Rive della Senna a Parigi, tra Pont de Sully e Pont d’Iéna
Francia 

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1991

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Louvre - Pittura fiamminga, olandese e tedesca

La pittura della scuola nordica è il risultato di una sintesi tra l'espressione precisa e lineare dei miniaturisti, la delicatezza cromatica degli italiani e il naturalismo gotico. Tutti questi caratteri compaiono già nelle opere dei fratelli van Eyck, in modo particolare nella Vergine e il cancelliere Rolin (1435 circa), dove si afferma un realismo che diverrà uno dei tratti specifici di questa scuola. In seguito, alcuni pittori come Rogier van der Weyden (Annunciazione) o Memling (Ritratto di vecchia) stempereranno questo realismo con un grafismo melodico che ricorda quello gotico. Alcune caratteristiche di questo stile si perpetueranno oltre i limiti di questo stesso secolo con due grandi maestri: Hieronymus Bosch (La nave dei folli) e Bruegel il Vecchio (Gli storpi).

È molto probabile che la collezione di Francesco I abbia compreso anche alcuni quadri fiamminghi contemporanei. Tuttavia occorrerà aspettare il Museo Napoleone perché i primitivi fiamminghi raggiungano la fama. Fra le numerose opere requisite, rimasero al Louvre solamente quelle di van Eyck e di Rogier van der Weyden, nonché Il banchiere e sua moglie di Quentin Metsys, acquistato a Parigi nel 1806.

La frattura politica e religiosa tra le province settentrionali e quelle meridionali dei Paesi Bassi incide, a partire dal XVI secolo, sulla divisione delle scuole fiamminga e olandese. Divenuta indipendente, l'Olanda sviluppa un'arte originale, favorita da una nuova classe borghese molto ricca, impregnata dell'atmosfera grave e severa della religione riformata.

Rembrandt e Frans Hals sapranno ritrarre con acutezza e intensità psicologica le riunioni delle grandi confraternite dell'epoca.

Quanto alla pittura fiamminga, essa è dominata dal genio di Rubens. I primi quadri a fare il proprio ingresso nel XVII secolo all'interno delle collezioni reali sono quelli di artisti viventi recatisi a lavorare a Parigi per conto della regina Maria de' Medici: Frans Pourbus, che dipinge il ritratto ufficiale della regina, e Rubens, chiamato dalla regina per realizzare la decorazione della galleria del suo palazzo del Luxembourg (Lo sbarco di Maria de' Medici a Marsiglia). Capolavoro della pittura barocca, quest'opera non avrà effetti sul Classicismo francese che alla fine del secolo, epoca in cui i difensori del "colore" la fecero prevalere sui Poussinisti, che sostenevano il primato del disegno. Le collezioni di pittura fiamminga si moltiplicano e il gabinetto del re si arricchisce di nuove opere di Rubens (la Kermesse) e di van Dyck, senza dimenticare i grandi maestri olandesi (in particolar modo l'Autoritratto al cavalletto di Rembrandt). Con Luigi XVI, e più precisamente, col suo Direttore alle costruzioni, il conte d'Angiviller, si assiste ad un sostanziale ampliamento della collezione. Impregnato dello spirito enciclopedico dei suoi contemporanei, d'Angiviller si sforzò di colmare le lacune del museo, soprattutto per quanto riguardava le scuole del Nord. Furono così acquistate nuove opere di Rubens (Hélène Fourment), di Van Dyck (Carlo I, re d'Inghilterra) di Rembrandt (La cena in Emmaus), nonché opere di Jordaens, di Ruysdael e di Cuyp.

Questo fondo venne arricchito da alcuni capolavori donati dal dottor La Caze nel Secondo Impero, fra i quali è giusto citare la Bohémienne di Frans Hals e Betsabea al bagno di Rembrandt.  

L'importanza della collezione di pittura tedesca del Louvre è incontestabile, anche se il numero dei quadri che la compongono è relativamente ristretto. Il XV secolo è dominato da un insieme degno d'interesse, costituito da quadri della scuola di Colonia: i Maestri della Sacra Famiglia e di San Severino restano fedeli allo stile di Stephan Lochner, la cui personalità domina la prima metà del XV secolo, mentre è visibile l'influenza dell'arte fiamminga presso alcuni artisti come il Maestro di San Bartolomeo (Tavola della Deposizione).

Il pezzo forte della collezione risale al Rinascimento. L'ordine di questa sezione è delle più prestigiose: i cinque ritratti di Holbein, una delle glorie del museo, hanno fatto il loro ingresso nella collezione reale nel XVII secolo.

Il Ritratto di Erasmo è un dono di Carlo I d'Inghilterra al cognato Luigi XIII. Gli altri quattro quadri (in special modo i ritratti di Nikolas Kratzer e di Anna di Clèves) facevano parte della collezione del banchiere Jabach che Luigi XIV acquistò nel 1671. In queste opere Holbein da prova del proprio talento di ritrattista, affiancando ad una minuziosa attenzione per la realtà un sorprendente senso della semplificazione dei volumi e delle forme.

Albrecht Durer che, assieme ad Holbein, incarna il tipo dell'artista umanista del Rinascimento tedesco, è presente col suo Autoritratto del 1493, acquistato dal Louvre nel 1922.

La collezione raggruppa anche alcuni dipinti di Lucas Cranach, fra cui spicca una Venere acquistata nel 1806.

Accanto a questi tre grandi nomi, altri testimoniano la ricchezza artistica della Germania nel XVI secolo, ma sono rappresentati al Louvre solo in maniera frammentaria, con tele di Hans Baldung Grien (Il Cavaliere, la fanciulla e la morte), di Wolf Huber e di Hans Sebald Beham.  

** Jan van Eyck - La Madonna del cancelliere Rolin - 1434-1435 - L'opera venne dipinta per il cancelliere di Borgogna e di Brabante Nicolas Rolin (ritratto nel dipinto), importante consigliere del Duca di Borgogna dal 1422. Alcuni mettono in relazione il dipinto con l'elezione del fratello del cancelliere, Jean Rolin, come vescovo di Autun nel 1436: a questo potrebbe far riferimento la rappresentazione della cattedrale nello sfondo.

La pala venne conservata nella cappella della sua famiglia nella chiesa di Notre-Dame-du-Chastel ad Autun, finché la chiesa non venne distrutta nel 1793. Dopo essere stato ospitata per un certo tempo nella cattedrale di Autun, l'opera approdò, nel 1805, al Louvre.

L'esame all'infrarosso ha rivelato alcuni pentimenti dell'artista rispetto al disegno originale sottostante. Per esempio Rolin aveva un grande borsellino attaccato alla cintura, che dovette poi essere considerato inappropriato. Il bambino guardava inizialmente a terra, come la Madonna, ma forse le due figure sacre dovettero apparire troppo distaccate, per cui venne cambiata l'espressione di Gesù.

La scena è un tipico dipinto devozionale, con il committente che prega in ginocchio le figure sacre della Madonna e del Bambino, il quale risponde benedicendo. A destra si trova un angelo che incorona la Vergine con una sontuosa corona.

La scena è ambientata in un arioso loggiato; ricco di decorazioni con colonne, da bassorilievi ed aperto, attraverso una triplice arcata (richiamo alla Trinità) su una terrazza dalla quale si gode un amplissimo panorama su una città fluviale, tipica della zona (forse la stessa Autun), dove palazzi, chiese, campi e colline sono bagnati da una luce unitaria. Vi si riconoscono una cattedrale gotica, un ponte con torre, vari campanili e un'isoletta sul fiume. 

Il paesaggio è sfumato in lontananza, secondo le regole della prospettiva aerea che van Eyck dimostra di conoscere bene. Come in altri dipinti fiamminghi le colline in lontananza sono molto più alte di quelle che si possono effettivamente vedere nelle Fiandre, e ciò è dovuto essenzialmente a effetti di drammatizzazione della veduta.

La terrazza ospita un giardino recintato, simbolo della verginità di Maria, dove crescono vari fiori ciascuno col proprio significato simbolico: il giglio la purezza di Maria, le rose rosse il preannuncio della Passione di Gesù, ecc. Anche i pavoni che si vedono sono un simbolo antichissimo di immortalità, poiché si riteneva che le loro carni fossero immarcescibili, come eterna era la testimonianza cristiana. Le due gazze che insidiano il giardino invece sono simbolo della Vanitas.

Oltre i giardino si trova la terrazza vera e propria, con un parapetto merlato dove si affacciano due personaggi che indossano il capperone, un elaborato copricapo a metà strada tra un cappuccio e un turbante. Alcuni hanno ipotizzato che i due rappresentino van Eyck e un suo assistente, anche se la totale mancanza di riscontri o di caratteristiche soggettive nei due uomini rendono questa ipotesi non confermabile. Lo spazio tra merlo e merlo è riempito da soggetti interessanti, come una torre, i quali fanno sì che niente sia lasciato al caso.

Il loggiato è ricco di decorazioni rese con maestria: dalla lucidità dei marmi pregiati delle colonne, al complesso traforo dei capitelli, fino ai bassorilievi istoriati che riportano storie della Genesi (Espulsione di Adamo ed Eva, Uccisione di Abele, Ebbrezza di Noè) e che corredano lo schema religioso del dipinto con significati legati alle antiche Scritture e al loro avverarsi per la redenzione dell'umanità.

Le colonne dell'apertura poggiano su plinti e nelle basi hanno la curiosa rappresentazione di coniglietti schiacciati: alcuni hanno interpretato questo dettaglio come un riferimento alla punizione del peccato capitale della Lussuria, mentre sparsi per il dipinto sono stati trovati altri possibili richiami ai vizi capitali: Superbia, Invidia e Accidia nei bassorilievi di scene bibliche, Ira nelle testine leonine dei capitelli; Avarizia poteva essere simboleggiata dal borsellino di Rolin (che forse per questo venne cancellato), mentre non vi è traccia evidente di riferimento alla Gola, a parte una certa pinguetudine di uno dei due personaggi sulla terrazza.

L'aula è rischiarata da più fonti di luce, tipiche di van Eyck, in modo da garantire un'illuminazione ideale ai vari particolari: innanzitutto la luce proviene dalle arcate e dalle due finestre laterali con vetri a fondo di bottiglia; inoltre proviene da davanti, illuminando i personaggi principali a beneficio dello spettatore.

La prospettiva non è esattamente geometrica come nelle opere italiane, come si evince bene dall'osservazione delle mattonelle del pavimento: solo una dozzina di mattonelle separano il gruppo dei protagonisti dalle arcate, ma essi sembrano molto più lontani, grazie all'ingrandimento delle loro proporzioni. Questo accorgimento ha anche come conseguenza l'effetto di far apparire l'ambiente più intimo e familiare.

Come in altri dipinti devozionali c'è una diversità di trattamento tra il realismo per gli esseri umani e la fine idealizzazione delle divinità. Molto moderno è l'uso di proporzioni identiche sia per il gruppo sacro che per il committente, un chiaro esempio di superamento degli schemi medievali che proprio in quegli anni aveva un corrispettivo in Italia con Masaccio.

Il cancelliere, a sinistra, ha una posizione di devota preghiera, ma la sontuosità del suo abito e lo sguardo diretto verso la Madonna colgono la sicurezza personale e sociale del personaggio. La sua veste è composta da costosi broccati dorati, con bordi di pelliccia. La testa ha una marcata individuazione fisiognomica e grazie alle fini velature della pittura a olio il pittore poté raffigurare i più minuti dettagli dell'epidermide, dalla vena sulla tempia fino alla peluria rasata che rispunta sotto il mento. Le sue mani, altrettanto dettagliate, sono leggermente rimpicciolite. Egli si appoggia su uno sgabello coperto da un velluto verde, dove è poggiato un libro di preghiere miniato, altro oggetto di lusso che certifica il suo status.

La capacità di van Eyck di rendere la diversa consistenza dei materiali tramite diversi giochi di luce si coglie facilmente nei punti di contatto, come nel velluto che tocca le piastrelle del pavimento, o tra il broccato e l'orlo di pelliccia.

La Vergine è avvolta da un pesante manto rosso che, come in altre opere di van Eyck, si increspa profondamente creando un sofisticato gioco di linee e chiaroscuro. La sua dimensione è debordante e nasconde il corpo della Vergine, proseguendo sul pavimento fino quasi a incombere sullo spettatore, che è così avvicinato dalla figura sacra. Il bordo è riccamente adornato da una fascia-gioiello, con perle e pietre preziosi, oltre a inserti dorati che la luce fa luccicare proprio come metallo prezioso.

Il Bambino ha le fattezze di un vero infante, con grande realismo nella descrizione delle tenere membra con le pieghette o nella sottile capigliatura bionda. Tiene in mano un globo con la croce rappresentato come un prezioso gioiello, che simboleggia il suo potere sulla Terra.

L'angelo che incorona la Vergine vola leggero e minuto, nonostante la pesante corona che regge: essa è raffigurata come il più prezioso capolavoro di oreficeria, minutamente cesellato e ricco di perle e pietre preziose.

** Pieter Paul Rubens - La nascita di Maria de' Medici - 1622-1625 - Il contratto siglato il 24 febbraio 1622 impegnava Rubens a dipingere ventuno tele e tre ritratti destinati alle pareti delle due gallerie del Palais du Luxembourg e dedicate a "la vie très illustre et gestes héroiques" di Maria de' Medici, nata il 26 aprile 1573 a Firenze da Giovanna d'Austria e da don Francesco de' Medici. Ventidue anni prima (5 ottobre 1600), Maria aveva sposato Enrico IV, re di Francia (1553-1610). 

Le nozze vennero celebrate per procura nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze: tra i numerosi invitati alla cerimonia nuziale e ai festeggiamenti che seguirono si trovava anche il ventitreenne Rubens, che faceva parte del seguito del cognato della novella regina, Vincenzo Gonzaga duca di Mantova. L'accordo con il pittore prevedeva la consegna delle tele entro quattro anni dalla data di stipulazione del contratto, e riservava alla regina madre il diritto di aumentare o diminuire il numero dei temi prima che venissero affrontati dall'artista. Al ciclo di Maria avrebbe dovuto fare da pendant l'impresa dedicata ai fasti militari del marito, che non venne però mai realizzata.

Lucina, protettrice delle partorienti, impugna la torcia e cinge la fanciulla, sorretta dalla personificazione della città di Firenze (contraddistinta dallo scudo con il giglio), sua patria, a cui allude anche la divinità fluviale in basso a destra, allegoria dell'Arno.  

** Rembrandt - Betsabea con la lettera di David - 1654 - Il dipinto fu proposto più volte sul mercato antiquario nel corso del XIX secolo. Venne donato nel 1869 al Louvre dal medico Louis La Caze, ed è tra le opere più ammirate del museo.

La modella fu probabilmente Hendrickje Stoffels, la donna che fu vicina al pittore olandese dopo la morte dell'amata moglie Saskia avvenuta nel 1642. Questa data segna per Rembrandt l'inizio di un percorso di difficoltà finanziarie, giuridiche e sentimentali che rappresentò, ciò nonostante, il suo periodo di maggiore intensità creativa. Hendrickje, giovane contadina che aveva allora ventidue anni, fu ingaggiata dal pittore come domestica, ne divenne in seguito l'amante e fu la sua fedele compagna. La donna è qui ritratta nelle vesti bibliche di Betsabea, moglie del soldato Uria: ammirata dal re David mentre faceva il bagno, il sovrano si innamorò di lei, la condusse nel suo palazzo e ne fece la sua amante. Morto in guerra il consorte, e in attesa di un figlio da David, Betsabea attese il tempo necessario al lutto e poi si sposò con il re.

La donna spogliata è ritratta con estrema naturalezza, come se la scena riproducesse un episodio di vita familiare. L'intimità dei sentimenti è espressa con appassionata dolcezza e discrezione, giacché l'unico segno dell'invito di David consiste nella lettera d'amore che la donna stringe nella mano destra. Il volto, assorto sulla figura dell'anziana domestica impegnata a tergerle i piedi, esprime il dissenso e le incertezze interiori della donna, combattuta tra il rispetto della fedeltà al marito e l'ubbidienza al proprio sovrano.

Ricco di emozioni semplici e umane, forte e malinconico al tempo stesso, il quadro è dipinto con colori caldi e dorati, con un pittoricismo intenso, spesso e sontuosamente vario, come mostrano il broccato sul letto, il lenzuolo bianco su cui poggia la donna, la morbidezza e l'elasticità con cui sono rese le carni.

** Rembrandt - Autoritratto al cavalletto -1660 - Acquistato da Luigi XIV nel 1671, è il primo dipinto di Rembrandt entrato nelle collezioni del Louvre. L'autoritratto è uno dei generi preferiti del pittore olandese, e se ne conservano infatti numerosi esemplari, che documentano con chiarezza i mutamenti fisiognomici del pittore e le sue condizioni esistenziali. Dal più precoce (che si conserva nel Rijksmuseum di Amsterdam e nel quale egli si raffigurò all'inarca all'età di ventidue anni) fino a quelli della maturità, in cui il numero delle riprese allo specchio aumenta vertiginosamente, l'occhio dell'artista indaga su se stesso con spietata intensità, schiettezza e, talvolta, con ironia.

Il dipinto del Louvre va oltre il monumentale Autoritratto conservato a Kenwood House: l'autore si rappresenta con appoggiamano, pennello e tavolozza, e si mostra realmente in atto di dipingere; nella porzione destra del quadro compare anche la parte posteriore di una tela, forse la stessa su cui questo quadro è dipinto. 

Si ritrae en travestì con un costume meno stravagante di quello indossato nel famoso Autoritratto del 1640 (Londra, National Gallery). Un critico ha riconosciuto le vesti del celebre pittore antico Apelle: si tratterebbe allora di un accorgimento utilizzato per affermare il valore della propria professione e per distinguersi dai pittori della propria epoca. 

Le radiografie condotte dal museo hanno rivelato che al posto dell'attuale copricapo il pittore olandese aveva inizialmente previsto un berretto dalla forma più ampia e moderna. Un cappello a falda larga avrebbe tuttavia alterato notevolmente l'abbigliamento all'antica, rendendo così poco verosimile l'identificazione. La luce proviene dall'alto (forse da un lucernario), è raccolta principalmente nel bianco copricapo, scende poi sul volto del pittore con minor efficacia, mostrando un'espressione assorta e stanca.  

** Jan Vermeer - La merlettaia - 1669 - I dipinti con immagini di vita domestica diventarono molto frequenti specialmente dopo il trattato di Münster del 1648. Secondo Simon Schama, la cultura olandese del XVII secolo viveva profondamente il conflitto tra casa e mondo: la casa è il sancta sanctorum dei valori autentici, il rifugio contro le incursioni del mercato. E così, anche i lavori d’ago, da sempre considerati una occupazione femminile, diventavano anch'essi mezzo di elevazione morale contro la dissoluzione dei costumi. Maarten van Heemskerck, ad esempio, nel Ritratto di Anna Codde utilizzò la conocchia per caratterizzare la rappresentazione di una costumata signora, secondo quel passo dei Proverbi di Salomone, tanto spesso citato nei trattati sulla santità del matrimonio fino agli inizi dell'era moderna: la donna virtuosa «si procura lana e lino, stende la sua mano alla conocchia e gira il fuso con le dita».

Il dipinto apparve per la prima volta all'asta Dissius nel 1696 ad Amsterdam, anche se primo proprietario è ritenuto Pieter Van Ruijven, da cui Dissius lo ereditò. Passò poi a vari proprietari olandesi; alla fine divenne parte della collezione di Dirk Vis Blokhuyzen, che alla sua morte lasciò dipinti, disegni e libri alla città di Rotterdam, in cambio di una somma di denaro per gli eredi. Il Museo Boijmans non riuscì tuttavia a mettere insieme la somma necessaria all'acquisto della collezione, che fu pertanto messa all'asta a Parigi nel 1870; il dipinto fu acquistato dal collezionista Eugène Feral, e due mesi dopo ceduta al Louvre, con un profitto di circa 2.000 franchi. È stato il primo lavoro di Vermeer acquisito da una collezione pubblica francese.

La data di creazione è incerta, alcune fonti dicono 1644, 1664 o 1669. Attualmente le stime più accreditate indicano il 1669 e anche il 1670: si tratta, in ogni caso, di un lavoro maturo dell'autore.

La tela è riportata, dal 1778, su un pannello di quercia che misura 23,9 per 20,5 centimetri; è il più piccolo dei dipinti di Vermeer e ha la preziosità di una minaitura. Raffigura una persona qualsiasi nel privato delle proprie mansioni quotidiane: una giovinetta intenta a ricamare, curva sul suo lavoro. Le figure femminili di Vermeer sono in genere rappresentate in un impegno intellettuale: donne che suonano, scrivono o leggono sottolineano l'ideale nascente della donna colta. Solo in due casi, questo e la Lattaia ha dipinto donne impegnate in lavori manuali: scorci di isolata intimità domestica dove l'autore osserva acutamente gli oggetti di tutti i giorni e li dipinge in diverse combinazioni, mostrando le sue figure femminili colte in un momento intimo, isolate, in un mondo estraneo allo spettatore, avvolto in un terso bagliore di calma e di silenzio.

Lo sguardo della donna è, in questo caso, concentrato sul lavoro, mentre con le mani muove abilmente bobine, aghi e fili: il tema della merlettaia è comune nella letteratura e nella pittura olandese, come rappresentazione delle virtù domestiche femminili. Esempi si possono ammirare nelle tele di Caspar Netscher e di Nicolaes Maes. La rappresentazione moraleggiante delle virtù è rafforzata dal piccolo libro rilegato in pergamena sul tavolo, chiuso da nastri scuri: anche se il libro non ha alcuna caratteristica individuabile, quasi certamente si tratta di un libro di preghiere o di una piccola Bibbia.

L'ambientazione è ridotta al minimo: la visione è in primo piano, il taglio che l'artista dà alla scena è molto informale: lo spigolo di un tavolo, un cuscino da ricamo, fili rossi e bianchi, uno sfondo incolore. La donna, che non è la moglie di Vermeer come è stato in passato sostenuto, di sicuro è una signora della borghesia di Delft e non porta abiti da lavoro, ma un abito di raso giallo con un colletto di pizzo. La ragazza rappresentata trova dei punti di contatto con il personaggio della Donna che scrive una lettera alla presenza della domestica, e con quella della Suonatrice di chitarra.

Sebbene i volti di Vermeer siano dipinti con grande maestria possono sembrare di fattura inferiore se raffrontati con quelli dipinti dai suoi conterranei contemporanei. Si prenda, per esempio la Tessitrice di Ter Borch: anche qui l'attenzione della donna è completamente assorbita dal lavoro che sta svolgendo, tuttavia resta pur sempre una persona, con tutto il calore e la dignità che questo comporta: i sentimenti della donna e l'arte di rappresentarli sono egualmente valori primari per il pittore.

Nella Merlettaia, d'altra parte, l'arte dell'autore porta abilmente il nostro occhio ad esplorare a poco a poco la composizione di cui il volto della ragazza è parte. Siamo così guidati magistralmente dalle pennellate del pittore a sentire il ritmo della composizione: la direzione dello sguardo, l'allineamento delle dita con i fili ci indirizzano verso un punto focale che non è il viso della protagonista, ma il merletto, il lavoro, qualcosa che va oltre l'individualità della persona rappresentata. La ragazza è visibile ma, in ultima analisi, immateriale.

Vermeer suggerisce la concentrazione totale della merlettaia sul suo lavoro grazie alla postura scomoda e al giallo limone dei suoi vestiti – colore attivo e psicologicamente intenso; anche i capelli riflettono lo stato fisico e mentale. Infine, la luce illumina la fronte e le dita a sottolineare la precisione e la chiarezza di visione necessaria per l'arte del merletto: i capelli e le mani sono inondati di luce che, a differenza della maggior parte delle opere di Vermeer, entra da destra, non da sinistra.

Si tratta di un chiaro esempio dell'utilizzo dei principi dell'ottica nella realizzazione di un dipinto. Vermeer creò morbide modulazioni di luce e colore con una procedura ben collaudata: gli oggetti in primo piano, quali il groviglio di fili rossi e le nappe del cuscino, sono sfocati con effetti dal pointillé, come gli aghi e lo stesso merletto. Infine lo sfondo bianco e grigio anonimo, una macchia indefinita, mentre il piano medio, con la ragazza e i fili su cui sta lavorando, sono perfettamente a fuoco. Ciò dà l'effetto di scansione dei piani e di diversa profondità di campo, che l'artista osservò aiutandosi probabilmente strumenti ottici in voga in quel periodo, come il telescopio ribaltato. Lo stesso discorso vale per la Suonatrice di chitarra, di poco posteriore.

La posizione centrale della figura, accanto alle piccole dimensioni del quadro, rafforzano la sensazione di intimità. Tuttavia, nonostante questo senso di vicinanza, l'universo della ragazza rimane ineluttabilmente lontano da noi, al di là del tavolo e del telaio che senza rimedio ce lo vietano. La concentrazione del modello e il gioco di colori sullo sfondo grigio rende questa tela uno dei capolavori di Vermeer.

Il dipinto è stato particolarmente apprezzato dagli impressionisti, sempre alla ricerca della luce che crea il colore. Così, Renoir ha ritenuto che questo capolavoro fosse l'immagine più bella del mondo, insieme all'Imbarco per Citera di Antoine Watteau (1717), anch'esso al Louvre. Anche Van Gogh è stato affascinato dal colore di questo dipinto e, in una lettera a Emile Bernard, nel 1888, ha evidenziato la bellezza del suo «giallo limone, azzurro e grigio perla».

Louvre - Pittura spagnola

La formazione della collezione di pittura spagnola al Louvre è recente. L'Europa classicista dal XVI al XVIII secolo ha ignorato o misconosciuto questa scuola: solamente Ribeira aveva raggiunto la gloria, ma come pittore napoletano. Nonostante la successiva presenza di due regine provenienti dalla Spagna, Anna d'Austria e Maria Teresa, solo tre artisti - Velazquez, Collantes e Murillo - erano rappresentati nelle collezioni reali: il Roveto ardente di Collantes e il Ritratto dell'Infanta Margherita del Velazquez, dono di Filippo IV alla sorella, la regina Anna d'Austria, sono pressappoco le uniche opere spagnole di cui poteva disporre la collezione di Luigi XIV. A questi quadri si aggiunsero, sotto il regno di Luigi XVI, alcune pitture di Murillo, il primo artista spagnolo ad essere conosciuto ed apprezzato in Francia: fra queste il Giovane mendicante, uno dei suoi capolavori, che venne acquistato dal mercante Lebrun.

Tutto cambia col Romanticismo, che fa andare la Spagna di moda. Già all'epoca dell'Impero le guerre napoleoniche avevano favorito le collezioni, frutto di confische, come quelle di Giuseppe Bonaparte e del Maresciallo Soult. Ma sarà Luigi Filippo a far cono­scere al grande pubblico i capolavori del Secolo d'Oro: la sua collezione, debitamente acquistata in Spagna dal suo emissario, il barone Taylor, ed esposta al Louvre dal 1838 al 1848, sarà una feconda fonte di studio per i giovani artisti come Courbet e Manet. Disgraziatamente questo insieme, che contava più di quattrocento opere, seguirà il sovrano nel sue esilio per essere infine venduto all'incanto a Londra nel 1853. 

Il Louvre, più tardi, potrà raccogliere solo Cristo crocifisso di El Greco, acquistato nel 1908. Se da una parte si deve deplorare questa perdita considerevole, dall'altra occorre rallegrarsi per la qualità delle acquisizioni e delle donazioni della seconda metà del XIX e del XX secolo. Durante il Secondo Impero, lo smembramento della collezione del maresciallo Soult permette l'ingresso al Louvre di cinque capolavori, fra i quali si trovano due scene della Vita di San Bonaventura di Zurbaràn. Qualche anno pii tardi il lascito La Caze porta il famoso Storpio di Ribeira. Infine, all'inizio del XX secolo, una serie d prestigiose acquisizioni colma alcune importanti lacune. Nella scelta vengono inclusi i maestri primitivi (Martorell, Huguet, il Maestro di San Idelfonso) e vengono così incamerate alcune significative opere dei maestri del XVII secolo assenti dal fondo (Valdés Leal, Alonso Cano, Espinosa).

La collezione del Louvre, che raccoglie oggi una cinquantina di quadri, anche se limitata, è sufficientemente rappresentativa, tanto da offrire una panoramica completa delle varie epoche con alcune opere di grande pregio.  

** Jusepe de Ribera - Lo storpio - 1642 - Un'etichetta sul telaio ricorda che il dipinto appartenne alla galleria dei principi di Stigliano "per il quale era stato dipinto da Ribera". Il dipinto faceva parte della raccolta napoletana del mercante e collezionista fiammingo Ferdinand Vandeneynde; la collezione venne ereditata dalla figlia Giovanna, sposatasi con don Giuliano Colonna di Galatro, del ramo di Stigliano. È probabile che la tela fosse stata commissionata inizialmente per un cabinet de curiosité, insieme ad altre opere raffiguranti patologie rare. Entrato nel 1849 nella collezione del medico Louis La Caze, dove era registrato come "Il nano. Uno dei più bei dipinti di Ribera", venne donato al Louvre nel 1869, dove assunse il titolo attuale di "Le Pied Bot" (Il fanciullo dal piede varo).

L'interesse del quadro, uno degli ultimi e dei più amari di Ribera, è determinato dalla raffigurazione di un giovane mendicante, soggetto rappresentato frequentemente nella pittura europea del XVII secolo, ma raramente dipinto in modo autonomo; a questa data, infatti, non esistevano ancora illustrazioni di figure inferme ritratte a figura intera. L'orizzonte basso - un leggero movimento di colline - isola la silhouette del ragazzo contro il cielo coperto di nuvole. Il mendicante impugna un pezzetto di carta con un'iscrizione che fa appello alla carità, all'amore di Dio e alla salute dell'anima. Il suo sorriso ampio e sincero è una delle dichiarazioni più naturali e spontanee di un bambino, felice di avere attirato su di sé l'attenzione del pittore e fiero di poter posare per lui. Il leggero movimento del corpo, l'intensità dello sguardo, il cappello sotto il braccio e il lungo bastone obliquo, sottolineano la volontà di Ribera di voler dipingere un vero e proprio ritratto che nobilitasse la persona, piuttosto che documentarne la sua malattia.  

** Francisco de Zurbaràn - L'esposizione del corpo di san Bonaventura - 1629 - Il dipinto proviene dalla chiesa del convento francescano di San Bonaventura di Siviglia e raffigura la scena conclusiva del ciclo dedicato al santo, di cui il Louvre possiede quattro tele. Il contratto iniziale, stipulato il 30 dicembre del 1627 con Francisco de Herrera il Vecchio, prevedeva la consegna di sei dipinti in nove mesi, consentendo al pittore di valersi di un collaboratore. Al programma iniziale vennero apportate delle modifiche, poiché Herrera eseguì i primi quattro dipinti e altrettanti vennero richiesti a Zurbaràn. Originariamente disposte nella zona alta della navata della chiesa, le tele si dispersero in seguito alla secolarizzazione del collegio, avvenuta nel 1835. Apparso alla vendita Soult del 1852, il quadro diventò proprietà dello Stato nel 1858.

Intorno alla salma del santo (morto nel 1274 durante il Concilio di Lione) è raffigurato, all'estrema sinistra, Giacomo I d'Aragona che si intrattiene con Gregorio X, mentre in secondo piano si riconosce il ritratto di Pierre de Tarentaise, l'arcivescovo di Lione. Gli altri astanti, non identificati, sono dei francescani appartenenti al convento dei Cordeliers di Lione, dove il defunto venne sepolto.

Costruita sulla lunga linea obliqua della portantina mortuaria, la tela valorizza l'imponente prestanza del cardinale e il suo costume d'apparato. L'oscurità della stanza, appena modulata dall'abbozzo di tre file di colonne, è ravvivata soltanto dall'impatto della luce sui tessuti spessi dei sai, dalla luminosità della pianeta e della mitra del defunto e dal tocco rosso del cappello cardinalizio, posato ai suoi piedi.

** Diego Velàzquez - L'infanta Margherita - 1645-1650 - Il ritratto della piccola Margherita, figlia di Filippo IV e di Maria Anna, decorava l'appartamento d'inverno di sua zia, la regina madre Anna d'Austria. Concluso nel 1652, l'appartamento occupava il piano terreno dell'ala sud della Cour Carrée del Louvre. Secondo la tradizione francese le stanze vennero decorate con rivestimenti in legno e i soffitti furono suddivisi in compartimenti dove venivano introdotti i dipinti. Nel 1653 la regina madre - che aveva affidato l'intera decorazione a Eustache Le Sueur - desiderò abbellire il cabinet che precedeva la propria alcova con i ritratti della Casa d'Austria. Questa decisione, che probabilmente imitava quella della galleria del re, decorata da ritratti di sovrani e sovrane di Francia (distrutta nel 1661), riprendeva la tradizionale usanza spagnola delle gallerie abbellite da ritratti di regnanti.

Il ritratto dell'infanta Margherita fece qui curiosamente coppia con quello di suo zio don Carlos (Versailles, Musée National) rispetto al quale è di qualità decisamente superiore. È affine a quello conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove la stessa fanciulla è ritratta a figura intera. I capelli fini e spazzolati, fermati da un fiocco scarlatto, ricadono dolcemente sulle spalle, e mostrano un'acconciatura analoga a quella con cui la modella ricompare in Las Meninas dello stesso autore (1656, Madrid, Museo del Prado), rivelando un'alta qualità pittorica. 

La posa riprende quella dei ritratti femminili ufficiali della corte madrilena: le mani appoggiate sulla seduta, e non alla spalliera di una sedia, si comprendono con l'età della piccola aristocratica, lo schienale, che sembra impacciarla, da invece ragione della sua età puerile.  

** Bartolomé Esteban Murillo - Giovane mendicante - 1645-1650 - Capolavoro della collezione spagnola del Louvre, il giovane mendicante è il primo dipinto di Murillo che entrò nelle collezioni reali francesi. Comparve a Parigi nella raccolta di Jean-Louis Gaignat, dove è citato nel 1752 da Dezallier d'Argenville. Dopo la morte di Gaignat la sua collezione fu messa all'asta, e il dipinto fu acquistato nel 1782 da Luigi XVI. Al Louvre riscosse da subito un grande successo.

L'interesse di Murillo per le rappresentazioni profane e, particolarmente, per quelle dedicate all'infanzia hanno fatto pensare che a Siviglia fosse stato attivo un esteso giro di committenti nordici: i soggetti di strada e di vita popolare ebbero infatti molto successo all'estero, ed è probabile che i numerosi mercanti fiamminghi attivi nella città andalusa, sedotti da tali temi, li commissionassero direttamente ai pittori del luogo.

Prima testimonianza della vita infantile dipinta dall'artista, il quadro non rappresenta, come lascia invece intendere il titolo, un giovane mendicante, ma uno di quei monelli di strada, che vivevano senza ricevere cure e senza risorse. La composizione è dominata dal violento chiaroscuro e dal contrasto tra l'ombra del fondo e la figura del fanciullo bagnata dalla luce. Le gambe, le braccia e i brandelli delle vesti del ragazzo sono contraddistinte da forme cedevoli e aggraziate che contrastano con la linea geometrica della finestra e con quella prodotta dal riflesso della luce sul muro. 

L'ese­cuzione è vigorosa e la pennellata ampia e grassa. La borsa e la brocca in primo piano ricordano la natura morta riprodotta da Velàzquez nei Bodegones, dipinti dall'artista a Siviglia prima della partenza per la corte. Come quel grande maestro, anche Murillo osservò con attenzione le occupazioni quotidiane delle persone di condizioni sociali modeste, ristudiandole poi nel proprio atelier con umiltà e affetto.  

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