Choirokoitia
Cipro

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1998

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Il sito preistorico di Choirokoitia risale al VI millennio a.C.. Si trova nei pressi dell’omonimo villaggio, nel distretto di Larnaka, sulla sponda occidentale del fiume Maroni, con una vista panoramica sulla costa meridionale, a 6 chilometri dal mare. Dichiarato dall’UNESCO Patrimonio Culturale dell’Umanità nel 1988, quello di Choirokoitia è uno degli insediamenti neolitici meglio conservati dell’isola e del Mediterraneo orientale. 

L’unico ingresso all’insediamento è costituito da una scala che si snoda all’interno di un blocco in pietra che poggia contro la facciata esterna delle mura di cinta. Queste ultime sono rintracciabili lungo un percorso di più di 180 metri. Questa scala, che può servire perfettamente sia da entrata che da uscita, ha risolto il problema posto dal fatto che l’insediamento si trovava 2 metri più in alto rispetto all’area circostante. 

Protette dalle mura, le abitazioni si trovavano in un spazio piuttosto concentrato ed erano separate soltanto da strette strisce di terra, utilizzate come passaggio o come area di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Gli edifici costruiti all'interno della cinta muraria consistono di strutture circolari ammassate le une sulle altre. Queste costruzioni avevano spesso una base in pietra e raggiungevano proporzioni notevoli mediante l'aggiunta di ulteriori strati di pietre. Il loro diametro esterno varia fra 2,3 e 9,2 metri, mentre quello interno varia fra soli 1,4 e 4,8 metri. Recentemente è stato ritrovato un tetto collassato di forma piatta, che ha smentito l'ipotesi precedentemente avanzata che i tetti delle case fossero tutti di forma sferica.

Le divisioni interne di ogni capanna variavano a seconda dell'utilizzo che se ne doveva fare. Si pensa, in base a ritrovamenti archeologici, che alcune di queste costruzioni fossero dotate di un piano superiore, sorretto da pilastri. La teoria più comunemente accettata è che ognuna di queste costruzioni fosse una sorta di stanza, tutte raggruppate intorno ad un cortile centrale aperto, e che tutte insieme formassero la casa.

Con ogni probabilità la popolazione del villaggio non ha mai superato le poche centinaia di unità; gli uomini avevano un'altezza media di circa 1,60 metri e le donne di circa 1,50. La mortalità infantile doveva essere molto alta e l'aspettativa di vita raggiungeva a stento i 22 anni. Gli uomini più anziani avevano probabilmente 35 anni e le donne 33, e i morti venivano sepolti in posizione rannicchiata al di sotto del pavimento delle case. 

Gli abitanti di Choirokoitia seppellivano i defunti sotto le fondamenta delle proprie case. In un'abitazione sono stati trovati in tutto 26 scheletri sepolti in posizione fetale. Tra gli arredi funebri sono stati scoperti vasi per le provviste, ornamenti, strumenti di culto e scodelle. Il pezzo di ceramica più antico rinvenuto è la testa di un idolo in terracotta.

Questa società, la più antica che si conosca sull'isola di Cipro, era molto ben organizzata, soprattutto nell'agricoltura, nell'allevamento e nella raccolta di frutti che crescevano spontaneamente nella foresta nei pressi del villaggio.

Per ragioni a noi sconosciute, intorno al 6000 a.C. il villaggio venne improvvisamente abbandonato. Sembra che il sito sia stato disabitato per 1.500 anni fino allo stanziamento di un altro gruppo, quello di Sotira.

  

              

     

 

  
Stanze di Raffaello, Cappella Sistina e Musei Vaticani
Città del Vaticano

PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1984

Le Stanze di Raffaello

Le Stanze di Raffaello furono affrescate dal maestro a partire dal 1509 e proseguite negli anni seguenti, anche sotto il pontificato di Leone X, con temi celebrativi della potenza della Fede e della Chiesa.

La prima fu la Stanza della Segnatura, così chiamata perché adibita alla firma da parte del pontefice degli atti ufficiali, in cui Raffaello profuse la sua arte nella realizzazione della Disputa sul Sacramento, affresco raffigurante la glorificazione dell'Eucarestia, della Scuola d'Atene, che riunisce all'interno di un grande spartito architettonico i sapienti e i filosofi dell'antichità e i signori e gli artisti del contemporaneo scenario rinascimentale - tutti raccolti attorno alle figure di Platone e Aristotele - e del Parnaso, allegorica celebrazione delle Arti impersonate dalle figure mitologiche di muse e di divinità. Nei grandi medaglioni delle volte e nei riquadri ad essi alternati, quasi a voler offrire un compendio simbolico degli affreschi delle sottostanti pareti, l'urbinate dipinse alcune rappresentazioni allegoriche delle Scienze e delle Arti (Teologia, Giustizia, Filosofia, Poesia, Astronomia), assieme ad episodi emblematici ad esse riferentisi (Peccato originale, Giudizio di Salomone, Apollo e Marsia).

Tra il 1512 e il 1514 Raffaello lavorò alla decorazione della Stanza di Eliodoro, sviluppando negli affreschi alcuni episodi storici secondo un programma iconografico dettato dallo stesso Giulio II. Le tematiche affrontate si riferiscono al tempo stesso agli interventi di Dio a protezione della Chiesa e alla glorificazione delle vicende salienti del pontificato di Giulio II: Leone Magno che ferma Attila allude alla battaglia di Ravenna del 1512 in cui il futuro Leone X sbaragliò i Francesi; la Messa di Bolsena, che illustra l'istituzione del Corpus Domini da parte di Urbano IV, si riferisce anche al voto fatto da Giulio II prima dell'assedio di Bologna; infine l'episodio biblico della Cacciata di Eliodoro, in cui si accenna alla lotta del pontefice contro i nemici della Chiesa, e la Liberazione di san Pietro, allusiva alla liberazione di Leone X imprigionato dopo la battaglia di Ravenna.

Nei due anni seguenti, sino al 1517, fu la volta della decorazione della cosiddetta Stanza dell'Incendio, dal tema dell'affresco principale, l'Incendio di Borgo, ispirato alla figura di Leone IV che ferma il rovinoso flagello con l'imposizione del segno della croce. Questo affresco, così come gli altri (Vittoria di Leone IV contro i Saraceni, Giuramento di Leone III, Incoronazione di Carlo Magno da parte di Leone III), eseguiti quasi tutti dagli allievi di Raffaello su precise indicazioni del maestro, alludono agli illustri predecessori omonimi di papa Leone X, sotto il cui pontificato venne decorata la stanza.

Anche la Sala dei Palafrenieri conteneva pitture murali raffaellesche; esse furono però distrutte e sostituite più tardi da altre, volute da Gregorio XIII verso la fine del Cinquecento.

Decisamente opera di uno dei più importanti allievi di Raffaello, Giulio Romano, è invece la decorazione della Sala di Costantino, alla quale l'artista lavorò assieme ad aiuti dopo la morte del maestro, illustrandovi episodi della vita di Costantino (il Battesimo dell'imperatore, la Battaglia contro Massenzio, l'Apparizione della Croce, la Donazione).

La Cappella Sistina

È conosciuta in tutto il mondo sia per essere la sala nella quale si tengono il conclave e altre cerimonie ufficiali, comprese alcune incoronazioni papali, sia per essere stata decorata da Michelangelo Buonarroti. Si trova sulla destra della Basilica di San Pietro, dopo la Scala Regia, e in origine serviva come cappella palatina all'interno della vecchia fortezza vaticana.

La cappella è di forma rettangolare e misura 40,93 metri di lunghezza per 13,41 di larghezza (le dimensioni del Tempio di Salomone, così come vengono riportate nell'Antico Testamento). L'altezza è di 20,70 metri e il tetto è formato da una volta a botte ribassata con voltine laterali di scarico in corrispondenza delle dodici finestre che danno luce all'ambiente. Il pavimento (XV secolo) è composto da tarsie policrome in marmo.

Una transenna in marmo di Mino da Fiesole, Andrea Bregno e Giovanni Dalmata divide la cappella in due parti; quella più ampia, assieme all'altare, è riservata alle cerimonie religiose e ad altri usi clericali, mentre quella più piccola è per i fedeli. La cancellata di passaggio era originariamente di ferro placcato in oro e in posizione più centrale; venne in seguito spostata verso la parte dei fedeli per garantire uno spazio maggiore al Papa. Degli stessi artisti è il Cantoria, lo spazio riservato al coro. E fu proprio papa Sisto IV, a creare poco dopo la sua elezione (9 agosto 1471) un Collegio dei Cappellani Cantori, primo nucleo della futura Cappella Musicale Pontificia Sistina.

Durante le cerimonie importanti, i muri laterali sono coperti da una serie di arazzi, (opera di Raffaello) che riproducono eventi tratti dai vangeli e dagli atti degli apostoli.

Parzialmente demoliti i fatiscenti edifici che costituivano una primitiva cappella, papa Sisto IV Della Rovere ne fece erigere una nuova destinata a riassorbire tutte le funzioni della precedente e di quella allestita nel palazzo dei Papi ad Avignone. Iniziata da Giovanni de' Dolci nel 1477, la cappella doveva essere conclusa entro l'estate del 1481, quando iniziò l'opera di decorazione delle pareti. Essa fu utilizzata per la prima volta il 9 agosto 1493, nell'anniversario dell'elezione di Sisto IV. L'ambiente, che misura in lunghezza più di quaranta metri e in larghezza circa quattordici, è coperto da una volta a botte ribassata, congiunta ai muri perimetrali per mezzo di vele e pennacchi, e illuminata da grandi finestre che si aprono in numero di sei su ciascuno dei lati lunghi. Altre due finestre, situate sulla parete di fondo, sono state tamponate all'epoca in cui Michelangelo si apprestava a dipingervi il Giudizio universale. 

La cappella era destinata a ospitare le funzioni più importanti del calendario liturgico della corte papale, che necessitavano di una cornice atta a esprimere la Majestas papalis agli occhi dei selezionati invitati. Vi prendevano parte il collegio dei cardinali, i generali degli ordini monastici, ma anche i diplomatici stranieri presenti a Roma, i funzionari della burocrazia pontificia, il senatore e i conservatori della città di Roma e poi i patriarchi, i principi, e tutte le personalità eminenti in visita. 

Una transenna, che divide tuttora l'ambiente in due parti, separava questi ospiti della vera e propria "cappella papale", dalla folla ammessa alle funzioni. 

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I lavori proseguirono ben oltre la primavera del 1482, almeno per quanto riguarda il mosaico cosmatesco del pavimento e i rilievi sulla cancellata, che, va notato, è stata arretrata in una posizione più prossima all'ingresso forse nei tardi anni cinquanta del Cinquecento. Il paramento musivo, che si ispira a esempi medievali, delimita e scandisce il percorso processionale dall'ingresso fino alla cancellata, oltre la quale è lo spazio sacro. Il disegno del pavimento riproduce anche in questo settore lo schema formale stabilito dalla regia delle cerimonie: indica infatti la posizione del trono, quella dei seggi dei cardinali e persino la posizione e i movimenti dei celebranti. 

La decorazione pittorica ha avuto inizio dalla parete dell'altare, seguendo un piano di lavoro poi esteso anche alle altre pareti. La decorazione di questo primo settore fu intrapresa da Perugino e dalla sua bottega: essa prevedeva nella parte superiore i ritratti dei Primi quattro papi, al centro la Natività e il Ritrovamento di Mosé, infine al livello inferiore due finti arazzi dipinti che incorniciavano la pala d'altare, un affresco raffigurante l'Assunzione della Vergine, cui la cappella è dedicata. Tali affreschi erano completati entro l'autunno del 1481. Il soffitto era allora decorato con un cielo stellato simile a quello della cappella degli Scrovegni a Padova. 

Le prime quattro scene della Vita di Cristo, che è svolta interamente sulla parete settentrionale, erano già compiute nel gennaio del 1482, quando il loro schema decorativo fu esteso al resto della cappella. Ogni sezione prevedeva i ritratti di due papi alla sommità, una scena narrativa al centro, e un arazzo dipinto nella parte inferiore. Il contratto per le altre scene della Vita di Cristo e per le altre sette della Vita di Mosè, che corrispondono alle prime sulla parete meridionale, fu firmato nell'ottobre 1481 da Cosimo Rosselli, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio e Perugino, che si assunsero di concludere l'opera entro il marzo 1482. Nel maggio 1504 una grave frattura diagonale compromise il soffitto della cappella, da allora inutilizzabile per alcuni mesi, e portò nel 1506 Giulio II a decidere di affidare una nuova campagna decorativa a Michelangelo, già impegnato nei lavori per la ricostruzione della basilica di San Pietro. 

Il maestro toscano iniziò a dipingere la vastissima superficie, pari a quasi 800 metri quadrati, nel maggio del 1508, terminando i lavori quattro anni dopo. L'idea di Michelangelo era una composizione articolata in una serie di scene tratte dal Vecchio Testamento, la cui continuità doveva essere assicurata da elementi architettonici, plastici e pittorici, in cui figure emblematiche e simboliche fungevano da cerniera narrativa e da raccordo iconografico tra i vari episodi rappresentati con una scelta cromatica innovativa, che i recenti restauri hanno messo in luce.

Le figure in questione sono dodici, fra Profeti e Sibille, annunciatori della venuta del Messia sulla Terra: Geremia, la Sibilla Persica, Ezechiele, la Sibilla Eritrea, Gioele, Zaccaria, la Sibilla Delfica, Isaia, la Sibilla Cumana, Daniele, la Sibilla Libica e infine Giona, rappresentato appena uscito dal ventre della balena. Assieme alle vigorose coppie di Ignudi che sostengono festoni e medaglioni, le dodici figure fanno da cornice ai nove quadri riproducenti le Storie della Genesi: Dio separa la luce dalle tenebre, Dio crea il Sole, la Luna e le piante sulla Terra, Dio divide le acque e crea pesci e uccelli, poi, centralmente, la Creazione di Adamo e la Creazione di Eva, quindi il Peccato Originale e la Cacciata dal Paradiso Terrestre, il Sacrificio di Noè, il Diluvio Universale, l'Ebbrezza di Noè.

La volta è articolata ai quattro angoli anche in altrettanti spicchi triangolari su cui  sono  sistemati altri episodi biblici: Giuditta e Oloferne, David e Golia, Assuero, Ester e Amman, il Serpente di bronzo. Sulle lunette e negli spicchi delle vele che delimitano le finestre sono sistemate le figure della Genealogia di Cristo. 

Venticinque anni dopo l'ultimazione della volta Michelangelo fu nuovamente incaricato da papa Paolo III di completare la sua immane opera con un nuovo grande affresco posto sulla parete di fondo della cappella. Così, tra il 1536 e il 1541, l'artista toscano si produsse in quello che da molti viene indicato come il suo massimo capolavoro: il Giudizio Universale - costruito sulla centralità della figura del Cristo Giudice, attorno al quale ruotano in un superbo e innovativo schema compositivo le schiere degli eletti e dei dannati - per la realizzazione del quale furono distrutti i precedenti affreschi del Perugino.

Il Giudizio Universale

Il Giudizio Universale è un affresco di Michelangelo Buonarroti di dimensioni 13,7 x 12,2 m, l'opera fu realizzata tra il 1536 ed il 1541, e si trova dentro la Cappella Sistina (Musei Vaticani).

La grandiosa composizione si incentra intorno alla figura dominante del Cristo, colto nell'attimo che precede quello in cui verrà emesso il verdetto del Giudizio. Il suo gesto, imperioso e pacato, sembra al tempo stesso richiamare l'attenzione e placare l'agitazione circostante: esso dà l'avvio ad un ampio e lento movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le figure. Ne rimangono escluse le due lunette in alto con gruppi di angeli recanti in volo i simboli della Passione (a sinistra la Croce, i dadi e la corona di spine; a destra la colonna della Flagellazione, la scala e l'asta con la spugna imbevuta di aceto). Accanto a Cristo è la Vergine, che volge il capo in un gesto di rassegnazione: ella infatti non può più intervenire nella decisione, ma solo attendere l'esito del Giudizio. È importante notare come lei guardi con dolcezza gli eletti al regno dei cieli, mentre il Cristo riservi uno sguardo duro e aspro a coloro che stanno scendendo negli inferi. Anche i Santi e gli Eletti, disposti intorno alle due figure della Madre e del Figlio, attendono con ansia di conoscere il verdetto.

Alcuni di essi sono facilmente riconoscibili: San Pietro con le due chiavi, prive delle nappe in quanto non servono più ad aprire e chiudere le porte dei cieli, San Lorenzo con la graticola, San Bartolomeo con la propria pelle in cui si suole ravvisare l'autoritratto di Michelangelo, Santa Caterina d'Alessandria con la ruota dentata, San Sebastiano inginocchiato con le frecce in mano.

Nella fascia sottostante, al centro gli angeli dell'apocalisse risvegliano i morti al suono delle lunghe trombe; a sinistra i risorti in ascesa verso il cielo recuperano i corpi (resurrezione della carne), a destra angeli e demoni fanno a gara per precipitare i dannati nell'inferno. Infine, in basso Caronte a colpi di remo insieme ai demoni fa scendere i dannati dalla sua imbarcazione per condurli davanti al giudice infernale Minosse, con il corpo avvolto dalle spire del serpente che morde i suoi genitali a simboleggiare la fine del seme del genere umano. È evidente in questa parte il riferimento all'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Michelangelo immagina la scena senza nessuna partizione architettonica: l’insieme è governato da un doppio vortice verticale, ascendente e discendente. Ancora una volta l’artista concentra la propria attenzione sul corpo umano, sulla sua perfezione celeste e sulla sua deformazione tragica. La figura prevalente è la figura ellittica, come la mandorla di luce in cui è inscritto il Cristo o il risultato complessivo delle spinte di salita e di discesa, salvo alcune eccezioni, come la sfericità della banda centrale degli angeli con le tube o la triangolarità dei santi ai piedi di Cristo Giudice. Il tema, metaforizzato nella tempesta e nel caos del dipinto, si presta bene alla tormentata religiosità di quegli anni, caratterizzati da contrasti, sia teologici che armati, fra Cattolici e Protestanti e la soluzione di Michelangelo non nasconde il senso di una profonda angoscia nei confronti dell’ultima sentenza. Il Buonarroti si pone in modo personalissimo nei confronti del dibattito religioso, sposando le teorie di un circolo ristretto di intellettuali che auspicava una riconciliazione fra Cristiani dopo una riforma interna della Chiesa stessa.

Il Giudizio Universale fu oggetto di una pesante disputa tra il Cardinale Carafa e Michelangelo: l'artista venne accusato di immoralità e intollerabile oscenità, poiché aveva dipinto delle figure nude, con i genitali in evidenza, all'interno della più importante chiesa della cristianità, perciò una campagna di censura (nota come "campagna delle foglie di fico") venne organizzata da Carafa e Monsignor Sernini (ambasciatore di Mantova) per rimuovere gli affreschi. Giorgio Vasari racconta che, quando il Maestro di Cerimonie del Papa, Biagio da Cesena, fece una denuncia simile del lavoro, dicendo che era più adatto a un bagno termale che a una cappella, Michelangelo raffigurò i suoi tratti nella figura di Minosse, giudice degli inferi; quando Biagio da Cesena si lamentò di questo con il Papa, il pontefice rispose che la sua giurisdizione non si applicava all'inferno, e così il ritratto rimase. Secondo altri studiosi, invece, il personaggio raffigurato in forme caricaturali nel Minosse sarebbe Pierluigi Farnese, figlio di papa Paolo III, noto a Roma per essere un sodomita violento e per avere stuprato un giovane ecclesiastico causandone la morte.

In coincidenza con la morte di Michelangelo, venne emessa una legge per coprire i genitali ("Pictura in Cappella Ap.ca coopriantur"). Così Daniele da Volterra, un apprendista di Michelangelo che dopo questo lavoro venne soprannominato "Braghettone", coprì i genitali delle figure con delle specie di perizomi, lasciando inalterato il complesso dei corpi. Quando l'opera venne restaurata nel 1993, i restauratori scelsero di non rimuovere i perizomi di Daniele; comunque, una copia fedele e senza censure dell'originale, di Marcello Venusti, è oggi a Napoli al Museo di Capodimonte. La cappella è stata recentemente restaurata (dal 1981 al 1994).

La creazione di Adamo

La creazione di Adamo è un affresco prodotto da Michelangelo Buonarroti (280 x 570 cm), si pensa che quest'opera fu realizzata nel 1511. Questo affresco si trova nel corredo della cappella Sistina ed è quindi conservato nei musei Vaticani.

Il corpo perfetto di Adamo giace, ancora privo della scintilla della vita, mentre Dio, con il manto turbinante intorno a sé stesso ed agli angeli, vola nel cielo verso di lui in un'esplosione di potenza e di energia. Adamo poggia il braccio sul ginocchio piegato mentre Dio allunga il suo braccio così che le loro dita quasi si toccano. 

Sotto la coscia di Adamo è raffigurata la mano di uno degli Ignudi, i giovani nudi che siedono agli angoli dei pannelli narrativi.

La cornucopia di foglie di quercia e ghiande che tiene in mano è uno dei tanti riferimenti alle querce che ricorrono in tutto il soffitto. Si riferiscono al nome della famiglia di papa Giulio II, cioè della Rovere.
Solo in tempi recenti si è scoperto che parte della mano di Adamo fu ridipinta a seguito di una frattura nell'intonaco in un restauro cinquecentesco da allievi del Michelangelo dopo la sua scomparsa.

L'ultima straordinaria scoperta su questo affresco, definito il "capolavoro nel capolavoro", è stata fatta in Toscana, presso la Podesteria di Chiusi della Verna o “dei Buonarroti”, dove è stato ufficialmente identificato e segnalato il luogo esatto dal quale Michelangelo ha voluto ispirarsi per dipingere la natura che fa da sfondo al suo affresco più famoso.
Questa località si trova nel Casentino, a 3 km dal famoso Santuario della Verna ed oggi viene identificata come la "Roccia di Adamo”. Il profilo della montagna che fa da sfondo è il monte della Verna, ovvero il luogo dove Cristo si manifestò a San Francesco D'Assisi attraverso le stimmate.

Il lembo di terra sul quale giace il corpo seminudo di Adamo è una delle rocce sul quale fu edificato, poco prima dell'anno 1000, il castello appartenuto ai Conti Catani o Cattani. Il conte Orlando fu colui che donò il monte della Verna a San Francesco ed è in questo luogo che Michelangelo racconta il mistero della sua vita, riconoscendosi in Adamo, semidisteso su una roccia (Roccia di Adamo), con il profilo del monte della Verna che si scorge in lontananza. Si potrebbe anche sostenere che gli angeli che circondano il dio michelangiolesco rappresentino, in realtà, le pieghe di un cervello umano e, in particolare, dell'emisfero destro. L'emisfero destro, come dimostrano studi scientifici, sarebbe quella parte del cervello imputata ad occuparsi di quella che comunemente viene chiamata "razionalità". Se effettivamente così fosse Michelangelo non rappresenterebbe una "creazione" vera e propria, ma sosterrebbe la tesi secondo la quale il compito di "Dio" sarebbe stato quello di donare alla nostra specie la qualità razionale. In effetti anche la figura di Dio con la barba, con un aspetto anziano e, quindi, per tradizione, "saggio" potrebbe simboleggiare proprio la ragione umana.

La Sibilla delfica

La Sibilla delfica è un affresco della Cappella Sistina, di 350x380 cm, realizzato nel 1509 dal pittore italiano Michelangelo Buonarroti.

L'affresco fa parte di una serie posta alla base della cappella in cui figurano, alternati, i profeti del Vecchio Testamento alle Sibille pagane.

L'iconografia cattolica rinascimentale mantenne le Sibille poiché, essendo dotate di poteri di preveggenza, preannunciarono la venuta del Cristo.

La figura è assisa, come le altre Sibille ed i profeti, su un trono in pietra. L'espressione dipinta sul volto è di sorpresa, quasi a vedere l'avvento del Signore che conferma la profezia. 

La Sibilla delfica è intenta nel dispiegamento di un rotolo cartaceo, con il braccio sinistro piegato in avanti. 

Un mantello blu ed arancio le cinge le spalle e la chiara tunica, mentre una stoffa blu le fascia la testa  

Musei Vaticani  

Il complesso dei palazzi vaticani, risultato di un lunghissimo processo di edificazione e di trasformazione, ospitò fin dall'inizio ricche collezioni d'arte patrocinante dai vari pontefici, che essi arricchirono sempre più grazie anche ad un'intensa opera di mecenatismo, che vide impegnati nella realizzazione di capolavori intere generazioni di artisti ita­liani e stranieri.

Le numerose raccolte, da quelle di antichità greche, romane, etrusche ed egizie, a quelle di libri e di dipinti (questi ultimi costituiscono la celebre Pinacoteca Vaticana), popolarono a poco a poco le sale, i saloni e le gallerie che si andavano costruendo, fornendo addirittura l'impulso alla loro realizzazione. 

La sistemazione di tali collezioni mutò nei secoli, in relazione sia all'aumento dello spazio disponibile, sia al mutamento dei criteri di disposizione e di catalogazione. Gradualmente gli edifici divennero veri e propri musei, a cominciare dalla seconda metà del Settecento con Clemente XIV, il quale trasformò il Palazzetto del Belvedere nel museo che, dopo la risistemazione voluta dal suo successore Pio VI, prese il nome di Museo Pio-Clementino. 

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La passione per l'archeologia e le antichità tipica del gusto neoclassico spinsero nella prima metà del secolo successivo due papi, Pio VII e Gregorio XVI, a realizzare alcune delle istituzioni cardine del complesso museale vaticano. Al primo si deve la fondazione del Museo Chiaramonti, alla cui sistemazione operò addirittura il Canova e per il quale fu edificato il cosiddetto Braccio Nuovo; il secondo invece organizzò in diciassette sale il Museo Gregoriano Etrusco e il Museo Gregoriano Egizio. 

Sempre nell'Ottocento Leone XIII, a cui si deve il restauro di numerose parti del complesso vaticano, aprì al pubblico numerosi ambienti un tempo riservati al pontefice e alle massime cariche ecclesiastiche a partire dall'Appartamento Borgia, nelle cui sale fu in seguito sistemata la Collezione di Arte Religiosa Moderna, inaugurata da Paolo VI nel 1973.

L'allestimento di nuovi musei contraddistinse tutto il Novecento: Giovanni XXIII fece spostare dalla primitiva sede del Laterano sia il Museo Missionario Etnologico, istituito nel 1926 per raccogliere i materiali della Mostra missionaria del Giubileo del 1925, sia il Museo Pio Cristiano, fondato nel 1854 da Pio IX per riunire pitture, iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalle catacombe e dalle antiche basiliche romane.  

I Musei Vaticani attualmente comprendono:

 

Pinacoteca vaticana: Questa eccezionale raccolta d'arte pittorica fondata da papa Pio VI è fra le più prestigiose collezioni del mondo e vanta capolavori d'indiscussa bellezza che vanno dal XII al XVIII secolo. Pur privata di numerose opere, trasportate in Francia alla fine del Settecento a seguito del trattato di Tolentino e solo parzialmente recuperate a un ventennio di distanza per interessamento del Canova, la pinacoteca si accrebbe nel corso degli anni incorporando altre collezioni pontificie in parte provenienti dalla Sacrestia di San Pietro e in parte dalla residenza estiva del papa di Castel Gandolfo.

  

La sistemazione, che segue un ordine cronologico, inizia coi "primitivi", presentando tavole di enorme pregio fra cui è doveroso ricordare la Maria Maddalena del Veneziano, la Madonna col Bambino di Vitale da Bologna, il San Francesco di Giunta Pisano e il Giudizio universale dei frati Giovanni e Niccolo, preziosa tavola di ambiente benedettino romano datata tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo. 

  

Le Storie di santo Stefano di Bernardo Daddi introducono alla sezione successiva dedicata alla pittura gotica e incentrata soprattutto sulla figura di Giotto e sui suoi seguaci. Del grande maestro toscano ricordiamo il Polittico Stefaneschi, eseguito durante il suo soggiorno romano per conto del cardinale Stefaneschi e destinato ad ornare uno degli altari della primitiva basilica di San Pietro. Gli fanno da corona dipinti di grande pregio quali il Redentore di Simone Martini, la Madonna del Magnificat del Daddi, la Natività di Giovanni di Paolo. 

  

La presenza nell'Urbe del Beato Angelico è testimoniata da opere d'intensa carica evocatrice come le Storie di san Nicola di Bari e le Stimmate di san Francesco, cui fanno da contrappunto alcuni bei dipinti di Filippo Lippi e di Benozzo Gozzoli.     

L'attività di Melozzo da Forlì come pittore di affreschi trova qui due singolari esemplificazioni nei frammenti dell'affresco che decorava l'abside dei Santi Apostoli raffigurante l'Ascensione, andato distrutto nel Settecento, e nella colossale pittura murale che decorava i primitivi ambienti della Biblioteca Apostolica, opera della seconda metà del XV secolo, dedicata alla Nomina di Bartolomeo Sacchi da parte di Sisto IV a prefetto della biblioteca. Con Melozzo si entra nella più matura fase della pittura quattrocentesca che vede accanto ad opere di maestri stranieri, quali Lucas Cranach, autore di una drammatica Pietà dai tipici toni nordici, i polittici di Carlo e Vittore Crivelli. 

  

  

Ma è soprattutto la scuola umbra ad offrire le sue più suggestive creazioni rinascimentali con opere come l’lncoronazione di Maria del Pinturicchio e la Madonna col Bambino e quattro Santi del Perugino. Esse introducono ad una delle sezioni più celebri e interessanti dell'intera pinacoteca, quella dedicata a Raffaello, che vanta capolavori d'indiscussa bellezza. Fra tutti spiccano in particolare la Trasfigurazione, una delle ultime opere dipinte dall'Urbinate, che ne ricevette la commissione nel 1517 da parte di Giulio de' Medici, futuro Clemente VII; la Madonna di Foligno, realizzata per conto di Sigismondo Conti, segretario personale di Giulio II, e infine i dieci Arazzi, realizzati tra il 1515 e il 1516 da manifatture fiamminghe su disegno del maestro, un tempo esposti nella Cappella Sistina in occasione dei conclavi e delle ricorrenze più solenni. 

  

Un altro grande maestro, Leonardo, è rappresentato qui dall'abbozzo di un quadro raffigurante San Girolamo: un'opera particolarmente significativa soprattutto perché rivela interessanti particolari sulla tecnica del chiaroscuro e sullo schema compositivo leonardeschi. Il Cinquecento trova un'ampia selezione di dipinti soprattutto appartenenti alla scuola veneta, tra cui emergono le figure di Tiziano, autore dell'intenso Ritratto del Doge Nicolo Marcello, e del Veronese. 

  

  

L'evoluzione cinquecentesca della pittura ci conduce inevitabilmente agli esiti più interessanti del Manierismo toscano e romano, qui rappresentato dal Vasari (Martirio di santo Stefano), dal Carracci (Sacrificio d'Isacco) e dal Cavalier d'Arpino (Annunciazione).   

  

La rivoluzione barocca trova raccolti alcuni dei suoi più grandi esponenti, primo fra tutti il Caravaggio di cui è possibile ammirare la Deposizione, da lui dipinta nei primissimi anni del Seicento, ma anche opere di Guido Reni (Crocifissione di san Pietro) e del Domenichino (Comunione di san Girolamo).   

  

Interessanti sono anche le sale dedicate alla pittura fra Sei e Settecento che vantano la presenza di opere di grandi artisti italiani particolarmente attivi a Roma, come Pietro da Cortona, Orazio Gentileschi, il Baciccia, ma anche maestri stranieri, come Poussin, Van Dyck e Rubens. 

  

La parte dedicata più specificamente alla pittura settecentesca rive­la alcune sorprendenti opere di Giuseppe Maria Crespi, del Giaquinto e di Donato Creti.

 

Museo di arte contemporanea: raccoglie opere di artisti come Carlo Carrá e Giorgio de Chirico.

 

Museo Pio-Clementino: Nel 1771 Clemente XIV dava vita alla prima istituzione museale vaticana nelle sale del Palazzetto del Belvedere partendo dal primitivo nucleo rinascimentale della raccolta di statuaria antica conservata  sino ad allora nel Cortile Ottagono, disegnato dal Bramante e in seguito riadattato da Michelangelo Simonetti nel 1773. 

  

Il successore di papa Clemente, Pio VI, ampliò ulteriormente la raccolta espandendo lo spazio occupato dal museo ad altre parti del complesso vaticano. Proprio vicino al Cortile Ottagono, nel cosiddetto Gabinetto di Apollo, fu sistemata una delle sculture che maggiormente colpirono l'interesse di studiosi di antichità come Winckelmann e Goethe, il celebre Apollo del Belvedere, affascinante opera attribuita a Leocare e rinvenuta nel Quattrocento vicino alla chiesa di San Pietro in Vincoli. Il Gabinetto dell'Apoxyomenos deve invece il suo nome ad un altro capolavoro della statuaria antica, copia romana di un originale lisippeo, raffigurante un pugile nell'atto di detergersi il sudore, rinvenuta a metà dell'Ottocento in Trastevere.

  

Nel Gabinetto del Laocoonte è conservato l'omonimo gruppo scultoreo rinvenuto nel Cinquecento all'interno della neroniana Domus Aurea e ispirato al celebre episodio della guerra di Troia, in cui il sacerdote Laocoonte e i suoi figli vengono strangolati da due serpenti mandati da Atena per scongiurare il fallimento dell'inganno del cavallo, svelato dal sacerdote troiano. L'opera ebbe un enorme influenza sull'arte del tardo  Rinascimento,  soprattutto  su Michelangelo.  Il Gabinetto delI'Hermes deve il suo nome ad una copia di età adrianea da un originale di Prassitele raffigurante la divinità nelle vesti di psicopompo, ossia di accompagnatore delle anime nell'Ade. 

  

Di matrice neo­classica è invece la statua che da il nome al Gabinetto del Perseo, opera realizzata nel 1800 da Antonio Canova e  ispirata all'Apollo del Belvedere.  Su volontà di Pio VI, Michelangelo Simonetti realizzò nel 1776 la Sala degli Animali, in cui furono sistemate sculture e frammenti di mosaici d'epoca romana aventi per soggetto animali. L'esemplare più famoso di questa singolare raccolta è la statua di Meleagro, raffigurato con un cane e con una testa di cinghiale, copia romana da un originale di Skopas. 

  

L'ampliamento del Palazzetto di Innocenzo VIII ebbe come scopo quello di creare nuovi spazi, tra cui appunto la Galleria delle Statue, in cui si trovano raccolti notevoli esempi di statuaria come l'Apollo sauroctono, l'Arianna dormiente, il Satiro in riposo e i Candelabri Barberini. Il Simonetti realizzò anche altre sale di grande effetto prospettico in modo da esaltare le opere d'arte in esse conservate. È questo il caso della Sala delle Muse, in cui si trova il celebre torso del Belvedere, al quale Michelangelo si ispirò per dipingere i nudi della Cappella Sistina; della Sala Rotonda, in cui sono conservati il Giove di Otricoli, e la colossale statua di Èrcole in bronzo dorato; della Sala a Croce Greca, custode del sarcofago di Costantina, figlia di Costantino, e di quello di Sant'Elena, madre dell'imperatore, e del Gabinetto delle Maschere, dove trova posto la famosa Venere di Cnido. Già Clemente XIV aveva comunque riadattato alcuni ambienti dell'edificio allo scopo di sistemare le collezioni; era nata così la Galleria dei Busti, in cui si conservano alcuni esempi di ritrattistica imperiale fra i più famosi del mondo, come i busti di Caracolla, di Cesare, di Augusto.     

 

Galleria degli arazzi

 

Galleria delle mappe

  

  

Museo Chiaramonti: Il Museo Chiaramonti, fondato per volontà di Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti) all'inizio dell'Ottocento e affidato per la sua sistemazione ad Antonio Canova, trovò spazio nella galleria orientale progettata dal Bramante per congiungere il Palazzetto del Belvedere al Palazzo Vaticano, di cui occupò la prima porzione, proseguendo poi nella Galleria Lapidaria, allestita per ospitare la ricca collezione epigrafica vaticana, e nel Braccio Nuovo, appositamente costruito allo scopo di sistemare le opere che rimanevano escluse dalla collocazione negli ambienti della galleria. La prima sezione del museo accoglie in un ambiente decorato secondo i dettami dello stile neoclassico vari esempi di statuaria romana d'ispirazione greca: divinità dell'Olimpo, come la statua di Athena, copia di un originale greco della scuola di Mirone, si alternano a raffigurazioni di mitici eroi, come l’Ercole col figlio Telefo, e a ritratti di personaggi romani, come quello di un sacerdote di Iside, noto anche come Scipione l'Africano, o il ritratto virile raffigurante un ignoto personaggio col capo velato nella tipica foggia propria dei rituali sacrificali. La Galleria Lapidaria, accessibile solo per motivi di studio, offre invece un'ampia panoramica sulle iscrizioni pagane e cristiane, provenienti in gran parte da necropoli e catacombe, la cui raccolta, iniziata da Clemente XIV e arricchita da Pio VI e Pio VII, fu ordinata dal famoso epigrafista Gaetano Marini.

Il Braccio Nuovo, costruito dallo Stern nel 1817 trasversalmente al Cortile del Belvedere e parallelamente alla gal­leria della Biblioteca Apostolica, consiste anch'esso in una galleria piuttosto ampia e luminosa, interrotta al centro da una vasta sala dotata di abside, in cui trovano posto alcuni capolavori della statuaria romana. Sono senz'altro da citare il cosiddetto Augusto di Prima Porta, raffigurarne l'imperatore nell'atto di arringare ai suoi sudditi, con indosso un'armatura finemente cesellata e ai piedi un amorino, simbolo di Venere, protettrice della stirpe Giulia; la statua del Nilo, che adornava assieme a quella raffigurante il Tevere (oggi al Louvre) il Tempio di Iside e Serapide. rinvenuta all'inizio del Cinquecento presso Santa Maria Sopra Minerva; e il celebre Doriforo, copia dell’originale bronzeo di Policleto, perfetta nelle sue armoniose proporzioni.  

Museo gregoriano etrusco: Nella prima metà dell'Ottocento l'interesse per l'etruscologia e lo studio delle popolazioni italiche di epoca pre­romana portò all'organizzazione di sistematiche campagne di scavi, che ebbero luogo in moltissime località dell'allora Stato Pontificio, come Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Veio. I reperti vennero così catalogati e sistemati all'interno di un apposito museo istituito nel 1837 da Gregorio XVI e in seguito accresciuto da donazioni e acquisizioni. 

 

  

Le antichità sono disposte all'interno delle sale del museo a partire dalle testimonianza della prima Età del Ferro etrusco-laziale, documentata da una serie di vasi funerari di grande interesse. Un esempio di corredo sepolcrale completo è quello fornito dal materiale rinvenuto nella Tomba Regolini-Galassi, qui sistemato ad evidenziare la natura di tali corredi che comprendevano oggetti in bronzo, vasi in ceramica e bucchero (tipico impasto etrusco di colore nero) e oggetti in oro di raffinatissima fattura. Le urne in cui gli Etruschi conservavano le ceneri dei propri defunti trovano qui esempi di altissimo pregio, primo fra tutti quello della cosiddetta Urna Calabresi, risalente al VII secolo a.C. 

  

Il Marte di Todi offre invece una preziosa testimonianza del livello raggiunto da questa popolazione nell'arte di fondere il bronzo. Ma è soprattutto la ceramica, costituita da vasi di vario tipo, sia ornati con figure sia di semplice impasto monocromo, a costituire un polo d'attrazione del museo, in particolare i begli esempi della Raccolta Benedetto Guglielmi, che comprende interessanti vasi di fattura attica a figure nere e rosse.

 

Museo Gregoriano Egizio: fondato da papa Gregorio XVI, il museo ospita una vasta collezione di reperti dell'antico Egitto. Il materiale esposto comprende papiri, mummie di animali, il famoso Libro dei morti e la Collezione Grassi.  

 

 

Museo missionario-etnologico

 

Museo sacro (biblioteca)

 

Museo profano: L'origine del museo, inizialmente ospitato nel Palazzo del Laterano, risale alla prima metà del XIX secolo. Fu infatti papa Gregorio XVI a dare per primo una sistemazione ai numerosissimi reperti di provenienza greca e romana, rinvenuti nel corso degli scavi condotti nel territorio dell'ex Stato Pontificio. Nel 1970, infine, la ricca collezione fu trasferita nei locali del Vaticano costruiti per l'occasione su espressa volontà di Giovanni XXIII dagli architetti Fausto e Lucio Passarelli.

Il museo si articola in cinque sezioni dedicate alle manifestazioni dell'arte scultorea greca e delle varie fasi di quella romana, dalla rielaborazione e copia di modelli greci, alla produzione autonoma compresa tra l'epoca imperiale e la tarda antichità. Tra le opere di origine greca sono certamente degni di nota alcuni frammenti di sculture del Partenone e della celebre testa di Athena, espressione dell'arte della Magna Grecia. L'influenza dell'arte greca ed ellenistica ebbe per lunghissimo tempo un ruolo fondamentale nell'evoluzione dell'arte romana, in special modo nel campo della scultura, che mosse i suoi primi passi copiando soprattutto modelli attici, come nel caso delle statue di Marsia e di Athena, riproduzioni di un celebre gruppo bronzeo realizzato da Mirone nel 460 a.C. e collocato all'ingresso dell'Acropoli di Atene, o della Niobide Chiaramonti, derivata da un celebre gruppo scultoreo attribuito a Skopas.

La scultura romana prese poi, a partire dall'età repubblicana e primo imperiale una sua strada soprattutto nel campo della ritrattistica, dedicando statue a figura intera e busti a personaggi importanti e agli imperatori e ai loro familiari. Numerosi rilievi, come quello dell'Ara dei Vicomagistri, che riproduce un corteo sacrificale, offrono inoltre una preziosa testimonianza sulla vita religiosa e civile della società romana. Anche l'arte funeraria, che si rivela in particolare nella produzione di sarcofagi, cui è dedica­ta un'intera sezione, fornisce la possibilità di far luce sui miti dell'antichità (Adone, Edipo, Fedra ecc.) raffigurati nei rilievi che ne costituiscono la decorazione. Miti e credenze religiose provenienti dall'Oriente pervadono l'arte romana del II e III secolo d.C. rappresentata nell'ultima sezione, in cui è visibile il bel gruppo di Mitra che uccide il toro, tipica espressione dell'arte tardoantica.

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