Il convento
e la chiesa dei Cappuccini sono due edifici religiosi che sorgono sopra un colle, nelle vicinanze
del centro storico della cittadina.
Il
Convento (1603)
- I frati cappuccini, su iniziativa di padre Girolamo da Montefiore e di
padre Girolamo da Castello, fondarono in Savoca, nel 1574, il
loro primo convento, edificandolo su di un terreno donato dal sacerdote don
Giovanni Coglituri, accanto alla quattrocentesca chiesa
della Madonna di Loreto, era dedicato a sant'Anna. Si trovava ad una certa distanza dal centro abitato, in località
Cucco-Santa Domenica. Ai primi del Seicento, però, questo sito dovette
essere abbandonato, poiché estremamente soggetto a frane, si optò per un
luogo più sicuro e più vicino al centro abitato.
L'odierno
convento venne edificato tra il 1603 ed
il 1614, ad opera del padre generale Lorenzo
da Brindisi e del
padre provinciale Girolamo
da Polizzi. Si costruì
su un vasto terreno donato ai cappuccini dal nobile savocese Antonio
Crisafulli (1539-1612).
È una struttura imponente che domina il centro abitato e le valli che lo
circondano. È composto da due piani fuori terra, al piano terra si trovano
la biblioteca, il refettorio e la cucina, mentre al primo piano sono
allocate le venti celle dei frati. Nella biblioteca rimane ben poco
dell'immenso patrimonio letterario un tempo presente, tuttavia, nel
refettorio, si possono ancora ammirare alcuni affreschi dipinti da frate
Gaetano La Rosa nel 1608.
Accanto al convento c'era un grande orto che veniva coltivato e contribuiva
al sostentamento dei frati. Al 3 marzo 1650, nel convento dimorano 10 frati, i quali "si sostentano delle
elemosine del popolo".
Il
convento dei cappuccini, al pari di quello dei domenicani,
tra il XVII ed il XIX
secolo, ebbe grande
rilevanza culturale nell'ambito della società savocese, costituendo il
punto di riferimento per la formazione umanistica, scientifica e giuridica
di coloro che in quegli anni avevano la possibilità di studiare. Le
statistiche cappuccine relative ad un lungo arco di tempo compreso tra il 1616 ed il 1978,
riportano i nomi di ben 31 religiosi di rilevante importanza, vissuti nel
convento savocese.
Nel 1866, il Regno
d'Italiaincamerò il convento e l'orto dei cappuccini di Savoca, i quali, tuttavia, poco
tempo dopo, "vennero ricomprati dai frati". Nel 1990, gran parte dell'orto del convento viene espropriato dal comune di Savoca,
che vi realizzò il parco comunale. Il convento è in ottimo stato di
conservazione e viene gestito da un'associazione religiosa ed è messo a
disposizione di gruppi e di villeggianti.
La
chiesa del convento dei Cappuccini (1603) - Annessa al maestoso edificio del convento, è dedicata a san
Francesco d'Assisi. Al
suo interno racchiude varie opere di grande pregio artistico e storico.
L'opera
più antica è sicuramente la tela ad olio della Madonna
di Loreto, della
prima metà del Cinquecento. Commissionata dalla famiglia savocese dei Trimarchi, è attribuita ad Antonino
Giuffré, anche se
alcuni esperti ritengono sia opera di Antonio
di Saliba, nipote di Antonello
da Messina. Secondo un
resoconto redatto da padre Andrea da Paternò nel 1750, quest'opera,
originariamente custodita nell'antica chiesa di Santa Domenica, in contrada
Cucco, venne qui collocata nella prima metà del Seicento.
Detta opera è stata oggetto di una grande devozione da parte del popolo
savocese, che la chiama "a Madonna i l'acqua", soprattutto
nei periodi di grande siccità, quando venivano organizzate processioni e
preghiere per chiedere la pioggia (che poi si verificava puntualmente).
Infine, sempre secondo quanto riportato da padre Andrea da Paternò, l'8
settembre di ogni anno, la Madonna di Loreto veniva onorata con una
partecipatissima festa, preceduta da un novenario solenne a cui
presenziavano anche i Giurati
cittadini. Da
qualche decennio questa tela è custodita ed esposta nel Museo
regionale di Messina,
quella presente in chiesa è una pregevole copia.
Sull'altare
maggiore troneggia la tela della Madonna e il Bambino tra gli angeli
con san Francesco e santa Chiara che rappresenta la Madonna col
bambinello Gesù in braccio che benedice la città di Savoca, riprodotta ai suoi piedi; venne dipinta da Domenico
Guargena nel 1661 e ci fa comprendere la struttura urbana del centro storico savocese
nel XVII secolo.
Sulle
pareti laterali della chiesa si ammirano due dipinti a olio su tele
centinate raffiguranti rispettivamente una Visione di fra' Felice
da Cantalice di Ludovico
Svirech del 1755 e i Santi Anna e Gioacchino in
visita a Maria dipinta da frate Umile
da Messina nel 1637, dello stesso autore (allievo di Alonso
Rodriguez, che fu
discepolo del Caravaggio) anche un cenacolo del 1634 ed un'altra tela raffigurante la Vergine degli Angeli. Si
possono altresì ammirare due altari in marmo ed in legno, nonché una
pregevole statuina seicentesca raffigurante Santa Maria Bambina.
Infine,
all'interno della chiesa sono presenti cinque sepolture: una a sarcofago e
le altre quattro al livello del pavimento. Molte delle opere d'arte del
convento sono custodite, al fine di impedirne il furto, presso il santuario
di Gibilmanna a Cefalù.
La
cripta dei cappuccini - Realizzata agli inizi del Settecento nel sottosuolo della piazzetta antistante la chiesa del convento, ha
un'ampiezza di 14x4,25 m. Racchiude 37 cadaveri mummificati
appartenenti a patrizi, avvocati, notai, possidenti, preti, monaci, abati,
medici, poeti, magistrati, una nobildonna e tre bambini, per la maggior
parte appartenenti alla ricca e potente aristocrazia savocese.
Non
si conosce l'origine dell'usanza dell'imbalsamazione dei cadaveri; venne
forse introdotta, circa tre millenni addietro, dai Fenici, i quali l'avevano appresa dagli Egizi. Tuttavia, una tesi afferma che, nel corso del XVI
secolo, i frati
cappuccini avrebbero
appreso le tecniche di imbalsamazione in Sud
America, le quali,
attraverso la Spagna, sarebbero giunte in Sicilia. La mummia più
antica, ancora elegantemente vestita secondo la moda del tempo, risale al 1776, ed appartiene al notar Pietro Salvadore (1708-1776),
la più recente è del 1876 ed appartiene al Sac. don Giuseppe Trischitta (1812-1876).
Nel
1811 vi fu collocata la salma del letterato e accademico savocese prof. Matteo
Procopio. Il
procedimento di mummificazione durava sessanta giorni, era detto dell'essiccazione naturale;
consisteva, prima nell'immergere per due giorni la salma in una soluzione di sale e aceto, successivamente, si procedeva allo
scolo dei visceri nella cripta-putridarium della chiesa
madre dove, sfruttando il gioco delle correnti d'aria, avveniva la naturale
essiccazione del cadavere. Infine, la mummia veniva elegantemente vestita e si procedeva a traslarla
solennemente nel sito in questione. Il procedimento di mummificazione veniva
effettuato direttamente dai frati cappuccini ed era abbastanza costoso. La
cripta dei Cappuccini di Savoca ha suscitato, nel corso del XX
secolo, l'interesse di
molti diversi intellettuali, come Ercole
Patti, Leonardo
Sciascia e Mario
Praz.
Nel 2015, le mummie sono state sottoposte ad approfondite analisi antropologiche (a
cura di Dario
Piombino-Mascali e
del National
Geographic) che hanno
evidenziato caratteristiche fisiche, stato di salute e abitudini alimentari
delle persone mummificate; offrendo un interessante spaccato sulle classi
dominanti siciliane tra il XVIII e il XIX secolo.
Tra
i numerosi personaggi imbalsamati, la tradizione ha tramandato, fino ad
oggi, generalità e notizie su molti di costoro, corroborate peraltro da
notizie estrapolate dagli archivi ad opera dello storico locale savocese
Santo Lombardo.
I
corpi sono rivestiti con elegantissimi abiti d'epoca e danno mostra di sé
nelle nicchie e nelle bare in cui sono racchiusi.
Nel 1985 molte delle mummie
esposte nella cripta furono oggetto di un grave atto teppistico; uno
squilibrato, penetrato furtivamente e nottetempo nella necropoli
sotterranea, le ha imbrattate con della vernice verde; pochissime salme sono
state risparmiate ma oggi, dopo 30 anni è stato concluso l'intervento
conservativo di dette mummie.
Altri
edifici religiosi
Chiesa
di San Rocco, edificata nel 1593, ne rimangono solo le mura
perimetrali e il portale in pietra, si trova nell'omonimo quartiere, un
tempo densamente popolato, soprattutto dai pescatori, è ad unica navata.
Nonostante le piccole dimensioni, questo sacro edificio, anticamente, era
riccamente adornato con opere di pregio, poi scomparse. Inoltre, tra il XVII
ed il XIX secolo, il 16 agosto di ogni anno, questa chiesa e tutto il
quartiere circostante erano al centro di sontuosi festeggiamenti religiosi
in onore a san Rocco. In quegli anni la festa di san Rocco era la più
sontuosa delle feste savocesi dopo quella della patrona Santa Lucia.
Chiesa
di San Biagio, cappella privata di antica origine (esisteva già nel 1633)
la si trova fuori dal centro abitato, in mezzo a uliveti e vigneti, in
contrada Iazzani. Anticamente, questa chiesa e i terreni circostanti
appartenevano alla facoltosa famiglia savocese dei Nicòtina e vi avevano il
diritto di patronato i sacerdoti appartenenti alle famiglie Nicita e
Altadonna. Da ultimo, passò alla famiglia degli Aliberti, è stata
restaurata ad opera dei nuovi proprietari ed il giorno di san Biagio,
il 3 febbraio di ogni anno, viene aperta al culto. Tra il 2011 e
il 2012 è stata profanata da ignoti che hanno trafugato un quadro settecentesco raffigurante Sant'Antonio ed
altri arredi sacri. Attualmente appartiene alla cantante lirica Lucia
Aliberti.
Chiesa
dell'Immacolata (oggi centro filarmonico) ubicata in via San Nicolò,
tra il quartiere San Rocco e la chiesa madre, venne edificata
nel 1621 ad opera dei frati minori conventuali, che avevano
un convento nelle immediate vicinanze (nel sito ove sorge l'ex plesso delle
scuole elementari trasformato poi in albergo). Un primo convento era stato
edificato verso il 1225 (per volere dello stesso sant'Antonio
di Padova) in Contrada Misericordia, una zona boscosa fuori dall'abitato.
Successivamente, nel 1617, i frati si spostano nel sito in questione,
proprio nel cuore del centro urbano, ove avevano acquistato una casa con
annesso terreno, da don Giuseppe Trimarchi; viene edificato un nuovo
convento e una nuova chiesa, in stile barocco siciliano.
La
chiesa, era in realtà dedicata a sant'Antonio da Padova, ma il popolo,
fin dalle origini, la nominava la chiesa dell'Immacolata. Fino
al 1940 era aperta al culto, poi andò in rovina; alcune opere di
pregio, come una tela dell'Immacolata Concezione (o Madonna del Parto),
opera di Gaspare Camarda del 1623, vennero collocate nella
vicina chiesa di San Nicolò, ove tuttora si ammirano.
Nel 1998 è
stata pregevolmente restaurata e adibita a Centro Filarmonico comunale,
durante i lavori di restauro emersero, da sotto il pavimento, le sepolture
dei frati del convento. Questa chiesa ospitava pure delle fosse comuni per
l'inumazione degli abitanti del quartiere appartenenti al ceto popolare e le
tombe delle facoltose famiglie locali dei Trimarchi, dei Nicòtina e dei
Cacòpardo, risalenti ai primi anni del XVIII secolo, abbellite da
pregevoli stemmi marmorei conservati al museo comunale. Oggi, il Centro
Filarmonico comunale presenta al suo interno una caratteristica struttura in
legno a forma di barca (alta circa quattro metri) che ospita cinquanta posti
a sedere; nel presbiterio è collocata una scala dalla quale si
accede al primo piano, anch'esso molto ampio tanto da offrire altri sessanta
posti.
Chiesa
di San Giovanni - L'esistenza della chiesa si riscontra in antichi
documenti risalenti ai primi anni del secolo XVII, tuttavia si ritiene
che l'impianto originario sia molto più antico, secondo forma e prospettiva
diverse da quelle attuali. Ad unica navata, era contigua e al servizio
dell'antico Ospedale di Savoca, attivo fino al XIX secolo. Era di
proprietà dell'Archimandrita e dipendeva dalla chiesa matrice di Savoca.
Nei secoli passati, anche questa chiesa ed il quartiere circostante erano al
centro di solenni festeggiamenti tradizionali che si svolgevano il 23 e 24
giugno in onore, appunto, di san Giovanni Battista. Agli inizi del XX
secolo era già chiusa al culto e in rovina, rimanendo priva del tetto
e in totale abbandono per decenni. Nel 2015 si è provveduto ad
eseguire un intervento conservativo dell'edificio ripristinandone il tetto e
a tutt'oggi procedono i lavori di restauro che stanno recuperando gli
interni e gli esterni.
Chiesa
di Gesù e Maria - Situata su un'altura a due passi dalla chiesa di
San Michele e dal Museo, nel quartiere San Michele. È di origine
cinquecentesca, è ad unica navata. Rappresenta l'unica testimonianza
architettonica della Confraternita di Gesù e Maria nella città di Savoca.
L'interno presenta uno stile barocco. Secondo antichi documenti risalenti al 1624,
per alcuni anni, questa chiesa sostituì la vicinissima chiesa di San
Michele, la quale era chiusa perché inagibile, per la celebrazione dei riti
religiosi. Fino alla fine del XIX secolo era aperta al culto. Nel 1950,
essendo l'edificio ormai in rovina, venne asportato l'altare maggiore, che
venne collocato nella chiesa parrocchiale della Sacra Famiglia in Santa
Teresa di Riva, ove si ammira. Sotto il pavimento di questo edificio sacro
si scorgono le cripte destinate a raccogliere i resti dei savocesi
appartenenti al ceto popolare, non essendo leggibili lapidi ed iscrizioni
che possano rimandare alla presenza di personaggi blasonati. Di questa
chiesa restano solo le mura perimetrali adornate all'interno da preziosi
fregi ed il prezioso portale in pietra.
Chiesa
del Calvario - Fu edificata nel XVIII secolo sul luogo dove già
prima dell'anno 1000 esisteva un eremo ove dimoravano alcuni
monaci basiliani provenienti dall'abbazia della chiesa dei Santi Pietro
e Paolo d'Agrò.
È
dedicata alla Beata Vergine dei Sette Dolori e della Santa Croce. Vi hanno
luogo, ogni anno, le rappresentazioni della Settimana Santa.
La
chiesa si erge sul colle del Calvario, proprio sopra il quartiere
San Giovanni, in una posizione panoramica, dalla quale si scorgono l'Etna,
tutto il centro storico di Savoca, il Mar Jonio, il Capo
Sant'Alessio e l'abitato di Santa Teresa di Riva.
Ormai
in rovina, nel 1735, venne dato ai Gesuiti che provvidero a
restaurare la chiesa, dedicandola alla Beata Vergine dei Sette Dolori e
della Santa Croce. Sempre nel 1735, i Gesuiti vi edificarono
le stazioni della Via Crucis. Questa antica chiesa, nel corso dei
secoli, è stata sempre legata ai riti della Settimana Santa. Ancora
oggi, ogni anno, durante la Settimana Santa, ha luogo, in questo sito,
una suggestiva rappresentazione della Passione di Cristo. Innanzi alla
chiesa, che è stata recentemente restaurata, ma è chiusa al culto, si
trova un grande e pregevole arco di pietra, probabilmente a testimonianza di
un'antica struttura.
Nel 1999,
l'Arcidiocesi di Messina ha venduto questo antico manufatto al comune
di Savoca che ha provveduto a ristrutturarlo.
Nel
febbraio 2020, il consiglio comunale lo ha dato in concessione ad
un'associazione culturale; il complesso ospiterà un centro di ricerche di
storia e cultura locali.
Chiesa
di Santa Lucia - Edificata nel XV secolo dai frati Domenicani,
era annessa al loro convento (venticinquesima istituzione dell'ordine nel Regno
di Sicilia fondata nel 1492) e prospettava su piazza Santa Lucia,
l'odierna piazza Municipio. Più volte abbellita venne resa grande e
sontuosa. A navata unica, era dotata al suo interno di ben nove altari,
cinque sepolture gentilizie e delle nicchie sotterranee per l'esposizione
dei cadaveri mummificati. Sorgeva ove oggi si trova il palazzo municipale,
crollò nel gennaio 1880 a causa di una poderosa frana. Si
salvarono soltanto poche reliquie: la preziosissima statua argentea di Santa
Lucia, del 1666; un quadro seicentesco raffigurante la Madonna del
Parto; un pregevole mezzo busto marmoreo di Santa Lucia risalente
al XV secolo. Queste opere sono conservate presso la chiesa di San
Nicolò.
Chiesa
di Sant'Antonio Abate - Costruita verso la fine del XV secolo, ne
rimangono solo poche rovine sepolte nel sito ove si trova il campo da
tennis. Situata nel quartiere di Sant'Antonio, crollò anch'essa a causa
della frana del 1880.
Chiesa
di Santa Maria di Loreto e Santa Domenica - Antica chiesa di piccole
dimensioni, situata nella frazione Cucco. Venne costruita verso il 1480,
venendo dedicata alla Madonna di Loreto; nel 1574, vi fu costruito
annesso il primo Convento dei Cappuccini trasferito, nel 1603,
nell'attuale sito. Apparteneva all'Archimandrita. Nel 1793 fu
donata, assieme a degli appezzamenti di terreno rurali ad essa appartenenti,
siti nelle frazioni di Mancusa e Fautarì, all'abate Francesco
Trimarchi con l'obbligo di mantenervi il culto che venne mantenuto
ininterrottamente fino agli anni novanta del XX secolo, oggi è
chiusa al culto. Fino ai primi anni del Seicento vi era custodito
il quadro della Madonna dell'Acqua, opera di Antonio di Saliba,
poi spostato nella chiesa dei Cappuccini. Lasciata in stato di totale
abbandono, nel dicembre 2020, ha subito il crollo del tetto.
Chiesa
di San Francesco di Paola - Con molta probabilità risale al XVIII
secolo. Dipende dalla chiesa parrocchiale di Santa Rosalia a Rina.
Chiesa
di Santa Rosalia - Sorge nella frazione Rina, ha forma ottagonale ed
è stata costruita nel 1968 sulle rovine di una preesistente
chiesa edificata alcuni secoli addietro dalla facoltosa famiglia savocese
dei Fleres. È attualmente chiesa parrocchiale delle frazioni savocesi
di Rina, Contura, Mortilla e San Francesco di Paola. Da ottobre 2016, vi
esercita le funzioni di parroco don Francesco Broccio.
Chiesa
di San Nicola - E' ubicata nella frazione Contura, antica cappella di
campagna, risale presumibilmente alla fine del XVII secolo. Dipende
dalla chiesa parrocchiale di Santa Rosalia a Rina.
Castello
di Pentefur
Castello
di Pentefur, ridotto a rudere, sorge sul colle omonimo sovrastante
l'abitato. Ospitò la residenza estiva dell'archimandrita di Messina.
Nel
corso dei secoli ha svolto un’importante funzione di difesa del litorale
orientale della Sicilia. Da qui infatti partivano gli ordini e le direttive
per tutti gli altri forti e le torri di avvistamento di questa parte della
costa siciliana (Torre Catalmo, Torre dei Saraceni, Torre
del Baglio, Torre Avarna, Torre Varata, Fortino di Ligoria).
Il
maniero occupa il pianoro sulla sommità dell'omonimo colle; edificato in
posizione strategico-difensiva, ha la base di forma trapezoidale. È ridotto
ormai a pochi ruderi, consistenti in ampi tratti della cinta muraria merlata
(merli guelfi) e dotata di feritoie, in alcune cisterne e nei resti di un mastio quadrangolare.
Detto mastio era a due elevazioni, su un'area di 350 m², sito nella
parte più alta del pianoro, al suo interno sono ancora visibili le tracce
di una ripartizione in diversi ambienti. Risulta riconoscibile l'area
riservata alla cucina, grazie al ritrovamento di gusci di frutti di mare e
di resti di ossa di animali macellati. Sono ancora visibili tracce di varie
pavimentazioni risalenti a diverse epoche che vanno dal VII al XVII
secolo. Potrebbe essere stato eretto su un precedente centro abitato
fortificato di epoca tardo-romana o bizantina.
Secondo
un'antica leggenda medievale, venne edificato dai leggendari e misteriosi Pentefur:
cinque ladroni evasi dal carcere di Taormina che lì stabilirono il
loro nascondiglio dal quale condurre scorrerie per le contrade vicine.
Tuttavia,
il toponimo "Pentefur" deriverebbe dall'unione
di due parole greche: “pente”, cioè cinque e “fulè”, cioè
quartiere. Questo perché sembra che l’antico abitato di Savoca, in
epoca bizantina, fosse suddiviso in cinque quartieri. Secondo un’altra
interpretazione ancora, Pentafur sarebbe l’antico nome della rocca dove
oggi sorge il castello., quindi cinque quartieri, per il fatto che
l'originario abitato di Savoca, in epoca bizantina era
ripartito in cinque quartieri. A partire dal IX secolo, il castello fu
frequentato e riadattato, lo dimostra la tecnica costruttiva (di influenza
araba) delle cisterne presenti al suo interno.
L'attuale
struttura è una riedificazione del XII secolo, voluta dal Re Ruggero
II di Sicilia, diventata residenza estiva dell'Archimandrita di Messina,
signore feudale della Baronia di Savoca. L'Archimandrita
messinese trascorreva, assieme alla sua corte, i mesi estivi dell'anno
all'interno del Castello Pentefur, che era provvisto anche di una
cappella, l'attuale Chiesa di San Michele.
Nel 1355, Re Federico
IV di Sicilia lo proclamò Castello Regio, mantenendo tale status
per circa mezzo secolo. Venne infatti sottratto al controllo
dell'Archimandrita e attribuito al militare messinese Guglielmo Rosso
conte d'Aidone. Fu lo stesso re Federico IV, il 30 novembre 1355, ad imporre
ai sindaci di Savoca ed all'Archimandrita Teodoro di giurare
fedeltà al nuovo Capitano del Castello. L'anno successivo, vi si
rifugiò lo Strategoto messinese Arrigo Rosso Conte d'Aidone (fratello
di Guglielmo) scampato all'eccidio di Messina. Sempre nel 1356, il
re assegnò il castello al nobile messinese Federico di Giordano. Nel 1385,
fu nominato "Castellano di Savoca" Tommaso Crisafi da
Messina.
Nel
1386, essendo uscito dal novero dei "Castelli Regi", il maniero
tornò definitivamente sotto il controllo degli Archimandriti messinesi con
Paolo III di Notarleone. Al 1396 risalgono alcune notizie
(contenute in alcuni documenti originali recuperati dallo storico locale
prof. Angelo Cascio) riguardanti la castellania di Tommaso Crisafi
e la mala gestio di costui e di alcuni suoi collaboratori: fu lo
stesso Re di Sicilia Martino I a intimare al Crisafi la
restituzione di un'ingente somma di denaro (260 once d'oro) ingiustamente e
indebitamente sottratte all'Archimandrita messinese.
Nel
trentennio 1421-1450, l'Archimandrita Luca IV de Bufalis, reputando Savoca più salubre di Messina, vi si trasferì stabilmente accompagnato da tutta la sua corte.
Nel 1480, venne restaurato dall'Archimandrita Leonzio
II Crisafi.
Nel 1631, venne sontuosamente abbellito e ingrandito a spese dell'Archimandrita Diego
de Requiensez; detto intervento è citato da Vito Amico, il quale
riferisce che il castello venne "rifatto in maggior circuito e più
magnifica forma".
Oltre
a fungere da residenza archimandritale, nel castello era presente
costantemente una guarnigione militare; da qui partivano gli ordini e le
direttive indirizzate a tutti i fortini e le torri di vedetta disseminate
sul litorale e che facevano parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell'architetto
fiorentino Camillo
Camilliani, ove oggi sorgono i comuni di Santa Teresa di Riva, Furci
Siculo e Roccalumera. È stato per secoli il centro del potere a
Savoca, poi, pian piano perse d'importanza.
Alla
fine del XVII secolo subì gravi danni a causa del terremoto
del 1693, sicché in prosieguo fu poco frequentato dalla Corte
Archimandritale, che preferiva risiedere a Messina o a Roma.
Anche
il terremoto del 1783 apportò nuovi danni e rovine a questo
antico manufatto che venne abbandonato ed andò in rovina per sempre. Da
allora, vaste porzioni del Castello Pentefur vennero letteralmente
smontate dai savocesi, che per decenni utilizzarono le sue pietre per
edificare le loro case.
In base a quanto risulta da antiche cronache, il sito del Castello Pentefur,
oltre alle mura fuori terra, racchiuderebbe nel sottosuolo consistenti
testimonianze archeologiche di epoca romana, bizantina e araba. Da alcuni
anni sono stati intrapresi lavori per assicurare l'accesso e la fruizione
pubblica guidata del sito, a cura della famiglia Nicòtina che ne è
proprietaria dal 1885.
Dell’originario
Castello di Pentefur sono oggi visibili solamente i resti della cinta
muraria e delle cisterne. L’edificio sorge su uno dei due colli su cui
sorge l’antico abitato di Savoca, in una posizione da cui si domina
l’intera vallata. Nella parte più alta del pianoro, in un’area di circa
350 metri quadrati, si possono vedere i resti di quello che era il mastio
del castello. La muratura della cinta più esterna è costituita da pietre
unite a frammenti di oggetti in terracotta, tenuti insieme da abbondante
malta di calce. La pianta del castello è irregolare e ha un’area interna
molto ampia.
Porta
della Città (XII secolo)
Come
precedentemente accennato, nel XII secolo, a difesa della città di
Savoca, venne eretta un'ampia cinta muraria dotata di due porte d'accesso,
una all'estremità sud (quartiere San Giovanni) e l'altra all'estremità
nord (quartiere San Michele). Di queste fortificazioni difensive, è ormai
visibile soltanto la porta del quartiere San Michele.
Si
presenta come un arco a sesto acuto in pietra arenaria, risalente al XII
secolo. Fino al XIX secolo via San Michele, strada d'accesso alla
porta, non era altro che una ripida scalinata scolpita nella roccia viva.
Fino al 1918, erano ancora presenti le porte in ferro, che, nel
Medioevo, venivano aperte all'alba e chiuse al tramonto. Il manufatto è
stato restaurato nel 2009.
Casa
medievale con finestra bifora (XV secolo)
Antica
costruzione tardo medievale realizzata verso la fine del Quattrocento,
nel corso di una fase di grande sviluppo edilizio della cittadina di Savoca;
viene citata in molti antichi testi per il suo "stile
greco".
L'edificio
venne restaurato verso la fine del Seicento. Mantiene ancora uno stile Gotico
siculo, tipico della Sicilia del tardo Quattrocento; il successivo
restauro del XVII secolo ha dato, altresì, al manufatto un
ulteriore sapore ispanico-fiammingo.
Il
portale d'ingresso è ornato con gigli borbonici settecenteschi.
Appartenne
nei secoli scorsi alle facoltose famiglie locali dei Fleres e dei
Trischitta, che forse la edificarono. Tra il 1909 ed il 1927,
ospitò gli uffici municipali del comune di Savoca. Negli ultimi cento anni
è appartenuto alle famiglie Rizzo e Altadonna. Il pregevole monumento venne
propagandato nel 1928 dal Touring Club Italiano[21].
L'edificio è sottoposto al vincolo di tutela architettonica, si presenta in
buono stato di conservazione ed appartiene alla famiglia Cantatore.
Antico
palazzo della Curia e antico Carcere (XIV secolo)
A
testimonianza dell'antico Palazzo della Curia, sito in via San Michele,
addossato alle mura cittadine proprio accanto alla porta della città;
rimane ben poco, solo le pietre angolari. Sul sito in questione si trova
l'edificio dell'ex ufficio di collocamento, che ospita una rivendita di vino
e prodotti tipici siciliani.
L'antica
curia, era un edificio a tre piani, di proprietà dell'Archimandritato del
Santissimo Salvatore, avente valenza monumentale, edificato nel XIV
secolo. Stando a quanto riferisce lo storico locale Santi Muscolino, questo
edificio era caratterizzato dalla presenza, nel prospetto principale, di due
archi in pietra arenaria a sesto acuto, di pregevole fattura, riconducibili
allo stile gotico-siculo chiaramontano. Fin dalle origini ospitò al
suo interno le magistrature civili e giudiziarie della città. Verso la
metà del Settecento risulta appartenere al cav. Verdura. Dal 1812 divenne
proprietà della Municipalità di Savoca che continuò ad adibirlo a
municipio. Dal 1817, oltre al municipio, divenne sede del Regio
Giudicato e del carcere del Circondario di Savoca. Il 23 luglio 1820 venne
assalito e danneggiato durante un tumulto popolare. Il Terremoto
del 1908 lo lesionò irreparabilmente, tanto che dovette essere
demolito. Dal 1927 gli uffici municipali sono ospitati nella sede
attuale.
L'antico
carcere della Terra di Savoca, fino al 1795 era ubicato nel
villaggio di Casalvecchio. Quando poi questo paese si emancipò dal
dominio savocese, le prigioni vennero spostate nel centro di Savoca, in
un'ala dell'antico Palazzo della Curia. Del carcere rimangono miseri avanzi
murari e una finestra quadrata, chiusa con una grata in ferro battuto, su
cui troneggiava lo stemma dell'Archimandrita, rimosso e custodito al museo
locale. È ancora visibile all'interno una cisterna che serviva per
l'approvvigionamento idrico di buona parte dell'abitato. Dal 1855,
quando Savoca cessò di essere capoluogo del suo circondario, andò in
disuso. Crollò parzialmente a causa del Terremoto del 1908 e non
fu più ricostruito.
Sinagoga
Le
rovine di quella che, durante il Medioevo, fu la sinagoga dei giudei
di Savoca, si trovano a pochi passi dalla Chiesa di San Michele e
dal trecentesco Palazzo della Curia (oggi ex Ufficio di Collocamento),
proprio alle pendici dell'altura ove sorge il Castello di Pentefur.
Non
si conosce l'anno di costruzione di questo edificio, si sa solo (grazie ad
antichi documenti che lo individuano con assoluta precisione "nel
centro e nel migliore luogo" dell'antico abitato) che esisteva già nel 1408.
Fruivano di questa sinagoga gli ebrei residenti a Savoca e nei
borghi e villaggi vicini.
Il
vetusto manufatto è in pessime condizioni di conservazione, invaso da
sterpaglie e terriccio alluvionale, all'interno esiste una profonda
cisterna. Poiché detto edificio di culto sorgeva in un quartiere abitato da
cristiani, perdipiù vicino a chiese ed all'edificio dove si curavano
l'amministrazione e la giustizia cittadine, nel 1470, venne confiscato
su ordine del Viceré di Sicilia; con lo stesso provvedimento si
dispose che la sinagoga venisse edificata in altro luogo. Pochi anni dopo,
nel 1492, gli ebrei sono costretti a lasciare la Sicilia.
La loro sinagoga divenne una civile abitazione, per secoli; nel XX
secolo viene adibita a stalla, poi, dopo il crollo del tetto, è
diventata un rudere a cielo aperto.
Palazzi
nobiliari
Il
centro storico di Savoca pullula di palazzotti nobiliari dotati di un certo
interesse artistico e storico, degni di nota risultano:
Palazzo
Trimarchi - Bar Vitelli (XVIII secolo). Antico palazzotto signorile a
due elevazioni fuori terra ed un piano seminterrato adibito a cantina;
presenta uno stile neoclassico siciliano ed è situato in Piazza
Fossìa, nel quartiere del Borgo, vicino al Municipio. Presenta tre eleganti
balconcini con mensole in pietra intagliata e due portali (sempre in pietra)
finemente lavorati.
Venne
edificato nel XV secolo da un ramo della savocese famiglia
patrizia dei Trimarchi, come loro residenza, e, sempre da questi, venne
restaurato e ingrandito nel 1773. Era uno dei palazzi più importanti e
in vista della Savoca antica. Nel luglio 1820, durante i Moti del
1820-1821 venne assalito durante un grave tumulto popolare. Nel corso
della seconda metà del XX secolo, non essendo più abitato dai
proprietari, il primo piano ha ospitato la scuola media di Savoca e la
direzione didattica.
Al
piano terra di questo antico edificio si trova il piccolo bar in cui nel 1971 vennero
girate alcune scene del film Il padrino di Francis Ford
Coppola. Il bar è ancora soprannominato "Bar Vitelli". Il primo
piano del palazzo ospita una struttura alberghiera.
Nel mese di aprile del
2014, Savoca e il Bar Vitelli sono stati scelti come set dello spot
pubblicitario della Birra Moretti, per la regia di Rocco Papaleo e
con la partecipazione di Orso Maria Guerrini, alcune scene dello spot
sono state altresì girate nel vicino borgo di Forza d'Agrò.
Palazzo
Toscano, edificato verso la fine del Seicento, è stato, fino ai primi
anni del XX secolo, la dimora principale della famiglia savocese dei
Toscano, che ha annoverato tra i propri appartenenti uomini politici e
latifondisti. Versa in ottimo stato e conserva il pregevole portale ad arco
in pietra arenaria. Ubicato tra via San Michele e via Chiesa Madre, ospita
al suo interno un panificio e funge ancora da civile abitazione.
Palazzo Crisafulli,
in Via San Michele, ricostruzione del precedente.
Palazzo
Scarcella, del XVII secolo, che, nonostante sia semi crollato,
conserva ancora un elegante balconcino sorretto da tre mensole di pietra
finemente lavorate. Si trova tra via San Michele e via Fontana Terra.
Palazzo
Cacòpardo, risalente al XVII secolo, sorge su via San Nicolò, a breve
distanza dalla omonima chiesa. In ottimo stato di conservazione,
presenta delle pregevoli finestre bifore e archi siculo-chiaramontani.
Casa
Trischitta, antica dimora tardomedievale a due elevazioni in stile siculo-chiaramontano,
edificata nel XV secolo dalla famiglia patrizia dei Trischitta, si
trova in via Chiesa Madre a poche decine di metri dalla Cattedrale.
Nonostante versi in condizioni di abbandono si erge solitaria e ancora in
buone condizioni, caratteristico risulta il portale d'ingresso recante un
blasone gentilizio, che sembrerebbe non appartenere ai Trischitta ma ad
altra famiglia savocese. Antiche fonti d'archivio attestano la presenza di
una bifora del '400 di cui oggi non vi è più traccia. Fin dal 1911 è
vincolata dalla sovrintendenza ai beni artistici, culturali e ambientali.
Tradizioni
e folclore
Rappresentazione
del martirio di santa Lucia
- Il culto di Santa Lucia venne introdotto a Savoca nel XV secolo, ad
opera dei frati domenicani che, nel 1456 accanto al loro
convento, eressero una monumentale chiesa (oggi scomparsa) dedicata alla vergine
e martire siracusana.
La
ricorrenza liturgica cade il 13 dicembre di ogni anno e in questa data si
svolgono solenni celebrazioni liturgiche precedute, già dal XV secolo e
fino a qualche decennio addietro, da una importante fiera. A causa del
freddo e umido clima del mese di dicembre, la festa patronale si svolge la
seconda domenica di agosto di ogni anno.
La
caratteristica rappresentazione del martirio rientra a pieno titolo nelle più
importanti manifestazioni della Cultura siciliana; ha origine tardo
medievale (anche se con modifiche apportate nel Seicento) ed è
organizzata, a cura della Confraternita di Santa Lucia (fondata
nel XVI secolo), seguendo ancora un antico rituale codificato poi nello
statuto del 1831. Santa Lucia è impersonata da una bambina savocese
vestita di bianco che viene portata a spalla da un uomo e tiene fra le mani
una palma d'argento, simbolo del martirio. Attorno alla bambina, che
impersona Lucia, molti personaggi che cercano di tentarla. Primo fra tutti
il diavolo, chiamato "virsèriu" impersonato da un uomo vestito
interamente di rosso, che indossa un'antica e spaventosa maschera di legno
(risalente al XVI secolo) e che brandisce un forcone. La bambina ha una
grossa corda legata alla vita e questa corda viene tirata da altri
figuranti, vestiti da soldati romani, tradizionalmente chiamati
"Giudei"; infine all'altro capo della corda sono legati due buoi.
Compito della Lucia è compiere tre volte il giro del paese, accompagnata da
tutti questi personaggi, e rimanere immobile di fronte alle tentazioni. Alla
fine del percorso la processione si ferma nella piazza principale del paese,
la bambina ha vinto tutte le tentazioni, il diavolo e i giudei sconfitti si
disperdono per le viuzze del borgo inseguiti, di corsa, dai buoi che vengono
liberati; la bambina scende dalle spalle dell'uomo che la trasportava e si
inchina dinanzi al popolo, il bene ha vinto sul male. A questo punto nel
paese hanno inizio i festeggiamenti che si concludono con la solenne
processione di un simulacro argenteo di Santa Lucia risalente al 1666.
Riti
della Settimana Santa
- Tra le antiche tradizioni religiose savocesi merita menzione la Via
Crucis del Venerdì Santo che si snoda per le vie del centro
storico. Anche questa pia tradizione è organizzata dalla Confraternita di
Santa Lucia i cui confrati muovono in processione incappucciati indossando
un lungo saio bianco e portando a spalla un'antica statua lignea della Madonna
Addolorata adagiata sopra una varetta. Da qualche decennio, durante la Settimana
Santa ha luogo nel centro storico di Savoca anche una rappresentazione
vivente che ripercorre tutte le fasi della Passione di Cristo,
organizzata dalla parrocchia e dal comune.