|
Cittadella
Con le pietre dei colli fu
costruita la Cittadella, un
sistema di fortificazioni voluto da Barnabò
Visconti nel 1355. Il complesso, più di
ogni altro "spazio" della vecchia
città, si presta a luogo di spettacoli e
feste popolari.
Più volte
rimaneggiato, negli anni
Cinquanta-Sessanta del secolo scorso un
sapiente restauro ha ripristinato l'antica
architettura, caratterizzata dagli splendidi
portici. Due le "porte" d'entrata
e di uscita: una, sotto la
suggestiva torre
della Campanella
che da su piazza
Mascheroni
(concepita nella forma attuale nel 1 520 per
dar spazio al mercato ed accogliere anche
giochi e tornei); l'altra, che conduce in
Colle Aperto ed è vigilata dalla massiccia torre di Adalberto
(detta anche "torre della fame"
perché qui Venezia rinchiudeva gli evasori
fiscali). A base quadrata, alta 24 metri, la
torre, quasi priva di aperture, fu voluta da
Adalberto, vescovo di Bergamo dall'894 al
926; nel corso del XIII secolo fu demolita e
poi ricostruita.
Colle
Aperto, piazza e quadrivio insieme, è «la prova del
respiro che, nonostante tutto, le
fortificazioni concedevano alla città». Colle Aperto - dal quale si sale
al Giardino Botanico "Lorenzo
Rota", fra i più belli d'Italia - è
dominato dalla porta di Sant'Alessandro col
leone di San Marco bene in vista.
La
Cittadella è considerata un po' la "capitale dei
musei", offrendone due fra i più
importanti al suo interno.
Museo
di Scienze naturali "Enrico
Caffi": dotato di laboratori
modernissimi e di una ricchissima
biblioteca, ha sezioni di mineralogia,
ornitologia e botanica. Eccezionale la
raccolta di lepidotteri di tutto il mondo
(dodicimila esemplari) ed assai prezioso è
pure un erbario con più di quattromila
specie.
Il pezzo più
ammirato del museo è un gigantesco mammuth.
Tra
i fossili, l'Eudimorphodon, il più antico rettile volante.
Il museo, intitolato al geologo e
naturalista bergamasco Enrico Caffi, è
stato sistemato nel 1960 - con ulteriori
interventi sulle strutture in seguito - e
ordinato con criteri didattici. Nella prima
sala, fra l'altro, si possono ammirare
interessanti affreschi barocchi.
Museo
Archeologico: comprende collezioni
preistoriche, romane, paleocristiane e
d'arte longobarda integrate da ceramiche
elleniche. Numerose sono, in particolare, le
tombe che documentano la presenza di
etruschi in terra bergamasca.
Di
grande interesse, nella sezione
paleocristiana, sono poi alcuni sarcofaghi
del IV secolo, quattro croci auree
longobarde
e "un raro mosaico policromo.
Si segnala inoltre come curiosità, un sarcofago di mummia
egiziana. Una collezione unica in Lombardia
è infine rappresentata da una serie di
piatti e tazze di ceramica nera di
"tipo
campano"
(la più antica ceramica romana) ormai rara nei musei
italiani.
Anche
questa raccolta (come quella di scienze
naturali) è
ospitata in una costruzione quattrocentesca
- in origine sede del capitano veneto - le
cui sale sono decorate con affreschi
dell'epoca. In tutto le sale sono cinque e
ciascuna accoglie un settore
dell'interessante rassegna: 1. Preistoria e
protostoria - 2. Iscrizioni romane - 3.
Scultura e ceramica (vi sono anche affreschi
dell'epoca romana rinvenuti in una casa di
Città Alta) - 4. Numismatica e ceramica -
5. Arte paleocristiana e longobarda (Bergamo
fu sede d'un ducato longobardo dal 575). Per
poter infine dire di conoscere Città Alta,
bisogna "viverla", percorrerla di
notte e di giorno, in tutte le stagioni,
sotto la neve, la pioggia e il sole. Tenete
sempre presente che non è facile scoprire
alcuni suoi monumenti, tanto meno certi
angoli che nessuna "guida" cita.
Percorrendo via Colleoni (che i bergamaschi
più anziani
chiamano
la Corsaròla), incontri la casa Colleoni, fatta costruire da Bartolomeo come
residenza cittadina, nella quale si può
ammirare uno degli esempi più belli di sala
quattrocentesca (con ricchissima decorazione
pittorica).
E,
sempre nella stessa via, la chiesa del
Carmine, già
esistente insieme all'omonimo convento nel
1391, ampliata nel 1400 e riformata nel 1730
su progetto di Giambattista Caniana.
Insolito il richiamo del piccolo, imprevisto
sagrato, dal quale si deve discendere per
entrare in chiesa. A navata unica, la chiesa
possiede due serie di cinque cappelle
laterali e altre due nel presbiterio. Molte
sono le tele provenienti dalla soppressa
chiesa di Sant'Agata dei Teatini.
Attiguo
all'abside, con accesso in fondo all'androne
(privato) a destra della facciata della
chiesa, sopravvive il mirabile chiostro
quattrocentesco del soppresso convento
carmelitano, a due ordini sovrapposti:
costituito da un portico ad archi l'ordine
inferiore e a loggia architravata quello
superiore.
Sempre
in via Colleoni, sul lato destro,
fronteggiato da case di origine medioevale,
si trova il neoclassico teatro Sociale,
costruito tra il 1803 e il 1806 su progetto
di Leopold Pollack. In origine aveva una
capienza di 1300 persone. Chiuso nel 1929,
subì un progressivo degrado,
tra cui il crollo di parte del tetto.
Interventi di restauro lo resero idoneo, dal
1983, ad ospitare importanti mostre.
-
Piazza
Vecchia

Piazza
Vecchia è la piazza di
Bergamo posta sulla parte alta della città,
sede per molti secoli del'attività politica
e civile cittadina anticamente chiamata platea
magna nova. La piazza era collegata dal
porticato del Palazzo
della Ragione con platea
Sancti Vincentii, diventata Piazza
del Duomo.
La
piazza si trova sul vecchio foro romano, gli
scavi eseguiti presso la Biblioteca
Angelo Mai, hanno riportato alla luce
l'antico cardo che
percorreva questa area. Dal XI
secolo la piazza era occupata da
abitazioni e tuguri. Dal XIII
secolo iniziò la bonifica della
zona, con la demolizione di strutture
fatiscenti e il collegamento con la
piazzetta di san
Michele all'Arco, e solo con il
medioevo divenne il centro cittadino, con la
costruzione del Palazzo della Ragione nel XII
secolo sede del comune.
Gli
edifici che la circondano furono edificati a
partire dal XV
secolo dando alla piazza la
forma geometrica rettangolare quasi
perfetta, portandola a diventare con
l'attigua piazza
Duomo il centro monumentale più
importante di Bergamo.
La
piazza dal 2010,
nel mese di settembre, viene arredata dai Maestri
del Paesaggio che grazie all'intervento
di paesaggisti provenienti da ogni parte del
mondo, si trasforma per quindici giorni, in
un inconsueto ambiente naturalistico.
La
piazza è situata al centro di città
alta, ovvero nella parte racchiusa dalle mura
venete; dalla forma rettangolare
quasi perfetta ed è una delle piazze più
importanti di Bergamo,
essendo stata per secoli il centro politico
della città orobica. Da quando la sede
degli uffici pubblici venne spostata nella
parte bassa della città per agevolare il
rapporto degli amministratori ai cittadini,
la piazza e i suoi edifici sono diventati
attrattiva turistica e sede di musei.
La
pavimentazione a grandi quadrati dì mattoni rossi posti
entro un reticolo di larghe strisce di
pietra, unifica con il suo disegno questo
spazio misurato, nel quale nessun elemento
altera il rapporto con la dimensione
urbana.

Il palazzo della Ragione, simbolo
del libero comune medioevale, fa da sfondo
alla meravigliosa piazza. Il
palazzo venne edificato al termine del XII
secolo, tra il 1183 (data in cui
fu siglata la pace di Costanza) ed il 1198,
epoca in cui cominciarono a svilupparsi le
prime realtà comunali all'interno del Sacro
Romano Impero. Anche Bergamo non fu da meno,
tanto da dotarsi di questo palazzo comunale
citato come Palatium Comunis Pergami in
documenti del 1198, che di fatto lo
rendono il più antico palazzo comunale
italiano. L'edificio mantenne il ruolo di
centro politico cittadino anche al termine
dell'epoca comunale quando, con l'arrivo
della Repubblica di Venezia nella
prima metà del XV secolo, venne
utilizzato quasi esclusivamente come luogo
dove si amministrava la giustizia, da qui
"Palazzo della Ragione", mentre al
margine opposto della Piazza Nuova furono
costruiti gli ambienti per le assemblee
consiliari cittadine.
Il
palazzo subì un grave incendio nel 1513, e
forse più di un incendio. Se il primo è
documentato per mano degli spagnoli che in
quell'anno avevano occupato la città,
quello risultante alcuni anni successivi
sembra fosse stato causato da alcuni
cittadini, risulta infatti che nel 1519 il
comune avesse offerto una ricompensa a chi
avesse identificato gli incendiari. Il
palazzo però era danneggiato già da tempo
e nel 1503 era stato invitato un costruttore
di Crema che provvedesse a restaurarne
alcune sue parti. La sua ricostruzione
comprova quanto fosse importante per il
funzionamento del governo veneto cittadino,
la presenza di un palazzo di giustizia che
avesse anche un aspetto predominante sui
restanti palazzi.
I
lavori iniziarono verso la parete a nord,
con la sostituzione di una finestra e con la
locazione del nuovo leone di San Marco, dato
che quello già presente era molto
deteriorato. I lavori sulla facciata
furono pagati nel marzo del 1539, e il 12
aprile venne posto il Leone di San
Marco. Successivamente fu restaurata la
parete a sud verso la chiesa di san
Vincenzo, fu quindi tamponata la porta che
dava accesso al palazzo, di cui non c'è più
traccia.
I
lavori su questo lato ebbero una durata
maggiore, se l'incarico dato all'Isabello
era Demolir over disfar la fazzada del
Pallazzo verso la ghiesa di s.ta Maria,
questo indicherebbe che l'architetto dovette
disfare la facciata pietra su pietra, così
da non rovinare la pavimentazione della
piazza: il solo della Piazza non si
guasti. Visibile sulla parete la diversità
tra i conci vecchi e quelli posti
all'estremità del muro.
L'acquisto
delle travi del tetto che costituiscono le
capriate risale al 1543, in quel tempo
l'attività del tribunale fu svolta sotto il
porticato del palazzo. Il 22 dicembre 1543
ebbe inizio il lavoro di rifacimento del
porticato con la rimozione e la collocazione
delle nuove colonne che erano presenti dal XII
secolo probabilmente di forma ottagonale,
mentre quelle nuovo furono di ordine dorico.
Il lavoro durò due anni risulta infatti
pagato il 7 orrobre 1545.
Difficile
comprendere oggi se tutti i restauri siano
stati un ammodernamento del palazzo come
desiderio della Repubblica Veneta, o un
restauro conseguente gli incendi, anche
perché risulta che l'attività di tribunale
non fu mai sospesa completamente.
Il grande
salone che Isabello creò al primo
piano del palazzo, forse proprio il
realizzare un grande unico locale, furono
eseguiti tutti i lavori di rifacimento. La
pavimentazione del salone fu l'ultimo
intervento dell'Isabello.
Nel
1550 furono commissionati a Lucano da
Imola e Gerolamo Colleoni affreschi
per il palazzo e il Lucano fu pagato anche
per la realizzazione dell'insegna di San
Marco. Con la nuova immagine e il nuovo orientamento,
il palazzo raggiunse la posizione di massimo
dominio cittadino.
Al
termine della dominazione della Serenissima,
alla quale subentrò nel 1797 la
napoleonica Repubblica Cisalpina, il
palazzo perse le prerogative di centro
politico cittadino. La decadenza
istituzionale si accentuò a partire dalla
metà del XIX secolo quando né la dominazione
austriaca né il neonato Regno
d'Italia garantirono alla struttura un
ruolo di rilievo. Soltanto a partire dalla
seconda metà del XX secolo l'edificio
venne coinvolto in un progetto turistico,
con l'apertura nella Sala delle
Capriate del Museo dell'affresco,
rendendolo accessibile e visitabile.
In
origine la fronte principale del palazzo era
rivolta verso la basilica di Santa
Maria Maggiore, ma fu rivolta verso Piazza
Vecchia, allora Piazza Nuova, negli
anni 1462 e 1463 quando la Serenissima fece
aprire gli arconi al piano terreno verso la
piazza e i finestroni gotici, mentre era già
ultimata sin dalla tarda estate del 1457 la
scalinata che porta all'ingresso tramite un
cavalcavia loggiato e che permette di
accedere anche all'attiguo Palazzo dei
giuristi. Nel 1464 sulla nuova facciata
verso la Piazza Nuova fu collocato il primo
grande bassorilievo col Leone di San
Marco, dorato su fondale azzurro, in
un'edicola valutata dal Filerete venuto
appositamente da Milano.
Molto
simile ad altri palazzi comunali italiani
edificati in epoca medievale, possiede
un piano terra aperto su tre lati (in
origine due) con porticato. Questo è dotato
di una loggia ad arcate acute e a tutto
sesto, con pilastri portanti perimetrali e
colonne cinquecentesche al centro. I
pilastri stessi sono ornati da capitelli con
elementi decorativi in stile romanico, tra
cui animali ed elementi zoomorfi (leoni,
uccelli e scimmie) ed antropomorfi.
All'interno del porticato si sviluppa una
piccola piazzetta che divide Piazza Vecchia,
simbolo del potere politico, dalla piazza
del Duomo, simbolo del potere religioso in
cui si trovano il Duomo, la Cappella
Colleoni e la basilica di Santa
Maria Maggiore. Sulla parete vi sono
bassorilievi, tra i quali merita menzione la Madonna
col Bambino in braccio inquadrato in
un'architettura di due colonne con
trabeazione e cornici sottostanti, opera di Bartolomeo
Manni. La pavimentazione presenta anche un
orologio solare, opera dell'abate Giovanni
Albrici, risalente al termine del XVIII
secolo. Restaurato prima nel 1857 dall'ingegnere
Francesco Valsecchi e poi nel 1982,
indica le coordinate del punto in cui si
trova (longitudine 27°29' e latitudine 45°43')
e l'altezza sul livello del mare (360,85 m).
Al
primo piano si accede tramite una scalinata
loggiata (1457), che porta anche agli
ambienti superiori del palazzo dei Giuristi,
sulla quale sono collocate sculture ed
epigrafi di origine medievale e
rinascimentale, diverse delle quali
provenienti dalla ex chiesa di
sant'Agostino, tra cui spiccano alcune di Giovanni
da Campione(?). Al termine della scalinata
si trova un piccolo cavalcavia che introduce
al salone dove si amministrava la giustizia,
denominato Sala delle Capriate. In
questa si trovano sia ampie finestre a
trifora architravata che garantiscono una
buona luminosità, sia un accesso al
balcone, situato al centro della parete che
dà su Piazza Vecchia. Queste soluzioni
architettoniche vennero introdotte, o
conservate, alla metà del XVI secolo quando,
in seguito ad un incendio, l'intero edificio
fu sottoposto ad un intervento di recupero,
realizzato fra il 1538 ed il 1554,
sotto la guida del progettista Pietro
Isabello. Vi si trovano inoltre dipinti ed
affreschi, tra cui quelli del Bramante custoditi
in precedenza nell'attiguo Palazzo del
Podestà. Originariamente la facciata
esterna era ornata dagli stemmi (ora andati
perduti) dei podestà e dei rettori di
Bergamo, nonché dal leone di San Marco,
distrutto con l'avvento dei francesi e
ripristinato solo nel 1933, donato
dalla municipalità di Venezia.

Di fronte è il palazzo
della Biblioteca Civica Angelo Mai, principale
istituzione di conservazione storica del
circuito bibliotecario di Bergamo.
Nasce
tra la fine degli anni '60 e l'inizio degli
anni '70 del secolo XVIII quando fu messo a
disposizione della cittadinanza il lascito
librario che il cardinale Alessandro
Giuseppe Furietti aveva fatto
alla città.
La sua prima collocazione fu in un locale
del Palazzo
Nuovo che ospitava il Comune.
Trasferita nel 1797 presso
la canonica del Duomo, dal 1843 trova
sede nel Palazzo
della Ragione fino a quando, nel 1928,
ritorna nella sede originaria, occupando ora
l'intero palazzo.
Dall'epoca
dell'apertura il suo patrimonio librario è
andato crescendo in maniera esponenziale,
sia attraverso donazioni sia attraverso
acquisizioni, fino a raggiungere l'attuale
numero di circa 700000 volumi,
11000 periodici,
circa 2150 incunaboli,
oltre 12000 cinquecentine, un numero
rilevante di stampe, autografi, manoscritti, fotografie,
beni artistici e altri reperti specialistici
che ne fanno una delle più importanti
biblioteche storiche d'Italia.
Il Palazzo
Nuovo di Bergamo è opera dell'architetto Vincenzo
Scamozzi, mentre il loggiato d'ingresso,
che ne alleggerisce la facciata,
fu disegnato dall'architetto Andrea
Ceresola, detto il Vannone, a cui si
deve anche la ricostruzione del Palazzo
Ducale di Genova.
La
costruzione del palazzo iniziò
nei primi anni del XVII
secolo e dopo un percorso secolare fu
ultimata nel 1958 con
l'inserimento di sei statue, opere di Tobia
Vescovi, sulle trabeazioni del
secondo, quinto e ottavo finestrone della
facciata.
La
facciata è opera dell'architetto Ernesto
Pirovano, che la completò nel 1928 seguendo
il progetto dello Scamozzi.
Ricoperta
di marmo bianco di Zandobbio,
dall'aspetto elegante e leggero nel suo
rigore neoclassico, si inserisce nella
Piazza Vecchia dominata dal Palazzo della
Ragione e dalla Torre Suardi, il Campanone,
in un gioco composito di stili
architettonici diversi.
Il
complesso degli edifici racchiude lo spazio
della piazza vera e propria, ingentilita
dalla fontana Contarini mentre, attraverso
il loggiato del Palazzo della Ragione, si
intravede in secondo piano, come dietro una
quinta teatrale, la cinquecentesca Cappella
Colleoni.
Dal 1928 Palazzo
Nuovo è sede della civica biblioteca con
cui si identifica.

Sulla sinistra il palazzo
è affiancato dall'ex chiesa di San Michele
all'Arco.
Se
le prime fonti nominano la chiesa nel 797,
il primo documento, secondo lo storico Mario
Lupo[1], risale solo all'897.
Non è neppure certo che la chiesa fosse
costruita dove era posizionato un arco
romano, a Bergamo archi di origine romana
erano sicuramente presenti, ma non c'è mai
stata certezza sulla loro ubicazione.
Risulta presente un monastero di suore
benedettine, mentre è in dubbio la fonte
che nomina un ospedale nel 905 fino
al XV
secolo non essendo citato dal vescovo Giovanni
Barozzi. Intorno
all'anno 1000,
la chiesa divenne parrocchia, e lo rimase
fino al 1805.
I
padri Teatini,
devoti a san Gaetano
da Thiene, la officiarono negli anni
dal 1606 al 1608, trasferendosi poi nella chiesa
di Sant'Agata nel Carmine.
Nel 1666 risultano
sotto la devozione di San Michele in
Bergamo, un oratorio, una cappelletta e le
carceri dedicate al Santissimo Sacramento.

La
chiesa aveva, nel 1497,
un bordello comunale o locho publico o postribulo,
proprio nelle vicinanze. Nel 1561 tra
funzioni religione e incontri amorosi, la
situazione non resse tanto che venne imposto
al sacerdote che officiava le funzioni di
tenere chiuso le porte perché queste non
venissero disturbate.
Di Giovan
Battista Caniana furono i
progetti di restauro del 1743,
conclusi con la consacrazione del 14 agosto 1745.
Ma la sua ubicazione, troppo vicina al Palazzo
nuovo, non le diede scampo, piano
piano, l'amministrazione iniziò a usarne
gli spazi, a partire dal sagrato, poi il
piccolo cimitero. Nel 1805 la chiesa smise
di essere parrocchia e venne sconsacrata nel
1955 diventando emeroteca della Biblioteca
Capitolare, per una necessità di spazi data
la mole di libri, giornali e riviste da
conservare, trasformandola in deposito.
Può
passare inosservata la piccola facciata
della chiesa di san Michele dell'Arco,
posizionata vicina al grande Palazzo nuovo,
con il suo portale barocco che quasi la
riempie, se non fosse per l'angelo posto
sulla sua sommità opera di Giovanni
Antonio Sanz.
Poco
rimane del suo aspetto originale, ma sulla
parte che si trova in Via Rivola è
possibile ancora ritrovare la primitiva
facciata con l'arco di accesso e a sinistra
il locale che era servito a oratorio e
vestibolo dove era collocato un crocifisso
proveniente dall'antico cimitero, soppresso
dalle leggi napoleoniche, ma del sagrato non
rimane nulla, essendo questo posizionato ad
un livello inferiore rispetto alla
pavimentazione odierna.
L'interno,
ora adibito a deposito, offre ancora le
decorazioni della cupola e delle volte opere
di Carlo
Innocenzo Carloni datate 1757-1760 che
raffigurano arcangeli, profeti e San Michele
che scacciano gli angeli ribelli, e gli
affreschi sulle volte sopra l'altare
maggiore opera di Giulio
Quaglia. La pala posta sul coro opera
di Pietro
Ronzelli del 1608 si
trova ora al Museo
Adriano Bernareggi, il ritratto del
parroco Carminati opera di Vittore
Ghislandi, detto Fra' Galgario ora
è conservato nelle Fabbricerie della
Cattedrale, mentre la tela del Lotto dono
della famiglia Bongo è ora all'Accademia
Carrara.
La
chiesa che era proprietà della diocesi di
Bergamo, è diventata dal 2017 oggetto di
scambio con il comune, diventandone il
proprietario in cambio della Chiesa
del Galgario posta nella parte
bassa della città di Bergamo e che era
inglobata nella caserma F. Nullo.
La
storia del palazzo del Podestà segue
la storia di Bergamo. La sua posizione
divisa tra due piazze: piazza Vecchia, sede
burocratica e amministrativa con il palazzo
della Ragione, e piazza
del Duomo sede clericale con la chiesa
di San Vincenzo e Sant'Alessandro, la Congregazione
della Misericordia Maggiore, lo rende
parte significativa della città.
Venne
edificato nel XII
secolo dalla famiglia di fazione ghibellina dei
Suardi, gli atti notarili lo nominano come Palazzo
ex Zentilino Suardo e adibito a civile
abitazione. Le lotte sanguinose tra le
famiglie cittadine di fazione o guelfa o
ghibellina, portarono la famiglia dei Suardi
a perdere la proprietà del palazzo che
divenne la Hospitium potestatis, di
proprietà del comune e residenza dei podestà
fino a tutto il XIV
secolo.
Il
palazzo subì un primo incendio nel 1360 che
ne richiese il restauro.
In
un atto notarile del 1442, si registra il
passaggio di proprietà ai fratelli
Avogadro, i quali ne vendettero una parte
alla Congregazione
della Misericordia Maggiore.
Dopo
il 1428 con
il dominio veneto,
cambiò l'aspetto della città e la
destinazione dei differenti edifici. Il
palazzo venne ingrandito, venne aperto un
ingresso sulla piazza e inserito lo scalone
esterno che lo collegava al salone delle
Capriate del palazzo della Ragione. e prese
il nome di palazzo dei Giuristi, con
questo nome viene ancora identificata la
parte a sud della torre civica.
Il
piano terreno del palazzo divenne la Camera
fiscale, sede del camerlengo, del podestà e
del capitano: insieme formavano il potere
giudicante, vi era il giudice alla
Ragione per le pratiche civili e il giudice
al Maleficio per cause di materia
criminale.
Nel 1477 la
facciata venne dipinta dal Bramante con
la raffigurazione dei Sette savi detti Li
philosophi dell'antichità e di targhe
recanti iscrizioni, le poche tracce di
questi affreschi sono ora conservate nel
salone delle Capriate.
Il
palazzo subì un grosso incendio nel 1770,
in particolare la parte più a sud, che
richiese un grande intervento di
ristrutturazione.
Durante
l'occupazione napoleonica e la formazione
della Repubblica
Cisalpina, l'edificio divenne sede
della Corte di Giustizia e del Tribunale
provinciale. La collocazione di queste sedi
istituzionali, fu trasferita nella parte
bassa della città del XIX
secolo, lasciando vuoti e
all'abbandono i saloni del palazzo.
Nel XX
secolo i locali subirno diverse
destinazioni d'uso: nel 1926 ospitarono il Civico
Museo di Storia Naturale, successivamente
spostato nella Cittadella
viscontea; la scuola superiore di
giornalismo dell'Università Cattolica di
Milano; nel 1961 la scuola biennale di
specializzazione post-laura di giornalismo e
dal 16 novembre 1968 sede del consorzio per
l'istituzione di facoltà universitarie, per
volontà del Comune di Bergamo,
dell'Amministrazione provinciale, e della
Camera di Commercio per l'istruzione di
facoltà universitarie. Diventando poi
organismo statale nel 1992.
Nel
2001 il palazzo e i monumenti storici,
subirono una ricerca ad opera del comune e
dalla sovraintendenza dei beni archeologici
della Lombardia con una serie di indagini
sia cartografiche che archeologiche, su
progettazione di Francesco Macario, che
hanno portato alla scoperta di una
importante stratigrafia archeologica, sino a
2,50 m di profondità riportando alla luce
l'ambiente protourbano di epoca
protostorica, dal VI-V sec. a.C., della Roma
imperiale del piano pavimentale di piazza
Vecchia. Gli scavi hanno permesso la
ricostruzione stratigrafica della città
dall'epoca romana fino all'epoca moderna La
ricerca ha potuto ricostruire non solo la
storia del palazzo ma anche quella del suo
contesto urbano.
Gli
affreschi del Bramante erano sette immagini
alte più di due metri raffiguranti antichi
saggi posti in una architettura che si
aggiungeva a quella reale dell'edificio. Gli
affreschi furono realizzati mentre Sebstiano
Baboer era pretore cittadino, forse anche il
committente, e Giovanni Moro prefetto,
quindi nel biennio 1477-1478.
Questi
savi erano raffigurati seduti tra le
finestre del palazzo contornati da una
loggia dipinta con colonnine e balaustre
dando alla piazza visione molto aperta.
Negli anni successivi, nuove aperture e il
sovrapporsi di nuove affrescature coprirono
i dipinti del Bremante, solo nel 1927 grazie
all'intervento dell'assessore Ciro
Caversazzi, s effettuarono assaggi,
scrostamenti e fu possibile recuperare due
dei saggi affrescati: Epimenide (295x249)
che regge con la destra un libro aperto ma
di inesatta raffigurazione prospettica che
presuppone la realizzazione da parte di un
allievo del pittore, e il filosofgo Chilone
(353x258) che regge con il ginocchio un
libro aperto, sopra un partiglio recita Jupiter
alta humilitat et humilia exaltat, il Salmi
identificò nel dipinto un ritratto del
pittore. Quanto è stato recuperato è
esposto nella Sala
delle Capriate del Palazzo
della Ragione.
Nel 2012 è
stato allestito nelle sale del palazzo il
Museo interattivo storico dell'età veneta,
facente parte della Fondazione Bergamo nella
storia onlus. Seguendo un percorso che si
suddivide su sette sale interattive ci si
porta a conoscenza di un periodo storico che
dal 1492,
anno della scoperta dell'America e il suo
sviluppo commerciante, porta fino alla repubblica
veneziana, il suo potere e i suoi
commerci.
Nelle
sale interattive si viene trasportati nel
Medioevo, attraverso un viaggio che da
Venezia porta a Bergamo, una visita che
aiuta ad interagire nel Cinquecento,
incontrando i luoghi e i personaggi che
hanno fatto di quegli anni la storia di
Bergamo. La città rappresentata nel XVI
secolo, accompagna il visitatore alla
costruzione delle mura
venete e alla distruzione delle
chiese e monasteri che erano ostacolo alla
loro edificazione, come la chiesa
di Sant'Alessandro in Colonna e
il monastero
di Santo Stefano giungendo fino
a porta
Sant'Alessandro, con i colori e i
suoni della grande fiera che si trovava
all'esterno delle mura, e che arrivava fino
alle le
muraine.

Della fine del
Settecento è
la fontana al centro detta del
Contarini. Costruita
in marmo di Zandobbio,
la fontana è composta da una vasca
principale con base ottagonale, al cui
centro uno zampillo fa sgorgare l'acqua.
Questa è circondata da statue ornamentali
disposte in modo simmetrico: in primis due
piccole sfingi contrapposte tra loro (l'una
che osserva in direzione del palazzo della
Ragione e l'altra indirizzata verso la
biblioteca civica), alla base delle quali
sono poste altrettante piccole vasche che
raccolgono l'acqua che sgorga dalla loro
bocca, con la quale è possibile
abbeverarsi.
A
fianco di ognuna delle piccole vasche si
trovano due piccole colonne, sulle quali
sono scolpiti elementi zoomorfi quali
serpenti e leoni. Su ognuno dei lati rimasti
sguarniti, si collocano in modo equidistante
due statue rappresentanti un leone, simbolo
della Serenissima,
che in quel tempo comandava la città.
La
fontana deve il suo nome ad Alvise Contarini, podestà della Repubblica
di Venezia, che la regalò alla
cittadinanza nel 1780,
quando lasciò il suo incarico nella città
orobica. L'intento dell'allora rettore
cittadino era sia quello di abbellire la
centralissima Piazza Vecchia, che di fornire
agli abitanti un prezioso strumento
utilizzabile per fini domestici e contro la
siccità. Nel corso del 1858 la
fontana fu soggetta ad un rifacimento quasi
completo, che ne modificò parzialmente le
caratteristiche.
In
pieno periodo risorgimentale,
precisamente nel 1885,
la fontana fu smontata per far posto al
monumento di Giuseppe
Garibaldi. Qualche decennio più
tardi, all'inizio del XX
secolo, venne rimontata nella sua
originale posizione, mentre il monumento
dell'eroe dei due mondi venne collocato in
Città Bassa.
Un
ulteriore intervento finanziato da privati
permise, all'inizio del nuovo millennio, un
recupero della struttura, danneggiata da
inquinamento ed agenti atmosferici,
riportandola all'iniziale splendore.
La
piazza è dominata dalla torre Civica,
costruita nel periodo compreso tra l'XI ed
il XII
secolo. Inizialmente venne utilizzata
come casa-torre di proprietà della famiglia
Suardi, uno dei casati più potenti
di quei tempi, appartenente alla schiera dei ghibellini.
Indicata con il termine hospicio, che
nel medioevo corrispondeva alla definizione
di grande casa, divenne nel '300 un
grande ospizio dove abitavano i rettori
presso la torre. Probabilmente in questo
tempo la torre venne ampliata. Forse vennero
edificate altre stanze però sulle proprietà
vescovili sostituirono infatti la porticus
nova che si trovava sul lato della piazza
di san Vincenzo.
Era
l'epoca in cui la contrapposizione con i
guelfi raggiunse l'apice, tanto che ogni
famiglia facoltosa residente nella città
soleva erigere una torre: tanto più alta
era la costruzione più prestigio acquisiva
la famiglia.
Nel
frattempo tutto attorno si era sviluppata
Piazza Vecchia, cuore delle istituzioni
politico-amministrative, e piazza
del Duomo, centro religioso
cittadino. La torre, dalla cui sommità si
potevano ammirare entrambe le piazze, si
trovò ad essere un riferimento per tutti
gli abitanti. La torre nel XIV secolo
ospitava anche le carceri cittadine.
Qualche
secolo più tardi la struttura venne
acquisita dalla municipalità bergamasca,
che vi collocò alcune campane. Queste,
oltre a scandire il tempo, servivano anche
per richiamare a raccolta la cittadinanza,
soprattutto in momenti di calamità.
Inoltre
la campana maggiore, benedetta nel 1656 e
ribattezzata dagli abitanti Campanone,
alle dieci di ogni sera batteva cento
rintocchi per indicare il coprifuoco che
ricordava la chiusura delle quattro porte di
accesso alla città. Questa usanza si ripete
tuttora a memoria degli eventi passati, così
come quando si riunisce il Consiglio
comunale, si svolge la processione del Corpus
Domini o si tiene il concerto di
tutti i campanili della città il 25 agosto,
organizzato dalla Federazione Campanari
Bergamaschi, giorno della vigilia del
patrono Sant'Alessandro.
Così
come avvenuto per numerosi monumenti situati
nelle immediate vicinanze, a partire dalla
seconda metà del XX
secolo l'edificio venne
coinvolto in un progetto di rivalutazione in
chiave turistica, con un intervento di
ammodernamento che introdusse un ascensore
che permette di dare un'alternativa a chi
non vuole raggiungere la sommità della
struttura mediante la scaletta.
Inizialmente
alta 37 metri, fu sottoposta a piccoli ma
continui interventi di ampliamento già in
età medievale, che le permisero di
raggiungere gli attuali 56 metri di altezza
che la rendono la torre più alta della città.
Dalla
sommità si può godere di un panorama sia
sulla città alta che sulla città bassa, la
pianura circostante, nonché le propaggini
montuose delle Prealpi
Orobie. Le sue caratteristiche
tipicamente medioevali la rendono inoltre
uno dei monumenti principali della città,
tanto da essere ben visibile nello sky-line
di città alta.
La
torre ospita un concerto di tre campane
montato su un castello in ferro.
La
maggiore, conosciuta come "Campanone"
è la campana storica più grande della
Lombardia. Fu fusa nel 1656 dal veronese
Bartolomeo Pisenti, chiamato dal podestà
per rimpiazzare le precedenti campane ormai
rotte. La fusione del campanone fu
travagliata in quanto i primi due tentativi
fallirono, rispettivamente, per lo scoppio
della sagoma (1652) e per l'incrinatura
della campana dopo soltanto pochi mesi
(1653). Il suo diametro misura 2.07 metri ed
il peso è stimabile attorno ai 5580 kg,
300 kg circa quello del battente. Il
ricco corredo ornamentale di gusto
manieristico presenta, oltre al marchio del
fonditore, alcune iscrizioni, sia interne al
vaso che esterne: tra esse il distico "Laeta
dies hora funebria nubila cives concino
sacro noto defleo pello", la cui
traduzione interpretata può essere
"chiamo il popolo alle armi, segno i
giorni, indico le ore, allontano la
tempesta, canto a festa, piango i
morti". La data impressa indica 1655,
anno in cui fu approntata la sagoma. Il
sistema di suono originario era a slancio ad
opera di squadre di campanari, ma non si
esclude che per un periodo fosse fissa e
suonata muovendo il battente. Oggi il
sistema è a slancio elettrificato, nonché
ad elettrobattente per lo scoccare delle
ore.
La
campana mezzana risale al 1949 ed è opera
di fusione del bergamasco Angelo Ottolina
che riuscì ad ottenere il calco prima che
l'originale del 1653 fusa da Bartolomeo
Pisenti fosse requisita dallo Stato italiano
e distrutta per motivi bellici. Essa, pur
presentando una sagoma moderna riprende le
decorazioni originali. Il diametro misura
1.15 metri ed il peso è di 915 kg.
Anch'essa riporta un notevole corredo
ornamentale manieristico simile a quello del
campanone. È impresso l'anno 1652 in cui fu
pronta la sagoma, ma il primo tentativo di
fusione non andò a buon fine. Il sistema di
suono è a slancio elettrificato.
La
campana più piccola nonché più antica fu
fusa nel 1474 da Gasparino da Vicenza. Il
diametro misura 0.93 metri ed il peso è di
circa 480 kg. La sagoma presenta un
profilo snello vicino a quello trecentesco
ed è priva di decorazioni: sono riportate
solo alcune iscrizioni tra le quali la firma
dell'autore. Il sistema di suono è a
slancio elettrificato e ad elettrobattente
per lo scoccare della mezzora.
Pag.
4
Pag.
6
Novembre
2006 - Novembre 2007
|