Savoca (Borgo)
(Messina)
  
 

 

Convento dei Cappuccini e la cripta (XVII secolo)

Il convento e la chiesa dei Cappuccini sono due edifici religiosi che sorgono sopra un colle, nelle vicinanze del centro storico della cittadina.

Il Convento (1603) - I frati cappuccini, su iniziativa di padre Girolamo da Montefiore e di padre Girolamo da Castello, fondarono in Savoca, nel 1574, il loro primo convento, edificandolo su di un terreno donato dal sacerdote don Giovanni Coglituri, accanto alla quattrocentesca chiesa della Madonna di Loreto, era dedicato a sant'Anna. Si trovava ad una certa distanza dal centro abitato, in località Cucco-Santa Domenica. Ai primi del Seicento, però, questo sito dovette essere abbandonato, poiché estremamente soggetto a frane, si optò per un luogo più sicuro e più vicino al centro abitato.

L'odierno convento venne edificato tra il 1603 ed il 1614, ad opera del padre generale Lorenzo da Brindisi e del padre provinciale Girolamo da Polizzi. Si costruì su un vasto terreno donato ai cappuccini dal nobile savocese Antonio Crisafulli (1539-1612). È una struttura imponente che domina il centro abitato e le valli che lo circondano. È composto da due piani fuori terra, al piano terra si trovano la biblioteca, il refettorio e la cucina, mentre al primo piano sono allocate le venti celle dei frati. Nella biblioteca rimane ben poco dell'immenso patrimonio letterario un tempo presente, tuttavia, nel refettorio, si possono ancora ammirare alcuni affreschi dipinti da frate Gaetano La Rosa nel 1608. Accanto al convento c'era un grande orto che veniva coltivato e contribuiva al sostentamento dei frati. Al 3 marzo 1650, nel convento dimorano 10 frati, i quali "si sostentano delle elemosine del popolo".

Il convento dei cappuccini, al pari di quello dei domenicani, tra il XVII ed il XIX secolo, ebbe grande rilevanza culturale nell'ambito della società savocese, costituendo il punto di riferimento per la formazione umanistica, scientifica e giuridica di coloro che in quegli anni avevano la possibilità di studiare. Le statistiche cappuccine relative ad un lungo arco di tempo compreso tra il 1616 ed il 1978, riportano i nomi di ben 31 religiosi di rilevante importanza, vissuti nel convento savocese.

Nel 1866, il Regno d'Italia incamerò il convento e l'orto dei cappuccini di Savoca, i quali, tuttavia, poco tempo dopo, "vennero ricomprati dai frati". Nel 1990, gran parte dell'orto del convento viene espropriato dal comune di Savoca, che vi realizzò il parco comunale. Il convento è in ottimo stato di conservazione e viene gestito da un'associazione religiosa ed è messo a disposizione di gruppi e di villeggianti.

La chiesa del convento dei Cappuccini (1603) - Annessa al maestoso edificio del convento, è dedicata a san Francesco d'Assisi. Al suo interno racchiude varie opere di grande pregio artistico e storico.

L'opera più antica è sicuramente la tela ad olio della Madonna di Loreto, della prima metà del Cinquecento. Commissionata dalla famiglia savocese dei Trimarchi, è attribuita ad Antonino Giuffré, anche se alcuni esperti ritengono sia opera di Antonio di Saliba, nipote di Antonello da Messina. Secondo un resoconto redatto da padre Andrea da Paternò nel 1750, quest'opera, originariamente custodita nell'antica chiesa di Santa Domenica, in contrada Cucco, venne qui collocata nella prima metà del Seicento. Detta opera è stata oggetto di una grande devozione da parte del popolo savocese, che la chiama "a Madonna i l'acqua", soprattutto nei periodi di grande siccità, quando venivano organizzate processioni e preghiere per chiedere la pioggia (che poi si verificava puntualmente). Infine, sempre secondo quanto riportato da padre Andrea da Paternò, l'8 settembre di ogni anno, la Madonna di Loreto veniva onorata con una partecipatissima festa, preceduta da un novenario solenne a cui presenziavano anche i Giurati cittadini. Da qualche decennio questa tela è custodita ed esposta nel Museo regionale di Messina, quella presente in chiesa è una pregevole copia.

Sull'altare maggiore troneggia la tela della Madonna e il Bambino tra gli angeli con san Francesco e santa Chiara che rappresenta la Madonna col bambinello Gesù in braccio che benedice la città di Savoca, riprodotta ai suoi piedi; venne dipinta da Domenico Guargena nel 1661 e ci fa comprendere la struttura urbana del centro storico savocese nel XVII secolo.

Sulle pareti laterali della chiesa si ammirano due dipinti a olio su tele centinate raffiguranti rispettivamente una Visione di fra' Felice da Cantalice di Ludovico Svirech del 1755 e i Santi Anna e Gioacchino in visita a Maria dipinta da frate Umile da Messina nel 1637, dello stesso autore (allievo di Alonso Rodriguez, che fu discepolo del Caravaggio) anche un cenacolo del 1634 ed un'altra tela raffigurante la Vergine degli Angeli. Si possono altresì ammirare due altari in marmo ed in legno, nonché una pregevole statuina seicentesca raffigurante Santa Maria Bambina.

Infine, all'interno della chiesa sono presenti cinque sepolture: una a sarcofago e le altre quattro al livello del pavimento. Molte delle opere d'arte del convento sono custodite, al fine di impedirne il furto, presso il santuario di Gibilmanna a Cefalù.

La cripta dei cappuccini - Realizzata agli inizi del Settecento nel sottosuolo della piazzetta antistante la chiesa del convento, ha un'ampiezza di 14x4,25 m. Racchiude 37 cadaveri mummificati appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati, medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, per la maggior parte appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese.

Non si conosce l'origine dell'usanza dell'imbalsamazione dei cadaveri; venne forse introdotta, circa tre millenni addietro, dai Fenici, i quali l'avevano appresa dagli Egizi. Tuttavia, una tesi afferma che, nel corso del XVI secolo, i frati cappuccini avrebbero appreso le tecniche di imbalsamazione in Sud America, le quali, attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più antica, ancora elegantemente vestita secondo la moda del tempo, risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore (1708-1776), la più recente è del 1876 ed appartiene al Sac. don Giuseppe Trischitta (1812-1876)

Nel 1811 vi fu collocata la salma del letterato e accademico savocese prof. Matteo Procopio. Il procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell'essiccazione naturale; consisteva, prima nell'immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, si procedeva allo scolo dei visceri nella cripta-putridarium della chiesa madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d'aria, avveniva la naturale essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva effettuato direttamente dai frati cappuccini ed era abbastanza costoso. La cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX secolo, l'interesse di molti diversi intellettuali, come Ercole PattiLeonardo Sciascia e Mario Praz.

Nel 2015, le mummie sono state sottoposte ad approfondite analisi antropologiche (a cura di Dario Piombino-Mascali e del National Geographic) che hanno evidenziato caratteristiche fisiche, stato di salute e abitudini alimentari delle persone mummificate; offrendo un interessante spaccato sulle classi dominanti siciliane tra il XVIII e il XIX secolo.

Tra i numerosi personaggi imbalsamati, la tradizione ha tramandato, fino ad oggi, generalità e notizie su molti di costoro, corroborate peraltro da notizie estrapolate dagli archivi ad opera dello storico locale savocese Santo Lombardo.

I corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d'epoca e danno mostra di sé nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.

Nel 1985 molte delle mummie esposte nella cripta furono oggetto di un grave atto teppistico; uno squilibrato, penetrato furtivamente e nottetempo nella necropoli sotterranea, le ha imbrattate con della vernice verde; pochissime salme sono state risparmiate ma oggi, dopo 30 anni è stato concluso l'intervento conservativo di dette mummie.

Altri edifici religiosi

Chiesa di San Rocco, edificata nel 1593, ne rimangono solo le mura perimetrali e il portale in pietra, si trova nell'omonimo quartiere, un tempo densamente popolato, soprattutto dai pescatori, è ad unica navata. Nonostante le piccole dimensioni, questo sacro edificio, anticamente, era riccamente adornato con opere di pregio, poi scomparse. Inoltre, tra il XVII ed il XIX secolo, il 16 agosto di ogni anno, questa chiesa e tutto il quartiere circostante erano al centro di sontuosi festeggiamenti religiosi in onore a san Rocco. In quegli anni la festa di san Rocco era la più sontuosa delle feste savocesi dopo quella della patrona Santa Lucia.

Chiesa di San Biagio, cappella privata di antica origine (esisteva già nel 1633) la si trova fuori dal centro abitato, in mezzo a uliveti e vigneti, in contrada Iazzani. Anticamente, questa chiesa e i terreni circostanti appartenevano alla facoltosa famiglia savocese dei Nicòtina e vi avevano il diritto di patronato i sacerdoti appartenenti alle famiglie Nicita e Altadonna. Da ultimo, passò alla famiglia degli Aliberti, è stata restaurata ad opera dei nuovi proprietari ed il giorno di san Biagio, il 3 febbraio di ogni anno, viene aperta al culto. Tra il 2011 e il 2012 è stata profanata da ignoti che hanno trafugato un quadro settecentesco raffigurante Sant'Antonio ed altri arredi sacri. Attualmente appartiene alla cantante lirica Lucia Aliberti.

Chiesa dell'Immacolata (oggi centro filarmonico) ubicata in via San Nicolò, tra il quartiere San Rocco e la chiesa madre, venne edificata nel 1621 ad opera dei frati minori conventuali, che avevano un convento nelle immediate vicinanze (nel sito ove sorge l'ex plesso delle scuole elementari trasformato poi in albergo). Un primo convento era stato edificato verso il 1225 (per volere dello stesso sant'Antonio di Padova) in Contrada Misericordia, una zona boscosa fuori dall'abitato. Successivamente, nel 1617, i frati si spostano nel sito in questione, proprio nel cuore del centro urbano, ove avevano acquistato una casa con annesso terreno, da don Giuseppe Trimarchi; viene edificato un nuovo convento e una nuova chiesa, in stile barocco siciliano. 

La chiesa, era in realtà dedicata a sant'Antonio da Padova, ma il popolo, fin dalle origini, la nominava la chiesa dell'Immacolata. Fino al 1940 era aperta al culto, poi andò in rovina; alcune opere di pregio, come una tela dell'Immacolata Concezione (o Madonna del Parto), opera di Gaspare Camarda del 1623, vennero collocate nella vicina chiesa di San Nicolò, ove tuttora si ammirano. 

Nel 1998 è stata pregevolmente restaurata e adibita a Centro Filarmonico comunale, durante i lavori di restauro emersero, da sotto il pavimento, le sepolture dei frati del convento. Questa chiesa ospitava pure delle fosse comuni per l'inumazione degli abitanti del quartiere appartenenti al ceto popolare e le tombe delle facoltose famiglie locali dei Trimarchi, dei Nicòtina e dei Cacòpardo, risalenti ai primi anni del XVIII secolo, abbellite da pregevoli stemmi marmorei conservati al museo comunale. Oggi, il Centro Filarmonico comunale presenta al suo interno una caratteristica struttura in legno a forma di barca (alta circa quattro metri) che ospita cinquanta posti a sedere; nel presbiterio è collocata una scala dalla quale si accede al primo piano, anch'esso molto ampio tanto da offrire altri sessanta posti.

Chiesa di San Giovanni - L'esistenza della chiesa si riscontra in antichi documenti risalenti ai primi anni del secolo XVII, tuttavia si ritiene che l'impianto originario sia molto più antico, secondo forma e prospettiva diverse da quelle attuali. Ad unica navata, era contigua e al servizio dell'antico Ospedale di Savoca, attivo fino al XIX secolo. Era di proprietà dell'Archimandrita e dipendeva dalla chiesa matrice di Savoca. Nei secoli passati, anche questa chiesa ed il quartiere circostante erano al centro di solenni festeggiamenti tradizionali che si svolgevano il 23 e 24 giugno in onore, appunto, di san Giovanni Battista. Agli inizi del XX secolo era già chiusa al culto e in rovina, rimanendo priva del tetto e in totale abbandono per decenni. Nel 2015 si è provveduto ad eseguire un intervento conservativo dell'edificio ripristinandone il tetto e a tutt'oggi procedono i lavori di restauro che stanno recuperando gli interni e gli esterni.  

Chiesa di Gesù e Maria - Situata su un'altura a due passi dalla chiesa di San Michele e dal Museo, nel quartiere San Michele. È di origine cinquecentesca, è ad unica navata. Rappresenta l'unica testimonianza architettonica della Confraternita di Gesù e Maria nella città di Savoca. L'interno presenta uno stile barocco. Secondo antichi documenti risalenti al 1624, per alcuni anni, questa chiesa sostituì la vicinissima chiesa di San Michele, la quale era chiusa perché inagibile, per la celebrazione dei riti religiosi. Fino alla fine del XIX secolo era aperta al culto. Nel 1950, essendo l'edificio ormai in rovina, venne asportato l'altare maggiore, che venne collocato nella chiesa parrocchiale della Sacra Famiglia in Santa Teresa di Riva, ove si ammira. Sotto il pavimento di questo edificio sacro si scorgono le cripte destinate a raccogliere i resti dei savocesi appartenenti al ceto popolare, non essendo leggibili lapidi ed iscrizioni che possano rimandare alla presenza di personaggi blasonati. Di questa chiesa restano solo le mura perimetrali adornate all'interno da preziosi fregi ed il prezioso portale in pietra.  

Chiesa del Calvario - Fu edificata nel XVIII secolo sul luogo dove già prima dell'anno 1000 esisteva un eremo ove dimoravano alcuni monaci basiliani provenienti dall'abbazia della chiesa dei Santi Pietro e Paolo d'Agrò. 

È dedicata alla Beata Vergine dei Sette Dolori e della Santa Croce. Vi hanno luogo, ogni anno, le rappresentazioni della Settimana Santa.

La chiesa si erge sul colle del Calvario, proprio sopra il quartiere San Giovanni, in una posizione panoramica, dalla quale si scorgono l'Etna, tutto il centro storico di Savoca, il Mar Jonio, il Capo Sant'Alessio e l'abitato di Santa Teresa di Riva. 

Ormai in rovina, nel 1735, venne dato ai Gesuiti che provvidero a restaurare la chiesa, dedicandola alla Beata Vergine dei Sette Dolori e della Santa Croce. Sempre nel 1735, i Gesuiti vi edificarono le stazioni della Via Crucis. Questa antica chiesa, nel corso dei secoli, è stata sempre legata ai riti della Settimana Santa. Ancora oggi, ogni anno, durante la Settimana Santa, ha luogo, in questo sito, una suggestiva rappresentazione della Passione di Cristo. Innanzi alla chiesa, che è stata recentemente restaurata, ma è chiusa al culto, si trova un grande e pregevole arco di pietra, probabilmente a testimonianza di un'antica struttura.

Nel 1999, l'Arcidiocesi di Messina ha venduto questo antico manufatto al comune di Savoca che ha provveduto a ristrutturarlo.

Nel febbraio 2020, il consiglio comunale lo ha dato in concessione ad un'associazione culturale; il complesso ospiterà un centro di ricerche di storia e cultura locali.

Chiesa di Santa Lucia - Edificata nel XV secolo dai frati Domenicani, era annessa al loro convento (venticinquesima istituzione dell'ordine nel Regno di Sicilia fondata nel 1492) e prospettava su piazza Santa Lucia, l'odierna piazza Municipio. Più volte abbellita venne resa grande e sontuosa. A navata unica, era dotata al suo interno di ben nove altari, cinque sepolture gentilizie e delle nicchie sotterranee per l'esposizione dei cadaveri mummificati. Sorgeva ove oggi si trova il palazzo municipale, crollò nel gennaio 1880 a causa di una poderosa frana. Si salvarono soltanto poche reliquie: la preziosissima statua argentea di Santa Lucia, del 1666; un quadro seicentesco raffigurante la Madonna del Parto; un pregevole mezzo busto marmoreo di Santa Lucia risalente al XV secolo. Queste opere sono conservate presso la chiesa di San Nicolò.  

Chiesa di Sant'Antonio Abate - Costruita verso la fine del XV secolo, ne rimangono solo poche rovine sepolte nel sito ove si trova il campo da tennis. Situata nel quartiere di Sant'Antonio, crollò anch'essa a causa della frana del 1880.  

Chiesa di Santa Maria di Loreto e Santa Domenica - Antica chiesa di piccole dimensioni, situata nella frazione Cucco. Venne costruita verso il 1480, venendo dedicata alla Madonna di Loreto; nel 1574, vi fu costruito annesso il primo Convento dei Cappuccini trasferito, nel 1603, nell'attuale sito. Apparteneva all'Archimandrita. Nel 1793 fu donata, assieme a degli appezzamenti di terreno rurali ad essa appartenenti, siti nelle frazioni di Mancusa e Fautarì, all'abate Francesco Trimarchi con l'obbligo di mantenervi il culto che venne mantenuto ininterrottamente fino agli anni novanta del XX secolo, oggi è chiusa al culto. Fino ai primi anni del Seicento vi era custodito il quadro della Madonna dell'Acqua, opera di Antonio di Saliba, poi spostato nella chiesa dei Cappuccini. Lasciata in stato di totale abbandono, nel dicembre 2020, ha subito il crollo del tetto.  

Chiesa di San Francesco di Paola - Con molta probabilità risale al XVIII secolo. Dipende dalla chiesa parrocchiale di Santa Rosalia a Rina.

Chiesa di Santa Rosalia - Sorge nella frazione Rina, ha forma ottagonale ed è stata costruita nel 1968 sulle rovine di una preesistente chiesa edificata alcuni secoli addietro dalla facoltosa famiglia savocese dei Fleres. È attualmente chiesa parrocchiale delle frazioni savocesi di Rina, Contura, Mortilla e San Francesco di Paola. Da ottobre 2016, vi esercita le funzioni di parroco don Francesco Broccio.  

Chiesa di San Nicola - E' ubicata nella frazione Contura, antica cappella di campagna, risale presumibilmente alla fine del XVII secolo. Dipende dalla chiesa parrocchiale di Santa Rosalia a Rina.

Castello di Pentefur

Castello di Pentefur, ridotto a rudere, sorge sul colle omonimo sovrastante l'abitato. Ospitò la residenza estiva dell'archimandrita di Messina. 

Nel corso dei secoli ha svolto un’importante funzione di difesa del litorale orientale della Sicilia. Da qui infatti partivano gli ordini e le direttive per tutti gli altri forti e le torri di avvistamento di questa parte della costa siciliana (Torre Catalmo, Torre dei Saraceni, Torre del Baglio, Torre Avarna, Torre Varata, Fortino di Ligoria).

Il maniero occupa il pianoro sulla sommità dell'omonimo colle; edificato in posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. È ridotto ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti della cinta muraria merlata (merli guelfi) e dotata di feritoie, in alcune cisterne e nei resti di un mastio quadrangolare. Detto mastio era a due elevazioni, su un'area di 350 m², sito nella parte più alta del pianoro, al suo interno sono ancora visibili le tracce di una ripartizione in diversi ambienti. Risulta riconoscibile l'area riservata alla cucina, grazie al ritrovamento di gusci di frutti di mare e di resti di ossa di animali macellati. Sono ancora visibili tracce di varie pavimentazioni risalenti a diverse epoche che vanno dal VII al XVII secolo. Potrebbe essere stato eretto su un precedente centro abitato fortificato di epoca tardo-romana o bizantina.

Secondo un'antica leggenda medievale, venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur: cinque ladroni evasi dal carcere di Taormina che lì stabilirono il loro nascondiglio dal quale condurre scorrerie per le contrade vicine.

Tuttavia, il toponimo "Pentefur" deriverebbe dall'unione di due parole greche: “pente”, cioè cinque e “fulè”, cioè quartiere.  Questo perché sembra che l’antico abitato di Savoca, in epoca bizantina, fosse suddiviso in cinque quartieri. Secondo un’altra interpretazione ancora, Pentafur sarebbe l’antico nome della rocca dove oggi sorge il castello., quindi cinque quartieri, per il fatto che l'originario abitato di Savoca, in epoca bizantina era ripartito in cinque quartieri. A partire dal IX secolo, il castello fu frequentato e riadattato, lo dimostra la tecnica costruttiva (di influenza araba) delle cisterne presenti al suo interno.

L'attuale struttura è una riedificazione del XII secolo, voluta dal Re Ruggero II di Sicilia, diventata residenza estiva dell'Archimandrita di Messina, signore feudale della Baronia di Savoca. L'Archimandrita messinese trascorreva, assieme alla sua corte, i mesi estivi dell'anno all'interno del Castello Pentefur, che era provvisto anche di una cappella, l'attuale Chiesa di San Michele.

Nel 1355, Re Federico IV di Sicilia lo proclamò Castello Regio, mantenendo tale status per circa mezzo secolo. Venne infatti sottratto al controllo dell'Archimandrita e attribuito al militare messinese Guglielmo Rosso conte d'Aidone. Fu lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre ai sindaci di Savoca ed all'Archimandrita Teodoro di giurare fedeltà al nuovo Capitano del Castello. L'anno successivo, vi si rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d'Aidone (fratello di Guglielmo) scampato all'eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano. Nel 1385, fu nominato "Castellano di Savoca" Tommaso Crisafi da Messina.

Nel 1386, essendo uscito dal novero dei "Castelli Regi", il maniero tornò definitivamente sotto il controllo degli Archimandriti messinesi con Paolo III di Notarleone. Al 1396 risalgono alcune notizie (contenute in alcuni documenti originali recuperati dallo storico locale prof. Angelo Cascio) riguardanti la castellania di Tommaso Crisafi e la mala gestio di costui e di alcuni suoi collaboratori: fu lo stesso Re di Sicilia Martino I a intimare al Crisafi la restituzione di un'ingente somma di denaro (260 once d'oro) ingiustamente e indebitamente sottratte all'Archimandrita messinese.

Nel trentennio 1421-1450, l'Archimandrita Luca IV de Bufalis, reputando Savoca più salubre di Messina, vi si trasferì stabilmente accompagnato da tutta la sua corte.

Nel 1480, venne restaurato dall'Archimandrita Leonzio II Crisafi.

Nel 1631, venne sontuosamente abbellito e ingrandito a spese dell'Archimandrita Diego de Requiensez; detto intervento è citato da Vito Amico, il quale riferisce che il castello venne "rifatto in maggior circuito e più magnifica forma".

Oltre a fungere da residenza archimandritale, nel castello era presente costantemente una guarnigione militare; da qui partivano gli ordini e le direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell'architetto fiorentino Camillo Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a Savoca, poi, pian piano perse d'importanza.

Alla fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del terremoto del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte Archimandritale, che preferiva risiedere a Messina o a Roma.

Anche il terremoto del 1783 apportò nuovi danni e rovine a questo antico manufatto che venne abbandonato ed andò in rovina per sempre. Da allora, vaste porzioni del Castello Pentefur vennero letteralmente smontate dai savocesi, che per decenni utilizzarono le sue pietre per edificare le loro case. In base a quanto risulta da antiche cronache, il sito del Castello Pentefur, oltre alle mura fuori terra, racchiuderebbe nel sottosuolo consistenti testimonianze archeologiche di epoca romana, bizantina e araba. Da alcuni anni sono stati intrapresi lavori per assicurare l'accesso e la fruizione pubblica guidata del sito, a cura della famiglia Nicòtina che ne è proprietaria dal 1885.

Dell’originario Castello di Pentefur sono oggi visibili solamente i resti della cinta muraria e delle cisterne. L’edificio sorge su uno dei due colli su cui sorge l’antico abitato di Savoca, in una posizione da cui si domina l’intera vallata. Nella parte più alta del pianoro, in un’area di circa 350 metri quadrati, si possono vedere i resti di quello che era il mastio del castello. La muratura della cinta più esterna è costituita da pietre unite a frammenti di oggetti in terracotta, tenuti insieme da abbondante malta di calce. La pianta del castello è irregolare e ha un’area interna molto ampia. 

Porta della Città (XII secolo)

Come precedentemente accennato, nel XII secolo, a difesa della città di Savoca, venne eretta un'ampia cinta muraria dotata di due porte d'accesso, una all'estremità sud (quartiere San Giovanni) e l'altra all'estremità nord (quartiere San Michele). Di queste fortificazioni difensive, è ormai visibile soltanto la porta del quartiere San Michele. 

Si presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d'accesso alla porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva. Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel Medioevo, venivano aperte all'alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è stato restaurato nel 2009.  

Casa medievale con finestra bifora (XV secolo)

Antica costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento, nel corso di una fase di grande sviluppo edilizio della cittadina di Savoca; viene citata in molti antichi testi per il suo "stile greco". 

L'edificio venne restaurato verso la fine del Seicento. Mantiene ancora uno stile Gotico siculo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un ulteriore sapore ispanico-fiammingo. 

Il portale d'ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi. 

Appartenne nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei Trischitta, che forse la edificarono. Tra il 1909 ed il 1927, ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano[21]. L'edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.

Antico palazzo della Curia e antico Carcere (XIV secolo)

A testimonianza dell'antico Palazzo della Curia, sito in via San Michele, addossato alle mura cittadine proprio accanto alla porta della città; rimane ben poco, solo le pietre angolari. Sul sito in questione si trova l'edificio dell'ex ufficio di collocamento, che ospita una rivendita di vino e prodotti tipici siciliani.

L'antica curia, era un edificio a tre piani, di proprietà dell'Archimandritato del Santissimo Salvatore, avente valenza monumentale, edificato nel XIV secolo. Stando a quanto riferisce lo storico locale Santi Muscolino, questo edificio era caratterizzato dalla presenza, nel prospetto principale, di due archi in pietra arenaria a sesto acuto, di pregevole fattura, riconducibili allo stile gotico-siculo chiaramontano. Fin dalle origini ospitò al suo interno le magistrature civili e giudiziarie della città. Verso la metà del Settecento risulta appartenere al cav. Verdura. Dal 1812 divenne proprietà della Municipalità di Savoca che continuò ad adibirlo a municipio. Dal 1817, oltre al municipio, divenne sede del Regio Giudicato e del carcere del Circondario di Savoca. Il 23 luglio 1820 venne assalito e danneggiato durante un tumulto popolare. Il Terremoto del 1908 lo lesionò irreparabilmente, tanto che dovette essere demolito. Dal 1927 gli uffici municipali sono ospitati nella sede attuale.

L'antico carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in un'ala dell'antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su cui troneggiava lo stemma dell'Archimandrita, rimosso e custodito al museo locale. È ancora visibile all'interno una cisterna che serviva per l'approvvigionamento idrico di buona parte dell'abitato. Dal 1855, quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in disuso. Crollò parzialmente a causa del Terremoto del 1908 e non fu più ricostruito.  

Sinagoga

Le rovine di quella che, durante il Medioevo, fu la sinagoga dei giudei di Savoca, si trovano a pochi passi dalla Chiesa di San Michele e dal trecentesco Palazzo della Curia (oggi ex Ufficio di Collocamento), proprio alle pendici dell'altura ove sorge il Castello di Pentefur.

Non si conosce l'anno di costruzione di questo edificio, si sa solo (grazie ad antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione "nel centro e nel migliore luogo" dell'antico abitato) che esisteva già nel 1408. Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei borghi e villaggi vicini. 

Il vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da sterpaglie e terriccio alluvionale, all'interno esiste una profonda cisterna. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all'edificio dove si curavano l'amministrazione e la giustizia cittadine, nel 1470, venne confiscato su ordine del Viceré di Sicilia; con lo stesso provvedimento si dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. Pochi anni dopo, nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia. La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è diventata un rudere a cielo aperto.

Palazzi nobiliari

Il centro storico di Savoca pullula di palazzotti nobiliari dotati di un certo interesse artistico e storico, degni di nota risultano:

Palazzo Trimarchi - Bar Vitelli (XVIII secolo). Antico palazzotto signorile a due elevazioni fuori terra ed un piano seminterrato adibito a cantina; presenta uno stile neoclassico siciliano ed è situato in Piazza Fossìa, nel quartiere del Borgo, vicino al Municipio. Presenta tre eleganti balconcini con mensole in pietra intagliata e due portali (sempre in pietra) finemente lavorati. 

Venne edificato nel XV secolo da un ramo della savocese famiglia patrizia dei Trimarchi, come loro residenza, e, sempre da questi, venne restaurato e ingrandito nel 1773. Era uno dei palazzi più importanti e in vista della Savoca antica. Nel luglio 1820, durante i Moti del 1820-1821 venne assalito durante un grave tumulto popolare. Nel corso della seconda metà del XX secolo, non essendo più abitato dai proprietari, il primo piano ha ospitato la scuola media di Savoca e la direzione didattica. 

Al piano terra di questo antico edificio si trova il piccolo bar in cui nel 1971 vennero girate alcune scene del film Il padrino di Francis Ford Coppola. Il bar è ancora soprannominato "Bar Vitelli". Il primo piano del palazzo ospita una struttura alberghiera.

Nel mese di aprile del 2014, Savoca e il Bar Vitelli sono stati scelti come set dello spot pubblicitario della Birra Moretti, per la regia di Rocco Papaleo e con la partecipazione di Orso Maria Guerrini, alcune scene dello spot sono state altresì girate nel vicino borgo di Forza d'Agrò.  

Palazzo Toscano, edificato verso la fine del Seicento, è stato, fino ai primi anni del XX secolo, la dimora principale della famiglia savocese dei Toscano, che ha annoverato tra i propri appartenenti uomini politici e latifondisti. Versa in ottimo stato e conserva il pregevole portale ad arco in pietra arenaria. Ubicato tra via San Michele e via Chiesa Madre, ospita al suo interno un panificio e funge ancora da civile abitazione.  

Palazzo Crisafulli, in Via San Michele, ricostruzione del precedente.

Palazzo Scarcella, del XVII secolo, che, nonostante sia semi crollato, conserva ancora un elegante balconcino sorretto da tre mensole di pietra finemente lavorate. Si trova tra via San Michele e via Fontana Terra.  

Palazzo Cacòpardo, risalente al XVII secolo, sorge su via San Nicolò, a breve distanza dalla omonima chiesa. In ottimo stato di conservazione, presenta delle pregevoli finestre bifore e archi siculo-chiaramontani.  

Casa Trischitta, antica dimora tardomedievale a due elevazioni in stile siculo-chiaramontano, edificata nel XV secolo dalla famiglia patrizia dei Trischitta, si trova in via Chiesa Madre a poche decine di metri dalla Cattedrale. Nonostante versi in condizioni di abbandono si erge solitaria e ancora in buone condizioni, caratteristico risulta il portale d'ingresso recante un blasone gentilizio, che sembrerebbe non appartenere ai Trischitta ma ad altra famiglia savocese. Antiche fonti d'archivio attestano la presenza di una bifora del '400 di cui oggi non vi è più traccia. Fin dal 1911 è vincolata dalla sovrintendenza ai beni artistici, culturali e ambientali.

Tradizioni e folclore

Rappresentazione del martirio di santa Lucia - Il culto di Santa Lucia venne introdotto a Savoca nel XV secolo, ad opera dei frati domenicani che, nel 1456 accanto al loro convento, eressero una monumentale chiesa (oggi scomparsa) dedicata alla vergine e martire siracusana. 

La ricorrenza liturgica cade il 13 dicembre di ogni anno e in questa data si svolgono solenni celebrazioni liturgiche precedute, già dal XV secolo e fino a qualche decennio addietro, da una importante fiera. A causa del freddo e umido clima del mese di dicembre, la festa patronale si svolge la seconda domenica di agosto di ogni anno. 

La caratteristica rappresentazione del martirio rientra a pieno titolo nelle più importanti manifestazioni della Cultura siciliana; ha origine tardo medievale (anche se con modifiche apportate nel Seicento) ed è organizzata, a cura della Confraternita di Santa Lucia (fondata nel XVI secolo), seguendo ancora un antico rituale codificato poi nello statuto del 1831. Santa Lucia è impersonata da una bambina savocese vestita di bianco che viene portata a spalla da un uomo e tiene fra le mani una palma d'argento, simbolo del martirio. Attorno alla bambina, che impersona Lucia, molti personaggi che cercano di tentarla. Primo fra tutti il diavolo, chiamato "virsèriu" impersonato da un uomo vestito interamente di rosso, che indossa un'antica e spaventosa maschera di legno (risalente al XVI secolo) e che brandisce un forcone. La bambina ha una grossa corda legata alla vita e questa corda viene tirata da altri figuranti, vestiti da soldati romani, tradizionalmente chiamati "Giudei"; infine all'altro capo della corda sono legati due buoi. Compito della Lucia è compiere tre volte il giro del paese, accompagnata da tutti questi personaggi, e rimanere immobile di fronte alle tentazioni. Alla fine del percorso la processione si ferma nella piazza principale del paese, la bambina ha vinto tutte le tentazioni, il diavolo e i giudei sconfitti si disperdono per le viuzze del borgo inseguiti, di corsa, dai buoi che vengono liberati; la bambina scende dalle spalle dell'uomo che la trasportava e si inchina dinanzi al popolo, il bene ha vinto sul male. A questo punto nel paese hanno inizio i festeggiamenti che si concludono con la solenne processione di un simulacro argenteo di Santa Lucia risalente al 1666.  

Riti della Settimana Santa - Tra le antiche tradizioni religiose savocesi merita menzione la Via Crucis del Venerdì Santo che si snoda per le vie del centro storico. Anche questa pia tradizione è organizzata dalla Confraternita di Santa Lucia i cui confrati muovono in processione incappucciati indossando un lungo saio bianco e portando a spalla un'antica statua lignea della Madonna Addolorata adagiata sopra una varetta. Da qualche decennio, durante la Settimana Santa ha luogo nel centro storico di Savoca anche una rappresentazione vivente che ripercorre tutte le fasi della Passione di Cristo, organizzata dalla parrocchia e dal comune.

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Fonte
https://it.wikipedia.org