Pampulha
è un sobborgo di Belo Horizonte, la capitale dello stato federale di
Minas Gerais in Brasile. Il viaggio da Belo Horizonte a Pampulha è
breve, ma permette di osservare uno spaccato veloce delle apparenze
visibili della urbanizzazione della capitale, dalla fine
dell’Ottocento ad oggi.
Partendo
dal centro, si percorre dapprima la strada più importante della città,
l’avenida Afonso Pena, una sorta di spina del sistema ortogonale della
fondazione originaria. Si attraversa il parque municipal (parco
municipale), la cui varietà di piante tropicali sconcerta il visitatore
europeo. Qui si è nel cuore di Belo Horizonte, nei pressi della
Estação Central (stazione centrale), in sottofondo il movimento
continuo dei viaggiatori provenienti dalle zone interne di Minas Gerais
e dei pendolari che si recano a lavorare nella capitale mineira.
Superata la linea sinuosa del circuito della Rodoviária (stazione degli
autobus per la regione) si è al di fuori del centro consolidato. Di qui
ha inizio la disseminazione dei sobborghi, dei bairros, termine che in
portoghese non designa però la “periferia” nel senso occidentale,
ma piuttosto un’idea più “neutra” di quartiere sub-urbano.
All’uscita
dal centro, il paesaggio cambia di aspetto e le grandi infrastrutture,
soprattutto stradali, si impongono allo sguardo. Non sono però ancora
luoghi di transito esclusivo, attraversati da soli veicoli. Masse, più
o meno numerose a seconda dell’ora del giorno e di altri
imperscrutabili (per me, almeno) eventi, percorrono le strade, i
passaggi pedonali sopraelevati ed il movimento fluido delle automobili
si oppone così al passo lento degli uomini.
Il
percorso verso Pampulha è costellato da bairros dai nomi più diversi,
tutti evocatori della brasilidade: Lagoinha, Bonfim, Concordia, Prado
Lopes, São Cristovão, Parque Rachuelo, Cachoeirinha, São Francisco.
Qui ha inizio il grande campus dell’Università federale di Minas
Gerais (UFMG), alla cui estremità è lo stadio, il Mineirão. Ma siamo
anche a Pampulha, il grande lago artificiale creato in origine (1938)
per l’approvvigionamento idrico della città, poi esteso per un
perimetro di circa 18 chilometri per insediarvi attività turistiche e
di svago.
Intorno
al lago di Pampulha, la municipalità prevedeva di realizzare un nuovo
bairro – all’inizio degli anni ‘40 – per assecondare lo sviluppo
urbanistico della città in direzione nord, per l’insediamento di ceti
della medio-alta borghesia, mentre i ceti operai venivano dislocati
nell’altro sobborgo contemporaneamente progettato della Cidade
Industrial (città industriale), nella zona di Contagem, ad ovest di
Belo Horizonte. Durante tutto il percorso, il rosso della terra di ferro
di Minas Gerais, e il cielo terso e le nuvole basse sull’orizzonte
tropicale.
Erano
i primi anni del regime di Getúlio Vargas, l’Estado Novo, complesso
coacervo di tradizione e modernità politica e sociale, autoritarismo e
populismo, che avrà notevoli ripercussioni anche sugli sviluppi
urbanistici delle città brasiliane dell’epoca e sulla formazione di
un nuovo linguaggio in architettura (così come, del resto, anche il
fascismo in Italia aveva svolto un ruolo preciso nel dibattito
sull’architettura e la città tra gli anni ‘20 e ‘40 del secolo
scorso).
Nella
tradizione delle città sudamericane, all’inizio del Novecento,
architetti ed urbanisti di fama mondiale, per lo più europei, venivano
invitati per studiare le possibilità di riorganizzazione e di crescita
dei centri urbani. A Rio de Janeiro fu la volta dei francesi : prima di
Alfred Agache (nel 1927), poi di Le Corbusier.
La
visita di Agache a Pampulha nel 1940, su invito di Juscelino Kubitschek
de Oliveira – prefetto di Belo Horizonte dal 1940 al 1945 ed in
seguito presidente della Repubblica – non provocò una reazione
positiva da parte dell’urbanista francese, a cui era stato richiesto
un parere sul progetto di crearvi il nuovo quartiere residenziale di
livello elevato della capitale mineira. Agache riteneva Pampulha la sede
ottimale per una “città satellite”, coerentemente del resto con gli
orientamenti dell’urbanistica “culturalista” europea del primo
quarantennio del XX secolo.
Le
indicazioni di Agache non trovarono tuttavia ascolto da parte di
Kubitschek, allora un giovane medico non ancora quarantenne che
vagheggiava un forte progetto di modernizzazione della capitale di Minas
Gerais. È proprio l’idea di modernità che regge il disegno del
prefetto. Gli interventi di modernizzazione non si limitarono al centro
della città, dove pure furono talvolta radicalmente innovatori.
Seguendo un programma organico di trasformazione ed adeguamento urbano,
Kubitschek cominciò con l’apertura al traffico dell’avenida do
Contorno, boulevard perimetrale alla città di fondazione, a cui era
affidato il compito di creare una effettiva relazione tra il centro ed i
bairros.
Il
decollo del nuovo quartiere di Pampulha avvenne con l’apertura
dell’avenida Pampulha (attuale av. Presidente Antônio Carlos), lungo
la quale venne direzionato lo sviluppo urbano verso nord. A Pampulha, la
costruzione di una diga, nel 1937, appariva la premessa per localizzarvi
un nuovo quartiere turistico e di svago a contatto con la natura, di cui
si avvertiva la mancanza nella capitale federale. L’opera venne in
seguito ampliata fino a formare un lago artificiale, ai margini del
quale si predisponevano lottizzazioni residenziali. L’apertura
dell’avenida Presidente Antônio Carlos assicurava, così, il
collegamento del nuovo bairro alla città di Belo Horizonte, rendendo il
nuovo centro di loisir immediatamente accessibile.
Il
progetto del complesso di Pampulha è avvolto in una sorta di leggenda.
Oscar Niemeyer venne invitato a Belo Horizonte dal prefetto Kubitschek,
che aveva già subito il fascino di un’opera dell’architetto
carioca, l’Hotel di Ouro Preto, progettato nella città barocca dello
stato mineiro nel 1938. All’epoca dell’invito a Belo Horizonte
Niemeyer è un architetto di trentatre anni.
La
“leggenda” dice ancora che Kubitschek, dopo aver visitato con
Niemeyer il sito di Pampulha, abbia chiesto all’architetto di
consegnargli il progetto complessivo del nuovo bairro per il giorno
seguente. E che Niemeyer vi abbia lavorato tutta la notte nella sua
camera del Grand Hotel di Belo Horizonte, portando a termine in quella
stessa notte il progetto d’insieme del complesso. In quella notte,
forse, Niemeyer fu guidato da una stella polare bifronte: la curva del
lago di Pampulha, che gli ricordava le curve della sua Rio e la logica
“paziente” di Le Corbusier, il suo maestro. Niemeyer sorprese senza
dubbio il prefetto che, più tardi, ricordava così il risultato della
storica notte d’hotel: “Mi sorprese con idee nuove, evidenti in quel
mare di fogli di carta. Non avevo mai visto un edificio con una rampa al
posto di una scala e ancor meno pareti di vetro invece che in mattoni.
Accettai immediatamente lo schizzo.”
Sono
almeno tre i progetti presenti nel curriculum di Niemeyer all’epoca di
Pampulha che occorre tenere presenti. Anzitutto l’Obra do Berço, un
asilo a Rio de Janeiro, primo progetto realizzato nel 1937. Quasi una
esercitazione sui “cinque punti” di Le Corbusier. In effetti ci sono
tutti: pilotis, pianta libera, facciata libera, finestra in lunghezza,
tetto giardino. Ma è anche una esercitazione sul tema del “linguaggio
moderno” – come in seguito sarà codificato da Bruno Zevi -, già,
tuttavia, secondo una declinazione brasiliana, che si potrà meglio
cogliere alla luce degli esiti futuri del lavoro di Niemeyer. Per la
prima volta in Brasile vengono utilizzati i brise-soleil, in moduli
verticali che disegnano plasticamente e matericamente la facciata, sotto
le modulazioni cangianti della luce tropicale. Qui il lessico modernista
internazionale si mescola alla cifra personale di Niemeyer, in un
“gioco sapiente” di volumi autonomi e insieme unitari, di forme
pure, di leggerezza. Non va poi trascurato un progetto del 1938, non
realizzato: quello della casa di Oswald de Andrade, uno dei più
importanti scrittori modernisti brasiliani, e della pittrice Tarsila do
Amaral.
La
ricerca di Niemeyer, a dispetto della piccola scala del progetto, compie
qui un ulteriore percorso, operando anzitutto sullo spazio continuo
della residenza e sull’impiego di elementi che saranno da lui ripresi
in altri progetti, come le pareti di vetro, le lastre di cemento, le
volte in cemento armato (nella chiesa di S. Francesco a Pampulha), la
scala elicoidale.

Del
1940 è il progetto del Grand Hotel de Ouro Preto, che rivela ancora
un’altra dimensione del lavoro dell’architetto brasiliano: il
dialogo con il contesto. Può risultare sorprendente un’attitudine di
questo tipo in un giovane architetto razionalista tra gli anni ‘30 e
‘40; ma ci si sorprenderà, del resto, anche scoprendo un’attenzione
viva verso gli elementi di preesistenza nei progetti urbani per Como di
un razionalista “puro e duro” come Terragni. Il blocco rettangolare
allungato, su pilotis, di Ouro Preto è un’opera “urbana”, in
relazione con gli edifici del XVIII secolo e, insieme, una esplorazione
profonda delle potenzialità della collocazione di un’architettura sul
terreno naturale.
Il
periodo compreso tra gli ultimi anni ‘30 ed i primi ‘40 vede
Niemeyer impegnato anche in altri due progetti, che possono definirsi
paradigmatici per la costruzione del linguaggio moderno brasiliano: il
Ministero della educazione e della sanità a Rio de Janeiro (1937-43) ed
il Padiglione del Brasile alla Esposizione di New York (1938-39). Il
primo, considerato unanimemente dalla critica come l’opera fondatrice
della architettura moderna in Brasile, fu elaborato da un’équipe
composta da Lucio Costa (capogruppo), Niemeyer, Affonso Reidy, Jorge
Moreira, Carlos Leão, Ernani Vasconcelos, con la consulenza di Le
Corbusier.
Niemeyer
arriva dunque a Pampulha con un patrimonio di esperienze notevolissimo.
Non solo, ma nel pieno di una ascesa folgorante verso la leadership nel
campo dell’architettura in Brasile, in tandem con Lucio Costa, che si
occuperà però piuttosto di progetti urbanistici come, in seguito, il
Plano piloto della nuova capitale Brasilia.
La
realizzazione del Grand Hotel di Ouro Preto aveva fatto conoscere
l’architetto carioca nello stato di Minas Gerais. Fu quasi naturale,
quindi, che Juscelino Kubitschek, prefetto dinamico e modernizzatore di
Belo Horizonte, affidasse a Niemeyer l’incarico di progettare il
complesso turistico e di svago di Pampulha. Il programma era ambizioso
ma, allo stesso tempo, semplice. Prevedeva cinque edifici: un casinò,
un club nautico, una sala da ballo, una chiesa, un hotel.
Quest’ultimo, insieme con la residenza privata del prefetto – che,
costruendo la sua casa del fine settimana a Pampulha, voleva dare
l’esempio alle classi agiate della capitale – rimasero solo allo
stato di progetto. La strategia dell’insediamento di Pampulha era
chiara : si trattava, infatti, di realizzarvi, all’inizio, degli
edifici che avrebbero richiamato una utenza ampia e differenziata,
condizione essenziale per una futura lottizzazione residenziale del
bairro. Il complesso affidato al progetto di Niemeyer, attrattore del
futuro sviluppo, richiamava per certi versi – come notava Mário
Pedrosa - le loucuras, “folies” suburbane dei nobili del Settecento,
costituendo tuttavia l’elemento propulsore di una strategia moderna di
sviluppo urbano.
Il
programma e la particolare conformazione del sito, un lago artificiale
– nel cui specchio d’acqua si riflettono i profili delle
architetture di Niemeyer – dai contorni sinuosi, immerso nella
lussureggiante vegetazione tropicale, facevano sì che l’architetto
dovesse confrontarsi con molti vincoli e richieste dettagliate. Di tutto
ciò egli seppe cogliere gli aspetti creativi, usando sapientemente le
condizioni contestuali, fino a renderle parte integrante della logica
progettuale del complesso.

Il
Cassino, attuale Museu de Arte Moderna, è l’opera nella quale
l’influenza di Le Corbusier si avverte con maggiore forza, insieme
anche alla ricerca di un superamento di certe soluzioni del maestro
svizzero-francese, attraverso l’impiego di elementi e materiali di
ispirazione tipicamente brasiliana, anzi mineira. Il casinò è composto
di tre corpi collegati fra loro, destinati ad alloggiare le principali
funzioni (sala da gioco, ristorante, bar, pista di danza e palco). I tre
corpi sono chiaramente distinti : quello rettangolare maggiore con le
funzioni principali, il rettangolare minore con i servizi, il corpo
cilindrico con il ristorante e la pista di danza. Se la distinzione dei
volumi è di marca ancora funzionalista, le interconnessioni tra i corpi
creano una profonda continuità distributiva e formale.
Le
colonne, rivestite di acciaio cromato – una allusione forse al
trattamento dei pilastri cruciformi del padiglione di Barcellona di Mies
– si riflettono, con il paesaggio circostante del lago, nelle pareti
coperte di specchi. Il tutto riverbera, nella luce tropicale, insieme al
marmo. Niemeyer sperimenta qui la dialettica tra elementi diversi ed
opposti, che sarà uno dei caratteri inconfondibili della sua
architettura: ortogonalità/curve, pieno/vuoto, opaco/trasparente,
materialità/leggerezza, immagine reale/immagine riflessa. La scultura
di Zamoiski, collocata all’entrata del casinò, ribadisce questa
dialettica tra gli opposti, recuperando un altro “espediente” già
di Mies nel padiglione di Barcellona (la scultura di Kolbe).
I
pilotis, le rampe, la scala elicoidale erano, invece, tutti elementi
desunti da Le Corbusier. In questa opera-manifesto di Niemeyer,
tuttavia, non si legge più una esercitazione (seppure di alto profilo)
sui “cinque punti” o sul linguaggio razionalista e purista di marca
europea, quanto piuttosto l’illustrazione, lucida e poetica, della sua
particolare interpretazione del modernismo come architettura delle
“forme libere” e plastiche.
Il
progetto del Padiglione brasiliano alla Esposizione di New York, in
corso di elaborazione con Lucio Costa, ritorna a Pampulha come
riferimento per la soluzione della sala da gioco, una sorta di invaso
scatolare vetrato con le rampe, le pareti rivestite di alabastro, le
colonne fasciate di metallo e gli specchi che smaterializzano le pareti,
riportando il dentro al di fuori, e viceversa.
Ma,
prima ancora del padiglione newyorkese, è la Villa Savoye di Le
Corbusier il modello a cui Niemeyer guarda progettando il casinò. La
brasilianità dell’opera – la brasilidade – è, però, non solo
nei rivestimenti esterni in maioliche (”azulejos”) della parete del
piano terra del piccolo corpo dei servizi, ma anche nella fusione tra i
volumi rettangolari e quello ovale, con la scala a fare da cerniera,
dove è l’immagine scenografica delle chiese barocche di Minas Gerais
a costituire il vero modello. Il trattamento della transizione tra i
corpi è probabilmente il tocco virtuosistico che Niemeyer si concede in
un progetto altrimenti “contenuto”, quasi purista.
Secondo
Kenneth Frampton, il casinò è il capolavoro assoluto di Niemeyer,
tutto giocato sul tema della promenade architecturale corbusieriana. Non
è difficile concordare almeno nel fatto che si tratta dell’opera
maggiore di Pampulha. Il casinò ebbe vita breve come casa da gioco. La
proibizione del gioco in Brasile durante il governo Dutra, infatti,
determinò la riconversione dell’edificio che, riaperto nel 1957,
divenne la sede del museo di arte moderna.
