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Amendolea
(Amiddalia in greco di Calabria, ovvero mandorleto) è una delle frazioni del
Comune di Condofuri situata nel cuore dell’Area Grecanica. Sorge a circa 5
chilometri dal mare in quella che è definita “La Vallata dell’Amendolea”
dominata dalla maestosa Fiumara Amendolea.
La
fiumara nasce tra le gole e i dirupi dell’Aspromonte, per aprirsi lungo i
pendii, scavalcando le zone più scoscese con una straordinaria danza di cascate
delle quali le più suggestive sono quelle del Maesano e dando origine a
laghetti denominati “gurnali”, tra i quali si distingue l’Olinda in
prossimità della contrada Santa Triada di Roccaforte del Greco. A metà della
sua discesa incontra il torrente Colella ed è a questo punto che il suo
letto raggiunge la massima apertura, che arriva a misurare anche 500 metri.
Dopo
aver bagnato il territorio di Roccaforte del Greco, Roghudi e Condofuri, sfocia
in mare nei pressi di Condofuri Marina. Oltre alle acque del Colella, riceve le
acque del Menta – che è il suo principale affluente e sul quale è stata
costruita un importante diga – del Furria e della Fiumara di Condofuri.

Posto
“a meta strada tra la terra e il cielo”, Amendolea, frazione di Condofuri,
è uno dei siti più affascinanti dell’intera regione. Il borgo sorge su uno
sperone roccioso che guarda la fiumara omonima, nel punto in cui questa riceve
la fiumara di Condofuri, formando la penisola della Rocca del Lupo.
Il
primo documento noto del borgo ricorda una controversia scoppiata nel 1099 per
la spartizione di Amendolea e Bova, conquistate trent’anni prima dai fratelli
Framundo e Riccardo di Losdo, compagni di Roberto e Ruggero d’Altavilla. In
conseguenza della morte di Framundo, Riccardo, divenuto amministratore dei beni
del fratello, fu però restio a trasferire il feudo di Bova al nipote Gugliemo,
il quale, per ottenerne la restituzione, si rivolse con successo al Sovrano.
Amendolea rimase quindi a Riccardo, che dovette accontentarsi di un feudo più
piccolo.
Risale
a questo periodo la realizzazione della torre mastio sul lato Nord dello sperone
roccioso, illuminata da due grandi finestre arcere, una delle quali ostruita,
nella metà del secolo successivo, durante la costruzione del nuovo donjon.
Tra il XII secolo e la metà del Duecento si datano il torrione sul lato opposto
e il grande palacium castri, dove nel corso del XII secolo sappiamo
risiedeva Agnese di Couternay, esponente di una delle più influenti famiglie
normanne del Regno di Gerusalemme. Suo nipote, Guglielmo Amendolea, entro in
contrasto con che Federico II, il quale gli confiscò i beni, riavuti solo nel
1268 da Carlo d’Angiò.
Il
prestigio della casata è ben documentato nell’anno 1326, quando
Giovanni Amendolea, sposo di una rampolla di casa Ruffo, si trova a Firenze al
fianco di Carlo duca di Calabria. Con l’avvento degli Aragonesi il castello
passò dai De Balzo ai Toraldo. Un nuovo passaggio di proprietà avvenne nel
1459, quanto Ferrante di Aragona punì Antonello Amendolea per aver sposato la
causa angioina, concedendo i suoi beni a Berengario Maldà de Cadorna. È in
questo momento che emerge a Napoli la figura del figlio di Antonello Amendolea,
Coletta, poeta volgare alla corte di Alfonso d’Aragona, noto per ballate,
barzellette e strambotti, in cui, il ricordo della sua vallata, si riconosce
nelle invettive, nella vivacità popolaresca e nella sua attraente e spericolata
impudenza espressiva.
Il
poeta tuttavia non riebbe mai il castello calabrese, passato nel 1495 a
Bernardino Abenavoli del Franco e in seguito ai Martirano (1528-32), ai Mendoza
(1532-1597) ed infine ai Ruffo di Bagnara (1624), che lo mantennero fino al
1794, quando cessò di fungere da sede residenziale.
A
partire dal XII secolo, grazie alla sua posizione strategica, il paese
assunse una sempre maggiore importanza politica e militare, tanto che sino al 1806 la
stessa Condofuri era un pagus (ossia un casale) di Amendolea. A seguito del
matrimonio del 1386 circa di Margherita dell'Amendolea, figlia di
Giovan Antonio e di Clemenza d'Angiò, la baronia dell'Amendolea, insieme ai
feudi di Rutino e Pozzomagno, passò prima a Raimondo del Balzo Barone di
Specchia Preite in Terra d'Otranto e Signore di Molfetta, e Giovinazzo, poi nel 1412 al
figlio Jacopo e quindi nel 1444 al nipote Raimondo, titolare di
Rossano, conte d'Alessano e Barone di Specchia. Nel 1495 le terre di
Amendolea e di San Lorenzo passarono nelle mani di Bernardino Abenavolo del
Franco.
Nel 1528 l'imperatore
Carlo V le tolse a Giovan Battista Abenavolo del Franco, accusato di
ribellione (avendo appoggiato il Lautrec), e le diede a Bernardino
Martirano, noto anche come poeta. Infine nel 1624 le terre di
Amendolea, castello compreso, vennero acquistate da Francesco Ruffo, duca di
Bagnara. La famiglia Ruffo manterrà il feudo fino al 1806, anno in cui avrà
fine l'età feudale.
I
Ruffo non risiedettero mai sul posto, ma affidarono a fiduciari il controllo del
feudo: esso, infatti, presentava difficoltà maggiori poiché la popolazione
parlava ancora la lingua grecanica, che nel resto della Calabria era
ormai estinta. Dopo il governo piuttosto tranquillo di Federico Polistena,
allontanato poi dai Ruffo per contrasti relativi alle entrate, furono
sperimentati nuovi rapporti con il feudatario e per la prima volta si registrano
proteste da parte della popolazione contro le angherie dei castellani mandati
dai Ruffo, in particolare contro Sangallo che tenne il feudo dopo il
1640.
All'importanza
politica del feudo non corrispose però una ricchezza economica:
l'inaccessibilità dei luoghi, la mancanza di strade, le scarse risorse
relegarono l'economia locale alla pastorizia e all'agricoltura. Le cose
peggiorarono nei secoli successivi. Sintomatica è la delibera del sindaco di
Amendolea che nel 1801 vietò la vendita delle foreste di querce della
SS. Annunziata dell'Amendolea poiché le ghiande servivano per il pane comune
della popolazione.
Scoprire
il centro storico

L'antico
paese di Amendolea fu pesantemente danneggiato dal terremoto del 1908 e
definitivamente abbandonato dopo l'alluvione del 1956.
Ricostruito
in forma di piccolo borgo agro-pastorale proprio ai piedi della grande rocca, a
causa di motivi economici e di vivibilità pratica ha visto negli ultimi decenni
ridurre il numero dei suoi abitanti, emigrati verso Reggio Calabria e Condofuri.
A
dominare il borgo restano le rovine del Castello dei Ruffo, che risale con tutta
probabilità al XII secolo.
Porta
il nome del Duca di Bagnara, che acquistò Amendolea e la fortezza all'inizio
del 1600. Fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1783 che spaccò il mastio
ed è stato recentemente interessato da interventi conservativi.
Attualmente
il Castello è formato da due parti riconoscibili. Una è l’ingresso di forma
parallelepipeda, separato grazie a un muro di cinta dalla zona residenziale. E
la seconda è la sala rettangolare (Palacium Castri) di quest’ultima, con
pareti molto alte e finestre ad arco e piccole torri di cui una, isolata,
fungeva da mastio.
Con
una pianta irregolare e robusti muraglioni, il Castello ospita al suo interno
anche una torre cappella, costruita in età normanna. Al secondo livello
della torre, vi è una piccola chiesa a pianta absidale con ingresso orientato
verso sud, come da tradizione bizantina.
Sono
visibili, inoltre, i resti dele antiche chiesette basiliane della Santissima
Annunziata, di Santa Caterina, di San Sebastiano e di San Nicola.

Fonte:
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