Bergamo
 

Bergamo alta

Bergamo alta è una città medioevale, circondata da bastioni eretti nel XVI secolo, durante la dominazione veneziana, che si aggiungeva alle preesistenti fortificazione al fine di renderla una fortezza inespugnabile.

I colli su cui si sviluppò Bergamo alta rivestivano, fin dall'antichità, una notevole importanza strategico-militare per la propria conformazione orografica ma specialmente perché crocevia tra la parte orientale della padania, particolarmente il Friuli, e l'Europa centrale.

Centro cenomane, alleato dei Romani, poi importante caposaldo militare di questi ultimi si trovava sul tracciato dell'importante strada militare che collegava il Friuli alla Rezia e quindi all'Europa.

Dal VI secolo Bergamo fu centro di uno dei più importanti ducati longobardi assieme a Brescia, Trento e Forumiuli: il primo duca longobardo fu Wallari. Dopo il cosiddetto periodo di anarchia longobarda e la restaurazione della monarchia con l'elezione a re di Autari, 584, il duca Wallari, al pari degli altri duchi, cedette al nuovo re metà del ducato di Bergamo ossia la parte ad occidente del Brembo comprendente il territorio di Lemine.

Dopo la conquista carolingia, 774, Bergamo divenne centro di una contea franca, il primo conte franco fu Auteramo, continuando a mantenere il ruolo strategico-militare che la sua posizione geografica le conferiva.

Durante l'ultima fase della tumultuosa epoca comunale, con le lotte fratricide tra Guelfi e Ghibellini, Bergamo si diede nel 1331 a Giovanni del Lussemburgo Re di Boemia. Sotto la dominazione del re di Boemia iniziò la costruzione della Rocca il cui completamento fu, successivamente, portato a termine da Azzone Visconti.

Splendido esempio di urbanistica del passato, Città Alta non è fatta solo di stupendi monumenti, di angoli suggestivi (piazzette, vicoli, scalinate), ma anche di cose che sembrano piccole e smarrite. Certe atmosfere, per esempio.

In effetti qui è tutto un altro mondo. Bastano pochi passi per tornare indietro nel tempo, non di anni ma di secoli. E una continua scoperta di cose che si credevano perdute per sempre.

Oggi, almeno in parte, Città Alta rischia però di perdere l'antico sapore: ristoranti di lusso, piano-bar, sofisticate boutiques, gelaterie e "caramellose" vetrine hanno preso il posto di caratteristiche trattorie senza pretese e di antichi negozi di artigiani. Si restaurano edifici e i prezzi salgono alle stelle. Lo studio pittoresco dell'artista scapigliato diventa una favolosa mansarda. La vecchia città, così, muta i suoi personaggi, magari incredibili, da opera buffa, ma per lo più "bergamaschi" d'antiche radici popolane. E poi artisti inquieti, filosofi, poeti dialettali... Un quartiere latino, ecco cosa poteva sembrare Città Alta in certi anni. Con la costruzione della funicolare nel 1886-87 le due parti della città furono finalmente collegate. Lunga 228 metri, con un dislivello di 83, la funicolare sale traforando la cinta muraria all'altezza della piattaforma di Sant'Andrea e consente di ammirare la Città bassa.

La parte più conosciuta e frequentata di Bergamo alta è Piazza Vecchia, con una fontana del Contarini, il Palazzo della Ragione, la Torre Civica (detta il Campanone), che ancora oggi alle ore 22 scocca 130 colpi - quelli che in passato annunciavano la chiusura notturna dei portoni delle mura venete - e altri palazzi che la circondano su tutti i lati. Imponente, sul lato opposto al Palazzo della Ragione, il grande edificio bianco della Biblioteca Angelo Mai.

Sul lato sud di Piazza Vecchia si trovano il Duomo, la Cappella Colleoni dell'architetto Giovanni Antonio Amadeo con il monumento funebre al condottiero Bartolomeo Colleoni, il Battistero e la basilica di Santa Maria Maggiore. Quest'ultima chiesa cittadina, non della diocesi, all'interno reca i segni architettonici dei vari periodi che si sono susseguiti nella storia cittadina dall'epoca della sua costruzione. Degni di nota gli intarsi raffiguranti scene bibliche realizzate in legni di vari colori, i cui disegni sono attribuiti a Lorenzo Lotto, e un imponente confessionale barocco scolpito da Andrea Fantoni. La chiesa ospita la tomba del musicista Gaetano Donizetti.  

Le mura
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Pare impossibile, guardando dal basso, che dentro e dietro tutto quell'ondeggiare di case, di altane, di torri, di campanili e di tetti possano corrervi strade e si allarghino piazze e piazzette. Ma come attraversi una delle porte che si aprono nelle Mura, scopri che "dentro" vive la più singolare delle città. Senz'altro la più bella città artistica della Lombardia, pur non essendo mai stata Bergamo sede di principati o di ducati, pur non avendo mai avuto una corte in grado di assoldare architetti, scrittori, orafi, scultori e pittori.

Le mura venete sono un'imponente costruzione architettonica risalente al XVI secolo, ben conservate non avendo subito, nei secoli, nessun evento bellico. Tale cinta è costituita da 14 baluardi, 2 piani, 32 garitte (di cui solo una è giunta sino a noi), 100 aperture per bocche da fuoco, due polveriere, 4 porte (Sant'Agostino, San Giacomo, indubbiamente la più bella e panoramica, Sant'Alessandro e San Lorenzo, quest'ultima conosciuta anche come porta Garibaldi). A tutto questo vi è da aggiungere una miriade di sortite e passaggi militari di cui, in parte, si è persa la memoria, come la Porta del Pantano inferiore, risalente al XIII secolo che era un collegamento con via Borgo Canale, mentre la porta del Pantano inferiore che era l'accesso alla parte superiore della Cittadella viscontea è scomparsa. I bastioni, esternamente, danno alla città un aspetto di fortezza inespugnabile, ma poiché furono realizzati nella seconda metà del 500, l'affermarsi del cannone a tiro parabolico bombarda ne rende di fatto il canto del cigno di tale tipologia di costruzioni militari.

Dal 9 luglio 2017 le mura venete sono entrate a far parte dell'Unesco, come patrionio dell'umanità, nel sito seriale transnazionale "Opere di difesa veneziane tra XVI e XVII secolo: Stato da Terra-Stato da Mar occidentale".

I colli su cui si sviluppò Bergamo alta rivestivano, fin dall'antichità, una notevole importanza strategico-militare per la propria conformazione orografica ma specialmente perché crocevia tra la parte orientale della pianura padana, particolarmente il Friuli, e l'Europa centrale.

La città di Bergamo risulta fortificata già nell'epoca romana, anche se poche ne sono le tracce, e sicuramente occupavano un territorio di misura inferiore a quello odierno, rimangono maggiori testimonianze delle mura medioevali del X secolo che si sovrappongono alle mura romane.

Dal VI secolo Bergamo fu centro di uno dei più importanti ducati longobardi assieme a Brescia, Trento e Forum Iulii (oggi Cividale del Friuli): il primo duca longobardo fu Wallari. Dopo il cosiddetto periodo di anarchia longobarda e la restaurazione della monarchia con l'elezione a re di Autari, 584, il duca Wallari, al pari degli altri duchi, cedette al nuovo re metà del Ducato di Bergamo ossia la parte a occidente del Brembo comprendente il territorio di Lemine.

Dopo la conquista carolingia, 774, Bergamo divenne centro di una contea franca, il primo conte franco fu Auteramo, continuando a mantenere il ruolo strategico-militare che la sua posizione geografica le conferiva. A tal periodo risale anche la costruzione del castello di San Vigilio che, posto in posizione dominante sul colle omonimo, ricopriva un ruolo strategico nella gestione militare della città.

Durante l'ultima fase della tumultuosa epoca comunale, con le lotte fratricide tra guelfi e ghibellini, Bergamo si diede nel 1331 a Giovanni del Lussemburgo, re di Boemia. Sotto la dominazione del Re di Boemia iniziò la costruzione della Rocca il cui completamento fu, successivamente, portato a termine da Azzone Visconti prima e dalla Serenissima Repubblica Veneta poi sotto il cui dominio fu eretto il possente torrione circolare.

La costruzione della rocca iniziò nel 1331, sul colle di Sant'Eufemia, sotto gli ordini di Guglielmo di Castelbarco vicario di Giovanni del Lussemburgo, fu proseguita e ultimata dai Visconti allorché gli succedettero nel dominio su Bergamo.

I Visconti fortificarono ulteriormente la Rocca consapevoli della sua importanza strategica nello scacchiere militare che li vedeva contrapposti a Venezia. Per aumentarne la funzione difensiva costruirono sul colle San Giovanni un nuovo complesso militare, la Cittadella, secondo un progetto difensivo che vedeva le due opere integrate nella stessa funzione e racchiudeva la città vecchia in un recinto fortificato. La Cittadella era un'opera imponente e molto vasta, comprendeva oltre la parte costruita sul colle San Giovanni, ancora agibile, anche l'area più a ovest ora occupata dal seminario vescovile.

Il sistema difensivo della città di Bergamo era completato delle cosiddette Muraine, la cinta costruite per volere dei Visconti, signori di Milano, portate a termine negli anni intorno al 1350 e ampliate già entro il 1375, che scendendo dai colli dove si trova la città vecchia con ampio percorso difendevano i borghi che si erano sviluppati nel corso dei secoli lungo le direttrici che collegavano Bergamo ai paesi e alle città vicine. Queste svolgevano anche la funzione di confine daziario e seguivano gran parte del percorso cittadino della Roggia Serio Grande (l'antico Fossatum Comunis Pergami) che fungeva quindi da fossato lungo le odierne vie Camozzi, Tiraboschi e Zambonate. Solo l'ampliamento a protezione del borgo di San Lorenzo è opera dei Veneziani realizzata negli anni 1460-1461. Le Muraine furono completamente abbattute nel 1901 in seguito alla soppressione del dazio: di esse rimangono poche tracce come il tratto di mura con merlature e feritoie originali in via Lapacano e la torre circolare detta del Galgario.

Venezia nel 1428 succedette ai Visconti nel dominio su Bergamo e procedette ad ampliare il sistema difensivo di cui era dotata la città, che era stata attaccata tantissime volte sia da parte dei Visconti che non accettavano la sconfitta, dei francesi che degli spagnoli, si consideri che nei primi anni del XVI secolo in soli sette anni, Bergamo subì ben dodici invasioni, fino al 1516. Potenziò la Rocca aggiungendovi il torrione, tuttora esistente, e ne completò la funzione difensiva con la costruzione di una cintura di bastioni, comunemente noti come mura venete, lunga 6200 metri, che circondava la città alta trasformandola in una fortezza.

Le mura vennero costruite dalla Repubblica di Venezia nella città di Bergamo a partire dal 1561 e ultimate nel 1588, epoca in cui la città orobica rappresentava l'estremità occidentale dei domini veneti sulla terraferma.

Erano tempi in cui, con la recente scoperta delle Americhe, la Serenissima stava iniziando il suo inesorabile declino nel dominio dei commerci marittimi e, a causa di ciò, rivolse una sempre maggiore attenzione ai commerci che avvenivano verso il centro d'Europa. A tal riguardo la terra bergamasca cominciò a rivestire un ruolo strategico di primissimo piano, accresciuto dal progetto di costruire la via Priula, una strada che avrebbe collegato, tramite la Val Brembana, la città di Bergamo (e quindi tutti i territori della repubblica veneta) con il Canton Grigioni, considerato alleato e fino ad allora raggiungibile soltanto passando attraverso territori dominati dagli Spagnoli, e quindi soggetti a fortissimi dazi commerciali, e senza attraversare il territorio allora ostile di Milano.

Questi interessi della repubblica veneta vennero sovente attaccati e messi in discussione dal vicino Ducato di Milano, gestito dal ramo spagnolo della potente famiglia degli Asburgo, ma anche dalle truppe francesi. Le cronache riportano di numerose battaglie nella città bergamasca nei primi due decenni del XVI secolo, la più cruenta delle quali si verificò tra il 1515 ed il 1516, con un grande utilizzo di cannoni e colubrine da parte di entrambi i contendenti.

Dopo la pace di Cateau-Cambrésis, che aveva visto i veneziani vincitori, non avendo perso nessuna parte dei propri territori, decisero allora di adottare provvedimenti volti a proteggere la città, che in quel tempo rivestiva appunto una notevole importanza strategica.

Molti progetti furono esaminati, ma quello finale e definitivo prevedeva la costruzione di un'imponente cinta muraria che avrebbe interessato la parte collinare della città stessa, trasformandola in una vera e propria fortezza.

Tuttavia la decisione di dotare Bergamo di una così ardita opera aveva una valenza politica piuttosto che militare: difatti le dimensioni della cinta muraria erano si imponenti, ma non sufficientemente da comprendere tutta la città bassa che, rimanendo quindi esclusa, la rendeva di fatto un'opera utilizzabile soltanto per fini difensivi, e non per organizzarvi un attacco ai vicini domini spagnoli. Era quindi una tacita ammissione di rinuncia da parte della Serenissima di ampliare i propri domini in Lombardia, anche a causa dei sempre maggiori impegni bellici profusi contro l'esercito turco: le dimensioni ridotte difatti non potevano permettere l'ammassamento di grandi contingenti militari al punto di farne una testa di ponte per attaccare la città di Milano ed i territori limitrofi.

La decisione definitiva sul progetto venne ratificata dal senato veneto nel 1561, tanto che già il 31 luglio il marchese Sforza Pallavicino era nella città al fine di avviarne il cantiere. È accertato che il progetto possa essere ricondotto alla mano di Bonaiuto Lorini, ingegnere militare fiorentino al servizio di Venezia. Notizia tuttavia ben lontana dall'essere documentata e incompatibile con i tempi. I primi progettisti del cantiere furono il marchese Sforza Pallavicinoe gli ingegneri Francesco Horologi che era tra gli ingegneri militari più importanti nel '500, ma che lasciò il lavoro quando vide che necessitavano non di tre mesi preventivati ma parecchi anni. Intervennero Francesco Malacredae Genesio Bersani e a loro si deve la progettazione e realizzazione dell'opera.

Per la realizzazione date le grandiose proporzioni, vennero mobilitate grandi quantità di operai, di architetti lagunari e bergamaschi (tra i quali spiccano l'ingegner Zenese ed il capomastro Paolo Berlendis), ma anche di soldati. Difatti bisognava anche demolire una grande quantità di edifici, quantificati nell'ordine di duecentocinquanta.

Vennero quindi demolite numerose cascine, abitazioni, laboratori, ma anche luoghi di culto tra cui la cattedrale di Sant'Alessandro, la quale custodiva le reliquie del santo patrono della città, ma anche il convento domenicano di Santo Stefano, contenente le spoglie di Pinamonte da Brembate. Il totale di otto edifici religiosi demoliti portò altrettante scomuniche, lanciate dal clero locale, al conte Sforza Pallavicino, il quale dovette faticare non poco (nonché elargire una lauta somma) al fine di vedersele revocare negli anni successivi, e proteggere gli operai impegnati nei lavori di demolizione da 550 soldati.

L'imponente sforzo organizzativo portò un notevole sviluppo all'economia della città, grazie ad un'elevata richiesta di manodopera ed all'indotto che la costruzione comportò, il capitano Venerio relaziona che vi fossero impiegati 3760 guastatori, 265 tagliapietre, 146 muratori, 46 falegnami, 80 capi, 35 soprastanti e 9 frati.

Alcuni tratti di fortificazione erano comunque già presenti in epoca romana, tratti documentati nell'VIII secolo, e dei quali sono rimaste alcune tracce ancora oggi visibili in via Vàgine, sotto il convento di Santa Grata e a sinistra del viale delle Mura a ovest del tracciato della funicolare (ex via degli Anditi). Queste agli inizi del Cinquecento si trovavano in condizioni di estrema decadenza e vennero quasi totalmente sostituite dalla nuova opera, eseguita in pietra bastionata continua. A lavori conclusi, il perimetro della fortificazione era del tutto nuovo e non includeva alcuna parte di opere da difesa precedenti.

Le previsioni indicavano una tempistica dei lavori che si aggirava attorno all'anno, con una spesa di circa 40 mila ducati. Queste tuttavia vennero totalmente disattese, tanto che l'opera venne conclusa soltanto nel 1588, ben ventisette anni dopo, con un conto lievitato fino a raggiungere il milione di ducati (100 000 fiorini d'oro), al quale va aggiunto il prezzo della demolizione di 7 chiese (tra le quali l'antica cattedrale di Sant'Alessandro), un famoso convento e 250 edifici civili.

L'opera completa risultò talmente imponente da scoraggiare ogni possibile aggressore.

La struttura, che nel corso degli anni ha subito pochi interventi di modifica, ha uno sviluppo pari a sei chilometri e duecento metri, all'esterno della quale si trovava la cosiddetta Strada coperta, ovvero un camminamento protetto da muri, utilizzato dalle pattuglie poste a guardia. L'altezza delle mura in alcuni punti arrivava a cinquanta metri, sotto di cui si trovavano fossati, non riempiti d'acqua, posti a protezione.

La cinta muraria risulta essere costituita da 14 baluardi, 2 piattaforme, 32 garitte (di cui solo una è giunta sino a noi), 100 aperture per bocche da fuoco, due polveriere, 4 porte Sant'Agostino, San Giacomo, Sant'Alessandro e San Lorenzo, ora intitolata a Giuseppe Garibaldi). A tutto questo vi è da aggiungere una miriade di sortite, vani sotterranei e passaggi militari di cui, in parte, si è persa la memoria, collegati tra loro tramite un numero imprecisati di cunicoli.

L'impianto militare prevedeva inoltre alcuni piccoli quartieri militari, tra cui un arsenale posto nella Rocca di Bergamo, in cui si riparavano le armi e si fabbricava la polvere da sparo. Al mastio della Rocca, già esistente, fu aggiunto il torrione circolare che ancora oggi lo caratterizza e al suo interno un edificio, la cosiddetta scuola dei Bombardieri, come caserma degli artiglieri. Erano inoltre presenti due piccoli edifici, dalla tipica forma con tetto piramidale, adibiti a polveriera, mentre le scorte di armi e viveri erano collocate nella Cittadella che, poco discosta da Colle Aperto, era sede della Capitaneria Veneta.

In ambito strategico era importantissimo il cosiddetto Forte di San Marco, una sorta di fortezza nella fortezza: questo occupava la parte nord della città alta, dalla porta di Sant'Alessandro a quella di San Lorenzo. Il suo compito era quello di difendere la città in direzione dei colli, nonché di permettere una protetta via di fuga di massa in caso di caduta della città, tramite un varco (o quinta porta), detto appunto Porta del Soccorso). Inoltre racchiudeva un passaggio segreto sotterraneo che consentiva di raggiungere la fortezza del Castello di San Vigilio, posta sull'omonimo colle sovrastante la Porta di Sant'Alessandro.

Tuttavia i cannoni ed i bastioni, che esternamente danno alla città un aspetto di fortezza inespugnabile e concepiti con concezioni all'avanguardia, non furono mai utilizzati, sia a causa dell'affermarsi del cannone a tiro parabolico, denominato bombarda, che ne rende di fatto il canto del cigno di tale tipologia di costruzioni, che per la successiva crisi dell'Impero, la decadenza degli spagnoli confinanti, la scoperta delle Americhe (che sposta gli interessi dal Mediterraneo all'Atlantico), le lotte con i turchi, che resero i confini bergamaschi più tranquilli. In ogni caso le mura determinarono una sorta di cristallizzazione della parte collinare della città inscritta nel perimetro della fortificazione, da allora chiamata Città Alta. La zona è rimasta isolata dalla parte detta Città Bassa, mantenendosi inalterata nel corso dei secoli e preservandosi da alterazioni architettoniche.

Nella parte bassa della città venne rinforzata e ristrutturata la cinta muraria, detta le Muraine esistente già nel XII e XIII secolo. Questo, considerato l'anello difensivo più esterno della città, era una vera e propria barriera fortificata che isolava i borghi cittadini dalla pianura. Di esse, completamente abbattute nel 1901, rimangono poche tracce come il tratto di mura con merlature e feritoie originali in via del Lapacano e la torre circolare detta del Galgario nella parte sud-orientale.

Le mura venete non vennero mai utilizzate per fini militari, e già nel '600 gran parte degli spazi vennero utilizzati in ambito civile, con l'abolizione dei terrapieni e la demolizione di gran parte delle cannoniere, con le aree poste al di sotto dell'imponente struttura adibite ad orti e giardini, mentre le quattro porte erano utilizzate solo a fini di controllo e pagamento del dazio. 

Nel 1797 i francesi entrarono in città senza nemmeno esplodere un colpo d'artiglieria, a causa del disfacimento della Repubblica di Venezia, sancito con il Trattato di Campoformio. Già in quel periodo tuttavia l'intero apparato militare della struttura era in stato di abbandono, situazione accresciuta dal totale inutilizzo da parte delle armate della Repubblica Cisalpina prima, e dell'Impero austro-ungarico poi.

Soltanto l'8 giugno 1859 le mura balzarono nuovamente agli onori delle cronache grazie al passaggio di Giuseppe Garibaldi e ai suoi Cacciatori delle Alpi, che entrarono nella città tramite la porta San Lorenzo, da allora nominata Porta Garibaldi. L'evento, preparato nei minimi dettagli dal maggiore Gabriele Camozzi, sancì l'annessione della città al Piemonte.

Dopo il periodo di decadenza, oggi le mura sono al centro di un'ampia opera di rivalutazione, grazie anche al lavoro di pulizia e manutenzione del servizio volontario Orobicambiente, inserita in un contesto turistico in grande sviluppo. Negli anni compresi tra il 1976 e il 1984 le mura venete sono state restaurate, ripulite e recuperate dall'incuria grazie all'Azienda Autonoma di Soggiorno. Ora rinomata è la classica passeggiata, percorsa da bergamaschi e turisti, lungo il perimetro delle mura, che permette sguardi sulla pianura dall'alto impatto emotivo.

Tre delle quattro porte d'ingresso sono quotidianamente attraversate da una gran quantità di automobili (la porta San Giacomo è soltanto pedonale), in particolar modo la Porta Sant'Agostino che risulta essere l'ingresso principale verso la Città Alta, a causa della sua diretta accessibilità dal centro cittadino.

L'intero perimetro delle mura durante i fine settimana diventa una gigantesca isola pedonale, in cui ammirare le bellezze che la città può mostrare. Grazie all'impegno del Gruppo Speleologico Bergamasco le Nottole che cura l'organizzazione di visite guidate, è possibile compiere brevi tragitti all'interno delle mura.

Nel mese di maggio la strada che corre lungo le mura diventa il percorso di gara del Soap Box Rally, una competizione su macchine realizzate in legno articolata su tre discese delle mura.

Il 9 luglio 2017 viene ufficializzato l'ingresso nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.

La Rocca

Nel XIV secolo Bergamo viveva le lotte fratricide delle fazioni contrapposte guelfe e ghibelline. Era il basso medioevo, un momento in cui le autonomie comunali si scontravano con gli emergenti poteri signorili, favoriti, oltretutto, questi ultimi, dalle lotte intestine che minavano dall'interno le libertà comunali.

Interventi armati esterni, a volte subiti, a volte sollecitati come pacificatori, si trasformavano in dominazioni spesso intercambianti in un altalenante gioco politico-militare in cui il Comune cessava di essere soggetto per divenire oggetto politico.

Tutto ciò accadde anche a Bergamo (5 febbraio 1331) e ad altri liberi comuni che, sfibrati dalle discordie interne, si offrirono all'azione pacificatrice di un potente, straniero, in questo caso Giovanni del Lussemburgo, Re di Boemia e di Polonia.

Bergamo non più libero comune venne a fare parte di una monarchia, passando, d'ora in avanti, da un dominatore all'altro seguendo il destino di altri comuni, anch'essi impotenti di fronte all'avanzare delle nuove istituzioni politiche, le signorie e quindi i principati. I principati, a loro volta, non avrebbero retto l'urto delle monarchie nazionali straniere che faranno dell'Italia uno degli scacchieri su cui confrontarsi nel tentativo di affermare la propria primazia.

La costruzione della rocca iniziò lo stesso anno della dazione di Bergamo al re di Boemia, 1331. I lavori furono condotti sotto il coordinamento di Guglielmo di Castelbarco vicario del re, furono proseguiti dai Visconti e ultimati da Azzone Visconti nel 1336.

I Visconti aggiunsero delle opere di fortificazione che ne aumentarono la funzione difensiva sia contro nemici esterni sia contro quelli interni e le loro eventuali velleità di ribellione: il castello come difesa ma anche come strumento di repressione e di controllo del territorio.

Il podestà Negro Pirovano, che reggeva Bergamo in nome dei Visconti, fece apporre una targa commemorativa sui muri che erano stati fatti costruire per rinforzare il castello, 1345.

Nel 1355 Bernabò Visconti iniziò la costruzione, sul colle San Giovanni, della Cittadella chiamata Firma Fides, come indicato in un'apposita lapide. La lapide, oltre all'iscrizione e allo stemma visconteo, aveva in altorilievo una figura umana a tre teste come allegoria della concordia che regnava tra i Visconti.

Quest'opera completò la funzione difensiva della Rocca, costruita sul colle Sant'Eufemia, racchiudendo il centro storico tra i due colli ora entrambi fortificati. Le due fortezze costituirono così un unico complesso difensivo coordinato, di cui uno, la Rocca, rappresentava, in caso di occupazione nemica, l'ultima possibilità di salvezza e di contrattacco, l'ultima ridotta.

Porte

Porta Sant'Agostino è la più cara ai bergamaschi ed è considerata la principale entrata in Città Alta. 

Prendendo il nome dal grande complesso del monastero di sant'Agostino, venne costruita in contemporanea con le mura, che nel 1561 la Serenissima con il marchese Sforza Pallavicino decisero di fortificare intorno alla città, su progetto di Bonaiuto Lorini, a difesa della parte occidentale del territorio sotto il dominio veneto, riparandola dal territorio milanese che dopo la Pace di Cateau-Cambrésis era sotto il dominio spagnolo.

Fu progettata nel 1562 ma costruita solo nel 1574 probabilmente su progetto di Genesio Bersani da Fiorenzuola d'Arda che era giunto a Bergamo nel 1561 come responsabile del cantiere. Questa era l'entrata principale per chi saliva dalla parte bassa della città, salendo da est, e da Borgo Pignolo, era questa la strada che collegava a Venezia.

L'entrata nella città, e il passaggio alla porta, richiedeva un precedente transito su di un viadotto in legno. Nel 1780 fu sostituito il ponte levatoio e il viadotto in legno con un ponte in muratura sostenute da arcate , visibili sopra l'ingresso principale sono i tagli lasciati dalle catene dei ponte. È invece solo del 1838, via Vittorio Emanuele, un tempo chiamata strada Ferdinandea , costruita per la visita di dell'imperatore Ferdinando d'Austria a Bergamo. Nel XXI secolo, per permettere la viabilità stradale, il ponte con le arcate è stato sostituito con un terrapieno di riempimento a sostegno della sede stradale.

Porta Sant'Agostino è la via di accesso principale, e la maggiormente frequentata, ha richiesto rimaneggiamenti e numero restauri da parte del comune di Bergamo, ultimo nel 2015.

Dopo la sua costruzione furono realizzate anche le casermette, realizzate nel 1665 con autorizzazione del doge Alvise Mocenigo per ospitare gli alloggi dei militari che dovevano presidiare l'accesso alla parte alta della città.

La porta è in pietra arenaria grigia divisa in tre fornici da quattro lesene bugnate, con una volta a crociera, che dividono il passaggio più largo, carraio dai due passaggi pedonali laterali. Il leone di San Marco è posto nel timpano centrale, venne ripristinato dall'artista Piero Brolis, precedentemente abbattuto dai francesi nel 1796, mentre lateralmente sono posti due pinnacoli laterali collegati da due elementi curvi. Nella parte superiore vi è un vasto locale, adibito a postazione dei militari a guardia della porta.

La fontana posta di fronte alla porta venne approvata dai rettori cittadini Francesco Longo e Marc'Aurelio Memo, nel medesimo anno 1574, veniva fornita d'acqua dalla fonte della Pioda, venne iniziata il 3 maggio 1574 e i nomi dei due rettori vennero incisi nei medaglioni che stanno ai lati del monumento

Lo stupendo spalto della Farà - quasi un "sagrato" per Sant'Agostino - si trasformò nell'Ottocento anche in luogo di esecuzioni, per lo più sulla forca. 

Porta San Giacomo, forse la più bella delle porte di accesso dalle mura venete alla città alta di Bergamo, venne costruita nel 1592, è la sola in marmo bianco rosato della cava di Zandobbio in Val Cavallina.

La costruzione delle mura venete incominciò nel 1561, e dovevano essere l'avamposto protetto a ovest dei territori della Serenissima dal milanese che dopo la morte di Francesco Sforza II (1535) e la pace di Cateau-Cambrésis (1559) era diventata una provincia spagnola.

Prende il nome dalla chiesa omonima, che si trovava in posizione più arretrata con il grande monastero di santo Stefano e che vennero demoliti, per la costruzione delle mura. Doveva essere l'accesso principale alla città, rivolta a sud era il punto di collegamento con la pianura e con Milano, forse per questo le è stato conferito un aspetto poco militare.

Secondo lo storico Angelo Mazzi, le porte furono quattro già in epoca romana, ed erano orientate verso i quattro punti cardinali, la porta di san Giacomo, che prima della demolizione della chiesa era chiamata porta di santo Stefano, continuò a essere chiamata a mezzodì e quella di sant'Agostino (prima di San Andrea) in a levante essendo posizionata a est. Le mura e le porte preesistenti vennero più volte distrutte e ricostruite, ne rimane poca testimonianza se non vicino al monastero di santa Grata e in via Vagìne.

Nel 1593 venne costruita la bianca struttura in marmo di Zandobbio sostituendo quella in legno risalente a trent'anni precedenti, o come scriverà il Calvi dal 27 gennaio 1592, fu in quell'occasione che vennero demolite molte delle abitazioni di proprietà della famiglia Brembati, e sostituite da tre casermette per i soldati, due poste di fronte e una attaccata alla porta. La struttura venne completata con l'affresco raffigurante il leone alato ad opera di Gian Paolo Cavagna. Le abitazioni vennero invece pitturate dal Valerio Lupi.

Addossata alla porta vi era la casa progettata da Andrea Ziliolo alla quale collaborò l'impresa di Pietro Isabello della famiglia Poncini. Il palazzo prevedeva una terrazza che superasse le mura per poter vedere la pianura, e dove si trova il Palazzo Medolago Albani la chiesa di san Giacomo poi distrutta. Il ponte in muratura venne costruito dal podestà Contarini nel 1780, alla fine dell''800 venne ristrutturata per ampliare lo spazio d'accesso al palazzo Medolago Alabani, e nel 1939 vennero rimossi alcuni vani laterali e aperti i due fornici, per motivi di viabilità.

La facciata, in marmo bianco rosato, con i fornici divisi da colonne, è in stile toscano del Vignola. Venne progettata da Buonaiuto Lorini, con due pinnacoli che la sovrastano lateralmente, mentre l'effige del leone alato simbolo di San Marco è posto nella trabeazione centrale. Questo abbellire la facciata verso l'esterno dell'abitato cittadino, più che verso l'interno, indicava una chiara apertura. Le mura furono costruite non solo a difesa della città, ma anche per manifestarne la grandiosità. Non era questa la sua primaria collocazione, ma in una posizione superiore, vicino al mercato delle scarpe, questo avrebbe necessitato la formazione di un viadotto composto da 16 pilastri, il Lorini, la collocò quindi, nella sua posizione attuale. Risulta documentata ancora nel 1565 la vecchia porta di San Giacomo, molto più piccola e stretta, e più vicina al baluardo della mura di san Giacomo, tanto da non permettere la guardia dei soldati. La piccola porta fu protagonista nel 1405 di una battaglia tra guelfi e ghibellini della città tra i ViscontiDuca di Milano con i Suardi e i Malatesta, per il dominio della città.

Di fronte a porta San Giacomo c'era il grande campo di Sant'Alessandro che era il grande punto di scambio delle mercanzie con la grande fiera, documentata già dal X secolo, quando i Longobardi divisero la città in due unità differenti e ben distinte che chiamarono corti, corte civitas in alto e curtis Murgula in basso.

Porta Sant'Alessandro prese il nome dalla basilica di Sant'Alessandro, distrutta per la costruzione delle mura venete nel 1561. La parte alta della città di Bergamo era protetta da mura fino dall'epoca romana, le quali avevano quattro porte orientate come i punti cardinali, di cui ne rimane poca testimonianza; contrariamente, delle mura successive di epoca medioevale sono rimaste visibili parti in Via Arena, Via del Vàgine, e verso il monastero di Santa Grata inter Vites, in Borgo Canale.

Con l'avvento delle vicinie le porte presero il loro nome diventando così: Porte di S. Stefano (ora Porta san Giacomo), S. Andrea (ora Porta sant'Agostino), S. Lorenzo e S. Alessandro.

Porta sant'Alessandro prese il nome dalla basilica omonima; un documento dell'892 nomina questa grande basilica come la chiesa fuori della porta che dicesi di S. Alessandro non molto lontana dalla città di Bergamo; questa fu la prima chiesa dedicata al santo patrono e ne conteneva la tomba, e anche la prima cattedrale vescovile. Alla sua demolizione la reliquia venne traslata in quella che era la basilica di San Vincenzo nel 1600, diventando la Cattedrale di Sant'Alessandro, mentre l'urna vuota venne spostata nella Chiesa di Sant'Alessandro della Croce, diventando, dopo il Concilio Vaticano II, l'altare.

Era la porta maggiormente protetta dalle cannoniere poste nel bastione di Sant'Alessandro, e anche se strutturalmente simile alla porta sant'Agostino, è molto più rustica. La parte esterna è in pietra grigia fino all'altezza del cordone, e la parte superiore è gialla fino all'altezza del tetto.

Porta San Lorenzo, o porta Garibaldi è la più piccola delle porte di accesso delle mura venete. Nel 1561 Bergamo, si trovava ad essere città di confine tra i territori posti sotto il dominio veneto e il milanese che dopo la morte di Francesco II Sforza (1535) e la pace di Cateau-Cambrésis (1559) era diventata una provincia spagnola.

Per difendere questo avamposto veneto, e dato l'immenso patrimonio che la repubblica aveva da dover investire, vennero realizzate le mura venete. Nei quattro punti cardinali vennero inserite le porte di accesso, prendendo il nome dalle chiese presenti: Porta San Lorenzo, Porta San GiacomoPorta Sant'Agostino e Porta Sant'Alessandro. Ognuna riportava il Leone di San Marco, simbolo di Venezia, ed era un punto di collegamento con le differenti località. Le porte rimasero il controllo all'accesso di città alta, e venivano chiuse ogni sera fino al XX secolo.

Porta San Lorenzo, rivolta verso nord, fu la prima ad essere costruita dalla Serenissima e prese il nome dalla chiesa di San Lorenzo che venne distrutta per la costruzione delle mura. La porta venne successivamente chiusa nel 1605, perché si riteneva fosse poco sicura dagli attacchi che potevano scendere dalla Val Brembana, dalla via Priula e dalla Valle Imagna. Venne riaperta nel 1627 ad un livello superiore, con un costo di 4000 ducati, permettendo così l'accesso alla città dalle valli, e da Como; è ancora visibile una seconda entrata ma posta a livello inferiore. 

Dal restauro del 2013 di un pilone del ponte, risultò che il ponte di accesso in muratura alla porta, del 1627, sostenuto da cinque archi, non aveva mai subito ristrutturazioni o rinforzi in quattrocento anni. 
Un cartiglio posto sulla facciata ricorda il capitano rettore veneziano Giovanni Antonio Zen, che durante il periodo della peste del 1630, quando tutti gli amministratori cittadini fuggivano, si assunse la direzione della città. Di lui racconta il Ghirardelli, anch'egli ammalatosi e morto nella peste, nel suo Historia del memorando contagi, con pubblicazione postuma.

Un ulteriore cartiglio, posto sulla facciata esterna nel 1907, ricorda l'entrata nella città, liberata dagli austriaci, di Giuseppe Garibaldi l'8 giugno 1859, che scendeva dalla Val Brembana da qui il nome di Porta Garibaldi. Lo storico Giuseppe Locatelli Milesi scrisse che i garibaldini giunsero verso le sette di mattino presso la porta e che vennero accolti dall’impiegato del dazio, come gloriosi liberatori dal dominio austriaco e che le guardie subito presentarono le armi, già avvisate e preparate da Francesco Nullo e Antonio Curò entrati in città dalla porta nascosta detta del Soccorso la sera precedente.

È sicuramente la porta più rustica, la meno curata, quella che doveva essere il passaggio del popolo, tanto che il toro che corre orizzontalmente lungo le mura e che separa la parte superiore a quella inferiore, qui si interrompe; qualcuno sostiene che il popolo che avrebbe usato questa porta non avrebbe apprezzato certe finezze artistiche.

A differenza delle altre tre porte d'accesso alla parte alta della città, quella di san Lorenzo non presenta il bassorilievo con il leone di san Marco, che venne posto dopo la seconda guerra mondiale ad opera di Piero Brolis, ma venne lasciato il dipinto raffigurante sempre un leone eseguito nel 1915 da Francesco Domenighini, che aveva realizzato i dipinti del soffitto della platea del Teatro Gaetano Donizetti. Il dipinto con il tempo è diventato sempre meno visibile.

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Novembre 2006 - Novembre 2007