- Lipari
Sin
dal 1928, Lipari é stato teatro di ricerche archeologiche. Si deve al
Senatore Orsi la scoperta della necropoli di contrada Diana, e sin dal
1946, l'impegno e l'attività dei valentissimi archeologi Luigi Bernabò
Brea e Madeleine Cavalier ha consentito il ritrovamento di tutti gli
altri siti archeologici.
La
dovizia dei reperti testimonia l'importanza assunta, sin dal V millennio
a.C., dall'arcipelago eoliano che fungeva da centro di scambi tra
Oriente ed Occidente. L'ossidiana ha certo rappresentato, già prima
dell'età del bronzo, una fonte di ricchezza. Questo vetro vulcanico
nero e tagliente, ampiamente utilizzato nella costruzione di armi,
attrezzi da lavoro ed utensili, fu esportato in tutto il Mediterraneo.
Probabilmente fu l'ossidiana a destare l'interesse delle prime
popolazioni, provenienti dalla Sicilia, che si stanziarono sugli
altipiani di Lipari presso il Castellaro Vecchio e a Salina presso
Rinicedda.
Nell'area
del Castello ed alla sua base il vento, soffiando sugli altipiani ha
depositato, secolo dopo secolo, ceneri vulcaniche che hanno ricoperto e
preservato le vestigia di ogni epoca che si é succeduta. Questa
stratigrafia é unica nel suo genere. Si ritiene che ai primi abitanti
dediti all'agricoltura se ne siano sostituiti altri forse provenienti
dalle coste dalmate. Questi ultimi si stanziarono sulla rocca del
Castello e diedero un nuovo impulso all'economia ed alla cultura
dell'isola, come testimoniano i resti di ceramica dipinta e decorata.
Col passare dei secoli la comunità, divenuta più numerosa, si trasferì
dal Castello alla contrada Diana.
A
Lipari e nelle isole minori si costituiscono piccoli insediamenti
agricoli e una flotta commerciale (III millennio a.C.). Si susseguono
nuove culture: quella denominata di Pianoconte (2700 a.C.), che si
diffuse sugli altipiani di Lipari e nelle isole minori, e quella di
Piano Quartara a Panarea (seconda metà III millennio a.C.) che denotano
un periodo di recessione. Gli insediamenti degli ultimi secoli III
millennio a.C. in piena età del Bronzo testimoniano, invece, nuova
prosperità.
In
tutte le isole si affermò la cultura di Capo Graziano i cui
ritrovamenti più conosciuti sono stati effettuati nell'omonima località
di Filicudi. Si tratta dei resti di due abitati: il primo in prossimità
della sponda, il secondo in cima alla collina; da ciò si deduce che la
popolazione, forse temendo scorrerie ed invasioni, fu costretta a
trasferirsi in un luogo più facilmente difendibile. Ciò accadde anche
a Lipari dove la popolazione si trasferì dai piedi della rocca del
Castello alla sua sommità. Si ritiene siano popolazioni provenienti
dalla Grecia, forse gli Eoli di cui narra l'Odissea di Omero, attirate
dalla posizione strategica che permetteva di controllare lo Stretto di
Messina e la via commerciale con l'Oriente, che diedero vita a questa
fase, durata ben sette secoli.
Verso
il XV secolo a.C. Lipari venne conquistata da popolazioni siciliane che
diedero vita alla cosiddetta "cultura del Milazzese", dal nome
dell'omonimo promontorio di Panarea. Le invasioni si susseguirono e si
affacciò un nuovo popolo proveniente dalla penisola Italica (1270 -
1125 a.C. circa): gli Ausoni di re Liparo, a cui si fa risalire
l'attuale nome dell'isola maggiore. Questa nuova cultura sovrappose le
proprie costruzioni sulla rocca del Castello e a questa fase, denominata
Ausonio I, forse si riferisce il ritrovamento di un vaso contenente
ottanta Kg. di bronzo in lingotti, armi ed utensili vari.
All'Ausonio
I si sostituì l'Ausonio II verso la fine del XII secolo a.C. con
evidenti tracce di distruzioni. Seguì un periodo di grande prosperità,
che durò 150 anni, durante i quali fiorirono gli scambi commerciali con
la Sardegna e con la Grecia, come attesta la grande quantità di
ceramiche ritrovata. Nell' 850 a.C. la roccaforte di Lipari venne
espugnata e l'intero arcipelago rimase quasi disabitato per tre secoli .
I discendenti degli scampati all'immane distruzione (solo 500 secondo
Diodoro) accolsero di buon grado, verso il 580 a.C., gli Cnidi, un
gruppo di colonizzatori greci, che combatterono i pirati etruschi
riportando splendide vittorie navali. Colonizzatori ed indigeni si
fusero formando un unico popolo che si diede una organizzazione sociale
paritaria. Mentre una parte degli abitanti si dedicava all'agricoltura
ed alla pastorizia, l'altra provvedeva alla difesa ed alla costruzione
di navi.
Lipari
venne ricostruita secondo il modello greco: l'acropoli sulla rocca e il
borgo ai piedi delle possenti mura. La nuova comunità progredì e la
costruzione di una flotta le consentì di acquistare una posizione di
preminenza nel basso Tirreno. Il felice periodo é attestato dai
ritrovamenti archeologici: le mura e i resti di una torre; la necropoli
di contrada Diana, con le numerosissime tombe e relativi corredi
funerari giunti sino a noi intatti; la fossa votiva di un santuario,
profonda 7 metri ed a forma di cisterna, con le offerte ritualmente
frammentate. Con i frammenti ceramici é stato possibile ricostruire
molti vasi, esposti al Museo, che testimoniano il buon livello raggiunto
dagli artigiani nella manifattura.
Lipari
fu alleata per lungo tempo ai siracusani, per far fronte ai tentativi
espansionistici Cartaginesi ed ateniesi. Il IV secolo a.C. rappresentò
l'apice della prosperità economica con un abitato di vaste proporzioni
e la produzione di ceramiche dipinte policrome e terrecotte raffiguranti
scene teatrali. Nel 304 a.C. Lipari venne saccheggiata dai siracusani di
Agatocle, ed iniziò il suo declino. Durante la I guerra punica, fu
alleata dei Cartaginesi contro i romani. Dopo alterne vicende, la flotta
cartaginese venne distrutta da Caio Duilio e Lipari, assediata, fu
devastata nel 251 a.C. con grandi stragi segnando l'inizio della
dominazione romana.
La
prosperità di cui Lipari godette nei due secoli di influenza greca,
ebbe fine con la conquista romana. L'isola, piccola ma indipendente,
aveva raggiunto un livello di ricchezza attestato dalla produzione
locale di raffinate ceramiche e da un abitato di proporzioni insolite
per l'epoca.Alle distruzioni, alle stragi e alle deportazioni romane
seguì un lungo periodo di miseria: divenne una cittadina di provincia
senza importanza, soggetta ad una guarnigione stanziatasi nel
Castello.Diventò Municipio in età imperiale, luogo di deportazioni e
confino.
Dal
III secolo, sotto l'influenza bizantina, fu forse sede vescovile e meta
di eremiti in cerca di rifugio. La comunità cristiana riconobbe come
proprio patrono San Bartolomeo le cui reliquie divennero oggetto di
culto. Gli scavi, che hanno portato alla luce i resti di un'arena, di
terme e di strade, dimostrano che Lipari, nel V secolo, era tornata
all'antica vitalità. Nel 543 i Goti impiantarono a Lipari una base
navale.
Nell'Alto
Medioevo, Lipari decadde rapidamente sia a causa della ripresa
dell'attività vulcanica del Monte Pelato e della Forgia Vecchia nel
729, sia a causa dei continui attacchi degli arabi che nell'838,
devastarono la città deportandone gli abitanti. Le isole rimasero
disabitate per due secoli, fino all'arrivo dei Normanni che, nel 1083,
insediarono nel Castello i monaci Benedettini che vi fondarono un
monastero con annesso chiostro.
Già
nel 1091 il monastero acquistò la signoria feudale sulle isole Eolie
con una Bolla di Papa Urbano II. L'abate del monastero, il monaco
Ambrogio, promulgò, nel 1095, il "Constitutum", un documento
che concedeva ai cittadini e ai loro eredi la proprietà della terra che
coltivavano. Allo scopo di colonizzare Lipari, la proprietà venne
concessa anche ai forestieri, ma solo dopo aver coltivato i fondi per
tre anni e con l'obbligo, in caso di vendita, di alienarlo agli abitanti
del luogo. Fu attuata una concreta opera di rinascita delle isole
mediante il ripopolamento e il conseguente sfruttamento dei terreni
abbandonati dopo l'incursione saracena dell'838. Una riproduzione
fotografica del documento si può visionare nella XXVI sala del Museo di
Lipari.
La
cattedrale dedicata a San Bartolomeo fu costruita accanto all'abbazia
benedettina, dopo un secolo dall'arrivo dei Normanni, con materiali
provenienti dalle mura greche, sulle rovine di quella protocristiana che
a sua volta aveva forse sostituito un tempio greco-romano. La grandiosità
della cattedrale dimostra che nuovamente la città era tornata a vivere.
I commerci rifiorirono anche grazie ai privilegi fiscali (libera
esportazione di zolfo, allume e pomice) che i re Angioini e Aragonesi
concessero ai Liparesi.
Nel
1544, il pirata saraceno Ariadeno "Barbarossa", alleato dei
francesi contro Carlo V, attaccò Lipari con una flotta di 150 navi e la
saccheggiò dopo un lungo assedio. Ne bruciò le case e la cattedrale e
deportò 8000 abitanti, l'intera popolazione, come schiavi. Grande fu lo
smarrimento nel mondo cristiano. Carlo V, sovrano spagnolo di Napoli,
fece costruire mura più imponenti attorno alla cittadina e, mediante
esenzioni fiscali e privilegi, favorì il ripopolamento di Lipari (dove
si trasferirono principalmente spagnoli e campani). Tuttavia, le isole
continuarono a vivere sotto il terrore delle incursioni e, nel 1589,
vennero annesse al Regno delle Due Sicilie. Bisogna attendere la fine
del 1700 perché, con la scomparsa della pirateria turca, la città
torni ad espandersi, prima sotto gli Spagnoli, poi sotto i Borboni, i
Savoia, gli Austriaci ed infine nuovamente sotto gli Spagnoli fino
all'Unità d'Italia.

Con
i suoi 37 km2, Lipari è l'isola più vasta dell'arcipelago. I fianchi
delle sue montagne si presentano straordinari per i colori e per i
materiali vulcanici che li costituiscono: dapprima le colate rossastre
di ossidiana, poi le bianche cave di pomice, che formano fantastici
scivoli verso l'azzurro del mare. L'isola presenta numerose
manifestazioni vulcaniche secondarie, rappresentate da sorgenti termali,
fumarole e solfatare.
“L’isola
di Lipari è di piccole dimensioni, abbastanza fertile ma, soprattutto,
possiede quei prodotti che rendono lussuosa la vita degli uomini:
fornisce ai suoi abitanti pesci di ogni tipo in gran quantità e quei
frutti in grado di offrire straordinario diletto a chi ne goda.”
Diodoro Siculo, nella sua Biblioteca Historica, offre una spiegazione più
che condivisibile del motivo per cui Lipari nell’antichità era
chiamata Meligunis, “terra dolce”.
Anche
il toponimo che si è poi affermato non si discosta molto dalla
descrizione fatta dallo storico di Agira: Lipara significa infatti
“grassa, untuosa”, e per estensione “fertile, brillante”. La più
grande delle Eolie, con i suoi 37 chilometri quadrati di superficie, è
anche la più ricca di storia, concentrata in un luogo-simbolo.
Sbarcando
a Marina Corta
i bar affollati, i negozietti e i ragazzini che si tuffano dal molo ci
fanno sentire lontanissimi dalla pericolosa malia di Vulcano. A Lipari
si viene soprattutto per toccare con mano la millenaria storia
dell'arcipelago.
Basta
alzare la testa, arrivati a Marina Corta, insieme a Marina Lunga uno dei
due porti di Lipari città, per scorgere la sagoma della
"cittadella" o "Castello". Il
Castello occupa una roccia a strapiombo sul Tirreno, le cui scoscese
pareti costituiscono una difesa naturale formidabile contro gli attacchi
provenienti dal mare, tanto che la cittadella risulta abitata da circa
6000 anni e gli scavi iniziati nel 1950 hanno permesso di ricostruire 10
metri di stratigrafia culturale. Il Castello attuale risale al XVI
secolo e fu voluto da Carlo V (1500-1558) dopo l’ennesimo attacco
turco che aveva messo a ferro e fuoco l’isola, distruggendo anche la
Concattedrale di San Bartolomeo. Il culto dell’apostolo sull’isola
era molto forte: secondo la tradizione le sue reliquie erano giunte a
Lipari nel 264, e lì rimasero fino al sacco dei Saraceni nell’838. La
chiesa in cui erano custodite le spoglie del santo fu riedificata nella
seconda metà dell’XI secolo da Ruggero I di Sicilia e una seconda
volta appunto dopo l’attacco turco: grazie alla scenografica scalinata
che permette di raggiungerla, la facciata dell’edifìcio, impreziosita
da portali di marmo con colonne ioniche, sembra protendersi verso il
cielo; di particolare interesse è anche il chiostro normanno.
La
parte più antica di questa lunga storia è conservata nelle sale del
Museo Archeologico Eoliano, ospitato in vari edifici tutti nella
Cittadella. Il Museo archeologico
regionale eoliano è situato nel complesso del Castello di Lipari ed è
intitolato a Luigi Bernabò Brea (1910-1999), l’archeologo che lo
diresse per lungo tempo e che grazie ai suoi studi riuscì a individuare
importanti correlazioni tra le civiltà del Mediterraneo occidentale e
orientale. I sei padiglioni del museo documentano e illustrano gli
insediamenti umani e il loro sviluppo nell’Arcipelago dal Neolitico
fino alle soglie dell’Età moderna, ri percorrendone le varie fasi:
dallo sfruttamento dell’ossidiana alle capanne di pietra dell’Età
del Bronzo, dai corredi funerari di epoca greca e romana della Necropoli
di contrada Diana a Lipari, fino alle centinaia di reperti rinvenuti nei
relitti sui fondali delle Eolie. Il complesso ospita inoltre un
padiglione in cui viene approfondita (a storia dei vulcani
dell’Arcipelago e una collezione di arte contemporanea, che ha sede
nelle ex carceri del Castello.

Terminato
il tuffo nella storia si può partire alla scoperta dell'isola,
muovendosi verso nord, in direzione Canneto, il secondo centro abitato.
Da qui una breve camminata porta alle famose Spiagge Bianche, dove i
colori dell'acqua sono caraibici per la presenza di polvere di candida
pomice estratta dalle cave della vicina Porticello, posta quattro
chilometri più a nord e raggiungibile in autobus o in barca. Per avere
un'idea dell'intera isola si può percorrere la provinciale che,
partendo da Lipari, gira ad anello collegando i punti principali.
Imperdibile la strepitosa vista sui faraglioni e su Vulcano che offre il
Belvedere Quattrocchi, una terrazza panoramica tra Pianoconte e Lipari.
Due
sono gli approdi: Marina Corta, attracco per aliscafi e pescherecci,
collegata tramite un breve istmo alla penisoletta su cui sorge la chiesa
delle Anime del Purgatorio, e Marina Lunga, destinata alle navi. Il
periplo delle sue coste offre un'incredibile varietà di colori: il
tipico rossastro del promontorio di Monterosa, il bianco fondale di
pomice della Spiaggia Bianca, la colata di ossidiana delle Rocche
Rosse... Vale una visita anche l'entroterra: Piano Conte, situato a 300
metri di altitudine, coltivato a vigneti, è preceduto dal belvedere di
Quattrocchi, da cui si gode un suggestivo panorama.
Nei
dintorni si trova la settecentesca chiesa dell'Annunziata, dall'insolita
scala di accesso a forma di imbuto rovesciato. In pochi minuti si
possono raggiungere anche le terme di San Calogero, ove sgorgano le
acque utilizzate per fanghi e bagni nella cura della gotta e dei
reumatismi.
Qui
è venuto alla luce il più antico impianto termale esistente al mondo,
completo di canalizzazioni e di stufa: risale al XVII
secolo a.C.
Ma
le attrattive di Lipari non si riducono alla sola storia, perché il
mare nelle Eolie è sempre protagonista: tra i tanti angoli suggestivi
bisogna menzionare la Spiaggia Acquacalda, nella zona nord- est
dell’isola, nota anche come Spiaggia Bianca; è infatti sovrastata da
una duna di pomice bianca finissima, trovandosi in prossimità delle
cave da cui veniva estratto il materiale, come testimoniano i pontili
utilizzati per trasportare sulle navi la pomice e l’ossidiana.
- Alicudi

L'isola
di Alicudi è la più occidentale dell'arcipelago eoliano e si
trova a circa 34 miglia marine (quasi 63 km) a ovest di Lipari.
È dominata dal monte Filo dell'Arpa, il cui toponimo deriva
dal termine dialettale arpa o arpazza col quale si
indica la poiana.
La
pianta dell'isola è quasi circolare, con superficie di circa 5 km²,
con coste ripide ed aspre, e costituisce la parte emersa, dai 1.500 m
di profondità del fondo del mare fino ai 675 m s.l.m. del punto
culminante, di un vulcano spento, sorto attorno a 150.000 anni
fa e rimodellato da successive eruzioni e fenomeni quaternari.
L'isola
è abitata solo sul versante meridionale, digradante verso il mare in lenze (stretti
appezzamenti), sostenute da muri a secco. Questo versante,
significativamente antropizzato a scopi abitativi e colturali, risulta
meno scosceso di quello opposto, battuto dai venti e continuamente
soggetto a fenomeni erosivi e conseguenti frane, dette sciare.
Alicudi
fu abitata dal Neolitico, come attestato da tracce rinvenute presso
l'attuale porto e sulla sommità dell'isola. Al IV secolo a.C. sono
datate alcune sepolture a lastre di pietra lavica rinvenute in località Fucile nel
1924, con corredo funerario di lucerne e vasi fittili.
Frammenti
di vasellame di età romana si rinvengono sulla costa orientale
dell'isola.
L'Isola
dell'erica era abitata nel dopoguerra da oltre 600 persone, in gran
parte poi emigrate in Australia. Nel 2001 la popolazione contava meno di
cento residenti che, però, diminuiscono notevolmente nel periodo
invernale.
Le
spiagge dell'isola sono a ciottoli e scogli e le mareggiate invernali le
fanno arretrare o avanzare, lasciando a volte pochi lembi di rena scura.
Il
giro dell'isola è possibile, ma presenta il rischio della caduta di
pietre, smosse dal vento o dalle capre brade, e richiede l'aggiramento a
nuoto di alcune formazioni rocciose. Risalendo invece le ripide
mulattiere, ci si immerge nella macchia. Nella zona del vecchio cratere
e sui fianchi sommitali l'ambiente, più fresco, presenta felci, distese
di asfodelo, pochi castagni residui, erica ed altri
arbusti.
La
fauna è molto varia e ricca; in primavera e autunno compaiono uccelli
migratori come il pellicano, l'airone rosso, l'airone cenerino, il
fenicottero rosa. Tra le specie stanziali vi sono il corvo
imperiale, il piccione selvatico, il germano reale, la berta
maggiore e la berta minore, detta localmente araghiuni.
Tra i rapaci il falco pellegrino, il lodolaio, il falco
della regina e il falco cuculo. Tra i mammiferi, il coniglio
selvatico.
Le
case tradizionali hanno il tetto piano per la raccolta dell'acqua
piovana, che viene convogliata in grandi cisterne; camere
intercomunicanti affiancate, che si aprono su terrazzi con sedute in
muratura e tipiche colonne a tronco di cono, sulle quali si appoggiano
le travi in legno dei pergolati, sostegno di viti ombreggianti.
In
molte case sono ancora sfruttati, per conservare gli alimenti, i rifriggiraturi,
piccoli vani con una porticina, posti allo sbocco di cunicoli di
comunicazione ipogea, da cui fuoriescono soffi d'aria alla temperatura
costante di una decina di gradi.
Accanto
alle abitazioni si trovano ancora numerose mànnare, costruzioni di
pietre naturali a secco, a pianta circolare, coperte con falsa cupola, a
cui si accede da bassi ingressi privi di serramento, con pavimento in
terra battuta, destinate un tempo a ricovero di ovini.
Sull'isola
non esistono grotte in cui entri il mare; invece sul fianco ovest, a
mezza altezza ma impossibile da raggiungere in sicurezza se non con
tecniche alpinistiche, si trova una grotta popolata da chirotteri.
Altre
conformazioni geologiche tipiche, oltre alle sciare, sono il Perciato,
lo Scoglio della Palumba con la prospiciente Praia della
Palumba e lo Scoglio Galera, alta quinta naturale che si
inabissa e riemerge pericolosamente a pelo d'acqua sul lato occidentale.
Rappresentano variegate opere d'arte naturali gli scogli e le bancate di
rocce, dal colore grigio scuro al bruno-arancio che sconfina anche nel
rosso vinaceo, granulose o lisce al tatto, trabecolate o semplicemente
solcate da fessure.
L'isola
è in parte protetta, essendo inserita in un Parco naturale con percorsi
segnalati; ci si affida alla sensibilità dei visitatori per
l'attenzione da prestare ai rischi di incendi estivi e alla salvaguardia
di fiori, essenze, insetti e animali selvatici.
Le
case sono distribuite in sei agglomerati principali, raggiungibili
solamente percorrendo mulattiere, antiche o ricostruite, a gradoni di
pietra:
-
Alicudi porto, a livello del mare, posta tra il molo nuovo, attracco per
aliscafi e traghetti, e il molo vecchio, da cui faceva la spola in
precedenza il rollo (barca a remi) verso le navi al largo, e l'arco di
roccia detto Perciato. Vi si trovano le due sole botteghe di generi
alimentari dell'isola, un bar, una boutique, l'unico albergo, l'ufficio
postale, la centrale elettrica. Più in alto si trova la Chiesa del
Carmine, in posizione panoramica, con la torre campanaria separata dal
corpo centrale dell'edificio. Ad Alicudi non esistono agenzie bancarie,
bancomat e farmacie.
-
Contrada Tonna, antico insediamento con suggestivi edifici in puro stile
eoliano, è la frazione più ad ovest dell'isola.
-
San Bartolo o Montagna, borgo posto ad una altezza di circa
370 metri e a quasi mille gradini dal mare, in passato era il principale
abitato dell'isola, permettendo ai contadini di raggiungere le campagne
coltivate. Oggi è del tutto disabitato. A poca distanza si trova la Chiesa
di San Bartolo, risalente al 1821, edificata sui resti di una sacrestia
seicentesca e considerata l'unico monumento storico dell'isola.
-
Contrada Pianicello, posta alla medesima altezza di S. Bartolo ma più
ad ovest, è abitata da una popolazione di madrelingua tedesca. Non vi
arrivano acqua corrente, né energia elettrica.
-
Contrada Sgurbio, anch'essa alla stessa quota di S. Bartolo, sulle balze
di un costone nel lato Est dell'isola. Questa piccolissima frazione è
composta da cinque case, ad ognuna delle quali è stato dato il nome di
uno dei sensi del corpo umano.
-
Bazzina, ultimo gruppo orientale di case ed unica località pianeggiante
dell'isola in riva al mare. È raggiungibile solo in barca o, partendo
dalla Chiesa del Carmine, attraverso un sentiero a strapiombo sul mare. Bazzina
Alta è stato il primo borgo ad essere stato abbandonato dagli
isolani e sovrasta l'omonimo abitato costiero.

Il
mare sfoggia un intenso colore blu alla Yves Klein, che ti avvolge
arrivando in aliscafo da Lipari, oppure in alternativa col battello
dalla costa messinese. Alicudi, la seconda isola più piccola e quella
meno abitata delle Eolie, è un cono vulcanico che spunta soltanto un
po’ dall’acqua. Per il resto, quasi un chilometro e mezzo, vi è
immersa completamente e verticalmente. Non
ci sono strade né automobili, soltanto mulattiere risalenti agli anni
Venti del secolo scorso. Le valigie e le merci vengono
caricate in groppa a Otto e agli altri sei muli che scalano agili i
gradoni, detti «lenze», sino alla sommità, posta alla quota di 675
metri.
La
vita dei 180 alicudani ruota tutta intorno alla piazzetta dedicata a San
Giuseppe: i pescatori –
sono quattro e si chiamano Silvio, Fabio, Alduccio e Dario –
ormeggiano le proprie barchette stipate di palloni da calcio in plastica
e offrono i loro saraghi a chi si addentra un poco in mare per
contrattare il pescato o accordarsi sull’orario della cena a casa
loro, dove le mogli cucinano per gli amanti del mare, del trekking e
della solitudine che scelgono di avventurarsi sino a qui.
Ma
Alicudi non è un’isola per eremiti. Al
bar L’Airone sul molo che porta alla scenografica spiaggia di Perciato,
dove le rocce laviche paiono sparate dalla bocca del vulcano come
turaccioli di bottiglie, c’è
sempre una folla che si disseta dall’arsura già in giugno mangiando
granite alla mandorla e al gelso o sorseggia avidamente i
sorbetti al limone. Mentre lì accanto, all’ora
dell’aperitivo – il momento, insieme all’alba, in cui
la sagoma di solito un po’ sinistra di Stromboli fa capolino e magari
anche l’inchino all’orizzonte – ci
si ritrova con le birre e i panini comprati all’alimentari di Luca
Baratta: ricercatore universitario che d’estate torna
sull’isola per dare una mano ai suoi genitori.
Pochi
metri più avanti si può cenare sotto la veranda tinteggiata di bianco
dell’Hotel Ericusa oppure andare
a casa di Pino La Mancusa, pittore e cantastorie, il quale con la moglie
cucina divinamente e nelle notti di luna piena intona nenie agli astri.
I giornali arrivano soltanto il giovedì e nelle case che si affittano
la televisione non c’è. Per trovarne una bisogna chiedere alle
signore che dai balconi osservano col binocolo l’arrivo dei traghetti,
oppure vendono sugli usci frullati di fichi d’India e barattoli di
capperi.
Mentre
ci si inerpica diretti alla
chiesa di San Bartolo, il primo belvedere dell’isola posto a quota 754
gradini, e a quello successivo e un po’ più arduo di Pianicello,
si imparano a riconoscere il citiso delle Eolie, l’erica arborescens,
il lentisco, la ferula communis che crescono selvagge e indomite anche
accanto alla casa in cui Nanni Moretti girò alcune scene di Caro
diario. Da lì si può scendere alla spiaggia
di Bazzina, dove il paesaggio si cheta. Tanto che ci si può
anche mettere a correre sull’arenile di rocce tonde e sassi rossi, per
poi tuffarsi nuotando liberi e nudi nell’azzurro circondati da massi
in granito a forma di pinne e dorso di squalo, mentre Stromboli vi
osserva accigliato da lontano. Giurassico
è il trekking verso la contrada di Tonna dove le case sono bianche e
piene di archi, abitate da artisti un po’ solitari e abbastanza
eccentrici, che volentieri vi invitano a raggiungerli sulle
terrazze sfoggianti colonne e sedute dette «bisuoli»; sulle quali
infine accoccolarsi a scrutare, con un calice di malvasia eoliano,
l’orizzonte blu.
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