Ciminà (Borgo)
(Reggio Calabria)

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La nascita del comune di Ciminà si fa risalire al 1453, ad opera di fuggiaschi Greci e Albanesi di religione cristiana che, scacciati da Costantinopoli da parte dei Turchi, trovarono riparo presso il "Monte dei Tre Pizzi".

Il luogo scelto, impervio e lontano dal mare, garantiva riparo e protezione in caso di attacchi da parte di eventuali invasori. Il posto fu scelto in quanto si prestava bene alla pastorizia e all'agricoltura, specie per quanto riguarda la coltivazione del frumento, inoltre era vicino a delle foreste che potevano essere usato per la produzione di legname.

La nuova comunità non tardò ad attirare ceti feudatari, in particolare la famiglia Marullo di Messina che acquisirono dal re Ferdinando il titolo di Conti di Condojanni nel 1480 dopo aver comprato i terreni e l'investitura del centro. I Marullo oltre a Ciminà erano padroni dei feudi di altri centri vicini quali Careri, Bianco, Bovalino, Precacore e Bruzzano.

In seguito il paese venne acquistato dai Carafa di Roccella Ionica, e mantenuta da questi fino all'abolizione del feudatario nel XIX secolo. Successivamente fu riconosciuta "Università civium", divenendo autonomo nel 1806, dal Governo di Gerace che in seguito ne acquisì la giurisdizione nel 1811, facendo parte del circondario, anche dopo il 1816 quando venne effettuato il "Riordino Generale della Calabria" disposto dai Borboni. Altre famiglie feudatarie abitarono a Ciminà, tra le quali le genovesi Grimaldi e Grillo, trasferite nella locride nel 1500 acquistando il feudo di Gerace, e gli Squarciafico, che acquistarono da Tommaso Merullo la baronia di Precacore e di Sant'Agata.  

Il nome di questa cittadina collinare, che conta oggi 748 abitanti, deriva dal greco kyminà, posto dove cresce il cumino, una pianta alta 30-40 cm, volgarmente chiamata ciminaia, della famiglia delle ombrellifere, i cui semi sono usati sia in cucina (soprattutto per conservare i cibi o per farne un liquore chiamato kumeel) che in medicina.

Perle del borgo  

Immerso completamente nel Parco Nazionale dell'Aspromonte, il paese si presenta nella parte più a valle del territorio sormontato dal monte Tre Pizzi. Una maestosa parete di roccia che sembra proteggerlo dall'alto. Il centro abitato è tutto raccolto tra le due chiese principali e si affaccia naturalmente nella valle della fiumara Condojanni.

Elementi architettonici di un certo interesse si possono notare nella parte bassa e centrale del paese, in numerose abitazioni.

Tuttavia, è la parte alta di Ciminà a suscitare maggiore interesse e a divenire dunque vero obiettivo dei turisti, a causa delle vie, strette una all'altra in un immaginario labirinto, e delle abitazioni, costruite in una pietra tufacea dai riflessi violacei, rara in Calabria.

Sempre in questa parte del paese, nel luogo dove è posto il Calvario (luogo ove annualmente si svolge una popolarissima processione), si può godere di un panorama incantevole: occhieggia in basso la distesa pressoché continua dei tetti, circondati dai fianchi del selvaggio Aspromonte e dai Dossoni della Melia. Allo sguardo dell'osservatore attento si presenta un paesaggio splendido e suggestivo, al tramonto acceso da fantasmagorici colori, difficilmente dimenticabile.

Ricca di boschi e conifere, è meta di escursionisti e appassionati di trekking per la varietà dei suoi panorami.

Vi si trova la chiesa di San Nicola di Bari, risalente al XVII secolo ma ricostruita nel 1930. È la Chiesa principale, quella dove ancora oggi viene celebrata la Messa.

È caratterizzata da un altare marmoreo con statua in legno, raffigurante il Santo Protettore, che ha sostituito la tela dipinta ad olio di autore ignoto del secolo XVII, peraltro conservata nello stesso luogo sacro.

Fu danneggiata dal terremoto del 1783, restaurata a spese del comune, demolita poi nel 1929 per i gravi danni prodotti dal terremoto del 1908 e nuovamente restaurata nel 1930/31. L'ultimo restauro è del 1982.

Degna di particolare rilievo anche l'insolita struttura a quattro navate.

Percorso naturalistico Ciminà - Monte Tre Pizzi - Piano Moleti - Pinticudi - Crasto - Cascate dello Schioppo - Ciminà - Il sentiero da percorrere a piedi presenta notevoli difficoltà per gli improvvisi tratti ripidi e per la sua lunghezza (20 km). E' consigliato, quindi, a persone esperte e allenate ai lunghi tragitti. Si parte da quota 300 metri slm per salire a quota 1070 e poi scendere di nuovo a quota 300. 

Dal paese ci si inerpica lungo una vecchia mulattiera verso il Monte Tre Pizzi dove si arriverà dopo circa 40 minuti di cammino. In questa zona si può ammirare il panorama che spazia sulla costa da Capo Spartivento a Punta Stilo e da Montalto fino alla Limina. Riprendendo il percorso verso l'altopiano Moleti si incontrano i ruderi della chiesa di SS Pietro e Paolo, edificata in pietra e distrutta dal terremoto del 1908.

Il tratto da Monte Tre Pizzi a Moleti è agevole. Si procede, infatti, su un crinale con pendenze non eccessive. Più difficoltoso è invece il sentiero che porta a Piano Moleti perché presenta balzi altimetrici notevoli. Qui c'è un casolare conosciuto come "caserma forestale" e un villaggio turistico. Numerose le sorgenti d'acqua. 

Da Piano Moleti si comincia a scendere verso valle, seguendo questa volta il crinale che conduce a Pinticudi (pendenze al di sotto del 10%) e poi a Castro (pendenze in aumento). Si passa da 849 metri slm a circa 300 metri. Da Crasto si prosegue fino alle Cascate dello Schippo, luogo suggestivo che merita una sosta. Da qui fino al paese si va avanti su una strada asfaltata per circa 8 km. 

L'itinerario attraversa tre distinte fasce fitoclimatiche. Quella del lauretum, immediatamente sopra il paese di Ciminà, caratterizzata da lecci e arbusti di ginestra; quella del castanetum, nella zona Tre Pizzi, caratterizzata da lecceta pura governata a ceduo o ad altofusto; quella del fagetum e abete bianco (zona di Piano Moleti).

Sentiero delle otto fontane (punti ristoro) - Facile da percorrere è adatto anche ai non esperti. Lungo 4 km, parte da Piano Moleti. Ci si inoltra nelle faggete e, attraverso un percorso, si raggiungono le otto sorgenti presenti sull'altopiano dove ci sono dei punti ristoro.  

Leggenda - Vi è una leggenda narrata dai vecchi di Canolo, che collega la fondazione  del casale di Ciminà al nome di uno dei fratelli Mina, profughi della Locride durante le invasioni barbariche del X secolo. Si narra, infatti, che Carlo Mina avrebbe fondato Canolo, Antonio  Antonimina, Francesco "Cicciu in gergo" Ciminà.

La storia ricorda a Ciminà la presenza di alcune famiglie feudatarie  come i Grimaldi, i Grillo e gli Squarciafico. Le prime due di origine Genovese si trasferirono nella Locride verso  la  prima metà del '500 ed acquistarono il feudo di Gerace mentre la  famiglia Squarciafico acquistò da Tommaso Marullo la baronia di Precacore e di Sant'Agata.

I Grillo acquistarono poi feudi e subfeudi in vari paesi dell'antica Locride ed abitarono per lungo tempo a Ciminà. Fra le figure più illustri di questa famiglia è da ricordare  il vescovo Francesco Antonio Grillo, nato a Sant'Agata nel  novembre 1744 e morto nel 1804 dopo essere stato vescovo martiriano.

Un tesoro presidio Slow Food

Una delle perle enogastronomiche della Calabria, che esalta ogni giorno le sue bontà mediterranee, è sicuramente il caciocavallo, conosciuto in tutto il mondo. Questo antichissimo formaggio, di cui Ciminà è una delle più vecchie culle, ha una storia particolare. Il suo antenato pare infatti sia il kaskaval, una pasta filata prodotta nei Balcani. Un piccolo grande tesoro che fa della tradizione un vanto e una prelibatezza. 

Il caciocavallo di Ciminà è solitamente consumato freschissimo, entro pochi giorni dalla sua produzione, e anche con qualche settimana di stagionatura, dopo le quali sprigiona sapore e profumi di straordinaria bontà. Scopo di questo Presidio è incrementare la produzione di caciocavalli più grandi e con una stagionatura più prolungata, così da aiutare i produttori ad ampliare il loro mercato.

Proprio in questo borgo i produttori di questo formaggio sono circa una trentina, ma solo alcuni di questi lavorano ogni giorno per il mercato. Il Presidio si propone quindi di coinvolgere tutti i produttori e riunirli in un’associazione, così che il caciocavallo diventi risorsa importante per la crescita economica e sociale di questo paese.

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