Complesso Pampulha
Brasile

patrimonio dell'umanità dal 2016

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Pampulha è un sobborgo di Belo Horizonte, la capitale dello stato federale di Minas Gerais in Brasile. Il viaggio da Belo Horizonte a Pampulha è breve, ma permette di osservare uno spaccato veloce delle apparenze visibili della urbanizzazione della capitale, dalla fine dell’Ottocento ad oggi.

Partendo dal centro, si percorre dapprima la strada più importante della città, l’avenida Afonso Pena, una sorta di spina del sistema ortogonale della fondazione originaria. Si attraversa il parque municipal (parco municipale), la cui varietà di piante tropicali sconcerta il visitatore europeo. Qui si è nel cuore di Belo Horizonte, nei pressi della Estação Central (stazione centrale), in sottofondo il movimento continuo dei viaggiatori provenienti dalle zone interne di Minas Gerais e dei pendolari che si recano a lavorare nella capitale mineira. Superata la linea sinuosa del circuito della Rodoviária (stazione degli autobus per la regione) si è al di fuori del centro consolidato. Di qui ha inizio la disseminazione dei sobborghi, dei bairros, termine che in portoghese non designa però la “periferia” nel senso occidentale, ma piuttosto un’idea più “neutra” di quartiere sub-urbano.

All’uscita dal centro, il paesaggio cambia di aspetto e le grandi infrastrutture, soprattutto stradali, si impongono allo sguardo. Non sono però ancora luoghi di transito esclusivo, attraversati da soli veicoli. Masse, più o meno numerose a seconda dell’ora del giorno e di altri imperscrutabili (per me, almeno) eventi, percorrono le strade, i passaggi pedonali sopraelevati ed il movimento fluido delle automobili si oppone così al passo lento degli uomini.

Il percorso verso Pampulha è costellato da bairros dai nomi più diversi, tutti evocatori della brasilidade: Lagoinha, Bonfim, Concordia, Prado Lopes, São Cristovão, Parque Rachuelo, Cachoeirinha, São Francisco. Qui ha inizio il grande campus dell’Università federale di Minas Gerais (UFMG), alla cui estremità è lo stadio, il Mineirão. Ma siamo anche a Pampulha, il grande lago artificiale creato in origine (1938) per l’approvvigionamento idrico della città, poi esteso per un perimetro di circa 18 chilometri per insediarvi attività turistiche e di svago. 

Intorno al lago di Pampulha, la municipalità prevedeva di realizzare un nuovo bairro – all’inizio degli anni ‘40 – per assecondare lo sviluppo urbanistico della città in direzione nord, per l’insediamento di ceti della medio-alta borghesia, mentre i ceti operai venivano dislocati nell’altro sobborgo contemporaneamente progettato della Cidade Industrial (città industriale), nella zona di Contagem, ad ovest di Belo Horizonte. Durante tutto il percorso, il rosso della terra di ferro di Minas Gerais, e il cielo terso e le nuvole basse sull’orizzonte tropicale.

Erano i primi anni del regime di Getúlio Vargas, l’Estado Novo, complesso coacervo di tradizione e modernità politica e sociale, autoritarismo e populismo, che avrà notevoli ripercussioni anche sugli sviluppi urbanistici delle città brasiliane dell’epoca e sulla formazione di un nuovo linguaggio in architettura (così come, del resto, anche il fascismo in Italia aveva svolto un ruolo preciso nel dibattito sull’architettura e la città tra gli anni ‘20 e ‘40 del secolo scorso).

Nella tradizione delle città sudamericane, all’inizio del Novecento, architetti ed urbanisti di fama mondiale, per lo più europei, venivano invitati per studiare le possibilità di riorganizzazione e di crescita dei centri urbani. A Rio de Janeiro fu la volta dei francesi : prima di Alfred Agache (nel 1927), poi di Le Corbusier.

La visita di Agache a Pampulha nel 1940, su invito di Juscelino Kubitschek de Oliveira – prefetto di Belo Horizonte dal 1940 al 1945 ed in seguito presidente della Repubblica – non provocò una reazione positiva da parte dell’urbanista francese, a cui era stato richiesto un parere sul progetto di crearvi il nuovo quartiere residenziale di livello elevato della capitale mineira. Agache riteneva Pampulha la sede ottimale per una “città satellite”, coerentemente del resto con gli orientamenti dell’urbanistica “culturalista” europea del primo quarantennio del XX secolo.

Le indicazioni di Agache non trovarono tuttavia ascolto da parte di Kubitschek, allora un giovane medico non ancora quarantenne che vagheggiava un forte progetto di modernizzazione della capitale di Minas Gerais. È proprio l’idea di modernità che regge il disegno del prefetto. Gli interventi di modernizzazione non si limitarono al centro della città, dove pure furono talvolta radicalmente innovatori. Seguendo un programma organico di trasformazione ed adeguamento urbano, Kubitschek cominciò con l’apertura al traffico dell’avenida do Contorno, boulevard perimetrale alla città di fondazione, a cui era affidato il compito di creare una effettiva relazione tra il centro ed i bairros.

Il decollo del nuovo quartiere di Pampulha avvenne con l’apertura dell’avenida Pampulha (attuale av. Presidente Antônio Carlos), lungo la quale venne direzionato lo sviluppo urbano verso nord. A Pampulha, la costruzione di una diga, nel 1937, appariva la premessa per localizzarvi un nuovo quartiere turistico e di svago a contatto con la natura, di cui si avvertiva la mancanza nella capitale federale. L’opera venne in seguito ampliata fino a formare un lago artificiale, ai margini del quale si predisponevano lottizzazioni residenziali. L’apertura dell’avenida Presidente Antônio Carlos assicurava, così, il collegamento del nuovo bairro alla città di Belo Horizonte, rendendo il nuovo centro di loisir immediatamente accessibile.

Il progetto del complesso di Pampulha è avvolto in una sorta di leggenda. Oscar Niemeyer venne invitato a Belo Horizonte dal prefetto Kubitschek, che aveva già subito il fascino di un’opera dell’architetto carioca, l’Hotel di Ouro Preto, progettato nella città barocca dello stato mineiro nel 1938. All’epoca dell’invito a Belo Horizonte Niemeyer è un architetto di trentatre anni.

La “leggenda” dice ancora che Kubitschek, dopo aver visitato con Niemeyer il sito di Pampulha, abbia chiesto all’architetto di consegnargli il progetto complessivo del nuovo bairro per il giorno seguente. E che Niemeyer vi abbia lavorato tutta la notte nella sua camera del Grand Hotel di Belo Horizonte, portando a termine in quella stessa notte il progetto d’insieme del complesso. In quella notte, forse, Niemeyer fu guidato da una stella polare bifronte: la curva del lago di Pampulha, che gli ricordava le curve della sua Rio e la logica “paziente” di Le Corbusier, il suo maestro. Niemeyer sorprese senza dubbio il prefetto che, più tardi, ricordava così il risultato della storica notte d’hotel: “Mi sorprese con idee nuove, evidenti in quel mare di fogli di carta. Non avevo mai visto un edificio con una rampa al posto di una scala e ancor meno pareti di vetro invece che in mattoni. Accettai immediatamente lo schizzo.”

Sono almeno tre i progetti presenti nel curriculum di Niemeyer all’epoca di Pampulha che occorre tenere presenti. Anzitutto l’Obra do Berço, un asilo a Rio de Janeiro, primo progetto realizzato nel 1937. Quasi una esercitazione sui “cinque punti” di Le Corbusier. In effetti ci sono tutti: pilotis, pianta libera, facciata libera, finestra in lunghezza, tetto giardino. Ma è anche una esercitazione sul tema del “linguaggio moderno” – come in seguito sarà codificato da Bruno Zevi -, già, tuttavia, secondo una declinazione brasiliana, che si potrà meglio cogliere alla luce degli esiti futuri del lavoro di Niemeyer. Per la prima volta in Brasile vengono utilizzati i brise-soleil, in moduli verticali che disegnano plasticamente e matericamente la facciata, sotto le modulazioni cangianti della luce tropicale. Qui il lessico modernista internazionale si mescola alla cifra personale di Niemeyer, in un “gioco sapiente” di volumi autonomi e insieme unitari, di forme pure, di leggerezza. Non va poi trascurato un progetto del 1938, non realizzato: quello della casa di Oswald de Andrade, uno dei più importanti scrittori modernisti brasiliani, e della pittrice Tarsila do Amaral.

La ricerca di Niemeyer, a dispetto della piccola scala del progetto, compie qui un ulteriore percorso, operando anzitutto sullo spazio continuo della residenza e sull’impiego di elementi che saranno da lui ripresi in altri progetti, come le pareti di vetro, le lastre di cemento, le volte in cemento armato (nella chiesa di S. Francesco a Pampulha), la scala elicoidale.

Del 1940 è il progetto del Grand Hotel de Ouro Preto, che rivela ancora un’altra dimensione del lavoro dell’architetto brasiliano: il dialogo con il contesto. Può risultare sorprendente un’attitudine di questo tipo in un giovane architetto razionalista tra gli anni ‘30 e ‘40; ma ci si sorprenderà, del resto, anche scoprendo un’attenzione viva verso gli elementi di preesistenza nei progetti urbani per Como di un razionalista “puro e duro” come Terragni. Il blocco rettangolare allungato, su pilotis, di Ouro Preto è un’opera “urbana”, in relazione con gli edifici del XVIII secolo e, insieme, una esplorazione profonda delle potenzialità della collocazione di un’architettura sul terreno naturale.

Il periodo compreso tra gli ultimi anni ‘30 ed i primi ‘40 vede Niemeyer impegnato anche in altri due progetti, che possono definirsi paradigmatici per la costruzione del linguaggio moderno brasiliano: il Ministero della educazione e della sanità a Rio de Janeiro (1937-43) ed il Padiglione del Brasile alla Esposizione di New York (1938-39). Il primo, considerato unanimemente dalla critica come l’opera fondatrice della architettura moderna in Brasile, fu elaborato da un’équipe composta da Lucio Costa (capogruppo), Niemeyer, Affonso Reidy, Jorge Moreira, Carlos Leão, Ernani Vasconcelos, con la consulenza di Le Corbusier.

Niemeyer arriva dunque a Pampulha con un patrimonio di esperienze notevolissimo. Non solo, ma nel pieno di una ascesa folgorante verso la leadership nel campo dell’architettura in Brasile, in tandem con Lucio Costa, che si occuperà però piuttosto di progetti urbanistici come, in seguito, il Plano piloto della nuova capitale Brasilia.

La realizzazione del Grand Hotel di Ouro Preto aveva fatto conoscere l’architetto carioca nello stato di Minas Gerais. Fu quasi naturale, quindi, che Juscelino Kubitschek, prefetto dinamico e modernizzatore di Belo Horizonte, affidasse a Niemeyer l’incarico di progettare il complesso turistico e di svago di Pampulha. Il programma era ambizioso ma, allo stesso tempo, semplice. Prevedeva cinque edifici: un casinò, un club nautico, una sala da ballo, una chiesa, un hotel. Quest’ultimo, insieme con la residenza privata del prefetto – che, costruendo la sua casa del fine settimana a Pampulha, voleva dare l’esempio alle classi agiate della capitale – rimasero solo allo stato di progetto. La strategia dell’insediamento di Pampulha era chiara : si trattava, infatti, di realizzarvi, all’inizio, degli edifici che avrebbero richiamato una utenza ampia e differenziata, condizione essenziale per una futura lottizzazione residenziale del bairro. Il complesso affidato al progetto di Niemeyer, attrattore del futuro sviluppo, richiamava per certi versi – come notava Mário Pedrosa - le loucuras, “folies” suburbane dei nobili del Settecento, costituendo tuttavia l’elemento propulsore di una strategia moderna di sviluppo urbano.

Il programma e la particolare conformazione del sito, un lago artificiale – nel cui specchio d’acqua si riflettono i profili delle architetture di Niemeyer – dai contorni sinuosi, immerso nella lussureggiante vegetazione tropicale, facevano sì che l’architetto dovesse confrontarsi con molti vincoli e richieste dettagliate. Di tutto ciò egli seppe cogliere gli aspetti creativi, usando sapientemente le condizioni contestuali, fino a renderle parte integrante della logica progettuale del complesso.

Il Cassino, attuale Museu de Arte Moderna, è l’opera nella quale l’influenza di Le Corbusier si avverte con maggiore forza, insieme anche alla ricerca di un superamento di certe soluzioni del maestro svizzero-francese, attraverso l’impiego di elementi e materiali di ispirazione tipicamente brasiliana, anzi mineira. Il casinò è composto di tre corpi collegati fra loro, destinati ad alloggiare le principali funzioni (sala da gioco, ristorante, bar, pista di danza e palco). I tre corpi sono chiaramente distinti : quello rettangolare maggiore con le funzioni principali, il rettangolare minore con i servizi, il corpo cilindrico con il ristorante e la pista di danza. Se la distinzione dei volumi è di marca ancora funzionalista, le interconnessioni tra i corpi creano una profonda continuità distributiva e formale.

Le colonne, rivestite di acciaio cromato – una allusione forse al trattamento dei pilastri cruciformi del padiglione di Barcellona di Mies – si riflettono, con il paesaggio circostante del lago, nelle pareti coperte di specchi. Il tutto riverbera, nella luce tropicale, insieme al marmo. Niemeyer sperimenta qui la dialettica tra elementi diversi ed opposti, che sarà uno dei caratteri inconfondibili della sua architettura: ortogonalità/curve, pieno/vuoto, opaco/trasparente, materialità/leggerezza, immagine reale/immagine riflessa. La scultura di Zamoiski, collocata all’entrata del casinò, ribadisce questa dialettica tra gli opposti, recuperando un altro “espediente” già di Mies nel padiglione di Barcellona (la scultura di Kolbe).

I pilotis, le rampe, la scala elicoidale erano, invece, tutti elementi desunti da Le Corbusier. In questa opera-manifesto di Niemeyer, tuttavia, non si legge più una esercitazione (seppure di alto profilo) sui “cinque punti” o sul linguaggio razionalista e purista di marca europea, quanto piuttosto l’illustrazione, lucida e poetica, della sua particolare interpretazione del modernismo come architettura delle “forme libere” e plastiche.

Il progetto del Padiglione brasiliano alla Esposizione di New York, in corso di elaborazione con Lucio Costa, ritorna a Pampulha come riferimento per la soluzione della sala da gioco, una sorta di invaso scatolare vetrato con le rampe, le pareti rivestite di alabastro, le colonne fasciate di metallo e gli specchi che smaterializzano le pareti, riportando il dentro al di fuori, e viceversa.

Ma, prima ancora del padiglione newyorkese, è la Villa Savoye di Le Corbusier il modello a cui Niemeyer guarda progettando il casinò. La brasilianità dell’opera – la brasilidade – è, però, non solo nei rivestimenti esterni in maioliche (”azulejos”) della parete del piano terra del piccolo corpo dei servizi, ma anche nella fusione tra i volumi rettangolari e quello ovale, con la scala a fare da cerniera, dove è l’immagine scenografica delle chiese barocche di Minas Gerais a costituire il vero modello. Il trattamento della transizione tra i corpi è probabilmente il tocco virtuosistico che Niemeyer si concede in un progetto altrimenti “contenuto”, quasi purista.

Secondo Kenneth Frampton, il casinò è il capolavoro assoluto di Niemeyer, tutto giocato sul tema della promenade architecturale corbusieriana. Non è difficile concordare almeno nel fatto che si tratta dell’opera maggiore di Pampulha. Il casinò ebbe vita breve come casa da gioco. La proibizione del gioco in Brasile durante il governo Dutra, infatti, determinò la riconversione dell’edificio che, riaperto nel 1957, divenne la sede del museo di arte moderna.