L'area
dichiarata patrimonio dell'umanità comprende
147 siti preistorici e 25 grotte con pitture
rupestri scoperti nel corso del XIX
e del XX
secolo. I
luoghi e le caverne più importanti, che
si susseguono su un pendio vallivo sopra il
fiume Vézère, sono Le Moustier, La Madeleine,
Lascaux e Cro-Magnon, dove nel 1868 furono
trovati cinque scheletri del tardo paleolitico
che diedero il nome a un tipo di Homo sapiens.
Lascaux
assieme agli altri siti francesi e cantabrici è
la testimonianza della conquista della stazione
eretta non solo nel camminare, ma anche nel
dipingere la propria spiritualità. Scendere
nelle grotte della Dordogna ci permette di
osservare in uno specchio di roccia vecchio di
20.000 anni i lineamenti dei nostri antenati;
capire che il colore rosso con cui sono
tracciati mammut e tori è impastato con il
nostro stesso sangue, quei segni graffiati con
un sasso ci portano a comprendere che noi, oggi,
apparteniamo alla stessa razza di quei
cavernicoli che abitarono le grotte della
Francia sudoccidentale e le cuevas dei
Pirenei; queste grotte sono la nostra casa più
antica. Fuori, nelle foreste, intorno al riparo
di Lascaux i grandi animali c’erano davvero!
Erano orsi, mammut e bisonti, tori e cavalli
takhi, renne.
All’interno
delle grotte, nell’ondeggiare delle fiaccole,
tratti di nero carbone, di ocra, di rosso (mai
di bianco) facevano rivivere cacce favolose,
pericoli scampati o tragedie. Il punto centrale
per quanto riguarda l’arte rupestre francese
è fissato nel paese di Les Eyzies che gli
stessi Francesi con la consueta indifferenza
verso la modestia hanno battezzato la Capitale
della Preistoria.
L’esplorazione
sistematica delle grotte inizia verso il 1863, e
solo cinque anni dopo viene alla luce lo
scheletro che, dal nome del luogo, viene
definito “Uomo
di CroMagnon”.
Altri due giacimenti nelle vicinanze diventano
presto celebri: La Maddaleine e Le Moustier che
diverranno Magdaleniano e Musteriano; fasi
distinte del Paleolitico Superiore.
Al
1901 risale invece la scoperta della grotta di Font
de Gaume,
con pitture sovrapposte tra cui il celebre
fregio dei bisonti. Molte scoperte sono legate
al nome dell’abate Lamozi a cui si devono
osservazioni particolarmente acute e tutt’oggi
condivise dagli antropologi moderni. Per
esempio, notò che nelle scene di caccia ai
mammut spesso partecipano anche le donne e che i
grandi animali vengono spesso raffigurati senza
occhi o orecchie e con zampe appena stilizzate.
L’interpretazione che ne diede fu che fossero
stati così dipinti per invocare facili prede.
Oggi a questa interpretazione se ne accosta
un’altra che considera la pittura preistorica
non verista e realista, ma le concede una sorta
di aureola impressionista. L’animale dipinto
non rappresenta più se stesso, ma concetti
metafisici come il futuro, il coraggio, la
morte, ecc. Interessante risulta il parallelismo
con le pitture rupestri africane dove il
rinoceronte spesso rappresenta la morte. Le
pitture rupestri quindi non furono mai un
fenomeno di “arte per l’arte”.

ORIGINE
- L’arte
rupestre fu opera dei cosiddetti popoli dei
cacciatori superiori. Dalla forma più primitiva
di caccia, che si era mantenuta durante i
millenni e si era diffusa in gran parte del
mondo, si svilupparono tre diramazioni: quella
della coltivazione, dell’allevamento e quella
dei veri popoli cacciatori. Quest’ultima,
contrariamente alle altre due forme economiche,
dalla cui unione nascerà l’agricoltura, non
giunse allo stadio delle culture superiori. Le
origini della civiltà dei cacciatori risalgono
alla fine dell’età glaciale, circa 50 mila
anni fa. La sua fine è tutt’ora in corso, si
pensi ad esempio ai Boscimani del Sud Africa. La
caccia occupa tutta l’esistenza del
cacciatore, la sua economia, la sua struttura
sociale e la vita spirituale. Al centro del suo
pensiero è il continuo approfondimento pratico
dell’essenza dell’animale. Ciò conduce a
concepire il rapporto uomobestia come una
realtà essenziale, vale a dire a credere allo
scambio reciproco delle forme vitali umane e
animali.
CONSERVAZIONE
- La natura delle rocce delle pitture rupestri
è prevalentemente calcarea. Le opere possono
conservarsi solo quando non vengono a contatto
con le acque di infiltrazione o con la
condensazione causata dalle diverse temperature
create dalla circolazione di aria tra
l’interno e l’esterno della grotta.
Quest’ultima è la principale causa della
distruzione delle pitture. Spesso l’acqua di
infiltrazione scorre lungo le pareti della
grotta creando drappeggiature e infiorescenze e
anche una sottile pellicola calcarea che viene
considerata come una delle principali prove di
autenticità e antichità delle opere. A
Lascaux, per esempio, le pareti sono coperte da
uno strato sottile e chiaro di concrezioni su
cui le immagini sono state dipinte. La
sedimentazione era infatti già cessata in età
glaciale. Inoltre le pareti delle grotte sono
sottoposte a processi biologici come i licheni
(su roccia asciutta) oppure muschi e alghe su
superfici umide; inoltre agenti chimici come
l’ossidazione avvengono in continuazione
rendendo più scuri i colori fino ad impedire la
visibilità delle figure.

DATAZIONE
- Quella della datazione è una delle questioni
più discusse, infatti molti sono stati i dubbi
e le perplessità che addussero diversi esperti
a dubitare dell’autenticità e dell’età. A
favore sono certamente le concrezioni sulla
superficie delle opere, ma un aiuto è fornito
anche dalla rappresentazione degli animali
raffigurati per la maggior parte oggi estinti.
Mammut, renne, alci, buoi muschiati, bisonti,
antilopi saiga (Les Combarelles), testimoniano
l’età dell’arte che li raffigura: cioè
l’ultimo periodo dell’età glaciale.
Non
meno importanti risultano per la datazione i
manufatti ritrovati negli strati di riempimento
delle grotte che fungono da comparazione spaziotemporale.
Inoltre, molto diffuse, sono le sovrapposizioni
delle immagini, grazie alle quali Breuil stabilì
la successione dei periodi artistici. In sintesi
egli distinse due grandi periodi: L’AurignacoPerigordiano
e il SolutreoMaddaleniano. I primi segni di
attività artistica si fanno risalire al
paleolitico superiore, all’epoca della
glaciazione Würm. Si tratta di raffigurazioni
di mani, vere e proprie impronte bordate da
colore rosso o nero (Breuil – El Castello).
Subito
successive sono le linee tracciate con dita o
punte nell’argilla. Sono dette
“maccaronis”, inizialmente del tutto
caotiche rappresentano la più antica scrittura
ideografica. Dalla paziente e lenta evoluzione
dei maccaronis appariranno i segni tettiformi a
cui seguono i primi animali tracciati
semplicemente col contorno. Seguirà la totale
riempitura del corpo col colore (rosso
Altamira/nero Lascaux e Font de Gaume). Infine
la prospettiva Tordue (tipica dell’arte
rupestre sahariana) delle corna dei bovidi che
non vengono riprodotte come il resto del corpo
di profilo, ma al contrario raffigurate in
prospettiva frontale. Parallelamente alla
pittura, in questa fase, si sviluppa la tecnica
del graffito. Tornando alla pittura, la tecnica
si affina e diverse macchie di colore delineano
il pellame degli animali (Niaux) fino a
raggiungere la policromia con effetti
ombra.



TECNICA
- Spesso
i disegni si trovano molto distanti
dall’apertura. Sono state ritrovate ciotole di
argilla (la più famosa a La Mouthe) oppure
scisti di arenaria ricoperti da una patina
carboniosa. E’ chiaro quindi che l’uomo che
si introduceva in queste grotte padroneggiava
l’arte del fuoco, sapeva quindi con facilità
accendere la fiamma ed usava torce che
non affumicassero o danneggiassero i dipinti.
Per
quanto riguarda strumenti e materiali, le
pitture venivano eseguite normalmente con paste
colorate diluite. Il materiale più usato era
l’ocra che forniva il giallo, il rosso;
inoltre ossidi di manganese e carbone di legna.
Il bianco non era utilizzato, neppure il verde o
l’azzurro. Il viola è probabilmente dovuto
all’ossidazione nel tempo.
In
genere i colori venivano polverizzati con
pestelli e mescolati con sostanze oleose o
grasse. Sicuramente usati come leganti sangue,
sperma e albume. Questa sostanza veniva quindi
spalmata sulla parete con le dita oppure con
delle piume. Altra tecnica utilizzava
vesciche di animali come tamponatura del colore
sulle pareti porose. Infine altra tecnica
consisteva nello spruzzare direttamente con la
bocca il colore.
L'ISPIRAZIONE
- Probabilmente
l’impulso più forte alla creazione artistica
proveniva dalla caccia. Quotidianamente l’uomo
incontrava le orme della selvaggina sul suolo;
queste potevano essere riprodotte e imitate. Ciò
spinse l’uomo a riprodurre la propria mano, ed
in seguito, tracciare linee con le dita sporche.
Dall’inizio casuale, questo atto diverrà poi
intenzionale, sorgerà così un intrico di linee
meandriformi da cui, a poco a poco, nascerà il
contorno degli animali.
Quasi
sicuramente furono le popolazioni dell’Asia
Minore che si spostarono in Europa durante il
periodo interglaciale a portare con sé le doti
che rappresentano la premessa per una creazione
artistica. Ecco allora la conferma di quanto già
detto prima, la riproduzione del mondo animale
non poteva essere. Infatti,
per la conservazione del gruppo tribale, era
necessaria la continuazione di un determinato
patrimonio zoologico, ci si preoccupava che
questo patrimonio decimato dalla caccia fosse
ricostruito e si desiderava ottenere ciò con la
magia, la magia con i suoi incantesimi e riti
legava uccisione e procreazione, morte e vita.
Solo
così sono spiegabili le immagini colpite da
frecce e lance oppure raffiguranti territori di
caccia in cui la selvaggina viene costretta
verso precipizi oppure recinti da figure umane
filiformi. Determinante per l’uomo dell’età
glaciale era “imprigionare” l’immagine
dell’animale in modo da essere sicuri del
proprio potere su di esso durante la caccia. Qui
nasce lo sciamanesimo. Gli stregoni della tribù,
gli unici a cui fosse permesso l’accesso ai
luoghi contenenti le pitture, santuari dove si
compivano le cerimonie necessarie alla
conservazione del gruppo tribale.

Doveva
essere una scappatella da adolescenti, quella di
Marcel Ravidat, Jacques Marsal, Georges Agnel e
Simon Coencas su per la collina che sovrasta il
villaggio di Montignac, presso Lascaux, in
Dordogna, sulla sponda sinistra della Vézère.
E invece si è trasformata in una delle più
celebri scoperte archeologiche del XX secolo.
Era il
12 settembre 1940, e i quattro ragazzini, armati
solo della fioca luce di una pila e di quel
tanto di incoscienza che basta, decisero di
addentrarsi nella voragine lasciata da un albero
caduto nel bel mezzo del bosco. Lasciandosi
scivolare lungo una pietraia che chiudeva
l'accesso alla grotta, si trovarono quasi subito
in un'ampia apertura che oggi tutti conoscono
come la grande Sala dei Tori.
Le
pitture rupestri della Sala dei Tori sono
probabilmente le più straordinarie
testimonianze al mondo dell'arte del
Paleolitico. Si estendono per una ventina di
metri quadrati su entrambe le pareti che piegano
a formare la volta di un anfratto quasi
circolare, e sono composte da tre gruppi di
animali: cavalli, tori e cervi.
Rimasti
a bocca aperta davanti a quegli incredibili
capolavori sotterranei, i quattro avvisarono il
loro insegnante e la notizia della loro scoperta
finì sul giornalino della scuola. Da quel
momento, a Lascaux cominciarono ad arrivare gli
archeologi, a cominciare dall’abate André
Glory, che copiò meticolosamente tutte le
incisioni per oltre un quarto di secolo.
Già,
perché, oltre alla Sala dei Tori, la grotta di
Lascaux - che si spinge per oltre 100 metri
nelle profondità della montagna - comprende
almeno altri sette importanti punti di
riferimento. Sulla sinistra,
la Galleria Dipinta
è il proseguimento naturale della Sala dei
Tori, con le sue figure zoomorfe che ricoprono
tanto le pareti quanto la volta della grotta,
significativamente ribattezzate la
"Cappella Sistina della preistoria".
A
destra, invece, si susseguono il Passaggio,
la Navata
, la Buca
del Gatto e
la Camera
dei Felini, la più interna delle aree decorate.
Attraverso un passaggio laterale si giunge
invece all'Abside e al Pozzo, che oltre alle
pitture murali ha offerto anche un vasto
repertorio di manufatti. Qui sono infatti state
ritrovate 21 lampade di pietra grezze e una
finemente lavorata, 14 teste di lancia d'osso,
una "tavolozza" da pittore - grazie
alla quale è stato possibile studiare i
pigmenti usati dagli artisti paleolitici - e
otto agglomerati di minerali da cui venivano
estratti i pigmenti.
I ritrovamenti effettuati nelle altre grotte
testimoniano inoltre che già 30000 anni fa i
gruppi di cacciatori-raccoglitori stabilitisi
nel sud della Francia durante l'epoca glaciale
avevano prodotto le prime opere d'arte in Europa.
Questi preziosi disegni documentano la
concezione religiosa, molto legata alla caccia,
dell'uomo vissuto durante l'età della pietra.
Nel
complesso, a Lascaux sono state catalogate quasi
1500 incisioni sulle pareti e sulla volta della
grotta, la cui realizzazione risale a 17.000
anni fa secondo alcune stime, a 15.000 secondo
altre. Esse rappresentano l'apice dell'arte
rupestre paleolitica che nel Maddaleniano, tra
18.000 e 11.000 anni fa, trovò una grande
diffusione in tutta
la Dordogna. Nella
sola Vallèe de
la Vézère
sono censiti 147 siti preistorici e 25 grotte
decorate con pitture rupestri che hanno permesso
di ricostruire la vita dell'Homo sapiens nella
fase immediatamente precedente l'introduzione
dell'agricoltura.
  
Fra
le pitture più belle delle sale troviamo:
-
una rarissima rappresentazione scenica dell’età
glaciale: un bisonte gravemente ferito, col
fianco lacerato da un colpo di lancia, ha
abbassato le corna come per l’attacco;
dinnanzi a lui giace una figura umana tracciata
sommariamente come sempre. In primo piano si
nota una pertica su cui staziona un uccello, a
sinistra un rinoceronte si allontana. Molte
supposizioni sono state fatte; la più probabile
indica una tragedia che ha ucciso un capo oppure
un cacciatore molto abile.
-
sala dei “buoi primigeni”: tre giganteschi
buoi e parti di un quarto animale raggiungono i
5 metri e sono da considerarsi unici. I contorni
sono dipinti in nero, la superficie interna è
colorata di nero oppure con macchie nere.
Interessante: le corna e gli zoccoli seguono la
prospettiva tordue caratteristica dell’arte
perigordiana. I tori si sovrappongono a buoi
selvatici più antichi dipinti di rosso. Sulla
sinistra della grande sala si trova il liocorno;
i contorni sono tracciati con tratti forti e
grossolani, il corpo e le zampe sono potenti. Ha
la testa piccola dalla quale emergono due lunghe
aste: appartiene al mito. Il dorso e il petto
sembrano ornati da anelli. Tutto fa ipotizzare
che si tratti di un uomo travestito da animale,
uno sciamano. Tra i due buoi primigeni , sempre
sulla sinistra, si trovano parecchi piccoli
cervi con corna molto ramificate che ricordano i
cervi fiammeggianti degli Sciti del V secolo,
scolpiti sulle steli rupestri mongole. Attorno
troviamo cavalli e mucche e molti segni
recintiformi. Forse indicavano zone di caccia o
trappole?
-
graffito dei “cervi nuotanti”: sono state
riprodotte solo le teste, con corna ramificate,
sembrano attraversare un fiume. Lunghezza circa
5 metri. Oltre alle già note tecniche ottenute
per mezzo di dita o di piume, a Lascaux il
colore, ridotto in polvere, fu soffiato sulle
pareti. Ciò si nota chiaramente sulla
superficie cosparsa di piccole macchioline.
Questa colorazione fu usata soprattutto per la
colorazione delle criniere dei cavalli.

Le
meraviglie della grotta di Lascaux, però, sono
inaccessibili al pubblico da ormai 40 anni. Nei
primi anni ’60 ci si accorse che il calore e
l’umidità portati dai visitatori avevano
causato la comparsa di muffe e il deterioramento
dei colori. Fu quindi individuato a circa 200
metri dall’originale un sito compatibile per
realizzare Lascaux II. Utilizzando colate di
spritzbeton sul tracciato di rilevi
sterofotogrammetrici, si ottenne un calco e
quindi un doppio delle Sale originali. La
pittrice Monique Peytral, maneggiando gli stessi
utensili e utilizzando materiali preistorici,
servendosi di diapositive proiettate sulla finta
roccia creò l’illusione di Lascaux II.
Andre
Malraux, Ministro della cultura francese, decise
di chiudere la grotta, il 20 aprile 1963.
Eliminate le cause di contaminazione ambientale,
le pitture di Lascaux sono tornate allo stato
originario, ma non sono perdute per sempre alla
vista dei visitatori. Nel 1980 le autorità
hanno deciso di realizzare una replica completa
della grotta, eseguita con estrema accuratezza e
con materiali adatti a rendere con precisione i
colori, le incisioni e persino la granulosità
della roccia dell'originale. Lascaux II ha
aperto i battenti nel 1983. Nel 2001, peraltro,
una ricognizione della grotta "vera"
ha sventato una nuova minaccia alle pitture. Su
alcune rocce e sul pavimento della grotta sono
state rilevate colonie di batteri e funghi che
hanno dovuto essere debellate con fungicidi e
antibiotici. Il problema è risolto, ma resta
qualche preoccupazione per il fragile equilibrio
biologico di questo incredibile patrimonio
dell'alba della civiltà.
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