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Louvre
-
Pittura
fiamminga,
olandese
e
tedesca
La
pittura
della
scuola
nordica
è
il
risultato
di
una
sintesi
tra
l'espressione
precisa
e
lineare
dei
miniaturisti,
la
delicatezza
cromatica
degli
italiani
e
il
naturalismo
gotico.
Tutti
questi
caratteri
compaiono
già
nelle
opere
dei
fratelli
van
Eyck,
in
modo
particolare
nella
Vergine
e
il
cancelliere
Rolin
(1435
circa),
dove
si
afferma
un
realismo
che
diverrà
uno
dei
tratti
specifici
di
questa
scuola.
In
seguito,
alcuni
pittori
come
Rogier
van
der
Weyden
(Annunciazione)
o
Memling
(Ritratto
di
vecchia)
stempereranno
questo
realismo
con
un
grafismo
melodico
che
ricorda
quello
gotico.
Alcune
caratteristiche
di
questo
stile
si
perpetueranno
oltre
i
limiti
di
questo
stesso
secolo
con
due
grandi
maestri:
Hieronymus
Bosch
(La
nave
dei
folli)
e
Bruegel
il
Vecchio
(Gli
storpi).
È
molto
probabile
che
la
collezione
di
Francesco
I
abbia
compreso
anche
alcuni
quadri
fiamminghi
contemporanei.
Tuttavia
occorrerà
aspettare
il
Museo
Napoleone
perché
i
primitivi
fiamminghi
raggiungano
la
fama.
Fra
le
numerose
opere
requisite,
rimasero
al
Louvre
solamente
quelle
di
van
Eyck
e
di
Rogier
van
der
Weyden,
nonché
Il
banchiere
e
sua
moglie
di
Quentin
Metsys,
acquistato
a
Parigi
nel
1806.
La
frattura
politica
e
religiosa
tra
le
province
settentrionali
e
quelle
meridionali
dei
Paesi
Bassi
incide,
a
partire
dal
XVI
secolo,
sulla
divisione
delle
scuole
fiamminga
e
olandese.
Divenuta
indipendente,
l'Olanda
sviluppa
un'arte
originale,
favorita
da
una
nuova
classe
borghese
molto
ricca,
impregnata
dell'atmosfera
grave
e
severa
della
religione
riformata.
Rembrandt
e
Frans
Hals
sapranno
ritrarre
con
acutezza
e
intensità
psicologica
le
riunioni
delle
grandi
confraternite
dell'epoca.
Quanto
alla
pittura
fiamminga,
essa
è
dominata
dal
genio
di
Rubens.
I
primi
quadri
a
fare
il
proprio
ingresso
nel
XVII
secolo
all'interno
delle
collezioni
reali
sono
quelli
di
artisti
viventi
recatisi
a
lavorare
a
Parigi
per
conto
della
regina
Maria
de'
Medici:
Frans
Pourbus,
che
dipinge
il
ritratto
ufficiale
della
regina,
e
Rubens,
chiamato
dalla
regina
per
realizzare
la
decorazione
della
galleria
del
suo
palazzo
del
Luxembourg
(Lo
sbarco
di
Maria
de'
Medici
a
Marsiglia).
Capolavoro
della
pittura
barocca,
quest'opera
non
avrà
effetti
sul
Classicismo
francese
che
alla
fine
del
secolo,
epoca
in
cui
i
difensori
del
"colore"
la
fecero
prevalere
sui
Poussinisti,
che
sostenevano
il
primato
del
disegno.
Le
collezioni
di
pittura
fiamminga
si
moltiplicano
e
il
gabinetto
del
re
si
arricchisce
di
nuove
opere
di
Rubens
(la
Kermesse)
e
di
van
Dyck,
senza
dimenticare
i
grandi
maestri
olandesi
(in
particolar
modo
l'Autoritratto
al
cavalletto
di
Rembrandt).
Con
Luigi
XVI,
e
più
precisamente,
col
suo
Direttore
alle
costruzioni,
il
conte
d'Angiviller,
si
assiste
ad
un
sostanziale
ampliamento
della
collezione.
Impregnato
dello
spirito
enciclopedico
dei
suoi
contemporanei,
d'Angiviller
si
sforzò
di
colmare
le
lacune
del
museo,
soprattutto
per
quanto
riguardava
le
scuole
del
Nord.
Furono
così
acquistate
nuove
opere
di
Rubens
(Hélène
Fourment),
di
Van
Dyck
(Carlo
I,
re
d'Inghilterra)
di
Rembrandt
(La
cena
in
Emmaus),
nonché
opere
di
Jordaens,
di
Ruysdael
e
di
Cuyp.
Questo
fondo
venne
arricchito
da
alcuni
capolavori
donati
dal
dottor
La
Caze
nel
Secondo
Impero,
fra
i
quali
è
giusto
citare
la
Bohémienne
di
Frans
Hals
e
Betsabea
al
bagno
di
Rembrandt.

L'importanza
della
collezione
di
pittura
tedesca
del
Louvre
è
incontestabile,
anche
se
il
numero
dei
quadri
che
la
compongono
è
relativamente
ristretto.
Il
XV
secolo
è
dominato
da
un
insieme
degno
d'interesse,
costituito
da
quadri
della
scuola
di
Colonia:
i
Maestri
della
Sacra
Famiglia
e
di
San
Severino
restano
fedeli
allo
stile
di
Stephan
Lochner,
la
cui
personalità
domina
la
prima
metà
del
XV
secolo,
mentre
è
visibile
l'influenza
dell'arte
fiamminga
presso
alcuni
artisti
come
il
Maestro
di
San
Bartolomeo
(Tavola
della
Deposizione).
Il
pezzo
forte
della
collezione
risale
al
Rinascimento.
L'ordine
di
questa
sezione
è
delle
più
prestigiose:
i
cinque
ritratti
di
Holbein,
una
delle
glorie
del
museo,
hanno
fatto
il
loro
ingresso
nella
collezione
reale
nel
XVII
secolo.
Il
Ritratto
di
Erasmo
è
un
dono
di
Carlo
I
d'Inghilterra
al
cognato
Luigi
XIII.
Gli
altri
quattro
quadri
(in
special
modo
i
ritratti
di
Nikolas
Kratzer
e
di
Anna
di
Clèves)
facevano
parte
della
collezione
del
banchiere
Jabach
che
Luigi
XIV
acquistò
nel
1671.
In
queste
opere
Holbein
da
prova
del
proprio
talento
di
ritrattista,
affiancando
ad
una
minuziosa
attenzione
per
la
realtà
un
sorprendente
senso
della
semplificazione
dei
volumi
e
delle
forme.
Albrecht
Durer
che,
assieme
ad
Holbein,
incarna
il
tipo
dell'artista
umanista
del
Rinascimento
tedesco,
è
presente
col
suo
Autoritratto
del
1493,
acquistato
dal
Louvre
nel
1922.
La
collezione
raggruppa
anche
alcuni
dipinti
di
Lucas
Cranach,
fra
cui
spicca
una
Venere
acquistata
nel
1806.
Accanto
a
questi
tre
grandi
nomi,
altri
testimoniano
la
ricchezza
artistica
della
Germania
nel
XVI
secolo,
ma
sono
rappresentati
al
Louvre
solo
in
maniera
frammentaria,
con
tele
di
Hans
Baldung
Grien
(Il
Cavaliere,
la
fanciulla
e
la
morte),
di
Wolf
Huber
e
di
Hans
Sebald
Beham.
**
Jan
van
Eyck
-
La
Madonna
del
cancelliere
Rolin
-
1434-1435
-
L'opera
venne
dipinta
per
il
cancelliere
di
Borgogna
e
di
Brabante
Nicolas
Rolin
(ritratto
nel
dipinto),
importante
consigliere
del
Duca
di
Borgogna
dal
1422.
Alcuni
mettono
in
relazione
il
dipinto
con
l'elezione
del
fratello
del
cancelliere,
Jean
Rolin,
come
vescovo
di
Autun
nel
1436:
a
questo
potrebbe
far
riferimento
la
rappresentazione
della
cattedrale
nello
sfondo.
La
pala
venne
conservata
nella
cappella
della
sua
famiglia
nella
chiesa
di
Notre-Dame-du-Chastel
ad
Autun,
finché
la
chiesa
non
venne
distrutta
nel
1793.
Dopo
essere
stato
ospitata
per
un
certo
tempo
nella
cattedrale
di
Autun,
l'opera
approdò,
nel
1805,
al
Louvre.
L'esame
all'infrarosso
ha
rivelato
alcuni
pentimenti
dell'artista
rispetto
al
disegno
originale
sottostante.
Per
esempio
Rolin
aveva
un
grande
borsellino
attaccato
alla
cintura,
che
dovette
poi
essere
considerato
inappropriato.
Il
bambino
guardava
inizialmente
a
terra,
come
la
Madonna,
ma
forse
le
due
figure
sacre
dovettero
apparire
troppo
distaccate,
per
cui
venne
cambiata
l'espressione
di
Gesù.
La
scena
è
un
tipico
dipinto
devozionale,
con
il
committente
che
prega
in
ginocchio
le
figure
sacre
della
Madonna
e
del
Bambino,
il
quale
risponde
benedicendo.
A
destra
si
trova
un
angelo
che
incorona
la
Vergine
con
una
sontuosa
corona.
La
scena
è
ambientata
in
un
arioso
loggiato;
ricco
di
decorazioni
con
colonne,
da
bassorilievi
ed
aperto,
attraverso
una
triplice
arcata
(richiamo
alla
Trinità)
su
una
terrazza
dalla
quale
si
gode
un
amplissimo
panorama
su
una
città
fluviale,
tipica
della
zona
(forse
la
stessa
Autun),
dove
palazzi,
chiese,
campi
e
colline
sono
bagnati
da
una
luce
unitaria.
Vi
si
riconoscono
una
cattedrale
gotica,
un
ponte
con
torre,
vari
campanili
e
un'isoletta
sul
fiume.
Il
paesaggio
è
sfumato
in
lontananza,
secondo
le
regole
della
prospettiva
aerea
che
van
Eyck
dimostra
di
conoscere
bene.
Come
in
altri
dipinti
fiamminghi
le
colline
in
lontananza
sono
molto
più
alte
di
quelle
che
si
possono
effettivamente
vedere
nelle
Fiandre,
e
ciò
è
dovuto
essenzialmente
a
effetti
di
drammatizzazione
della
veduta.
La
terrazza
ospita
un
giardino
recintato,
simbolo
della
verginità
di
Maria,
dove
crescono
vari
fiori
ciascuno
col
proprio
significato
simbolico:
il
giglio
la
purezza
di
Maria,
le
rose
rosse
il
preannuncio
della
Passione
di
Gesù,
ecc.
Anche
i
pavoni
che
si
vedono
sono
un
simbolo
antichissimo
di
immortalità,
poiché
si
riteneva
che
le
loro
carni
fossero
immarcescibili,
come
eterna
era
la
testimonianza
cristiana.
Le
due
gazze
che
insidiano
il
giardino
invece
sono
simbolo
della
Vanitas.
Oltre
i
giardino
si
trova
la
terrazza
vera
e
propria,
con
un
parapetto
merlato
dove
si
affacciano
due
personaggi
che
indossano
il
capperone,
un
elaborato
copricapo
a
metà
strada
tra
un
cappuccio
e
un
turbante.
Alcuni
hanno
ipotizzato
che
i
due
rappresentino
van
Eyck
e
un
suo
assistente,
anche
se
la
totale
mancanza
di
riscontri
o
di
caratteristiche
soggettive
nei
due
uomini
rendono
questa
ipotesi
non
confermabile.
Lo
spazio
tra
merlo
e
merlo
è
riempito
da
soggetti
interessanti,
come
una
torre,
i
quali
fanno
sì
che
niente
sia
lasciato
al
caso.
Il
loggiato
è
ricco
di
decorazioni
rese
con
maestria:
dalla
lucidità
dei
marmi
pregiati
delle
colonne,
al
complesso
traforo
dei
capitelli,
fino
ai
bassorilievi
istoriati
che
riportano
storie
della
Genesi
(Espulsione
di
Adamo
ed
Eva,
Uccisione
di
Abele,
Ebbrezza
di
Noè)
e
che
corredano
lo
schema
religioso
del
dipinto
con
significati
legati
alle
antiche
Scritture
e
al
loro
avverarsi
per
la
redenzione
dell'umanità.
Le
colonne
dell'apertura
poggiano
su
plinti
e
nelle
basi
hanno
la
curiosa
rappresentazione
di
coniglietti
schiacciati:
alcuni
hanno
interpretato
questo
dettaglio
come
un
riferimento
alla
punizione
del
peccato
capitale
della
Lussuria,
mentre
sparsi
per
il
dipinto
sono
stati
trovati
altri
possibili
richiami
ai
vizi
capitali:
Superbia,
Invidia
e
Accidia
nei
bassorilievi
di
scene
bibliche,
Ira
nelle
testine
leonine
dei
capitelli;
Avarizia
poteva
essere
simboleggiata
dal
borsellino
di
Rolin
(che
forse
per
questo
venne
cancellato),
mentre
non
vi
è
traccia
evidente
di
riferimento
alla
Gola,
a
parte
una
certa
pinguetudine
di
uno
dei
due
personaggi
sulla
terrazza.

L'aula
è
rischiarata
da
più
fonti
di
luce,
tipiche
di
van
Eyck,
in
modo
da
garantire
un'illuminazione
ideale
ai
vari
particolari:
innanzitutto
la
luce
proviene
dalle
arcate
e
dalle
due
finestre
laterali
con
vetri
a
fondo
di
bottiglia;
inoltre
proviene
da
davanti,
illuminando
i
personaggi
principali
a
beneficio
dello
spettatore.
La
prospettiva
non
è
esattamente
geometrica
come
nelle
opere
italiane,
come
si
evince
bene
dall'osservazione
delle
mattonelle
del
pavimento:
solo
una
dozzina
di
mattonelle
separano
il
gruppo
dei
protagonisti
dalle
arcate,
ma
essi
sembrano
molto
più
lontani,
grazie
all'ingrandimento
delle
loro
proporzioni.
Questo
accorgimento
ha
anche
come
conseguenza
l'effetto
di
far
apparire
l'ambiente
più
intimo
e
familiare.
Come
in
altri
dipinti
devozionali
c'è
una
diversità
di
trattamento
tra
il
realismo
per
gli
esseri
umani
e
la
fine
idealizzazione
delle
divinità.
Molto
moderno
è
l'uso
di
proporzioni
identiche
sia
per
il
gruppo
sacro
che
per
il
committente,
un
chiaro
esempio
di
superamento
degli
schemi
medievali
che
proprio
in
quegli
anni
aveva
un
corrispettivo
in
Italia
con
Masaccio.
Il
cancelliere,
a
sinistra,
ha
una
posizione
di
devota
preghiera,
ma
la
sontuosità
del
suo
abito
e
lo
sguardo
diretto
verso
la
Madonna
colgono
la
sicurezza
personale
e
sociale
del
personaggio.
La
sua
veste
è
composta
da
costosi
broccati
dorati,
con
bordi
di
pelliccia.
La
testa
ha
una
marcata
individuazione
fisiognomica
e
grazie
alle
fini
velature
della
pittura
a
olio
il
pittore
poté
raffigurare
i
più
minuti
dettagli
dell'epidermide,
dalla
vena
sulla
tempia
fino
alla
peluria
rasata
che
rispunta
sotto
il
mento.
Le
sue
mani,
altrettanto
dettagliate,
sono
leggermente
rimpicciolite.
Egli
si
appoggia
su
uno
sgabello
coperto
da
un
velluto
verde,
dove
è
poggiato
un
libro
di
preghiere
miniato,
altro
oggetto
di
lusso
che
certifica
il
suo
status.
La
capacità
di
van
Eyck
di
rendere
la
diversa
consistenza
dei
materiali
tramite
diversi
giochi
di
luce
si
coglie
facilmente
nei
punti
di
contatto,
come
nel
velluto
che
tocca
le
piastrelle
del
pavimento,
o
tra
il
broccato
e
l'orlo
di
pelliccia.
La
Vergine
è
avvolta
da
un
pesante
manto
rosso
che,
come
in
altre
opere
di
van
Eyck,
si
increspa
profondamente
creando
un
sofisticato
gioco
di
linee
e
chiaroscuro.
La
sua
dimensione
è
debordante
e
nasconde
il
corpo
della
Vergine,
proseguendo
sul
pavimento
fino
quasi
a
incombere
sullo
spettatore,
che
è
così
avvicinato
dalla
figura
sacra.
Il
bordo
è
riccamente
adornato
da
una
fascia-gioiello,
con
perle
e
pietre
preziosi,
oltre
a
inserti
dorati
che
la
luce
fa
luccicare
proprio
come
metallo
prezioso.
Il
Bambino
ha
le
fattezze
di
un
vero
infante,
con
grande
realismo
nella
descrizione
delle
tenere
membra
con
le
pieghette
o
nella
sottile
capigliatura
bionda.
Tiene
in
mano
un
globo
con
la
croce
rappresentato
come
un
prezioso
gioiello,
che
simboleggia
il
suo
potere
sulla
Terra.
L'angelo
che
incorona
la
Vergine
vola
leggero
e
minuto,
nonostante
la
pesante
corona
che
regge:
essa
è
raffigurata
come
il
più
prezioso
capolavoro
di
oreficeria,
minutamente
cesellato
e
ricco
di
perle
e
pietre
preziose.
**
Pieter
Paul
Rubens
-
La
nascita
di
Maria
de'
Medici
-
1622-1625
-
Il
contratto
siglato
il
24
febbraio
1622
impegnava
Rubens
a
dipingere
ventuno
tele
e
tre
ritratti
destinati
alle
pareti
delle
due
gallerie
del
Palais
du
Luxembourg
e
dedicate
a
"la
vie
très
illustre
et
gestes
héroiques"
di
Maria
de'
Medici,
nata
il
26
aprile
1573
a
Firenze
da
Giovanna
d'Austria
e
da
don
Francesco
de'
Medici.
Ventidue
anni
prima
(5
ottobre
1600),
Maria
aveva
sposato
Enrico
IV,
re
di
Francia
(1553-1610).
Le
nozze
vennero
celebrate
per
procura
nella
cattedrale
di
Santa
Maria
del
Fiore
a
Firenze:
tra
i
numerosi
invitati
alla
cerimonia
nuziale
e
ai
festeggiamenti
che
seguirono
si
trovava
anche
il
ventitreenne
Rubens,
che
faceva
parte
del
seguito
del
cognato
della
novella
regina,
Vincenzo
Gonzaga
duca
di
Mantova.
L'accordo
con
il
pittore
prevedeva
la
consegna
delle
tele
entro
quattro
anni
dalla
data
di
stipulazione
del
contratto,
e
riservava
alla
regina
madre
il
diritto
di
aumentare
o
diminuire
il
numero
dei
temi
prima
che
venissero
affrontati
dall'artista.
Al
ciclo
di
Maria
avrebbe
dovuto
fare
da
pendant
l'impresa
dedicata
ai
fasti
militari
del
marito,
che
non
venne
però
mai
realizzata.
Lucina,
protettrice
delle
partorienti,
impugna
la
torcia
e
cinge
la
fanciulla,
sorretta
dalla
personificazione
della
città
di
Firenze
(contraddistinta
dallo
scudo
con
il
giglio),
sua
patria,
a
cui
allude
anche
la
divinità
fluviale
in
basso
a
destra,
allegoria
dell'Arno.
**
Rembrandt
-
Betsabea
con
la
lettera
di
David
-
1654
-
Il
dipinto
fu
proposto
più
volte
sul
mercato
antiquario
nel
corso
del
XIX
secolo.
Venne
donato
nel
1869
al
Louvre
dal
medico
Louis
La
Caze,
ed
è
tra
le
opere
più
ammirate
del
museo.
La
modella
fu
probabilmente
Hendrickje
Stoffels,
la
donna
che
fu
vicina
al
pittore
olandese
dopo
la
morte
dell'amata
moglie
Saskia
avvenuta
nel
1642.
Questa
data
segna
per
Rembrandt
l'inizio
di
un
percorso
di
difficoltà
finanziarie,
giuridiche
e
sentimentali
che
rappresentò,
ciò
nonostante,
il
suo
periodo
di
maggiore
intensità
creativa.
Hendrickje,
giovane
contadina
che
aveva
allora
ventidue
anni,
fu
ingaggiata
dal
pittore
come
domestica,
ne
divenne
in
seguito
l'amante
e
fu
la
sua
fedele
compagna.
La
donna
è
qui
ritratta
nelle
vesti
bibliche
di
Betsabea,
moglie
del
soldato
Uria:
ammirata
dal
re
David
mentre
faceva
il
bagno,
il
sovrano
si
innamorò
di
lei,
la
condusse
nel
suo
palazzo
e
ne
fece
la
sua
amante.
Morto
in
guerra
il
consorte,
e
in
attesa
di
un
figlio
da
David,
Betsabea
attese
il
tempo
necessario
al
lutto
e
poi
si
sposò
con
il
re.
La
donna
spogliata
è
ritratta
con
estrema
naturalezza,
come
se
la
scena
riproducesse
un
episodio
di
vita
familiare.
L'intimità
dei
sentimenti
è
espressa
con
appassionata
dolcezza
e
discrezione,
giacché
l'unico
segno
dell'invito
di
David
consiste
nella
lettera
d'amore
che
la
donna
stringe
nella
mano
destra.
Il
volto,
assorto
sulla
figura
dell'anziana
domestica
impegnata
a
tergerle
i
piedi,
esprime
il
dissenso
e
le
incertezze
interiori
della
donna,
combattuta
tra
il
rispetto
della
fedeltà
al
marito
e
l'ubbidienza
al
proprio
sovrano.
Ricco
di
emozioni
semplici
e
umane,
forte
e
malinconico
al
tempo
stesso,
il
quadro
è
dipinto
con
colori
caldi
e
dorati,
con
un
pittoricismo
intenso,
spesso
e
sontuosamente
vario,
come
mostrano
il
broccato
sul
letto,
il
lenzuolo
bianco
su
cui
poggia
la
donna,
la
morbidezza
e
l'elasticità
con
cui
sono
rese
le
carni.
**
Rembrandt
-
Autoritratto
al
cavalletto
-1660
-
Acquistato
da
Luigi
XIV
nel
1671,
è
il
primo
dipinto
di
Rembrandt
entrato
nelle
collezioni
del
Louvre.
L'autoritratto
è
uno
dei
generi
preferiti
del
pittore
olandese,
e
se
ne
conservano
infatti
numerosi
esemplari,
che
documentano
con
chiarezza
i
mutamenti
fisiognomici
del
pittore
e
le
sue
condizioni
esistenziali.
Dal
più
precoce
(che
si
conserva
nel
Rijksmuseum
di
Amsterdam
e
nel
quale
egli
si
raffigurò
all'inarca
all'età
di
ventidue
anni)
fino
a
quelli
della
maturità,
in
cui
il
numero
delle
riprese
allo
specchio
aumenta
vertiginosamente,
l'occhio
dell'artista
indaga
su
se
stesso
con
spietata
intensità,
schiettezza
e,
talvolta,
con
ironia.
Il
dipinto
del
Louvre
va
oltre
il
monumentale
Autoritratto
conservato
a
Kenwood
House:
l'autore
si
rappresenta
con
appoggiamano,
pennello
e
tavolozza,
e
si
mostra
realmente
in
atto
di
dipingere;
nella
porzione
destra
del
quadro
compare
anche
la
parte
posteriore
di
una
tela,
forse
la
stessa
su
cui
questo
quadro
è
dipinto.
Si
ritrae
en
travestì
con
un
costume
meno
stravagante
di
quello
indossato
nel
famoso
Autoritratto
del
1640
(Londra,
National
Gallery).
Un
critico
ha
riconosciuto
le
vesti
del
celebre
pittore
antico
Apelle:
si
tratterebbe
allora
di
un
accorgimento
utilizzato
per
affermare
il
valore
della
propria
professione
e
per
distinguersi
dai
pittori
della
propria
epoca.
Le
radiografie
condotte
dal
museo
hanno
rivelato
che
al
posto
dell'attuale
copricapo
il
pittore
olandese
aveva
inizialmente
previsto
un
berretto
dalla
forma
più
ampia
e
moderna.
Un
cappello
a
falda
larga
avrebbe
tuttavia
alterato
notevolmente
l'abbigliamento
all'antica,
rendendo
così
poco
verosimile
l'identificazione.
La
luce
proviene
dall'alto
(forse
da
un
lucernario),
è
raccolta
principalmente
nel
bianco
copricapo,
scende
poi
sul
volto
del
pittore
con
minor
efficacia,
mostrando
un'espressione
assorta
e
stanca.
**
Jan
Vermeer
-
La
merlettaia
-
1669
-
I
dipinti
con
immagini
di
vita
domestica
diventarono
molto
frequenti
specialmente
dopo
il
trattato
di
Münster
del
1648.
Secondo
Simon
Schama,
la
cultura
olandese
del
XVII
secolo
viveva
profondamente
il
conflitto
tra
casa
e
mondo:
la
casa
è
il
sancta
sanctorum
dei
valori
autentici,
il
rifugio
contro
le
incursioni
del
mercato.
E
così,
anche
i
lavori
d’ago,
da
sempre
considerati
una
occupazione
femminile,
diventavano
anch'essi
mezzo
di
elevazione
morale
contro
la
dissoluzione
dei
costumi.
Maarten
van
Heemskerck,
ad
esempio,
nel
Ritratto
di
Anna
Codde
utilizzò
la
conocchia
per
caratterizzare
la
rappresentazione
di
una
costumata
signora,
secondo
quel
passo
dei
Proverbi
di
Salomone,
tanto
spesso
citato
nei
trattati
sulla
santità
del
matrimonio
fino
agli
inizi
dell'era
moderna:
la
donna
virtuosa
«si
procura
lana
e
lino,
stende
la
sua
mano
alla
conocchia
e
gira
il
fuso
con
le
dita».
Il
dipinto
apparve
per
la
prima
volta
all'asta
Dissius
nel
1696
ad
Amsterdam,
anche
se
primo
proprietario
è
ritenuto
Pieter
Van
Ruijven,
da
cui
Dissius
lo
ereditò.
Passò
poi
a
vari
proprietari
olandesi;
alla
fine
divenne
parte
della
collezione
di
Dirk
Vis
Blokhuyzen,
che
alla
sua
morte
lasciò
dipinti,
disegni
e
libri
alla
città
di
Rotterdam,
in
cambio
di
una
somma
di
denaro
per
gli
eredi.
Il
Museo
Boijmans
non
riuscì
tuttavia
a
mettere
insieme
la
somma
necessaria
all'acquisto
della
collezione,
che
fu
pertanto
messa
all'asta
a
Parigi
nel
1870;
il
dipinto
fu
acquistato
dal
collezionista
Eugène
Feral,
e
due
mesi
dopo
ceduta
al
Louvre,
con
un
profitto
di
circa
2.000
franchi.
È
stato
il
primo
lavoro
di
Vermeer
acquisito
da
una
collezione
pubblica
francese.
La
data
di
creazione
è
incerta,
alcune
fonti
dicono
1644,
1664
o
1669.
Attualmente
le
stime
più
accreditate
indicano
il
1669
e
anche
il
1670:
si
tratta,
in
ogni
caso,
di
un
lavoro
maturo
dell'autore.
La
tela
è
riportata,
dal
1778,
su
un
pannello
di
quercia
che
misura
23,9
per
20,5
centimetri;
è
il
più
piccolo
dei
dipinti
di
Vermeer
e
ha
la
preziosità
di
una
minaitura.
Raffigura
una
persona
qualsiasi
nel
privato
delle
proprie
mansioni
quotidiane:
una
giovinetta
intenta
a
ricamare,
curva
sul
suo
lavoro.
Le
figure
femminili
di
Vermeer
sono
in
genere
rappresentate
in
un
impegno
intellettuale:
donne
che
suonano,
scrivono
o
leggono
sottolineano
l'ideale
nascente
della
donna
colta.
Solo
in
due
casi,
questo
e
la
Lattaia
ha
dipinto
donne
impegnate
in
lavori
manuali:
scorci
di
isolata
intimità
domestica
dove
l'autore
osserva
acutamente
gli
oggetti
di
tutti
i
giorni
e
li
dipinge
in
diverse
combinazioni,
mostrando
le
sue
figure
femminili
colte
in
un
momento
intimo,
isolate,
in
un
mondo
estraneo
allo
spettatore,
avvolto
in
un
terso
bagliore
di
calma
e
di
silenzio.
Lo
sguardo
della
donna
è,
in
questo
caso,
concentrato
sul
lavoro,
mentre
con
le
mani
muove
abilmente
bobine,
aghi
e
fili:
il
tema
della
merlettaia
è
comune
nella
letteratura
e
nella
pittura
olandese,
come
rappresentazione
delle
virtù
domestiche
femminili.
Esempi
si
possono
ammirare
nelle
tele
di
Caspar
Netscher
e
di
Nicolaes
Maes.
La
rappresentazione
moraleggiante
delle
virtù
è
rafforzata
dal
piccolo
libro
rilegato
in
pergamena
sul
tavolo,
chiuso
da
nastri
scuri:
anche
se
il
libro
non
ha
alcuna
caratteristica
individuabile,
quasi
certamente
si
tratta
di
un
libro
di
preghiere
o
di
una
piccola
Bibbia.
L'ambientazione
è
ridotta
al
minimo:
la
visione
è
in
primo
piano,
il
taglio
che
l'artista
dà
alla
scena
è
molto
informale:
lo
spigolo
di
un
tavolo,
un
cuscino
da
ricamo,
fili
rossi
e
bianchi,
uno
sfondo
incolore.
La
donna,
che
non
è
la
moglie
di
Vermeer
come
è
stato
in
passato
sostenuto,
di
sicuro
è
una
signora
della
borghesia
di
Delft
e
non
porta
abiti
da
lavoro,
ma
un
abito
di
raso
giallo
con
un
colletto
di
pizzo.
La
ragazza
rappresentata
trova
dei
punti
di
contatto
con
il
personaggio
della
Donna
che
scrive
una
lettera
alla
presenza
della
domestica,
e
con
quella
della
Suonatrice
di
chitarra.
Sebbene
i
volti
di
Vermeer
siano
dipinti
con
grande
maestria
possono
sembrare
di
fattura
inferiore
se
raffrontati
con
quelli
dipinti
dai
suoi
conterranei
contemporanei.
Si
prenda,
per
esempio
la
Tessitrice
di
Ter
Borch:
anche
qui
l'attenzione
della
donna
è
completamente
assorbita
dal
lavoro
che
sta
svolgendo,
tuttavia
resta
pur
sempre
una
persona,
con
tutto
il
calore
e
la
dignità
che
questo
comporta:
i
sentimenti
della
donna
e
l'arte
di
rappresentarli
sono
egualmente
valori
primari
per
il
pittore.
Nella
Merlettaia,
d'altra
parte,
l'arte
dell'autore
porta
abilmente
il
nostro
occhio
ad
esplorare
a
poco
a
poco
la
composizione
di
cui
il
volto
della
ragazza
è
parte.
Siamo
così
guidati
magistralmente
dalle
pennellate
del
pittore
a
sentire
il
ritmo
della
composizione:
la
direzione
dello
sguardo,
l'allineamento
delle
dita
con
i
fili
ci
indirizzano
verso
un
punto
focale
che
non
è
il
viso
della
protagonista,
ma
il
merletto,
il
lavoro,
qualcosa
che
va
oltre
l'individualità
della
persona
rappresentata.
La
ragazza
è
visibile
ma,
in
ultima
analisi,
immateriale.
Vermeer
suggerisce
la
concentrazione
totale
della
merlettaia
sul
suo
lavoro
grazie
alla
postura
scomoda
e
al
giallo
limone
dei
suoi
vestiti
–
colore
attivo
e
psicologicamente
intenso;
anche
i
capelli
riflettono
lo
stato
fisico
e
mentale.
Infine,
la
luce
illumina
la
fronte
e
le
dita
a
sottolineare
la
precisione
e
la
chiarezza
di
visione
necessaria
per
l'arte
del
merletto:
i
capelli
e
le
mani
sono
inondati
di
luce
che,
a
differenza
della
maggior
parte
delle
opere
di
Vermeer,
entra
da
destra,
non
da
sinistra.
Si
tratta
di
un
chiaro
esempio
dell'utilizzo
dei
principi
dell'ottica
nella
realizzazione
di
un
dipinto.
Vermeer
creò
morbide
modulazioni
di
luce
e
colore
con
una
procedura
ben
collaudata:
gli
oggetti
in
primo
piano,
quali
il
groviglio
di
fili
rossi
e
le
nappe
del
cuscino,
sono
sfocati
con
effetti
dal
pointillé,
come
gli
aghi
e
lo
stesso
merletto.
Infine
lo
sfondo
bianco
e
grigio
anonimo,
una
macchia
indefinita,
mentre
il
piano
medio,
con
la
ragazza
e
i
fili
su
cui
sta
lavorando,
sono
perfettamente
a
fuoco.
Ciò
dà
l'effetto
di
scansione
dei
piani
e
di
diversa
profondità
di
campo,
che
l'artista
osservò
aiutandosi
probabilmente
strumenti
ottici
in
voga
in
quel
periodo,
come
il
telescopio
ribaltato.
Lo
stesso
discorso
vale
per
la
Suonatrice
di
chitarra,
di
poco
posteriore.
La
posizione
centrale
della
figura,
accanto
alle
piccole
dimensioni
del
quadro,
rafforzano
la
sensazione
di
intimità.
Tuttavia,
nonostante
questo
senso
di
vicinanza,
l'universo
della
ragazza
rimane
ineluttabilmente
lontano
da
noi,
al
di
là
del
tavolo
e
del
telaio
che
senza
rimedio
ce
lo
vietano.
La
concentrazione
del
modello
e
il
gioco
di
colori
sullo
sfondo
grigio
rende
questa
tela
uno
dei
capolavori
di
Vermeer.
Il
dipinto
è
stato
particolarmente
apprezzato
dagli
impressionisti,
sempre
alla
ricerca
della
luce
che
crea
il
colore.
Così,
Renoir
ha
ritenuto
che
questo
capolavoro
fosse
l'immagine
più
bella
del
mondo,
insieme
all'Imbarco
per
Citera
di
Antoine
Watteau
(1717),
anch'esso
al
Louvre.
Anche
Van
Gogh
è
stato
affascinato
dal
colore
di
questo
dipinto
e,
in
una
lettera
a
Emile
Bernard,
nel
1888,
ha
evidenziato
la
bellezza
del
suo
«giallo
limone,
azzurro
e
grigio
perla».
Louvre
-
Pittura
spagnola
La
formazione
della
collezione
di
pittura
spagnola
al
Louvre
è
recente.
L'Europa
classicista
dal
XVI
al
XVIII
secolo
ha
ignorato
o
misconosciuto
questa
scuola:
solamente
Ribeira
aveva
raggiunto
la
gloria,
ma
come
pittore
napoletano.
Nonostante
la
successiva
presenza
di
due
regine
provenienti
dalla
Spagna,
Anna
d'Austria
e
Maria
Teresa,
solo
tre
artisti
-
Velazquez,
Collantes
e
Murillo
-
erano
rappresentati
nelle
collezioni
reali:
il
Roveto
ardente
di
Collantes
e
il
Ritratto
dell'Infanta
Margherita
del
Velazquez,
dono
di
Filippo
IV
alla
sorella,
la
regina
Anna
d'Austria,
sono
pressappoco
le
uniche
opere
spagnole
di
cui
poteva
disporre
la
collezione
di
Luigi
XIV.
A
questi
quadri
si
aggiunsero,
sotto
il
regno
di
Luigi
XVI,
alcune
pitture
di
Murillo,
il
primo
artista
spagnolo
ad
essere
conosciuto
ed
apprezzato
in
Francia:
fra
queste
il
Giovane
mendicante,
uno
dei
suoi
capolavori,
che
venne
acquistato
dal
mercante
Lebrun.
Tutto
cambia
col
Romanticismo,
che
fa
andare
la
Spagna
di
moda.
Già
all'epoca
dell'Impero
le
guerre
napoleoniche
avevano
favorito
le
collezioni,
frutto
di
confische,
come
quelle
di
Giuseppe
Bonaparte
e
del
Maresciallo
Soult.
Ma
sarà
Luigi
Filippo
a
far
conoscere
al
grande
pubblico
i
capolavori
del
Secolo
d'Oro:
la
sua
collezione,
debitamente
acquistata
in
Spagna
dal
suo
emissario,
il
barone
Taylor,
ed
esposta
al
Louvre
dal
1838
al
1848,
sarà
una
feconda
fonte
di
studio
per
i
giovani
artisti
come
Courbet
e
Manet.
Disgraziatamente
questo
insieme,
che
contava
più
di
quattrocento
opere,
seguirà
il
sovrano
nel
sue
esilio
per
essere
infine
venduto
all'incanto
a
Londra
nel
1853.
Il
Louvre,
più
tardi,
potrà
raccogliere
solo
Cristo
crocifisso
di
El
Greco,
acquistato
nel
1908.
Se
da
una
parte
si
deve
deplorare
questa
perdita
considerevole,
dall'altra
occorre
rallegrarsi
per
la
qualità
delle
acquisizioni
e
delle
donazioni
della
seconda
metà
del
XIX
e
del
XX
secolo.
Durante
il
Secondo
Impero,
lo
smembramento
della
collezione
del
maresciallo
Soult
permette
l'ingresso
al
Louvre
di
cinque
capolavori,
fra
i
quali
si
trovano
due
scene
della
Vita
di
San
Bonaventura
di
Zurbaràn.
Qualche
anno
pii
tardi
il
lascito
La
Caze
porta
il
famoso
Storpio
di
Ribeira.
Infine,
all'inizio
del
XX
secolo,
una
serie
d
prestigiose
acquisizioni
colma
alcune
importanti
lacune.
Nella
scelta
vengono
inclusi
i
maestri
primitivi
(Martorell,
Huguet,
il
Maestro
di
San
Idelfonso)
e
vengono
così
incamerate
alcune
significative
opere
dei
maestri
del
XVII
secolo
assenti
dal
fondo
(Valdés
Leal,
Alonso
Cano,
Espinosa).
La
collezione
del
Louvre,
che
raccoglie
oggi
una
cinquantina
di
quadri,
anche
se
limitata,
è
sufficientemente
rappresentativa,
tanto
da
offrire
una
panoramica
completa
delle
varie
epoche
con
alcune
opere
di
grande
pregio.
**
Jusepe
de
Ribera
-
Lo
storpio
-
1642
-
Un'etichetta
sul
telaio
ricorda
che
il
dipinto
appartenne
alla
galleria
dei
principi
di
Stigliano
"per
il
quale
era
stato
dipinto
da
Ribera".
Il
dipinto
faceva
parte
della
raccolta
napoletana
del
mercante
e
collezionista
fiammingo
Ferdinand
Vandeneynde;
la
collezione
venne
ereditata
dalla
figlia
Giovanna,
sposatasi
con
don
Giuliano
Colonna
di
Galatro,
del
ramo
di
Stigliano.
È probabile che la tela fosse stata commissionata
inizialmente
per
un
cabinet
de
curiosité,
insieme
ad
altre
opere
raffiguranti
patologie
rare.
Entrato
nel
1849
nella
collezione
del
medico
Louis
La
Caze,
dove
era
registrato
come
"Il
nano.
Uno
dei
più
bei
dipinti
di
Ribera",
venne
donato
al
Louvre
nel
1869,
dove
assunse
il
titolo
attuale
di
"Le
Pied
Bot"
(Il
fanciullo
dal
piede
varo).
L'interesse
del
quadro,
uno
degli
ultimi
e
dei
più
amari
di
Ribera,
è
determinato
dalla
raffigurazione
di
un
giovane
mendicante,
soggetto
rappresentato
frequentemente
nella
pittura
europea
del
XVII
secolo,
ma
raramente
dipinto
in
modo
autonomo;
a
questa
data,
infatti,
non
esistevano
ancora
illustrazioni
di
figure
inferme
ritratte
a
figura
intera.
L'orizzonte
basso
-
un
leggero
movimento
di
colline
-
isola
la
silhouette
del
ragazzo
contro
il
cielo
coperto
di
nuvole.
Il
mendicante
impugna
un
pezzetto
di
carta
con
un'iscrizione
che
fa
appello
alla
carità,
all'amore
di
Dio
e
alla
salute
dell'anima.
Il
suo
sorriso
ampio
e
sincero
è
una
delle
dichiarazioni
più
naturali
e
spontanee
di
un
bambino,
felice
di
avere
attirato
su
di
sé
l'attenzione
del
pittore
e
fiero
di
poter
posare
per
lui.
Il
leggero
movimento
del
corpo,
l'intensità
dello
sguardo,
il
cappello
sotto
il
braccio
e
il
lungo
bastone
obliquo,
sottolineano
la
volontà
di
Ribera
di
voler
dipingere
un
vero
e
proprio
ritratto
che
nobilitasse
la
persona,
piuttosto
che
documentarne
la
sua
malattia.
**
Francisco
de
Zurbaràn
-
L'esposizione
del
corpo
di
san
Bonaventura
-
1629
-
Il
dipinto
proviene
dalla
chiesa
del
convento
francescano
di
San
Bonaventura
di
Siviglia
e
raffigura
la
scena
conclusiva
del
ciclo
dedicato
al
santo,
di
cui
il
Louvre
possiede
quattro
tele.
Il
contratto
iniziale,
stipulato
il
30
dicembre
del
1627
con
Francisco
de
Herrera
il
Vecchio,
prevedeva
la
consegna
di
sei
dipinti
in
nove
mesi,
consentendo
al
pittore
di
valersi
di
un
collaboratore.
Al
programma
iniziale
vennero
apportate
delle
modifiche,
poiché
Herrera
eseguì
i
primi
quattro
dipinti
e
altrettanti
vennero
richiesti
a
Zurbaràn.
Originariamente
disposte
nella
zona
alta
della
navata
della
chiesa,
le
tele
si
dispersero
in
seguito
alla
secolarizzazione
del
collegio,
avvenuta
nel
1835.
Apparso
alla
vendita
Soult
del
1852,
il
quadro
diventò
proprietà
dello
Stato
nel
1858.
Intorno
alla
salma
del
santo
(morto
nel
1274
durante
il
Concilio
di
Lione)
è raffigurato, all'estrema sinistra, Giacomo I
d'Aragona
che
si
intrattiene
con
Gregorio
X,
mentre
in
secondo
piano
si
riconosce
il
ritratto
di
Pierre
de
Tarentaise,
l'arcivescovo
di
Lione.
Gli
altri
astanti,
non
identificati,
sono
dei
francescani
appartenenti
al
convento
dei
Cordeliers
di
Lione,
dove
il
defunto
venne
sepolto.
Costruita sulla lunga linea obliqua della
portantina
mortuaria,
la
tela
valorizza
l'imponente
prestanza
del
cardinale
e
il
suo
costume
d'apparato.
L'oscurità
della
stanza,
appena
modulata
dall'abbozzo
di
tre
file
di
colonne,
è
ravvivata
soltanto
dall'impatto
della
luce
sui
tessuti
spessi
dei
sai,
dalla
luminosità
della
pianeta
e
della
mitra
del
defunto
e
dal
tocco
rosso
del
cappello
cardinalizio,
posato
ai
suoi
piedi.
**
Diego
Velàzquez
-
L'infanta
Margherita
-
1645-1650
-
Il
ritratto
della
piccola
Margherita,
figlia
di
Filippo
IV
e
di
Maria
Anna,
decorava
l'appartamento
d'inverno
di
sua
zia,
la
regina
madre
Anna
d'Austria.
Concluso
nel
1652,
l'appartamento
occupava
il
piano
terreno
dell'ala
sud
della
Cour
Carrée
del
Louvre.
Secondo
la
tradizione
francese
le
stanze
vennero
decorate
con
rivestimenti
in
legno
e
i
soffitti
furono
suddivisi
in
compartimenti
dove
venivano
introdotti
i
dipinti.
Nel
1653
la
regina
madre
-
che
aveva
affidato
l'intera
decorazione
a
Eustache
Le
Sueur
-
desiderò
abbellire
il
cabinet
che
precedeva
la
propria
alcova
con
i
ritratti
della
Casa
d'Austria.
Questa
decisione,
che
probabilmente
imitava
quella
della
galleria
del
re,
decorata
da
ritratti
di
sovrani
e
sovrane
di
Francia
(distrutta
nel
1661),
riprendeva
la
tradizionale
usanza
spagnola
delle
gallerie
abbellite
da
ritratti
di
regnanti.
Il
ritratto
dell'infanta
Margherita
fece
qui
curiosamente
coppia
con
quello
di
suo
zio
don
Carlos
(Versailles,
Musée
National)
rispetto
al
quale
è
di
qualità
decisamente
superiore.
È
affine
a
quello
conservato
al
Kunsthistorisches
Museum
di
Vienna,
dove
la
stessa
fanciulla
è
ritratta
a
figura
intera.
I
capelli
fini
e
spazzolati,
fermati
da
un
fiocco
scarlatto,
ricadono
dolcemente
sulle
spalle,
e
mostrano
un'acconciatura
analoga
a
quella
con
cui
la
modella
ricompare
in
Las
Meninas
dello
stesso
autore
(1656,
Madrid,
Museo
del
Prado),
rivelando
un'alta
qualità
pittorica.
La
posa
riprende
quella
dei
ritratti
femminili
ufficiali
della
corte
madrilena:
le
mani
appoggiate
sulla
seduta,
e
non
alla
spalliera
di
una
sedia,
si
comprendono
con
l'età
della
piccola
aristocratica,
lo
schienale,
che
sembra
impacciarla,
da
invece
ragione
della
sua
età
puerile.
**
Bartolomé Esteban Murillo
-
Giovane
mendicante
-
1645-1650
-
Capolavoro
della
collezione
spagnola
del
Louvre,
il
giovane
mendicante
è il primo dipinto di Murillo che entrò nelle
collezioni
reali
francesi.
Comparve
a
Parigi
nella
raccolta
di
Jean-Louis
Gaignat,
dove
è
citato
nel
1752
da
Dezallier
d'Argenville.
Dopo
la
morte
di
Gaignat
la
sua
collezione
fu
messa
all'asta,
e
il
dipinto
fu
acquistato
nel
1782
da
Luigi
XVI.
Al
Louvre
riscosse
da
subito
un
grande
successo.
L'interesse
di
Murillo
per
le
rappresentazioni
profane
e,
particolarmente,
per
quelle
dedicate
all'infanzia
hanno
fatto
pensare
che
a
Siviglia
fosse
stato
attivo
un
esteso
giro
di
committenti
nordici:
i
soggetti
di
strada
e
di
vita
popolare
ebbero
infatti
molto
successo
all'estero,
ed
è
probabile
che
i
numerosi
mercanti
fiamminghi
attivi
nella
città
andalusa,
sedotti
da
tali
temi,
li
commissionassero
direttamente
ai
pittori
del
luogo.
Prima
testimonianza
della
vita
infantile
dipinta
dall'artista,
il
quadro
non
rappresenta,
come
lascia
invece
intendere
il
titolo,
un
giovane
mendicante,
ma
uno
di
quei
monelli
di
strada,
che
vivevano
senza
ricevere
cure
e
senza
risorse.
La
composizione
è dominata dal violento
chiaroscuro
e
dal
contrasto
tra
l'ombra
del
fondo
e
la
figura
del
fanciullo
bagnata
dalla
luce.
Le
gambe,
le
braccia
e
i
brandelli
delle
vesti
del
ragazzo
sono
contraddistinte
da
forme
cedevoli
e
aggraziate
che
contrastano
con
la
linea
geometrica
della
finestra
e
con
quella
prodotta
dal
riflesso
della
luce
sul
muro.
L'esecuzione è vigorosa
e
la
pennellata
ampia
e
grassa.
La
borsa
e
la
brocca
in
primo
piano
ricordano
la
natura
morta
riprodotta
da
Velàzquez
nei
Bodegones,
dipinti
dall'artista
a
Siviglia
prima
della
partenza
per
la
corte.
Come
quel
grande
maestro,
anche
Murillo
osservò
con
attenzione
le
occupazioni
quotidiane
delle
persone
di
condizioni
sociali
modeste,
ristudiandole
poi
nel
proprio
atelier
con
umiltà
e
affetto.
Pag.
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