- Età
imperiale
L'Impero
romano fu lo Stato romano consolidatosi
nell'area euro-mediterranea tra
il I
secolo a.C. e il XV
secolo; l'epoca tratta il periodo che va dalla sua
fondazione, generalmente indicato con il 27
a.C. (primo anno del principato di Augusto)
e il 395,
quando dopo la morte di Teodosio
I, l'Impero fu suddiviso dal punto di vista
amministrativo ma non politico in una pars
occidentalis e in una pars
orientalis. L'Impero
romano d'Occidente si fa terminare per
convenzione nel 476, anno in cui Odoacre depone
l'ultimo imperatore, Romolo
Augusto, mentre l'Impero
romano d'Oriente (indicato talvolta come Impero
bizantino nella sua fase medievale) si protrarrà
fino alla conquista
di Costantinopoli da parte degli Ottomani,
nel 1453.
Nella
sua massima espansione, l'Impero si estendeva, in tutto o in
parte, sui territori degli odierni Stati di: Portogallo,
Spagna, Andorra, Francia, Monaco, Belgio, Paesi Bassi (regioni
meridionali), Regno
Unito (Inghilterra, Galles,
parte della Scozia), Lussemburgo, Germania (regioni
meridionali e occidentali), Svizzera, Austria, Liechtenstein, Slovacchia (piccola
parte), Ungheria, Italia, Vaticano, San
Marino, Malta, Slovenia, Croazia, Bosnia
ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania,
Macedonia del Nord, Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia,
Ucraina (parte costiera sud-occidentale con
Isola dei Serpenti e Podolia), Turchia, Russia, Cipro,
Siria, Libano, Iraq, Armenia, Georgia, Iran, Azerbajian,
Israele, Giordania, Palestina, Egitto, Sudan (piccola parte
e per limitato periodo di tempo), Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Arabia
Saudita (piccola parte). In totale, 52 dei 196 Stati
riconosciuti nel mondo, più 3 parzialmente
riconosciuti, più di ogni altro impero del mondo antico. Si
espandeva su tre diversi continenti: Europa, Africa e Asia.
Nel 117 sotto Traiano ricopriva
un'area di 5,0 milioni di km2, conteggiando anche gli Stati
vassalli e i regni
clienti. L'esatta misura della superficie governata
da questo potente impero in realtà non è certa, a causa
della mancanza di dati precisi, di dispute territoriali e
della presenza di stati
clienti il cui rapporto nei confronti di Roma non
è sempre chiaro.
Pur
non essendo il più vasto Stato dell’antichità, spettando tali
primati all'impero
achemenide, cinese e Xiongnu, quello
di Roma è considerato il più grande per gestione e qualità del
territorio, organizzazione socio-politica, e per
l'importante eredità lasciata nella storia dell'umanità.
In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i
Romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti,
fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà
e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà
assoggettate, in un processo così profondo che per secoli
ancora dopo la fine dell'impero queste genti continuarono a
definirsi romane. La civiltà nata
sulle rive del Tevere,
cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine
sviluppatasi pienamente in età imperiale, è essenziale
componente della civiltà
occidentale.
DEFINIZIONE
E CONCETTO DI IMPERO ROMANO -
Le due date indicate come
inizio (27
a.C.) e fine (395)
convenzionali di un Impero romano unitario, come spesso
accade nelle definizioni dei periodi storici, sono puramente
arbitrarie. In particolare per tre ragioni: sia perché non
vi fu mai una vera e propria fine formale della Res
publica Romana, le cui istituzioni non furono mai
abolite, ma semplicemente persero il potere effettivo a
vantaggio dell'imperatore; sia
perché nei 422 anni tra esse compresi si alternarono due
fasi caratterizzate da forme di organizzazione e
legittimazione del potere imperiale profondamente diverse,
il Principato e
il Dominato;
sia perché anche dopo la divisione dell'impero le due parti
continuarono a sopravvivere, l'una sino alla deposizione
dell'ultimo Cesare
d'Occidente Romolo
Augusto nel 476 (o
più precisamente fino al 480,
anno della morte del suo predecessore, Giulio
Nepote, che si considerava ancora imperatore),
l'altra perpetuandosi per ancora un millennio in quell'entità
nota come Impero
bizantino. L'anno 476 è stato inoltre
convenzionalmente considerato come data di passaggio tra età
antica e Medioevo.
Se
per alcuni - e in parte per gli stessi antichi - già
l'assunzione nel 49
a.C. della dittatura da
parte di Gaio
Giulio Cesare può segnare la fine della
Repubblica e l'inizio di una nuova forma di governo (tanto
che il nome stesso di caesar divenne titolo e
sinonimo di imperatore), è anche vero che per essi l'impero
di Roma esisteva già da tempo, da quando cioè la città
repubblicana aveva iniziato a legare a sé i territori
conquistati sotto forma di province,
estendendo su di esse il proprio imperium, cioè l'autorità
politico-militare dei propri magistrati (ciò accadde a
partire dalla Sicilia,
nel 241
a.C.).
Il 31
a.C. invece (anno in cui la flotta romana
comandata dal generale Marco
Vipsanio Agrippa sconfisse quella egiziana guidata
da Marco
Antonio e Cleopatra presso Azio,
in Grecia,
segnando la fine del secondo
triumvirato e la definitiva sconfitta dell'unico
vero avversario di Ottaviano per
il predominio a Roma) rappresenta l'inizio effettivo del
potere di Augusto, ponendo infatti fine a quella lunga serie
di guerre
civili che avevano segnato nell'ultimo secolo la
crisi della Repubblica.
In breve tempo, Ottaviano divenne arbitro e padrone dello
Stato: inaugurò nel 27
a.C. la definitiva forma del suo principato e
governò pur senza detenere nessuna carica, con una formula
di primus inter pares, pater patriae (nel 2
a.C.), princeps e, soprattutto, augustus,
titolo onorifico conferitogli in quell'anno dal Senato,
per indicare il carattere sacrale e propiziatorio della sua
persona. È vero anche che Augusto ebbe pieni poteri solo
nel 12 a.C., quando divenne pontefice
massimo. Durante l'anarchia militare infatti, quando
alla guida di Roma c'erano due imperatori, quello che aveva
più potere era quello che ricopriva anche la carica di
pontefice massimo.
In
realtà, però, la denominazione di imperium ha un
senso più generale di quello a noi familiare: è Tito
Flavio Vespasiano il primo ad assumere la carica
formale di Imperator. Prima di Vespasiano, il titolo di Imperator era
attribuito semplicemente al comandante in capo dell'esercito
romano, che doveva essere acclamato come tale dalle
sue truppe sul campo, solo in quel caso era imperator e
deteneva il diritto ad inoltrare richiesta di trionfo al
Senato che era libero di accordargliela o rifiutargliela.
Ottaviano, del resto, rispettò formalmente le istituzioni
repubblicane, ricoprendo diverse cariche negli anni che lo
portarono comunque ad ottenere un potere tale, che nessun
altro uomo prima di lui a Roma aveva mai ottenuto.
La
vita politica, economica e sociale durante i primi secoli
dell'Impero gravitava attorno all'Urbe. Roma era
la sede dell'autorità imperiale e dell'amministrazione,
principale luogo di scambio commerciale tra Oriente ed
Occidente oltre ad essere di gran lunga la più popolata
città del mondo antico con circa un milione di abitanti;
per questo migliaia di persone affluivano quotidianamente
nella capitale via mare e via terra, arricchendola di
artisti e letterati provenienti da tutte le regioni
dell'Impero.
Esisteva
una netta differenza tra il vivere a Roma o
nelle province:
gli abitanti della capitale godevano di privilegi ed
elargizioni, mentre il peso fiscale si riversava più
pesantemente sulle province. Anche tra città e campagna,
ovviamente tenendo conto del ceto sociale, la qualità di
vita era migliore e più agiata per i cittadini, che
usufruivano di servizi pubblici come terme, acquedotti,
teatri e circhi.
Dall'epoca
di Diocleziano, Roma perse
il suo ruolo di sede imperiale a favore di altre città
(Milano, Treviri, Nicomedia e Sirmio),
restando, però, capitale dell'Impero, fino a quando, nel
corso del V secolo, si andò sempre più imponendo
Costantinopoli (la Nova
Roma voluta da Costantino), anche grazie ai mutati
rapporti di forza tra un Oriente ancora prospero e un
Occidente in balia delle orde barbariche e sempre più
prostrato dalla crisi economica, politica e demografica.
Dopo
la crisi che paralizzò l'Impero nei decenni centrali del
III secolo, le frontiere si fecero più sicure a partire dal
regno di Diocleziano (284-305),
il quale introdusse profonde riforme nell'amministrazione e
nell'esercito.
L'Impero poté così vivere ancora un periodo
di relativa stabilità fino almeno alla battaglia di Adrianopoli (378)
e, in Occidente, fino ai primi anni del V secolo, quando si
produsse una prima, pericolosa incursione da parte dei Visigoti di Alarico
I (401-402) cui seguirono altre che culminarono
nel celebre sacco
di Roma del 410,
avvertito dai contemporanei (san
Girolamo, sant'Agostino
d'Ippona) come un avvenimento epocale e, da alcuni,
come la fine del mondo. Gli ultimi decenni di vita
dell'Impero romano d'Occidente (quello d'Oriente sopravviverà,
come si è detto, per un altro millennio) furono vissuti in
un clima apocalittico di morte e di miseria dalla
popolazione di molte regioni dell'Impero, falcidiata da
guerre, carestie ed epidemie. La conseguenza finale fu la
caduta della stessa struttura imperiale.
L'età
di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia
di Roma e il definitivo passaggio dal periodo
repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al
nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera
economica, militare, giuridica, amminitrativa e culturale.
Quando
infatti la Repubblica
romana (509
a.C. - 31
a.C.) era ormai preda di una crisi istituzionale
irreversibile, Gaio
Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Giulio
Cesare e da lui adottato, rafforzò la sua
posizione con la sconfitta del suo unico rivale per il
potere, Marco
Antonio, nella battaglia
di Azio. Anni di guerra
civile avevano lasciato Roma quasi senza legge.
Essa, tuttavia, non era ancora del tutto disposta ad
accettare il controllo di un despota.
Ottaviano
agì astutamente. Per prima cosa sciolse il suo esercito ed
indisse le elezioni. Ottenne, in tal modo, la prestigiosa
carica di console.
Nel 27
a.C., restituì ufficialmente il potere al Senato
di Roma, e si offrì di rinunciare alla sua personale
supremazia militare ed egemonia sull'Egitto.
Non solo il Senato respinse la proposta, ma gli fu anche
dato il controllo della Spagna, della Gallia e
della Siria.
Poco dopo, il Senato gli concesse anche l'appellativo di
"Augusto".
Augusto sapeva
che il potere necessario per un governo assoluto non sarebbe
derivato né dalla dittatura, messa fuori legge da Antonio
nel 44 a.C., né dal consolato.
Nel 23
a.C. rinunciò a questa carica, ma si assicurò
il controllo effettivo, assumendo alcune
"prerogative" legate alle antiche magistrature
repubblicane. Gli fu, innanzitutto, garantita a vita la tribunicia
potestas, legata in origine alla magistratura dei tribuni
della plebe, che gli permetteva di convocare il Senato,
di decidere, porre questioni avanti ad esso, porre il veto
alle decisioni di tutte le magistrature repubblicane e di
fruire della sacrale inviolabilità della propria persona.
Ricevette,
inoltre, l'imperium proconsolare maximo, ossia il comando
supremo su tutte le milizie in tutte le provincie (questa
era una delle prerogativa del proconsole nella regione di
sua competenza). Il conferimento da parte del Senato di
queste due prerogative gli dava autorità suprema in tutte
le questioni riguardanti il governo del territorio.
Il 27
a.C. e il 23
a.C. segnano le principali tappe di questa vera
e propria riforma costituzionale, con la quale si considera
che Augusto assumesse concretamente i poteri propri di imperatore
di Roma. Egli tuttavia fu solito usare titoli quali
"Principe" o "Primo Cittadino".
Con
i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto
riorganizzò l'amministrazione dell'Impero negli oltre
quarant'anni di principato,
introducendo riforme d'importanza cruciale per i successivi
tre secoli:
-
riformò il cursus
honorum di tutte le principali magistrature
romane, ricostruendo la nuova classe politica e
aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;
-
riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche
grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che
favorirono la romanizzazione dell'intero bacino
del Mediterraneo;
-
riorganizzò le forze
armate di terra (con l'introduzione di milizie
specializzate per la difesa e la sicurezza dell'Urbe, come
le coorti
urbane, i vigiles e
la guardia
pretoriana) e di mare (con
la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);
-
riformò il sistema di difese dei confini imperiali,
acquartierando in modo permanente legioni e auxilia in fortezze e
forti lungo l'intero limes;
-
fece di Roma una città monumentale con la costruzione di
numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco
Vipsanio Agrippa;
-
favorì la rinascita economica e il commercio, grazie alla
pacificazione dell'intera area mediterranea,
alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di
conquiste territoriali senza precedenti, che portarono
all'erario romano immense e insperate risorse (basti pensare
al tesoro tolemaico o
al grano egiziano,
alle miniere d'oro dei Cantabri o
quelle d'argento dell'Illirico);
-
promosse una politica sociale più equa verso le classi meno
abbienti, con continuative elargizioni di grano e la
costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme,
acquedotti e fori);
-
diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.
-
introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia e
del mos
maiorum chiamate Leges
Iuliae.
-
riordinò il sistema monetario (23-15
a.C.), che rimase praticamente immutato per due secoli.
Fu
un maestro nell'arte della propaganda,
favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La
pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una
nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei,
come Orazio, Livio e
soprattutto Virgilio.
La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la
sua popolarità.
Il
controllo assoluto dello Stato gli permise di indicare il
suo successore, nonostante il formale rispetto della forma repubblicana.
Inizialmente si rivolse al nipote Marco
Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia, al
quale diede in sposa la figlia Giulia
maggiore. Marcello morì tuttavia nel 23
a.C.: alcuni degli storici successivi ventilarono
l'ipotesi, probabilmente infondata, che fosse stato
avvelenato da Livia
Drusilla, moglie di Augusto.
Augusto
maritò quindi la figlia alla sua "mano destra", Agrippa.
Da questa unione nacquero tre figli: Caio
Cesare, Lucio
Cesare e Postumo (così
chiamato perché nato dopo la morte del padre). I due
maggiori furono adottati dal nonno con l'intento di farne i
suoi successori, ma morirono anch'essi in giovane età.
Augusto mostrò anche favore per i suoi figliastri (figli
del primo matrimonio di Livia) Tiberio e Druso,
che conquistarono a suo nome nuovi territori nel nord.
Dopo
la morte di Agrippa nel 12
a.C., il figlio di Livia, Tiberio, divorziò dalla
prima moglie, figlia di Agrippa e ne sposò la vedova,
Giulia. Tiberio fu chiamato a dividere con l'imperatore la tribunicia
potestas, che era fondamento del potere imperiale, ma poco
dopo si ritirò in esilio volontario a Rodi.
Dopo la morte precoce di Caio e Lucio nel 4 e 2
a.C. rispettivamente, e la precedente morte del
fratello Druso maggiore (9
a.C.), Tiberio fu richiamato a Roma e
venne adottato da Augusto, che lo designava in tal modo
proprio erede.
Il
9 agosto 14, Augusto morì.
Poco dopo il Senato decretò
il suo inserimento fra gli dei
di Roma. Postumo Agrippa e Tiberio erano stati
nominati coeredi. Tuttavia Postumo era stato esiliato e
venne ben presto ucciso. Si ignora chi avesse ordinato la
sua morte, ma Tiberio ebbe
la via libera per assumere lo stesso potere che aveva avuto
il padre adottivo.

ROMA
AUGUSTEA - Il
maggiore sviluppo urbanistico e monumentale si ebbe nell'età
imperiale. Con Augusto la
città, subì una radicale trasformazione urbanistica. Augusto si poteva
vantare di aver trovata una Roma "di terracotta" e di averla
lasciata "di marmo". In effetti fu in quest'epoca che Roma assunse
l'aspetto simile a quello delle più importanti città ellenistiche. Roma che
aveva ormai una popolazione di circa un milione di abitanti venne divisa
in 14 regioni (a
loro volta suddivisi in vici, quartieri), i cui nomi tuttora si
perpetuano nella forma contratta di "rioni".
Furono inizialmente contrassegnate solo da un numero, ma successivamente
ciascuna ebbe anche un suo nome, dato probabilmente dall'uso. Le regioni erano
a loro volta suddivise in vici, ossia singoli quartieri. E sempre sotto
Augusto venne istituito il corpo dei vigiles,
con compiti di vigili del fuoco e polizia urbana, e vennero delimitate le
rive e l'alveo del Tevere,
con la creazione di nuovi acquedotti. Oltre a ciò, onde evitare i danni dei
frequenti incendi, sempre Augusto intervenne riducendo l'altezza delle nuove
costruzioni, proibendo di edificare lungo le vie pubbliche a un'altezza
superiore ai 70 piedi.
Si
completarono alcuni degli interventi di Cesare e si
avviarono nuovi grandi progetti urbanistici, che sebbene non
avessero la grandiosità e la radicalità di quelli
cesariani, si raccordarono direttamente a essi, a partire
dalla costruzione di un nuovo Foro,
quello di Augusto, e dalla regolarizzazione
della piazza del Foro
Romano con la costruzione del tempio
del Divo Giulio e della basilica
Giulia e il rifacimento della basilica
Emilia. L'antica sede della vita politica cittadina
diventava così una piazza monumentale acquistando il suo
aspetto definitivo.
Con
l'aiuto di Agrippa,
suo amico e consigliere, Augusto si occupò anche della
sistemazione del Campo Marzio, che si andò arricchendo di
edifici pubblici e monumenti. Nella zona più periferica
venne costruito il suo mausoleo al
quale erano inoltre simbolicamente collegati un grande
orologio solare, che usava un obelisco come gnomone,
e l'Ara
Pacis. Le Terme
di Agrippa furono le prime terme pubbliche della
città.
Nell'area
del Circo
Flaminio venne costruito il teatro dedicato
al nipote Marcello,
in prossimità del ricostruito Portico
di Ottavia, dedicato in nome della sorella Ottavia,
madre di Marcello, e del tempio
di Apollo Sosiano. A queste opere va aggiunto un
teatro, le biblioteche aperte al pubblico e il restauro o la
costruzione di ben 82 santuari: Augusto affermò di aver
trovato una città di mattoni e di lasciarla di marmo. Strabone,
che scriveva al tempo di Augusto-Tiberio,
sosteneva vi fosse la necessità della costruzione di una
seconda cerchia di mura, poiché quelle
serviane non erano più sufficienti a contenere
la città del suo tempo.
La
monumentalizzazione della città proseguì sotto i
successori di Augusto. Nel 64,
sotto il regno di Nerone uno
spaventoso incendio quasi rase al suolo l'intera città,
distruggendo interamente tre delle zone augustee e
danneggiandone gravemente sette, lasciandone integre solo
quattro. Per favorire un'ordinata ricostruzione e impedire
le condizioni che favorivano il diffondersi degli incendi,
Nerone dettò nuove e lungimiranti regole edilizie,
destinate a frenare gli eccessi della speculazione e
tracciare un nuovo impianto urbanistico, sul quale è
tuttora fondata la città. Venne così emanato un nuovo
piano regolatore, attuato però solo in parte, come riporta Tacito,
tramite la realizzazione di strade più larghe, affiancate
da portici, senza pareti in comune tra gli edifici, di
altezza limitata e con un uso quasi bandito di materiali
infiammabili, sostituiti da pietra e mattoni. Vennero aperte
nuove piazze, le strade divennero più ampie e fiancheggiate
da portici, le abitazioni vennero ricostruite di altezza più
limitata.

Approfittando
della distruzione, Nerone costruì la sua Domus
Aurea, che occupò gli spazi compresi tra Celio, Esquilino
(Oppio) e Palatino con un'enorme villa,
segno tangibile delle mire autocratiche dell'imperatore.
Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio
(Macellum
Magnum) e le Terme
di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta
regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici
termali futuri, inaugurando la tipologia di terme
"imperiali".
Dopo
la morte di Nerone, gli imperatori flavi,
restituirono a uso pubblico parte degli spazi occupati dalla
sua residenza, costruendo le terme
di Tito sul colle
Oppio (forse adattate dalle terme private di
Nerone), restituendo il tempio
del Divo Claudio, già trasformato in ninfeo,
e innalzando il Colosseo,
sul sito del lago artificiale dei giardini. Venne tenuto per
uso privato solo il breve settore della Domus
Titi.
Lo
sviluppo architettonico nell'età
flavia ebbe un'importanza fondamentale per la
messa in opera di tecniche nuove, capaci di portare a un
ulteriore sviluppo delle articolazioni spaziali. Già al
tempo di Nerone vennero
sperimentate nuove soluzioni, come la sala ottagonale della Domus
Aurea, influenzata da modelli siriaci a base
poligonale. Ma è soprattutto in questo periodo che si
diffondono l'uso della cupola emisferica
(Domus
Transitoria e Domus
Aurea), lo sviluppo delle volte
a crociera (Colosseo),
l'utilizzo di nervature con
archi in laterizio in serie e lo sviluppo delle volte
a botte, che arrivano a raggiungere i 33 metri di
diametro nel vestibolo
domizianeo del Foro
Romano.
E
sempre sotto i Flavi ebbero
luogo altri incendi, come l'incendio
del Campidoglio del 69 e
quello del Campo Marzio e Campidoglio dell'80.
Nel 73 Vespasiano e Tito si
presero una magistratura repubblicana ormai quasi
dimenticata, quella di censore,
con l'obiettivo di ampliare il pomerium (il
confine sacro della città) e di iniziare una generale
ristrutturazione urbanistica.
Individuati
poi nuovi punti focali oltre alle già consolidate zone dei Fori
imperiali e del Campo Marzio, si intraprese la
monumentalizzazione anche del colle
Palatino (primo nucleo arcaico di Roma, già
area di residenze patrizie repubblicane), destinato a
divenire la zona
per le residenze degli imperatori ("Domus
Flavia" e "Domus
Augustana").
Domiziano proseguì
l'opera dei suoi predecessori, ricostruendo integralmente,
dopo l'incendio dell'80 il
Campidoglio e il Campo Marzio. Tra i nuovi edifici fece
costruire il Foro
Transitorio (poi inaugurato da Nerva,
dal quale prese anche il nome), l'arco
di Tito, il Tempio
di Vespasiano e Tito, lo Stadio
di Domiziano, oggi ricalcato da piazza
Navona, l'Odeon
di Domiziano e la Porticus
Divorum.
Sotto Traiano si
registrò la massima espansione dell'Impero
romano e entro il II secolo Roma raggiunse la
massima espansione demografica. L'imperatore completò la
serie dei Fori
Imperiali con la grande piazza del Foro
di Traiano (il foro imperiale più grande, che
dovette richiedere la distruzione di numerosi edifici tra Quirinale e Campidoglio,
come il venerando Atrium
Libertatis), nel quale venne collocata la celebre Colonna
coclide e il contiguo complesso dei Mercati
di Traiano. Vennero inoltre costruite le terme sul
colle Oppio, le prime nelle quali si riscontra
definitivamente il tipo che venne poi ripreso dalle terme
di Caracalla e di
Diocleziano.
Ad Adriano e Antonino
Pio si deve il picco dell'attività edilizia.
Dal 123 si
registra l'uso di indicare sul mattoni la data
consolare, segno di un'attività delle fornaci
particolarmente intensa. Ad Adriano e ai suoi immediati
successori si devono il Pantheon nel
suo attuale aspetto e la costruzione di un Mausoleo, oggi
trasformato in Castel
Sant'Angelo, il tempio
di Adriano, inserito più tardi nel palazzo della
Borsa, il tempio
di Antonino e Faustina nel Foro Romano, la Colonna
antonina, dedicata a Antonino
Pio e Faustina.
La Villa
Adriana fu una vera e propria reggia suburbana.
Ma ancora più importante fu la costruzione di interi
quartieri con insulae a
più piani, come nella VII regione a est della Via
Lata: l'idea dell'aspetto di queste zone si può
avere dagli scavi di Ostia
antica, presso l'antico porto
di Roma.
Dopo
l'incendio del 191,
sotto Commodo,
iniziò una nuova fase di lavori, curati dalla dinastia
dei Severi: fu ricostruito il Tempio
della Pace, gli Horrea
Piperiana, il Portico
di Ottavia; si aggiunse un'ala al palazzo imperiale
sul Palatino, con una nuova facciata monumentale verso la Via
Appia, il Settizonio;
furono innalzati l'arco
di Settimio Severo e le terme
di Caracalla, l'edificio più imponente e tra i
meglio conservati della Roma imperiale. Sempre all'epoca di Caracalla venne
costruito quello che forse era il tempio più grandioso
della città, il Serapeo sul
Quirinale. La pianta marmorea incisa sotto Settimio
Severo su un muro del Tempio della Pace e in
parte pervenutaci dà una rappresentazione planimetrica
della Roma di quegli anni.
Nel
corso del III
secolo, quando per la grande crisi
politica e militare gli imperatori non furono
quasi mai presenti nella capitale dell'impero, l'attività
edilizia rallentò fino ad arrestarsi quasi del tutto.
Sintomo del declino fu la fine dell'uso di bollare i mattoni
con la data
consolare, dalla morte di Caracalla con
una parentesi di breve ripresa durante il regno di Diocleziano.
Tra gli edifici costruiti nel II secolo ci furono il Tempio
di Eliogabalo, sul Palatino,
e il Tempio
del Sole sul Campo Marzio, voluto da Aureliano.
L'opera più importante fu tuttavia la costruzione delle mura
aureliane, chiara testimonianza dei tempi, volute
dall'imperatore Aureliano a partire dal 272:
dopo secoli infatti si temeva nuovamente per la sicurezza
della città, segno di una consapevole debolezza militare.
Le mura furono successivamente rialzate e rafforzate più
volte fino a raggiungere l'attuale e monumentale aspetto.
Nel
periodo augusteo e successivo, si nota un irrobustirsi di
tutti quegli edifici privi dell'influenza del tempio
greco: archi trionfali, terme, anfiteatri o lo stesso mausoleo
di Augusto a Roma.
Nell'arco
partico del Foro
Romano, eretto da Augusto verso il 20
a.C. si vede la nascita dell'arco a tre fornici,
anche se la suddivisione risponde a passaggio di due
marciapiedi laterali, se le parti laterali non sono ancora
unite in un unico complesso formale e vi si riscontrano
elementi locali (l'arco centrale) e ellenistici (le
edicole).
Risalgono
a questo periodo i più spettacolari edifici per gli
spettacoli come il teatro
di Marcello (11
a.C.). Il gusto scenografico ellenistico venne
assimilato dagli architetti romani e sviluppato
ulteriormente, portando l'architettura a nuovi vertici in
maniera più rilevante e precoce delle altre arti. Numerosi
altri edifici furono poi costruiti o restaurati durante il
suo principato:
-
la ristrutturazione della Curia (sede
del senato)
e del Tempio
di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio,
dove depose un bottino composto da sedicimila libbre d'oro,
con pietre preziose e perle per un valore di cinquanta
milioni di sesterzi;
-
la costruzione di un nuovo foro accanto a quello di Gaio
Giulio Cesare (il Foro
di Augusto), che includeva anche il tempio
di Marte Ultore;
-
numerosi nuovi templi,
come quelli dedicati ad Apollo sul Palatino (con
la vicina biblioteca Apollinis, greca e latina) e al
padre adottivo, il Divo
Giulio, oltre al Pantheon costruito
tra il 27-25
a.C.), al Teatro
di Marcello (terminato nell'11
a.C.), alle Terme
di Agrippa, agli acquedotti Aqua
Iulia (costruito da Marco
Vipsanio Agrippa nel 33
a.C.), Aqua
Virgo (del 19
a.C.) e Aqua
Alsietina (del 2
a.C.), ad un nuovo
ponte sul Tevere fatto
costruire da Agrippa;
-
la ricostruzione della Basilica
Giulia (dedicata ai nipoti Gaio e Lucio)
nel 12 d.C.,
ora ampliata dopo un incendio;
-
alcuni portici, uno
dedicato alla moglie Livia ed un secondo
alla sorella Ottavia;
-
il permesso di costruire a privati, come il primo anfiteatro
in pietra a Statilio Tauro, il Teatro
di Balbo, il Tempio
di Ercole delle Muse a Lucio
Marcio Filippo, il tempio
di Diana a Lucio
Cornificio, l'atrio delle libertà a Gaio
Asinio Pollione e il tempio
di Saturno a Lucio
Munazio Planco;
-
i monumenti celebrativi come l'Ara
Pacis (a fianco dell'immensa meridiana
del campo Marzio), un arco
trionfale nel Foro
romano, un altro
arco trionfale dedicato ai nipoti Gaio e Lucio
Cesari, i rostri apposti
nel Foro
romano dopo la vittoria su Marco
Antonio nella battaglia
di Azio, un Mausoleo,
due enormi obelischi egiziani;
-
il tempio
di Giove Tonante sul Campidoglio;
-
un luogo adatto per le battaglie
navali, scavando il terreno nei pressi del Tevere (Naumachia
Augusti), dove ora si trova il bosco dei Cesari;
-
altri numerosissimi monumenti in tutte le province imperiali
a partire dal vicino porto di Roma, Portus.
Fece,
inoltre, allargare e pulire il letto del fiume Tevere,
da troppo tempo ricolmo di detriti, per evitare nuove e
pericolose inondazioni; Oltre a ciò, onde evitare i
danni dei frequenti incendi, Augusto intervenne riducendo
l'altezza delle nuove costruzioni, proibendo di edificare
lungo le vie pubbliche ad un'altezza superiore ai 70 piedi.
Tra
il 20 e
il 23, Tiberio,
su consiglio del potente comandante (prefetto del pretorio) Seiano,
decise di costruire i castra
Praetoria, per radunarvi le nove coorti esistenti.
A Claudio si
devono invece la costruzione dell'Acquedotto
Claudio (iniziata dal suo predecessore Caligola nel 38)
e dell'Acquedotto
Anio novus, completati nel 52;
la costruzione di un canale navigabile sul Tevere che
terminava a Portus,
il nuovo porto a nord di Ostia,
a circa tre km a nord. Il porto era costituito da due moli a
forma di semicerchio, numerosi granai per
l'approvvigionamento di merci provenienti da tutte le
province romane e all'imboccatura era posto un faro che
divenne il simbolo della città stessa. Per ospitare le navi
fu scavato un gigantesco bacino rettangolare di circa 1 000
per 700 metri, collegato al Tevere da due canali. Gli
ingegneri di Claudio non considerarono con la dovuta
attenzione il problema rappresentato dal deposito delle
sabbie fluviali, e in breve il nuovo porto fu inagibile. Di
questo fallimento fece tesoro Traiano che costruì nello
stesso luogo un porto più efficiente che rimase in funzione
per secoli.
In
seguito all'incendio del 64, Nerone recuperò
una vasta area distrutta, facendo realizzare il faraonico
complesso edilizio noto come Domus
Aurea, la sua residenza personale, che giunse a
comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e
parte del Celio, per un'estensione di circa 2,5 km quadrati
(250 ettari). E sempre in questa circostanza fu realizzato
il cosiddetto colosso
di Nerone, una gigantesca statua dell'imperatore in
bronzo, alta 110 piedi secondo Plinio
il Vecchio, 120 secondo Svetonio o
102 secondo il Cronografo
del 354. Originariamente il colosso era situato nel
vestibolo della Domus Aurea, in summa sacra via. Il
successivo incendio della Domus Aurea danneggiò
il monumento che fu restaurato da Vespasiano,
il quale lo convertì in una rappresentazione del dio
Sole. Nel 62 fu
eretto inoltre un nuovo complesso
termale presso il Campo Marzio che copriva
un'area di 190x120 metri.
Imperatori Giulio-Claudi
(27 a.C. - 68 d.C.)
-
Imperatore |
Nome
e titolo |
-
- Date
- (nascita,
periodo di regno)
|
Note |
Augusto |
Gaio
Ottavio Turino
Gaio Giulio Cesare Ottaviano - Imperator Caesar Augustus |
Nato nel
63 a.C., regna dal 16 gennaio 27 a.C. al 19 agosto 14. |
Considerato
primo imperatore romano, figlio adottivo di Gaio Giulio Cesare. |
Tiberio |
Tiberio
Claudio Nerone |
Nato nel
42 a.C., regna dal 19 agosto 14 al 16 marzo 37. |
|
Caligola |
Gaio
Giulio Cesare Germanico |
Nato nel
12, regna dal 18 marzo 37 al 24 gennaio 41. |
Assassinato. |
Claudio |
Tiberio
Claudio Druso Nerone |
Nato nel
10 a.C., regna dal 24 gennaio 41 al 13 ottobre 54. |
Forse
morto avvelenato. |
Nerone |
Lucio
Domizio Enobarbo,
Tiberio Claudio Nerone Domiziano |
Nato nel
37, regna dall'ottobre 54 al 11 giugno 68. |
Suicida. |
Ottaviano
Augusto

Gaio Giulio Cesare Ottaviano
(Velletri, 23 settembre 63 a.C. - Nola, 19 agosto 14) è considerato il primo
imperatore romano, meglio conosciuto come Ottaviano o, dopo il conferimento
del titolo da parte del senato nel 27 a.C., in seguito al quale il suo nome
ufficiale divenne Gaius Caesar Octavianus Augustus, come Augusto.
BIOGRAFIA
- Il suo nome alla nascita era
Gaio Ottavio Turino (Gaius Octavius Thurinus): figlio di Gaio Ottavio,
apparteneva alla gens Octavia, una ricca famiglia di Velletri. La madre
era Azia, figlia della sorella di Cesare, Giulia, e di Marco Azio Balbo. Nel
44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio e, secondo
la consuetudine, assunse il nome del padre adottivo, aggiungendovi la
denominazione della famiglia di provenienza e divenne quindi Gaio Giulio
Cesare Ottaviano.
LA
CONQUISTA DEL POTERE - Il senato, e in particolare
Marco Tullio Cicerone, lo credettero per la sua giovane età un principiante
inesperto, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria - in realtà da subito il giovane rivelò un'autonomia e un'abilità politica notevolissime.
Nel 43 a.C., su incarico del
senato, sconfisse Marco Antonio nella battaglia di Modena, nella quale
rimasero uccisi i consoli di quell'anno. Subito dopo marciò su Roma con l'esercito e si fece eleggere console, malgrado la giovane età. Insieme ad
Antonio e a Lepido formò il secondo triumvirato, riconosciuto per legge in
quello stesso anno.
A seguito del patto furono redatte delle liste di proscrizione contro gli
oppositori di Cesare, che portarono alla confisca dei beni e all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso
Cicerone.
Nel 42 a.C. Antonio e
Ottaviano, lasciato Lepido al governo della capitale si scontrarono con i
cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, e li sconfissero nella
battaglia di Filippi, nella Macedonia orientale.
Successivamente nacquero i
primi contrasti: il fratello di Antonio, Lucio Antonio si ribellò ad
Ottaviano e fu sconfitto a Perugia nel 40 a.C. Nel 38 a.C. il triumvirato
venne prorogato per altri cinque anni con il trattato di Brindisi, che definì
i limiti della sfera di influenza dei triumviri: ad Antonio l'Oriente, ad Augusto l'Occidente e a Lepido l'Africa. L'accordo fu suggellato dal matrimonio di Antonio con Ottavia, sorella di
Ottaviano.
Nonostante gli accordi i
contrasti aumentarono sfociando in una vera e propria guerra civile: il
triumvirato non venne rinnovato alla sua scadenza, nel 33 a.C. e Ottaviano
sconfisse infine Marco Antonio e la sua alleata Cleopatra, ultima regina
tolemaica di Egitto, nella battaglia di Azio, del 2 settembre del 31 a.C.
Nel frattempo Ottaviano, già
marito di Clodia (figliastra di Antonio, in quanto figlia di primo letto della
moglie di questi Fulvia), ripudiata nel 41 a.C., aveva sposato prima Scribonia,
madre della sua unica figlia Giulia, e poi, nel 38 a.C., Livia Drusilla che
dovette divorziare appositamente da Tiberio Claudio Nerone, dal quale aveva già
avuto i figli Tiberio, il futuro imperatore, e Druso maggiore, quest'ultimo forse figlio della stesso Ottaviano, che secondo alcune fonti avrebbe
espresso un grande dolore alla sua morte, avvenuta attorno al 9 a.C. in
seguito ad una caduta da cavallo.
DA
OTTAVIANO AD AUGUSTO - Dopo Azio, Ottaviano era
divenuto di fatto il padrone dello stato, anche se formalmente Roma era ancora
una repubblica e Ottaviano stesso non è rivestito di alcun potere ufficiale,
dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata:
nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù
del "consensus universorum" ("consenso generale").
Il senato gli conferì
progressivamente onori e privilegi, ma il problema che Ottaviano doveva
risolvere consisteva nella trasformazione della sostanza dei rapporti
istituzionali, lasciando intatta la forma repubblicana. I fondamenti del reale
potere vennero individuati nell'imperium e nella tribunicia potestas: il primo, proprio dei
consoli conferiva a chi ne era titolare il potere esecutivo, legislativo e
militare, mentre la seconda, propria dei tribuni della plebe offriva la facoltà
di opporsi alle decisioni del senato, controllandone la politica. Ottaviano
cercò di ottenere tali poteri evitando di alterare le istituzioni
repubblicane e dunque senza farsi eleggere a vita console e tribuno della
plebe ed evitando inoltre la soluzione cesariana (Giulio Cesare era stato
eletto, prima annualmente e poi a vita dittatore).
Nel 27 a.C. Ottaviano restituì
formalmente i poteri straordinari, assunti per la guerra contro Marco Antonio,
nelle mani del senato e del popolo romano, ricevendo in cambio il titolo di
augusto e il comando militare sulle province non pacificate. Da questo momento
le province furono dunque suddivise tra senatorie, rette dal senato, e
imperiali, rette da Augusto: questi aveva ottenuto i poteri consolari, senza
essere console e gli erano state conferite funzioni esecutive, legislative e
militari, disgiunte dall'assunzione effettiva della carica. L'imperium gli consentiva di assumere direttamente il comando delle
legioni stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così
costantemente a disposizione una forza militare su cui puntellare il proprio
potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato
creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva, inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di
carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere
legislativo.
Sotto il controllo del senato
restavano le truppe di stanza nelle province senatoriali, le quali erano rette
da un proconsole o propretore. Il senato stesso avrebbe potuto in qualunque
momento emanare un senatusconsultum limitando o revocando i poteri
conferiti.
Nel 23 a.C. fu conferita ad
Augusto, la tribunicia potestas a vita (che secondo alcuni gli era
stata attribuita già dal 28 a.C.), la quale divenne la vera base
costituzionale del potere imperiale: comportava infatti l'inviolabilità della persona e il diritto di intervenire in tutti i rami della
pubblica amministrazione, e questo senza i vincoli repubblicani della
collegialità della carica e della sua durata annuale. Particolarmente
significativo era il diritto di veto, che garantiva ad Augusto la facoltà di
bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la
propria autorità. Nello stesso anno l'imperium di cui già godeva venne ampliato fino a comprendere anche le
province senatorie: tutte le forze armate dello stato romano dipendevano da
lui.
Infine, quando il pontefice
massimo, Lepido, morì, nel 12 a.C., egli ne prese il titolo divenendo il capo
religioso di Roma.
IL GOVERNO
- L'ambizione di Augusto fu quella di essere fondatore di un optimus status,
facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo
conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme
repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas
del princeps (primo fra pari), permetteva di risolvere i conflitti per
il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica.
A questo sforzo politico si
affiancò l'elaborazione in tutti i campi di una nuova cultura, di impronta classicistica,
che fondesse gli elementi tradizionali in nuove forme consone ai tempi. In
campo letterario la rielaborazione del mito delle origini di Roma e la
prefigurazione di una nuova età dell'oro trovano voce in Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio, il circolo di letterati
raccolto attorno a Mecenate.
La politica estera di Augusto
fu dominata in Oriente dalla risoluzione diplomatica del conflitto con i
Parti, con la restituzione nel 20 a.C., da parte del re parto Fraate IV, delle
insegne perdute da Marco Licinio Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C.
In Occidente il tentativo di conquista della Germania fu fermato da Arminio
che nel 9 d.C. annientò tre legioni guidate dal generale Publio Quintilio
Varo nella battaglia della foresta di Teutoburgo.
Augusto preparò per tempo la
propria successione: inizialmente pensò al nipote Marcello, figlio della
sorella Ottavia e del suo primo marito, Gaio Claudio Marcello, al quale diede
in sposa la figlia Giulia. Alla precoce morte di Marcello nel 23 a.C. Giulia
andò in sposa a Marco Vipsanio Agrippa, suo generale e collaboratore, e nel
17 a.C. Augusto ne adottò i figli, Gaio e Lucio Cesari. Dopo la morte prima
di Agrippa, nel 12 a.C. e poi dei nipoti, nel 2 e nel 4 d.C. adottò quindi il
figliastro Tiberio che effettivamente gli successe alla sua morte, dando
origine alla dinastia giulio-claudia.
ATTI DEL DIVINO AUGUSTO - Augusto stesso lasciò alla
sua morte un dettagliato resoconto delle sue opere nel testamento. Il testo ci
è giunto trascritto in un'iscrizione incisa sulle pareti del tempio di Roma e Augusto ad Ancyra,
oggi Ankara in Asia Minore, sia in latino che nella traduzione greca. Secondo
il volere di Augusto il testo era stato inciso in origine su tavole di bronzo
all
'
ingresso del suo Mausoleo. Altre copie incise sulle pareti dei templi a lui
dedicati sono giunte ad oggi frammentarie.
In uno stile volutamente
stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via
via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi,
le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo
stato, ai veterani e alla plebe, e i giochi e rappresentazioni dati a sue
spese, e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra.
Il documento non menziona il
nome dei nemici e neppure di nessun membro della sua famiglia, ad eccezione
dei successori designati, Agrippa, Gaio e Lucio Cesari e Tiberio.
IL RESOCONTO SULLA CONQUISTA DEL POTERE - Racconta Augusto che all'età di 19 anni costituì un esercito a sue spese e con la benedizione del
Senato. Nello stesso anno fu eletto console. Con questi mezzi riuscì ad
esiliare e punire gli assassini di Giulio Cesare, suo padre adottivo. Vengono
quindi raccontate le sue conquiste militari e si ricorda l'atteggiamento verso i popoli vinti, ai quali era concesso di continuare a
seguire i propri costumi e di mantenere le precedenti forme di governo purché
pagassero i tributi a Roma.
Questi passi delle Res
Gestae mostrano i cardini dell'ideologia augustea. Ottaviano, uscito vincitore dalle guerre civili, impone la
propria lettura storica: il suo intervento nelle guerre civili non è di
parte, ma in difesa e per conto del Senato e dello stato romano. I
provvedimenti e la guerra contro gli uccisori di Cesare, da cui Ottaviano era
stato adottato, sono un atto di diritto e di pietà filiale. Le Res Gestae
insistono sulla sua opera di pacificazione e sulle donazioni di terre ai
veterani, con cui cerca di riportare un ordine sociale dopo anni di guerre. L'elenco delle cariche ricoperte e di quelle offerte, ma non accettate mostra il
potere di acquisto a Roma e fa luce sulla situazione di asservimento della
classe dirigente. Lo scrupolo con cui elenca le cariche religiose è indice di
un nascente processo di sacralizzazione del potere, che trova espressione
anche nel titolo di augustus ("degno di venerazione"),
ottenuto dal Senato. Fondamentale nell'ideologia politica del principato il concetto che Ottaviano definisce di auctoritas
e potestas ("autorità" e "potere").
IL GOVERNO
- Nel resoconto della sua ascesa
al potere si mette in evidenza il suo rifiuto di contrastare le regole
tradizionali dello stato repubblicano e di assumere poteri arbitrari in modo
illegittimo. Si narra inoltre che sotto il suo governo venne incrementato il
numero dei patrizi e fu ordinato un censimento della popolazione, da cui
risultò che gli abitanti di Roma sfioravano il milione.
Narrando dei propri donativi,
si asserisce che le elargizioni erano sempre dirette a più di 250.000 persone
e come in quattro occasioni avesse aiutato la tesoreria pubblica.
Vengono poi citati gli edifici
costruiti, tra cui la Curia (sede del senato) ed i templi di Apollo e del Divo
Giulio. Su alcuni di questi edifici non fece apporre il suo nome.
Tiberio
Tiberio
(Roma 16 novembre 42 a.C. - Miseno 16 marzo 37), fu il secondo
imperatore appartenente alla dinastia Giulio-Claudia. Tiberio apparteneva per
nascita alla famiglia Claudia (figlio di Tiberio Claudio Nerone e Livia
Drusilla) e fu adottato come erede di Augusto che apparteneva, a sua volta per
adozione da parte di Giulio Cesare alla famiglia Giulia. Gli imperatori
successivi, fino a Nerone, furono parenti in vario grado di entrambe le
famiglie.
Tiberio dovette la sua
posizione alla madre, seconda moglie di Augusto. Egli divenne uno dei
luogotenenti del patrigno, conducendo campagne militari in Germania e sul
Danubio. Perseguendo gli interessi politici della famiglia, fu spinto nel 12
a.C. a divorziare dalla prima moglie, Vipsania, figlia di Marco Vipsanio
Agrippa ed a sposare Giulia, figlia di Augusto, e vedova dello stesso Agrippa
(e quindi sua sorellastra e matrigna della sua prima moglie), ma tale
matrimonio non fu felice. Tiberio si auto-esiliò a Rodi.
Tornò
molti anni più tardi a seguito della morte dei figli di Giulia ed Agrippa,
Caio e Lucio Cesari, e fu nominato erede di Augusto. Divenuto imperatore dopo
la morte di Augusto, si rese rapidamente impopolare, e quando suo nipote
Germanico nel 19 morì in oriente in circostanze misteriose, circolò la voce
che Tiberio vi avesse avuto un ruolo.
Tiberio trascorse molta dell'ultima parte del suo regno nell'isola di Capri. La città di Roma fu controllata al suo posto da Seiano, capo
della Guardia Pretoriana. Seiano, di cui si disse che nel 23 aveva avvelenato
Tiberio Druso, unico figlio di Tiberio, e certamente coinvolto in intrighi con
la vedova di Druso e nipote di Tiberio, Claudia Livilla, condusse una campagna
di terrore contro i possibili nemici politici. La vedova di Germanico,
Agrippina maggiore, ed i suoi figli maggiori, Nerone Cesare e Druso Cesare,
furono cacciati in esilio a Ventotene dove morirono.
Nei progetti di Seiano, in
effetti, rientrava il proposito di impadronirsi del controllo dell'Impero, ma i suoi piani fallirono grazie alla segnalazione tempestiva a
Tiberio da parte di sua cognata Antonia minore. Seiano ed i suoi sostenitori
furono, quindi, arrestati e giustiziati nel 31. A Tiberio, morto nel 37,
succedette suo nipote Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico e
Agrippina.
La città di Tiberiade sulla
sponda occidentale del Mar di Galilea fu così chiamata in suo onore da Erode
Antipa.
Caligola
Gaio
Cesare Germanico (Anzio, 31 agosto 12 - Roma, 15 gennaio 41), anche noto come
Gaio Cesare o Caligola, Imperatore Romano regnò dal 37 al 41. Noto
per il suo dispotismo estremamente stravagante, eccentrico e talvolta crudele,
fu assassinato nel 41 da alcune sue guardie.
FONTI ANTICHE - Il
problema delle fonti, nel caso di Caligola, è un problema complesso. Si
tratta sicuramente di un personaggio discusso e politicamente avverso alla
classe sociale o al ceto dal quale provenivano gli storiografi romani e greci
che, quindi, nella sua descrizione non spiccano per oggettività.
Molte
delle informazioni su Caligola provengono da fonti prevenute contro di lui,
specialmente dallo storico Svetonio e Dione Cassio. Le fonti si concentrano,
inoltre, più sui pettegolezzi che sulla politica del giovane imperatore,
dandoci, quindi, una visione distorta e poco veritiera della sua figura.
Pochi
sono i dati politici sicuri che ci sono noti, non c'è pervenuta, infatti, la parte degli Annali di Tacito relativa al regno di
Caligola. Anche se, probabilmente, lo storico romano si sarebbe schierato
contro il giovane sovrano almeno ci avrebbe fornito utili informazioni sulla
linea politica da esso adottata, informazioni quasi del tutto assenti in
Svetonio e Cassio Dione. Svetonio dedica nove capitoli della sua biografia a
Caligola principe e 39 a Caligola mostro.
ORIGINI -
Caligola
era il terzo figlio di Agrippina Maggiore e Germanico, generale molto amato
dal popolo romano. Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio
e figlio di Livia, moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco
Antonio e Ottavia, sorella di Augusto). La madre era figlia di Marco Vispanio
Agrippa (amico di Augusto) e di Giulia (figlia di primo letto di Augusto).
Inoltre
suo padre Germanico era stato adottato da Tiberio, che era stato adottato da
Augusto, che a sua volta era stato adottato da Giulio Cesare.
Questa
particolare situazione familiare (che tramite Augusto poteva risalire a Cesare
e quindi persino alle origini stesse di Roma, ad Enea e Venere) rendevano
Caligola, il più probabile successore di Tiberio.
PRECEDENTI
- Da
ragazzo accompagnava i genitori nelle spedizioni militari in Germania (14-16)
ed indossava nei campi la calzatura dei legionari (Caliga), da cui il
soprannome affettuoso "Caligola", datogli dai soldati.
Nel
17, dopo aver assistito al trionfo del padre a Roma, parte con la famiglia al
seguito di Germanico inviato in missione a Oriente. Solo 2 anni più tardi il
padre morirà e Caligola, insieme alla madre, farà ritorno in Italia. L'ipotesi avanzata da taluno che Caligola a sette anni si fosse reso
responsabile della morte del padre in Siria non è supportata da fonti
storiche.
Nel
27 andrà a vivere a casa della bisavola paterna Livia, sul Palatino e nel 29
a casa della nonna Antonia Minore dove incontrerà i 3 giovani principi traci,
Polemone (a cui darà il regno del ponto e del bosforo), Rhoimetalkes (a cui
darà metà dell
'
antico regno di Tracia) e Kotys (a cui darà l'Armenia Minore).
L'imperatore Tiberio, ritiratosi a Capri già nel 26, vorrà Caligola con lui
nel 31, anno in cui divenne "Pontifex" (Sacerdote). Nel 33 divenne
questore, e qui si chiude il "cursus honorum" di Caligola.
Tiberio
nonostante tutto nominerà suoi successori nel testamento (35 d.C.) Caligola e
Tiberio Gemello.
SUCCESSIONE
- Dopo
la morte di Tiberio, avvenuta il 16 marzo 37, il Senato ne annullò il
testamento, che lasciava la guida dell'impero a Caligola e a Tiberio Gemello, nipote del defunto imperatore,
sostenendo che al momento della stesura Tiberio fosse insano di mente e
proclamò Imperator Caligola il 18 marzo 37. Caligola salì al potere
con l'appoggio di tutti: Senato, esercito e popolo. Le ragioni di questa
approvazione sono varie: la sua giovane età (25 anni all'avvento), la popolarità del padre, la lunghezza del regno di Tiberio (23
anni), l'infanzia trascorsa negli accampamenti, la sfortuna della sua famiglia, la
parentela sia con Augusto che con Marco Antonio e la sua devozione verso i
familiari.
POLITICA
INTERNA - Si
pensava che Caligola avrebbe proseguito la politica del padre, Germanico, ma
non fu così. Il breve impero di Caligola fu caratterizzato da una serie di
massacri nei confronti degli oppositori interni e da atti che tendevano a una
continua umiliazione della classe senatoria. Caligola si comportava in modi
assai strani che lo identificavano come un "pazzo". Le fonti antiche
vedevano in lui un esempio di "pazzia sanguinaria". Infatti nominò,
secondo un tradizionale racconto, senatore il proprio cavallo. Altri racconti
attestano che aveva frequenti attacchi d'ira. Tacito racconta che durante un banchetto Caligola scoppiò a ridere
improvvisamente, un commensale che sedeva con lui gli chiese il motivo della
sua risata e Caligola rispose che stava pensando alla morte di quest'ultimo che in seguito fece uccidere.
Caligola adottò una politica di
assolutismo monarchico, voleva diventare un sovrano cui si rendevano onori
divini sul modello delle monarchie orientali ed in totale contrasto con le
tradizioni romane. Caligola assunse atteggiamenti autocratici e pretese che
gli venisse eretto un tempio. Egli si rese popolarissimo con elargizioni alla
plebe e costosi giochi circensi che dissestarono le finanze dello stato. Fu
vittima di un colpo di stato ordito dai pretoriani, nel 41 d.C., che diedero
fine al suo breve governo.
POLITICA
DI SICUREZZA - Il
nuovo imperatore per evitare problemi dinastici nominò Tiberio Gemello princeps
iuvenutis e lo adottò, nominandolo suo erede. Per evitare comunque che
Tiberio Gemello reclamasse ciò che gli spettava nel 38 lo fece uccidere o lo
indusse al suicidio. Stessa sorte toccò al prefetto del pretorio Macrone.
Probabilmente Caligola non si fidava più di determinati personaggi che
potevano, con il loro potere, carisma, denaro, eliminarlo. Più che crudeltà,
in questo caso, si può parlare di machiavellismo della politica di questo
giovine.
POLITICA
RELIGIOSA - Stando
alle fonti, Caligola, al culmine del suo regno, avrebbe voluto essere
proclamato Dio. Potrebbe trattarsi dell'ennesima manifestazione della sua follia, oppure di una subdola politica per
aumentare il suo potere presso i popoli ellenici, abituati da tempo a
considerare il loro sovrano una divinità. Insomma, il tentativo religioso di
un principe giovane di mantenere il potere con tutti i mezzi. Questo,
comunque, provocò molto scontento, soprattutto, presso quelle popolazioni che
già avevano problemi con la semplice autorità civile di Roma senza contare
quella religiosa, per esempio i Giudei, che scatenarono moti di rivolta.
POLITICA
ECONOMICA - Alla
morte di Tiberio nelle casse del fiscus romano c'erano 2.700.000.000 di sesterzi che Caligola spese in circa un anno. Alcune
delle spese sostenute dal nuovo imperatore furono inevitabili: elargizioni
varie al popolo, all'esercito, ai pretoriani e ai regni vassalli di Roma. Non bisogna dimenticare,
inoltre, che Caligola rispettò il testamento di Tiberio, nonostante fosse
stato annullato formalmente dal Senato, e diede quanto stabilito a tutti. Non
vanno dimenticati gli enormi banchetti e feste varie organizzate per tenere
buono e calmo il popolo. A tutto questo si aggiunsero, tuttavia, diverse
stravaganze, citate dagli storici contemporanei, come la stalla del suo
cavallo tutta in avorio e marmo, i 2 milioni di sesterzi donati ad un auriga e
il milione donato a Livio Geminio (che giurò di aver visto Drusilla salire in
cielo e conversare con gli dei). Va, inoltre, citata l'abolizione della tassa sulle compravendite. Anche allo scopo di migliorare la
situazione economica Caligola, come molti altri imperatori successivi,
espropriò il patrimonio di molti senatori accusandoli di tramare contro la
sua persona (accusa non sempre falsa).
CAMPO
GIUDIZIARIO - Diversi
furono gli atti interessanti di questo imperatore, l'abolizione, nel primo anno di governo, della legge di lesa maestà, una legge
molto odiata dai senatori, reintrodotta però nel 39. Interessante anche il
progetto, attuato nel 38 di restituire ai comizi e alle magistrature, almeno
formalmente, le antiche prerogative, con la conseguenza diretta che il popolo
eleggeva i magistrati. In generale si può dividere la politica giudiziaria di
questo imperatore in due periodi, il primo molto liberale, filo-popolare, nel
quale si cercava l'accordo con i senatori e il secondo nel quale il "princeps" faceva
di tutto per mantenere il potere.
REGNI
ALLEATI - Con
i regni alleati non seguì una stessa linea politica, si basò molto sulla
simpatia e sulla fiducia che ogni singolo sovrano era in grado di
trasmettergli. Esiliò Mitridate, re d'Armenia; mandò a morte Tolomeo, re della Mauritania, e ridusse il suo regno a
provincia; nominò re di Commagene, regione ridotta a provincia nel 18,
Antioco IV, al quale dette 100 milioni di sesterzi. Affidò regni anche ai 3
giovani principi traci che aveva incontrato in gioventù, a casa della nonna
Antonia: a Polemone darà il regno del Ponto e del Bosforo, a Rhoimetalkes metà
dell'antico regno di Tracia e a Kotys l'Armenia Minore.
Aiutò
in tutti i modi Erode Agrippa, al quale affidò, in un primo tempo, la
Palestina nord-occidentale, che dalla morte di Erode Filippo II (34) era sotto
il controllo diretto di Roma, successivamente anche i territori del tetrarca
di Galilea, Erode Antipa, accusato di volersi impadronire dei territori di
Erode Agrippa, che verrà prima esiliato e poi eliminato nel 40.
POLITICA
MILITARE - Caligola
aveva importanti ascendenti che si erano guadagnati la gloria con le imprese
belliche, è probabile, quindi, che fosse intenzionato a emulare le loro gesta
e nel caso a superarle. Se Druso maggiore e Germanico si erano concentrati
sulla Germania, egli per superare le loro gesta doveva, non solo conquistare
la stessa regione, ma varcare l'oceano e giungere in Britannia. Sarebbe stato il primo imperatore dopo le
campagne di Augusto in Spagna nel 26-25 a.C. a guidare un esercito in
battaglia.
Stando
a Svetonio egli fece leve in tutto l'impero e ammassò un ingente quantitativo di vettovagliamenti. Secondo Dione
Cassio egli arruolò per le sue imprese tra i 200 e i 250 mila uomini. Nel 39
Caligola represse una rivolta fra le sue truppe nell'alto Reno e marciò verso la costa settentrionale della Gallia, apparentemente
intenzionato ad invadere la Britannia. Invece, ordinò alle truppe di scendere
in acqua a cercare conchiglie, come ci racconta Svetonio; o più probabilmente
lasciò perdere una spedizione male preparata.
VITA
PRIVATA - Ebbe
quattro mogli: Giunia Claudilla, Livia Orestilla, Lollia Paolina, già sposata
a Publio Memmio Regolo ed, infine, Milonia Cesonia, dalla quale ebbe una
figlia che chiamò Giulia Drusilla in onore della sorella deceduta
MORTE -
Caligola
morì assassinato in una congiura di Pretoriani guidati da due tribuni, Cassio
Cherea e Cornelio Sabino, il 24 gennaio del 41. Insieme a lui persero la vita
sua moglie Milonia Cesonia e la loro figlia bambina, Giulia Drusilla, così
chiamata in ricordo della sorella di Caligola da lui divinizzata alla morte. A
lui succedette lo zio Claudio che, stando alle fonti, si era nascosto dietro
ad una tenda.
Claudio
Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (latino: Tiberius Claudius
Caesar Augustus Germanicus) (1 agosto 10 a.C. - 13 ottobre 54 d.C.), fu il
quarto imperatore romano (41-54 d.C.) della Dinastia Giulio-Claudia e il primo
a nascere fuori dall’Italia.
ORIGINI -
Nacque con il nome di “Tiberius Claudius Drusus” a Lugdunum
(attuale Lione), in Gallia. Fu il terzo figlio di Druso maggiore e Antonia
minore dopo Germanico e Livilla. Il padre era figlio della moglie di Augusto,
Livia, che, secondo Svetonio, lo aveva partorito 3 mesi dopo il suo matrimonio
con Augusto. La madre era figlia di Marco Antonio e Ottavia la sorella di
Augusto.
Si sposò quattro volte, prima
con Plauzia Urgulanilla, poi con Elia Petina, quindi con Valeria Messalina, da
lui fatta uccidere dieci anni più tardi. L'ultima moglie, sua nipote (di zio) Agrippina, figlia del fratello Germanico e
di Agrippina Maggiore. Con Messalina ebbe due figli: Britannico (39 - 55), che
potrebbe essere stato procreato da Caligola, e Ottavia (41 - 62), che sposò
il proprio fratellastro, figlio di Agrippina, l'Imperatore Nerone.
CLAUDIO
IMPERATORE - Claudio non era destinato a
diventare imperatore. I suoi problemi fisici (sembra che fosse balbuziente ed
epilettico) lo avevano spinto ad una attività di studio piuttosto che alla
ricerca del potere. È stato il solo studioso che abbia mai rivestito la
porpora. La sua balbuzie ed i suoi lamenti fecero sì che fosse risparmiato
durante le purghe che contrassegnarono i regni di Tiberio e Caligola.
Dopo l'assassinio di quest'ultimo, i pretoriani si trovarono di fronte al problema di trovare un membro
superstite della famiglia Giulio-Claudia da mettere sul trono. Molti di loro
erano stati assassinati da tempo, mentre Claudio era stato ignorato perché
non lo si considerava un contendente pericoloso. A trentuno anni nel 41 d.C. i
pretoriani costrinsero con la forza il Senato a riconoscere la sua nomina.
Nonostante i suoi difetti dimostrò capacità e temperamento e coprì il ruolo
meglio di altri. Morì, sembra, ad opera di Agrippina che lo avvelenò con un
piatto di funghi per affrettare la successione di suo figlio Nerone, adottato
da Claudio che l'aveva designato suo erede. Morto Claudio, Agrippina e Nerone si preoccuparono
di far sparire anche Britannico, figlio naturale di Claudio e aspirante al
trono; questo evento testimonia l'implicazione di Agrippina nella morte dell
'
imperatore.
CONQUISTE
ED INIZIATIVE POLITICHE - Riorganizzò le finanze dello
Stato istituendo la cassa imperiale (fiscus). Aprì agli esponenti
delle Gallie l’accesso alle magistrature. Iniziò la conquista della
Britannia nel 43 d.C.
Fondò Colonia dopo aver fermato gli sconfinamenti dei barbari sul Reno. Riunì
all’impero la Mauritania
OPERE
PUBBLICHE -
Costruì due acquedotti: l'acquedotto Claudio (Acqua Claudia), iniziato da Caligola, e l'Anio Novus che si incontrano entro Roma nella famosa Porta Maggiore. Ne
restaurò anche un terzo chiamato Aqua Virgo. Diede un grande impulso alla
costruzione di strade e canali in Italia e nelle province. Tra i tanti
progetti meritano una segnalazione un largo canale che univa il Reno al mare
ed una strada che collegava l’Italia alla Germania (entrambe opere iniziate
da suo padre).
Vicino Roma costruì un canale
navigabile sul Tevere che terminava a Portus, il nuovo porto a Nord di Ostia.
Il porto era costruito a due moli a forma di semicerchio ed all’imboccatura
era posto un faro che divenne il simbolo della città stessa.
Volendo incrementare la
superficie coltivabile, iniziò la colossale opera di prosciugamento del lago
del Fucino. Il piano fu un fallimento perché il canale costruito non era
largo a sufficienza. Altri imperatori si cimentarono con questa impresa che
ebbe però termine solo nel diciannovesimo secolo grazie ai Torlonia che
ingrandirono il tunnel scavato da Claudio tre volte la sua dimensione
originale.
Nerone
Tiberio Claudio Nerone Domiziano Cesare (Anzio, 15 dicembre 37 - 6 giugno
68), nato Lucio Domizio Enobarbo fu Imperatore Romano dal 54 al 68.
Il 15 dicembre 37, nacque ad
Anzio, da Agrippina Minore e Gneo Domizio Enobarbo. Il padre apparteneva alla
famiglia dei Domizi-Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà
plebea" (ovvero recente) e così chiamata per il colore bronzeo della
barba e dei capelli. La madre, invece, era figlia di Germanico e sorella dell'imperatore Caligola.
Nel 39 Agrippina venne mandata
in esilio dal fratello, che la sospettava di congiurare contro di lui. L'anno seguente morì il padre Gneo, il cui patrimonio venne confiscato da
Caligola. Lucio venne affidato alla zia Domizia Lepida ed alle nutrici Egogle
e Alessandra. Le fonti antiche riportano che i suoi primi precettori erano
stati un barbiere ed un ballerino, dal quale Lucio avrebbe imparato l'amore per la danza e per lo spettacolo.
Nel 41 Caligola viene
assassinato e Agrippina poté tornare ad occuparsi del figlio. Lucio venne
affidato a due liberti greci (Aniceto e Berillo) per poi proseguire gli studi
con due sapienti dell'epoca: Cheremone d'Alessandria e Alessandro di Ege, dai quali il giovane
allievo derivò il proprio filoellenismo. Nel 49 Agrippina sposò l'imperatore
Claudio, suo zio. Ottenne la revoca dell'esilio per Seneca, che divenne il
nuovo precettore del figlio. Domizia Lepida venne condannata a morte con
l'accusa di complottare contro Claudio e il giovane Lucio dovette testimoniare
a suo sfavore durante il processo.
Agrippina ottenne ancora il
fidanzamento tra Lucio e la figlia che Claudio aveva avuto da Messalina,
Ottavia, dopo che il precedente fidanzato, il patrizio Lucio Silano, accusato
d'incesto, era stato costretto al suicidio.
Nel 50 Claudio adottò Lucio,
che assume il nome di Nerone e nel 53 il quindicenne Nerone sposò l'ormai undicenne Ottavia e pronunziò i suoi primi discorsi pubblici (scritti
da Seneca e corretti dalla madre), in latino e greco.
Nel 54 morì Claudio, e alcune
fonti sospettarono che la morte fosse stata causata da Agrippina, che avrebbe
avvelenato il marito con un piatto di funghi. A Claudio successe il figlio
adottivo Nerone.
NERONE
IMPERATORE - Dopo la salita di Nerone al
potere nel 55, Britannico, figlio legittimo di Claudio, sarebbe stato fatto
uccidere per volere di Sesto Afranio Burro, prefetto del Pretorio, forse con
il coinvolgimento di Seneca, e entrambi i personaggi rimpiazzarono Agrippina
nella sua influenza sul giovane imperatore.
Il primo scandalo del regno di
Nerone coincise col suo primo matrimonio, considerato incestuoso, con la
sorellastra Claudia Ottavia, figlia di Claudio; Nerone più tardi divorziò da
lei quando s'innamorò di Poppea. Nel 58 Poppea divenne moglie di Nerone ed fu in seguito
sospettata d'aver organizzato nel 59 l'omicidio di Agrippina.
Nel 62 Burro morì e Seneca si
ritirò; la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino (già
esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina). Contemporaneamente vennero
introdotte una serie di leggi sul tradimento, che provocarono l'esecuzione di numerose condanne capitali.
Nel 63 Nerone e Poppea ebbero
una figlia, che tuttavia morì ancora in fasce.
L'INCENDIO
DI ROMA - Allo scoppio del Grande
incendio di Roma del 64, l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure. Sebbene avesse organizzato in
modo efficiente i soccorsi, venne accusato di aver provocato egli stesso l'incendio, di cui furono quindi incolpati i Cristiani. La questione è tuttavia
ancora controversa, sebbene l'immagine dell'imperatore che suonava la lira mentre Roma bruciava è ormai ampliamente
superata. Anzi sembra che addirittura aprì i sui giardini per dar scampo alla
popolazione e che partecipò egli stesso allo spegnimento. Per la
ricostruzione l'imperatore dettò nuove regole edilizie.
Nel 65 Nerone fu coinvolto in
un altro scandalo, dovuto al fatto che fosse considerato sconveniente per un
Imperatore dare spettacolo recitando, cantando e suonando la lira.
Nel 65 venne scoperta la
congiura pisoniana (così chiamata da Caio Calpurnio Pisone) e i cospiratori,
tra cui anche Seneca, vennero costretti al suicidio. La stessa sorte toccò
anche Gneo Domizio Corbulo. In quel periodo, poi, secondo la tradizione
cristiana, ordinò anche la decapitazione di San Paolo e, più tardi la
crocifissione di San Pietro.
Nel 66, morì Poppea, che
secondo le fonti sarebbe stata uccisa da un calcio al ventre dello stesso
Nerone durante una lite mentre era in attesa del suo secondogenito.
L'anno successivo, nel 67, l'imperatore viaggiò fra le isole della Grecia, a bordo di una lussuosa galea
sulla quale divertiva gli ospiti con prestazioni artistiche, mentre a Roma,
Ninfidio andava procurandosi il consenso di pretoriani e senatori.
Prima di lasciare la Grecia,
annunciò personalmente, ponendosi al centro dello stadio d'Istmia, presso Corinto, prima della celebrazione dei giochi panellenici, la
decisione di restituire la libertà alle poleis, eliminando il governo
provinciale di Roma.
Caio Giulio Vindex governatore
della Gallia Lugdunense, si ribellò dopo il ritorno dell'imperatore a Roma, e questo spinse Nerone ad una nuova ondata repressiva: fra
gli altri ordinò il suicidio al generale Servio Sulpicio Galba, allora
governatore nelle province ispaniche: questi, privo di altre alternative,
dichiarò la sua fedeltà al Senato ed al popolo romano, non riconoscendo più
l'autorità di Nerone. Si ribellò quindi anche Lucio Clodio Macero, comandante
della III legione Augusta in Africa, bloccando l'afflusso di grano verso Roma. Nimfidio corruppe i pretoriani, che si
ribellarono a loro volta a Nerone, con la promessa di somme di denaro da parte
di Galba. Infine il Senato lo depose e Nerone si suicidò il 6 giugno 68.
Colla sua morte terminò la dinastia Giulio-Claudia.
CRITICA STORICA - L'immagine di Nerone ci è stata tramandata dai resoconti degli storici
contemporanei in modo del tutto negativo: ciò è dovuto in larga parte alla
politica condotta dall
'
imperatore, che si appoggiò ai ceti popolari in opposizione alla classe
senatoriale, alla quale gli storici dell
'
epoca appartenevano per la maggior parte.
L'immagine negativa venne quindi tramandata anche dagli storici cristiani, in
quanto Nerone sarebbe stato l'autore della prima persecuzione contro i cristiani. Addirittura si ritenne che
Nerone fosse l'anticristo in quanto la somma del valore numerico delle lettere che compongono
le parole "Cesare Nerone" in lingua ebraica è 666, il numero della
Bestia di Satana.
Contrariamente alla
storiografia ufficiale il popolino della città continuò a tributargli una
sorta di spontaneo culto popolare fino al XII secolo, quando papa Pasquale II
interruppe la tradizione di portar fiori al mausoleo dei Domizi-Enobarbi
(ritenuto, sebbene erroneamente, la tomba di Nerone) nei primi giorni di
giugno, facendone demolire i resti.