel
1476 concomitante, probabilmente per motivi
di impalcature, con l'affrescatura del
grande arco frontale, di alcuni archi e
della controfacciata.
La
chiesa all'origine, aveva dopo la terza
campata, un poggiolo con quattro altari che
divideva la grande navata la parte per i
fedeli da quella riservata ai frati.
Divisione che rimase fino al 1577, fu
infatti rimossa dopo l'imposizione di Carlo
Borromeo che riteneva troppi i venti
altari esistenti.
Il
grande restauro conservativo del 2015 ha
riportato alla luce affreschi riferibili
alla chiesa medioevale, mentre nulla rimane
del barocco settecentesco, danneggiato
durante gli anni d'uso militare.

La
demolizione del podiolo nel XVI
secolo, autorizzò le famiglie nobili di
Bergamo la costruzione di cappelle laterali
per la sepoltura dei famigliari, dedicando
ad ognuna un santo patrono. Nei lavori
di ripavimentazione è avvenuto il
ritrovamento di ben 150 tombe. Alcune lapidi
furono rimosse e posizionate nello scalone
del Palazzo della Ragione nel
1881. I lavori di restauro hanno ridato luce
ad alcuni ornamenti e con la documentazione
degli archivi è possibile ricostruire la
storia e committenza di alcune cappelle. La
ricostruzione quindi storica e artista di
questa che è stata la più grande chiesa di
Bergamo e sicuramente quella con maggiore
testimonianza di arte gotica, è piuttosto
complessa. I restauri del primo decennio del
XXI secolo hanno dato la possibilità di
confrontare la parte artistica con quella
d'archivio chiarendo alcune fonti che son
diventate successivamente poco attendibili.
Partendo
dalla parte sinistra rispetto l'ingresso si
trovano le cappelle:
Cappella
di San Marco o di Ognissanti
- La cappella fu costruita nel 1495 a
spesa della famiglia Passi, si conserva
l'atto di Jacopo Filippo Foresti, che
trascrive l'accordo fra la famiglia e mastro
Berardino da Serina che si impegnava a
costruire la cappella al prezzo di 170 lire
del 16 febbraio 1495. Gli affreschi furono
affidati a Antonio figlio del più famoso Jacopino
Scipioni che era probabilmente
ammalato. L'attribuzione a san Marco è
successiva al 1592, anno in cui venne
distrutta una cappella esterna alla chiesa
dedicata alla sua devozione. La volta fu
affrescata da Troilo Lupi nel 1596 con
l'immagine della Trinità, raffigurante il
Padre, il Figlio con i simboli della
passione, e lo Spirito Santo nella figura
della colomba, affresco erroneamente
attribuito a Lorenzo Lotto. Ancora ben
visibile è lo stemma della famiglia Passi
datata MDLXXXVI, e, malgrado
mancante di tanta parte, è riconoscibile la
raffigurazione di Maria Maddalena con le
mani giunte in preghiera. La cappella
presenta anche una immagine di santo monaco
con il saio agostiniano con in mano un libro
dove è disegnata una stella e il sole
dorato, il santo è poggiante su di una
colonna con a fianco di un crocefisso. Gli
attributi identificano in Nicola da
Tolentino, purtroppo l'affresco è
frammentario e non di facile
interpretazione.
Cappella
di San Sebastiano, San Rocco e Santo
Crocefisso
- La
cappella fu costruita nel 1486 su
commissione della famiglia Vertova e fu
usata anche come luogo di sepoltura, erano
presenti le tombe di Martino Vertova e della
moglie Agnese Grumelli deceduti in data
precedente il 1489. Fu dipinta solo nel 1556.
Il crocifisso con la Madonna e san Giovanni
sulla parete centrale è appena visibile,
forse fu oggetto di strappo male
riuscito nell'Ottocento. È in buono stato
di conservazione l'affresco di San
Sebastiano, e di un santo soldato di cui è
difficile l'identificazione essendo persa la
parte degli attributi, probabilmente opere
del 1707 di Luca Bernardo Sanzi,
sono visibili resti dell'affresco
dell'albero della scienza.
Cappella
di Sant'Alò, Sant'Eligio, San Gerolamo
- La
cappella fu commissionata dai signori
di Comenduno che abitavano la
vicinia di sant'Alessandro dalla croce, La
cappella che fu dipinta nel 1525 e
versa in pessime condizioni, l'affresco che
raffigurava sant'Alò, patrono dei fabbri e
dei maniscalchi, con i santi Bonaventura e
Antonio non è più identificabile, ma
vengono attribuiti a Vincenzo Foppa o
a Bernardo Zenale. Delle tre scene
della cappella rimane visibile parzialmente,
solo la disputa di un Agostiniano.
Cappella
dell'Assunzione di Maria Vergine e di San
Giorgio
- Il
quadro dell'Assunta centrale alla cappella
non è più visibile, rimane molto
danneggiata la scena raffigura San Giorgio a
cavallo che sconfigge il drago, che fu già
oggetto di restauro nel 1960. Nella
parete laterale è rappresenta la scena di
San Michele, con la corazza da soldato, che
dall'alto delle nuvole scaccia il diavolo in
fuga.
Cappella
di San Giuliano
- La
cappella fu inizialmente dedicata a santa
Lucia, successivamente ai santi Luca, Simone
e Barbara, di cui sono ben visibile le
raffigurazioni. La famiglia Maffeis, già
dal 1513, vi officiava messe per
Bernardino e Domenichino de Caversenio. Nel 1663 la
cappella fu assegnata alla scuola
degli osteri, ai quali fu concesso la
raffigurazione di san Giuliano, loro santo
patrono. La cappella ha lo stemma della
famiglia Da Ponte, eredi diretti dei
Colleoni. Nel catino absidale è visibile la
parte inferiore dell'affresco della Resurrezione,
raffigurante la tomba del Cristo a forma
tondeggiante, un soldato addormentato, e il
risolto di cui sono visibili i soli piedi
con i fori dei chiodi.
Cappella
del santo Sposalizio di Santa Caterina
- La
cappella fu costruita per volere di
Bartolomeo Albricci figlio di Arigino fu
Antonio Gataldino, medico e famigliare di Bartolomeo
Colleoni che chiese di esservi tumulato
e con l'intitolazione a Santa Caterina
d'Alessandria. Il Bartolomeo aveva dettato
un testamento il 12 giugno 1493 dove
indicava che il valore di un quarto dei suoi
beni, fosse destinato al monastero e i tre
quarti ai fratelli Antonio, Gaitaldo e
Baldassarre, con l'obbligo che il monastero
gli edificasse una cappella intitolata a
santa Caterina e che vi venisse ufficiata
una messa quotidiana a suffragio. Nel 1669 Pietro
Albricci, frate del monastero ma erede del
Bartolomeo, intraprese una causa con il
monastero stesso per recuperare parte
dell'eredità. La causa, che ebbe una lunga
durata nel tempo, ha lasciato una ricca
documentazione. I frati eseguirono le
diposizione testamentarie edificando la
cappella nel 1494. Gli affreschi
eseguiti da Francesco Jorcij nel 1501 ora
non sono più visibili. Era ornata da una
pala di Francesco Salmeggia del XVII
secolo, raffigurante le nozze mistiche della
santa. Sulla parete di destra vi è
l'affresco Martirio di Santa
Caterina d'Alessandria con la ruota,
mentre la parete di sinistra quello della capitazione
di santa Caterina e nella calotta
dell'abside la santa nella gloria dei cieli.
Lo stemma della famiglia Albricci
raffigurante il castello con i merli alla
guelfa è in buono stato di conservazione.
Cappella
della Santissima Trinità
- La
cappella faceva parte di quelle quattro
poste sotto il pogiolo e riedificate nel
1577. Originariamente godeva del
giuspatronato dei Vegis, fu edificata nel
1507 con un lascito di Giovanni fu Ambrogio
Vegis, rogato il 20 gennaio 1467. Un
ulteriore testamento del 27 novembre 1521 di
Albertino fu Zinino de Vegis, indicava la
celebrazione perpetua di una messa nella in
capella illorum de Vegis. La pala
principale di Gian Paolo Lolmo raffigurante
la Trinità, non è più visibile, mentre le
pareti furono affrescate da Triolo Lupi nel 1582.
Quasi tutti gli arredi della cappella sono
andati dispersi, restano gli stemmi della
famiglia anche se le sepolture vennero poi
trasferite nel chiostro.

Nella
parete centrale le absidi:
Abside
laterale - A sinistra cappella della
trasfigurazione
- La
cappella è la prima che si trova uscendo
dalla sagrestia, presenta numero affreschi.
Tra le più antiche della chiesa, fu
dedicata a santa Monica. Parte degli
affreschi trecenteschi venne strappata nel
1881 trovando locazione in abitazioni
private. Apparteneva alla famiglia Bonelli,
ancora visibile l'epigrafe CAPPELLA
DOMINORUM GALEAZ ET PETRI FRATRUM DE
BONELLIS ET SUCCESSORUM ET DOMINARUM EORUM
ET ETRIUSQUE SEXUS DESCENDENTIUM AD EIS ANNO
DOMINI MCCCXXVI INDICTIONE NONA FACTA FUIT.
Sulle pareti a est e a nord vi sono
rappresentate dieci scene della vita di
Sant'Onofrio, potrebbero questi essere i più
antichi quando il monastero era dei monaci
eremiti di sant'Agostino. Nel sottarco di
destra è raffigurato l'Agnus Dei,
tra i quattro riquadri è il solo
riconoscibile.
Abside
B presbiterio e coro
- Il
10 maggio 1449 fu registrato un
atto relativo il lascito di un prato (forse
in Grassobbio) da domina Bianca al
monastero, se ne ignora il cognome, fu
donato per la realizzazione di un polittico
per il coro della chiesa che il Calvi
descrive come ricchissimo di oro e
ornamenti, forse realizzato da Andrea
de Bembis da Cremona, artista che
risultava presente nella pittura degli
affreschi. Per la realizzazione del
polittico, fu venduta anche una proprietà
del convento. Alcune parti del polittico
furono rimosse per potervi porre il
tabernacolo. L'opera fu distrutta nel 1766,
purtroppo con altri lavori che erano
considerati anticaglie. La descrizione
porterebbe affinità tra questa e l'ancona
presente nella chiesa di sant'Agostino di
Cremona affrescata da Bonifacio Bembo con
il contributo di Bianca Maria Visconti e Francesco
Sforza, inoltre al capitolo del
1449 della chiesa di sant'Agostino, era
presente fra' Gabriele Sforza, fratello
di Francesco, difficile che la Bianca,
di cui non si conosce il cognome sia la
medesima.
Abside
C laterale destra di san Nicola di Tolentino
- La
cappella presenta affreschi raffiguranti
sant'Onofrio eremita che in un paesaggio
deserto è completamente nudo appoggiato ad
un bastone. Il santo indica un punto che non
è identificabile a causa dello stato di
degrado della parete. L'affresco, diviso in
dieci scene su quattro riquadri, doveva
raccontare l'incontro del santo con l'abate
Pafnuzio. Ancora visibili sono le foglie
dorate che formavano le aureole dei
santi.
Sulla
parete di destra le cappelle:
Cappella
di San Giovanni Battista
- Il
23 settembre 1500 Guglielmo Rota
detto Rossetto della famiglia Zambelli dei
Guarinoni di Rota Imagna di
professione sarto, stipulò un contratto con
Giovanni Fantoni da Rosciano per la
fornitura di pietre per l'edificazione di
una nuova cappella. L'incarico conteneva
precise disposizioni sugli arredi. La
piastra sepolcrare con lo stemma dei Rota è
conservata sullo scalone del Palazzo del
Podestà. Fu ristrutturata nel 1686 ad
opera della famiglia Vacis e dedicata a San
Giuseppe, sull'altare era posto un quadro di Francesco
Salmeggia detto il Talpino. Visibile è
l'affresco Vir dolorum, il
Cristo morto e risorto in piedi nell'avello
della seconda metà del XIV secolo e
un sant'Agostino in piedi attribuito al Maestro
degli Anacoreti.
Cappella
San Nicola da Tolentino
- La
cappella forse più antica della chiesa,
risulta infatti presente nel 1475 con
un lascito di 50 imperiali per i suoi arredi
da Pezzolo fu Antonio Rivola, lascito che
poi continuò con la vedova. Il 10 settembre
1502 vi si istituì la scuola di san Nicola.
Fu affrescata da Pietro Baschenis che
firmò Petrus Baschenis fecit.
Si trovano le raffigurazioni di
sant'Onofrio, una Madonna con Bambino, Santa
Caterina d'Alessandria, sant'Agostino con un
libro in mano, San Bernardo da Chiaravalle,
e una santa monaca. Di particolare interesse
la raffigurazione della Trinità con
tre uomini identici che siedono affiancati,
uguale è la postura, e l'abbigliamento,
siedono su di un grande trono, entrambi
tengono in mano un libro aperto, mentre
alzano la mano destra con le tre dite
alzate, opera del maestro dell'albero
della vita. I tre personaggi, che hanno il
volto di Cristo, vogliono raffigurare anche
i tre ospiti di Abramo che gli
prometterebbero la maternità di Sara. Se
nel X secolo era proibita la
raffigurazione dello Spirito Santo, questo
modo di raffigurare la Trinità fu
definitivamente abolito da papa
Benedetto XIV nel 1745 perché
non conforme alla dottrina.
Cappella
della Madonna del buon consiglio
- La
cappella, originariamente dedicata a santa
Caterina, fu ricostruita nel 1501 dalla
famiglia Zonca che ne mantenne
l'intitolazione. Battistino Zonca, mercante
di panni di lana, abitante la vicina di san
Michele al pozzo bianco, aveva sposato la
figlia di Laterio Suardi, ed era
imparentata anche con la nobile famiglia
Rivola, acquistando prestigio in città. Il
contratto per la costruzione della cappella
fu redatto il 9 luglio 1501 con il
tagliapietre Bonadio de la Ranga. La
cappella è di forma semicircolare con le
pareti interne scandite da lesene, aveva
piastre funerarie dove era inciso lo stemma
della famiglia. Nel 1659 venne dedicata a
san Tommaso e nel XVIII secolo alla Madonna
del buon consiglio, titolo che venne
trasferito alla Chiesa di San Michele
al Pozzo Bianco, dopo la soppressione del
monastero. Degli affreschi è rimasto solo
la parte di un angelo.

Cappella
di Sant'Orsola e della Beata Vergine della
Cintura
- Fra'
Giovanni da Novara fondò nella città la
scuola di santa Orsola a cui aderirono molte
cittadine. La cappella era luogo di comune
sepoltura delle aderenti alla scuola. Un
reliquiario argentato realizzato da frate
Enrico da Aquisgrana, conservava il teschio
della santa. Il primo documento che nomina
la cappella fu rogato il 10 novembre 1444
come
lasciato testamentario di Giovanni Belfanto
de Zuchinis, il quale lasciava 200 lire
imperiali. Il Capitolo della chiesa
riunitosi il 18 ottobre 1489 ricevette il
lascito direttamente dalla vedova Mariola, a
questo capitolo era presenta il frate Ambrogio
Calepio. Nel 1512 fu commissionata la pala
di Sant'Orsola e le diecimila
vergini ad Andrea Previtali da
fra Giacomo Filippo Foresti, conservata in Accademia
Carrara. La cappella è ora disadorna dagli
stucchi che la ornavano e di cui rimane
documentazione.
Cappella
dell'Annunciata
- Non
si conosce la data esatta di costruzione
della cappella che è compresa tra il 1452 e
il 1469, è quella architettonicamente
meglio conservata. Fu costruita per volontà
del conte Nicolino dei conti di Calepio,
obbedendo al testamento del padre, il conte Trussardo
genitore anche di Ambrogio Calepio, che
chiedeva di essere sepolto nella chiesa di
Sant'Agostino. Nella nicchia della parete di
destra vi è l'affresco Vir dolorum,
il Cristo risolto in piedi nell'avello con i
simboli della passione, affresco eseguito
con il metodo dello spolvero attraverso il
riporto da cartone, ancora visibile alcuni
punti a carbone nei volti. Sul fianco del
pilastro destro, una bellissima Metterza con
sant'Anna in trono, che tiene tra le braccia
la Madonna, la quale regge e allatta il Gesù
bambino in fasce, schema iconografico
presente nel XIII secolo lombardo.
Sul pilastro a ovest è raffigurato
sant'Agostino in atto di benedire, vestito
dagli abiti liturgici delle celebrazioni, ma
che lascia intravedere il saio nero
dell'ordine agostiniano. Sono presenti anche
le raffigurazioni di sant'Onofrio eremita,
sant'Antonio abate con il bastone a forma di TAU e
una cordicella dalla quale pende una
campanella, simbolo iconografici del santo,
un personaggio scalzo, e uno dalle ricche
vesti, entrambi di difficile identificazione.
Nella cappella venne posta la tela di santa
Orsola eseguita da Andrea Previtali.
Cappella
dei santi Pietro e Paolo
- La
cappella fu costruita per volere della
famiglia di Antonio Boschi detta de
Calcinatis di Ponteranica, e che,
forse per mancanza di fondi, rinunciò a
mantenere. Fu assegnata alla famiglia di
Accorsino Carrara, con la commissione che
fosse uguale a quella di sant'Antonio. La
cappella fu distrutta nel 1680 con la
rimozione delle lapidi sepolcrali, collocate
poi, nel 1881, sullo scalone del palazzo
della Ragione. La cappella conserva la
raffigurazione della Madonna del
parto. L'immagine della Vergine è
presentata in piedi, in avanzato stato di
gravidanza, volge lo sguardo a sinistra e
tiene tra le mani un testo dove è possibile
riconoscere alcuni passaggi del Magnificat.
L'opera eseguita nella seconda metà del XIV
secolo viene attribuita al Maestro
della Madonna del parto. La
raffigurazione lombarda si differenzia da
quella toscana nella postura della Madonna,
qui posta quasi lateralmente e con un libro
aperto, mentre i pittori toscani la
raffiguravano sempre in posizione frontale,
e con un libro chiuso. All'artista sono
attribuiti altri affreschi presenti nella
cappella dell'Annunciata, come santa
Caterina d'Alessandria.
Cappella
di Sant'Antonio
- La
cappella fu costruita nel 1471 da
Antonio Roncalli, mercante di pezze di
lana proveniente dalla Valle Imagna,
che aveva abitato Via Pignolo con
le altre famiglie di mercanti, acquisendo il
soprannome di Negro e Bragini.
È registrato un suo lascito testamentario
del 18 luglio 1479. Ancora visibile è
lo stemma, affrescato nel 1480. Il
sottarco della cappella è affrescato con le
figure dei 12 patriarchi figli di Giacobbe,
antenati delle 12 tribù d'Israele, pitture
considerate della scuola di Antonio
Boselli. Del 1511 sono le raffigurazioni dei profeti presenti
nel sottarco eseguiti da Jacopino
Scipioni che è qualificato testimone
in un Capitolo del medesimo anno.
Il
convento fu anche un importante centro
culturale e religioso, grazie alla presenza
di personalità, diventando nel 1647 la
sede dell'Accademia degli Eccitati e
successivamente ospitando le scuole di
filosofia e teologia. I numerosi testi che
erano presenti nella biblioteca sono ora
conservati nella Biblioteca civica
Angelo Mai.
Nel
1766 il padre Angelo Finardi, archivista del
monastero aveva iniziato un lavoro di
riordino di tutta la documentazione e degli
atti che vi erano conservati, ma pochi anni
dopo, nel 1797 con la soppressione del
monastero e della chiesa tutti i beni
vennero consegnati al demanio. Le scritture
vennero affidate al Pio luogo del
Conventino, che dopo averne fatto un
primo riodino dividendo i documenti per
argomento nell'800, nel 1971 li depositò
all'Archivio di Stato di Bergamo. Fu
l'archivista Gianfranco Alessandetti a
catalogare i documenti seguento le
indicazioni del libro Indice dei
libri e scritture del venerando convento di
sant'Agostino di Bergamo di Tommaso
Verani.
Il
volume composto di 400 pagine era stato
scritto da Tommaso Verani, e si è ben
conservato. La raccolta era stata fatta
dividendo i documenti in quattro sezioni
contrassegnate dalle prime lettere
dell'alfabeto. Il primo contiene i rotoli di
pergamena dal 1102 al 1600. Nella seconda
sezione vi sono i lasciti e i testamenti, i
censi e i livelli dal 1612 al 1719, gli
estimi che indicano le parti distrutte del
convento per la costruzione delle mura. La
terza sezione contiene gli atti processuali
relativi a liti che riguardano il convento.
La documentazione risulta essere più ricca
di quanto ci si aspettasse.
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Novembre
2006 - Novembre 2007
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