Le
Stanze di Raffaello
Le Stanze di Raffaello furono affrescate dal maestro a
partire dal 1509 e
proseguite negli anni
seguenti, anche sotto il
pontificato di Leone X,
con
temi celebrativi della
potenza della Fede e
della Chiesa.
La prima fu la Stanza della
Segnatura, così
chiamata perché adibita
alla firma da parte del
pontefice degli atti
ufficiali, in cui
Raffaello profuse la sua
arte nella realizzazione
della Disputa sul
Sacramento, affresco
raffigurante la
glorificazione
dell'Eucarestia, della
Scuola d'Atene, che
riunisce all'interno di
un grande spartito
architettonico i
sapienti e i filosofi
dell'antichità e i
signori e gli artisti
del contemporaneo
scenario rinascimentale
- tutti raccolti attorno
alle figure di Platone e
Aristotele - e del
Parnaso, allegorica
celebrazione delle Arti
impersonate dalle figure
mitologiche di muse e di
divinità. Nei grandi
medaglioni delle volte e
nei riquadri ad essi
alternati, quasi a voler
offrire un compendio
simbolico degli
affreschi delle
sottostanti pareti,
l'urbinate dipinse
alcune rappresentazioni
allegoriche delle
Scienze e delle Arti
(Teologia, Giustizia,
Filosofia, Poesia,
Astronomia), assieme ad
episodi emblematici ad
esse riferentisi
(Peccato originale,
Giudizio di Salomone,
Apollo e Marsia).
Tra il 1512 e il 1514 Raffaello lavorò alla decorazione
della Stanza di
Eliodoro, sviluppando
negli affreschi alcuni
episodi storici secondo
un programma
iconografico dettato
dallo stesso Giulio II.
Le
tematiche affrontate si
riferiscono al tempo
stesso agli interventi
di Dio a protezione
della Chiesa e alla
glorificazione delle
vicende salienti del
pontificato di Giulio II: Leone Magno che ferma Attila allude alla battaglia di Ravenna del 1512
in cui il futuro Leone X sbaragliò i Francesi; la Messa di Bolsena, che
illustra l'istituzione
del Corpus Domini da
parte di Urbano IV,
si
riferisce anche al voto
fatto da Giulio II prima dell'assedio di Bologna; infine l'episodio
biblico della Cacciata
di Eliodoro, in cui si
accenna alla lotta del
pontefice contro i
nemici della Chiesa, e
la Liberazione di san
Pietro, allusiva alla
liberazione di Leone X imprigionato dopo la battaglia di Ravenna.
Nei due anni seguenti, sino al 1517, fu la volta della
decorazione della
cosiddetta Stanza
dell'Incendio, dal tema
dell'affresco
principale, l'Incendio
di Borgo, ispirato alla
figura di Leone IV
che
ferma il rovinoso
flagello con
l'imposizione del segno
della croce. Questo
affresco, così come gli
altri (Vittoria di Leone
IV contro i Saraceni, Giuramento di Leone III,
Incoronazione di Carlo
Magno da parte di Leone
III), eseguiti quasi
tutti dagli allievi di
Raffaello su precise
indicazioni del maestro,
alludono agli illustri
predecessori omonimi di
papa Leone X,
sotto
il cui pontificato venne
decorata la stanza.
Anche la Sala dei Palafrenieri conteneva pitture murali
raffaellesche; esse
furono però distrutte e
sostituite più tardi da
altre, volute da
Gregorio XIII
verso
la fine del Cinquecento.
Decisamente opera di uno dei più
importanti allievi di
Raffaello, Giulio
Romano, è invece la
decorazione della Sala
di Costantino, alla
quale l'artista lavorò
assieme ad aiuti dopo la
morte del maestro,
illustrandovi episodi
della vita di Costantino
(il Battesimo
dell'imperatore, la
Battaglia contro
Massenzio, l'Apparizione
della Croce, la
Donazione).
La
Cappella Sistina
È
conosciuta in tutto il
mondo sia per essere la
sala nella quale si
tengono il conclave e
altre cerimonie
ufficiali, comprese
alcune incoronazioni
papali, sia per essere
stata decorata da
Michelangelo Buonarroti.
Si trova sulla destra
della Basilica di San
Pietro, dopo la Scala
Regia, e in origine
serviva come cappella
palatina all'interno
della vecchia fortezza
vaticana.
La cappella
è di forma rettangolare
e misura 40,93 metri di
lunghezza per 13,41 di
larghezza (le dimensioni
del Tempio di Salomone,
così come vengono
riportate nell'Antico
Testamento). L'altezza
è di 20,70 metri e il
tetto è formato da una
volta a botte ribassata
con voltine laterali di
scarico in
corrispondenza delle
dodici finestre che
danno luce all'ambiente.
Il pavimento (XV secolo)
è composto da tarsie
policrome in marmo.
Una
transenna in marmo di
Mino da Fiesole, Andrea
Bregno e Giovanni
Dalmata divide la
cappella in due parti;
quella più ampia,
assieme all'altare, è
riservata alle cerimonie
religiose e ad altri usi
clericali, mentre quella
più piccola è per i
fedeli. La cancellata di
passaggio era
originariamente di ferro
placcato in oro e in
posizione più centrale;
venne in seguito
spostata verso la parte
dei fedeli per garantire
uno spazio maggiore al
Papa. Degli stessi
artisti è il Cantoria,
lo spazio riservato al
coro. E fu proprio papa
Sisto IV, a creare poco
dopo la sua elezione (9
agosto 1471) un Collegio
dei Cappellani Cantori,
primo nucleo della
futura Cappella Musicale
Pontificia Sistina.
Durante le
cerimonie importanti, i
muri laterali sono
coperti da una serie di
arazzi, (opera di
Raffaello) che
riproducono eventi
tratti dai vangeli e
dagli atti degli
apostoli.
Parzialmente
demoliti i fatiscenti
edifici che costituivano
una primitiva cappella,
papa Sisto IV Della
Rovere ne fece erigere
una nuova destinata a
riassorbire tutte le
funzioni della
precedente e di quella
allestita nel palazzo
dei Papi ad Avignone.
Iniziata da Giovanni de'
Dolci nel 1477, la
cappella doveva essere
conclusa entro l'estate
del 1481, quando iniziò
l'opera di decorazione
delle pareti. Essa fu
utilizzata per la prima
volta il 9 agosto 1493,
nell'anniversario
dell'elezione di Sisto
IV. L'ambiente, che
misura in lunghezza più
di quaranta metri e in
larghezza circa
quattordici, è coperto
da una volta a botte
ribassata, congiunta ai
muri perimetrali per
mezzo di vele e
pennacchi, e illuminata
da grandi finestre che
si aprono in numero di
sei su ciascuno dei lati
lunghi. Altre due
finestre, situate sulla
parete di fondo, sono
state tamponate
all'epoca in cui
Michelangelo si
apprestava a dipingervi
il Giudizio universale.
La cappella
era destinata a ospitare
le funzioni più
importanti del
calendario liturgico
della corte papale, che
necessitavano di una
cornice atta a esprimere
la Majestas papalis agli
occhi dei selezionati
invitati. Vi prendevano
parte il collegio dei
cardinali, i generali
degli ordini monastici,
ma anche i diplomatici
stranieri presenti a
Roma, i funzionari della
burocrazia pontificia,
il senatore e i
conservatori della città
di Roma e poi i
patriarchi, i principi,
e tutte le personalità
eminenti in visita.
Una
transenna, che divide
tuttora l'ambiente in
due parti, separava
questi ospiti della vera
e propria "cappella
papale", dalla
folla ammessa alle
funzioni.
I lavori
proseguirono ben oltre
la primavera del 1482,
almeno per quanto
riguarda il mosaico
cosmatesco del pavimento
e i rilievi sulla
cancellata, che, va
notato, è stata
arretrata in una
posizione più prossima
all'ingresso forse nei
tardi anni cinquanta del
Cinquecento. Il
paramento musivo, che si
ispira a esempi
medievali, delimita e
scandisce il percorso
processionale
dall'ingresso fino alla
cancellata, oltre la
quale è lo spazio
sacro. Il disegno del
pavimento riproduce
anche in questo settore
lo schema formale
stabilito dalla regia
delle cerimonie: indica
infatti la posizione del
trono, quella dei seggi
dei cardinali e persino
la posizione e i
movimenti dei
celebranti.
La
decorazione pittorica ha
avuto inizio dalla
parete dell'altare,
seguendo un piano di
lavoro poi esteso anche
alle altre pareti. La
decorazione di questo
primo settore fu
intrapresa da Perugino e
dalla sua bottega: essa
prevedeva nella parte
superiore i ritratti dei
Primi quattro papi, al
centro la Natività e il
Ritrovamento di Mosé,
infine al livello
inferiore due finti
arazzi dipinti che
incorniciavano la pala
d'altare, un affresco
raffigurante
l'Assunzione della
Vergine, cui la cappella
è dedicata. Tali
affreschi erano
completati entro
l'autunno del 1481. Il
soffitto era allora
decorato con un cielo
stellato simile a quello
della cappella degli
Scrovegni a Padova.

Le prime
quattro scene della Vita
di Cristo, che è svolta
interamente sulla parete
settentrionale, erano già
compiute nel gennaio del
1482, quando il loro
schema decorativo fu
esteso al resto della
cappella. Ogni sezione
prevedeva i ritratti di
due papi alla sommità,
una scena narrativa al
centro, e un arazzo
dipinto nella parte
inferiore. Il contratto
per le altre scene della
Vita di Cristo e per le
altre sette della Vita
di Mosè, che
corrispondono alle prime
sulla parete
meridionale, fu firmato
nell'ottobre 1481 da
Cosimo Rosselli, Sandro
Botticelli, Domenico
Ghirlandaio e Perugino,
che si assunsero di
concludere l'opera entro
il marzo 1482. Nel
maggio 1504 una grave
frattura diagonale
compromise il soffitto
della cappella, da
allora inutilizzabile
per alcuni mesi, e portò
nel 1506 Giulio II a
decidere di affidare una
nuova campagna
decorativa a
Michelangelo, già
impegnato nei lavori per
la ricostruzione della
basilica di San Pietro.
Il maestro
toscano iniziò a
dipingere la vastissima
superficie, pari a quasi
800 metri quadrati, nel
maggio del 1508,
terminando i lavori
quattro anni dopo.
L'idea di Michelangelo
era una composizione
articolata in una serie
di scene tratte dal
Vecchio Testamento, la
cui continuità doveva
essere assicurata da
elementi architettonici,
plastici e pittorici, in
cui figure emblematiche
e simboliche fungevano
da cerniera narrativa e
da raccordo iconografico
tra i vari episodi
rappresentati con una
scelta cromatica
innovativa, che i
recenti restauri hanno
messo in luce.
Le figure
in questione sono
dodici, fra Profeti e
Sibille, annunciatori
della venuta del Messia
sulla Terra: Geremia, la
Sibilla Persica,
Ezechiele, la Sibilla
Eritrea, Gioele,
Zaccaria, la Sibilla
Delfica, Isaia, la
Sibilla Cumana, Daniele,
la Sibilla Libica e
infine Giona,
rappresentato appena
uscito dal ventre della
balena. Assieme alle
vigorose coppie di
Ignudi che sostengono
festoni e medaglioni, le
dodici figure fanno da
cornice ai nove quadri
riproducenti le Storie
della Genesi: Dio separa
la luce dalle tenebre,
Dio crea il Sole, la
Luna e le piante sulla
Terra, Dio divide le
acque e crea pesci e
uccelli, poi,
centralmente, la
Creazione di Adamo e la
Creazione di Eva, quindi
il Peccato Originale e
la Cacciata dal Paradiso
Terrestre, il Sacrificio
di Noè, il Diluvio
Universale, l'Ebbrezza
di Noè.
La volta è
articolata ai quattro
angoli anche in
altrettanti spicchi
triangolari su cui
sono
sistemati altri
episodi biblici:
Giuditta e Oloferne,
David e Golia, Assuero,
Ester e Amman, il
Serpente di bronzo.
Sulle lunette e negli
spicchi delle vele che
delimitano le finestre
sono sistemate le figure
della Genealogia di
Cristo.
Venticinque
anni dopo l'ultimazione
della volta Michelangelo
fu nuovamente incaricato
da papa Paolo III di
completare la sua immane
opera con un nuovo
grande affresco posto
sulla parete di fondo
della cappella. Così,
tra il 1536 e il 1541,
l'artista toscano si
produsse in quello che
da molti viene indicato
come il suo massimo
capolavoro: il Giudizio Universale - costruito sulla
centralità
della figura del
Cristo Giudice, attorno
al
quale
ruotano
in
un superbo e
innovativo schema
compositivo le schiere
degli eletti e
dei dannati - per la
realizzazione del quale
furono distrutti i
precedenti affreschi del
Perugino.
Il
Giudizio Universale
Il Giudizio Universale
è un affresco di
Michelangelo Buonarroti
di dimensioni 13,7 x
12,2 m, l'opera fu
realizzata tra il 1536
ed il 1541, e si trova
dentro la Cappella
Sistina (Musei
Vaticani).
La
grandiosa composizione
si incentra intorno alla
figura dominante del
Cristo, colto
nell'attimo che precede
quello in cui verrà
emesso il verdetto del
Giudizio. Il suo gesto,
imperioso e pacato,
sembra al tempo stesso
richiamare l'attenzione
e placare l'agitazione
circostante: esso dà
l'avvio ad un ampio e
lento movimento
rotatorio in cui sono
coinvolte tutte le
figure. Ne rimangono
escluse le due lunette
in alto con gruppi di
angeli recanti in volo i
simboli della Passione
(a sinistra la Croce, i
dadi e la corona di
spine; a destra la
colonna della
Flagellazione, la scala
e l'asta con la spugna
imbevuta di aceto).
Accanto a Cristo è la
Vergine, che volge il
capo in un gesto di
rassegnazione: ella
infatti non può più
intervenire nella
decisione, ma solo
attendere l'esito del
Giudizio. È importante
notare come lei guardi
con dolcezza gli eletti
al regno dei cieli,
mentre il Cristo riservi
uno sguardo duro e aspro
a coloro che stanno
scendendo negli inferi.
Anche i Santi e gli
Eletti, disposti intorno
alle due figure della
Madre e del Figlio,
attendono con ansia di
conoscere il verdetto.
Alcuni di
essi sono facilmente
riconoscibili: San
Pietro con le due
chiavi, prive delle
nappe in quanto non
servono più ad aprire e
chiudere le porte dei
cieli, San Lorenzo con
la graticola, San
Bartolomeo con la
propria pelle in cui si
suole ravvisare
l'autoritratto di
Michelangelo, Santa
Caterina d'Alessandria
con la ruota dentata,
San Sebastiano
inginocchiato con le
frecce in mano.
Nella
fascia sottostante, al
centro gli angeli
dell'apocalisse
risvegliano i morti al
suono delle lunghe
trombe; a sinistra i
risorti in ascesa verso
il cielo recuperano i
corpi (resurrezione
della carne), a destra
angeli e demoni fanno a
gara per precipitare i
dannati nell'inferno.
Infine, in basso Caronte
a colpi di remo insieme
ai demoni fa scendere i
dannati dalla sua
imbarcazione per
condurli davanti al
giudice infernale
Minosse, con il corpo
avvolto dalle spire del
serpente che morde i
suoi genitali a
simboleggiare la fine
del seme del genere
umano. È evidente in
questa parte il
riferimento all'Inferno
della Divina Commedia di
Dante Alighieri.
Michelangelo
immagina la scena senza
nessuna partizione
architettonica:
l’insieme è governato
da un doppio vortice
verticale, ascendente e
discendente. Ancora una
volta l’artista
concentra la propria
attenzione sul corpo
umano, sulla sua
perfezione celeste e
sulla sua deformazione
tragica. La figura
prevalente è la figura
ellittica, come la
mandorla di luce in cui
è inscritto il Cristo o
il risultato complessivo
delle spinte di salita e
di discesa, salvo alcune
eccezioni, come la
sfericità della banda
centrale degli angeli
con le tube o la
triangolarità dei santi
ai piedi di Cristo
Giudice. Il tema,
metaforizzato nella
tempesta e nel caos del
dipinto, si presta bene
alla tormentata
religiosità di quegli
anni, caratterizzati da
contrasti, sia teologici
che armati, fra
Cattolici e Protestanti
e la soluzione di
Michelangelo non
nasconde il senso di una
profonda angoscia nei
confronti dell’ultima
sentenza. Il Buonarroti
si pone in modo
personalissimo nei
confronti del dibattito
religioso, sposando le
teorie di un circolo
ristretto di
intellettuali che
auspicava una
riconciliazione fra
Cristiani dopo una
riforma interna della
Chiesa stessa.
Il
Giudizio Universale fu
oggetto di una pesante
disputa tra il Cardinale
Carafa e Michelangelo:
l'artista venne accusato
di immoralità e
intollerabile oscenità,
poiché aveva dipinto
delle figure nude, con i
genitali in evidenza,
all'interno della più
importante chiesa della
cristianità, perciò
una campagna di censura
(nota come "campagna
delle foglie di
fico") venne
organizzata da Carafa e
Monsignor Sernini
(ambasciatore di
Mantova) per rimuovere
gli affreschi. Giorgio
Vasari racconta che,
quando il Maestro di
Cerimonie del Papa,
Biagio da Cesena, fece
una denuncia simile del
lavoro, dicendo che era
più adatto a un bagno
termale che a una
cappella, Michelangelo
raffigurò i suoi tratti
nella figura di Minosse,
giudice degli inferi;
quando Biagio da Cesena
si lamentò di questo
con il Papa, il
pontefice rispose che la
sua giurisdizione non si
applicava all'inferno, e
così il ritratto
rimase. Secondo altri
studiosi, invece, il
personaggio raffigurato
in forme caricaturali
nel Minosse sarebbe
Pierluigi Farnese,
figlio di papa Paolo
III, noto a Roma per
essere un sodomita
violento e per avere
stuprato un giovane
ecclesiastico causandone
la morte.
In
coincidenza con la morte
di Michelangelo, venne
emessa una legge per
coprire i genitali
("Pictura in
Cappella Ap.ca
coopriantur"). Così
Daniele da Volterra, un
apprendista di
Michelangelo che dopo
questo lavoro venne
soprannominato
"Braghettone",
coprì i genitali delle
figure con delle specie
di perizomi, lasciando
inalterato il complesso
dei corpi. Quando
l'opera venne restaurata
nel 1993, i restauratori
scelsero di non
rimuovere i perizomi di
Daniele; comunque, una
copia fedele e senza
censure dell'originale,
di Marcello Venusti, è
oggi a Napoli al Museo
di Capodimonte. La
cappella è stata
recentemente restaurata
(dal 1981 al 1994).
La
creazione di Adamo
La creazione di Adamo
è un affresco prodotto
da Michelangelo
Buonarroti (280 x 570
cm), si pensa che
quest'opera fu
realizzata nel 1511.
Questo affresco si trova
nel corredo della
cappella Sistina ed è
quindi conservato nei
musei Vaticani.
Il corpo
perfetto di Adamo giace,
ancora privo della
scintilla della vita,
mentre Dio, con il manto
turbinante intorno a sé
stesso ed agli angeli,
vola nel cielo verso di
lui in un'esplosione di
potenza e di energia.
Adamo poggia il braccio
sul ginocchio piegato
mentre Dio allunga il
suo braccio così che le
loro dita quasi si
toccano.
Sotto la
coscia di Adamo è
raffigurata la mano di
uno degli Ignudi, i
giovani nudi che siedono
agli angoli dei pannelli
narrativi.
La
cornucopia di foglie di
quercia e ghiande che
tiene in mano è uno dei
tanti riferimenti alle
querce che ricorrono in
tutto il soffitto. Si
riferiscono al nome
della famiglia di papa
Giulio II, cioè della
Rovere.
Solo in tempi recenti si
è scoperto che parte
della mano di Adamo fu
ridipinta a seguito di
una frattura
nell'intonaco in un
restauro cinquecentesco
da allievi del
Michelangelo dopo la sua
scomparsa.
L'ultima
straordinaria scoperta
su questo affresco,
definito il
"capolavoro nel
capolavoro", è
stata fatta in Toscana,
presso la Podesteria di
Chiusi della Verna o
“dei Buonarroti”,
dove è stato
ufficialmente
identificato e segnalato
il luogo esatto dal
quale Michelangelo ha
voluto ispirarsi per
dipingere la natura che
fa da sfondo al suo
affresco più famoso.
Questa località si
trova nel Casentino, a 3
km dal famoso Santuario
della Verna ed oggi
viene identificata come
la "Roccia di
Adamo”. Il profilo
della montagna che fa da
sfondo è il monte della
Verna, ovvero il luogo
dove Cristo si manifestò
a San Francesco D'Assisi
attraverso le stimmate.
Il lembo di
terra sul quale giace il
corpo seminudo di Adamo
è una delle rocce sul
quale fu edificato, poco
prima dell'anno 1000, il
castello appartenuto ai
Conti Catani o Cattani.
Il conte Orlando fu
colui che donò il monte
della Verna a San
Francesco ed è in
questo luogo che
Michelangelo racconta il
mistero della sua vita,
riconoscendosi in Adamo,
semidisteso su una
roccia (Roccia di
Adamo), con il profilo
del monte della Verna
che si scorge in
lontananza. Si potrebbe
anche sostenere che gli
angeli che circondano il
dio michelangiolesco
rappresentino, in realtà,
le pieghe di un cervello
umano e, in particolare,
dell'emisfero destro.
L'emisfero destro, come
dimostrano studi
scientifici, sarebbe
quella parte del
cervello imputata ad
occuparsi di quella che
comunemente viene
chiamata
"razionalità".
Se effettivamente così
fosse Michelangelo non
rappresenterebbe una
"creazione"
vera e propria, ma
sosterrebbe la tesi
secondo la quale il
compito di
"Dio" sarebbe
stato quello di donare
alla nostra specie la
qualità razionale. In
effetti anche la figura
di Dio con la barba, con
un aspetto anziano e,
quindi, per tradizione,
"saggio"
potrebbe simboleggiare
proprio la ragione
umana.
La
Sibilla delfica
La Sibilla delfica
è un affresco della
Cappella Sistina, di
350x380 cm, realizzato
nel 1509 dal pittore
italiano Michelangelo
Buonarroti.
L'affresco
fa parte di una serie
posta alla base della
cappella in cui
figurano, alternati, i
profeti del Vecchio
Testamento alle Sibille
pagane.
L'iconografia
cattolica rinascimentale
mantenne le Sibille
poiché, essendo dotate
di poteri di
preveggenza,
preannunciarono la
venuta del Cristo.
La figura
è assisa, come le altre
Sibille ed i profeti, su
un trono in pietra.
L'espressione dipinta
sul volto è di
sorpresa, quasi a vedere
l'avvento del Signore
che conferma la
profezia.
La Sibilla
delfica è intenta nel
dispiegamento di un
rotolo cartaceo, con il
braccio sinistro piegato
in avanti.
Un mantello
blu ed arancio le cinge
le spalle e la chiara
tunica, mentre una
stoffa blu le fascia la
testa
Musei
Vaticani

Il
complesso dei palazzi
vaticani, risultato di
un lunghissimo processo
di edificazione e di
trasformazione, ospitò
fin dall'inizio ricche
collezioni d'arte
patrocinante dai vari
pontefici, che essi
arricchirono sempre più
grazie anche ad
un'intensa opera di
mecenatismo, che vide
impegnati nella
realizzazione di
capolavori intere
generazioni di artisti
italiani e stranieri.
Le numerose raccolte, da quelle di antichità greche,
romane, etrusche ed
egizie, a quelle di
libri e di dipinti
(questi ultimi
costituiscono la celebre
Pinacoteca Vaticana),
popolarono a poco a poco
le sale, i saloni e le
gallerie che si andavano
costruendo, fornendo
addirittura l'impulso
alla loro realizzazione.
La sistemazione di tali collezioni mutò nei secoli, in
relazione sia
all'aumento dello spazio
disponibile, sia al
mutamento dei criteri di
disposizione e di
catalogazione.
Gradualmente gli edifici
divennero veri e propri
musei, a cominciare
dalla seconda metà del
Settecento con Clemente XIV,
il
quale trasformò il
Palazzetto del Belvedere
nel museo che, dopo la
risistemazione voluta
dal suo successore Pio
VI, prese il nome di
Museo Pio-Clementino.
La
passione per
l'archeologia e le
antichità tipica del
gusto neoclassico
spinsero nella prima metà
del secolo successivo
due papi, Pio VII e
Gregorio XVI,
a
realizzare alcune delle
istituzioni cardine del
complesso museale
vaticano. Al primo si
deve la fondazione del
Museo Chiaramonti, alla
cui sistemazione operò
addirittura il Canova e
per il quale fu
edificato il cosiddetto
Braccio Nuovo; il
secondo invece organizzò
in diciassette sale il
Museo Gregoriano Etrusco
e il Museo Gregoriano
Egizio.
Sempre
nell'Ottocento Leone XIII,
a
cui si deve il restauro
di numerose parti del
complesso vaticano, aprì
al pubblico numerosi
ambienti un tempo
riservati al pontefice e
alle massime cariche
ecclesiastiche a partire
dall'Appartamento
Borgia, nelle cui sale
fu in seguito sistemata
la Collezione di Arte
Religiosa Moderna,
inaugurata da Paolo VI
nel 1973.
L'allestimento di nuovi musei contraddistinse tutto il
Novecento: Giovanni XXIII fece
spostare dalla primitiva
sede del Laterano sia il
Museo Missionario
Etnologico, istituito
nel 1926 per raccogliere
i materiali della Mostra
missionaria del Giubileo
del 1925, sia il Museo
Pio Cristiano, fondato
nel 1854 da Pio IX
per
riunire pitture,
iscrizioni, rilievi e
sculture provenienti
dalle catacombe e dalle
antiche basiliche
romane.

I Musei Vaticani attualmente comprendono:
Pinacoteca vaticana: Questa eccezionale raccolta d'arte pittorica fondata da
papa Pio VI è fra le più
prestigiose collezioni
del mondo e vanta
capolavori d'indiscussa
bellezza che vanno dal XII al
XVIII
secolo.
Pur privata di numerose
opere, trasportate in
Francia alla fine del
Settecento a seguito del
trattato di Tolentino e
solo parzialmente
recuperate a un
ventennio di distanza
per interessamento del
Canova, la pinacoteca si
accrebbe nel corso degli
anni incorporando altre
collezioni pontificie in
parte provenienti dalla
Sacrestia di San Pietro
e in parte dalla
residenza estiva del
papa di Castel Gandolfo.

La
sistemazione, che segue
un ordine cronologico,
inizia coi
"primitivi",
presentando tavole di
enorme pregio fra cui è
doveroso ricordare la
Maria Maddalena del
Veneziano, la Madonna
col Bambino di Vitale da
Bologna, il San
Francesco di Giunta
Pisano e il Giudizio
universale dei frati
Giovanni e Niccolo,
preziosa tavola di
ambiente benedettino
romano datata tra la
fine dell'XI e l'inizio
del XII
secolo.
Le
Storie di santo Stefano
di Bernardo Daddi
introducono alla sezione
successiva dedicata alla
pittura gotica e
incentrata soprattutto
sulla figura di Giotto e
sui suoi seguaci. Del
grande maestro toscano
ricordiamo il Polittico
Stefaneschi, eseguito
durante il suo soggiorno
romano per conto del
cardinale Stefaneschi e
destinato ad ornare uno
degli altari della
primitiva basilica di
San Pietro. Gli fanno da
corona dipinti di grande
pregio quali il
Redentore di Simone
Martini, la Madonna del
Magnificat del Daddi, la
Natività di Giovanni di
Paolo.
La
presenza nell'Urbe del
Beato Angelico è
testimoniata da opere
d'intensa carica
evocatrice come le
Storie di san Nicola di
Bari e le Stimmate di
san Francesco, cui fanno
da contrappunto alcuni
bei dipinti di Filippo
Lippi e di Benozzo
Gozzoli.
L'attività
di Melozzo da Forlì
come pittore di
affreschi trova qui due
singolari
esemplificazioni nei
frammenti dell'affresco
che decorava l'abside
dei Santi Apostoli
raffigurante
l'Ascensione, andato
distrutto nel
Settecento, e nella
colossale pittura murale
che decorava i primitivi
ambienti della
Biblioteca Apostolica,
opera della seconda metà
del XV
secolo,
dedicata alla Nomina di
Bartolomeo Sacchi da
parte di Sisto IV a
prefetto della
biblioteca. Con Melozzo
si entra nella più
matura fase della
pittura quattrocentesca
che vede accanto ad
opere di maestri
stranieri, quali Lucas
Cranach, autore di una
drammatica Pietà dai
tipici toni nordici, i
polittici di Carlo e
Vittore Crivelli.
 
Ma
è soprattutto la scuola
umbra ad offrire le sue
più suggestive
creazioni rinascimentali
con opere come
l’lncoronazione di
Maria del Pinturicchio e
la Madonna col Bambino e
quattro Santi del
Perugino. Esse
introducono ad una delle
sezioni più celebri e
interessanti dell'intera
pinacoteca, quella
dedicata a Raffaello,
che vanta capolavori
d'indiscussa bellezza.
Fra tutti spiccano in
particolare la
Trasfigurazione, una
delle ultime opere
dipinte dall'Urbinate,
che ne ricevette la
commissione nel 1517 da
parte di Giulio de'
Medici, futuro Clemente
VII; la Madonna di
Foligno, realizzata per
conto di Sigismondo
Conti, segretario
personale di Giulio II,
e
infine i dieci Arazzi,
realizzati tra il 1515 e
il 1516 da manifatture
fiamminghe su disegno
del maestro, un tempo
esposti nella Cappella
Sistina in occasione dei
conclavi e delle
ricorrenze più solenni.
Un
altro grande maestro,
Leonardo, è
rappresentato qui
dall'abbozzo di un
quadro raffigurante San
Girolamo: un'opera
particolarmente
significativa
soprattutto perché
rivela interessanti
particolari sulla
tecnica del chiaroscuro
e sullo schema
compositivo
leonardeschi. Il
Cinquecento trova
un'ampia selezione di
dipinti soprattutto
appartenenti alla scuola
veneta, tra cui emergono
le figure di Tiziano,
autore dell'intenso
Ritratto del Doge Nicolo
Marcello, e del
Veronese.
 
L'evoluzione
cinquecentesca della
pittura ci conduce
inevitabilmente agli
esiti più interessanti
del Manierismo toscano e
romano, qui
rappresentato dal Vasari
(Martirio di santo
Stefano), dal Carracci
(Sacrificio d'Isacco) e
dal Cavalier d'Arpino
(Annunciazione).
La
rivoluzione barocca
trova raccolti alcuni
dei suoi più grandi
esponenti, primo fra
tutti il Caravaggio di
cui è possibile
ammirare la Deposizione,
da lui dipinta nei
primissimi anni del
Seicento, ma anche opere
di Guido Reni
(Crocifissione di san
Pietro) e del
Domenichino (Comunione
di san Girolamo).
Interessanti
sono anche le sale
dedicate alla pittura
fra Sei e Settecento che
vantano la presenza di
opere di grandi artisti
italiani particolarmente
attivi a Roma, come
Pietro da Cortona,
Orazio Gentileschi, il
Baciccia, ma anche
maestri stranieri, come
Poussin, Van Dyck e
Rubens.
La
parte dedicata più
specificamente alla
pittura settecentesca
rivela alcune
sorprendenti opere di
Giuseppe Maria Crespi,
del Giaquinto e di
Donato Creti.
Museo di arte contemporanea: raccoglie
opere di artisti come
Carlo Carrá e Giorgio
de Chirico.
Museo Pio-Clementino: Nel
1771 Clemente XIV dava vita alla prima istituzione museale vaticana nelle
sale del Palazzetto del
Belvedere partendo dal
primitivo nucleo
rinascimentale della
raccolta di statuaria
antica conservata
sino ad allora
nel Cortile Ottagono,
disegnato dal Bramante e
in seguito riadattato da
Michelangelo Simonetti
nel 1773.
Il successore di papa Clemente, Pio VI, ampliò
ulteriormente la
raccolta espandendo lo
spazio occupato dal
museo ad altre parti del
complesso vaticano.
Proprio vicino al
Cortile Ottagono, nel
cosiddetto Gabinetto di
Apollo, fu sistemata una
delle sculture che
maggiormente colpirono
l'interesse di studiosi
di antichità come
Winckelmann e Goethe, il
celebre Apollo del
Belvedere, affascinante
opera attribuita a
Leocare e rinvenuta nel
Quattrocento vicino alla
chiesa di San Pietro in
Vincoli. Il Gabinetto
dell'Apoxyomenos deve
invece il suo nome ad un
altro capolavoro della
statuaria antica, copia
romana di un originale
lisippeo, raffigurante
un pugile nell'atto di
detergersi il sudore,
rinvenuta a metà
dell'Ottocento in
Trastevere.
Nel
Gabinetto del Laocoonte
è conservato l'omonimo
gruppo scultoreo
rinvenuto nel
Cinquecento all'interno
della neroniana Domus
Aurea e ispirato al
celebre episodio della
guerra di Troia, in cui
il sacerdote Laocoonte e
i suoi figli vengono
strangolati da due
serpenti mandati da
Atena per scongiurare il
fallimento dell'inganno
del cavallo, svelato dal
sacerdote troiano.
L'opera ebbe un enorme
influenza sull'arte del
tardo
Rinascimento,
soprattutto
su Michelangelo.
Il Gabinetto
delI'Hermes deve il suo
nome ad una copia di età
adrianea da un originale
di Prassitele
raffigurante la divinità
nelle vesti di
psicopompo, ossia di
accompagnatore delle
anime nell'Ade.
Di
matrice neoclassica è
invece la statua che da
il nome al Gabinetto del
Perseo, opera realizzata
nel 1800 da Antonio
Canova e
ispirata
all'Apollo del
Belvedere.
Su volontà di
Pio VI, Michelangelo
Simonetti realizzò nel
1776 la Sala degli
Animali, in cui furono
sistemate sculture e
frammenti di mosaici
d'epoca romana aventi
per soggetto animali.
L'esemplare più famoso
di questa singolare
raccolta è la statua di
Meleagro, raffigurato
con un cane e con una
testa di cinghiale,
copia romana da un
originale di Skopas.
L'ampliamento
del Palazzetto di
Innocenzo VIII ebbe come
scopo quello di creare
nuovi spazi, tra cui
appunto la Galleria
delle Statue, in cui si
trovano raccolti
notevoli esempi di
statuaria come l'Apollo
sauroctono, l'Arianna
dormiente, il Satiro in
riposo e i Candelabri
Barberini. Il Simonetti
realizzò anche altre
sale di grande effetto
prospettico in modo da
esaltare le opere d'arte
in esse conservate. È
questo il caso della
Sala delle Muse, in cui
si trova il celebre
torso del Belvedere, al
quale Michelangelo si
ispirò per dipingere i
nudi della Cappella
Sistina; della Sala
Rotonda, in cui sono
conservati il Giove di
Otricoli, e la colossale
statua di Èrcole in
bronzo dorato; della
Sala a Croce Greca,
custode del sarcofago di
Costantina, figlia di
Costantino, e di quello
di Sant'Elena, madre
dell'imperatore, e del
Gabinetto delle
Maschere, dove trova
posto la famosa Venere
di Cnido. Già Clemente XIV aveva
comunque riadattato
alcuni ambienti
dell'edificio allo scopo
di sistemare le
collezioni; era nata così
la Galleria dei Busti,
in cui si conservano
alcuni esempi di
ritrattistica imperiale
fra i più famosi del
mondo, come i busti di
Caracolla, di Cesare, di
Augusto.
Galleria degli arazzi
Galleria delle mappe

Museo Chiaramonti: Il Museo Chiaramonti, fondato per volontà di Pio VII (al
secolo Barnaba
Chiaramonti) all'inizio
dell'Ottocento e
affidato per la sua
sistemazione ad Antonio
Canova, trovò spazio
nella galleria orientale
progettata dal Bramante
per congiungere il
Palazzetto del Belvedere
al Palazzo Vaticano, di
cui occupò la prima
porzione, proseguendo
poi nella Galleria
Lapidaria, allestita per
ospitare la ricca
collezione epigrafica
vaticana, e nel Braccio
Nuovo, appositamente
costruito allo scopo di
sistemare le opere che
rimanevano escluse dalla
collocazione negli
ambienti della galleria.
La prima sezione del
museo accoglie in un
ambiente decorato
secondo i dettami dello
stile neoclassico vari
esempi di statuaria
romana d'ispirazione
greca: divinità
dell'Olimpo, come la
statua di Athena, copia
di un originale greco
della scuola di Mirone,
si alternano a
raffigurazioni di mitici
eroi, come l’Ercole
col figlio Telefo, e a
ritratti di personaggi
romani, come quello di
un sacerdote di Iside,
noto anche come Scipione
l'Africano, o il
ritratto virile
raffigurante un ignoto
personaggio col capo
velato nella tipica
foggia propria dei
rituali sacrificali. La
Galleria Lapidaria,
accessibile solo per
motivi di studio, offre invece
un'ampia panoramica sulle
iscrizioni pagane e
cristiane, provenienti
in gran parte da
necropoli e catacombe,
la cui raccolta,
iniziata da Clemente XIV e arricchita da Pio VI e Pio VII, fu ordinata dal famoso epigrafista
Gaetano Marini.
Il Braccio Nuovo, costruito dallo
Stern nel 1817
trasversalmente al
Cortile del Belvedere e
parallelamente alla galleria
della Biblioteca
Apostolica, consiste
anch'esso in una
galleria piuttosto ampia
e luminosa, interrotta
al centro da una vasta
sala dotata di abside,
in cui trovano posto
alcuni capolavori della
statuaria romana. Sono
senz'altro da citare il
cosiddetto Augusto di
Prima Porta,
raffigurarne
l'imperatore nell'atto
di arringare ai suoi
sudditi, con indosso
un'armatura finemente
cesellata e ai piedi un
amorino, simbolo di
Venere, protettrice
della stirpe Giulia; la
statua del Nilo, che
adornava assieme a
quella raffigurante il
Tevere (oggi al Louvre)
il Tempio di Iside e
Serapide. rinvenuta
all'inizio del
Cinquecento presso Santa
Maria Sopra Minerva; e
il celebre Doriforo,
copia dell’originale
bronzeo di Policleto,
perfetta nelle sue
armoniose proporzioni.
Museo gregoriano etrusco: Nella prima metà dell'Ottocento l'interesse per
l'etruscologia e lo
studio delle popolazioni
italiche di epoca preromana
portò
all'organizzazione di
sistematiche campagne di
scavi, che ebbero luogo
in moltissime località
dell'allora Stato
Pontificio, come
Cerveteri, Tarquinia,
Vulci, Veio. I reperti vennero così catalogati e sistemati all'interno di un apposito
museo istituito nel 1837
da Gregorio XVI
e
in seguito accresciuto
da donazioni e
acquisizioni.
 
Le
antichità sono disposte
all'interno delle sale
del museo a partire
dalle testimonianza
della prima Età del
Ferro etrusco-laziale,
documentata da una serie
di vasi funerari di
grande interesse. Un
esempio di corredo
sepolcrale completo è
quello fornito dal
materiale rinvenuto
nella Tomba
Regolini-Galassi, qui
sistemato ad evidenziare
la natura di tali
corredi che
comprendevano oggetti in
bronzo, vasi in ceramica
e bucchero (tipico
impasto etrusco di
colore nero) e oggetti
in oro di raffinatissima
fattura. Le urne in cui
gli Etruschi
conservavano le ceneri
dei propri defunti
trovano qui esempi di
altissimo pregio, primo
fra tutti quello della
cosiddetta Urna
Calabresi, risalente al
VII secolo a.C.
Il
Marte di Todi offre
invece una preziosa
testimonianza del
livello raggiunto da
questa popolazione
nell'arte di fondere il
bronzo. Ma è
soprattutto la ceramica,
costituita da vasi di
vario tipo, sia ornati
con figure sia di
semplice impasto
monocromo, a costituire
un polo d'attrazione del
museo, in particolare i
begli esempi della
Raccolta Benedetto
Guglielmi, che comprende
interessanti vasi di
fattura attica a figure
nere e rosse.
Museo Gregoriano Egizio: fondato da papa
Gregorio XVI, il museo
ospita una vasta
collezione di reperti
dell'antico Egitto. Il
materiale esposto
comprende papiri, mummie
di animali, il famoso
Libro dei morti e la
Collezione Grassi.
Museo missionario-etnologico
Museo sacro (biblioteca)
Museo profano: L'origine del museo, inizialmente ospitato nel Palazzo del
Laterano, risale alla
prima metà del XIX secolo.
Fu infatti papa Gregorio
XVI
a
dare per primo una
sistemazione ai
numerosissimi reperti di
provenienza greca e
romana, rinvenuti nel
corso degli scavi
condotti nel territorio
dell'ex Stato
Pontificio. Nel 1970,
infine, la ricca
collezione fu trasferita
nei locali del Vaticano
costruiti per
l'occasione su espressa
volontà di Giovanni XXIII
dagli
architetti Fausto e
Lucio Passarelli.
Il museo si articola in cinque
sezioni dedicate alle
manifestazioni dell'arte
scultorea greca e delle
varie fasi di quella
romana, dalla
rielaborazione e copia
di modelli greci, alla
produzione autonoma
compresa tra l'epoca
imperiale e la tarda
antichità. Tra le opere
di origine greca sono
certamente degni di nota
alcuni frammenti di
sculture del Partenone e
della celebre testa di
Athena, espressione
dell'arte della Magna
Grecia. L'influenza
dell'arte greca ed
ellenistica ebbe per
lunghissimo tempo un
ruolo fondamentale
nell'evoluzione
dell'arte romana, in
special modo nel campo
della scultura, che
mosse i suoi primi passi
copiando soprattutto
modelli attici, come nel
caso delle statue di
Marsia e di Athena,
riproduzioni di un
celebre gruppo bronzeo
realizzato da Mirone nel
460 a.C. e collocato
all'ingresso
dell'Acropoli di Atene,
o della Niobide
Chiaramonti, derivata da
un celebre gruppo
scultoreo attribuito a
Skopas.
La scultura romana prese poi, a partire dall'età
repubblicana e primo
imperiale una sua strada
soprattutto nel campo
della ritrattistica,
dedicando statue a
figura intera e busti a
personaggi importanti e
agli imperatori e ai
loro familiari. Numerosi
rilievi, come quello
dell'Ara dei
Vicomagistri, che
riproduce un corteo
sacrificale, offrono
inoltre una preziosa
testimonianza sulla vita
religiosa e civile della
società romana. Anche
l'arte funeraria, che si
rivela in particolare
nella produzione di
sarcofagi, cui è dedicata
un'intera sezione,
fornisce la possibilità
di far luce sui miti
dell'antichità (Adone,
Edipo, Fedra ecc.)
raffigurati nei rilievi
che ne costituiscono la
decorazione. Miti e
credenze religiose
provenienti dall'Oriente
pervadono l'arte romana
del II
e
III secolo d.C.
rappresentata
nell'ultima sezione, in
cui è visibile il bel
gruppo di Mitra che
uccide il toro, tipica
espressione dell'arte
tardoantica.
Pag.
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