- Bergamo
bassa
La
Città Bassa, attraversata dal torrente
Morla per ben 8 chilometri, nasce dallo
sviluppo di alcuni borghi disposti lungo le
principali vie di comunicazione che
scendendo dai colli portavano al piano; i
borghi sono Borgo Canale, Borgo
Sant'Alessandro, Borgo San Leonardo, Borgo
Pignolo, Borgo San Tomaso, Borgo Santa
Caterina, Borgo Sant'Antonio e Borgo
Palazzo. Per questa particolare
conformazione urbanistica si era soliti
chiamare semplicemente "sità" la
città vecchia e "i borgh",
l'attuale Bergamo bassa.
Chi
arriva dalla pianura lombarda, ad un certo
punto, specialmente se il paesaggio è
avvolto da una lieve foschia, crede di
sognare: davanti a lui, in basso, si stende
una grande città; molto più in alto,
leggera, quasi inconsistente, tenuta insieme
da un laccio di mura cinquecentesche,
un'altra città sembra librarsi nell'aria
con un profilo indimenticabile disegnato da
cupole, torri, campanili: questa città
"doppia" è Bergamo.
L'architetto
Frank Llyod Wright, un giorno qui in visita,
annotò: "Bergamo, città meravigliosa.
Soprattutto sorprendente sino a stordire chi
l'avvicina".
La
bellezza degli scenari, l'incalcolabile
ricchezza dei patrimonio
artistico, l'atmosfera rendono unica Bergamo
Alta, che spesso balza fuori dalle nebbie e
dalle foschie della Padania, offrendo di sé
uno spettacolo quasi irreale. Gli scrittori
ci hanno offerto le loro sensazioni
attraverso i secoli, penne famose e meno
note, fino all'elogio più sperticato di
Stendhal: «Il più bel luogo della terra e
il più affascinante che io abbia mai visto».
Anche Bergamo bassa è ricca di opere d'arte
e ha, grazie ai borghi, una sua personalità
che ti affascina.
Borgo
Pignolo e Sant'Alessandro sono da
"vivere" oltre che da visitare.
Anche qui conosci atmosfere rare, mentre il
caratteristico ti rincorre ad ogni passo e
dietro l'angolo c'è sempre il "pezzo
raro" (ad esempio la piazzetta del
Delfino in via Pignolo). È stato
addirittura scritto che quella di Pignolo è
una delle più belle strade di tutta l'alta
Italia, per il continuo susseguirsi di
chiese, chiesette e palazzi con armonici
cortili, con portici e loggette raffinati
(per lo più rinascimentali o neoclassici).
Sarebbe potuta essere una città unica
persino la stessa Bergamo bassa se,
all'inizio del Novecento, non fossero state
abbattute le mura quattrocentesche
("confuse", all'epoca, con la
cinta daziaria, simbolo quindi di
tassazione) che la circondavano quasi
completamente.
Così
ci presenta Bergamo Indro Montanelli: «(...)
la Città Alta, bella come poche altre al
mondo e in sé compiuta al pari di Siena,
cavalca l'ultimo contrafforte della collina.
Dietro, incombe la montagna. Davanti, si
sventaglia a perdita d'occhio la piana
lombarda (con cieli tersi, l'occhio spazia
fino agli Appennini e al Monte Rosa)... Le
industrie, che amano la piana, si sono
accasate. E lì hanno dato vita ad un'altra
città, quella moderna, che tuttora (per gli
anziani) si chiama "borgo", ma
senza intonazioni di disprezzo».

Porta
Nuova è la porta monumentale della città
di Bergamo, nonché principale accesso per
molto tempo. È considerato il fulcro della
città bassa, lo snodo principale da cui si
estendono i maggiori assi viari.
Porta
Nuova fu costruita nel 1837 in occasione
dell’ingresso in città dell’imperatore
Ferdinando I d’Austria, che la varcò
procedendo su quella che oggi è Via
Vittorio Emanuele, che collega Città Bassa
con Città Alta.
È
formata da due costruzioni neoclassiche
identiche, chiamate Propilei,
che fino al 1901 furono sede della guardia
del dazio, che controllava l’ingresso
delle merci in città. In seguito
all’abolizione dei dazi, il cancello fu
rimosso e le Muraine (le
mura che circondavano la città di Bergamo)
abbattute.
Il
"borgo" ha nel Sentierone
il suo cuore: esso mantiene ancor oggi la
sistemazione realizzata dai mercanti
bergamaschi nel 1620, ma ha assunto la
funzione di luogo di "passeggio"
cittadino all'ombra di grandi ippocastani.

Comunicante
con la piazza Matteotti tramite il
Sentierone è
la piazza Vittorio Veneto, secata dal
viale Papa Giovanni e dominata dalla torre
dei Caduti.
Si
tratta di uno dei monumenti più
emblematici di Città Bassa, costruito
sull'onda della retorica patriottica successiva
alla prima
guerra mondiale, non solo a memoria e onore dei
caduti bergamaschi ma per esaltare e
consolidare il nazionalismo unitario,
come esplicitamente detto nel discorso di
inaugurazione pronunciato da Mussolini il
27 ottobre 1924.
Il monumento a
pianta quadrata alto
45 metri fu
progettato dall'architetto Marcello
Piacentini. Fu costruito, a partire
dal 1922,
in un'area nota
come il prato di sant'Alessandro,
che all'epoca ospitava la fiera
annuale di Sant'Alessandro, una delle
più importanti e antiche della Lombardia,
risalente al IX
secolo.
La
scelta dell'area e la Torre stessa facevano
parte di un più ampio progetto di
riassetto urbanistico della
parte bassa di Bergamo divenuta il vero
centro politico e amministrativo della
città, raccordandola, tuttavia, con la Città
Alta, la parte medievale posta sui colli
retrostanti.
Per secoli il
centro del potere era
stato rappresentato dalla città medievale e
dagli edifici storici, oltre che
monumentali, che lo ospitavano. Lentamente
e poi, dopo il periodo Napoleonico,
sempre più celermente la parte bassa della
città aveva acquistato una crescente
importanza economica prima, non fosse altro
che per la maggiore disponibilità di spazi
edificatori, politica poi strettamente
connessa con il suo sviluppo economico. La
costruzione della Torre sancì questo nuovo status politico-urbanistico
di Bergamo, mentre Città Alta sarebbe
rimasta quel gioiello medievale che è.
La
Torre si inserisce armonicamente in questo
nuovo contesto urbanistico quasi come il
lato di una porta ideale
che fa da cornice ai bastioni veneziani e
al profilo frastagliato degli edifici di
Città Alta.

Il
materiale di costruzione utilizzato è l'arenaria di Bagnatica in
conci a crespone che restituisce un'opera
dalla struttura possente, alleggerita
peraltro da inserti ornamentali e
commemorativi quali l'orologio e
alcuni gruppi scultorei.
L'orologio
in marmo di Zandobbio è
racchiuso in un quadrato i
cui angoli sono
rappresentati da quattro allegorie dei venti,
soffianti, a simboleggiare il trascorrere e
la caducità del tempo.
In
asse e sotto l'orologio si apre una nicchia da
cui fuoriesce la statua bronzea dell'Italia Vittoriosa che
regge con la destra la Vittoria e tiene
nella sinistra la spada in posizione di
riposo.
Il
gruppo si appoggia su un'ampia mensola
dedicatoria immediatamente sopra un
finestrone in marmo policromo formando un
complesso statuario di grande effetto
visivo.
Nella
lunetta del finestrone due putti reggono
lo stemma di
Bergamo mentre i due bassorilievi dell'ammiraglio Paolo
Thaon di Revel e del generale Armando
Diaz sovrastano la scena.
Nel
finestrone si apre un balconcino che
poggia sulle allegorie della
armi combattenti, mentre al di sotto una
grande lapide riporta il bollettino della
vittoria del generale Diaz.
Il
complesso esterno è di grande efficacia
espressiva e simbolica;
l'interno che si sviluppa su cinque piani espone
alle pareti del
primo i nomi dei caduti incisi in oro
su marmo nero e nei piani superiori dei
pannelli che illustrano lo sviluppo della
città.

Il
tratto orientale del Sentierone è chiuso
sul fondo dalla chiesa dei Santi
Bartolomeo e Stefano.
La
grande chiesa
venne distrutta l'11 novembre 1561
per la realizzazione delle mura
venete. I nuemrosi frati che
abitavano il convento, si disperso nelle
comunità della penisola, restarono solo in
otto ospiti presso la chiesa
di san Bernardino. Il 14 agosto 1572,
occuparono la piccola chiesa di san
Bartolomeo con alcune piccole abitazioni
contigue con ina bolla di Papa
Pio V del 1571, che con cedeva
loro la Prepositura di san Bartolomeo, che
era precedentemente occupato di una comunità
di monaci dell'Ordine
degli Umiliati e che era stato
soppresso.
Con
la costruzione della nuova chiesa vennero
posizionate le opere che erano state salvate
da quella antica, anche se alcune parti
furono perse e la nuova locazione creò
sicuramente un danno non indifferente al
loro valore. La grande tavola di Lorenzo
Lotto detta Pala
Martinengo, capolavoro del soggiorno
bergamasco del pittore veneziano, venne
posizionata nel catino absidale cercando di
ricreare l'originale locazione.
La
chiesa venne riedificata tra il 1604 al 1624
su disegno di Antonio
Maria Caneva seguendo le
indicazioni della controriforma.
Il
tempio presenta una struttura semplice,
ma allo stesso tempo elegante e grandiosa,
misura 60 metri di lunghezza e 14 di
larghezza, escluse le cappelle.
La
facciata principale, ultimata a fine
Ottocento dall’architetto Giovanni
Cuminetti, è un perfetto esempio di
capolavoro in stile barocco. Nella sezione
centrale, in senso verticale, si trovano quattro
statue femminili raffiguranti le
virtù cardinali, opera del giovane scultore
Andrea Paleni. Poco più in alto, si possono
osservare due magnifici riquadri
in rilievo realizzati dallo
scultore bergamasco Luigi
Pagani (1829 – 1904), raffiguranti
il martirio di S. Bartolomeo e
quello di S. Stefano. Inseriti nelle
due nelle due nicchie si trovano le
due sculture di Giovanni
Avogadri (1885 – 1971)
raffiguranti S.
Francesco, a sinistra, e S.
Domenico, a destra, in blocchi di
marmo bianco.
Nella lunetta
sopra al portone centrale vi
è l’affresco di Luigi
Galizzi, raffigurante la consegna del
Rosario da parte della Vergine a S.
Domenico, con accanto S. Caterina da
Siena.
Al
suo interno la Chiesa presenta importanti
opere d’arte, come gli affreschi di Mattia
Bortoloni e di Gaspare
Diziani, opere del Picenardi,
del Brena, di Enea
Talpino detto il Salmeggia, del
Coppella, del Ricchi
detto il Lucchese, dell’Orelli,
del Salis, del Discepoli
detto lo Zoppo, del Facheris detto il
Cavarsegno, del Damiani e dell’Anselmi;
degni di nota sono gli intarsi lignei di fra’
Damiano Zimbelli e la famosa “Pala
del Martinengo” di Lorenzo
Lotto.
L'interno
si presenta ad una unica navata con cinque
cappella su ogni lato. Il presbiterio è
sopraelevato, terminante nell'abside con il
coro a pianta semiottagonale dove nella
parte superiore è posizionata la grande pala lottesca.
La
trasfigurazione pittorica del bolognese Francesco
Monti sulla cupola è ben
integrata con le cornici architettoniche
delle lunette;
ricca e vasta è la superficie parietale
trattata a treillages. Pure raffinata
è la lavorazione degli ovali allungati con
fastigi asimmetrici e le esili cornici che
ornano con un intreccio architettonico i 15
Misteri in monocromo del
pittore Giuseppe
Antonio Orelli affrescati nel 1757.
Muzio
firma questo intervento, ma le altre
cappelle presentano una decorazione frutto
del lavoro di bottega con gli ovali
asimmetrici e i disegni architettonici delle
volte.
Un
esempio di completa fusione tra pittura e
scultura è la rinnovata cappella della
Madonna
del Rosario i cui stucchi di Muzio
Camuzio datati 1752 sono
firmati su un nastrino nella parete destra
«MUC.CAMUZI F.» All'interno della
sagrestia della chiesa è conservata la
statua della Madonna
della rosa di Ardigino
de Bustis.
Dal
Sentierone, attraverso maestosi portici, ci
si inoltra in piazza Dante, dove ha sede
l'antica fontana della fiera.
La
fontana monumentale risale al 1740 ed è
conosciuta anche come la “Fontana del
Tritone”, per la statua di Nettuno che
sovrasta la vasca. È opera
dell’architetto e scultore Gian Battista
Caniana ed originariamente era posta al
centro delle strutture che costituivano la
Fiera di Bergamo. È l’unico elemento che
si conserva dell’antica piazza della
Fiera: agli inizi del Novecento, infatti,
Marcello Piacentini fu chiamato a disegnare
il nuovo centro della Città Bassa e gli
edifici – oramai fatiscenti – della
vecchia fiera vennero completamente
abbattuti.
Il
corpo della fontana è in ceppo lombardo,
mentre la vasca è in marmo bianco di
Zandobbio. Prima del restauro si presentava
in pessimo stato di conservazione, coperta
da muschi, licheni, alghe e funghi. Vi erano
molte fessurazioni, oltre alla mancanza di
elementi decorativi come le zampe dei
cavalli, la coda del tritone ed il calice.
L’intervento
di conservazione si è concentrato in
particolare sulle superfici. Una volta
rimossi i depositi humiferi, si è proceduto
con il consolidamento strutturale e la
stesura di un protettivo idrorepellente.
Alcuni elementi decorativi mancanti, corrosi
dal tempo o danneggiati da atti vandalici
sono stati ripristinati.
Ed
è stato installato un sistema di filtraggio
delle acque, in modo da evitare la
ricomparsa della patina di umidità.
Inoltre, l’installazione di un impianto di
ricircolo garantisce il contenimento degli
sprechi di acqua.
Sul
lato opposto della passeggiata si affaccia
il teatro Donizetti, dedicato
all'illustre Maestro bergamasco.
La
zona dove adesso sorge il teatro si
presentava al viaggiatore dell'epoca come un
insieme di baracche di legno in cui i
mercanti esponevano le loro merci. In quanto
luogo di grande afflusso, sorgevano alcuni
teatri "abusivi" in legno, che
venivano demoliti alla fine della stagione e
riedificati la stagione successiva con il
medesimo materiale conservato all'uopo.
Fu
proprio in quel luogo che Bortolo
Riccardi, ricco commerciante, senza
curarsi troppo delle polemiche che ne
conseguirono, edificò il primo nucleo del
teatro stabile che ora conosciamo, che prese
il nome di teatro Riccardi. Quando ancora il
teatro era in costruzione si cominciarono a
dare alcune rappresentazioni artistiche: la
prima opera vi fu rappresentata nel 1784 e
fu Medonte re di Epiro di Giuseppe
Sarti.
L'inaugurazione
ufficiale invece avvenne il 24 agosto 1791.
Ma nel 1797 il palazzo fu distrutto da un
grave incendio. Fu quindi ricostruito su
progetto dell’architetto Gianfranco
Lucchini e riaperto al pubblico nel 1801. I
cinque finestroni centrali hanno incisi
alcuni titoli di opere del musicista
bergamasco: Lucia
di Lammermoor, Favorita, Don Sébastian, Don
Pasquale e Linda. L’interno fu
decorato con stucchi dorati e affrescato dal
pittore Francesco
Domenighini.
La
struttura originaria, completamente diversa
dall'attuale, fu distrutta da un incendio,
forse doloso, nel 1797.
L'architetto Giovanni
Francesco Lucchini, che già aveva
progettato l'interno del teatro andato
distrutto, ricevette la commissione di
guidare i lavori di costruzione del nuovo
teatro. Bisogna aspettare il 30 giugno 1800 per
l'inaugurazione della struttura così come
noi la conosciamo.
Le
vicende storiche risorgimentali passano da
Bergamo e coinvolgono il teatro, tra fortune
alterne e amministrazioni illuminate. Vincenzo
Bellini vi cura la messinscena
della Norma nel 1831.
Nel 1840 per
la prima volta Bergamo tributa una pubblica
manifestazione al bergamasco Gaetano
Donizetti, presente in teatro per la
rappresentazione della sua opera L'esule
di Roma. Giuseppe
Verdi, presente in sala, debutterà
al Riccardi con Ernani nel 1844.
Tra i Direttori d'orchestra più celebri
dell'800 che hanno diretto al Teatro
Ricciardi di Bergamo, si annovera il M° Antonino
Palminteri, presente sul podio del
Ricciardi nel 1883
portando in scena La
Favorita di Gaetano
Donizetti. Nell'agosto e nel
settembre del 1891,
Il M° Antonino
Palminteri ritorna al Ricciadi,
portando in scena Opere quali: Aida di Giuseppe
Verdi, Cavalleria
rusticana di Pietro
Mascagni. La Stampa ne ha esaltato
gli esiti con queste parole:"[...] Il
giovane maestro che con molta disinvoltura
reggeva la bacchetta del comando, ebbe la
soddisfazione di parecchi ben nutriti
applausi e del dono di una corona di
alloro".
Nel 1897,
in occasione del centenario della nascita
del compositore, e nel corso delle solenni
onoranze, il teatro Riccardi assume il nome,
che porta tuttora, di teatro Gaetano
Donizetti.
Proseguendo
su questo lato si trova il monumento
dedicato al Partigiano.
Il Monumento
si trova nel giardino dietro ai propilei di
Porta Nuova, in Città Bassa.
Si
tratta di un'opera di Giacomo Manzù, famoso
scultore Bergamasco, che ha voluto
rappresentare tutto l'orrore della guerra
per l'uomo. La scultura è stata messa al
centro della città proprio per ricordare a
tutti, soprattutto alle generazioni future,
le atrocità della guerra, ricordando anche
il sacrificio dei Bergamaschi nella lotta
contro il fascismo.
Fu
donato al comune di Bergamo nel 1977 e
rappresenta la morte di un Partigiano e si
rifà ad un’esperienza diretta
dell’artista, che vide un partigiano
“…nudo,
aveva solo una maglietta, una povera
maglietta consunta. Era bianchissimo contro
il muro rosso…Ma soprattutto
impressionanti erano le braccia, tese ad
implorare la terra di accoglierlo, nudo
com’era”
Il
25 Aprile del 1977 fu inaugurato il
monumento che, sul retro, riporta la dedica
dell’artista:
“Partigiano
ti ho visto appeso immobile. Solo i capelli
si muovevano leggermente sulla tua fronte.
Era l’aria della sera che sottilmente
strisciava nel silenzio e ti accarezzava,
come avrei voluto fare io – Giacomo Manzù,
25 aprile 1977”.
Oltre
al centro cittadino (diviso nei rioni di
Papa Giovanni XXIII, Pignolo e
Sant'Alessandro), nella parte bassa si
trovano i quartieri di Boccaleone, Borgo
Palazzo - Alle Valli, Campagnola, Carnovali, Celadina, Colognola, Conca
Fiorita, Grumello del Piano, Longuelo,
Loreto, Malpensata, Monterosso, Redona, San
Paolo, San Tomaso de'Calvi, Santa
Caterina, Santa Lucia, Valtesse -
San Colombano, Valverde con Valtesse -
Sant'Antonio e Villaggio degli
Sposi.
Molti
di questi erano frazioni distinte prima che
l'espansione urbana degli anni sessanta e settanta li
inglobasse nella città. Francesco Domenico
Camuzio e la sua bottega sono documentati
nella ristrutturazione guidata
dall'architetto Giovan Battista Caniana del
palazzo del conte Carrara in via
Pignolo, realizzata nel periodo 1720-1731,
poi anche nella chiesa del borgo Santa
Caterina.
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Novembre
2006
- Novembre 2007
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