L'attentato
del 68 d.C. contro Nerone, l'ultimo esponente della dinastia Giulio Claudia,
segna l'inizio di un nuovo periodo di guerre civili, periodo la cui estensione
è tuttavia soltanto di un anno: il 69 infatti, a causa delle lotte intestine
tra diversi condottieri per la successione alla carica imperiale, vede
l'avvicendarsi di ben quattro diverse personalità.
Tale anno sarà ricordato perciò come l'anno dei quattro imperatori, oltre
che come uno dei più tormentati e sanguinosi dell'intera storia romana.
All'origine
della caduta del principato di Nerone, vi è il fatto che la politica di
quest'ultimo non riscuota l'approvazione né delle province occidentali, né
dell'aristocrazia senatoria romano-italica. Essa infatti, spostando l'asse
degli interessi dello Stato in direzione delle regioni orientali (nonché
delle loro tradizioni politico-culturali), se da una parte reca offesa agli
ideali dell'aristocrazia occidentale, tende dall'altra a disinteressarsi
pericolosamente di quelle nuove realtà politico-economiche costituite dalle
province europee occidentali (Spagna, Gallia, Germania).
Dopo un
periodo relativamente breve di lotte intestine, tra il 68 e il 69, saranno i
Flavi ad affermarsi come nuova dinastia regnante. Con essi inizierà per
l'Impero una nuova stagione, nel corso della quale se da una parte verranno
consolidate le strutture politiche e istituzionali della più moderna
amministrazione imperiale, dall'altra verranno elisi e indeboliti gran parte
dei privilegi politici del Senato e dell'antica aristocrazia romana e italica.
Ma il
rafforzamento dell'apparato burocratico imperiale significa anche il
rafforzamento delle province, in quanto entità politiche tendenzialmente
autonome rispetto alle zone italiane, poiché dotate ormai di una loro
individualità, di una loro ricchezza e di un loro peso politico, e come tali
rivendicanti già da tempo maggiore considerazione e influenza all'interno
della compagine imperiale. Mentre infatti le antiche forze senatorie tendevano
a esercitare un dominio a senso unico sui territori sottoposti, quelle della
nascente amministrazione imperiale tendono a riservare ad esse un maggiore
spazio e una più alta considerazione: e ciò sia per ragioni strutturali
(l'Impero essendo il risultato dell'unione di diversi stati e di diverse
culture), sia per ragioni pratiche (l'attuale estensione dei territori romani
non permette più infatti, almeno oltre un certo limite, un tale tipo di
politica).
D'altra parte è proprio da queste ultime (più che dall'Italia) che prende
avvio la grande spinta di rinnovamento che determinerà prima la fine della
dinastia dei Claudii, e successivamente la lotta per l'affermazione - vinta da
Vespasiano - tra i quattro imperatori.
Al termine
del dominio della dinastia Flavia - con la morte di Domiziano, nel 96 -
troveremo dunque un Impero più solido, con un apparato istituzionale
decisamente più articolato ed efficiente, una classe senatoria in gran parte
rinnovata, e un'Italia i cui poteri e privilegi a livello politico sono oramai
- rispetto al passato - decisamente ridimensionati.
IL 69,
L'ANNO DEI 4 IMPERATORI
Tra il giugno
del 68 e il dicembre del 69, cioè tra il mese dell'insediamento di Galba e
quello dell'insediamento di Vespasiano, si avvicenderanno - come si è già
detto - ben quattro imperatori, tra cui, oltre appunto a Galba e Vespasiano,
Otone e Vitellio. Questo lasso di tempo vedrà il ritorno di una situazione
simile - per molti aspetti - a quella delle guerre civili che, nei decenni
finali della Repubblica, avevano insanguinato il mondo romano (e il cui
termine è coinciso con la battaglia di Azio nel 32, in cui Ottaviano ha
sconfitto il rivale Marco Antonio). Anche ora infatti, saranno gli eserciti lo
strumento fondamentale per la conquista del potere, anche ora vi sarà una
fondamentale divisione tra Est e Ovest (seppure questa volta lo scontro verrà
vinto dalle regioni orientali), ed anche ora infine saranno dei potenti
condottieri a contendersi la suprema carica imperiale.
Servio
Sulpicio Galba
Il primo
successore di Nerone (morto suicida nel 68) è Servio Sulpicio Galba
(Terracina, 24 dicembre 3 a.C. - 15 gennaio 69) fu imperatore romano dal 9
giugno 68 al 15 gennaio 69. 
Galba era
nato da una nobile famiglia ed era un uomo di grande ricchezza, ma non legato
né per nascita né per adozione ai primi sei imperatori. Fin dalla
fanciullezza fu visto come un giovane di notevoli doti, e si dice che sia
Augusto che Tiberio profetizzassero la sua futura ascesa.
Pretore nel
20, e console nel 33, acquistò una ben meritata reputazione nelle province di
Gallia, Germania, Africa e Spagna per le sue capacità militari, la sua
severità e la sua imparzialità. Alla morte di Caligola, rifiutò l'invito
dei suoi amici di farsi avanti per l'impero, e servì lealmente Claudio. Per
la prima metà del regno di Nerone visse in disparte finché, nel 61,
l'imperatore gli assegnò la provincia della Spagna Tarraconese.
Nella
primavera del 68, Galba fu informato dell'intenzione di Nerone di metterlo a
morte, e dell'insurrezione di Giulio Vindice in Gallia. Egli ebbe inizialmente
l'intenzione di seguire l'esempio di Vindice, ma la sconfitta ed il suicidio
di quest'ultimo, rinnovarono la sua esitazione. La notizia poi che Nimfidio
Sabino, prefetto dei pretoriani, si era dichiarato in suo favore lo incoraggiò
di nuovo. Egli che, fino ad allora, si era solo dichiarato emissario del
Senato e del popolo romano, dopo la morte di Nerone, assunse il titolo di
"Cesare" e marciò su Roma.
Inizialmente,
fu ben accolto dal Senato e dal partito dell'ordine, ma non fu mai popolare
presso l'esercito ed il popolo. Incorreva, infatti, nell'odio dei pretoriani,
per lo sprezzante rifiuto di pagare quanto era stato loro promesso a suo nome,
e si alienava la plebe con il suo disprezzo della pompa e dell'apparire.
Avendo perso energia a causa dell'età avanzata, rimase completamente nelle
mani dei suoi favoriti.
Una
sollevazione fra le legioni in Germania, che chiedevano che il Senato
scegliesse un altro imperatore, lo rese cosciente della sua impopolarità e
dello scontento generale. Per calmare la tempesta, adottò come coadiutore e
successore Lucio Calpurnio Pisone, uomo comunque degno dell'onore. La sua
scelta fu saggia e patriottica; ma la popolazione la vide come un segno di
paura ed i pretoriani ne furono indignati vedendo allontanarsi l'usuale
donazione.
Otone,
formalmente governatore della Lusitania, ed uno dei più antichi sostenitori
di Galba, indispettito per non essere stato scelto al posto di Pisone, si unì
ai pretoriani in agitazione e fu da loro acclamato imperatore. Galba, che alla
fine si decise ad incontrare i ribelli si scontrò con la cavalleria e fu
massacrato presso il Lago Curzio.
Marco
Salvio Otone
Succede poi a
Galba, Marco Salvio Otone (25 aprile 32 - 16 aprile 69). Fu Imperatore
romano dal 15 gennaio al 16 aprile del 69
Otone
apparteneva ad una antica e nobile famiglia etrusca residente a Ferento in
Etruria, interessante sito archeologico nei pressi di Viterbo. Sembrava
inizialmente essere uno dei più incauti e stravaganti giovani che
circondavano Nerone. Questa amicizia fu interrotta bruscamente nel 58 a causa
di una donna. Poppea era stata presa al marito da Nerone per farne la sua
amante. La decenza richiedeva che lei fosse maritata e così l'imperatore la
diede in moglie al suo favorito Otone convinto che non avrebbe avuto problemi
da questi. Ma Otone si innamorò di lei e, quando venne il momento, rifiutò
di mandarla a Nerone. Dopo minacce e appelli dell'imperatore, il matrimonio fu
annullato ed Otone mandato come governatore nella remota provincia di
Lusitania.
Otone rimase
in Lusitania per i successivi dieci anni, amministrando la provincia con
moderazione non comune a quel tempo. Quando, nel 68, il suo "vicino"
Galba, governatore della Spagna Tarraconese, si rivoltò contro Nerone, Otone
lo accompagnò a Roma. Il risentimento per il trattamento che aveva ricevuto
da Nerone può averlo spinto a questo, ma a tale motivazione certamente si
aggiunge l'ambizione personale. Galba non aveva figli ed era avanti negli anni
ed Otone, incoraggiato anche dalle predizioni degli astrologi, aspirava a
succedergli. Ma nel gennaio del 69 le sue speranze furono raffreddate
dall'adozione formale da parte di Galba di Lucio Calpurnio Pisone, uomo scelto
casualmente una mattina in un'udienza.
Non
rimaneva ad Otone che incassare il colpo. Disperato per lo stato delle sue
finanze, a causa delle sue precedenti stravaganze, trovò il danaro per pagare
i servizi di ventitrè pretoriani. La mattina del 15 gennaio, solo cinque
giorni dopo l'adozione di Pisone, presentò i suoi omaggi all'imperatore, e si
scusò frettolosamente per certi suoi affari che lo richiamavano d'urgenza al
Palatino. Egli quindi fu scortato al campo dei pretoriani, dove, dopo pochi
momenti di sorpresa e indecisione, fu acclamato imperatore.
Con
un'imponente scorta tornò verso il Foro, ed ai piedi del Campidoglio incontrò
Galba, che, allarmato da vaghi "rumori" di rivolta, si dirigeva
verso un assembramento di cittadini stupefatti verso gli alloggiamenti della
truppa. La coorte di stanza al Palatino, che scortava l'imperatore,
immediatamente lo abbandonò. Galba, suo figlio appena adottato Pisone ed
altri furono brutalmente uccisi dai pretoriani. La scaramuccia finì, Otone
tornò in trionfo all'accampamento, e lo stesso giorno ricevette l'investitura
dai senatori con il nome di "Augusto", il potere tribunizio ed altre
dignità appartenenti all'imperatore. Otone dovette il suo successo al
risentimento covato dai pretoriani e dal resto dell'esercito per il rifiuto di
Galba di pagare le somme promesse a chi aveva supportato la sua ascesa al
trono. La popolazione della città non gradiva Galba e rimpiangeva la memoria
di Nerone. Il primo atto di Otone come imperatore mostrò che egli teneva bene
in conto questo fatto.
Otone accettò,
o finse di accettare, il soprannome di "Nerone" datogli per
acclamazione dal popolo, che a lui lo assimilava per il suo aspetto femmineo.
Furono di nuovo installate statue di Nerone, i suoi liberti e la sua servitù
furono richiamati, e fu annunciata l'intenzione di completare la Domus Aurea.
Allo stesso tempo i timori dei più sobri e rispettabili cittadini furono
dissipati dalle dichiarazioni liberali di Otone sulle sue intenzioni di
governare con giustizia, e dal suo clemente giudizio nei riguardi di Mario
Celso, console designato e devoto seguace di Galba.
Ma ogni
ulteriore sviluppo della politica di Otone, fu messo alla prova dalla notizia
che raggiunse Roma subito dopo la sua ascesa al trono. L'esercito in Germania
aveva acclamato imperatore Vitellio, comandante delle legioni del basso Reno,
il quale già stava avanzando verso l'Italia. Dopo un vano tentativo di
accordo con Vitellio con l'offerta di dividere l'impero, Otone, con vigore
inaspettato, si preparò alla guerra. C'era da aspettarsi poco aiuto dalle
province lontane che pure avevano accettato il suo regno; ma le legioni di
Dalmazia, Pannonia e Mesia erano affidabili per la sua causa, le coorti dei
pretoriani erano di per sé una forza formidabile ed una flotta efficiente gli
dava il dominio dei mari italiani.
La flotta fu
disposta a protezione della Liguria e, il 14 marzo Otone, spaventato da
prodigi e presagi, partì verso il Nord alla testa delle sue truppe, nella
speranza di impedire l'ingresso in Italia degli eserciti di Vitellio. Ma per
questo era troppo tardi, e tutto ciò che poté fare fu di mandare le truppe a
Piacenza e tenere la linea del Po. Le avanguardie di Otone difesero con
successo Piacenza contro Cecina Alieno, e costrinsero quel generale a
ripiegare su Cremona. Ma l'arrivo di Fabio Valente alterò gli equilibri.
A questo
punto i generali di Vitellio si risolsero a dare la battaglia decisiva, ed i
loro piani furono facilitati dalle opinioni divise e incerte che prevalevano
nel campo di Otone. Gli ufficiali più esperti sostenevano l'importanza di
evitare una battaglia, almeno fino all'arrivo delle legioni dalla Dalmazia. Ma
l'avventatezza di Tiziano, fratello dell'imperatore e di Proculo, prefetto
della Guardia pretoriana, aggiunte all'impazienza di Otone, sopraffecero ogni
opposizione, e fu decisa un'avanzata immediata ed Otone rimase indietro con
notevoli forze di riserva a Brescello sulla riva meridionale del Po. Quando fu
presa questa decisione, l'esercito di Otone aveva già traversato il Po ed era
accampato a Bedriaco, piccolo villaggio sulla Via Postumia, posto sul percorso
da cui dovevano arrivare le legioni dalla Dalmazia.
Le forze di
Otone vennero sconfitte nella prima battaglia di Bedriaco. Otone era ancora al
comando di una forza formidabile: le legioni della Dalmazia avevano già
raggiunto Aquileia e lo spirito dei soldati e dei loro ufficiali era intatto.
Ma egli si risolse ad accettare il verdetto della battaglia che la sua stessa
impazienza aveva affrettato. Con un solenne discorso si accomiatò da chi gli
era intorno e ritiratosi per riposare, dormì profondamente qualche ora. La
mattina presto si trafisse il cuore con una spada che aveva nascosto sotto il
cuscino, e morì mentre il suo attendente entrava. Il suo funerale fu
celebrato subito, secondo il suo desiderio, e non pochi dei suoi soldati
seguirono il suo esempio uccidendosi sulla sua pira. A Brescello fu eretta in
suo onore una modesta tomba con la semplice iscrizione: Diis manibus Marci
Otonis. Otone aveva solo 37 anni ed aveva regnato appena tre mesi.
Aulo
Vitellio Germanico
Ostili in
gran parte alla politica otoniana, nella quale non si riconoscono, sono le
province occidentali, e in particolar modo i ceti possidenti che, assieme
all'esercito, mantengono in una condizione di subalternità la gran parte
della popolazione, impiegandola come manodopera semi-libera. Questi ultimi non
vedono infatti di buon occhio la politica di Otone, ritenendola non favorevole
ai loro interessi.
E' dalle
regioni della Germania meridionale che proviene infatti Aulio Vitellio,
generale delle truppe imperiali in quelle regioni, eletto imperatore dalle
proprie truppe già prima di arrivare nella capitale.
Aulo Vitellio
Germanico, chiamato generalmente Vitellio, (24 settembre 15 - 22 dicembre 69)
fu imperatore romano dal 16 aprile 69 al 22 dicembre dello stesso anno.
Era figlio di
Lucio Vitellio, che era stato console e governatore in Siria sotto Tiberio.
Vitellio figlio fu console nel 48, e (forse nel 60 - 61) proconsole in Africa,
e si dice che avesse assolto il compito con successo. Alla fine del 68 Galba,
fra lo stupore generale, lo scelse per comandare l'esercito dislocato nella
Germania Inferiore, e qui Vitellio si guadagnò la popolarità presso i
subalterni ed i soldati per l'eccessiva prodigalità e buona disposizione, la
qual cosa fu fatale all'ordine ed alla disciplina.
Lungi
dall'essere ambizioso o scaltro, fu pigro ed autoindulgente, amante del
mangiare e del bere, e dovette la salita al trono a Cecina Alieno e Fabio
Valente, comandanti di due legioni sul Reno. Da questi due uomini fu compiuto
un colpo di stato militare, ed all'inizio del 69 Vitellio fu proclamato
imperatore a Colonia Agrippinense (l'odierna Colonia), o, più precisamente,
imperatore degli eserciti della Germania Inferiore e Superiore.
In effetti
non fu mai accettato come imperatore dall'intero mondo romano, anche se a Roma
il senato lo accettò e gli attribuì i consueti onori imperiali. Egli entrò
in Italia alla testa di soldati licenziosi e rozzi, e Roma divenne lo scenario
di rivolte e massacri, spettacoli di gladiatori e fasti stravaganti. Appena si
sparse la voce che gli eserciti dell'Est, Dalmazia e Illiria, avevano
acclamato Vespasiano, Vitellio, abbandonato da molti dei suoi sostenitori,
avrebbe voluto rinunciare al titolo di imperatore.
Si dice che
aspettasse le truppe di Vespasiano a Mevania (Bevagna). Si dice anche che le
sue dimissioni fossero accettate da Primo, uno dei capi dei sostenitori di
Vespasiano,ma che i pretoriani rifiutassero di permetterle, e lo
costringessero a rientrare al palazzo ed a depositare le insegne dell'Impero
presso il Tempio della Concordia. All'arrivo a Roma delle truppe di Vespasiano
fu trascinato fuori da un miserabile nascondiglio, portato sulle Scale Gemonie,
e gettato di sotto. "Si, io fui una volta il vostro imperatore",
furono le ultime e, per quanto si sa, le più nobili parole di Vitellio.
Durante la
sua breve amministrazione Vitellio aveva mostrato l'intenzione di governare
saggiamente, ma fu completamente sotto l'influenza di Valente e Cecina Alieno,
che lo indussero ad una sequenza di eccessi che misero completamente in
secondo piano le sue qualità.
Sarà alla
fine Vespasiano (comandante delle truppe imperiali stanziate in Giudea nel 66,
sostenuto dalle regioni orientali dell'Impero), a conquistare definitivamente
il potere. Come Vitellio, anche Vespasiano è stato acclamato princeps e
augusto dalle proprie truppe già prima di arrivare a Roma, e solo
successivamente, nel dicembre del 69, ha sancito tale carica sconfiggendo sul
campo il suo avversario.
Vespasiano
Cesare Vespasiano Augusto (17
novembre 9 - 23 giugno 79), nome originale Tito Flavio Vespasiano e più
conosciuto come Vespasiano, fu imperatore di Roma fra il 69 ed il 79. Fu il
fondatore della Dinastia Flavia e salì al trono alla fine dell'anno dei quattro imperatori.
Vespasiano
nacque in Sabina presso l'antico "Vicus Phalacrinae", corrispondente all'odierna cittadina di Cittareale (RI) nell
'
anno 9 d.C. da Flavio Sabino che era esattore di imposte e piccolo operatore
finanziario; la madre Vespasia Polla era sorella di un senatore.
Dopo aver servito nell'esercito in Tracia ed essere stato questore a Creta ed a Cirene (Libia),
Vespasiano divenne edile e pretore, avendo nel frattempo sposato Flavia
Domitilla, figlia di un cavaliere, da cui ebbe due figli: Tito e Domiziano, in
seguito imperatori, ed una figlia, Domitilla. La moglie e la figlia morirono
entrambe prima che lasciasse la magistratura.
Dopo aver servito nell'esercito in Germania, partecipò all'invasione romana della Britannia sotto l'Imperatore Claudio, dove si distinse nel comando della Legione II Augusta
sotto il comando di Aulo Plauzio. Egli sottomise l'Isola di Wight e penetrò fino ai confini del Somerset in Inghilterra. Nel 51
fu console; nel 63 andò come governatore in Africa dove, secondo Tacito, il
suo comportamento fu infame e odioso; secondo Svetonio, corretto e altamente
onorevole.
Fu
in Grecia al seguito di Nerone e, nel 66 fu incaricato della conduzione della
guerra in Giudea, che minacciava di espandersi a tutto l'oriente. Secondo lo scrittore Svetonio, una profezia conosciuta in tutte le
province orientali proclamava che dalla Giudea sarebbero venuti i futuri
governanti del mondo. Vespasiano probabilmente credeva che questa profezia si
applicasse a lui, e trovò un gran numero di presagi, oracoli e portenti per
rafforzare questa credenza.
Trovò anche incoraggiamento
da parte di Licinio Muciano, governatore della Siria; e malgrado la stretta
alla disciplina e la repressione di abusi, Vespasiano ebbe anche la devozione
dei soldati. In oriente tutti guardavano a lui; Muciano e le legioni della
Siria erano ansiosi di appoggiarlo; e mentre era a Cesarea, fu proclamato
imperatore (1 luglio 69) prima dall
'esercito in Egitto, e poi dalle sue truppe in Giudea (11 luglio).
Tuttavia Vitellio, che occupava il trono, aveva al fianco i veterani delle
legioni della Gallia e del Reno, le migliori truppe di Roma. Ma il favore
verso Vespasiano prese rapidamente a crescere e gli eserciti di Tracia,
Pannonia e Illiria presto lo acclamarono e di fatto lo fecero padrone di metà
del mondo romano.
Le sue truppe entrarono in
Italia dal Nord-Est sotto il comando di Antonio Primo, sconfissero l'esercito di Vitellio a Betriacum (o Bedriacum), saccheggiarono Cremona ed
avanzarono su Roma, dove entrarono dopo furiosi combattimenti ed una tremenda
confusione, durante la quale il Campidoglio venne distrutto dal fuoco.
IMPERATORE
- Ricevendo notizia del suo
rivale sconfitto ed ucciso ad Alessandria, il nuovo imperatore inviò a Roma
forniture di grano urgentemente necessarie, e contemporaneamente emise un
editto o dichiarazione di intenti, nel quale dava assicurazione di un completo
rovesciamento delle leggi di Nerone, specialmente di quelle relative al
tradimento. Si racconta che, mentre in Egitto visitava il tempio di Serapide,
ebbe una visione, e più tardi fu testimoniato da due operai che egli
possedeva poteri divini e poteva far miracoli.
Lasciando la guerra in Giudea
al figlio Tito, arrivò a Roma nel 70. Immediatamente consacrò le sue energie
a riparare i danni causati dalla guerra civile. Restaurò la disciplina nell'esercito che sotto Vitellio era stata piuttosto trascurata, e con la
cooperazione del senato, riportò il governo e le finanze su solide basi.
Ripristinò vecchie tasse e ne
introdusse di nuove, aumentò i tributi delle province, e tenne un occhio
attento sulle finanze pubbliche. Attraverso l'esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la
stravaganza dei nobili romani ed iniziò sotto molti aspetti un marcato
miglioramento del tono generale della società.
Come censore riformò il
Senato e l'ordine equestre, rimuovendone i membri inadatti e indegni e promuovendo uomini
abili ed onesti, tra i quali Gneo Giulio Agricola. Allo stesso tempo, rese
questi organismi più dipendenti dall'imperatore, esercitando la sua influenza sulla loro composizione.
Cambiò lo statuto della
guardia pretoriana, formata da nove corti in cui furono arruolati solo
italiani. Nel 70 fu soffocata una formidabile rivolta in Gallia comandata da
Giulio Civile e le frontiere in Germania divennero sicure; la guerra in Giudea
fu conclusa da Tito con la conquista di Gerusalemme nel 70, e negli anni
seguenti, dopo il trionfo congiunto di Vespasiano e Tito, memorabile come
prima occasione in cui padre e figlio furono associati nel trionfo, il Tempio
di Giano fu chiuso, ed il mondo romano fu in pace per i restanti nove anni del
regno di Vespasiano. La pace di Vespasiano divenne proverbiale.
Nel 78 Agricola andò in
Britannia ed estese e consolidò la presenza di Roma nella provincia,
spingendosi in armi fino al Galles settentrionale. L'anno seguente Vespasiano moriva il 23 giugno.
CARATTERE
ED EREDITA' DI VESPASIANO - Vespasiano fu generoso verso
senatori e cavalieri impoveriti, verso città e borghi devastati da calamità,
e specialmente verso uomini di lettere e filosofi, molti dei quali ricevettero
un vitalizio di più di mille pezzi d'oro all'anno. Si dice che Quintiliano fosse il primo pubblico insegnante a godere del
favore imperiale.
La grande opera di Plinio il
Vecchio, La Storia Naturale, fu scritta durante il regno di Vespasiano e
dedicata a suo figlio Tito. Alcuni filosofi, avendo parlato con rimpianto dei
tempi d'oro della Repubblica, e quindi indirettamente incoraggiato cospirazioni,
indussero Vespasiano a rimettere in vigore le leggi penali contro questa
professione ormai obsolete, ma solo uno, Elvidio Prisco, fu messo a morte,
perché aveva affrontato l'imperatore con insulti studiati. Molto danaro fu speso in lavori pubblici ed
in restauri e abbellimenti di Roma: un nuovo Foro, lo splendido Tempio della
Pace, bagni pubblici (che presero nome di "Vespasiani") e l'immenso Colosseo.
Infine, Vespasiano come
soldato non fu eccellente, ma dimostrò forza di carattere e abilità, ebbe un
continuo desiderio di stabilire ordine e sicurezza sociale per i suoi sudditi.
Fu puntuale e regolare nelle sue abitudini, occupandosi dei suoi uffici la
mattina di buon'ora e godendosi poi il riposo.
Egli praticamente non ebbe le
caratteristiche attese in un imperatore. Fu libero nella conversazione e nella
battuta, di cui era estimatore, ed aveva il gusto di atteggiarsi a buffone. Fu
capace di scherzare anche nei suoi ultimi momenti. Morì nella sua villa
presso le terme di Cotilia (nella provincia di Rieti).
Tito
Tito
Flavio Vespasiano, più noto semplicemente come Tito, (30 dicembre 39 - 13
settembre 81) resse l'Impero Romano dal 79 all'81. Figlio
maggiore dell'imperatore Vespasiano e di Flavia Domitilla, figlia di un
Cavaliere, durante il regno del padre fu da questi da subito designato suo
successore, mediante il conferimento della potestà tribunizia e della
prefettura del pretorio.
Mandato dal
padre in oriente, si distinse nella repressione della ribellione in Giudea (66
- 70), culminata con il sacco di Gerusalemme del 70. Alla morte del padre, nel
79, fu eletto imperatore, imponendo così, per breve tempo, il ritorno al
regime dinastico nella trasmissione del potere imperiale. La reputazione di
Tito fu migliorata dal contrasto col carattere di Domiziano, le cui
persecuzioni furono documentate dallo storico contemporaneo Tacito.
L'eruzione
del Vesuvio del 79 con la conseguente perdita di vite e prosperità nelle città
e comunità attorno al golfo di Napoli, ed un rovinoso incendio della città
di Roma verificatosi l'anno successivo, diedero infatti modo a Tito di
mostrare la propria generosità, contribuendo con le proprie ricchezze alla
riparazione dei danni. Questi episodi, ed il fatto che durante il suo
principato non fu emessa nessuna sentenza di condanna a morte, gli valsero
l'appellativo presso gli storici suoi contemporanei di "delizia del
genere umano".
Tacito
ridimensionerà questo appellativo sostenendo che il principato di Tito fu
piuttosto "felice nella sua brevità", dal momento che si concluse
con la sua morte nell'81. Durante il suo principato venne inaugurato il
Colosseo (80). L'arco di Tito, che si erge ad una delle entrate del Foro
Romano, ricorda il trionfo che gli fu tributato per aver soffocato la
ribellione in Giudea. Fu durante la ribellione di Gerusalemme che iniziò la
sua trama amorosa con Berenice di Cilicia. Il
suo regno vide anche la ribellione di Terenzio Massimo, il Falso Nerone.
Domiziano
Tito Flavio Domiziano (24 ottobre
51-18 settembre 96) fu Imperatore romano (14 settembre 81–18 settembre 96),
l'ultimo della dinastia flavia.
Domiziano nacque a Roma mentre
il padre, il futuro imperatore Vespasiano, era ancora uomo politico e
comandante militare. Ricevette l'educazione riservata ai giovani della classe senatoriale. Studiò retorica,
letteratura, legge e amministrazione. Nella sua biografia Svetonio lo descrive
come un adolescente istruito ed educato, dalla conversazione elegante. A
differenza di suo fratello Tito, molto più anziano di lui, non accompagnò il
padre nelle campagne nelle province africane ed in Giudea.
Durante l'anno dei quattro imperatori, Domiziano mantenne una posizione discreta e
defilata ma si trasferì nel palazzo imperiale appena il padre fu acclamato
imperatore. Fu il rappresentante della famiglia Flavia in Senato prima che
Vespasiano e Tito arrivassero a Roma. Con la salita al potere del padre,
Domiziano crebbe d'importanza.
Nel 70 fece in modo da
provocare il divorzio di Domizia Longina allo scopo di sposarla. Lucio Elio
Lamia, suo marito, non riuscì a contrastare i desideri del principe, e così
Domizia divenne nuora dell'imperatore. A dispetto dell'avventatezza iniziale, questa alleanza fu vantaggiosa per entrambe le parti.
Domizia Longina era la figlia unica del generale Gneo Domizio Corbulone, una
della vittime del terrore Neroniano, ricordato come valoroso comandante e
politico onorato. Essi ebbero un figlio nel 74 ed una figlia nel 74, ma
entrambi morirono giovani. Il loro matrimonio non fu certamente tradizionale:
Domiziano era notoriamente un donnaiolo e sua moglie non ne era gelosa. Alcune
fonti riferiscono che essa lo accompagnava volentieri nelle avventure con le
sue donne.
Come secondogenito, Domiziano
era libero da responsabilità. Resse alcuni consolati del tutto onorifici e
alcune cariche sacerdotali ma non incarichi dell'impero. Durante il regno del fratello Tito, la sua situazione rimase
sostanzialmente la stessa, sicché nessuno vide in lui il futuro imperatore.
Ma Domiziano aveva certamente le sue ambizioni. Mentre Tito stava morendo,
propiziò la sua scelta a successore assicurandosi il favore della Guardia
pretoriana.
IMPERO -
Alla morte del fratello Tito,
Domiziano fu quasi contento della scomparsa di due figure oppressori: il padre
Vespasiano e Tito erano visti da lui in questo modo. Si sentiva maltrattato
dal padre, che secondo lui privilegiava Tito. In un certo modo, egli volle
vendicarsi dei bistrattamenti che aveva dovuto subire. Assunse un
atteggiamento di poco rispetto verso il senato, considerandolo come un organo
nemico all'imperatore, composto da elementi che miravano solamente al proprio interesse
personale e che quindi combattevano tra loro. Maltrattò anche il consilium
precedentemente organizzato da Tito, prendendo decisioni per conto proprio.
Domiziano dimostrò
immediatamente di essere un disastro come amministratore. L'economia si arrestò e poi andò in recessione, costringendolo a svalutare il
denario d'argento. Per compensare ulteriormente la situazione economica, furono
aumentate le tasse e subito salì il malcontento. A causa del suo amore per l'arte ed a quello della popolazione, Domiziano investì grandi somme nella
ricostruzione e abbellimento della città che ancora mostrava gli effetti del
grande incendio di Roma del 64 e della guerra civile del 69. Circa cinquanta
nuovi edifici furono costruiti e restaurati, incluso il tempio di Giove sul
Campidoglio ed il palazzo sul Palatino.
Nell'85 Domiziano si autonominò censore a vita, questo ufficio comportava la
supervisione, sotto l'aspetto della moralità, del comportamento dei Romani. Verifica che con
difficoltà avrebbe potuto applicare a sé stesso. In quell'anno Domizia Longina fu sorpresa col suo amante, l'attore Paris. L'uomo fu messo a morte e l'imperatrice fu esiliata dopo un divorzio precipitoso. L'anno successivo, Domiziano sviluppò una passione per la nipote Giulia Flavia
(figlia di Tito) e, come nel suo primo matrimonio, egli si impadronì della
ragazza esautorandone il marito. Giulia Flavia morì nel 91 in seguito a un
aborto, e fu divinizzata. Dopo questo episodio, Domizia Longina fu richiamata
al palazzo come imperatrice, anche se di fatto Domiziano non la risposò.
Le maggiori passioni di
Domiziano furono le arti e gli spettacoli di giochi. Portò a termine la
costruzione del Colosseo, iniziata dal padre, e istituì i Giochi Capitolini
nell'86. Come i giochi olimpici, si tenevano ogni quattro anni ed includevano gare
di atletica e corse di carri, ma anche competizioni di oratoria, musica e
recitazione. L'imperatore stesso pagava il viaggio dei partecipanti da qualsiasi località
dell'impero e attribuiva i premi. Egli era inoltre appassionato degli spettacoli di
gladiatori ed apportò notevoli innovazioni come combattimenti di donne e
nani. Un'altra mania di Domiziano erano le forme di governo orientali: egli, infatti,
si rese odioso alle classi di Roma proprio perché si fece proclamare
"dominus et deus", proprio come un faraone.
Come comandante militare,
Domiziano non era granché dotato, a causa della sua formazione avvenuta a
Roma, lontano dalle legioni. forse a causa di ciò, l'imperatore limitò le imprese militari nel corso del suo regno. Egli si decretò
alcuni trionfi, formalmente sui Catti (Chatti, gli attuali Assiani) e sulla
Britannia, ma furono solo manovre propagandistiche, poiché queste guerre
erano già state combattute. Tuttavia alcune campagne furono fatte durante il
suo regno, specialmente sulla frontiera sul Danubio contro i Daci. Domiziano
inoltre fondò la I legione Minervia nell
'
82.Un altro provvedimento nella politica estera fu quello di pagare una somma
a Decebalo, re dei Daci, che potevano essere pericolosi poiché avrebbero
potuto metter in discussione il confine, affinché Decebalo non attaccasse
Roma.
Alla
fine del suo regno, che aveva cominciato con moderazione, Domiziano rivelò
una personalità crudele. Secondo numerose fonti, malgrado qualche dubbio
della comunità scientifica, ebrei e cristiani furono perseguitati durante il
suo regno. L'imperatore sviluppò addirittura una paranoia di persecuzione che lo indusse a
far uccidere molti membri degli ordini senatoriale ed equestre. A lui non
piacevano gli aristocratici e non temeva di dimostrarlo, rivedendo ogni
decisione presa dal senato. Ci furono ben tre congiure contro di lui, nell'83, 88 e 96, dove morì. Come risposta a queste persecuzioni, organizzò
violente persecuzioni, che decimarono la classe nobile ed estromisero tutti i
loro beni, usati in seguito per sanare l'erario dello Stato.
Domiziano fu assassinato nel
settembre del 96, in un complotto organizzato da senatori suoi nemici, Stefano
(amministratore della defunta Giulia Flavia), membri della Guardia pretoriana
e l'imperatrice Domizia Longina. Secondo gli storici romani, l'imperatore era convinto, a seguito di predizioni astrologiche, che sarebbe
morto intorno al mezzogiorno. Perciò egli era sempre a riposare in quelle ore
del giorno. Nel suo ultimo giorno Domiziano non si sentiva bene, e chiese
molte volte ad un servo che ora fosse. Il ragazzo, partecipando alla congiura,
mentì dicendo che era molto più tardi. Più a suo agio, l'imperatore si recò alla sua scrivania, per firmare documenti, ma lì fu
accoltellato otto volte da Stefano.
A Domiziano succedette Nerva nominato dal senato, e fu il primo dei cosiddetti
"Cinque buoni Imperatori"