- Noto
antica
Noto
antica ovvero Netum, è l'antico abitato di Noto distrutto
a seguito del terremoto
dell'11 gennaio 1693. Municipium sotto il dominio dei
Romani, capovalle dalla dominazione araba in poi e fregiata del titolo di Civitas
ingegnosa da Ferdinando
il Cattolico, fu patria di molti elementi di spicco fra il XIV e il XVI
secolo, nonché uno dei principali centri culturali, militari ed economici
della Sicilia sud-orientale. Circondata da imponenti mura (molte delle quali
ancora in piedi) e da profonde vallate del monte Alveria, non fu mai presa
con la forza. Solo il violento terremoto del 1693 riuscì a distruggerla,
causando nel Val
di Noto oltre 60 mila vittime.
Il
primo insediamento umano nella zona risalirebbe all'età
del bronzo antico (XVIII-XV sec. a.C.) della civiltà
di Castelluccio, ma sono anche presenti tracce della Civiltà di
Finocchito del VIII-VII secolo a.C. Nel V secolo a.C. Ducezio,
il Re dei Siculi, in vista della guerra contro gli invasori greci, avrebbe
trasferito Neai (che gli avrebbe dato i natali), di incerta
collocazione, dal colle della Mendola, nell'altipiano dell'Alveria, un
singolare monte cuoriforme, circondata da profonde gole che la rendevano
imprendibile, fuorché per uno stretto istmo che venne fortificato. Recenti
studi tenderebbero ad escludere la cittadinanza netina di Ducezio e quindi
il trasferimento di Noto. È comunque accertato che il Monte Alveria era
abitato fin da epoca preistorica e che successivamente fu sede di diverse
comunità sicule a partire dal IX secolo a.C. Il ginnasio,
gli heroa,
le vaste necropoli a fossa, i templi e i teatri di cui si ha notizia,
indicano l'alta considerazione di cui la città sicula godette da parte dei
conquistatori greci, dei quali assimilò culto e costumi.
Nel
263 a.C. Neaiton
viene assegnata da Roma a Ierone
II tiranno di Siracusa,
ma gode, forse in considerazione dell'origine latina dei siculi, di una
certa autonomia che più tardi si concreta in un patto federativo con Roma, che la equipara alle due altre città federate della
Sicilia: Messina e Taormina.
I Netini tengono sempre in gran conto la loro posizione di alleati dei
Romani e nel 70
a.C., come riferisce Cicerone,
figurano tra i più fieri accusatori nel processo celebrato contro il
propretore Caio
Verre che aveva preteso indebitamente da loro il pagamento della
decuma. Anche in epoca imperiale continua il favore di Roma che conferisce a
Noto lo status di municipium, esentandola dal pagamento dello stipendium.
Dell'età romana sopravvivono scarsissime testimonianze, mentre il buio più
completo copre il periodo tardo-antico e l'Alto Medioevo fino al IX secolo.
Non mancano tuttavia, sparsi sull'Alveria, diversi quartieri rupestri,
probabilmente bizantini, un ipogeo cristiano di discrete proporzioni (Grotta
delle 100 bocche) e una catacomba ebraica (Grotta del Carciofo).
Netum si
arrende nell'864 agli
assedianti comandati da Cafag
Ibn Sofian. Poco dopo riesce comunque a scrollarsi il giogo, per
ricadervi definitivamente due anni dopo. Nel X
secolo l'isola venne divisa in tre Valli, preponendo
Noto ad una di esse. Gli invasori danno un impulso all'agricoltura e ai
commerci, impiantano vasti agrumeti, introducono l'industria della seta.
È
solo con l'epoca normanna che si chiude il lungo vuoto storico. I normanni
fanno della città una roccaforte munita e la chiamarono con quello che
poi sarà il suo nome definitivo, Noto. In quell'epoca la città
inizia la propria rinascita: abbastanza tolleranti in fatto di religione, i
normanni danno un impulso grandioso ai commerci.
Ruggero
il Normanno nel 1091 la
assegna al figlio Giordano col titolo di Duca. Egli intraprende la
ricostruzione del poderoso castello sull'Istmo e la fondazione di varie
chiese al fine di favorire il rifiorire del Cristianesimo.
Più tardi il geografo arabo Edrisi, vissuto alla corte di Ruggero
II di Sicilia, accenna con ammirazione alla bellezza ed opulenza della
città e alla sua importanza strategica.
Sotto
Guglielmo il Malo, morto il Duca Giordano, Noto è infeudata al conte
Goffredo di Montescaglioso, ma in seguito gli è confiscata. Agli inizi del
XIII secolo è governata dal conte Isimbardo Morengia, che nel 1212 fonda il
monastero cistercense di S. Maria dell'Arco, con una dote di quattro feudi.
Nulla sappiamo sull'infausto periodo angioino; un'insicura tradizione vuole
che Noto abbia seguito l'esempio di altre città siciliane, trucidando il
presidio francese di Faramondo d'Artois (2 aprile 1282).
Passato
il dominio dell'isola agli Aragonesi, Noto è governata da Guglielmo
Calcerando, Vicario del Re Pietro
II. Inizia col XIV secolo un periodo contrassegnato da continue lotte
civili fra partigiani degli aragonesi e degli angioini, che invano tentano
la riconquista dell'isola. Malgrado il tradimento del castellano Ugolino
Callari che la consegna a Roberto
II d'Artois nel 1300,
la città si mantiene fedele agli aragonesi.
Consolidatasi la nuova dinastia
Noto non tarda a ricevere ricompense e onori. Nel 1335 riceve
la visita di Federico
III, nel 1341 ottiene
l'approvazione della codificazione delle proprie Consuetudini (che pertanto
acquistano forza di legge), nel 1353 accoglie
festante anche il giovane re Ludovico, che le concede privilegi e immunità.
Frattanto, verso il 1330, era venuto a Noto il nobile piacentino Corrado
Confalonieri che a seguito di una disavventura di caccia si era
dato a vita eremitica. In seguito egli si era ritirato nella solitudine di
una grotta, in una valle a qualche chilometro dalla città, morendovi nel 1351 in
fama di santità; egli sarebbe diventato il Santo Patrono di Noto.
Per
tutto il Trecento continuano le lotte intestine fra gli Alagona e i
Landolina, filoaragonesi, e i Chiaramonte, filofrancesi. Solo con l'avvento
dei Martini, che cercano di restaurare il prestigio della monarchia, e
specialmente con Alfonso il Magnanimo, la città conosce periodi di relativa
tranquillità. In quegli anni anzi esprime un Viceré nella persona di Nicolò
Speciale, personaggio di primo piano nella scena politica siciliana.
Anche nel campo economico Noto attraversa un periodo di floridezza, favorita
da tutta una serie di privilegi e di esenzioni da dazi e gabelle. Alfonso
però, revocando il privilegio di perpetua demanialità concesso da Martino
il Giovane, dona la città al fratello Pietro col titolo di Duca.
I Netini
non sopportano la soggezione ad un signore e insorgono in difesa della loro
libertà. Poi si giunge ad un onorevole compromesso: nella signoria della
città dovranno succedersi solo i discendenti maschi del Duca Pietro. Ma
quest'ultimo muore dopo pochi anni senza figli e la città torna
definitivamente al regio demanio. In questo periodo i Netini tentano di
ottenere l'istituzione della diocesi e l'erezione ad università del
prestigioso convento
di San Domenico, ma fra vari intrighi, la pratica venne archiviata.
Per
tutto il Quattrocento Noto conosce tempi di prosperità e splendore. I
sovrani le accordano numerosi privilegi politici e mercantili; nel 1503, Ferdinando
il Cattolico la insignisce del titolo di Civitas Ingeniosa in
riconoscimento degli elevati ingegni che in ogni campo aveva prodotto.
Invece il Cinquecento, pur portando Noto a più alti livelli di prestigio,
specie nel campo culturale e politico, fu in complesso un secolo molto
felice. Le carestie e le pestilenze (la più terribile del 1522),
le feroci lotte fra le fazioni di nobili, il pericolo delle scorrerie
barbaresche rappresentano fattori negativi che incidono sullo sviluppo della
città, che pure si dedica ad importanti opere di abbellimento del suo volto
e vede confermata la propria importanza strategica con il potenziamento
delle difese militari ordinato dal Viceré Gonzaga nel 1542.
Nel XVII
secolo si assiste ad un lento decadimento della città che accentua
la sua caratteristica feudale e monastica. Il suo immenso territorio
agricolo, ricco di 80 feudi, non produce più le risorse di un tempo. Ancora
fiorenti sono invece le varie categorie artigiane che operano lungo la valle
dell'Asinaro, nel versante occidentale dell'Alveria. Abbastanza ricca
l'aristocrazia che però non riesce più ad esprimere una classe politica
vigile ed esperta, come era stato un tempo. Dal punto di vista militare Noto
è ancora un castello importantissimo e durante la guerra franco-spagnola
ospita un forte contingente i truppe nel 1675.
Pochissime le personalità di spicco nel campo culturale, mentre sorge
un'Accademia dei Trasformati, con indirizzo filosofico-teologico, che è un
po' il simbolo della generale decadenza di un'epoca.
L'11
gennaio 1693 la
città, all'apogeo del suo splendore e della sua grandezza, è rasa quasi
completamente al suolo da uno spaventoso terremoto.

In
epoca preistorica il monte Alveria era costellato da piccoli nuclei
abitativi, costituiti principalmente da capanne, separati ed indipendenti
gli uni dagli altri. Un primo nucleo cittadino fu probabilmente fondato in
età ellenica, in un piano più basso della montagna che si affaccia sulla
valle del Durbo, come testimoniano i resti dell'antica Agorà,
del Ginnasio e
degli Heroon.
L'insediamento era protetto da mura megalitiche, di cui sono visibili ancora
alcuni tratti. Vincenzo
Littara, nel suo De Rebus Netinis, descrisse che al secolo
XVI (in cui visse) il nucleo greco conservava ancora quasi del tutto la sua
primitiva fisionomia.
Durante
l'età Romana, probabilmente, incominciò ad essere abitata anche la sommità
della montagna.
Sotto
la dominazione normanna l'intera montagna venne fortificata con poderose
mura, mentre i quartieri sulla sommità si espandono ed assumono un ruolo
centrale, essendo proprio lì il castello ed altri importanti edifici.
Nel
medioevo la città si arricchisce di Chiese e si allarga la piazza maggiore,
la città è suddivisa in tre piani, dove sorgevano anche le uniche tre
piazze della città: piano del Crocifisso, piano Maggiore e piano Santa
Venera. La città è attraversata da un serpeggiante asse principale
denominato via piana o Cassaro. La fisionomia
della città era del tutto simile a quella delle altre città medievali
dell'epoca.
Nel
XVII secolo, la città si arricchisce ulteriormente di monumenti, e molti
dei restanti vengono abbelliti secondo i canoni del nuovo stile barocco.
Alla vigilia del terremoto, contava 14.416 case, anche se l'estremità sud
(i "lobi" del monte cuoriforme) non era abitata, ma vi erano
ancora terreni coltivabili.
La
natura medievale dell'impianto urbanistico e quella geologica del terreno
furono una delle cause più importanti dell'abbandono del vecchio sito,
visto che a causa di questi problemi era pressoché impossibile ricostruire
la città secondo i canoni urbanistici della fine del XVII secolo.
Architetture
religiose
Eremo
e chiesa di Santa Maria della Provvidenza - Nella
parte meridionale e più esterna di Noto Antica si trova l'eremo e la chiesa
di Santa Maria della Provvidenza costruito nel 1723 sulle rovine
di un precedente eremo distrutto dal terremoto. L'eremo venne occupato dalle
Suore Carmelitane che lo gestirono sino al 1800 quando la struttura venne
abbandonata.
Oggi il complesso resta in stato di degrado, ma all'interno si
conservano sia il convento che la chiesa. Nella chiesa, danneggiata dal
tempo e da atti di vandalismo sono visibili degli eleganti stucchi e dipinti
sulle volte. La facciata della chiesa è in stile barocco.
Chiesa
Maggiore
- Noto
aveva chiese nobilissime, la più splendida delle quali (racconta Rocco
Pirri) era la chiesa madre detta Chiesa Maggiore (retta a
collegiata agli inizi del XVII secolo) che era intitolata (come quella
attuale) a San Nicolò. La chiesa si ritiene essere fondata intorno al
periodo della cacciata dei saraceni dal Conte Ruggero I il
normanno.
La chiesa custodiva l'urna di san Corrado Confalonieri (oggi
custodite nella cattedrale della nuova città).
Chiesa
di Sant'Elia
- Costruita
su una ben più antica struttura, si ritiene una torretta di guardia per
sorvegliare la costa prossima al Pachino, caratterizzata da grandi blocchi
di pietra squadrati messi uno sopra l'altro senza calce, il prospetto della
chiesa di Sant'Elia, seppur di piccole dimensioni, era unico in
Sicilia.
Una lapide sulla facciata ricordava: «Quella che una volta fu
opera faticosa di giganti, è ora chiesa in cui si è cominciato a venerare
Elia vivente».
La
chiesetta era dedicata a Sant'Elia di Noto, un eremita vissuto nell'omonima
contrada odierna e morto in odore di santità (intorno al 1100?), e fu
probabilmente una delle prime chiese (a parte, forse, quella Maggiore) ad
essere costruita a Noto Antica.
Alla vigilia del terremoto del 1693 risultava
chiusa da tempo, e non è dato sapere se al suo interno fossero custodite le
spoglie del Santo.
Chiesa
del Carmine
- Costruita nei primi anni del 1600 su una preesistente chiesa, mostra una
struttura a tre navate con due filari di colonne. Della chiesa restano parte
delle mura, i basamenti delle colonne e le tombe con i resti dei frati
Carmelitani.
Sono visibili i contorni delle tombe con bassorilievi che
rappresentano le ossa incrociate.
Monastero
cistercense di Santa Maria dell'Arco
- Il
monastero cistercense di Santa Maria dell'Arco fu fondato a 6 miglia dalla
città, verso nord come filiazione di Ferraria, linea Clairvaux.
Nel cenobio della chiesa di veneravano le reliquie del Beato Nicolò da
Noto, dello stesso ordine, alcune delle quali erano racchiuse in teche
d'argento.
Convento
e chiesa dei Gesuiti
- Di fronte alle rovine del Palazzo Belludia si trova il
complesso del convento e della vicina chiesa dei Gesuiti completati
nel 1606 su progetto dell'architetto maltese Masuccio da
Malta. Gli edifici furono finanziati da Carlo Giavanti, Barone del Feudo di
Bussello.
Dei resti sono chiaramente visibili una parete laterale del
convento e i basamenti delle colonne della chiesa probabilmente a tre
navate.

Palazzi
e Fortificazioni
La villa
del Tellàro è
una ricca residenza extraurbana della tarda età imperiale
romana. I resti, rinvenuti a partire dal 1971, si trovano in un fertile
comprensorio agricolo, su una bassa elevazione presso il fiume Tellaro,
sotto una masseria sette-ottocentesca.
Il
corpo centrale della villa, più piccola di quella
di Patti, si articola intorno ad un vasto peristilio.
Il tratto del portico sul lato settentrionale presentava una pavimentazione
a mosaico con
festoni d'alloro che formano cerchi e ottagoni con i lati inflessi
includenti motivi geometrici e floreali e su di esso si affacciano altri due
ambienti che conservano i mosaici figurati.
Nel
primo di questi ambienti il mosaico conserva un pannello con la scena del
riscatto del corpo di Ettore: Ulisse, Achille e Diomede, identificati da
iscrizioni in greco, sono impegnati nella pesatura del cadavere
dell'eroe. La figura di Priamo è perduta; il corpo di Ettore, frammentario,
si trovava su un piatto della bilancia; l'oro del riscatto era nell'altro
piatto. piatto. Quest'episodio, non ricordato nell'Iliade di Omero, deriva
probabilmente da una tragedia di Eschilo.
Il
pavimento musivo del secondo ambiente presenta una scena di
caccia, con un banchetto all'aria aperta tra gli alberi ed una figura
femminile interpretata come personificazione dell'Africa.
Le
scene del secondo ambiente richiamano i mosaici di caccia della Villa
del Casale a Piazza
Armerina, ma con figure più stilizzate e bidimensionali, dalle
proporzioni incerte, che rendono l'effetto grandemente diverso.
Probabilmente i mosaici sono opera di maestranze africane.
Sulla
base dell'evidenza numismatica, i mosaici vennero realizzati dopo la metà
del IV
secolo d.C.
La
villa del Tellaro è stata oggetto negli ultimi anni di un rinnovato
interesse, grazie soprattutto ad una serie di progetti di ristrutturazione e
riqualificazione dell'area interessata. Il 15 marzo 2008,
oltre trenta anni dopo gli scavi, la villa del Tellaro è stata finalmente
inaugurata e resa fruibile al pubblico.
Alle
spalle della Villa cominciano gli splendidi e talvolta antichi vigneti, dove
ancora oggi si coltivano le tradizionali uve del territorio: nero
d'Avola, moscato e albanella (o albanello)
sempre più difficile da trovare.
Castello
-
Annesse
alle mura si trova il castello Reale con l'ampia Sala d'Armi e le scuderie,
i resti di torri di cui quella principale è del 1431 e
della antica prigione dove sono visibili moltissimi graffiti e bassorilievi
lavorati dai galeotti. Molti
dei graffiti oltre a riportare il nome della persona rappresentano le
imbarcazioni dell'epoca e più volte riprodotto anche un gioco con le
pedine.
La
struttura venne edificata nel 1091 dal
Duca Giordano d'Altavilla. Nel 1430 il
duca Pietro
d'Aragona fece eseguire lavori di ampliamento che nel 1600 circa
vennero eseguiti nuovamente onde ospitare le bocche da fuoco. Nei pressi
dell'ingresso della porta della montagna sono ancora visibili le aperture
per i cannoni. Il terremoto distrusse gran parte del castello anche se
diverse parti sono in buono stato di conservazione.
Siti
archeologici
Tombe
e Catacombe
-
Il
territorio circostante è interessato alla presenza di molte tombe a
grotticella, specie nei dirupi che scendono tra le vallate, di epoca
preistorica a testimonianza di una preesistenza della civiltà sicula. Sul
torrente Salitello è presente una necropoli sicula
(730-650 a.C.) caratterizzata da tombe scavate nella roccia a cameretta.
Poco
distante dall'ingresso nord di Noto Antica è presente una piccola catacomba
bizantina chiamata Grotta delle Cento bocche per la
presenza di resti di tomba
a baldacchino che fanno somigliare le sporgenze del tetto a delle
ugole: da cui il nome. Nel corso del tempo la catacomba venne riutilizzata
anche come ovile e persino come bunker nella Seconda
guerra mondiale, a causa della sua posizione strategica sulla vallata
del Salitello.
La grotta
del Carciofo prende il nome dalla presenza di due rappresentazioni
della menorah ebraica
scambiate dai contadini del luogo per dei carciofi, da cui il nome. La
presenza di questa tomba testimonia l'esistenza di una comunità ebraica a
Noto.
L'area
dove sono ubicate entrambe le grotte risulta attualmente recintata e chiusa
al pubblico.
La
valle del Carosello
-
La valle
del Carosello (o cava Carosello) si trova a ovest del monte Alveria
ed è una vallata assai interessante per le molteplici presente
archeologiche e naturalistiche. In questa valle nasce il fiume Asinaro,
e proprio a causa della presenza del corso d'acqua in epoca araba nacquero
delle concerie scavate
nella roccia di cui il sito è molto ricco. Il processo della concia infatti
necessitava di grandi quantità di acqua per la lavorazione delle pelli e di
altre sostanze per la preparazione. La canalizzazione delle acqua tramite
chiuse e lo sfruttamento tramite i mulini aveva creato un'economia assai
florida.
Dopo
il terremoto
la nuova città fu ricostruita più a valle, con le caratteristiche di città
barocca che l'hanno resa celebre in tutto il mondo.
Attualmente
nel sito archeologico possono ammirare alcune necropoli sicule del IX e VIII
secolo a.C., la Grotta del Carciofo (catacomba ebraica), la Grotta delle
Cento Bocche, le antiche concerie e i mulini della valle del carosello, i
resti della cinta muraria e del Castello Reale con la sua Porta che ha
inciso il motto latino "Numquam
vi capta".
Ed in effetti, mai nessun motto si dimostrò più veritiero dal momento che
soltanto il già citato sisma del 1693,
riuscì a distruggere l'inespugnabile centro abitato.
Resti
di epoca greca
-
Noto
Antica, essendo abitata anche in epoca greca, presenta alcune strutture
ancora visibili, come gli Heroon e
il ginnasio. L'heroa del III secolo a.C., monumento dedicato al culto degli eroi, mostra
diverse nicchie dove erano posti i pinakes studiate
da Gioacchino Santocono Russo. La posizione del monumento all'interno del
sito non è segnalata a sufficienza, ma è possibile rintracciarlo qui.
Il
ginnasio del III secolo a.C. è stato individuato grazie alla presenza di
un'iscrizione in onore del re siracusano Ierone, rinvenuta dallo studioso
tedesco Georg Kaibel nel 1894 e custodita presso il museo Civico di Noto.
L'iscrizione presente è una copia. È una struttura in parte scavata nella
roccia e in parte in materiale lapideo.
Eloro:
è un sito archeologico ubicato su di un promontorio prospiciente il mare
Jonio, nei pressi della foce del fiume Tellaro. Un tempo fiorente città
greca, sulla direttrice della più tarda "via
Elorina", che metteva in comunicazione le colonie greche di
Siracusa, Kamarina e Gela,
fu distrutta con l'arrivo degli arabi.
Degni di nota sono il teatro greco, pur sfregiato da interventi fascisti, la
medievale Torre Stampace, costruita su una più grande e vetusta fortezza
citata da Plinio
il Vecchio e i resti di santuari, mura ed edifici risalenti all'età
classica.
La Colonna
Pizzuta è un monumento di epoca greca del III
secolo a.C. sito in una collina nei pressi dell'antica città di Eloro.
Il
nome pizzuta potrebbe derivare dalla sua forma originaria a
guglia o pizzo, o forse si collega alla coltivazione di un tipo
di mandorla chiamata
anch'essa pizzuta. Il monumento è alto 18 metri e possieda una
circonferenza di base di 3,90 metri. La colonna è posta sopra un basamento
di quattro gradini che misura 19,30x11,20 metri.
Non
è ancora certa la sua origine. Il monumento potrebbe essere stato eretto
dopo la disfatta di Ippocrate
di Gela contro Siracusa nel V secolo a.C. oppure a ricordo della vittoria contro gli eserciti
ateniesi nel 413
a.C. comandati da Demostene e Nicia che
al termine della spedizione
ateniese in Sicilia, proprio in quella zona, precisamente nei pressi del
fiume Asinaro ebbero
una cocente disfatta.
L'archeologo Paolo
Orsi eseguì delle esplorazioni per comprenderne meglio la natura
dell'opera e comprese che esso non era un monumento per celebrare una
vittoria, ma un sepolcro. Trovò infatti sotto la colonna, scavato nella
roccia un ipogeo funerario quadrangolare stuccato di rosso e bianco, con due
guerrieri di cui uno teneva un bronzo dell'epoca di Ierone
II.
Questo sposterebbe la datazione dal V al III secolo a.C., ma è pur
sempre possibile che i corpi fossero stati seppelliti dopo facendo mantenere
la datazione più antica.
Alcuni
decenni dopo per il volere di Ferdinando
I delle Due Sicilie vennero eseguiti dei lavori di ristrutturazione
ricordati dalla lapide in marmo del 1795.
Castelluccio
di Noto: sito archeologico
localizzato nella parte nord del territorio, ha dato il nome all'omonima cultura
di Castelluccio. Il piano dell'abitato consisteva in una sorta di acropoli fortificata
e da una necropoli, che consta di oltre 200 tombe a grotticella artificiale,
scavate nelle pareti ripide della vicina cava della Signora.
La più
monumentale è la cosiddetta "Tomba del Principe" con un prospetto
costituito da quattro finti pilastri. In prossimità del sito è stato poi
costruita, fra il XIV e il XV secolo, una torretta d'avvistamento del quale
oggi sono visibili solo le fondamenta.
Monte
Finocchito: non
riconosciuta come parco archeologico, l'area del Monte Finocchito, a metà
strada fra Noto e Testa
dell'Acqua, è caratterizzata da una necropoli a grotticella risalente
al 600 a.C. e, nella sommità, dai resti di un antico villaggio siculo,
probabilmente contemporaneo a Hybla, di cui restano solo i basamenti di
massicce fortificazioni (ritenute da Paolo
Orsi come le più antiche della Sicilia) e di antiche carraie.
Pag.
3 
Agosto
2018
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