Monastero
della Grande Lavra

Monastero
idiorritmico
dedicato a
sant'Atanasio
Athonita, che ne
è il fondatore.
Fondato nel 963.
Il termine lavra
in origine non
indicava un
monastero, ma un
insieme di
abitazioni
monastiche
indipendenti che
facevano capo a
una chiesa comune.
Quando
sant'Atanasio
inizio la sua
fondazione già
esistevano
all'Athos dei
raggruppamenti a
modo di lavre. Di
qui si spiega il
nome di Meghisti
Lavra, "la più
grande
lavra", benché
in seguito sia
rimasta la sola a
conservare questo
nome, e lo conservò
nonostante che
sant'Atanasio le
abbia dato la
struttura e la
regola di un
monastero. Si
calcola che vi
siano nella
biblioteca 1950
manoscritti, di
cui 690 su
pergamena.
Dalla
Grande Lavra
dipendono le skite
di Sant'Anna,
del Prédromos
(dedicata a san
Giovanni Battista,
con monaci
rumeni), e la skiti
chiamata
Kafsokalivia (o
Kapsokalìvia);
inoltre gli eremi
Sant'Anna minore,
San Basilio (Àghios
Vasilios), Katunàkia
e Karùlia, tutti,
come le skite, sulle
pendici
meridionali del
Monte Athos.
La
Grande Lavra, il
più antico e il
più bello dei
monasteri
athoniti, sorge
presso l'estremità
orientale della
penisola, di poco
elevata sul mare.
Dal piccolo porto
una strada,
fiancheggiata da
folti oleandri, in
venti minuti di
salita conduce
davanti
all'ingresso. una
specie di pronao
coperto da una
cupola e protetto
in alto da grandi
vetrate a colon.
Oltre
i portoni blindati
e chiodati si
arriva in un
cortile quasi
rettangolare (120
per 45 metri
circa): è l'area
occupata dal katholikòn,
dalla fiali
e dal
refettorio. Gli
edifici del
monastero sono
quasi tutti
racchiusi dentro
mura merlate,
munite di torrazzi
coperti e vegliate
dall'alta torre
merlata dalla
parte della
montagna. Questo dà
al monastero un
aspetto di
castello
fortificato, due
cipressi altissimi
occupano gli
angoli del cortile
davanti al
refettorio;
secondo la
tradizione, furono
piantati mille
anni fa da
sant'Atanasio.
L'origine
della Grande Lavra
coincide con le
origini stesse
della vita
monastica
organizzata
all'Athos per
opera di
sant'Atanasio, nel
963, con
l'appoggio degli
imperatori
Niceforo II Foca
(963-969) e
Giovanni I Zimisce
(969-976).
La
costruzione del katholikòn
fu ultimata
nel 1004, un anno
dopo la morte di
sant'Atanasio.
Anche il
successore di
Giovanni I
Zimisce, Basilio
II (976 - 1025),
favorì la Grande
Lavra assegnandole
in proprietà
vasti territori.

Il
voivoda di
Valacchia Neagoe
Basarab
(1512-1521) procurò
la copertura di
piombo del katholikòn.
Alla fine del
XVI secolo questo
monastero, come
altri, attraversò
un periodo di
decadenza e di
povertà, che
ridusse di molto
il numero dei
monaci.
Come
gli altri
monasteri, anche
la Grande Lavra in
questo periodo era
passata allo
statuto
idiorritmico, che
conserva ancora.
La sua ripresa
data dal 1655 in
seguito a un
cospicuo lascito.
Nel 1744 il
patriarca Paisios
II, al suo terzo
patriarcato
(1744-1748, fu
patriarca quattro
volte), aiutò
finanziariamente
il monastero e lo
restituì al suo
antico grado, il
primo posto
nell'ordine
gerarchico.
Monastero
di Vatopedi
Monastero
idiorritmico,
dedicato
all'Annunciazione
della Vergine (25
marzo). Fondato
nel 972 circa. Il
nome, di non
facile
spiegazione, fu
interpretato dalla
tradizione
mediante un
episodio
leggendario che
attribuisce la
fondazione del
monastero a
Teodosio I
(379-395). I figli
di questo
imperatore Arcadio
e Onorio, ancora
fanciulli,
navigavano da Roma
a Costantinopoli,
quando presso
l'Athos una
tempesta furiosa
mise in pericolo
la nave. Il
piccolo Arcadio si
aggrappava al
bordo della nave
invocando la
Madonna, ma un
ondata più forte
lo fece cadere in
mare. Vani furono
gli sforzi per
ripescarlo.
Cessata la
tempesta il
piccolo Arcadio fu
trovato non lungi
dalla spiaggia che
dormiva
pacificamente
sotto una pianta
di lampone; era
stato salvato
dalla Madonna. Più
tardi l'imperatore
per gratitudine
fece costruire sul
posto (o
ricostruire, perché
alcuni
attribuiscono a
Costantino la
prima fondazione)
un monastero in
onore della
Vergine Maria e lo
chiamò Vatopédi
per ricordare la
salvezza del
figlio. Infatti in
greco vàlos significa
"rovo,
lampone" e pedion
(scritto paidion)
indica il
"bambino".
Forse la vera
etimologia non è
da paidion, ma
da pedion "pianura":
Vatopédi sarebbe
“la piana dei
lamponi", che
infatti ancora vi
crescono allo
stato selvatico.
La
biblioteca
possiede 680
manoscritti, di
cui circa la metà
su pergamena. Da
Vatopédi
dipendono la skiti
di San
Demetrio e la
grande skiti di
Sant'Andrea, detta
anche Sarai, cioè
palazzo, un tempo
abitata da monaci
russi (400 nel
1903), ora senza
più monaci ma
adibita a ospitare
la Scuola
dell'Athos (Athoniàs),
data anche la sua
vicinanza con Karyés.
Il
grandioso
complesso
monastico di Vatopédi
è adagiato presso
la curva graziosa
di un'ampia baia.
Le sue mura
disposte a
triangolo
spariscono quasi
sotto il cumulo di
terrazze,
loggiati, balconi;
gli edifici
dipinti di rosso
delimitano un
vasto cortile. Vi
si trova il katholikòn,
dalla consueta
struttura "a
trifoglio";
la cupola poggia
su quattro colonne
di porfido che si
dice provengano da
Ravenna. Due
cappelle (pareclesia)
fiancheggiano
la chiesa
principale.
Due
sono le
caratteristiche
proprie a Vatopédi:
la conservazione
di un bellissimo
mosaico (Déisis)
a sfondo d'oro
sul timpano del
portale entro il
nartece (XI
secolo) e una
cappella isolata
nel cortile
dedicata ai santi
Anargiri
("senza
denaro": sono
i santi Cosma e
Damiano, medici
che curavano senza
farsi pagare), con
le pareti esterne
non a intonaco
dipinto, ma tali
da mostrare, con
bellissimo effetto
cromatico, fasce
orizzontali
alternate di
pietre e di
mattoni. Graziosa
la fiali
rotonda con due
giri concentrici
di colonne.
Gli
affreschi datati
dal 1312 e più
volte restaurati
sono della scuola
macedone; un altro
mosaico, pure
dell'XI secolo,
nell'interno della
chiesa rappresenta
l'Annunciazione, a
cui la chiesa
stessa è
dedicata.
L'origine
del monastero di
Vatopédi risale
al tempo di
sant'Atanasio. Tre
notabili di
Adrianopoli,
Atanasio, Nicola e
Antonio vennero
alla Grande Lavra
e fecero
professione
monastica sotto la
direzione di
sant'Atanasio. In
seguito essi
stessi fondarono
il monastero, la
cui data si può
porre nel 972,
anno in cui fu
emanato il typikòn
di Giovanni I
Zimisce. Un
documento del 985
menziona Nicola
igumeno di Vatopédi.
Nel typikòn di
Costantino IX
Monomaco (1046) il
monastero di Vatopédi
figura già al
secondo posto
nell'ordine
gerarchico.
Vatopédi
ebbe a soffrire
del saccheggio da
parte dei
mercenari catalani
di Andronico II
(1282-I 328), ma
lo stesso
imperatore restaurò
il monastero.
Ricordiamo il
soggiorno a Vatopédi
dell'imperatore
Giovanni VI
Cantacuzeno quando
nel 1355, dopo
aver abdicato, si
fece monaco e
venne all'Athos.
L'ultimo zar di
Serbia prima della
dominazione turca,
Lazzaro I
Greblianovic ebbe
modo di beneficare
Vatopédi, a cui
donò la reliquia
della cintura
della Madonna, che
prima era
conservata a
Costantinopoli.
Altre
benemerenze verso
il monastero ebbe
il voivoda di
Moldavia Stefano
il Grande
(1457-1504), il
costruttore dei
famosi monasteri
moldavi di Putna,
Neamts, Voronets.
Le costruzioni
monastiche attuali
molto devono alle
donazioni dei
patriarchi di
Costantinopoli,
Cipriano
(1708/1709,
1713/1714) e di
Alessandria,
Gerasimo
11(1689-1710).
Posteriori a
questi restauri
sono gli affreschi
del refettorio
(1780). Dopo
l'incendio che nel
1965 distrusse
l'ala sud-est, con
la foresteria e
molte camere, il
progetto e le
spese della
ricostruzione
furono assunti dal
governo greco.
Monastero
di Iviron

Monastero
a statuto
idiorritmico
fondato nel 979.
E’ dedicato alla
Dormizione
(Assunzione) di
Maria (15 agosto).
Il nome significa
"degli
iberi", cioè
dei georgiani i
quali fondarono il
monastero e lo
tennero per
qualche secolo.
Attualmente i
monaci sono tutti
greci. La
biblioteca è tra
le più ricche
dell'Athos, la più
ricca in libri
stampati dopo
quella della
Grande Lavra.
Possiede 1381
manoscritti, di
cui settanta su
pergamena. Da
Iviron dipende la skiti
dedicata a san
Giovanni Battista
(Pròdromos),
distinta
dall'omonima
dipendente dalla
Grande Lavra.
Quasi sulla riva
del mare, forma un
vasto quadrilatero
di edifici,
addossati alle
mura e disposti
attorno al cortile
centrale, dove
sorge il katholikòn,
con le altre
consuete
costruzioni.
La
storia della sua
origine è
connessa con le
vicende politiche
intervenute alla
morte di Giovanni
I Zimisce (976).
Teofano, la vedova
di Niceforo II
Foca, aveva
sposato in prime
nozze Romano II
(959-963) da cui
aveva avuto due
figli, per la cui
tenera età
Niceforo II Foca e
poi Giovanni I
Zimisce (che era
cognato di Romano
II) si erano
autorizzati a
occupare il trono,
senza voler
sopprimere il
diritto dei due
bambini. Dopo
tredici anni i
bambini erano
cresciuti e
vennero
riconosciuti
imperatori: erano
Basilio II
(976-1025) e
Costantino VIII
(976-1028). A
questo punto un
pretendente al
trono, Barda
Scleros, mosse
guerra ai
giovanissimi
imperatori.
Intanto
all'Athos già da
un anno tra i
discepoli di
sant'Atanasio si
trovavano due
georgiani di
nobile famiglia,
Giovanni e suo
figlio Eutimio,
che era stato in
ostaggio alla
corte di
Costantinopoli.
Dopo aver
praticato la vita
monastica in un
cenobio del Monte
Olimpo in Misia
erano venuti
all'Athos nel 975,
dove altri
georgiani li
avevano raggiunti;
tra questi il
generale
Tornikios, che
aveva reso grandi
servigi
all'impero. La
madre dei due
giovani
imperatori,
Teofano, che aveva
abbandonato il suo
esilio monastico
per ricoprire il
ruolo di
imperatrice madre,
conoscendo il
valore di
Tornikios, lo pregò
di riprendere te
armi in aiuto ai
legittimi
imperatori
Tornikios,
lasciato l'Athos,
ottenne dal
principe di
Georgia David,
vassallo dei
bizantini, un
fortissimo
contingente di
cavalieri che
contribuì alla
vittoria decisiva
nel 979. Dopo di
che ritornò
all'Athos e, con i
mezzi propri e
l'appoggio fornito
da Basilio II e
dalla madre
Teofano, promosse
l'iniziativa dei
suoi compatrioti
Giovanni ed
Eutimio e con loro
costruì un nuovo
monastero per i
georgiani che
sempre più
numerosi
accorrevano
all'Athos.
Fu appunto il
monastero che i
greci chiamarono
Iviron (979
circa).
Sant'Eutimio, il
primo igumeno di
Iviron, si rese
celebre per
l’immenso lavoro
di traduzione e
adattamento di
scritti
ecclesiastici dal
greco in
georgiano. Per
mezzo suoi
georgiani
conobbero le opere
di San Basilio, di
san Gregorio
Nazianzeno, come
pure I Dialoghi
del papa San
Gregorio Magno.
Verso
1040 venne a Iviron
il monaco
georgiano Giorgio
l'Athonita, che
succedette a
sant'Eutimio come
igumeno e come
traduttore; per
opera sua il
patrimonio
letterario
costituito dai
libri liturgici
bizantini passò
nella letteratura
georgiana.
Iviron rimase un
centro culturale
georgiano fino
all'inizio del XVI
secolo; da allora
lo abitarono solo
monaci greci.
Tuttavia
nella biblioteca
vi sono ancora
preziosi
manoscritti
georgiani.
Ricordiamo un
manoscritto greco
con molte
miniature del XIII
secolo che
contiene il
romanzo dei santi
Barlaam e Ioasaf
(o Giosafat), una
trasposizione
della vita di
Buddha sulla
persona di Ioasaf,
figlio di un re
dell’India, che
convertito al
cristianesimo da
santo eremita
Barlaam, riuscì a
convertire il
padre e,
rinunciando al
regnò, si diede
con Barlaam alla
vita monastica.
Anche
Iviron ebbe a
soffrire da parte
dei pirati conobbe
periodi di
decadenza e
successivi
restanti. Tra i
suoi benefattori
vi fu il re di
Serbia Stefano VII
Dusan (1331-1355),
che allargando le
sue conquiste si
rese padrone della
Macedonia e
dell'Athos (1334).
Quando nel 1346 si
fece Incoronare
“imperatore dei
greci e dei
romani",
erano presenti
alla cerimonia
anche i
rappresentanti dei
monasteri
dell'Athos In
seguito lo stesso
Dusan visitò
l'Athos elargendo
i suoi benefici.
Notiamo che il katholikòn
dell'XI secolo fu
ampliato e in
parte rifatto nel
1523; gli
affreschi sono
posteriori a
quella data. Nel
1865 il monastero
fu devastato da un
grande incendio,
di qui il
carattere recente
di molti suoi
edifici.
L'icona
più venerata a
Iviron è chiamata
Portaitissa ("custode
della
porta"),
conservata in
un'apposita
cappella. E’ del
tipo dell'Odighitria,
ed è conosciuta
in Russia col nome
di Ivérskaja. la
Madonna di Iviron.
Secondo la
leggenda essa
sarebbe stata
dipinta da san
Luca; profanata da
un saraceno (porta
i segni di una ferita
al viso), fu
ritrovata dalla
Terra Santa alla
spiaggia di Iviron
scortata da due
piccoli lumi. Un
eremita georigiano
di nome Gabriele
la raccolte e la
portò sopra
l'ingresso della
sua grotta; furono
pure fissati i due
piccoli lumi.
Saputa la cosa,
l'igumeno fece
trasportare
l'icona nella
chiesa del
monastero, ma il
giorno dopo fu
ritrovata al posto
di prima.
L'igumeno decise
di non opporsi al
volere della
Madonna. Dopo
qualche tempo,
nell'aprire
l'ingresso del
monastero il
podere si accorse
che l'icona
miracolosa si
trova al di sopra
della porta.
Corsero allora i
monaci alla grotta
dell'eremita.
Gabriele era morto
e i due piccoli
lumi erano
spariti.
Monastero
di Hilandar
(Chilandariou)

Monastero
idiorritmico
serbo, dedicato
alla Presentazione
di Maria al Tempio
(21 novembre).
Fondato nel 1197;
ricostruito nel
1293. Il nome che
sembra significare
"mille
uomini" (chilioi
andres) fu
diversamente
spiegato: mille
sarebbero stati i
monaci del
convento; mille,
anzi mille e tre,
i saraceni che un
giorno assalirono
il monastero, ma
per un miracolo
della Madonna
trovandosi
improvvisamente
all'oscuro si
uccisero
combattendo tra di
loro; i tre
scampati
abbracciarono la
fede cristiana,
furono battezzati
e divennero santi
monaci. Più
probabilmente il
nome si deve a un
cerco monaco
Chilandarios che
aveva iniziato una
residenza
monastica in quel
luogo poco prima
della fondazione
del monastero.
La
biblioteca
contiene 105
manoscritti greci
e slavi. Il
monastero è il più
vicino al confine
settentrionale
della repubblica
monastica, Giace
in una bellissima
valle
verdeggiante. Gli
edifici dominati
da un'alta torre,
si addossano alle
alte mura,
disposti in forma
di rombo attorno
al Katholikòn dal
caratteristico
esterno, non
intonacato ma con
bella alternanza
di mattoni rossi e
bruni e
decorazioni in
ceramica attorno
alle finestre.
Pur non essendo
dei più grandi
questo monastero
è tra i più
belli dell'Athos.
Gli affreschi del katholikòn
e del nartece
appartengono alla
scuola macedone
(dal 1319 in poi);
furono restaurati
con fedeltà nel
1804 Il refettorio
fu affrescato nel
1623 dal monaco
serbo Giorgio
Mitrofanovic, ma
vi furono scoperti
frammenti del XIV
secolo.
L'origine
del monastero è
legata alla fuga
dalla corte
paterna di Rastko
(o Rastmir) figlio
del re di Serbia
Stefano Nemanja
(1186-1195); il
giovane si fece
monaco a Vatopédi
col nome di Savva.
Il padre, dopo
aver riuniti i
territori serbi
della Rascia e
della Zeta in un
grande regno,
abdicò e si fece
monaco al
monastero da lui
eretto a
Studenica, Poi nel
1197 raggiunse il
figlio all'Athos e
con lui fondò il
monastero di
Chilandàri che
forse già
esisteva in forma
embrionale. Un
decreto di Alessio
III Angelo
(1195-1203)
stabili che questo
monastero fosse
destinato ai
serbi, per i quali
divenne un
importante centro
spirituale.
Stefano
Nemanja morì a
Chilandàri e vi
è venerato sotto
il nome di San
Simone (suo nome
come monaco) Savva
in seguito divenne
arcivescovo di
Ipek (ora Pec).
Nel 1293 il re di
Serbia Stefano V
Milutin
(1275-1322) fece
restaurare il
monastero e in
quell'occasione fu
costruito il katholikòn.
Nel 1722
Chilandiri fu
devastato da un
incendio e visse
anni difficili. Il
re di Serbia
Alessandro I
Karageorgevic
(1843-1858),
recatosi
all'Athos, dispose
che vi si
facessero a sue
spese i restauri
necessari e che vi
fossero inviati
monaci dalla
Serbia per
ripopolare il
monastero.
Anche
a Chilandàri vi
è un'icona
particolarmente
venerata nel mondo
ortodosso. è la
Madonna chiamata Tricherusa,
cioè
"dalle tre
mani", perché
ad un osservatore
superficiale può
sembrare che la
Madonna (del tipo Odighitria
ma col Bambino
a destra) abbia
una terza mano al
disotto di quella
che sostiene il
Figlio.
In
realtà si tratta
di una mano
votiva. La
leggenda riferisce
il fatto
miracoloso a San
Giovanni Damasceno
(m. 749) che,
prima di essere
monaco a San Sabba
nel deserto a est
di Betlemme, era
funzionario del
governatore di
Damasco
(conquistata dal
califfo Omar nel
637). Citato in
tribunale per il
suo zelo nel
difendere i
cristiani, ebbe
recisa la mano
sinistra. Allora
il giovane
coraggioso prese
la mano amputata e
la presentò come
segno di fedeltà
davanti all'icona
della Vergine,
senza nulla
chiedere. Ma
dall'icona usci
una mano della
Madonna che
riattaccò
perfettamente
l'arto amputato.
Per riconoscenza
Giovanni fece
applicare
all'icona una mano
d'argento, poi si
fece monaco e
divenne un grande
dottore della
Chiesa. Un'altra
storia dice che
l'icona si trovava
nel monastero di
Studenica, e venne
a Chilandiri da se
stessa a dorso di
mulo. Posta dai
monaci
sull'iconostasi, a
tre riprese fu
trovata alla
mattina sul seggio
dell'igumeno. Da
quel tempo la
Vergine è
considerata la
superiora del
monastero, e non
venne eletto più
nessun igumeno.
Monastero
di Dionysiou

Monastero
cenobitico (dal
1907), dedicato a
san Giovanni
Battista. Fondato
verso il 1375.
Porta il nome del
suo fondatore, il
monaco Dionisio,
che aiutato dai
suoi discepoli ideò
e iniziò la
costruzione di
questo originale
complesso
monastico.
Nella
biblioteca si
conservano 588
manoscritti. Il
monastero Dionysìu
sorge poco
discosto dal mare,
nella parte
sud-ovest della
penisola.
Le
mura altissime
poggiano su una
roccia alta circa
cento metri sul
mare e da esse
sporgono balconi e
loggiati come
sospesi nel vuoto.
Data la
ristrettezza della
base, tutti gli
edifici anche
all'interno sono
addossati attorno
al cortile quasi
inesistente e al katholikòn
non molto
grande e dipinto
di rosso. Gli
affreschi della
chiesa e del
refettorio (1547)
sono dovuti a
Zorzi il Cretese.
L'origine
del monastero si
deve
all'iniziativa del
monaco Dionisio,
che, avuta la
visione di una
fiamma immobile
alta presso la
riva, decise di
costruire in quel
posto un
monastero. Venne
in suo aiuto
l'imperatore di
Trebisonda (oggi
Terabron in
Turchia) Alessio
III Comneno
(1349-1390) con
l'imperatrice
Teodora. L'inizio
della costruzione
si può porre
verso il 1375
circa. Nel tesoro
del monastero si
conserva la carta
di fondazione, con
una grande
miniatura che
rappresenta
l'imperatore con
la moglie
nell'atto di
tenere un rotolo
sigillato, cioè
la crisobolla con
i privilegi
concessi al
monastero, mentre
sopra di loro è
rappresentato san
Giovanni Battista.
Benefattori del
monastero furono i
voivodi di
Valacchia Radu il
Grande (1495-1508)
e Neagoe Basarab
è di Moldavia
Pietro Rares
(1527-1546); ai
primi si deve la
torre che domina e
costruzioni dalla
parte della
montagna.
La
costruzione
attuale si deve in
gran parte al
principe di
Moldavia
Alessandro
Lapusneanu
(1564-1568), alla
vedova di lui
Roxandra e al
principe di
Valacchia Pietro
Schiopul
(1559-1567). In
una cripta dcl katholikòn
si conserva In
un'urna il corpo
di Nifone II
patriarca di
Costantinopoli
(1486-1489;
1497-1498).
Rifiutando una
terza elezione al
patriarcato, si
ritirò all'Athos
senza farsi
riconoscere e
visse nell'umile
condizione di
semplice monaco.
Solo dopo la sua
morte se ne scopri
l'identità e, per
l'esempio delle
sue virtù, fu
proclamato santo
Monastero
di Kutlumusiou

Monastero
a statuto
cenobitico (dal
1856), dedicato
alla
Trasfigurazione (6
agosto). Fondato
alla fine del XIII
secolo e rinnovato
nel XVIII secolo.
Il nome deriva
dalla famiglia
turca dei Kutlumusìu
a cui apparteneva
il fondatore. La
biblioteca
possiede 560
manoscritti, di
cui 95 su
pergamena. Da
Kutlumusìu
dipende la skiti
di San
Panteleimon da non
confondersi coi
monastero russo
dello stesso nome.
Adagiato sul
fianco della
collina al centro
della penisola, il
monastero spicca
tra il verde della
costa che conduce
a Karyés, da cui
non dista molto.
E’
un complesso
quadrangolare di
modeste
proporzioni, dove
fanno bella mostra
di sé tre piani
di loggiati simili
a chiostri
sovrapposti.
Le
circostanze della
fondazione si
fanno risalire a
Costantino figlio
di Azz ed-Din
della famiglia
turca dei
Kutlumush,
imparentata con i
sultani
selgiuchidi di
Konya; dopo la
morte della madre
Anna, che era
cristiana, si portò
a Costantinopoli
al tempo di
Andronico II e si
fece cristiano. In
seguito si ritirò
sull'Athos e fondò
il monastero che
ne porta il nome.
Dal XIV al XVII
secolo fu abitato
da monaci rumeni e
fu beneficato dai
voivodi moldavi e
valacchi.
Il
katholikòn fu
costruito nel
1540, dopo che un
incendio nel 1497
aveva quasi
interamente
distrutto il
monastero.
L'ultima
ricostruzione
risale al XVIII
secolo, dopo
l'incendio del
1767.
Monastero
di Pantokratoros

Monastero
idiorritmico,
dedicato alla
Trasfigurazione (6
agosto). Fondato
nel due fratelli
1363 da
imparentati con la
famiglia imperiale
dei Comneni, il
grande
stratopedarca
(generalissimo)
Alessio e il
grande primicerio
(cancelliere)
Giovanni.
Il
nome gli viene da
un campo presso il
monastero, detto
"del
Salvatore".
La
biblioteca
possiede 234
codici. Sorge
sulla riva
settentrionale del
mare; di piccole
dimensioni, come
il suo katholikòn,
i cui
affreschi datano
dal secolo scorso.
Tra
i benefattori del
monastero si
ricordano i
Paleologhi Manuele
II (1391-1423) e
Giovanni VIII
(1425-1448), il
voivoda di
Valacchia Neagoe
Basarab e il
fanariota Giovanni
Maurocordato
(1716-1719). Le
costruzioni furono
ultimate nel 1700
col refettorio
di fronte alla
chiesa.
Monastero
di Xeropotàmou

Monastero
idiorritmico,
dedicato ai santi
Quaranta Martiri
di Sebaste.
Fondato nel X
secolo e
ricostruito nel
XVIII secolo. Il
nome, che
significa
"fiume
asciutto",
gli deriva da un
torrente presso il
quale fu costruito
il monastero.
La
biblioteca non è
molto ricca, ma
conserva alcuni
codici finemente
miniati e qualche
manoscritto
ebraico.
Sorge
su un pianoro che
sovrasta il porto
di Dafni; è un
quadrato che
delimita il
cortile interno
entro cui oltre il
katholikòn sorge
la bassa torre.
La
fondazione è
attribuita al
monaco Paolo
figlio
dell'imperatore
Michele I Rangabé
(811-813) oppure a
un certo Paolo
Xiropotaminos, con
l'autorizzazione
di Romano I
Lecapeno
(919-944).
Nel
XII-XIV secolo
aveva vastissimi
possedimenti e fu
beneficato dai re
di Serbia, che
ampliarono il
monastero e fecero
costruire la
cappella dedicata
alla Madonna, con
un'alta cupola che
domina sul lato
settentrionale.
Il
monastero decadde
in seguito ai due
incendi del 1507 e
del 1609. Alla sua
rinascita
contribuirono i
patriarchi Timoteo
II (1612-1620) e
Metodio III
(1668-1671) e
inoltre Costantino
Dapontes,
letterato e uomo
politico della
corte dei principi
di Moldavia
Costantino e
Giovanni
Maurocordato, che,
fattosi monaco a
Xiropotàmu, vi
risiedette dal
1757 al 1784; con
i suoi mezzi e il
prestigio
personale rialzò
le sorti del
monastero. Nel
1972 un incendio
ha devastato la
foresteria, tre
cappelle e qualche
affresco. Tra i
tesori di Xiropotàmu
si trova il
frammento più
grande della
reliquia della
Santa Croce.
Monastero
di Zografou

Monastero
cenobitico (dal
1840), dedicato a
san Giorgio (23
aprile). Fondato
agli inizi del X
secolo, secondo
alcuni sotto
l'imperatore Leone
VI il Filosofo
(886-911), secondo
altri verso il
980. Il nome, che
significa
"(monastero)
del pittore",
si spiega con la
tradizione
sull'origine del
monastero: tre
fratelli di
Ocrida, Mosè,
Aronne e Giovanni,
non accordandosi
sul patrono a cui
dedicare il
monastero, misero
nella chiesa una
tavola non ancora
dipinta e
iniziarono a
pregare; la tavola
si dipinse da sé
e apparve
l'immagine di san
Giorgio che i
monaci chiamarono Zogrifos,
ed è ancora
in grande
venerazione.
La
biblioteca
conserva 259
manoscritti slavi
e 107 greci. Zogràfu
si trova nascosto
dai boschi in una
vallata
dell'interno a
un'ora di cammino
dal suo porto,
posto sulla sponda
occidentale.
L'aspetto regolare
e quasi senza
balconi sporgenti
accusa lo stile
razionale e
monotono del XIX
secolo. Infatti il
katholicòn
fu costruito nel
1800, l’ala nord
e l’entrata
negli anni
1862-1869. Di poco
più antica è
l'ala sud-est
(1716), mentre
delle
ricostruzioni
operate dai
Paleologhi
rimangono pochi
elementi dopo il
saccheggio dei
pirati catalani.
Sembra
che già
dall'XI-XII secolo
il monastero sia
stato di proprietà
esclusiva dei
bulgari. Dopo un
periodo di
decadenza venne
ripopolato nel
1502, con l'aiuto
dei voivodi della
Moldavia. L'icona
di San Giorgio
sembra del XIV
secolo e secondo
gli esperti,
sarebbe di stile
italiano.

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