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PATRIMONIO DELL'UMANITÀ DAL 1980-1990
 

 

  

Età imperiale

L'Impero romano fu lo Stato romano consolidatosi nell'area euro-mediterranea tra il I secolo a.C. e il XV secolo; l'epoca tratta il periodo che va dalla sua fondazione, generalmente indicato con il 27 a.C. (primo anno del principato di Augusto) e il 395, quando dopo la morte di Teodosio I, l'Impero fu suddiviso dal punto di vista amministrativo ma non politico in una pars occidentalis e in una pars orientalis. L'Impero romano d'Occidente si fa terminare per convenzione nel 476, anno in cui Odoacre depone l'ultimo imperatore, Romolo Augusto, mentre l'Impero romano d'Oriente (indicato talvolta come Impero bizantino nella sua fase medievale) si protrarrà fino alla conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani, nel 1453.

Nella sua massima espansione, l'Impero si estendeva, in tutto o in parte, sui territori degli odierni Stati di: Portogallo, Spagna, Andorra, Francia, Monaco, Belgio, Paesi Bassi (regioni meridionali), Regno Unito (InghilterraGalles, parte della Scozia), Lussemburgo, Germania (regioni meridionali e occidentali), SvizzeraAustriaLiechtensteinSlovacchia (piccola parte), Ungheria, ItaliaVaticanoSan MarinoMaltaSloveniaCroaziaBosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia del Nord, Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Ucraina (parte costiera sud-occidentale con Isola dei Serpenti e Podolia), Turchia, Russia, Cipro, Siria, Libano, Iraq, Armenia, Georgia, Iran, Azerbajian, Israele, Giordania, Palestina, Egitto, Sudan (piccola parte e per limitato periodo di tempo), LibiaTunisiaAlgeriaMarocco e Arabia Saudita (piccola parte). In totale, 52 dei 196 Stati riconosciuti nel mondo, più 3 parzialmente riconosciuti, più di ogni altro impero del mondo antico. Si espandeva su tre diversi continenti: Europa, Africa e Asia.

Nel 117 sotto Traiano ricopriva un'area di 5,0 milioni di km2, conteggiando anche gli Stati vassalli e i regni clienti. L'esatta misura della superficie governata da questo potente impero in realtà non è certa, a causa della mancanza di dati precisi, di dispute territoriali e della presenza di stati clienti il cui rapporto nei confronti di Roma non è sempre chiaro.

Pur non essendo il più vasto Stato dell’antichità, spettando tali primati all'impero achemenidecinese e Xiongnu, quello di Roma è considerato il più grande per gestione e qualità del territorio, organizzazione socio-politica, e per l'importante eredità lasciata nella storia dell'umanità. In tutti i territori sui quali estesero i propri confini i Romani costruirono città, strade, ponti, acquedotti, fortificazioni, esportando ovunque il loro modello di civiltà e al contempo assimilando le popolazioni e civiltà assoggettate, in un processo così profondo che per secoli ancora dopo la fine dell'impero queste genti continuarono a definirsi romane. La civiltà nata sulle rive del Tevere, cresciuta e diffusasi in epoca repubblicana ed infine sviluppatasi pienamente in età imperiale, è essenziale componente della civiltà occidentale.

DEFINIZIONE E CONCETTO DI IMPERO ROMANO - Le due date indicate come inizio (27 a.C.) e fine (395) convenzionali di un Impero romano unitario, come spesso accade nelle definizioni dei periodi storici, sono puramente arbitrarie. In particolare per tre ragioni: sia perché non vi fu mai una vera e propria fine formale della Res publica Romana, le cui istituzioni non furono mai abolite, ma semplicemente persero il potere effettivo a vantaggio dell'imperatore; sia perché nei 422 anni tra esse compresi si alternarono due fasi caratterizzate da forme di organizzazione e legittimazione del potere imperiale profondamente diverse, il Principato e il Dominato; sia perché anche dopo la divisione dell'impero le due parti continuarono a sopravvivere, l'una sino alla deposizione dell'ultimo Cesare d'Occidente Romolo Augusto nel 476 (o più precisamente fino al 480, anno della morte del suo predecessore, Giulio Nepote, che si considerava ancora imperatore), l'altra perpetuandosi per ancora un millennio in quell'entità nota come Impero bizantino. L'anno 476 è stato inoltre convenzionalmente considerato come data di passaggio tra età antica e Medioevo.

Se per alcuni - e in parte per gli stessi antichi - già l'assunzione nel 49 a.C. della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare può segnare la fine della Repubblica e l'inizio di una nuova forma di governo (tanto che il nome stesso di caesar divenne titolo e sinonimo di imperatore), è anche vero che per essi l'impero di Roma esisteva già da tempo, da quando cioè la città repubblicana aveva iniziato a legare a sé i territori conquistati sotto forma di province, estendendo su di esse il proprio imperium, cioè l'autorità politico-militare dei propri magistrati (ciò accadde a partire dalla Sicilia, nel 241 a.C.).

Il 31 a.C. invece (anno in cui la flotta romana comandata dal generale Marco Vipsanio Agrippa sconfisse quella egiziana guidata da Marco Antonio e Cleopatra presso Azio, in Grecia, segnando la fine del secondo triumvirato e la definitiva sconfitta dell'unico vero avversario di Ottaviano per il predominio a Roma) rappresenta l'inizio effettivo del potere di Augusto, ponendo infatti fine a quella lunga serie di guerre civili che avevano segnato nell'ultimo secolo la crisi della Repubblica. In breve tempo, Ottaviano divenne arbitro e padrone dello Stato: inaugurò nel 27 a.C. la definitiva forma del suo principato e governò pur senza detenere nessuna carica, con una formula di primus inter pares, pater patriae (nel 2 a.C.), princeps e, soprattutto, augustus, titolo onorifico conferitogli in quell'anno dal Senato, per indicare il carattere sacrale e propiziatorio della sua persona. È vero anche che Augusto ebbe pieni poteri solo nel 12 a.C., quando divenne pontefice massimo. Durante l'anarchia militare infatti, quando alla guida di Roma c'erano due imperatori, quello che aveva più potere era quello che ricopriva anche la carica di pontefice massimo.

In realtà, però, la denominazione di imperium ha un senso più generale di quello a noi familiare: è Tito Flavio Vespasiano il primo ad assumere la carica formale di Imperator. Prima di Vespasiano, il titolo di Imperator era attribuito semplicemente al comandante in capo dell'esercito romano, che doveva essere acclamato come tale dalle sue truppe sul campo, solo in quel caso era imperator e deteneva il diritto ad inoltrare richiesta di trionfo al Senato che era libero di accordargliela o rifiutargliela. Ottaviano, del resto, rispettò formalmente le istituzioni repubblicane, ricoprendo diverse cariche negli anni che lo portarono comunque ad ottenere un potere tale, che nessun altro uomo prima di lui a Roma aveva mai ottenuto.

La vita politica, economica e sociale durante i primi secoli dell'Impero gravitava attorno all'Urbe. Roma era la sede dell'autorità imperiale e dell'amministrazione, principale luogo di scambio commerciale tra Oriente ed Occidente oltre ad essere di gran lunga la più popolata città del mondo antico con circa un milione di abitanti; per questo migliaia di persone affluivano quotidianamente nella capitale via mare e via terra, arricchendola di artisti e letterati provenienti da tutte le regioni dell'Impero.

Esisteva una netta differenza tra il vivere a Roma o nelle province: gli abitanti della capitale godevano di privilegi ed elargizioni, mentre il peso fiscale si riversava più pesantemente sulle province. Anche tra città e campagna, ovviamente tenendo conto del ceto sociale, la qualità di vita era migliore e più agiata per i cittadini, che usufruivano di servizi pubblici come terme, acquedotti, teatri e circhi.

Dall'epoca di DioclezianoRoma perse il suo ruolo di sede imperiale a favore di altre città (Milano, Treviri, Nicomedia e Sirmio), restando, però, capitale dell'Impero, fino a quando, nel corso del V secolo, si andò sempre più imponendo Costantinopoli (la Nova Roma voluta da Costantino), anche grazie ai mutati rapporti di forza tra un Oriente ancora prospero e un Occidente in balia delle orde barbariche e sempre più prostrato dalla crisi economica, politica e demografica.

Dopo la crisi che paralizzò l'Impero nei decenni centrali del III secolo, le frontiere si fecero più sicure a partire dal regno di Diocleziano (284-305), il quale introdusse profonde riforme nell'amministrazione e nell'esercito. 

L'Impero poté così vivere ancora un periodo di relativa stabilità fino almeno alla battaglia di Adrianopoli (378) e, in Occidente, fino ai primi anni del V secolo, quando si produsse una prima, pericolosa incursione da parte dei Visigoti di Alarico I (401-402) cui seguirono altre che culminarono nel celebre sacco di Roma del 410, avvertito dai contemporanei (san Girolamo, sant'Agostino d'Ippona) come un avvenimento epocale e, da alcuni, come la fine del mondo. Gli ultimi decenni di vita dell'Impero romano d'Occidente (quello d'Oriente sopravviverà, come si è detto, per un altro millennio) furono vissuti in un clima apocalittico di morte e di miseria dalla popolazione di molte regioni dell'Impero, falcidiata da guerre, carestie ed epidemie. La conseguenza finale fu la caduta della stessa struttura imperiale.  

L'età di Augusto rappresentò un momento di svolta nella storia di Roma e il definitivo passaggio dal periodo repubblicano al principato. La rivoluzione dal vecchio al nuovo sistema politico contrassegnò anche la sfera economica, militare, giuridica, amminitrativa e culturale.

Quando infatti la Repubblica romana (509 a.C. - 31 a.C.) era ormai preda di una crisi istituzionale irreversibile, Gaio Giulio Cesare Ottaviano, pronipote di Giulio Cesare e da lui adottato, rafforzò la sua posizione con la sconfitta del suo unico rivale per il potere, Marco Antonio, nella battaglia di Azio. Anni di guerra civile avevano lasciato Roma quasi senza legge. Essa, tuttavia, non era ancora del tutto disposta ad accettare il controllo di un despota.

Ottaviano agì astutamente. Per prima cosa sciolse il suo esercito ed indisse le elezioni. Ottenne, in tal modo, la prestigiosa carica di console. Nel 27 a.C., restituì ufficialmente il potere al Senato di Roma, e si offrì di rinunciare alla sua personale supremazia militare ed egemonia sull'Egitto. Non solo il Senato respinse la proposta, ma gli fu anche dato il controllo della Spagna, della Gallia e della Siria. Poco dopo, il Senato gli concesse anche l'appellativo di "Augusto".

Augusto sapeva che il potere necessario per un governo assoluto non sarebbe derivato né dalla dittatura, messa fuori legge da Antonio nel 44 a.C., né dal consolato

Nel 23 a.C. rinunciò a questa carica, ma si assicurò il controllo effettivo, assumendo alcune "prerogative" legate alle antiche magistrature repubblicane. Gli fu, innanzitutto, garantita a vita la tribunicia potestas, legata in origine alla magistratura dei tribuni della plebe, che gli permetteva di convocare il Senato, di decidere, porre questioni avanti ad esso, porre il veto alle decisioni di tutte le magistrature repubblicane e di fruire della sacrale inviolabilità della propria persona.

Ricevette, inoltre, l'imperium proconsolare maximo, ossia il comando supremo su tutte le milizie in tutte le provincie (questa era una delle prerogativa del proconsole nella regione di sua competenza). Il conferimento da parte del Senato di queste due prerogative gli dava autorità suprema in tutte le questioni riguardanti il governo del territorio. 

Il 27 a.C. e il 23 a.C. segnano le principali tappe di questa vera e propria riforma costituzionale, con la quale si considera che Augusto assumesse concretamente i poteri propri di imperatore di Roma. Egli tuttavia fu solito usare titoli quali "Principe" o "Primo Cittadino".

Con i nuovi poteri che gli erano stati conferiti, Augusto riorganizzò l'amministrazione dell'Impero negli oltre quarant'anni di principato, introducendo riforme d'importanza cruciale per i successivi tre secoli:

- riformò il cursus honorum di tutte le principali magistrature romane, ricostruendo la nuova classe politica e aristocratica, e formando una nuova classe dinastica;

- riordinò il nuovo sistema amministrativo provinciale anche grazie alla creazione di numerose colonie e municipi che favorirono la romanizzazione dell'intero bacino del Mediterraneo;

- riorganizzò le forze armate di terra (con l'introduzione di milizie specializzate per la difesa e la sicurezza dell'Urbe, come le coorti urbane, i vigiles e la guardia pretoriana) e di mare (con la formazione di nuove flotte in Italia e nelle provincie);

- riformò il sistema di difese dei confini imperiali, acquartierando in modo permanente legioni e auxilia in fortezze e forti lungo l'intero limes;

- fece di Roma una città monumentale con la costruzione di numerosi nuovi edifici, avvalendosi di un collaboratore come Marco Vipsanio Agrippa;

- favorì la rinascita economica e il commercio, grazie alla pacificazione dell'intera area mediterranea, alla costruzione di porti, strade, ponti e ad un piano di conquiste territoriali senza precedenti, che portarono all'erario romano immense e insperate risorse (basti pensare al tesoro tolemaico o al grano egiziano, alle miniere d'oro dei Cantabri o quelle d'argento dell'Illirico);

- promosse una politica sociale più equa verso le classi meno abbienti, con continuative elargizioni di grano e la costruzione di nuove opere di pubblica utilità (come terme, acquedotti e fori);

- diede nuovo impulso alla cultura, grazie anche all'aiuto di Mecenate.

- introdusse una serie di leggi a protezione della famiglia e del mos maiorum chiamate Leges Iuliae.

- riordinò il sistema monetario (23-15 a.C.), che rimase praticamente immutato per due secoli.

Fu un maestro nell'arte della propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come OrazioLivio e soprattutto Virgilio. La celebrazione di giochi ed eventi speciali rafforzavano la sua popolarità.

Il controllo assoluto dello Stato gli permise di indicare il suo successore, nonostante il formale rispetto della forma repubblicana. Inizialmente si rivolse al nipote Marco Claudio Marcello, figlio della sorella Ottavia, al quale diede in sposa la figlia Giulia maggiore. Marcello morì tuttavia nel 23 a.C.: alcuni degli storici successivi ventilarono l'ipotesi, probabilmente infondata, che fosse stato avvelenato da Livia Drusilla, moglie di Augusto.

Augusto maritò quindi la figlia alla sua "mano destra", Agrippa. Da questa unione nacquero tre figli: Caio CesareLucio Cesare e Postumo (così chiamato perché nato dopo la morte del padre). I due maggiori furono adottati dal nonno con l'intento di farne i suoi successori, ma morirono anch'essi in giovane età. Augusto mostrò anche favore per i suoi figliastri (figli del primo matrimonio di Livia) Tiberio e Druso, che conquistarono a suo nome nuovi territori nel nord.

Dopo la morte di Agrippa nel 12 a.C., il figlio di Livia, Tiberio, divorziò dalla prima moglie, figlia di Agrippa e ne sposò la vedova, Giulia. Tiberio fu chiamato a dividere con l'imperatore la tribunicia potestas, che era fondamento del potere imperiale, ma poco dopo si ritirò in esilio volontario a Rodi. Dopo la morte precoce di Caio e Lucio nel 4 e 2 a.C. rispettivamente, e la precedente morte del fratello Druso maggiore (9 a.C.), Tiberio fu richiamato a Roma e venne adottato da Augusto, che lo designava in tal modo proprio erede.

Il 9 agosto 14Augusto morì. Poco dopo il Senato decretò il suo inserimento fra gli dei di Roma. Postumo Agrippa e Tiberio erano stati nominati coeredi. Tuttavia Postumo era stato esiliato e venne ben presto ucciso. Si ignora chi avesse ordinato la sua morte, ma Tiberio ebbe la via libera per assumere lo stesso potere che aveva avuto il padre adottivo.

ROMA AUGUSTEA - Il maggiore sviluppo urbanistico e monumentale si ebbe nell'età imperiale. Con Augusto la città, subì una radicale trasformazione urbanistica. Augusto si poteva vantare di aver trovata una Roma "di terracotta" e di averla lasciata "di marmo". In effetti fu in quest'epoca che Roma assunse l'aspetto simile a quello delle più importanti città ellenistiche. Roma che aveva ormai una popolazione di circa un milione di abitanti venne divisa in 14 regioni (a loro volta suddivisi in vici, quartieri), i cui nomi tuttora si perpetuano nella forma contratta di "rioni". Furono inizialmente contrassegnate solo da un numero, ma successivamente ciascuna ebbe anche un suo nome, dato probabilmente dall'uso. Le regioni erano a loro volta suddivise in vici, ossia singoli quartieri. E sempre sotto Augusto venne istituito il corpo dei vigiles, con compiti di vigili del fuoco e polizia urbana, e vennero delimitate le rive e l'alveo del Tevere, con la creazione di nuovi acquedotti. Oltre a ciò, onde evitare i danni dei frequenti incendi, sempre Augusto intervenne riducendo l'altezza delle nuove costruzioni, proibendo di edificare lungo le vie pubbliche a un'altezza superiore ai 70 piedi.

Si completarono alcuni degli interventi di Cesare e si avviarono nuovi grandi progetti urbanistici, che sebbene non avessero la grandiosità e la radicalità di quelli cesariani, si raccordarono direttamente a essi, a partire dalla costruzione di un nuovo Foro, quello di Augusto, e dalla regolarizzazione della piazza del Foro Romano con la costruzione del tempio del Divo Giulio e della basilica Giulia e il rifacimento della basilica Emilia. L'antica sede della vita politica cittadina diventava così una piazza monumentale acquistando il suo aspetto definitivo.

Con l'aiuto di Agrippa, suo amico e consigliere, Augusto si occupò anche della sistemazione del Campo Marzio, che si andò arricchendo di edifici pubblici e monumenti. Nella zona più periferica venne costruito il suo mausoleo al quale erano inoltre simbolicamente collegati un grande orologio solare, che usava un obelisco come gnomone, e l'Ara Pacis. Le Terme di Agrippa furono le prime terme pubbliche della città.

Nell'area del Circo Flaminio venne costruito il teatro dedicato al nipote Marcello, in prossimità del ricostruito Portico di Ottavia, dedicato in nome della sorella Ottavia, madre di Marcello, e del tempio di Apollo Sosiano. A queste opere va aggiunto un teatro, le biblioteche aperte al pubblico e il restauro o la costruzione di ben 82 santuari: Augusto affermò di aver trovato una città di mattoni e di lasciarla di marmo. Strabone, che scriveva al tempo di Augusto-Tiberio, sosteneva vi fosse la necessità della costruzione di una seconda cerchia di mura, poiché quelle serviane non erano più sufficienti a contenere la città del suo tempo.

La monumentalizzazione della città proseguì sotto i successori di Augusto. Nel 64, sotto il regno di Nerone uno spaventoso incendio quasi rase al suolo l'intera città, distruggendo interamente tre delle zone augustee e danneggiandone gravemente sette, lasciandone integre solo quattro. Per favorire un'ordinata ricostruzione e impedire le condizioni che favorivano il diffondersi degli incendi, Nerone dettò nuove e lungimiranti regole edilizie, destinate a frenare gli eccessi della speculazione e tracciare un nuovo impianto urbanistico, sul quale è tuttora fondata la città. Venne così emanato un nuovo piano regolatore, attuato però solo in parte, come riporta Tacito, tramite la realizzazione di strade più larghe, affiancate da portici, senza pareti in comune tra gli edifici, di altezza limitata e con un uso quasi bandito di materiali infiammabili, sostituiti da pietra e mattoni. Vennero aperte nuove piazze, le strade divennero più ampie e fiancheggiate da portici, le abitazioni vennero ricostruite di altezza più limitata.

Approfittando della distruzione, Nerone costruì la sua Domus Aurea, che occupò gli spazi compresi tra CelioEsquilino (Oppio) e Palatino con un'enorme villa, segno tangibile delle mire autocratiche dell'imperatore. Altri edifici pubblici neroniani furono il mercato del Celio (Macellum Magnum) e le Terme di Nerone del Campo Marzio, la cui pianta regolare e simmetrica fece da modello per tutti gli edifici termali futuri, inaugurando la tipologia di terme "imperiali".

Dopo la morte di Nerone, gli imperatori flavi, restituirono a uso pubblico parte degli spazi occupati dalla sua residenza, costruendo le terme di Tito sul colle Oppio (forse adattate dalle terme private di Nerone), restituendo il tempio del Divo Claudio, già trasformato in ninfeo, e innalzando il Colosseo, sul sito del lago artificiale dei giardini. Venne tenuto per uso privato solo il breve settore della Domus Titi.

Lo sviluppo architettonico nell'età flavia ebbe un'importanza fondamentale per la messa in opera di tecniche nuove, capaci di portare a un ulteriore sviluppo delle articolazioni spaziali. Già al tempo di Nerone vennero sperimentate nuove soluzioni, come la sala ottagonale della Domus Aurea, influenzata da modelli siriaci a base poligonale. Ma è soprattutto in questo periodo che si diffondono l'uso della cupola emisferica (Domus Transitoria e Domus Aurea), lo sviluppo delle volte a crociera (Colosseo), l'utilizzo di nervature con archi in laterizio in serie e lo sviluppo delle volte a botte, che arrivano a raggiungere i 33 metri di diametro nel vestibolo domizianeo del Foro Romano.

E sempre sotto i Flavi ebbero luogo altri incendi, come l'incendio del Campidoglio del 69 e quello del Campo Marzio e Campidoglio dell'80. Nel 73 Vespasiano e Tito si presero una magistratura repubblicana ormai quasi dimenticata, quella di censore, con l'obiettivo di ampliare il pomerium (il confine sacro della città) e di iniziare una generale ristrutturazione urbanistica.

Individuati poi nuovi punti focali oltre alle già consolidate zone dei Fori imperiali e del Campo Marzio, si intraprese la monumentalizzazione anche del colle Palatino (primo nucleo arcaico di Roma, già area di residenze patrizie repubblicane), destinato a divenire la zona per le residenze degli imperatori ("Domus Flavia" e "Domus Augustana").

Domiziano proseguì l'opera dei suoi predecessori, ricostruendo integralmente, dopo l'incendio dell'80 il Campidoglio e il Campo Marzio. Tra i nuovi edifici fece costruire il Foro Transitorio (poi inaugurato da Nerva, dal quale prese anche il nome), l'arco di Tito, il Tempio di Vespasiano e Tito, lo Stadio di Domiziano, oggi ricalcato da piazza Navona, l'Odeon di Domiziano e la Porticus Divorum.

Sotto Traiano si registrò la massima espansione dell'Impero romano e entro il II secolo Roma raggiunse la massima espansione demografica. L'imperatore completò la serie dei Fori Imperiali con la grande piazza del Foro di Traiano (il foro imperiale più grande, che dovette richiedere la distruzione di numerosi edifici tra Quirinale e Campidoglio, come il venerando Atrium Libertatis), nel quale venne collocata la celebre Colonna coclide e il contiguo complesso dei Mercati di Traiano. Vennero inoltre costruite le terme sul colle Oppio, le prime nelle quali si riscontra definitivamente il tipo che venne poi ripreso dalle terme di Caracalla e di Diocleziano.

Ad Adriano e Antonino Pio si deve il picco dell'attività edilizia. Dal 123 si registra l'uso di indicare sul mattoni la data consolare, segno di un'attività delle fornaci particolarmente intensa. Ad Adriano e ai suoi immediati successori si devono il Pantheon nel suo attuale aspetto e la costruzione di un Mausoleo, oggi trasformato in Castel Sant'Angelo, il tempio di Adriano, inserito più tardi nel palazzo della Borsa, il tempio di Antonino e Faustina nel Foro Romano, la Colonna antonina, dedicata a Antonino Pio e Faustina. La Villa Adriana fu una vera e propria reggia suburbana. Ma ancora più importante fu la costruzione di interi quartieri con insulae a più piani, come nella VII regione a est della Via Lata: l'idea dell'aspetto di queste zone si può avere dagli scavi di Ostia antica, presso l'antico porto di Roma.

Dopo l'incendio del 191, sotto Commodo, iniziò una nuova fase di lavori, curati dalla dinastia dei Severi: fu ricostruito il Tempio della Pace, gli Horrea Piperiana, il Portico di Ottavia; si aggiunse un'ala al palazzo imperiale sul Palatino, con una nuova facciata monumentale verso la Via Appia, il Settizonio; furono innalzati l'arco di Settimio Severo e le terme di Caracalla, l'edificio più imponente e tra i meglio conservati della Roma imperiale. Sempre all'epoca di Caracalla venne costruito quello che forse era il tempio più grandioso della città, il Serapeo sul Quirinale. La pianta marmorea incisa sotto Settimio Severo su un muro del Tempio della Pace e in parte pervenutaci dà una rappresentazione planimetrica della Roma di quegli anni.

Nel corso del III secolo, quando per la grande crisi politica e militare gli imperatori non furono quasi mai presenti nella capitale dell'impero, l'attività edilizia rallentò fino ad arrestarsi quasi del tutto. Sintomo del declino fu la fine dell'uso di bollare i mattoni con la data consolare, dalla morte di Caracalla con una parentesi di breve ripresa durante il regno di Diocleziano. Tra gli edifici costruiti nel II secolo ci furono il Tempio di Eliogabalo, sul Palatino, e il Tempio del Sole sul Campo Marzio, voluto da Aureliano. L'opera più importante fu tuttavia la costruzione delle mura aureliane, chiara testimonianza dei tempi, volute dall'imperatore Aureliano a partire dal 272: dopo secoli infatti si temeva nuovamente per la sicurezza della città, segno di una consapevole debolezza militare. Le mura furono successivamente rialzate e rafforzate più volte fino a raggiungere l'attuale e monumentale aspetto.

Nel periodo augusteo e successivo, si nota un irrobustirsi di tutti quegli edifici privi dell'influenza del tempio greco: archi trionfali, terme, anfiteatri o lo stesso mausoleo di Augusto a Roma. Nell'arco partico del Foro Romano, eretto da Augusto verso il 20 a.C. si vede la nascita dell'arco a tre fornici, anche se la suddivisione risponde a passaggio di due marciapiedi laterali, se le parti laterali non sono ancora unite in un unico complesso formale e vi si riscontrano elementi locali (l'arco centrale) e ellenistici (le edicole). 

Risalgono a questo periodo i più spettacolari edifici per gli spettacoli come il teatro di Marcello (11 a.C.). Il gusto scenografico ellenistico venne assimilato dagli architetti romani e sviluppato ulteriormente, portando l'architettura a nuovi vertici in maniera più rilevante e precoce delle altre arti. Numerosi altri edifici furono poi costruiti o restaurati durante il suo principato:

- la ristrutturazione della Curia (sede del senato) e del Tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, dove depose un bottino composto da sedicimila libbre d'oro, con pietre preziose e perle per un valore di cinquanta milioni di sesterzi;

- la costruzione di un nuovo foro accanto a quello di Gaio Giulio Cesare (il Foro di Augusto), che includeva anche il tempio di Marte Ultore;

- numerosi nuovi templi, come quelli dedicati ad Apollo sul Palatino (con la vicina biblioteca Apollinis, greca e latina) e al padre adottivo, il Divo Giulio, oltre al Pantheon costruito tra il 27-25 a.C.), al Teatro di Marcello (terminato nell'11 a.C.), alle Terme di Agrippa, agli acquedotti Aqua Iulia (costruito da Marco Vipsanio Agrippa nel 33 a.C.), Aqua Virgo (del 19 a.C.) e Aqua Alsietina (del 2 a.C.), ad un nuovo ponte sul Tevere fatto costruire da Agrippa;

- la ricostruzione della Basilica Giulia (dedicata ai nipoti Gaio e Lucio) nel 12 d.C., ora ampliata dopo un incendio;

- alcuni portici, uno dedicato alla moglie Livia ed un secondo alla sorella Ottavia;

- il permesso di costruire a privati, come il primo anfiteatro in pietra a Statilio Tauro, il Teatro di Balbo, il Tempio di Ercole delle Muse a Lucio Marcio Filippo, il tempio di Diana a Lucio Cornificio, l'atrio delle libertà a Gaio Asinio Pollione e il tempio di Saturno a Lucio Munazio Planco;

- i monumenti celebrativi come l'Ara Pacis (a fianco dell'immensa meridiana del campo Marzio), un arco trionfale nel Foro romano, un altro arco trionfale dedicato ai nipoti Gaio e Lucio Cesari, i rostri apposti nel Foro romano dopo la vittoria su Marco Antonio nella battaglia di Azio, un Mausoleo, due enormi obelischi egiziani;

- il tempio di Giove Tonante sul Campidoglio;

- un luogo adatto per le battaglie navali, scavando il terreno nei pressi del Tevere (Naumachia Augusti), dove ora si trova il bosco dei Cesari;

- altri numerosissimi monumenti in tutte le province imperiali a partire dal vicino porto di Roma, Portus.

Fece, inoltre, allargare e pulire il letto del fiume Tevere, da troppo tempo ricolmo di detriti, per evitare nuove e pericolose inondazioni; Oltre a ciò, onde evitare i danni dei frequenti incendi, Augusto intervenne riducendo l'altezza delle nuove costruzioni, proibendo di edificare lungo le vie pubbliche ad un'altezza superiore ai 70 piedi.

Tra il 20 e il 23Tiberio, su consiglio del potente comandante (prefetto del pretorio) Seiano, decise di costruire i castra Praetoria, per radunarvi le nove coorti esistenti.

Claudio si devono invece la costruzione dell'Acquedotto Claudio (iniziata dal suo predecessore Caligola nel 38) e dell'Acquedotto Anio novus, completati nel 52; la costruzione di un canale navigabile sul Tevere che terminava a Portus, il nuovo porto a nord di Ostia, a circa tre km a nord. Il porto era costituito da due moli a forma di semicerchio, numerosi granai per l'approvvigionamento di merci provenienti da tutte le province romane e all'imboccatura era posto un faro che divenne il simbolo della città stessa. Per ospitare le navi fu scavato un gigantesco bacino rettangolare di circa 1 000 per 700 metri, collegato al Tevere da due canali. Gli ingegneri di Claudio non considerarono con la dovuta attenzione il problema rappresentato dal deposito delle sabbie fluviali, e in breve il nuovo porto fu inagibile. Di questo fallimento fece tesoro Traiano che costruì nello stesso luogo un porto più efficiente che rimase in funzione per secoli.

In seguito all'incendio del 64Nerone recuperò una vasta area distrutta, facendo realizzare il faraonico complesso edilizio noto come Domus Aurea, la sua residenza personale, che giunse a comprendere il Palatino, le pendici dell'Esquilino (Oppio) e parte del Celio, per un'estensione di circa 2,5 km quadrati (250 ettari). E sempre in questa circostanza fu realizzato il cosiddetto colosso di Nerone, una gigantesca statua dell'imperatore in bronzo, alta 110 piedi secondo Plinio il Vecchio, 120 secondo Svetonio o 102 secondo il Cronografo del 354. Originariamente il colosso era situato nel vestibolo della Domus Aurea, in summa sacra via. Il successivo incendio della Domus Aurea danneggiò il monumento che fu restaurato da Vespasiano, il quale lo convertì in una rappresentazione del dio Sole. Nel 62 fu eretto inoltre un nuovo complesso termale presso il Campo Marzio che copriva un'area di 190x120 metri.

Imperatori Giulio-Claudi (27 a.C. - 68 d.C.)

 
Imperatore Nome e titolo
 
Date 
(nascita, periodo di regno)
Note
Augusto Gaio Ottavio Turino
Gaio Giulio Cesare Ottaviano - Imperator Caesar Augustus
Nato nel 63 a.C., regna dal 16 gennaio 27 a.C. al 19 agosto 14. Considerato primo imperatore romano, figlio adottivo di Gaio Giulio Cesare.
Tiberio Tiberio Claudio Nerone Nato nel 42 a.C., regna dal 19 agosto 14 al 16 marzo 37.  
Caligola Gaio Giulio Cesare Germanico Nato nel 12, regna dal 18 marzo 37 al 24 gennaio 41. Assassinato.
Claudio Tiberio Claudio Druso Nerone Nato nel 10 a.C., regna dal 24 gennaio 41 al 13 ottobre 54. Forse morto avvelenato.
Nerone Lucio Domizio Enobarbo,
Tiberio Claudio Nerone Domiziano
Nato nel 37, regna dall'ottobre 54 al 11 giugno 68. Suicida.

Ottaviano Augusto

Gaio Giulio Cesare Ottaviano (Velletri, 23 settembre 63 a.C. - Nola, 19 agosto 14) è considerato il primo imperatore romano, meglio conosciuto come Ottaviano o, dopo il conferimento del titolo da parte del senato nel 27 a.C., in seguito al quale il suo nome ufficiale divenne Gaius Caesar Octavianus Augustus, come Augusto.

BIOGRAFIA - Il suo nome alla nascita era Gaio Ottavio Turino (Gaius Octavius Thurinus): figlio di Gaio Ottavio, apparteneva alla gens Octavia, una ricca famiglia di Velletri. La madre era Azia, figlia della sorella di Cesare, Giulia, e di Marco Azio Balbo. Nel 44 a.C. fu adottato per testamento come figlio ed erede dal prozio e, secondo la consuetudine, assunse il nome del padre adottivo, aggiungendovi la denominazione della famiglia di provenienza e divenne quindi Gaio Giulio Cesare Ottaviano.

LA CONQUISTA DEL POTERE - Il senato, e in particolare Marco Tullio Cicerone, lo credettero per la sua giovane età un principiante inesperto, pronto ad essere manovrato dall'aristocrazia senatoria - in realtà da subito il giovane rivelò un'autonomia e un'abilità politica notevolissime.

Nel 43 a.C., su incarico del senato, sconfisse Marco Antonio nella battaglia di Modena, nella quale rimasero uccisi i consoli di quell'anno. Subito dopo marciò su Roma con l'esercito e si fece eleggere console, malgrado la giovane età. Insieme ad Antonio e a Lepido formò il secondo triumvirato, riconosciuto per legge in quello stesso anno. A seguito del patto furono redatte delle liste di proscrizione contro gli oppositori di Cesare, che portarono alla confisca dei beni e all'uccisione di un gran numero di senatori e cavalieri, tra cui lo stesso Cicerone.

Nel 42 a.C. Antonio e Ottaviano, lasciato Lepido al governo della capitale si scontrarono con i cesaricidi Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, e li sconfissero nella battaglia di Filippi, nella Macedonia orientale.

Successivamente nacquero i primi contrasti: il fratello di Antonio, Lucio Antonio si ribellò ad Ottaviano e fu sconfitto a Perugia nel 40 a.C. Nel 38 a.C. il triumvirato venne prorogato per altri cinque anni con il trattato di Brindisi, che definì i limiti della sfera di influenza dei triumviri: ad Antonio l'Oriente, ad Augusto l'Occidente e a Lepido l'Africa. L'accordo fu suggellato dal matrimonio di Antonio con Ottavia, sorella di Ottaviano.

Nonostante gli accordi i contrasti aumentarono sfociando in una vera e propria guerra civile: il triumvirato non venne rinnovato alla sua scadenza, nel 33 a.C. e Ottaviano sconfisse infine Marco Antonio e la sua alleata Cleopatra, ultima regina tolemaica di Egitto, nella battaglia di Azio, del 2 settembre del 31 a.C.

Nel frattempo Ottaviano, già marito di Clodia (figliastra di Antonio, in quanto figlia di primo letto della moglie di questi Fulvia), ripudiata nel 41 a.C., aveva sposato prima Scribonia, madre della sua unica figlia Giulia, e poi, nel 38 a.C., Livia Drusilla che dovette divorziare appositamente da Tiberio Claudio Nerone, dal quale aveva già avuto i figli Tiberio, il futuro imperatore, e Druso maggiore, quest'ultimo forse figlio della stesso Ottaviano, che secondo alcune fonti avrebbe espresso un grande dolore alla sua morte, avvenuta attorno al 9 a.C. in seguito ad una caduta da cavallo.

DA OTTAVIANO AD AUGUSTO - Dopo Azio, Ottaviano era divenuto di fatto il padrone dello stato, anche se formalmente Roma era ancora una repubblica e Ottaviano stesso non è rivestito di alcun potere ufficiale, dato che la sua potestas di triumviro non era stata più rinnovata: nelle Res Gestae riconosce di aver governato in questi anni in virtù del "consensus universorum" ("consenso generale").

Il senato gli conferì progressivamente onori e privilegi, ma il problema che Ottaviano doveva risolvere consisteva nella trasformazione della sostanza dei rapporti istituzionali, lasciando intatta la forma repubblicana. I fondamenti del reale potere vennero individuati nell'imperium e nella tribunicia potestas: il primo, proprio dei consoli conferiva a chi ne era titolare il potere esecutivo, legislativo e militare, mentre la seconda, propria dei tribuni della plebe offriva la facoltà di opporsi alle decisioni del senato, controllandone la politica. Ottaviano cercò di ottenere tali poteri evitando di alterare le istituzioni repubblicane e dunque senza farsi eleggere a vita console e tribuno della plebe ed evitando inoltre la soluzione cesariana (Giulio Cesare era stato eletto, prima annualmente e poi a vita dittatore).

Nel 27 a.C. Ottaviano restituì formalmente i poteri straordinari, assunti per la guerra contro Marco Antonio, nelle mani del senato e del popolo romano, ricevendo in cambio il titolo di augusto e il comando militare sulle province non pacificate. Da questo momento le province furono dunque suddivise tra senatorie, rette dal senato, e imperiali, rette da Augusto: questi aveva ottenuto i poteri consolari, senza essere console e gli erano state conferite funzioni esecutive, legislative e militari, disgiunte dall'assunzione effettiva della carica. L'imperium gli consentiva di assumere direttamente il comando delle legioni stanziate nelle province "non pacatae" e di avere così costantemente a disposizione una forza militare su cui puntellare il proprio potere, nel nesso inscindibile tra esercito e proprio comandante che era stato creato dalla riforma di Gaio Mario, ormai vecchia più di un secolo. L'imperium gli garantiva, inoltre, la gestione diretta dell'amministrazione e la facoltà di emanare decreta, decisioni di carattere giurisdizionale, ed edicta, decisioni di carattere legislativo.

Sotto il controllo del senato restavano le truppe di stanza nelle province senatoriali, le quali erano rette da un proconsole o propretore. Il senato stesso avrebbe potuto in qualunque momento emanare un senatusconsultum limitando o revocando i poteri conferiti.

Nel 23 a.C. fu conferita ad Augusto, la tribunicia potestas a vita (che secondo alcuni gli era stata attribuita già dal 28 a.C.), la quale divenne la vera base costituzionale del potere imperiale: comportava infatti l'inviolabilità della persona e il diritto di intervenire in tutti i rami della pubblica amministrazione, e questo senza i vincoli repubblicani della collegialità della carica e della sua durata annuale. Particolarmente significativo era il diritto di veto, che garantiva ad Augusto la facoltà di bloccare qualunque iniziativa legislativa che considerasse pericolosa per la propria autorità. Nello stesso anno l'imperium di cui già godeva venne ampliato fino a comprendere anche le province senatorie: tutte le forze armate dello stato romano dipendevano da lui.

Infine, quando il pontefice massimo, Lepido, morì, nel 12 a.C., egli ne prese il titolo divenendo il capo religioso di Roma.

IL GOVERNO - L'ambizione di Augusto fu quella di essere fondatore di un optimus status, facendo rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della personale auctoritas del princeps (primo fra pari), permetteva di risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della Repubblica.

A questo sforzo politico si affiancò l'elaborazione in tutti i campi di una nuova cultura, di impronta classicistica, che fondesse gli elementi tradizionali in nuove forme consone ai tempi. In campo letterario la rielaborazione del mito delle origini di Roma e la prefigurazione di una nuova età dell'oro trovano voce in Virgilio, Orazio, Livio, Ovidio, il circolo di letterati raccolto attorno a Mecenate.

La politica estera di Augusto fu dominata in Oriente dalla risoluzione diplomatica del conflitto con i Parti, con la restituzione nel 20 a.C., da parte del re parto Fraate IV, delle insegne perdute da Marco Licinio Crasso nella battaglia di Carre del 53 a.C. In Occidente il tentativo di conquista della Germania fu fermato da Arminio che nel 9 d.C. annientò tre legioni guidate dal generale Publio Quintilio Varo nella battaglia della foresta di Teutoburgo.

Augusto preparò per tempo la propria successione: inizialmente pensò al nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia e del suo primo marito, Gaio Claudio Marcello, al quale diede in sposa la figlia Giulia. Alla precoce morte di Marcello nel 23 a.C. Giulia andò in sposa a Marco Vipsanio Agrippa, suo generale e collaboratore, e nel 17 a.C. Augusto ne adottò i figli, Gaio e Lucio Cesari. Dopo la morte prima di Agrippa, nel 12 a.C. e poi dei nipoti, nel 2 e nel 4 d.C. adottò quindi il figliastro Tiberio che effettivamente gli successe alla sua morte, dando origine alla dinastia giulio-claudia.  

ATTI DEL DIVINO AUGUSTO - Augusto stesso lasciò alla sua morte un dettagliato resoconto delle sue opere nel testamento. Il testo ci è giunto trascritto in un'iscrizione incisa sulle pareti del tempio di Roma e Augusto ad Ancyra, oggi Ankara in Asia Minore, sia in latino che nella traduzione greca. Secondo il volere di Augusto il testo era stato inciso in origine su tavole di bronzo all ' ingresso del suo Mausoleo. Altre copie incise sulle pareti dei templi a lui dedicati sono giunte ad oggi frammentarie.

In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi, le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo stato, ai veterani e alla plebe, e i giochi e rappresentazioni dati a sue spese, e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra.

Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure di nessun membro della sua famiglia, ad eccezione dei successori designati, Agrippa, Gaio e Lucio Cesari e Tiberio.

IL RESOCONTO SULLA CONQUISTA DEL POTERE - Racconta Augusto che all'età di 19 anni costituì un esercito a sue spese e con la benedizione del Senato. Nello stesso anno fu eletto console. Con questi mezzi riuscì ad esiliare e punire gli assassini di Giulio Cesare, suo padre adottivo. Vengono quindi raccontate le sue conquiste militari e si ricorda l'atteggiamento verso i popoli vinti, ai quali era concesso di continuare a seguire i propri costumi e di mantenere le precedenti forme di governo purché pagassero i tributi a Roma.

Questi passi delle Res Gestae mostrano i cardini dell'ideologia augustea. Ottaviano, uscito vincitore dalle guerre civili, impone la propria lettura storica: il suo intervento nelle guerre civili non è di parte, ma in difesa e per conto del Senato e dello stato romano. I provvedimenti e la guerra contro gli uccisori di Cesare, da cui Ottaviano era stato adottato, sono un atto di diritto e di pietà filiale. Le Res Gestae insistono sulla sua opera di pacificazione e sulle donazioni di terre ai veterani, con cui cerca di riportare un ordine sociale dopo anni di guerre. L'elenco delle cariche ricoperte e di quelle offerte, ma non accettate mostra il potere di acquisto a Roma e fa luce sulla situazione di asservimento della classe dirigente. Lo scrupolo con cui elenca le cariche religiose è indice di un nascente processo di sacralizzazione del potere, che trova espressione anche nel titolo di augustus ("degno di venerazione"), ottenuto dal Senato. Fondamentale nell'ideologia politica del principato il concetto che Ottaviano definisce di auctoritas e potestas ("autorità" e "potere").

IL GOVERNO - Nel resoconto della sua ascesa al potere si mette in evidenza il suo rifiuto di contrastare le regole tradizionali dello stato repubblicano e di assumere poteri arbitrari in modo illegittimo. Si narra inoltre che sotto il suo governo venne incrementato il numero dei patrizi e fu ordinato un censimento della popolazione, da cui risultò che gli abitanti di Roma sfioravano il milione.

Narrando dei propri donativi, si asserisce che le elargizioni erano sempre dirette a più di 250.000 persone e come in quattro occasioni avesse aiutato la tesoreria pubblica.

Vengono poi citati gli edifici costruiti, tra cui la Curia (sede del senato) ed i templi di Apollo e del Divo Giulio. Su alcuni di questi edifici non fece apporre il suo nome.  

Tiberio

Tiberio (Roma 16 novembre 42 a.C. - Miseno 16 marzo 37), fu il secondo imperatore appartenente alla dinastia Giulio-Claudia. Tiberio apparteneva per nascita alla famiglia Claudia (figlio di Tiberio Claudio Nerone e Livia Drusilla) e fu adottato come erede di Augusto che apparteneva, a sua volta per adozione da parte di Giulio Cesare alla famiglia Giulia. Gli imperatori successivi, fino a Nerone, furono parenti in vario grado di entrambe le famiglie.

Tiberio dovette la sua posizione alla madre, seconda moglie di Augusto. Egli divenne uno dei luogotenenti del patrigno, conducendo campagne militari in Germania e sul Danubio. Perseguendo gli interessi politici della famiglia, fu spinto nel 12 a.C. a divorziare dalla prima moglie, Vipsania, figlia di Marco Vipsanio Agrippa ed a sposare Giulia, figlia di Augusto, e vedova dello stesso Agrippa (e quindi sua sorellastra e matrigna della sua prima moglie), ma tale matrimonio non fu felice. Tiberio si auto-esiliò a Rodi.

Tornò molti anni più tardi a seguito della morte dei figli di Giulia ed Agrippa, Caio e Lucio Cesari, e fu nominato erede di Augusto. Divenuto imperatore dopo la morte di Augusto, si rese rapidamente impopolare, e quando suo nipote Germanico nel 19 morì in oriente in circostanze misteriose, circolò la voce che Tiberio vi avesse avuto un ruolo.

Tiberio trascorse molta dell'ultima parte del suo regno nell'isola di Capri. La città di Roma fu controllata al suo posto da Seiano, capo della Guardia Pretoriana. Seiano, di cui si disse che nel 23 aveva avvelenato Tiberio Druso, unico figlio di Tiberio, e certamente coinvolto in intrighi con la vedova di Druso e nipote di Tiberio, Claudia Livilla, condusse una campagna di terrore contro i possibili nemici politici. La vedova di Germanico, Agrippina maggiore, ed i suoi figli maggiori, Nerone Cesare e Druso Cesare, furono cacciati in esilio a Ventotene dove morirono.

Nei progetti di Seiano, in effetti, rientrava il proposito di impadronirsi del controllo dell'Impero, ma i suoi piani fallirono grazie alla segnalazione tempestiva a Tiberio da parte di sua cognata Antonia minore. Seiano ed i suoi sostenitori furono, quindi, arrestati e giustiziati nel 31. A Tiberio, morto nel 37, succedette suo nipote Caligola, unico sopravvissuto dei figli di Germanico e Agrippina.

La città di Tiberiade sulla sponda occidentale del Mar di Galilea fu così chiamata in suo onore da Erode Antipa.  

Caligola

Gaio Cesare Germanico (Anzio, 31 agosto 12 - Roma, 15 gennaio 41), anche noto come Gaio Cesare o Caligola, Imperatore Romano regnò dal 37 al 41. Noto per il suo dispotismo estremamente stravagante, eccentrico e talvolta crudele, fu assassinato nel 41 da alcune sue guardie.

FONTI ANTICHE - Il problema delle fonti, nel caso di Caligola, è un problema complesso. Si tratta sicuramente di un personaggio discusso e politicamente avverso alla classe sociale o al ceto dal quale provenivano gli storiografi romani e greci che, quindi, nella sua descrizione non spiccano per oggettività.

Molte delle informazioni su Caligola provengono da fonti prevenute contro di lui, specialmente dallo storico Svetonio e Dione Cassio. Le fonti si concentrano, inoltre, più sui pettegolezzi che sulla politica del giovane imperatore, dandoci, quindi, una visione distorta e poco veritiera della sua figura.

Pochi sono i dati politici sicuri che ci sono noti, non c'è pervenuta, infatti, la parte degli Annali di Tacito relativa al regno di Caligola. Anche se, probabilmente, lo storico romano si sarebbe schierato contro il giovane sovrano almeno ci avrebbe fornito utili informazioni sulla linea politica da esso adottata, informazioni quasi del tutto assenti in Svetonio e Cassio Dione. Svetonio dedica nove capitoli della sua biografia a Caligola principe e 39 a Caligola mostro.

ORIGINI - Caligola era il terzo figlio di Agrippina Maggiore e Germanico, generale molto amato dal popolo romano. Il padre era figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio e figlio di Livia, moglie di Augusto) e di Antonia Minore (figlia di Marco Antonio e Ottavia, sorella di Augusto). La madre era figlia di Marco Vispanio Agrippa (amico di Augusto) e di Giulia (figlia di primo letto di Augusto).

Inoltre suo padre Germanico era stato adottato da Tiberio, che era stato adottato da Augusto, che a sua volta era stato adottato da Giulio Cesare.

Questa particolare situazione familiare (che tramite Augusto poteva risalire a Cesare e quindi persino alle origini stesse di Roma, ad Enea e Venere) rendevano Caligola, il più probabile successore di Tiberio.

PRECEDENTI - Da ragazzo accompagnava i genitori nelle spedizioni militari in Germania (14-16) ed indossava nei campi la calzatura dei legionari (Caliga), da cui il soprannome affettuoso "Caligola", datogli dai soldati.

Nel 17, dopo aver assistito al trionfo del padre a Roma, parte con la famiglia al seguito di Germanico inviato in missione a Oriente. Solo 2 anni più tardi il padre morirà e Caligola, insieme alla madre, farà ritorno in Italia. L'ipotesi avanzata da taluno che Caligola a sette anni si fosse reso responsabile della morte del padre in Siria non è supportata da fonti storiche.

Nel 27 andrà a vivere a casa della bisavola paterna Livia, sul Palatino e nel 29 a casa della nonna Antonia Minore dove incontrerà i 3 giovani principi traci, Polemone (a cui darà il regno del ponto e del bosforo), Rhoimetalkes (a cui darà metà dell ' antico regno di Tracia) e Kotys (a cui darà l'Armenia Minore).

L'imperatore Tiberio, ritiratosi a Capri già nel 26, vorrà Caligola con lui nel 31, anno in cui divenne "Pontifex" (Sacerdote). Nel 33 divenne questore, e qui si chiude il "cursus honorum" di Caligola.

Tiberio nonostante tutto nominerà suoi successori nel testamento (35 d.C.) Caligola e Tiberio Gemello.

SUCCESSIONE - Dopo la morte di Tiberio, avvenuta il 16 marzo 37, il Senato ne annullò il testamento, che lasciava la guida dell'impero a Caligola e a Tiberio Gemello, nipote del defunto imperatore, sostenendo che al momento della stesura Tiberio fosse insano di mente e proclamò Imperator Caligola il 18 marzo 37. Caligola salì al potere con l'appoggio di tutti: Senato, esercito e popolo. Le ragioni di questa approvazione sono varie: la sua giovane età (25 anni all'avvento), la popolarità del padre, la lunghezza del regno di Tiberio (23 anni), l'infanzia trascorsa negli accampamenti, la sfortuna della sua famiglia, la parentela sia con Augusto che con Marco Antonio e la sua devozione verso i familiari.

POLITICA INTERNA - Si pensava che Caligola avrebbe proseguito la politica del padre, Germanico, ma non fu così. Il breve impero di Caligola fu caratterizzato da una serie di massacri nei confronti degli oppositori interni e da atti che tendevano a una continua umiliazione della classe senatoria. Caligola si comportava in modi assai strani che lo identificavano come un "pazzo". Le fonti antiche vedevano in lui un esempio di "pazzia sanguinaria". Infatti nominò, secondo un tradizionale racconto, senatore il proprio cavallo. Altri racconti attestano che aveva frequenti attacchi d'ira. Tacito racconta che durante un banchetto Caligola scoppiò a ridere improvvisamente, un commensale che sedeva con lui gli chiese il motivo della sua risata e Caligola rispose che stava pensando alla morte di quest'ultimo che in seguito fece uccidere. 

Caligola adottò una politica di assolutismo monarchico, voleva diventare un sovrano cui si rendevano onori divini sul modello delle monarchie orientali ed in totale contrasto con le tradizioni romane. Caligola assunse atteggiamenti autocratici e pretese che gli venisse eretto un tempio. Egli si rese popolarissimo con elargizioni alla plebe e costosi giochi circensi che dissestarono le finanze dello stato. Fu vittima di un colpo di stato ordito dai pretoriani, nel 41 d.C., che diedero fine al suo breve governo.

POLITICA DI SICUREZZA - Il nuovo imperatore per evitare problemi dinastici nominò Tiberio Gemello princeps iuvenutis e lo adottò, nominandolo suo erede. Per evitare comunque che Tiberio Gemello reclamasse ciò che gli spettava nel 38 lo fece uccidere o lo indusse al suicidio. Stessa sorte toccò al prefetto del pretorio Macrone. Probabilmente Caligola non si fidava più di determinati personaggi che potevano, con il loro potere, carisma, denaro, eliminarlo. Più che crudeltà, in questo caso, si può parlare di machiavellismo della politica di questo giovine.

POLITICA RELIGIOSA - Stando alle fonti, Caligola, al culmine del suo regno, avrebbe voluto essere proclamato Dio. Potrebbe trattarsi dell'ennesima manifestazione della sua follia, oppure di una subdola politica per aumentare il suo potere presso i popoli ellenici, abituati da tempo a considerare il loro sovrano una divinità. Insomma, il tentativo religioso di un principe giovane di mantenere il potere con tutti i mezzi. Questo, comunque, provocò molto scontento, soprattutto, presso quelle popolazioni che già avevano problemi con la semplice autorità civile di Roma senza contare quella religiosa, per esempio i Giudei, che scatenarono moti di rivolta.

POLITICA ECONOMICA - Alla morte di Tiberio nelle casse del fiscus romano c'erano 2.700.000.000 di sesterzi che Caligola spese in circa un anno. Alcune delle spese sostenute dal nuovo imperatore furono inevitabili: elargizioni varie al popolo, all'esercito, ai pretoriani e ai regni vassalli di Roma. Non bisogna dimenticare, inoltre, che Caligola rispettò il testamento di Tiberio, nonostante fosse stato annullato formalmente dal Senato, e diede quanto stabilito a tutti. Non vanno dimenticati gli enormi banchetti e feste varie organizzate per tenere buono e calmo il popolo. A tutto questo si aggiunsero, tuttavia, diverse stravaganze, citate dagli storici contemporanei, come la stalla del suo cavallo tutta in avorio e marmo, i 2 milioni di sesterzi donati ad un auriga e il milione donato a Livio Geminio (che giurò di aver visto Drusilla salire in cielo e conversare con gli dei). Va, inoltre, citata l'abolizione della tassa sulle compravendite. Anche allo scopo di migliorare la situazione economica Caligola, come molti altri imperatori successivi, espropriò il patrimonio di molti senatori accusandoli di tramare contro la sua persona (accusa non sempre falsa).

CAMPO GIUDIZIARIO - Diversi furono gli atti interessanti di questo imperatore, l'abolizione, nel primo anno di governo, della legge di lesa maestà, una legge molto odiata dai senatori, reintrodotta però nel 39. Interessante anche il progetto, attuato nel 38 di restituire ai comizi e alle magistrature, almeno formalmente, le antiche prerogative, con la conseguenza diretta che il popolo eleggeva i magistrati. In generale si può dividere la politica giudiziaria di questo imperatore in due periodi, il primo molto liberale, filo-popolare, nel quale si cercava l'accordo con i senatori e il secondo nel quale il "princeps" faceva di tutto per mantenere il potere.

REGNI ALLEATI - Con i regni alleati non seguì una stessa linea politica, si basò molto sulla simpatia e sulla fiducia che ogni singolo sovrano era in grado di trasmettergli. Esiliò Mitridate, re d'Armenia; mandò a morte Tolomeo, re della Mauritania, e ridusse il suo regno a provincia; nominò re di Commagene, regione ridotta a provincia nel 18, Antioco IV, al quale dette 100 milioni di sesterzi. Affidò regni anche ai 3 giovani principi traci che aveva incontrato in gioventù, a casa della nonna Antonia: a Polemone darà il regno del Ponto e del Bosforo, a Rhoimetalkes metà dell'antico regno di Tracia e a Kotys l'Armenia Minore.

Aiutò in tutti i modi Erode Agrippa, al quale affidò, in un primo tempo, la Palestina nord-occidentale, che dalla morte di Erode Filippo II (34) era sotto il controllo diretto di Roma, successivamente anche i territori del tetrarca di Galilea, Erode Antipa, accusato di volersi impadronire dei territori di Erode Agrippa, che verrà prima esiliato e poi eliminato nel 40.

POLITICA MILITARE - Caligola aveva importanti ascendenti che si erano guadagnati la gloria con le imprese belliche, è probabile, quindi, che fosse intenzionato a emulare le loro gesta e nel caso a superarle. Se Druso maggiore e Germanico si erano concentrati sulla Germania, egli per superare le loro gesta doveva, non solo conquistare la stessa regione, ma varcare l'oceano e giungere in Britannia. Sarebbe stato il primo imperatore dopo le campagne di Augusto in Spagna nel 26-25 a.C. a guidare un esercito in battaglia.

Stando a Svetonio egli fece leve in tutto l'impero e ammassò un ingente quantitativo di vettovagliamenti. Secondo Dione Cassio egli arruolò per le sue imprese tra i 200 e i 250 mila uomini. Nel 39 Caligola represse una rivolta fra le sue truppe nell'alto Reno e marciò verso la costa settentrionale della Gallia, apparentemente intenzionato ad invadere la Britannia. Invece, ordinò alle truppe di scendere in acqua a cercare conchiglie, come ci racconta Svetonio; o più probabilmente lasciò perdere una spedizione male preparata.

VITA PRIVATA - Ebbe quattro mogli: Giunia Claudilla, Livia Orestilla, Lollia Paolina, già sposata a Publio Memmio Regolo ed, infine, Milonia Cesonia, dalla quale ebbe una figlia che chiamò Giulia Drusilla in onore della sorella deceduta

MORTE - Caligola morì assassinato in una congiura di Pretoriani guidati da due tribuni, Cassio Cherea e Cornelio Sabino, il 24 gennaio del 41. Insieme a lui persero la vita sua moglie Milonia Cesonia e la loro figlia bambina, Giulia Drusilla, così chiamata in ricordo della sorella di Caligola da lui divinizzata alla morte. A lui succedette lo zio Claudio che, stando alle fonti, si era nascosto dietro ad una tenda.

Claudio

Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (latino: Tiberius Claudius Caesar Augustus Germanicus) (1 agosto 10 a.C. - 13 ottobre 54 d.C.), fu il quarto imperatore romano (41-54 d.C.) della Dinastia Giulio-Claudia e il primo a nascere fuori dall’Italia.

ORIGINI - Nacque con il nome di “Tiberius Claudius Drusus” a Lugdunum (attuale Lione), in Gallia. Fu il terzo figlio di Druso maggiore e Antonia minore dopo Germanico e Livilla. Il padre era figlio della moglie di Augusto, Livia, che, secondo Svetonio, lo aveva partorito 3 mesi dopo il suo matrimonio con Augusto. La madre era figlia di Marco Antonio e Ottavia la sorella di Augusto.

Si sposò quattro volte, prima con Plauzia Urgulanilla, poi con Elia Petina, quindi con Valeria Messalina, da lui fatta uccidere dieci anni più tardi. L'ultima moglie, sua nipote (di zio) Agrippina, figlia del fratello Germanico e di Agrippina Maggiore. Con Messalina ebbe due figli: Britannico (39 - 55), che potrebbe essere stato procreato da Caligola, e Ottavia (41 - 62), che sposò il proprio fratellastro, figlio di Agrippina, l'Imperatore Nerone.

CLAUDIO IMPERATORE - Claudio non era destinato a diventare imperatore. I suoi problemi fisici (sembra che fosse balbuziente ed epilettico) lo avevano spinto ad una attività di studio piuttosto che alla ricerca del potere. È stato il solo studioso che abbia mai rivestito la porpora. La sua balbuzie ed i suoi lamenti fecero sì che fosse risparmiato durante le purghe che contrassegnarono i regni di Tiberio e Caligola. 

Dopo l'assassinio di quest'ultimo, i pretoriani si trovarono di fronte al problema di trovare un membro superstite della famiglia Giulio-Claudia da mettere sul trono. Molti di loro erano stati assassinati da tempo, mentre Claudio era stato ignorato perché non lo si considerava un contendente pericoloso. A trentuno anni nel 41 d.C. i pretoriani costrinsero con la forza il Senato a riconoscere la sua nomina. Nonostante i suoi difetti dimostrò capacità e temperamento e coprì il ruolo meglio di altri. Morì, sembra, ad opera di Agrippina che lo avvelenò con un piatto di funghi per affrettare la successione di suo figlio Nerone, adottato da Claudio che l'aveva designato suo erede. Morto Claudio, Agrippina e Nerone si preoccuparono di far sparire anche Britannico, figlio naturale di Claudio e aspirante al trono; questo evento testimonia l'implicazione di Agrippina nella morte dell ' imperatore.

CONQUISTE ED INIZIATIVE POLITICHE - Riorganizzò le finanze dello Stato istituendo la cassa imperiale (fiscus). Aprì agli esponenti delle Gallie l’accesso alle magistrature. Iniziò la conquista della Britannia nel 43 d.C. Fondò Colonia dopo aver fermato gli sconfinamenti dei barbari sul Reno. Riunì all’impero la Mauritania

OPERE PUBBLICHE - Costruì due acquedotti: l'acquedotto Claudio (Acqua Claudia), iniziato da Caligola, e l'Anio Novus che si incontrano entro Roma nella famosa Porta Maggiore. Ne restaurò anche un terzo chiamato Aqua Virgo. Diede un grande impulso alla costruzione di strade e canali in Italia e nelle province. Tra i tanti progetti meritano una segnalazione un largo canale che univa il Reno al mare ed una strada che collegava l’Italia alla Germania (entrambe opere iniziate da suo padre).

Vicino Roma costruì un canale navigabile sul Tevere che terminava a Portus, il nuovo porto a Nord di Ostia. Il porto era costruito a due moli a forma di semicerchio ed all’imboccatura era posto un faro che divenne il simbolo della città stessa.

Volendo incrementare la superficie coltivabile, iniziò la colossale opera di prosciugamento del lago del Fucino. Il piano fu un fallimento perché il canale costruito non era largo a sufficienza. Altri imperatori si cimentarono con questa impresa che ebbe però termine solo nel diciannovesimo secolo grazie ai Torlonia che ingrandirono il tunnel scavato da Claudio tre volte la sua dimensione originale.  

Nerone

Tiberio Claudio Nerone Domiziano Cesare (Anzio, 15 dicembre 37 - 6 giugno 68), nato Lucio Domizio Enobarbo fu Imperatore Romano dal 54 al 68.

Il 15 dicembre 37, nacque ad Anzio, da Agrippina Minore e Gneo Domizio Enobarbo. Il padre apparteneva alla famiglia dei Domizi-Enobarbi, una stirpe considerata di "nobiltà plebea" (ovvero recente) e così chiamata per il colore bronzeo della barba e dei capelli. La madre, invece, era figlia di Germanico e sorella dell'imperatore Caligola.

Nel 39 Agrippina venne mandata in esilio dal fratello, che la sospettava di congiurare contro di lui. L'anno seguente morì il padre Gneo, il cui patrimonio venne confiscato da Caligola. Lucio venne affidato alla zia Domizia Lepida ed alle nutrici Egogle e Alessandra. Le fonti antiche riportano che i suoi primi precettori erano stati un barbiere ed un ballerino, dal quale Lucio avrebbe imparato l'amore per la danza e per lo spettacolo.

Nel 41 Caligola viene assassinato e Agrippina poté tornare ad occuparsi del figlio. Lucio venne affidato a due liberti greci (Aniceto e Berillo) per poi proseguire gli studi con due sapienti dell'epoca: Cheremone d'Alessandria e Alessandro di Ege, dai quali il giovane allievo derivò il proprio filoellenismo. Nel 49 Agrippina sposò l'imperatore Claudio, suo zio. Ottenne la revoca dell'esilio per Seneca, che divenne il nuovo precettore del figlio. Domizia Lepida venne condannata a morte con l'accusa di complottare contro Claudio e il giovane Lucio dovette testimoniare a suo sfavore durante il processo.

Agrippina ottenne ancora il fidanzamento tra Lucio e la figlia che Claudio aveva avuto da Messalina, Ottavia, dopo che il precedente fidanzato, il patrizio Lucio Silano, accusato d'incesto, era stato costretto al suicidio.

Nel 50 Claudio adottò Lucio, che assume il nome di Nerone e nel 53 il quindicenne Nerone sposò l'ormai undicenne Ottavia e pronunziò i suoi primi discorsi pubblici (scritti da Seneca e corretti dalla madre), in latino e greco.

Nel 54 morì Claudio, e alcune fonti sospettarono che la morte fosse stata causata da Agrippina, che avrebbe avvelenato il marito con un piatto di funghi. A Claudio successe il figlio adottivo Nerone.

NERONE IMPERATORE - Dopo la salita di Nerone al potere nel 55, Britannico, figlio legittimo di Claudio, sarebbe stato fatto uccidere per volere di Sesto Afranio Burro, prefetto del Pretorio, forse con il coinvolgimento di Seneca, e entrambi i personaggi rimpiazzarono Agrippina nella sua influenza sul giovane imperatore.

Il primo scandalo del regno di Nerone coincise col suo primo matrimonio, considerato incestuoso, con la sorellastra Claudia Ottavia, figlia di Claudio; Nerone più tardi divorziò da lei quando s'innamorò di Poppea. Nel 58 Poppea divenne moglie di Nerone ed fu in seguito sospettata d'aver organizzato nel 59 l'omicidio di Agrippina.

Nel 62 Burro morì e Seneca si ritirò; la carica di prefetto del Pretorio venne assegnata a Tigellino (già esiliato da Caligola per adulterio con Agrippina). Contemporaneamente vennero introdotte una serie di leggi sul tradimento, che provocarono l'esecuzione di numerose condanne capitali.

Nel 63 Nerone e Poppea ebbero una figlia, che tuttavia morì ancora in fasce.

L'INCENDIO DI ROMA - Allo scoppio del Grande incendio di Roma del 64, l'imperatore si trovava ad Anzio, ma raggiunse immediatamente l'Urbe per conoscere l'entità del pericolo e decidere le contromisure. Sebbene avesse organizzato in modo efficiente i soccorsi, venne accusato di aver provocato egli stesso l'incendio, di cui furono quindi incolpati i Cristiani. La questione è tuttavia ancora controversa, sebbene l'immagine dell'imperatore che suonava la lira mentre Roma bruciava è ormai ampliamente superata. Anzi sembra che addirittura aprì i sui giardini per dar scampo alla popolazione e che partecipò egli stesso allo spegnimento. Per la ricostruzione l'imperatore dettò nuove regole edilizie.

Nel 65 Nerone fu coinvolto in un altro scandalo, dovuto al fatto che fosse considerato sconveniente per un Imperatore dare spettacolo recitando, cantando e suonando la lira.

Nel 65 venne scoperta la congiura pisoniana (così chiamata da Caio Calpurnio Pisone) e i cospiratori, tra cui anche Seneca, vennero costretti al suicidio. La stessa sorte toccò anche Gneo Domizio Corbulo. In quel periodo, poi, secondo la tradizione cristiana, ordinò anche la decapitazione di San Paolo e, più tardi la crocifissione di San Pietro.

Nel 66, morì Poppea, che secondo le fonti sarebbe stata uccisa da un calcio al ventre dello stesso Nerone durante una lite mentre era in attesa del suo secondogenito.

L'anno successivo, nel 67, l'imperatore viaggiò fra le isole della Grecia, a bordo di una lussuosa galea sulla quale divertiva gli ospiti con prestazioni artistiche, mentre a Roma, Ninfidio andava procurandosi il consenso di pretoriani e senatori.

Prima di lasciare la Grecia, annunciò personalmente, ponendosi al centro dello stadio d'Istmia, presso Corinto, prima della celebrazione dei giochi panellenici, la decisione di restituire la libertà alle poleis, eliminando il governo provinciale di Roma.

Caio Giulio Vindex governatore della Gallia Lugdunense, si ribellò dopo il ritorno dell'imperatore a Roma, e questo spinse Nerone ad una nuova ondata repressiva: fra gli altri ordinò il suicidio al generale Servio Sulpicio Galba, allora governatore nelle province ispaniche: questi, privo di altre alternative, dichiarò la sua fedeltà al Senato ed al popolo romano, non riconoscendo più l'autorità di Nerone. Si ribellò quindi anche Lucio Clodio Macero, comandante della III legione Augusta in Africa, bloccando l'afflusso di grano verso Roma. Nimfidio corruppe i pretoriani, che si ribellarono a loro volta a Nerone, con la promessa di somme di denaro da parte di Galba. Infine il Senato lo depose e Nerone si suicidò il 6 giugno 68. Colla sua morte terminò la dinastia Giulio-Claudia.

CRITICA STORICA - L'immagine di Nerone ci è stata tramandata dai resoconti degli storici contemporanei in modo del tutto negativo: ciò è dovuto in larga parte alla politica condotta dall ' imperatore, che si appoggiò ai ceti popolari in opposizione alla classe senatoriale, alla quale gli storici dell ' epoca appartenevano per la maggior parte.

L'immagine negativa venne quindi tramandata anche dagli storici cristiani, in quanto Nerone sarebbe stato l'autore della prima persecuzione contro i cristiani. Addirittura si ritenne che Nerone fosse l'anticristo in quanto la somma del valore numerico delle lettere che compongono le parole "Cesare Nerone" in lingua ebraica è 666, il numero della Bestia di Satana.

Contrariamente alla storiografia ufficiale il popolino della città continuò a tributargli una sorta di spontaneo culto popolare fino al XII secolo, quando papa Pasquale II interruppe la tradizione di portar fiori al mausoleo dei Domizi-Enobarbi (ritenuto, sebbene erroneamente, la tomba di Nerone) nei primi giorni di giugno, facendone demolire i resti.

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