Bergamo
 

Cittadella

Con le pietre dei colli fu costruita la Cittadella, un sistema di fortificazioni voluto da Barnabò Visconti nel 1355. Il complesso, più di ogni altro "spazio" della vecchia città, si presta a luogo di spettacoli e feste popolari.

Più volte rimaneggiato, negli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso un sapiente restauro ha ripristinato l'antica architettura, caratterizzata dagli splendidi portici. Due le "porte" d'entrata e di uscita: una, sotto la suggestiva torre della Campanella che da su piazza Mascheroni (concepita nella forma attuale nel 1 520 per dar spazio al mercato ed accogliere anche giochi e tornei); l'altra, che conduce in Colle Aperto ed è vigilata dalla massiccia torre di Adalberto (detta anche "torre della fame" perché qui Venezia rinchiudeva gli evasori fiscali). A base quadrata, alta 24 metri, la torre, quasi priva di aperture, fu voluta da Adalberto, vescovo di Bergamo dall'894 al 926; nel corso del XIII secolo fu demolita e poi ricostruita.

Colle Aperto, piazza e quadrivio insieme, è «la prova del respiro che, nonostante tutto, le fortificazioni concedevano alla città». Colle Aperto - dal quale si sale al Giardino Botanico "Lorenzo Rota", fra i più belli d'Italia - è dominato dalla porta di Sant'Alessandro col leone di San Marco bene in vista.

La Cittadella è considerata un po' la "capitale dei musei", offrendone due fra i più importanti al suo interno.

Museo di Scienze naturali "Enrico Caffi": dotato di laboratori modernissimi e di una ricchissima biblioteca, ha sezioni di mineralogia, ornitologia e botanica. Eccezionale la raccolta di lepidotteri di tutto il mondo (dodicimila esemplari) ed assai prezioso è pure un erbario con più di quattromila specie. Il pezzo più ammirato del museo è un gigantesco mammuth.

Tra i fossili, l'Eudimorphodon, il più antico rettile volante. Il museo, intitolato al geologo e naturalista bergamasco Enrico Caffi, è stato sistemato nel 1960 - con ulteriori interventi sulle strutture in seguito - e ordinato con criteri didattici. Nella prima sala, fra l'altro, si possono ammirare interessanti affreschi barocchi.

Museo Archeologico: comprende collezioni preistoriche, romane, paleocristiane e d'arte longobarda integrate da ceramiche elleniche. Numerose sono, in particolare, le tombe che documentano la presenza di etruschi in terra bergamasca.

Di grande interesse, nella sezione paleocristiana, sono poi alcuni sarcofaghi del IV secolo, quattro croci auree longobarde e "un raro mosaico policromo. Si segnala inoltre come curiosità, un sarcofago di mummia egiziana. Una collezione unica in Lombardia è infine rappresentata da una serie di piatti e tazze di ceramica nera di "tipo campano" (la più antica ceramica romana) ormai rara nei musei italiani.

Anche questa raccolta (come quella di scienze naturali) è ospitata in una costruzione quattrocentesca - in origine sede del capitano veneto - le cui sale sono decorate con affreschi dell'epoca. In tutto le sale sono cinque e ciascuna accoglie un settore dell'interessante rassegna: 1. Preistoria e protostoria - 2. Iscrizioni romane - 3. Scultura e ceramica (vi sono anche affreschi dell'epoca romana rinvenuti in una casa di Città Alta) - 4. Numismatica e ceramica - 5. Arte paleocristiana e longobarda (Bergamo fu sede d'un ducato longobardo dal 575). Per poter infine dire di conoscere Città Alta, bisogna "viverla", percorrerla di notte e di giorno, in tutte le sta­gioni, sotto la neve, la pioggia e il sole. Tenete sempre presente che non è facile scoprire alcuni suoi monumenti, tanto meno certi angoli che nessuna "guida" cita. Percorrendo via Colleoni (che i bergamaschi più anziani chiamano la Corsaròla), incontri la casa Colleoni, fatta costruire da Bartolomeo come residenza cittadina, nella quale si può ammirare uno degli esempi più belli di sala quattrocentesca (con ricchissima decorazione pittorica).

E, sempre nella stessa via, la chiesa del Carmine, già esistente insieme all'omonimo convento nel 1391, ampliata nel 1400 e riformata nel 1730 su progetto di Giambattista Caniana. Insolito il richiamo del piccolo, imprevisto sagra­to, dal quale si deve discendere per entrare in chiesa. A navata unica, la chiesa possiede due serie di cinque cappelle laterali e altre due nel presbiterio. Molte sono le tele provenienti dalla soppressa chiesa di Sant'Agata dei Teatini.

Attiguo all'abside, con accesso in fondo all'androne (privato) a destra della facciata della chiesa, sopravvive il mirabile chiostro quattrocentesco del soppresso convento carmelitano, a due ordini sovrapposti: costituito da un portico ad archi l'ordine inferiore e a loggia architravata quello superiore.

Sempre in via Colleoni, sul lato destro, fronteggiato da case di origine medioevale, si trova il neoclassico teatro Sociale, costruito tra il 1803 e il 1806 su progetto di Leopold Pollack. In origine aveva una capienza di 1300 persone. Chiuso nel 1929, subì un progressivo degrado, tra cui il crollo di parte del tetto. Interventi di restauro lo resero idoneo, dal 1983, ad ospitare importanti mostre.  

Piazza Vecchia

Piazza Vecchia è la piazza di Bergamo posta sulla parte alta della città, sede per molti secoli del'attività politica e civile cittadina anticamente chiamata platea magna nova. La piazza era collegata dal porticato del Palazzo della Ragione con platea Sancti Vincentii, diventata Piazza del Duomo.  

La piazza si trova sul vecchio foro romano, gli scavi eseguiti presso la Biblioteca Angelo Mai, hanno riportato alla luce l'antico cardo che percorreva questa area. Dal XI secolo la piazza era occupata da abitazioni e tuguri. Dal XIII secolo iniziò la bonifica della zona, con la demolizione di strutture fatiscenti e il collegamento con la piazzetta di san Michele all'Arco, e solo con il medioevo divenne il centro cittadino, con la costruzione del Palazzo della Ragione nel XII secolo sede del comune

Gli edifici che la circondano furono edificati a partire dal XV secolo dando alla piazza la forma geometrica rettangolare quasi perfetta, portandola a diventare con l'attigua piazza Duomo il centro monumentale più importante di Bergamo.

La piazza dal 2010, nel mese di settembre, viene arredata dai Maestri del Paesaggio che grazie all'intervento di paesaggisti provenienti da ogni parte del mondo, si trasforma per quindici giorni, in un inconsueto ambiente naturalistico.  

La piazza è situata al centro di città alta, ovvero nella parte racchiusa dalle mura venete; dalla forma rettangolare quasi perfetta ed è una delle piazze più importanti di Bergamo, essendo stata per secoli il centro politico della città orobica. Da quando la sede degli uffici pubblici venne spostata nella parte bassa della città per agevolare il rapporto degli amministratori ai cittadini, la piazza e i suoi edifici sono diventati attrattiva turistica e sede di musei. 

La pavimentazione a grandi quadrati dì mattoni rossi posti entro un reticolo di larghe strisce di pietra, unifica con il suo disegno questo spazio misurato, nel quale nessun elemento altera il rapporto con la dimensione urbana. 

Il palazzo della Ragione, simbolo del libero comune medioevale, fa da sfondo alla meravigliosa piazza. Il palazzo venne edificato al termine del XII secolo, tra il 1183 (data in cui fu siglata la pace di Costanza) ed il 1198, epoca in cui cominciarono a svilupparsi le prime realtà comunali all'interno del Sacro Romano Impero. Anche Bergamo non fu da meno, tanto da dotarsi di questo palazzo comunale citato come Palatium Comunis Pergami in documenti del 1198, che di fatto lo rendono il più antico palazzo comunale italiano. L'edificio mantenne il ruolo di centro politico cittadino anche al termine dell'epoca comunale quando, con l'arrivo della Repubblica di Venezia nella prima metà del XV secolo, venne utilizzato quasi esclusivamente come luogo dove si amministrava la giustizia, da qui "Palazzo della Ragione", mentre al margine opposto della Piazza Nuova furono costruiti gli ambienti per le assemblee consiliari cittadine.

Il palazzo subì un grave incendio nel 1513, e forse più di un incendio. Se il primo è documentato per mano degli spagnoli che in quell'anno avevano occupato la città, quello risultante alcuni anni successivi sembra fosse stato causato da alcuni cittadini, risulta infatti che nel 1519 il comune avesse offerto una ricompensa a chi avesse identificato gli incendiari. Il palazzo però era danneggiato già da tempo e nel 1503 era stato invitato un costruttore di Crema che provvedesse a restaurarne alcune sue parti. La sua ricostruzione comprova quanto fosse importante per il funzionamento del governo veneto cittadino, la presenza di un palazzo di giustizia che avesse anche un aspetto predominante sui restanti palazzi.

I lavori iniziarono verso la parete a nord, con la sostituzione di una finestra e con la locazione del nuovo leone di San Marco, dato che quello già presente era molto deteriorato. I lavori sulla facciata furono pagati nel marzo del 1539, e il 12 aprile venne posto il Leone di San Marco. Successivamente fu restaurata la parete a sud verso la chiesa di san Vincenzo, fu quindi tamponata la porta che dava accesso al palazzo, di cui non c'è più traccia. 

I lavori su questo lato ebbero una durata maggiore, se l'incarico dato all'Isabello era Demolir over disfar la fazzada del Pallazzo verso la ghiesa di s.ta Maria, questo indicherebbe che l'architetto dovette disfare la facciata pietra su pietra, così da non rovinare la pavimentazione della piazza: il solo della Piazza non si guasti. Visibile sulla parete la diversità tra i conci vecchi e quelli posti all'estremità del muro.

L'acquisto delle travi del tetto che costituiscono le capriate risale al 1543, in quel tempo l'attività del tribunale fu svolta sotto il porticato del palazzo. Il 22 dicembre 1543 ebbe inizio il lavoro di rifacimento del porticato con la rimozione e la collocazione delle nuove colonne che erano presenti dal XII secolo probabilmente di forma ottagonale, mentre quelle nuovo furono di ordine dorico. Il lavoro durò due anni risulta infatti pagato il 7 orrobre 1545. 

Difficile comprendere oggi se tutti i restauri siano stati un ammodernamento del palazzo come desiderio della Repubblica Veneta, o un restauro conseguente gli incendi, anche perché risulta che l'attività di tribunale non fu mai sospesa completamente. 

Il grande salone che Isabello creò al primo piano del palazzo, forse proprio il realizzare un grande unico locale, furono eseguiti tutti i lavori di rifacimento. La pavimentazione del salone fu l'ultimo intervento dell'Isabello. 

Nel 1550 furono commissionati a Lucano da Imola e Gerolamo Colleoni affreschi per il palazzo e il Lucano fu pagato anche per la realizzazione dell'insegna di San Marco. Con la nuova immagine e il nuovo orientamento, il palazzo raggiunse la posizione di massimo dominio cittadino.

Al termine della dominazione della Serenissima, alla quale subentrò nel 1797 la napoleonica Repubblica Cisalpina, il palazzo perse le prerogative di centro politico cittadino. La decadenza istituzionale si accentuò a partire dalla metà del XIX secolo quando né la dominazione austriaca né il neonato Regno d'Italia garantirono alla struttura un ruolo di rilievo. Soltanto a partire dalla seconda metà del XX secolo l'edificio venne coinvolto in un progetto turistico, con l'apertura nella Sala delle Capriate del Museo dell'affresco, rendendolo accessibile e visitabile.

In origine la fronte principale del palazzo era rivolta verso la basilica di Santa Maria Maggiore, ma fu rivolta verso Piazza Vecchia, allora Piazza Nuova, negli anni 1462 e 1463 quando la Serenissima fece aprire gli arconi al piano terreno verso la piazza e i finestroni gotici, mentre era già ultimata sin dalla tarda estate del 1457 la scalinata che porta all'ingresso tramite un cavalcavia loggiato e che permette di accedere anche all'attiguo Palazzo dei giuristi. Nel 1464 sulla nuova facciata verso la Piazza Nuova fu collocato il primo grande bassorilievo col Leone di San Marco, dorato su fondale azzurro, in un'edicola valutata dal Filerete venuto appositamente da Milano.  

Molto simile ad altri palazzi comunali italiani edificati in epoca medievale, possiede un piano terra aperto su tre lati (in origine due) con porticato. Questo è dotato di una loggia ad arcate acute e a tutto sesto, con pilastri portanti perimetrali e colonne cinquecentesche al centro. I pilastri stessi sono ornati da capitelli con elementi decorativi in stile romanico, tra cui animali ed elementi zoomorfi (leoni, uccelli e scimmie) ed antropomorfi. All'interno del porticato si sviluppa una piccola piazzetta che divide Piazza Vecchia, simbolo del potere politico, dalla piazza del Duomo, simbolo del potere religioso in cui si trovano il Duomo, la Cappella Colleoni e la basilica di Santa Maria Maggiore. Sulla parete vi sono bassorilievi, tra i quali merita menzione la Madonna col Bambino in braccio inquadrato in un'architettura di due colonne con trabeazione e cornici sottostanti, opera di Bartolomeo Manni. La pavimentazione presenta anche un orologio solare, opera dell'abate Giovanni Albrici, risalente al termine del XVIII secolo. Restaurato prima nel 1857 dall'ingegnere Francesco Valsecchi e poi nel 1982, indica le coordinate del punto in cui si trova (longitudine 27°29' e latitudine 45°43') e l'altezza sul livello del mare (360,85 m).  

Al primo piano si accede tramite una scalinata loggiata (1457), che porta anche agli ambienti superiori del palazzo dei Giuristi, sulla quale sono collocate sculture ed epigrafi di origine medievale e rinascimentale, diverse delle quali provenienti dalla ex chiesa di sant'Agostino, tra cui spiccano alcune di Giovanni da Campione(?). Al termine della scalinata si trova un piccolo cavalcavia che introduce al salone dove si amministrava la giustizia, denominato Sala delle Capriate. In questa si trovano sia ampie finestre a trifora architravata che garantiscono una buona luminosità, sia un accesso al balcone, situato al centro della parete che dà su Piazza Vecchia. Queste soluzioni architettoniche vennero introdotte, o conservate, alla metà del XVI secolo quando, in seguito ad un incendio, l'intero edificio fu sottoposto ad un intervento di recupero, realizzato fra il 1538 ed il 1554, sotto la guida del progettista Pietro Isabello. Vi si trovano inoltre dipinti ed affreschi, tra cui quelli del Bramante custoditi in precedenza nell'attiguo Palazzo del Podestà. Originariamente la facciata esterna era ornata dagli stemmi (ora andati perduti) dei podestà e dei rettori di Bergamo, nonché dal leone di San Marco, distrutto con l'avvento dei francesi e ripristinato solo nel 1933, donato dalla municipalità di Venezia.

Di fronte è il palazzo della Biblioteca Civica Angelo Mai, principale istituzione di conservazione storica del circuito bibliotecario di Bergamo.

Nasce tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli anni '70 del secolo XVIII quando fu messo a disposizione della cittadinanza il lascito librario che il cardinale Alessandro Giuseppe Furietti aveva fatto alla città. La sua prima collocazione fu in un locale del Palazzo Nuovo che ospitava il Comune. Trasferita nel 1797 presso la canonica del Duomo, dal 1843 trova sede nel Palazzo della Ragione fino a quando, nel 1928, ritorna nella sede originaria, occupando ora l'intero palazzo.

Dall'epoca dell'apertura il suo patrimonio librario è andato crescendo in maniera esponenziale, sia attraverso donazioni sia attraverso acquisizioni, fino a raggiungere l'attuale numero di circa 700000 volumi, 11000 periodici, circa 2150 incunaboli, oltre 12000 cinquecentine, un numero rilevante di stampeautografimanoscrittifotografie, beni artistici e altri reperti specialistici che ne fanno una delle più importanti biblioteche storiche d'Italia.

Il Palazzo Nuovo di Bergamo è opera dell'architetto Vincenzo Scamozzi, mentre il loggiato d'ingresso, che ne alleggerisce la facciata, fu disegnato dall'architetto Andrea Ceresola, detto il Vannone, a cui si deve anche la ricostruzione del Palazzo Ducale di Genova.

La costruzione del palazzo iniziò nei primi anni del XVII secolo e dopo un percorso secolare fu ultimata nel 1958 con l'inserimento di sei statue, opere di Tobia Vescovi, sulle trabeazioni del secondo, quinto e ottavo finestrone della facciata.

La facciata è opera dell'architetto Ernesto Pirovano, che la completò nel 1928 seguendo il progetto dello Scamozzi.

Ricoperta di marmo bianco di Zandobbio, dall'aspetto elegante e leggero nel suo rigore neoclassico, si inserisce nella Piazza Vecchia dominata dal Palazzo della Ragione e dalla Torre Suardi, il Campanone, in un gioco composito di stili architettonici diversi.

Il complesso degli edifici racchiude lo spazio della piazza vera e propria, ingentilita dalla fontana Contarini mentre, attraverso il loggiato del Palazzo della Ragione, si intravede in secondo piano, come dietro una quinta teatrale, la cinquecentesca Cappella Colleoni.

Dal 1928 Palazzo Nuovo è sede della civica biblioteca con cui si identifica.

Sulla sinistra il palazzo è affiancato dall'ex chiesa di San Michele all'Arco. Se le prime fonti nominano la chiesa nel 797, il primo documento, secondo lo storico Mario Lupo[1], risale solo all'897. Non è neppure certo che la chiesa fosse costruita dove era posizionato un arco romano, a Bergamo archi di origine romana erano sicuramente presenti, ma non c'è mai stata certezza sulla loro ubicazione. Risulta presente un monastero di suore benedettine, mentre è in dubbio la fonte che nomina un ospedale nel 905 fino al XV secolo non essendo citato dal vescovo Giovanni Barozzi. Intorno all'anno 1000, la chiesa divenne parrocchia, e lo rimase fino al 1805.

I padri Teatini, devoti a san Gaetano da Thiene, la officiarono negli anni dal 1606 al 1608, trasferendosi poi nella chiesa di Sant'Agata nel Carmine

Nel 1666 risultano sotto la devozione di San Michele in Bergamo, un oratorio, una cappelletta e le carceri dedicate al Santissimo Sacramento.

La chiesa aveva, nel 1497, un bordello comunale o locho publico o postribulo, proprio nelle vicinanze. Nel 1561 tra funzioni religione e incontri amorosi, la situazione non resse tanto che venne imposto al sacerdote che officiava le funzioni di tenere chiuso le porte perché queste non venissero disturbate.

Di Giovan Battista Caniana furono i progetti di restauro del 1743, conclusi con la consacrazione del 14 agosto 1745. Ma la sua ubicazione, troppo vicina al Palazzo nuovo, non le diede scampo, piano piano, l'amministrazione iniziò a usarne gli spazi, a partire dal sagrato, poi il piccolo cimitero. Nel 1805 la chiesa smise di essere parrocchia e venne sconsacrata nel 1955 diventando emeroteca della Biblioteca Capitolare, per una necessità di spazi data la mole di libri, giornali e riviste da conservare, trasformandola in deposito.

Può passare inosservata la piccola facciata della chiesa di san Michele dell'Arco, posizionata vicina al grande Palazzo nuovo, con il suo portale barocco che quasi la riempie, se non fosse per l'angelo posto sulla sua sommità opera di Giovanni Antonio Sanz

Poco rimane del suo aspetto originale, ma sulla parte che si trova in Via Rivola è possibile ancora ritrovare la primitiva facciata con l'arco di accesso e a sinistra il locale che era servito a oratorio e vestibolo dove era collocato un crocifisso proveniente dall'antico cimitero, soppresso dalle leggi napoleoniche, ma del sagrato non rimane nulla, essendo questo posizionato ad un livello inferiore rispetto alla pavimentazione odierna.

L'interno, ora adibito a deposito, offre ancora le decorazioni della cupola e delle volte opere di Carlo Innocenzo Carloni datate 1757-1760 che raffigurano arcangeli, profeti e San Michele che scacciano gli angeli ribelli, e gli affreschi sulle volte sopra l'altare maggiore opera di Giulio Quaglia. La pala posta sul coro opera di Pietro Ronzelli del 1608 si trova ora al Museo Adriano Bernareggi, il ritratto del parroco Carminati opera di Vittore Ghislandi, detto Fra' Galgario ora è conservato nelle Fabbricerie della Cattedrale, mentre la tela del Lotto dono della famiglia Bongo è ora all'Accademia Carrara.

La chiesa che era proprietà della diocesi di Bergamo, è diventata dal 2017 oggetto di scambio con il comune, diventandone il proprietario in cambio della Chiesa del Galgario posta nella parte bassa della città di Bergamo e che era inglobata nella caserma F. Nullo.

La storia del palazzo del Podestà segue la storia di Bergamo. La sua posizione divisa tra due piazze: piazza Vecchia, sede burocratica e amministrativa con il palazzo della Ragione, e piazza del Duomo sede clericale con la chiesa di San Vincenzo e Sant'Alessandro, la Congregazione della Misericordia Maggiore, lo rende parte significativa della città.

Venne edificato nel XII secolo dalla famiglia di fazione ghibellina dei Suardi, gli atti notarili lo nominano come Palazzo ex Zentilino Suardo e adibito a civile abitazione. Le lotte sanguinose tra le famiglie cittadine di fazione o guelfa o ghibellina, portarono la famiglia dei Suardi a perdere la proprietà del palazzo che divenne la Hospitium potestatis, di proprietà del comune e residenza dei podestà fino a tutto il XIV secolo.

Il palazzo subì un primo incendio nel 1360 che ne richiese il restauro.

In un atto notarile del 1442, si registra il passaggio di proprietà ai fratelli Avogadro, i quali ne vendettero una parte alla Congregazione della Misericordia Maggiore.

Dopo il 1428 con il dominio veneto, cambiò l'aspetto della città e la destinazione dei differenti edifici. Il palazzo venne ingrandito, venne aperto un ingresso sulla piazza e inserito lo scalone esterno che lo collegava al salone delle Capriate del palazzo della Ragione. e prese il nome di palazzo dei Giuristi, con questo nome viene ancora identificata la parte a sud della torre civica.

Il piano terreno del palazzo divenne la Camera fiscale, sede del camerlengo, del podestà e del capitano: insieme formavano il potere giudicante, vi era il giudice alla Ragione per le pratiche civili e il giudice al Maleficio per cause di materia criminale.

Nel 1477 la facciata venne dipinta dal Bramante con la raffigurazione dei Sette savi detti Li philosophi dell'antichità e di targhe recanti iscrizioni, le poche tracce di questi affreschi sono ora conservate nel salone delle Capriate.

Il palazzo subì un grosso incendio nel 1770, in particolare la parte più a sud, che richiese un grande intervento di ristrutturazione.

Durante l'occupazione napoleonica e la formazione della Repubblica Cisalpina, l'edificio divenne sede della Corte di Giustizia e del Tribunale provinciale. La collocazione di queste sedi istituzionali, fu trasferita nella parte bassa della città del XIX secolo, lasciando vuoti e all'abbandono i saloni del palazzo.

Nel XX secolo i locali subirno diverse destinazioni d'uso: nel 1926 ospitarono il Civico Museo di Storia Naturale, successivamente spostato nella Cittadella viscontea; la scuola superiore di giornalismo dell'Università Cattolica di Milano; nel 1961 la scuola biennale di specializzazione post-laura di giornalismo e dal 16 novembre 1968 sede del consorzio per l'istituzione di facoltà universitarie, per volontà del Comune di Bergamo, dell'Amministrazione provinciale, e della Camera di Commercio per l'istruzione di facoltà universitarie. Diventando poi organismo statale nel 1992.

Nel 2001 il palazzo e i monumenti storici, subirono una ricerca ad opera del comune e dalla sovraintendenza dei beni archeologici della Lombardia con una serie di indagini sia cartografiche che archeologiche, su progettazione di Francesco Macario, che hanno portato alla scoperta di una importante stratigrafia archeologica, sino a 2,50 m di profondità riportando alla luce l'ambiente protourbano di epoca protostorica, dal VI-V sec. a.C., della Roma imperiale del piano pavimentale di piazza Vecchia. Gli scavi hanno permesso la ricostruzione stratigrafica della città dall'epoca romana fino all'epoca moderna La ricerca ha potuto ricostruire non solo la storia del palazzo ma anche quella del suo contesto urbano.

Gli affreschi del Bramante erano sette immagini alte più di due metri raffiguranti antichi saggi posti in una architettura che si aggiungeva a quella reale dell'edificio. Gli affreschi furono realizzati mentre Sebstiano Baboer era pretore cittadino, forse anche il committente, e Giovanni Moro prefetto, quindi nel biennio 1477-1478.

Questi savi erano raffigurati seduti tra le finestre del palazzo contornati da una loggia dipinta con colonnine e balaustre dando alla piazza visione molto aperta. Negli anni successivi, nuove aperture e il sovrapporsi di nuove affrescature coprirono i dipinti del Bremante, solo nel 1927 grazie all'intervento dell'assessore Ciro Caversazzi, s effettuarono assaggi, scrostamenti e fu possibile recuperare due dei saggi affrescati: Epimenide (295x249) che regge con la destra un libro aperto ma di inesatta raffigurazione prospettica che presuppone la realizzazione da parte di un allievo del pittore, e il filosofgo Chilone (353x258) che regge con il ginocchio un libro aperto, sopra un partiglio recita Jupiter alta humilitat et humilia exaltat, il Salmi identificò nel dipinto un ritratto del pittore. Quanto è stato recuperato è esposto nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione.

Nel 2012 è stato allestito nelle sale del palazzo il Museo interattivo storico dell'età veneta, facente parte della Fondazione Bergamo nella storia onlus. Seguendo un percorso che si suddivide su sette sale interattive ci si porta a conoscenza di un periodo storico che dal 1492, anno della scoperta dell'America e il suo sviluppo commerciante, porta fino alla repubblica veneziana, il suo potere e i suoi commerci.

Nelle sale interattive si viene trasportati nel Medioevo, attraverso un viaggio che da Venezia porta a Bergamo, una visita che aiuta ad interagire nel Cinquecento, incontrando i luoghi e i personaggi che hanno fatto di quegli anni la storia di Bergamo. La città rappresentata nel XVI secolo, accompagna il visitatore alla costruzione delle mura venete e alla distruzione delle chiese e monasteri che erano ostacolo alla loro edificazione, come la chiesa di Sant'Alessandro in Colonna e il monastero di Santo Stefano giungendo fino a porta Sant'Alessandro, con i colori e i suoni della grande fiera che si trovava all'esterno delle mura, e che arrivava fino alle le muraine.  

Della fine del Settecento è la fontana al centro detta del Contarini. Costruita in marmo di Zandobbio, la fontana è composta da una vasca principale con base ottagonale, al cui centro uno zampillo fa sgorgare l'acqua. Questa è circondata da statue ornamentali disposte in modo simmetrico: in primis due piccole sfingi contrapposte tra loro (l'una che osserva in direzione del palazzo della Ragione e l'altra indirizzata verso la biblioteca civica), alla base delle quali sono poste altrettante piccole vasche che raccolgono l'acqua che sgorga dalla loro bocca, con la quale è possibile abbeverarsi.

A fianco di ognuna delle piccole vasche si trovano due piccole colonne, sulle quali sono scolpiti elementi zoomorfi quali serpenti e leoni. Su ognuno dei lati rimasti sguarniti, si collocano in modo equidistante due statue rappresentanti un leone, simbolo della Serenissima, che in quel tempo comandava la città.

La fontana deve il suo nome ad Alvise Contarini, podestà della Repubblica di Venezia, che la regalò alla cittadinanza nel 1780, quando lasciò il suo incarico nella città orobica. L'intento dell'allora rettore cittadino era sia quello di abbellire la centralissima Piazza Vecchia, che di fornire agli abitanti un prezioso strumento utilizzabile per fini domestici e contro la siccità. Nel corso del 1858 la fontana fu soggetta ad un rifacimento quasi completo, che ne modificò parzialmente le caratteristiche.

In pieno periodo risorgimentale, precisamente nel 1885, la fontana fu smontata per far posto al monumento di Giuseppe Garibaldi. Qualche decennio più tardi, all'inizio del XX secolo, venne rimontata nella sua originale posizione, mentre il monumento dell'eroe dei due mondi venne collocato in Città Bassa.

Un ulteriore intervento finanziato da privati permise, all'inizio del nuovo millennio, un recupero della struttura, danneggiata da inquinamento ed agenti atmosferici, riportandola all'iniziale splendore.  

La piazza è dominata dalla torre Civica, costruita nel periodo compreso tra l'XI ed il XII secolo. Inizialmente venne utilizzata come casa-torre di proprietà della famiglia Suardi, uno dei casati più potenti di quei tempi, appartenente alla schiera dei ghibellini. Indicata con il termine hospicio, che nel medioevo corrispondeva alla definizione di grande casa, divenne nel '300 un grande ospizio dove abitavano i rettori presso la torre. Probabilmente in questo tempo la torre venne ampliata. Forse vennero edificate altre stanze però sulle proprietà vescovili sostituirono infatti la porticus nova che si trovava sul lato della piazza di san Vincenzo.

Era l'epoca in cui la contrapposizione con i guelfi raggiunse l'apice, tanto che ogni famiglia facoltosa residente nella città soleva erigere una torre: tanto più alta era la costruzione più prestigio acquisiva la famiglia.

Nel frattempo tutto attorno si era sviluppata Piazza Vecchia, cuore delle istituzioni politico-amministrative, e piazza del Duomo, centro religioso cittadino. La torre, dalla cui sommità si potevano ammirare entrambe le piazze, si trovò ad essere un riferimento per tutti gli abitanti. La torre nel XIV secolo ospitava anche le carceri cittadine.

Qualche secolo più tardi la struttura venne acquisita dalla municipalità bergamasca, che vi collocò alcune campane. Queste, oltre a scandire il tempo, servivano anche per richiamare a raccolta la cittadinanza, soprattutto in momenti di calamità.

Inoltre la campana maggiore, benedetta nel 1656 e ribattezzata dagli abitanti Campanone, alle dieci di ogni sera batteva cento rintocchi per indicare il coprifuoco che ricordava la chiusura delle quattro porte di accesso alla città. Questa usanza si ripete tuttora a memoria degli eventi passati, così come quando si riunisce il Consiglio comunale, si svolge la processione del Corpus Domini o si tiene il concerto di tutti i campanili della città il 25 agosto, organizzato dalla Federazione Campanari Bergamaschi, giorno della vigilia del patrono Sant'Alessandro.

Così come avvenuto per numerosi monumenti situati nelle immediate vicinanze, a partire dalla seconda metà del XX secolo l'edificio venne coinvolto in un progetto di rivalutazione in chiave turistica, con un intervento di ammodernamento che introdusse un ascensore che permette di dare un'alternativa a chi non vuole raggiungere la sommità della struttura mediante la scaletta.

Inizialmente alta 37 metri, fu sottoposta a piccoli ma continui interventi di ampliamento già in età medievale, che le permisero di raggiungere gli attuali 56 metri di altezza che la rendono la torre più alta della città.

Dalla sommità si può godere di un panorama sia sulla città alta che sulla città bassa, la pianura circostante, nonché le propaggini montuose delle Prealpi Orobie. Le sue caratteristiche tipicamente medioevali la rendono inoltre uno dei monumenti principali della città, tanto da essere ben visibile nello sky-line di città alta.

La torre ospita un concerto di tre campane montato su un castello in ferro.

La maggiore, conosciuta come "Campanone" è la campana storica più grande della Lombardia. Fu fusa nel 1656 dal veronese Bartolomeo Pisenti, chiamato dal podestà per rimpiazzare le precedenti campane ormai rotte. La fusione del campanone fu travagliata in quanto i primi due tentativi fallirono, rispettivamente, per lo scoppio della sagoma (1652) e per l'incrinatura della campana dopo soltanto pochi mesi (1653). Il suo diametro misura 2.07 metri ed il peso è stimabile attorno ai 5580 kg, 300 kg circa quello del battente. Il ricco corredo ornamentale di gusto manieristico presenta, oltre al marchio del fonditore, alcune iscrizioni, sia interne al vaso che esterne: tra esse il distico "Laeta dies hora funebria nubila cives concino sacro noto defleo pello", la cui traduzione interpretata può essere "chiamo il popolo alle armi, segno i giorni, indico le ore, allontano la tempesta, canto a festa, piango i morti". La data impressa indica 1655, anno in cui fu approntata la sagoma. Il sistema di suono originario era a slancio ad opera di squadre di campanari, ma non si esclude che per un periodo fosse fissa e suonata muovendo il battente. Oggi il sistema è a slancio elettrificato, nonché ad elettrobattente per lo scoccare delle ore.

La campana mezzana risale al 1949 ed è opera di fusione del bergamasco Angelo Ottolina che riuscì ad ottenere il calco prima che l'originale del 1653 fusa da Bartolomeo Pisenti fosse requisita dallo Stato italiano e distrutta per motivi bellici. Essa, pur presentando una sagoma moderna riprende le decorazioni originali. Il diametro misura 1.15 metri ed il peso è di 915 kg. Anch'essa riporta un notevole corredo ornamentale manieristico simile a quello del campanone. È impresso l'anno 1652 in cui fu pronta la sagoma, ma il primo tentativo di fusione non andò a buon fine. Il sistema di suono è a slancio elettrificato.

La campana più piccola nonché più antica fu fusa nel 1474 da Gasparino da Vicenza. Il diametro misura 0.93 metri ed il peso è di circa 480 kg. La sagoma presenta un profilo snello vicino a quello trecentesco ed è priva di decorazioni: sono riportate solo alcune iscrizioni tra le quali la firma dell'autore. Il sistema di suono è a slancio elettrificato e ad elettrobattente per lo scoccare della mezzora.

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Novembre 2006 - Novembre 2007