|
Bergamo
alta
Bergamo
alta è una città medioevale, circondata da
bastioni eretti nel XVI secolo, durante la
dominazione veneziana, che si aggiungeva
alle preesistenti fortificazione al fine di
renderla una fortezza inespugnabile.
I
colli su cui si sviluppò Bergamo alta
rivestivano, fin dall'antichità, una
notevole importanza strategico-militare per
la propria conformazione orografica ma
specialmente perché crocevia tra la parte
orientale della padania, particolarmente il
Friuli, e l'Europa centrale.
Centro
cenomane, alleato dei Romani, poi importante
caposaldo militare di questi ultimi si
trovava sul tracciato dell'importante strada
militare che collegava il Friuli alla Rezia
e quindi all'Europa.
Dal
VI secolo Bergamo fu centro di uno dei più
importanti ducati longobardi assieme a
Brescia, Trento e Forumiuli: il primo duca
longobardo fu Wallari. Dopo il cosiddetto
periodo di anarchia longobarda e la
restaurazione della monarchia con l'elezione
a re di Autari, 584, il duca Wallari, al
pari degli altri duchi, cedette al nuovo re
metà del ducato di Bergamo ossia la parte
ad occidente del Brembo comprendente il
territorio di Lemine.
Dopo
la conquista carolingia, 774, Bergamo
divenne centro di una contea franca, il
primo conte franco fu Auteramo, continuando
a mantenere il ruolo strategico-militare che
la sua posizione geografica le conferiva.
Durante
l'ultima fase della tumultuosa epoca
comunale, con le lotte fratricide tra Guelfi
e Ghibellini, Bergamo si diede nel 1331 a
Giovanni del Lussemburgo Re di Boemia. Sotto
la dominazione del re di Boemia iniziò la
costruzione della Rocca il cui completamento
fu, successivamente, portato a termine da
Azzone Visconti.

Splendido
esempio di urbanistica del passato, Città
Alta non è fatta solo di stupendi
monumenti, di angoli suggestivi (piazzette,
vicoli, scalinate), ma anche di cose che
sembrano piccole e smarrite. Certe
atmosfere, per esempio.
In
effetti qui è
tutto un altro mondo. Bastano pochi passi
per tornare indietro nel tempo, non di anni
ma di secoli. E una continua scoperta
di cose che si credevano perdute per sempre.
Oggi,
almeno in parte, Città
Alta rischia però di perdere l'antico
sapore: ristoranti di lusso, piano-bar,
sofisticate boutiques, gelaterie e
"caramellose" vetrine hanno preso
il posto di caratteristiche trattorie senza
pretese e di antichi negozi di artigiani. Si
restaurano edifici e i prezzi salgono alle
stelle. Lo studio pittoresco dell'artista
scapigliato diventa una favolosa mansarda.
La vecchia città, così, muta i suoi
personaggi, magari incredibili, da opera
buffa, ma per lo più
"bergamaschi" d'antiche radici
popolane. E poi artisti inquieti, filosofi,
poeti dialettali... Un quartiere latino,
ecco cosa poteva sembrare Città Alta in
certi anni. Con la costruzione della
funicolare nel 1886-87 le due parti della
città furono finalmente collegate. Lunga
228 metri, con un dislivello di 83, la
funicolare sale traforando la cinta muraria
all'altezza della piattaforma di Sant'Andrea
e consente di ammirare la Città bassa.
La
parte più conosciuta e frequentata di
Bergamo alta è Piazza Vecchia, con una
fontana del Contarini, il Palazzo della
Ragione, la Torre Civica (detta il
Campanone), che ancora oggi alle ore 22
scocca 130 colpi - quelli che in passato
annunciavano la chiusura notturna dei
portoni delle mura venete - e altri palazzi
che la circondano su tutti i lati.
Imponente, sul lato opposto al Palazzo della
Ragione, il grande edificio bianco della
Biblioteca Angelo Mai.
Sul
lato sud di Piazza Vecchia si trovano il
Duomo, la Cappella Colleoni dell'architetto
Giovanni Antonio Amadeo con il monumento
funebre al condottiero Bartolomeo Colleoni,
il Battistero e la basilica di Santa Maria
Maggiore. Quest'ultima chiesa cittadina, non
della diocesi, all'interno reca i segni
architettonici dei vari periodi che si sono
susseguiti nella storia cittadina dall'epoca
della sua costruzione. Degni di nota gli
intarsi raffiguranti scene bibliche
realizzate in legni di vari colori, i cui
disegni sono attribuiti a Lorenzo Lotto, e
un imponente confessionale barocco scolpito
da Andrea Fantoni. La chiesa ospita la tomba
del musicista Gaetano Donizetti.

- Le
mura
Pare
impossibile, guardando dal basso, che dentro
e dietro tutto quell'ondeggiare di case, di
altane, di torri, di campanili e di tetti
possano corrervi strade e si allarghino
piazze e piazzette. Ma come attraversi una
delle porte che si aprono nelle Mura, scopri
che "dentro" vive la più
singolare delle città. Senz'altro la più
bella città artistica della Lombardia, pur
non essendo mai stata Bergamo sede di
principati o di ducati, pur non avendo mai
avuto una corte in grado di assoldare
architetti, scrittori, orafi, scultori e
pittori.
Le mura
venete sono un'imponente costruzione
architettonica risalente al XVI secolo,
ben conservate non avendo subito, nei
secoli, nessun evento bellico. Tale cinta è
costituita da 14 baluardi, 2 piani, 32
garitte (di cui solo una è giunta sino a
noi), 100 aperture per bocche da fuoco, due
polveriere, 4 porte (Sant'Agostino, San
Giacomo, indubbiamente la più bella e
panoramica, Sant'Alessandro e San
Lorenzo, quest'ultima conosciuta anche come
porta Garibaldi). A tutto questo vi è da
aggiungere una miriade di sortite e passaggi
militari di cui, in parte, si è persa la
memoria, come la Porta del Pantano
inferiore, risalente al XIII secolo che
era un collegamento con via Borgo Canale,
mentre la porta del Pantano inferiore che
era l'accesso alla parte superiore della Cittadella
viscontea è scomparsa. I bastioni,
esternamente, danno alla città un aspetto
di fortezza inespugnabile, ma poiché furono
realizzati nella seconda metà del 500,
l'affermarsi del cannone a tiro
parabolico bombarda ne
rende di fatto il canto del cigno di
tale tipologia di costruzioni militari.
Dal
9 luglio 2017 le mura venete sono
entrate a far parte dell'Unesco, come
patrionio dell'umanità, nel sito seriale
transnazionale "Opere di difesa
veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da
Terra-Stato da Mar occidentale".
I
colli su cui si sviluppò Bergamo alta
rivestivano, fin dall'antichità, una
notevole importanza strategico-militare per
la propria conformazione orografica ma
specialmente perché crocevia tra la parte
orientale della pianura padana,
particolarmente il Friuli, e l'Europa
centrale.
La
città di Bergamo risulta
fortificata già nell'epoca romana, anche se
poche ne sono le tracce, e sicuramente
occupavano un territorio di misura inferiore
a quello odierno, rimangono maggiori
testimonianze delle mura medioevali del X
secolo che si sovrappongono alle mura
romane.
Dal VI
secolo Bergamo fu centro di uno dei più
importanti ducati longobardi assieme
a Brescia, Trento e Forum
Iulii (oggi Cividale del Friuli): il
primo duca longobardo fu Wallari.
Dopo il cosiddetto periodo di anarchia
longobarda e la restaurazione della
monarchia con l'elezione a re di Autari, 584,
il duca Wallari, al pari degli altri duchi,
cedette al nuovo re metà del Ducato di
Bergamo ossia la parte a occidente del Brembo comprendente
il territorio di Lemine.
Dopo
la conquista carolingia, 774,
Bergamo divenne centro di una contea franca,
il primo conte franco fu Auteramo,
continuando a mantenere il ruolo
strategico-militare che la sua posizione
geografica le conferiva. A tal periodo
risale anche la costruzione del castello
di San Vigilio che, posto in posizione
dominante sul colle omonimo, ricopriva un
ruolo strategico nella gestione militare
della città.
Durante
l'ultima fase della tumultuosa epoca
comunale, con le lotte fratricide tra guelfi
e ghibellini, Bergamo si diede nel 1331 a
Giovanni del Lussemburgo, re di Boemia.
Sotto la dominazione del Re di Boemia iniziò
la costruzione della Rocca il cui
completamento fu, successivamente, portato a
termine da Azzone Visconti prima e
dalla Serenissima Repubblica Veneta poi
sotto il cui dominio fu eretto il possente
torrione circolare.

La
costruzione della rocca iniziò
nel 1331, sul colle di Sant'Eufemia,
sotto gli ordini di Guglielmo di Castelbarco
vicario di Giovanni del Lussemburgo, fu
proseguita e ultimata dai Visconti allorché
gli succedettero nel dominio su Bergamo.
I Visconti fortificarono
ulteriormente la Rocca consapevoli della sua
importanza strategica nello scacchiere
militare che li vedeva contrapposti a Venezia.
Per aumentarne la funzione difensiva
costruirono sul colle San Giovanni un
nuovo complesso militare, la Cittadella,
secondo un progetto difensivo che vedeva le
due opere integrate nella stessa funzione e
racchiudeva la città vecchia in un recinto
fortificato. La Cittadella era un'opera
imponente e molto vasta, comprendeva oltre
la parte costruita sul colle San Giovanni,
ancora agibile, anche l'area più a ovest
ora occupata dal seminario vescovile.
Il
sistema difensivo della città di Bergamo
era completato delle cosiddette Muraine,
la cinta costruite per volere dei Visconti,
signori di Milano, portate a termine negli
anni intorno al 1350 e ampliate già entro
il 1375, che scendendo dai colli dove si
trova la città vecchia con ampio percorso
difendevano i borghi che si erano sviluppati
nel corso dei secoli lungo le direttrici che
collegavano Bergamo ai paesi e alle città
vicine. Queste svolgevano anche la funzione
di confine daziario e seguivano gran parte
del percorso cittadino della Roggia
Serio Grande (l'antico Fossatum
Comunis Pergami) che fungeva quindi da
fossato lungo le odierne vie Camozzi, Tiraboschi e
Zambonate. Solo l'ampliamento a protezione
del borgo di San Lorenzo è opera dei
Veneziani realizzata negli anni 1460-1461.
Le Muraine furono completamente abbattute
nel 1901 in seguito alla soppressione del dazio:
di esse rimangono poche tracce come il
tratto di mura con merlature e feritoie
originali in via Lapacano e la torre
circolare detta del Galgario.
Venezia nel 1428 succedette
ai Visconti nel dominio su Bergamo e
procedette ad ampliare il sistema difensivo
di cui era dotata la città, che era stata
attaccata tantissime volte sia da parte dei
Visconti che non accettavano la sconfitta,
dei francesi che degli spagnoli, si
consideri che nei primi anni del XVI
secolo in soli sette anni, Bergamo subì
ben dodici invasioni, fino al 1516. Potenziò
la Rocca aggiungendovi il torrione, tuttora
esistente, e ne completò la funzione
difensiva con la costruzione di una cintura
di bastioni, comunemente noti come mura
venete, lunga 6200 metri, che circondava
la città alta trasformandola in una
fortezza.

Le
mura vennero costruite dalla Repubblica
di Venezia nella città di Bergamo a
partire dal 1561 e ultimate nel 1588,
epoca in cui la città orobica rappresentava
l'estremità occidentale dei domini veneti
sulla terraferma.
Erano
tempi in cui, con la recente scoperta delle Americhe,
la Serenissima stava iniziando il suo
inesorabile declino nel dominio dei commerci
marittimi e, a causa di ciò, rivolse
una sempre maggiore attenzione ai commerci
che avvenivano verso il centro d'Europa. A
tal riguardo la terra bergamasca cominciò a
rivestire un ruolo strategico di primissimo
piano, accresciuto dal progetto di costruire
la via Priula, una strada che avrebbe
collegato, tramite la Val Brembana, la
città di Bergamo (e quindi tutti i
territori della repubblica veneta) con il Canton
Grigioni, considerato alleato e fino ad
allora raggiungibile soltanto passando
attraverso territori dominati dagli
Spagnoli, e quindi soggetti a fortissimi
dazi commerciali, e senza attraversare il
territorio allora ostile di Milano.
Questi
interessi della repubblica veneta vennero
sovente attaccati e messi in discussione dal
vicino Ducato di Milano, gestito dal
ramo spagnolo della potente famiglia degli Asburgo,
ma anche dalle truppe francesi. Le cronache
riportano di numerose battaglie nella città
bergamasca nei primi due decenni del XVI
secolo, la più cruenta delle quali si
verificò tra il 1515 ed il 1516,
con un grande utilizzo di cannoni e
colubrine da parte di entrambi i
contendenti.
Dopo
la pace di Cateau-Cambrésis, che aveva
visto i veneziani vincitori, non avendo
perso nessuna parte dei propri territori,
decisero allora di adottare provvedimenti
volti a proteggere la città, che in quel
tempo rivestiva appunto una notevole
importanza strategica.
Molti
progetti furono esaminati, ma quello finale
e definitivo prevedeva la costruzione di
un'imponente cinta muraria che avrebbe
interessato la parte collinare della città
stessa, trasformandola in una vera e propria
fortezza.
Tuttavia
la decisione di dotare Bergamo di una così
ardita opera aveva una valenza politica
piuttosto che militare: difatti le
dimensioni della cinta muraria erano si
imponenti, ma non sufficientemente da
comprendere tutta la città bassa che,
rimanendo quindi esclusa, la rendeva di
fatto un'opera utilizzabile soltanto per
fini difensivi, e non per organizzarvi un
attacco ai vicini domini spagnoli. Era
quindi una tacita ammissione di rinuncia da
parte della Serenissima di ampliare i propri
domini in Lombardia, anche a causa dei
sempre maggiori impegni bellici profusi
contro l'esercito turco: le dimensioni
ridotte difatti non potevano permettere
l'ammassamento di grandi contingenti
militari al punto di farne una testa di
ponte per attaccare la città di Milano ed
i territori limitrofi.

La
decisione definitiva sul progetto venne
ratificata dal senato veneto nel 1561,
tanto che già il 31 luglio il marchese Sforza
Pallavicino era nella città al fine di
avviarne il cantiere. È accertato che il
progetto possa essere ricondotto alla mano
di Bonaiuto Lorini, ingegnere militare
fiorentino al servizio di Venezia. Notizia
tuttavia ben lontana dall'essere documentata
e incompatibile con i tempi. I primi
progettisti del cantiere furono il marchese Sforza
Pallavicinoe gli ingegneri Francesco
Horologi che era tra gli ingegneri
militari più importanti nel '500, ma
che lasciò il lavoro quando vide che
necessitavano non di tre mesi preventivati
ma parecchi anni. Intervennero Francesco
Malacredae Genesio Bersani e a
loro si deve la progettazione e
realizzazione dell'opera.
Per
la realizzazione date le grandiose
proporzioni, vennero mobilitate grandi
quantità di operai, di architetti lagunari
e bergamaschi (tra i quali spiccano
l'ingegner Zenese ed il capomastro Paolo
Berlendis), ma anche di soldati. Difatti
bisognava anche demolire una grande quantità
di edifici, quantificati nell'ordine di
duecentocinquanta.
Vennero
quindi demolite numerose cascine,
abitazioni, laboratori, ma anche luoghi di
culto tra cui la cattedrale di
Sant'Alessandro, la quale custodiva le
reliquie del santo patrono della città, ma
anche il convento domenicano di Santo
Stefano, contenente le spoglie di Pinamonte
da Brembate. Il totale di otto edifici
religiosi demoliti portò altrettante
scomuniche, lanciate dal clero locale, al
conte Sforza Pallavicino, il quale dovette
faticare non poco (nonché elargire una
lauta somma) al fine di vedersele revocare
negli anni successivi, e proteggere gli
operai impegnati nei lavori di demolizione
da 550 soldati.
L'imponente
sforzo organizzativo portò un notevole
sviluppo all'economia della città, grazie
ad un'elevata richiesta di manodopera ed
all'indotto che la costruzione comportò, il
capitano Venerio relaziona che vi fossero
impiegati 3760 guastatori, 265 tagliapietre,
146 muratori, 46 falegnami, 80 capi, 35
soprastanti e 9 frati.
Alcuni
tratti di fortificazione erano comunque già
presenti in epoca romana, tratti
documentati nell'VIII secolo, e dei quali
sono rimaste alcune tracce ancora oggi
visibili in via Vàgine, sotto il convento
di Santa Grata e a sinistra del viale
delle Mura a ovest del tracciato della funicolare (ex
via degli Anditi). Queste agli inizi del
Cinquecento si trovavano in condizioni di
estrema decadenza e vennero quasi totalmente
sostituite dalla nuova opera, eseguita in
pietra bastionata continua. A lavori
conclusi, il perimetro della fortificazione
era del tutto nuovo e non includeva alcuna
parte di opere da difesa precedenti.
Le
previsioni indicavano una tempistica dei
lavori che si aggirava attorno all'anno, con
una spesa di circa 40 mila ducati.
Queste tuttavia vennero totalmente
disattese, tanto che l'opera venne conclusa
soltanto nel 1588, ben ventisette anni
dopo, con un conto lievitato fino a
raggiungere il milione di ducati (100 000
fiorini d'oro), al quale va aggiunto il
prezzo della demolizione di 7 chiese (tra le
quali l'antica cattedrale di Sant'Alessandro),
un famoso convento e 250 edifici civili.
L'opera
completa risultò talmente imponente da
scoraggiare ogni possibile aggressore.

La
struttura, che nel corso degli anni ha
subito pochi interventi di modifica, ha uno
sviluppo pari a sei chilometri e duecento
metri, all'esterno della quale si trovava la
cosiddetta Strada coperta,
ovvero un camminamento protetto da muri,
utilizzato dalle pattuglie poste a guardia.
L'altezza delle mura in alcuni punti
arrivava a cinquanta metri, sotto di cui si
trovavano fossati, non riempiti d'acqua,
posti a protezione.
La
cinta muraria risulta essere costituita da
14 baluardi, 2 piattaforme, 32 garitte (di
cui solo una è giunta sino a noi), 100
aperture per bocche da fuoco, due
polveriere, 4 porte Sant'Agostino, San
Giacomo, Sant'Alessandro e San
Lorenzo, ora intitolata a Giuseppe
Garibaldi). A tutto questo vi è da
aggiungere una miriade di sortite, vani
sotterranei e passaggi militari di cui, in
parte, si è persa la memoria, collegati tra
loro tramite un numero imprecisati di
cunicoli.
L'impianto
militare prevedeva inoltre alcuni piccoli
quartieri militari, tra cui un arsenale
posto nella Rocca di Bergamo, in cui si
riparavano le armi e si fabbricava la
polvere da sparo. Al mastio della Rocca, già
esistente, fu aggiunto il torrione circolare
che ancora oggi lo caratterizza e al suo
interno un edificio, la cosiddetta scuola
dei Bombardieri, come caserma degli
artiglieri. Erano
inoltre presenti due piccoli edifici, dalla
tipica forma con tetto piramidale, adibiti a
polveriera, mentre le scorte di armi e
viveri erano collocate nella Cittadella che,
poco discosta da Colle Aperto,
era sede della Capitaneria Veneta.
In
ambito strategico era importantissimo il
cosiddetto Forte di San Marco,
una sorta di fortezza nella fortezza: questo
occupava la parte nord della città alta,
dalla porta di Sant'Alessandro a quella di San
Lorenzo. Il suo compito era quello di
difendere la città in direzione dei colli,
nonché di permettere una protetta via di
fuga di massa in caso di caduta della città,
tramite un varco (o quinta porta), detto
appunto Porta del Soccorso).
Inoltre racchiudeva un passaggio segreto
sotterraneo che consentiva di raggiungere la
fortezza del Castello di San Vigilio,
posta sull'omonimo colle sovrastante la
Porta di Sant'Alessandro.
Tuttavia
i cannoni ed i bastioni, che esternamente
danno alla città un aspetto di fortezza
inespugnabile e concepiti con concezioni
all'avanguardia, non furono mai utilizzati,
sia a causa dell'affermarsi del cannone a
tiro parabolico, denominato bombarda,
che ne rende di fatto il canto del
cigno di tale tipologia di
costruzioni, che per la successiva crisi
dell'Impero, la decadenza degli spagnoli
confinanti, la scoperta delle Americhe (che
sposta gli interessi dal Mediterraneo
all'Atlantico), le lotte con i turchi, che
resero i confini bergamaschi più
tranquilli. In ogni caso le mura
determinarono una sorta di cristallizzazione della
parte collinare della città inscritta nel
perimetro della fortificazione, da allora
chiamata Città Alta. La zona è
rimasta isolata dalla parte detta Città
Bassa, mantenendosi inalterata nel corso
dei secoli e preservandosi da alterazioni
architettoniche.
Nella
parte bassa della città venne rinforzata e
ristrutturata la cinta muraria, detta le
Muraine esistente già nel XII e XIII
secolo. Questo, considerato l'anello
difensivo più esterno della città, era una
vera e propria barriera fortificata che
isolava i borghi cittadini dalla pianura. Di
esse, completamente abbattute nel 1901,
rimangono poche tracce come il tratto di
mura con merlature e feritoie originali in via
del Lapacano e la torre circolare
detta del Galgario nella parte
sud-orientale.

Le
mura venete non vennero mai utilizzate per
fini militari, e già nel '600 gran parte
degli spazi vennero utilizzati in ambito
civile, con l'abolizione dei terrapieni e la
demolizione di gran parte delle cannoniere,
con le aree poste al di sotto dell'imponente
struttura adibite ad orti e giardini, mentre
le quattro porte erano utilizzate solo a
fini di controllo e pagamento del dazio.
Nel 1797 i
francesi entrarono in città senza nemmeno
esplodere un colpo d'artiglieria, a causa
del disfacimento della Repubblica di
Venezia, sancito con il Trattato di
Campoformio. Già in quel periodo tuttavia
l'intero apparato militare della struttura
era in stato di abbandono, situazione
accresciuta dal totale inutilizzo da parte
delle armate della Repubblica Cisalpina prima,
e dell'Impero austro-ungarico poi.
Soltanto
l'8 giugno 1859 le mura balzarono
nuovamente agli onori delle cronache grazie
al passaggio di Giuseppe Garibaldi e
ai suoi Cacciatori delle Alpi, che
entrarono nella città tramite la porta
San Lorenzo, da allora nominata Porta
Garibaldi. L'evento, preparato nei
minimi dettagli dal maggiore Gabriele
Camozzi, sancì l'annessione della città al Piemonte.
Dopo
il periodo di decadenza, oggi le mura sono
al centro di un'ampia opera di
rivalutazione, grazie anche al lavoro di
pulizia e manutenzione del servizio
volontario Orobicambiente,
inserita in un contesto turistico in grande
sviluppo. Negli anni compresi tra il 1976 e
il 1984 le mura venete sono state
restaurate, ripulite e recuperate
dall'incuria grazie all'Azienda Autonoma di
Soggiorno. Ora rinomata è la classica
passeggiata, percorsa da bergamaschi e
turisti, lungo il perimetro delle mura, che
permette sguardi sulla pianura dall'alto
impatto emotivo.
Tre
delle quattro porte d'ingresso sono
quotidianamente attraversate da una gran
quantità di automobili (la porta San
Giacomo è soltanto pedonale), in particolar
modo la Porta Sant'Agostino che risulta
essere l'ingresso principale verso la Città
Alta, a causa della sua diretta
accessibilità dal centro cittadino.
L'intero
perimetro delle mura durante i fine
settimana diventa una gigantesca isola
pedonale, in cui ammirare le bellezze che la
città può mostrare. Grazie all'impegno del Gruppo
Speleologico Bergamasco le Nottole che
cura l'organizzazione di visite guidate, è
possibile compiere brevi tragitti
all'interno delle mura.
Nel
mese di maggio la strada che corre lungo le
mura diventa il percorso di gara del Soap
Box Rally, una competizione su macchine
realizzate in legno articolata su tre
discese delle mura.
Il
9 luglio 2017 viene ufficializzato
l'ingresso nella lista dei patrimoni
dell'umanità dell'UNESCO.
La
Rocca

Nel
XIV secolo Bergamo viveva le lotte
fratricide delle fazioni contrapposte guelfe
e ghibelline. Era il basso medioevo, un
momento in cui le autonomie comunali si
scontravano con gli emergenti poteri
signorili, favoriti, oltretutto, questi
ultimi, dalle lotte intestine che minavano
dall'interno le libertà comunali.
Interventi
armati esterni, a volte subiti, a volte
sollecitati come pacificatori, si
trasformavano in dominazioni spesso
intercambianti in un altalenante gioco
politico-militare in cui il Comune cessava
di essere soggetto per divenire oggetto
politico.
Tutto
ciò accadde anche a Bergamo (5 febbraio
1331) e ad altri liberi comuni che, sfibrati
dalle discordie interne, si offrirono
all'azione pacificatrice di un potente,
straniero, in questo caso Giovanni del
Lussemburgo, Re di Boemia e di Polonia.
Bergamo
non più libero comune venne a fare parte di
una monarchia, passando, d'ora in avanti, da
un dominatore all'altro seguendo il destino
di altri comuni, anch'essi impotenti di
fronte all'avanzare delle nuove istituzioni
politiche, le signorie e quindi i
principati. I principati, a loro volta, non
avrebbero retto l'urto delle monarchie
nazionali straniere che faranno dell'Italia
uno degli scacchieri su cui confrontarsi nel
tentativo di affermare la propria primazia.
La
costruzione della rocca iniziò lo stesso
anno della dazione di Bergamo al re di
Boemia, 1331. I lavori furono condotti sotto
il coordinamento di Guglielmo di Castelbarco
vicario del re, furono proseguiti dai
Visconti e ultimati da Azzone Visconti nel
1336.
I
Visconti aggiunsero delle opere di
fortificazione che ne aumentarono la
funzione difensiva sia contro nemici esterni
sia contro quelli interni e le loro
eventuali velleità di ribellione: il
castello come difesa ma anche come strumento
di repressione e di controllo del
territorio.
Il
podestà Negro Pirovano, che reggeva Bergamo
in nome dei Visconti, fece apporre una targa
commemorativa sui muri che erano stati fatti
costruire per rinforzare il castello, 1345.
Nel
1355 Bernabò Visconti iniziò la
costruzione, sul colle San Giovanni, della
Cittadella chiamata Firma Fides, come
indicato in un'apposita lapide. La lapide,
oltre all'iscrizione e allo stemma
visconteo, aveva in altorilievo una figura
umana a tre teste come allegoria della
concordia che regnava tra i Visconti.
Quest'opera
completò la funzione difensiva della Rocca,
costruita sul colle Sant'Eufemia,
racchiudendo il centro storico tra i due
colli ora entrambi fortificati. Le due
fortezze costituirono così un unico
complesso difensivo coordinato, di cui uno,
la Rocca, rappresentava, in caso di
occupazione nemica, l'ultima possibilità di
salvezza e di contrattacco, l'ultima
ridotta.
Porte

Porta
Sant'Agostino è la più cara ai bergamaschi ed è considerata
la principale entrata in Città Alta.
Prendendo
il nome dal grande complesso del monastero
di sant'Agostino, venne costruita in
contemporanea con le mura,
che nel 1561 la Serenissima con
il marchese Sforza
Pallavicino decisero di
fortificare intorno alla città, su progetto
di Bonaiuto
Lorini, a difesa della parte
occidentale del territorio sotto il dominio
veneto, riparandola dal territorio milanese che
dopo la Pace
di Cateau-Cambrésis era sotto
il dominio spagnolo.
Fu
progettata nel 1562 ma costruita solo nel
1574 probabilmente su progetto di Genesio
Bersani da Fiorenzuola
d'Arda che era giunto a Bergamo
nel 1561 come responsabile del cantiere.
Questa era l'entrata principale per chi
saliva dalla parte bassa della città,
salendo da est, e da Borgo
Pignolo, era questa la strada che
collegava a Venezia.
L'entrata
nella città, e il passaggio alla porta,
richiedeva un precedente transito su di un
viadotto in legno. Nel 1780 fu
sostituito il ponte levatoio e il viadotto
in legno con un ponte in muratura sostenute
da arcate , visibili sopra l'ingresso
principale sono i tagli lasciati dalle
catene dei ponte. È invece solo del 1838,
via Vittorio Emanuele, un tempo chiamata strada
Ferdinandea , costruita per la
visita di dell'imperatore Ferdinando
d'Austria a Bergamo. Nel XXI
secolo, per permettere la viabilità
stradale, il ponte con le arcate è stato
sostituito con un terrapieno di riempimento
a sostegno della sede stradale.
Porta
Sant'Agostino è la via di accesso
principale, e la maggiormente frequentata,
ha richiesto rimaneggiamenti e numero
restauri da parte del comune di Bergamo,
ultimo nel 2015.
Dopo
la sua costruzione furono realizzate anche
le casermette,
realizzate nel 1665 con autorizzazione del
doge Alvise
Mocenigo per ospitare gli
alloggi dei militari che dovevano presidiare
l'accesso alla parte alta della città.
La
porta è in pietra arenaria grigia divisa in
tre fornici da quattro lesene bugnate, con
una volta a crociera, che dividono il
passaggio più largo, carraio dai due
passaggi pedonali laterali. Il leone
di San Marco è posto nel
timpano centrale, venne ripristinato
dall'artista Piero
Brolis, precedentemente abbattuto dai francesi nel 1796,
mentre lateralmente sono posti due pinnacoli
laterali collegati da due elementi curvi.
Nella parte superiore vi è un vasto locale,
adibito a postazione dei militari a guardia
della porta.
La fontana posta
di fronte alla porta venne approvata dai rettori cittadini
Francesco Longo e Marc'Aurelio Memo, nel
medesimo anno 1574, veniva fornita d'acqua
dalla fonte della Pioda, venne
iniziata il 3 maggio 1574 e i nomi dei due
rettori vennero incisi nei medaglioni che
stanno ai lati del monumento
Lo
stupendo spalto della Farà - quasi un
"sagrato" per Sant'Agostino - si
trasformò nell'Ottocento anche in luogo di
esecuzioni, per lo più sulla forca.

Porta
San Giacomo, forse la più bella delle
porte di accesso dalle mura
venete alla città alta di Bergamo,
venne costruita nel 1592,
è la sola in marmo bianco rosato della cava
di Zandobbio in Val
Cavallina.
La
costruzione delle mura venete incominciò
nel 1561,
e dovevano essere l'avamposto protetto a
ovest dei territori della Serenissima dal
milanese che dopo la morte di Francesco
Sforza II (1535)
e la pace
di Cateau-Cambrésis (1559)
era diventata una provincia
spagnola.
Prende
il nome dalla chiesa omonima, che si trovava
in posizione più arretrata con il grande monastero
di santo Stefano e che vennero
demoliti, per la costruzione delle mura.
Doveva essere l'accesso principale alla città,
rivolta a sud era il punto di collegamento
con la pianura e con Milano, forse per
questo le è stato conferito un aspetto poco
militare.
Secondo
lo storico Angelo Mazzi, le porte furono
quattro già in epoca romana, ed erano
orientate verso i quattro punti cardinali,
la porta di san Giacomo, che prima della
demolizione della chiesa era chiamata porta
di santo Stefano, continuò a essere
chiamata a mezzodì e quella di sant'Agostino (prima
di San Andrea) in a levante essendo
posizionata a est. Le mura e le porte
preesistenti vennero più volte distrutte e
ricostruite, ne rimane poca testimonianza se
non vicino al monastero
di santa Grata e in via Vagìne.
Nel
1593 venne costruita la bianca struttura in
marmo di Zandobbio sostituendo quella in
legno risalente a trent'anni precedenti, o
come scriverà il Calvi dal 27 gennaio 1592,
fu in quell'occasione che vennero demolite
molte delle abitazioni di proprietà della
famiglia Brembati, e sostituite da tre casermette
per i soldati, due poste di fronte e una attaccata
alla porta. La struttura venne completata
con l'affresco raffigurante il leone
alato ad opera di Gian
Paolo Cavagna. Le abitazioni vennero
invece pitturate dal Valerio Lupi.
Addossata
alla porta vi era la casa progettata da Andrea
Ziliolo alla quale collaborò
l'impresa di Pietro
Isabello della famiglia Poncini.
Il palazzo prevedeva una terrazza che
superasse le mura per poter vedere la
pianura, e dove si trova il Palazzo
Medolago Albani la chiesa di san
Giacomo poi distrutta. Il ponte in
muratura venne costruito dal podestà
Contarini nel 1780,
alla fine dell''800 venne
ristrutturata per ampliare lo spazio
d'accesso al palazzo Medolago
Alabani, e nel 1939 vennero
rimossi alcuni vani laterali e aperti i due
fornici, per motivi di viabilità.
La
facciata, in marmo bianco rosato, con i fornici divisi
da colonne, è in stile toscano del
Vignola. Venne progettata da Buonaiuto
Lorini, con due pinnacoli che la
sovrastano lateralmente, mentre l'effige del leone
alato
simbolo di San Marco è posto nella
trabeazione centrale. Questo abbellire la
facciata verso l'esterno dell'abitato
cittadino, più che verso l'interno,
indicava una chiara apertura. Le mura furono
costruite non solo a difesa della città, ma
anche per manifestarne la grandiosità. Non
era questa la sua primaria collocazione, ma
in una posizione superiore, vicino al mercato
delle scarpe, questo avrebbe necessitato la
formazione di un viadotto composto da 16
pilastri, il Lorini, la collocò quindi,
nella sua posizione attuale. Risulta
documentata ancora nel 1565 la vecchia porta
di San Giacomo, molto più piccola e
stretta, e più vicina al baluardo della
mura di san Giacomo, tanto da non permettere
la guardia dei soldati. La piccola porta fu
protagonista nel 1405 di
una battaglia tra guelfi e ghibellini della
città tra i Visconti, Duca
di Milano con i Suardi e i Malatesta,
per il dominio della città.
Di
fronte a porta San Giacomo c'era il grande
campo di Sant'Alessandro che
era il grande punto di scambio delle
mercanzie con la grande fiera, documentata
già dal X
secolo, quando i Longobardi divisero
la città in due unità differenti e ben
distinte che chiamarono corti, corte civitas in
alto e curtis Murgula in basso.

Porta
Sant'Alessandro prese il nome dalla basilica
di Sant'Alessandro, distrutta per la
costruzione delle mura
venete nel 1561.
La parte alta della città di Bergamo era
protetta da mura fino dall'epoca romana, le
quali avevano quattro porte orientate come i
punti cardinali, di cui ne rimane poca
testimonianza; contrariamente, delle mura
successive di epoca medioevale sono rimaste
visibili parti in Via
Arena, Via del Vàgine, e verso il
monastero di Santa
Grata inter Vites, in Borgo Canale.
Con l'avvento delle vicinie le
porte presero il loro nome diventando così:
Porte di S. Stefano (ora Porta
san Giacomo), S. Andrea (ora Porta
sant'Agostino), S.
Lorenzo e S. Alessandro.
Porta
sant'Alessandro prese il nome dalla basilica
omonima; un documento dell'892 nomina
questa grande basilica come la chiesa
fuori della porta che dicesi di S.
Alessandro non molto lontana dalla città di
Bergamo; questa fu la prima chiesa dedicata
al santo patrono e ne conteneva la tomba, e
anche la prima cattedrale vescovile. Alla
sua demolizione la reliquia venne traslata
in quella che era la basilica di San
Vincenzo nel 1600,
diventando la Cattedrale
di Sant'Alessandro, mentre l'urna
vuota venne spostata nella Chiesa
di Sant'Alessandro della Croce,
diventando, dopo il Concilio
Vaticano II, l'altare.
Era
la porta maggiormente protetta dalle
cannoniere poste nel bastione di
Sant'Alessandro, e anche se strutturalmente
simile alla porta
sant'Agostino, è molto più rustica.
La parte esterna è in pietra grigia fino
all'altezza del cordone, e la parte
superiore è gialla fino all'altezza del
tetto.
Porta
San Lorenzo, o porta Garibaldi è
la più piccola delle porte di accesso delle mura
venete. Nel 1561 Bergamo,
si trovava ad essere città di confine tra i
territori posti sotto il dominio
veneto e il milanese che
dopo la morte di Francesco
II Sforza (1535)
e la pace
di Cateau-Cambrésis (1559)
era diventata una provincia
spagnola.
Per
difendere questo avamposto veneto, e dato
l'immenso patrimonio che la repubblica aveva
da dover investire, vennero realizzate le mura
venete. Nei quattro punti
cardinali vennero inserite le
porte di accesso, prendendo il nome dalle
chiese presenti: Porta San Lorenzo, Porta
San Giacomo, Porta
Sant'Agostino e Porta
Sant'Alessandro. Ognuna riportava il Leone
di San Marco, simbolo di Venezia, ed
era un punto di collegamento con le
differenti località. Le porte rimasero il
controllo all'accesso di città alta, e
venivano chiuse ogni sera fino al XX
secolo.
Porta
San Lorenzo, rivolta verso nord, fu la prima
ad essere costruita dalla Serenissima e
prese il nome dalla chiesa di San Lorenzo
che venne distrutta per la costruzione delle
mura. La porta venne successivamente chiusa
nel 1605,
perché si riteneva fosse poco sicura dagli
attacchi che potevano scendere dalla Val
Brembana, dalla via
Priula e dalla Valle Imagna.
Venne riaperta nel 1627 ad
un livello superiore, con un costo di 4000
ducati, permettendo così l'accesso alla
città dalle valli, e da Como;
è ancora visibile una seconda entrata ma
posta a livello inferiore.
Dal
restauro del 2013 di
un pilone del ponte, risultò che il ponte
di accesso in muratura alla porta, del 1627,
sostenuto da cinque archi,
non aveva mai subito ristrutturazioni o
rinforzi in quattrocento anni.
Un cartiglio posto
sulla facciata ricorda il capitano rettore
veneziano Giovanni Antonio Zen, che durante
il periodo della peste del 1630, quando
tutti gli amministratori cittadini
fuggivano, si assunse la direzione della
città. Di lui racconta il Ghirardelli,
anch'egli ammalatosi e morto nella peste,
nel suo Historia del memorando contagi,
con pubblicazione postuma.
Un
ulteriore cartiglio, posto sulla facciata
esterna nel 1907, ricorda l'entrata nella
città, liberata dagli austriaci, di Giuseppe
Garibaldi l'8 giugno 1859,
che scendeva dalla Val Brembana da qui
il nome di Porta Garibaldi. Lo storico
Giuseppe Locatelli Milesi scrisse che i
garibaldini giunsero verso le sette di
mattino presso la porta e che vennero
accolti dall’impiegato del dazio, come
gloriosi liberatori dal dominio
austriaco e che le guardie
subito presentarono le armi, già avvisate e
preparate da Francesco
Nullo e Antonio
Curò entrati in città dalla
porta nascosta detta del Soccorso la
sera precedente.
È
sicuramente la porta più rustica, la meno
curata, quella che doveva essere il
passaggio del popolo, tanto che il toro che
corre orizzontalmente lungo le mura e che
separa la parte superiore a quella
inferiore, qui si interrompe; qualcuno
sostiene che il popolo che avrebbe usato
questa porta non avrebbe apprezzato certe
finezze artistiche.
A
differenza delle altre tre porte d'accesso
alla parte alta della città, quella di san
Lorenzo non presenta il bassorilievo con il
leone di san Marco, che venne posto dopo la
seconda guerra mondiale ad opera di Piero
Brolis, ma venne lasciato il dipinto
raffigurante sempre un leone eseguito nel
1915 da Francesco
Domenighini, che aveva realizzato i
dipinti del soffitto della platea del Teatro
Gaetano Donizetti. Il dipinto con il
tempo è diventato sempre meno visibile.
Pag.
2
Pag.
4
Novembre
2006 - Novembre 2007
|