Monte Athos
Grecia
 
PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1998

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Monastero della Grande Lavra

Monastero idiorritmico dedicato a sant'Atanasio Athonita, che ne è il fondatore. Fondato nel 963. Il termine lavra in origine non indicava un monastero, ma un insieme di abitazioni monastiche indipendenti che facevano capo a una chiesa comune. Quando sant'Atanasio inizio la sua fondazione già esistevano all'Athos dei raggruppamenti a modo di lavre. Di qui si spiega il nome di Meghisti Lavra, "la più grande lavra", benché in seguito sia rimasta la sola a conservare questo nome, e lo conservò nonostante che sant'Atanasio le abbia dato la struttura e la regola di un monastero. Si calcola che vi siano nella biblioteca 1950 manoscritti, di cui 690 su pergamena. 

Dalla Grande Lavra dipendono le skite di Sant'Anna, del Prédromos (dedicata a san Giovanni Battista, con monaci rumeni), e la skiti chiamata Kafsokalivia (o Kapsokalìvia); inoltre gli eremi Sant'Anna minore, San Basilio (Àghios Vasilios), Katunàkia e Karùlia, tutti, come le skite, sulle pendici meridionali del Monte Athos. 

La Grande Lavra, il più antico e il più bello dei monasteri athoniti, sorge presso l'estremità orientale della penisola, di poco elevata sul mare. Dal piccolo porto una strada, fiancheggiata da folti oleandri, in venti minuti di salita conduce davanti all'ingresso. una specie di pronao coperto da una cupola e protetto in alto da grandi vetrate a colon. 

Oltre i portoni blindati e chiodati si arriva in un cortile quasi rettangolare (120 per 45 metri circa): è l'area occupata dal katholikòn, dalla fiali e dal refettorio. Gli edifici del monastero sono quasi tutti racchiusi dentro mura merlate, munite di torrazzi coperti e vegliate dall'alta torre merlata dalla parte della montagna. Questo dà al monastero un aspetto di castello fortificato, due cipressi altissimi occupano gli angoli del cortile davanti al refettorio; secondo la tradizione, furono piantati mille anni fa da sant'Atanasio. 

L'origine della Grande Lavra coincide con le origini stesse della vita monastica organizzata all'Athos per opera di sant'Atanasio, nel 963, con l'appoggio degli imperatori Niceforo II Foca (963-969) e Giovanni I Zimisce (969-976). 

La costruzione del katholikòn fu ultimata nel 1004, un anno dopo la morte di sant'Atanasio. Anche il successore di Giovanni I Zimisce, Basilio II (976 - 1025), favorì la Grande Lavra assegnandole in proprietà vasti territori. 

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Il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab (1512-1521) procurò la copertura di piombo del katholikòn. Alla fine del XVI secolo questo monastero, come altri, attraversò un periodo di decadenza e di povertà, che ridusse di molto il numero dei monaci. 

Come gli altri monasteri, anche la Grande Lavra in questo periodo era passata allo statuto idiorritmico, che conserva ancora. La sua ripresa data dal 1655 in seguito a un cospicuo lascito. Nel 1744 il patriarca Paisios II, al suo terzo patriarcato (1744-1748, fu patriarca quattro volte), aiutò finanziariamente il monastero e lo restituì al suo antico grado, il primo posto nell'ordine gerarchico.

Monastero di Vatopedi

Monastero idiorritmico, dedicato all'Annunciazione della Vergine (25 marzo). Fondato nel 972 circa. Il nome, di non facile spiegazione, fu interpretato dalla tradizione mediante un episodio leggendario che attribuisce la fondazione del monastero a Teodosio I (379-395). I figli di questo imperatore Arcadio e Onorio, ancora fanciulli, navigavano da Roma a Costantinopoli, quando presso l'Athos una tempesta furiosa mise in pericolo la nave. Il piccolo Arcadio si aggrappava al bordo della nave invocando la Madonna, ma un ondata più forte lo fece cadere in mare. Vani furono gli sforzi per ripescarlo. Cessata la tempesta il piccolo Arcadio fu trovato non lungi dalla spiaggia che dormiva pacificamente sotto una pianta di lampone; era stato salvato dalla Madonna. Più tardi l'imperatore per gratitudine fece costruire sul posto (o ricostruire, perché alcuni attribuiscono a Costantino la prima fondazione) un monastero in onore della Vergine Maria e lo chiamò Vatopédi per ricordare la salvezza del figlio. Infatti in greco vàlos significa "rovo, lampone" e pedion (scritto paidion) indica il "bambino". Forse la vera etimologia non è da paidion, ma da pedion "pianura": Vatopédi sarebbe “la piana dei lamponi", che infatti ancora vi crescono allo stato selvatico. 

La biblioteca possiede 680 manoscritti, di cui circa la metà su pergamena. Da Vatopédi dipendono la skiti di San Demetrio e la grande skiti di Sant'Andrea, detta anche Sarai, cioè palazzo, un tempo abitata da monaci russi (400 nel 1903), ora senza più monaci ma adibita a ospitare la Scuola dell'Athos (Athoniàs), data anche la sua vicinanza con Karyés. 

Il grandioso complesso monastico di Vatopédi è adagiato presso la curva graziosa di un'ampia baia. Le sue mura disposte a triangolo spariscono quasi sotto il cumulo di terrazze, loggiati, balconi; gli edifici dipinti di rosso delimitano un vasto cortile. Vi si trova il katholikòn, dalla consueta struttura "a trifoglio"; la cupola poggia su quattro colonne di porfido che si dice provengano da Ravenna. Due cappelle (pareclesia) fiancheggiano la chiesa principale. 

Due sono le caratteristiche proprie a Vatopédi: la conservazione di un bellissimo mosaico (Déisis) a sfondo d'oro sul timpano del portale entro il nartece (XI secolo) e una cappella isolata nel cortile dedicata ai santi Anargiri ("senza denaro": sono i santi Cosma e Damiano, medici che curavano senza farsi pagare), con le pareti esterne non a intonaco dipinto, ma tali da mostrare, con bellissimo effetto cromatico, fasce orizzontali alternate di pietre e di mattoni. Graziosa la fiali rotonda con due giri concentrici di colonne. 

Gli affreschi datati dal 1312 e più volte restaurati sono della scuola macedone; un altro mosaico, pure dell'XI secolo, nell'interno della chiesa rappresenta l'Annunciazione, a cui la chiesa stessa è dedicata. 

L'origine del monastero di Vatopédi risale al tempo di sant'Atanasio. Tre notabili di Adrianopoli, Atanasio, Nicola e Antonio vennero alla Grande Lavra e fecero professione monastica sotto la direzione di sant'Atanasio. In seguito essi stessi fondarono il monastero, la cui data si può porre nel 972, anno in cui fu emanato il typikòn di Giovanni I Zimisce. Un documento del 985 menziona Nicola igumeno di Vatopédi. Nel typikòn di Costantino IX Monomaco (1046) il monastero di Vatopédi figura già al secondo posto nell'ordine gerarchico. 

Vatopédi ebbe a soffrire del saccheggio da parte dei mercenari catalani di Andronico II (1282-I 328), ma lo stesso imperatore restaurò il monastero. Ricordiamo il soggiorno a Vatopédi dell'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno quando nel 1355, dopo aver abdicato, si fece monaco e venne all'Athos. L'ultimo zar di Serbia prima della dominazione turca, Lazzaro I Greblianovic ebbe modo di beneficare Vatopédi, a cui donò la reliquia della cintura della Madonna, che prima era conservata a Costantinopoli. 

Altre benemerenze verso il monastero ebbe il voivoda di Moldavia Stefano il Grande (1457-1504), il costruttore dei famosi monasteri moldavi di Putna, Neamts, Voronets. Le costruzioni monastiche attuali molto devono alle donazioni dei patriarchi di Costantinopoli, Cipriano (1708/1709, 1713/1714) e di Alessandria, Gerasimo 11(1689-1710). Posteriori a questi restauri sono gli affreschi del refettorio (1780). Dopo l'incendio che nel 1965 distrusse l'ala sud-est, con la foresteria e molte camere, il progetto e le spese della ricostruzione furono assunti dal governo greco.

Monastero di Iviron

Monastero a statuto idiorritmico fondato nel 979. E’ dedicato alla Dormizione (Assunzione) di Maria (15 agosto). Il nome significa "degli iberi", cioè dei georgiani i quali fondarono il monastero e lo tennero per qualche secolo. Attualmente i monaci sono tutti greci. La biblioteca è tra le più ricche dell'Athos, la più ricca in libri stampati dopo quella della Grande Lavra. Possiede 1381 manoscritti, di cui settanta su pergamena. Da Iviron dipende la skiti dedicata a san Giovanni Battista (Pròdromos), distinta dall'omonima dipendente dalla Grande Lavra. Quasi sulla riva del mare, forma un vasto quadrilatero di edifici, addossati alle mura e disposti attorno al cortile centrale, dove sorge il katholikòn, con le altre consuete costruzioni. 

La storia della sua origine è connessa con le vicende politiche intervenute alla morte di Giovanni I Zimisce (976). Teofano, la vedova di Niceforo II Foca, aveva sposato in prime nozze Romano II (959-963) da cui aveva avuto due figli, per la cui tenera età Niceforo II Foca e poi Giovanni I Zimisce (che era cognato di Romano II) si erano autorizzati a occupare il trono, senza voler sopprimere il diritto dei due bambini. Dopo tredici anni i bambini erano cresciuti e vennero riconosciuti imperatori: erano Basilio II (976-1025) e Costantino VIII (976-1028). A questo punto un pretendente al trono, Barda Scleros, mosse guerra ai giovanissimi imperatori. 

Intanto all'Athos già da un anno tra i discepoli di sant'Atanasio si trovavano due georgiani di nobile famiglia, Giovanni e suo figlio Eutimio, che era stato in ostaggio alla corte di Costantinopoli. Dopo aver praticato la vita monastica in un cenobio del Monte Olimpo in Misia erano venuti all'Athos nel 975, dove altri georgiani li avevano raggiunti; tra questi il generale Tornikios, che aveva reso grandi servigi all'impero. La madre dei due giovani imperatori, Teofano, che aveva abbandonato il suo esilio monastico per ricoprire il ruolo di imperatrice madre, conoscendo il valore di Tornikios, lo pregò di riprendere te armi in aiuto ai legittimi imperatori Tornikios, lasciato l'Athos, ottenne dal principe di Georgia David, vassallo dei bizantini, un fortissimo contingente di cavalieri che contribuì alla vittoria decisiva nel 979. Dopo di che ritornò all'Athos e, con i mezzi propri e l'appoggio fornito da Basilio II e dalla madre Teofano, promosse l'iniziativa dei suoi compatrioti Giovanni ed Eutimio e con loro costruì un nuovo monastero per i georgiani che sempre più numerosi accorrevano all'Athos. 

Fu appunto il monastero che i greci chiamarono Iviron (979 circa). Sant'Eutimio, il primo igumeno di Iviron, si rese celebre per l’immenso lavoro di traduzione e adattamento di scritti ecclesiastici dal greco in georgiano. Per mezzo suoi georgiani conobbero le opere di San Basilio, di san Gregorio Nazianzeno, come pure I Dialoghi del papa San Gregorio Magno. 

Verso 1040 venne a Iviron il monaco georgiano Giorgio l'Athonita, che succedette a sant'Eutimio come igumeno e come traduttore; per opera sua il patrimonio letterario costituito dai libri liturgici bizantini passò nella letteratura georgiana. Iviron rimase un centro culturale georgiano fino all'inizio del XVI secolo; da allora lo abitarono solo monaci greci. 

Tuttavia nella biblioteca vi sono ancora preziosi manoscritti georgiani. Ricordiamo un manoscritto greco con molte miniature del XIII secolo che contiene il romanzo dei santi Barlaam e Ioasaf (o Giosafat), una trasposizione della vita di Buddha sulla persona di Ioasaf, figlio di un re dell’India, che convertito al cristianesimo da santo eremita Barlaam, riuscì a convertire il padre e, rinunciando al regnò, si diede con Barlaam alla vita monastica. 

Anche Iviron ebbe a soffrire da parte dei pirati conobbe periodi di decadenza e successivi restanti. Tra i suoi benefattori vi fu il re di Serbia Stefano VII Dusan (1331-1355), che allargando le sue conquiste si rese padrone della Macedonia e dell'Athos (1334). Quando nel 1346 si fece Incoronare “imperatore dei greci e dei romani", erano presenti alla cerimonia anche i rappresentanti dei monasteri dell'Athos In seguito lo stesso Dusan visitò l'Athos elargendo i suoi benefici. Notiamo che il katholikòn dell'XI secolo fu ampliato e in parte rifatto nel 1523; gli affreschi sono posteriori a quella data. Nel 1865 il monastero fu devastato da un grande incendio, di qui il carattere recente di molti suoi edifici. 

L'icona più venerata a Iviron è chiamata Portaitissa ("custode della porta"), conservata in un'apposita cappella. E’ del tipo dell'Odighitria, ed è conosciuta in Russia col nome di Ivérskaja. la Madonna di Iviron. Secondo la leggenda essa sarebbe stata dipinta da san Luca; profanata da un saraceno (porta i segni di una ferita al viso), fu ritrovata dalla Terra Santa alla spiaggia di Iviron scortata da due piccoli lumi. Un eremita georigiano di nome Gabriele la raccolte e la portò sopra l'ingresso della sua grotta; furono pure fissati i due piccoli lumi. Saputa la cosa, l'igumeno fece trasportare l'icona nella chiesa del monastero, ma il giorno dopo fu ritrovata al posto di prima. L'igumeno decise di non opporsi al volere della Madonna. Dopo qualche tempo, nell'aprire l'ingresso del monastero il podere si accorse che l'icona miracolosa si trova al di sopra della porta. Corsero allora i monaci alla grotta dell'eremita. Gabriele era morto e i due piccoli lumi erano spariti.

Monastero di Hilandar (Chilandariou)

Monastero idiorritmico serbo, dedicato alla Presentazione di Maria al Tempio (21 novembre). Fondato nel 1197; ricostruito nel 1293. Il nome che sembra significare "mille uomini" (chilioi andres) fu diversamente spiegato: mille sarebbero stati i monaci del convento; mille, anzi mille e tre, i saraceni che un giorno assalirono il monastero, ma per un miracolo della Madonna trovandosi improvvisamente all'oscuro si uccisero combattendo tra di loro; i tre scampati abbracciarono la fede cristiana, furono battezzati e divennero santi monaci. Più probabilmente il nome si deve a un cerco monaco Chilandarios che aveva iniziato una residenza monastica in quel luogo poco prima della fondazione del monastero. 

La biblioteca contiene 105 manoscritti greci e slavi. Il monastero è il più vicino al confine settentrionale della repubblica monastica, Giace in una bellissima valle verdeggiante. Gli edifici dominati da un'alta torre, si addossano alle alte mura, disposti in forma di rombo attorno al Katholikòn dal caratteristico esterno, non intonacato ma con bella alternanza di mattoni rossi e bruni e decorazioni in ceramica attorno alle finestre. 

Pur non essendo dei più grandi questo monastero è tra i più belli dell'Athos. Gli affreschi del katholikòn e del nartece appartengono alla scuola macedone (dal 1319 in poi); furono restaurati con fedeltà nel 1804 Il refettorio fu affrescato nel 1623 dal monaco serbo Giorgio Mitrofanovic, ma vi furono scoperti frammenti del XIV secolo. 

L'origine del monastero è legata alla fuga dalla corte paterna di Rastko (o Rastmir) figlio del re di Serbia Stefano Nemanja (1186-1195); il giovane si fece monaco a Vatopédi col nome di Savva. Il padre, dopo aver riuniti i territori serbi della Rascia e della Zeta in un grande regno, abdicò e si fece monaco al monastero da lui eretto a Studenica, Poi nel 1197 raggiunse il figlio all'Athos e con lui fondò il monastero di Chilandàri che forse già esisteva in forma embrionale. Un decreto di Alessio III Angelo (1195-1203) stabili che questo monastero fosse destinato ai serbi, per i quali divenne un importante centro spirituale. 

Stefano Nemanja morì a Chilandàri e vi è venerato sotto il nome di San Simone (suo nome come monaco) Savva in seguito divenne arcivescovo di Ipek (ora Pec). Nel 1293 il re di Serbia Stefano V Milutin (1275-1322) fece restaurare il monastero e in quell'occasione fu costruito il katholikòn. Nel 1722 Chilandiri fu devastato da un incendio e visse anni difficili. Il re di Serbia Alessandro I Karageorgevic (1843-1858), recatosi all'Athos, dispose che vi si facessero a sue spese i restauri necessari e che vi fossero inviati monaci dalla Serbia per ripopolare il monastero. 

Anche a Chilandàri vi è un'icona particolarmente venerata nel mondo ortodosso. è la Madonna chiamata Tricherusa, cioè "dalle tre mani", perché ad un osservatore superficiale può sembrare che la Madonna (del tipo Odighitria ma col Bambino a destra) abbia una terza mano al disotto di quella che sostiene il Figlio. 

In realtà si tratta di una mano votiva. La leggenda riferisce il fatto miracoloso a San Giovanni Damasceno (m. 749) che, prima di essere monaco a San Sabba nel deserto a est di Betlemme, era funzionario del governatore di Damasco (conquistata dal califfo Omar nel 637). Citato in tribunale per il suo zelo nel difendere i cristiani, ebbe recisa la mano sinistra. Allora il giovane coraggioso prese la mano amputata e la presentò come segno di fedeltà davanti all'icona della Vergine, senza nulla chiedere. Ma dall'icona usci una mano della Madonna che riattaccò perfettamente l'arto amputato. Per riconoscenza Giovanni fece applicare all'icona una mano d'argento, poi si fece monaco e divenne un grande dottore della Chiesa. Un'altra storia dice che l'icona si trovava nel monastero di Studenica, e venne a Chilandiri da se stessa a dorso di mulo. Posta dai monaci sull'iconostasi, a tre riprese fu trovata alla mattina sul seggio dell'igumeno. Da quel tempo la Vergine è considerata la superiora del monastero, e non venne eletto più nessun igumeno.

Monastero di Dionysiou

Monastero cenobitico (dal 1907), dedicato a san Giovanni Battista. Fondato verso il 1375. Porta il nome del suo fondatore, il monaco Dionisio, che aiutato dai suoi discepoli ideò e iniziò la costruzione di questo originale complesso monastico. 

Nella biblioteca si conservano 588 manoscritti. Il monastero Dionysìu sorge poco discosto dal mare, nella parte sud-ovest della penisola. 

Le mura altissime poggiano su una roccia alta circa cento metri sul mare e da esse sporgono balconi e loggiati come sospesi nel vuoto. Data la ristrettezza della base, tutti gli edifici anche all'interno sono addossati attorno al cortile quasi inesistente e al katholikòn non molto grande e dipinto di rosso. Gli affreschi della chiesa e del refettorio (1547) sono dovuti a Zorzi il Cretese. 

L'origine del monastero si deve all'iniziativa del monaco Dionisio, che, avuta la visione di una fiamma immobile alta presso la riva, decise di costruire in quel posto un monastero. Venne in suo aiuto l'imperatore di Trebisonda (oggi Terabron in Turchia) Alessio III Comneno (1349-1390) con l'imperatrice Teodora. L'inizio della costruzione si può porre verso il 1375 circa. Nel tesoro del monastero si conserva la carta di fondazione, con una grande miniatura che rappresenta l'imperatore con la moglie nell'atto di tenere un rotolo sigillato, cioè la crisobolla con i privilegi concessi al monastero, mentre sopra di loro è rappresentato san Giovanni Battista. Benefattori del monastero furono i voivodi di Valacchia Radu il Grande (1495-1508) e Neagoe Basarab è di Moldavia Pietro Rares (1527-1546); ai primi si deve la torre che domina e costruzioni dalla parte della montagna. 

La costruzione attuale si deve in gran parte al principe di Moldavia Alessandro Lapusneanu (1564-1568), alla vedova di lui Roxandra e al principe di Valacchia Pietro Schiopul (1559-1567). In una cripta dcl katholikòn si conserva In un'urna il corpo di Nifone II patriarca di Costantinopoli (1486-1489; 1497-1498). Rifiutando una terza elezione al patriarcato, si ritirò all'Athos senza farsi riconoscere e visse nell'umile condizione di semplice monaco. Solo dopo la sua morte se ne scopri l'identità e, per l'esempio delle sue virtù, fu proclamato santo

Monastero di Kutlumusiou

Monastero a statuto cenobitico (dal 1856), dedicato alla Trasfigurazione (6 agosto). Fondato alla fine del XIII secolo e rinnovato nel XVIII secolo. Il nome deriva dalla famiglia turca dei Kutlumusìu a cui apparteneva il fondatore. La biblioteca possiede 560 manoscritti, di cui 95 su pergamena. Da Kutlumusìu dipende la skiti di San Panteleimon da non confondersi coi monastero russo dello stesso nome. Adagiato sul fianco della collina al centro della penisola, il monastero spicca tra il verde della costa che conduce a Karyés, da cui non dista molto. 

 E’ un complesso quadrangolare di modeste proporzioni, dove fanno bella mostra di sé tre piani di loggiati simili a chiostri sovrapposti. 

Le circostanze della fondazione si fanno risalire a Costantino figlio di Azz ed-Din della famiglia turca dei Kutlumush, imparentata con i sultani selgiuchidi di Konya; dopo la morte della madre Anna, che era cristiana, si portò a Costantinopoli al tempo di Andronico II e si fece cristiano. In seguito si ritirò sull'Athos e fondò il monastero che ne porta il nome. Dal XIV al XVII secolo fu abitato da monaci rumeni e fu beneficato dai voivodi moldavi e valacchi. 

Il katholikòn fu costruito nel 1540, dopo che un incendio nel 1497 aveva quasi interamente distrutto il monastero. L'ultima ricostruzione risale al XVIII secolo, dopo l'incendio del 1767.

Monastero di Pantokratoros

Monastero idiorritmico, dedicato alla Trasfigurazione (6 agosto). Fondato nel due fratelli 1363 da imparentati con la famiglia imperiale dei Comneni, il grande stratopedarca (generalissimo) Alessio e il grande primicerio (cancelliere) Giovanni. 

Il nome gli viene da un campo presso il monastero, detto "del Salvatore". 

La biblioteca possiede 234 codici. Sorge sulla riva settentrionale del mare; di piccole dimensioni, come il suo katholikòn, i cui affreschi datano dal secolo scorso. 

Tra i benefattori del monastero si ricordano i Paleologhi Manuele II (1391-1423) e Giovanni VIII (1425-1448), il voivoda di Valacchia Neagoe Basarab e il fanariota Giovanni Maurocordato (1716-1719). Le costruzioni furono ultimate nel 1700 col refettorio di fronte alla chiesa.

Monastero di Xeropotàmou

Monastero idiorritmico, dedicato ai santi Quaranta Martiri di Sebaste. Fondato nel X secolo e ricostruito nel XVIII secolo. Il nome, che significa "fiume asciutto", gli deriva da un torrente presso il quale fu costruito il monastero. 

La biblioteca non è molto ricca, ma conserva alcuni codici finemente miniati e qualche manoscritto ebraico. 

Sorge su un pianoro che sovrasta il porto di Dafni; è un quadrato che delimita il cortile interno entro cui oltre il katholikòn sorge la bassa torre. 

La fondazione è attribuita al monaco Paolo figlio dell'imperatore Michele I Rangabé (811-813) oppure a un certo Paolo Xiropotaminos, con l'autorizzazione di Romano I Lecapeno (919-944). 

Nel XII-XIV secolo aveva vastissimi possedimenti e fu beneficato dai re di Serbia, che ampliarono il monastero e fecero costruire la cappella dedicata alla Madonna, con un'alta cupola che domina sul lato settentrionale. 

Il monastero decadde in seguito ai due incendi del 1507 e del 1609. Alla sua rinascita contribuirono i patriarchi Timoteo II (1612-1620) e Metodio III (1668-1671) e inoltre Costantino Dapontes, letterato e uomo politico della corte dei principi di Moldavia Costantino e Giovanni Maurocordato, che, fattosi monaco a Xiropotàmu, vi risiedette dal 1757 al 1784; con i suoi mezzi e il prestigio personale rialzò le sorti del monastero. Nel 1972 un incendio ha devastato la foresteria, tre cappelle e qualche affresco. Tra i tesori di Xiropotàmu si trova il frammento più grande della reliquia della Santa Croce.

Monastero di Zografou

Monastero cenobitico (dal 1840), dedicato a san Giorgio (23 aprile). Fondato agli inizi del X secolo, secondo alcuni sotto l'imperatore Leone VI il Filosofo (886-911), secondo altri verso il 980. Il nome, che significa "(monastero) del pittore", si spiega con la tradizione sull'origine del monastero: tre fratelli di Ocrida, Mosè, Aronne e Giovanni, non accordandosi sul patrono a cui dedicare il monastero, misero nella chiesa una tavola non ancora dipinta e iniziarono a pregare; la tavola si dipinse da sé e apparve l'immagine di san Giorgio che i monaci chiamarono Zogrifos, ed è ancora in grande venerazione. 

La biblioteca conserva 259 manoscritti slavi e 107 greci. Zogràfu si trova nascosto dai boschi in una vallata dell'interno a un'ora di cammino dal suo porto, posto sulla sponda occidentale. L'aspetto regolare e quasi senza balconi sporgenti accusa lo stile razionale e monotono del XIX secolo. Infatti il katholicòn fu costruito nel 1800, l’ala nord e l’entrata negli anni 1862-1869. Di poco più antica è l'ala sud-est (1716), mentre delle ricostruzioni operate dai Paleologhi rimangono pochi elementi dopo il saccheggio dei pirati catalani. 

Sembra che già dall'XI-XII secolo il monastero sia stato di proprietà esclusiva dei bulgari. Dopo un periodo di decadenza venne ripopolato nel 1502, con l'aiuto dei voivodi della Moldavia. L'icona di San Giorgio sembra del XIV secolo e secondo gli esperti, sarebbe di stile italiano.

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