Siti preistorici e grotte decorate di Lascaux nella Valle del Vézère
Francia 

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1979

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L'area dichiarata patrimonio dell'umanità comprende 147 siti preistorici e 25 grotte con pitture rupestri scoperti nel corso del XIX e del XX secolo. I luoghi e le caverne più importanti, che si susseguono su un pendio vallivo sopra il fiume Vézère, sono Le Moustier, La Madeleine, Lascaux e Cro-Magnon, dove nel 1868 furono trovati cinque scheletri del tardo paleolitico che diedero il nome a un tipo di Homo sapiens.  

Lascaux assieme agli altri siti francesi e cantabrici è la testimonianza della conquista della stazione eretta non solo nel camminare, ma anche nel dipingere la propria spiritualità. Scendere nelle grotte della Dordogna ci permette di osservare in uno specchio di roccia vecchio di 20.000 anni i lineamenti dei nostri antenati; capire che il colore rosso con cui sono tracciati mammut e tori è impastato con il nostro stesso sangue, quei segni graffiati con un sasso ci portano a comprendere che noi, oggi, apparteniamo alla stessa razza di quei cavernicoli che abitarono le grotte della Francia sud­occidentale e le cuevas dei Pirenei; queste grotte sono la nostra casa più antica. Fuori, nelle foreste, intorno al riparo di Lascaux i grandi animali c’erano davvero! Erano orsi, mammut e bisonti, tori e cavalli takhi, renne.

All’interno delle grotte, nell’ondeggiare delle fiaccole, tratti di nero carbone, di ocra, di rosso (mai di bianco) facevano rivivere cacce favolose, pericoli scampati o tragedie. Il punto centrale per quanto riguarda l’arte rupestre francese è fissato nel paese di Les Eyzies che gli stessi Francesi con la consueta indifferenza verso la modestia hanno battezzato la Capitale della Preistoria.

L’esplorazione sistematica delle grotte inizia verso il 1863, e solo cinque anni dopo viene alla luce lo scheletro che, dal nome del luogo, viene definito “Uomo di Cro­Magnon”. Altri due giacimenti nelle vicinanze diventano presto celebri: La Maddaleine e Le Moustier che diverranno Magdaleniano e Musteriano; fasi distinte del Paleolitico Superiore.

Al 1901 risale invece la scoperta della grotta di Font de Gaume, con pitture sovrapposte tra cui il celebre fregio dei bisonti. Molte scoperte sono legate al nome dell’abate Lamozi a cui si devono osservazioni particolarmente acute e tutt’oggi condivise dagli antropologi moderni. Per esempio, notò che nelle scene di caccia ai mammut spesso partecipano anche le donne e che i grandi animali vengono spesso raffigurati senza occhi o orecchie e con zampe appena stilizzate. L’interpretazione che ne diede fu che fossero stati così dipinti per invocare facili prede. Oggi a questa interpretazione se ne accosta un’altra che considera la pittura preistorica non verista e realista, ma le concede una sorta di aureola impressionista. L’animale dipinto non rappresenta più se stesso, ma concetti metafisici come il futuro, il coraggio, la morte, ecc. Interessante risulta il parallelismo con le pitture rupestri africane dove il rinoceronte spesso rappresenta la morte. Le pitture rupestri quindi non furono mai un fenomeno di “arte per l’arte”.

ORIGINE - L’arte rupestre fu opera dei cosiddetti popoli dei cacciatori superiori. Dalla forma più primitiva di caccia, che si era mantenuta durante i millenni e si era diffusa in gran parte del mondo, si svilupparono tre diramazioni: quella della coltivazione, dell’allevamento e quella dei veri popoli cacciatori. Quest’ultima, contrariamente alle altre due forme economiche, dalla cui unione nascerà l’agricoltura, non giunse allo stadio delle culture superiori. Le origini della civiltà dei cacciatori risalgono alla fine dell’età glaciale, circa 50 mila anni fa. La sua fine è tutt’ora in corso, si pensi ad esempio ai Boscimani del Sud Africa. La caccia occupa tutta l’esistenza del cacciatore, la sua economia, la sua struttura sociale e la vita spirituale. Al centro del suo pensiero è il continuo approfondimento pratico dell’essenza dell’animale. Ciò conduce a concepire il rapporto uomo­bestia come una realtà essenziale, vale a dire a credere allo scambio reciproco delle forme vitali umane e animali.

CONSERVAZIONE - La natura delle rocce delle pitture rupestri è prevalentemente calcarea. Le opere possono conservarsi solo quando non vengono a contatto con le acque di infiltrazione o con la condensazione causata dalle diverse temperature create dalla circolazione di aria tra l’interno e l’esterno della grotta. Quest’ultima è la principale causa della distruzione delle pitture. Spesso l’acqua di infiltrazione scorre lungo le pareti della grotta creando drappeggiature e infiorescenze e anche una sottile pellicola calcarea che viene considerata come una delle principali prove di autenticità e antichità delle opere. A Lascaux, per esempio, le pareti sono coperte da uno strato sottile e chiaro di concrezioni su cui le immagini sono state dipinte. La sedimentazione era infatti già cessata in età glaciale. Inoltre le pareti delle grotte sono sottoposte a processi biologici come i licheni (su roccia asciutta) oppure muschi e alghe su superfici umide; inoltre agenti chimici come l’ossidazione avvengono in continuazione rendendo più scuri i colori fino ad impedire la visibilità delle figure.

DATAZIONE - Quella della datazione è una delle questioni più discusse, infatti molti sono stati i dubbi e le perplessità che addussero diversi esperti a dubitare dell’autenticità e dell’età. A favore sono certamente le concrezioni sulla superficie delle opere, ma un aiuto è fornito anche dalla rappresentazione degli animali raffigurati per la maggior parte oggi estinti. Mammut, renne, alci, buoi muschiati, bisonti, antilopi saiga (Les Combarelles), testimoniano l’età dell’arte che li raffigura: cioè l’ultimo periodo dell’età glaciale. 

Non meno importanti risultano per la datazione i manufatti ritrovati negli strati di riempimento delle grotte che fungono da comparazione spazio­temporale. Inoltre, molto diffuse, sono le sovrapposizioni delle immagini, grazie alle quali Breuil stabilì la successione dei periodi artistici. In sintesi egli distinse due grandi periodi: L’Aurignaco­Perigordiano e il Solutreo­Maddaleniano. I primi segni di attività artistica si fanno risalire al paleolitico superiore, all’epoca della glaciazione Würm. Si tratta di raffigurazioni di mani, vere e proprie impronte bordate da colore rosso o nero (Breuil – El Castello). 

Subito successive sono le linee tracciate con dita o punte nell’argilla. Sono dette “maccaronis”, inizialmente del tutto caotiche rappresentano la più antica scrittura ideografica. Dalla paziente e lenta evoluzione dei maccaronis appariranno i segni tettiformi a cui seguono i primi animali tracciati semplicemente col contorno. Seguirà la totale riempitura del corpo col colore (rosso Altamira/nero Lascaux e Font de Gaume). Infine la prospettiva Tordue (tipica dell’arte rupestre sahariana) delle corna dei bovidi che non vengono riprodotte come il resto del corpo di profilo, ma al contrario raffigurate in prospettiva frontale. Parallelamente alla pittura, in questa fase, si sviluppa la tecnica del graffito. Tornando alla pittura, la tecnica si affina e diverse macchie di colore delineano il pellame degli animali (Niaux) fino a raggiungere la policromia con effetti ombra. 

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TECNICA - Spesso i disegni si trovano molto distanti dall’apertura. Sono state ritrovate ciotole di argilla (la più famosa a La Mouthe) oppure scisti di arenaria ricoperti da una patina carboniosa. E’ chiaro quindi che l’uomo che si introduceva in queste grotte padroneggiava l’arte del fuoco, sapeva quindi con facilità accendere la fiamma ed usava torce che non affumicassero o danneggiassero i dipinti. 

Per quanto riguarda strumenti e materiali, le pitture venivano eseguite normalmente con paste colorate diluite. Il materiale più usato era l’ocra che forniva il giallo, il rosso; inoltre ossidi di manganese e carbone di legna. Il bianco non era utilizzato, neppure il verde o l’azzurro. Il viola è probabilmente dovuto all’ossidazione nel tempo. 

In genere i colori venivano polverizzati con pestelli e mescolati con sostanze oleose o grasse. Sicuramente usati come leganti sangue, sperma e albume. Questa sostanza veniva quindi spalmata sulla parete con le dita oppure con delle piume.  Altra tecnica utilizzava vesciche di animali come tamponatura del colore sulle pareti porose. Infine altra tecnica consisteva nello spruzzare direttamente con la bocca il colore.

L'ISPIRAZIONE - Probabilmente l’impulso più forte alla creazione artistica proveniva dalla caccia. Quotidianamente l’uomo incontrava le orme della selvaggina sul suolo; queste potevano essere riprodotte e imitate. Ciò spinse l’uomo a riprodurre la propria mano, ed in seguito, tracciare linee con le dita sporche. Dall’inizio casuale, questo atto diverrà poi intenzionale, sorgerà così un intrico di linee meandriformi da cui, a poco a poco, nascerà il contorno degli animali. 

Quasi sicuramente furono le popolazioni dell’Asia Minore che si spostarono in Europa durante il periodo interglaciale a portare con sé le doti che rappresentano la premessa per una creazione artistica. Ecco allora la conferma di quanto già detto prima, la riproduzione del mondo animale non poteva essere. Infatti, per la conservazione del gruppo tribale, era necessaria la continuazione di un determinato patrimonio zoologico, ci si preoccupava che questo patrimonio decimato dalla caccia fosse ricostruito e si desiderava ottenere ciò con la magia, la magia con i suoi incantesimi e riti legava uccisione e procreazione, morte e vita. 

Solo così sono spiegabili le immagini colpite da frecce e lance oppure raffiguranti territori di caccia in cui la selvaggina viene costretta verso precipizi oppure recinti da figure umane filiformi. Determinante per l’uomo dell’età glaciale era “imprigionare” l’immagine dell’animale in modo da essere sicuri del proprio potere su di esso durante la caccia. Qui nasce lo sciamanesimo. Gli stregoni della tribù, gli unici a cui fosse permesso l’accesso ai luoghi contenenti le pitture, santuari dove si compivano le cerimonie necessarie alla conservazione del gruppo tribale.

Doveva essere una scappatella da adolescenti, quella di Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e Simon Coencas su per la collina che sovrasta il villaggio di Montignac, presso Lascaux, in Dordogna, sulla sponda sinistra della Vézère. E invece si è trasformata in una delle più celebri scoperte archeologiche del XX secolo. 

Era il 12 settembre 1940, e i quattro ragazzini, armati solo della fioca luce di una pila e di quel tanto di incoscienza che basta, decisero di addentrarsi nella voragine lasciata da un albero caduto nel bel mezzo del bosco. Lasciandosi scivolare lungo una pietraia che chiudeva l'accesso alla grotta, si trovarono quasi subito in un'ampia apertura che oggi tutti conoscono come la grande Sala dei Tori. 

Le pitture rupestri della Sala dei Tori sono probabilmente le più straordinarie testimonianze al mondo dell'arte del Paleolitico. Si estendono per una ventina di metri quadrati su entrambe le pareti che piegano a formare la volta di un anfratto quasi circolare, e sono composte da tre gruppi di animali: cavalli, tori e cervi.

Rimasti a bocca aperta davanti a quegli incredibili capolavori sotterranei, i quattro avvisarono il loro insegnante e la notizia della loro scoperta finì sul giornalino della scuola. Da quel momento, a Lascaux cominciarono ad arrivare gli archeologi, a cominciare dall’abate André Glory, che copiò meticolosamente tutte le incisioni per oltre un quarto di secolo. 

Già, perché, oltre alla Sala dei Tori, la grotta di Lascaux - che si spinge per oltre 100 metri nelle profondità della montagna - comprende almeno altri sette importanti punti di riferimento. Sulla sinistra, la Galleria Dipinta è il proseguimento naturale della Sala dei Tori, con le sue figure zoomorfe che ricoprono tanto le pareti quanto la volta della grotta, significativamente ribattezzate la "Cappella Sistina della preistoria". 

A destra, invece, si susseguono il Passaggio, la Navata , la Buca del Gatto e la Camera dei Felini, la più interna delle aree decorate. Attraverso un passaggio laterale si giunge invece all'Abside e al Pozzo, che oltre alle pitture murali ha offerto anche un vasto repertorio di manufatti. Qui sono infatti state ritrovate 21 lampade di pietra grezze e una finemente lavorata, 14 teste di lancia d'osso, una "tavolozza" da pittore - grazie alla quale è stato possibile studiare i pigmenti usati dagli artisti paleolitici - e otto agglomerati di minerali da cui venivano estratti i pigmenti. 

I ritrovamenti effettuati nelle altre grotte testimoniano inoltre che già 30000 anni fa i gruppi di cacciatori-raccoglitori stabilitisi nel sud della Francia durante l'epoca glaciale avevano prodotto le prime opere d'arte in Eu­ropa. Questi preziosi disegni documentano la concezione religiosa, molto legata alla caccia, dell'uomo vissuto durante l'età della pietra. 

Nel complesso, a Lascaux sono state catalogate quasi 1500 incisioni sulle pareti e sulla volta della grotta, la cui realizzazione risale a 17.000 anni fa secondo alcune stime, a 15.000 secondo altre. Esse rappresentano l'apice dell'arte rupestre paleolitica che nel Maddaleniano, tra 18.000 e 11.000 anni fa, trovò una grande diffusione in tutta la Dordogna. Nella sola Vallèe de la Vézère sono censiti 147 siti preistorici e 25 grotte decorate con pitture rupestri che hanno permesso di ricostruire la vita dell'Homo sapiens nella fase immediatamente precedente l'introduzione dell'agricoltura. 

Fra le pitture più belle delle sale troviamo:

- una rarissima rappresentazione scenica dell’età glaciale: un bisonte gravemente ferito, col fianco lacerato da un colpo di lancia, ha abbassato le corna come per l’attacco; dinnanzi a lui giace una figura umana tracciata sommariamente come sempre. In primo piano si nota una pertica su cui staziona un uccello, a sinistra un rinoceronte si allontana. Molte supposizioni sono state fatte; la più probabile indica una tragedia che ha ucciso un capo oppure un cacciatore molto abile. 

- sala dei “buoi primigeni”: tre giganteschi buoi e parti di un quarto animale raggiungono i 5 metri e sono da considerarsi unici. I contorni sono dipinti in nero, la superficie interna è colorata di nero oppure con macchie nere. Interessante: le corna e gli zoccoli seguono la prospettiva tordue caratteristica dell’arte perigordiana. I tori si sovrappongono a buoi selvatici più antichi dipinti di rosso. Sulla sinistra della grande sala si trova il liocorno; i contorni sono tracciati con tratti forti e grossolani, il corpo e le zampe sono potenti. Ha la testa piccola dalla quale emergono due lunghe aste: appartiene al mito. Il dorso e il petto sembrano ornati da anelli. Tutto fa ipotizzare che si tratti di un uomo travestito da animale, uno sciamano. Tra i due buoi primigeni , sempre sulla sinistra, si trovano parecchi piccoli cervi con corna molto ramificate che ricordano i cervi fiammeggianti degli Sciti del V secolo, scolpiti sulle steli rupestri mongole. Attorno troviamo cavalli e mucche e molti segni recintiformi. Forse indicavano zone di caccia o trappole? 

- graffito dei “cervi nuotanti”: sono state riprodotte solo le teste, con corna ramificate, sembrano attraversare un fiume. Lunghezza circa 5 metri. Oltre alle già note tecniche ottenute per mezzo di dita o di piume, a Lascaux il colore, ridotto in polvere, fu soffiato sulle pareti. Ciò si nota chiaramente sulla superficie cosparsa di piccole macchioline. Questa colorazione fu usata soprattutto per la colorazione delle criniere dei cavalli.

Le meraviglie della grotta di Lascaux, però, sono inaccessibili al pubblico da ormai 40 anni. Nei primi anni ’60 ci si accorse che il calore e l’umidità portati dai visitatori avevano causato la comparsa di muffe e il deterioramento dei colori. Fu quindi individuato a circa 200 metri dall’originale un sito compatibile per realizzare Lascaux II. Utilizzando colate di spritz­beton sul tracciato di rilevi sterofotogrammetrici, si ottenne un calco e quindi un doppio delle Sale originali. La pittrice Monique Peytral, maneggiando gli stessi utensili e utilizzando materiali preistorici, servendosi di diapositive proiettate sulla finta roccia creò l’illusione di Lascaux II. 

Andre Malraux, Ministro della cultura francese, decise di chiudere la grotta, il 20 aprile 1963. Eliminate le cause di contaminazione ambientale, le pitture di Lascaux sono tornate allo stato originario, ma non sono perdute per sempre alla vista dei visitatori. Nel 1980 le autorità hanno deciso di realizzare una replica completa della grotta, eseguita con estrema accuratezza e con materiali adatti a rendere con precisione i colori, le incisioni e persino la granulosità della roccia dell'originale. Lascaux II ha aperto i battenti nel 1983. Nel 2001, peraltro, una ricognizione della grotta "vera" ha sventato una nuova minaccia alle pitture. Su alcune rocce e sul pavimento della grotta sono state rilevate colonie di batteri e funghi che hanno dovuto essere debellate con fungicidi e antibiotici. Il problema è risolto, ma resta qualche preoccupazione per il fragile equilibrio biologico di questo incredibile patrimonio dell'alba della civiltà.