Acerenthia (Cerenzia)
(Borgo fantasma) - (Crotone)

Video - Video 2 - Video 3 - Video 4


Il borgo ha assunto nel tempo vari nomi, da quello greco di “Akerontia” (dal nome del fiume Akeronte / Acheronte, attuale Lese), passando per quello altomedioevale di “Akerentia” o "Acerenthia", fino a quello attuale di Cerenzia Vecchia.

Di origini antichissime - fondata da Filottete secondo Strabone, dagli Enotri secondo Stefano di Bisanzio - il paese, identificato anche con il toponimo di Pumentum, si sviluppò su due colli situati nell'odierna contrada Scozia di Cerenzia, dove Acerenthia prosperò per molti secoli.

Dal 1080 al 1818 la città fu sede vescovile, con la chiesa di San Teodoro di Amasea (in precedenza dedicata a San Leone) a fungere da cattedrale. La chiesa si trovava in posizione dominante, in cima ad uno dei due colli. Sull'altro si trovava invece un castello.

Raggiunse la popolazione di 7.000 abitanti ed arrivò ad avere nove chiese, ma, a seguito di alcune epidemie e di eventi calamitosi, cominciò a subire forti emigrazioni da parte della stessa popolazione. La peste del 1528 arrivò a dimezzarne la popolazione poiché alle numerose vittime si sommò una forte emigrazione verso i vicini paesi di Caccuri e Casino, e nella Sila a San Giovanni in Fiore. La popolazione scese drasticamente fino a raggiungere poche centinaia di abitanti.

Nei secoli successivi, due terremoti ne decretarono la fine. Il primo nel 1638, che portò ad un'altra consistente emigrazione dopo che il paese era ritornato a ripopolarsi. Il secondo nel 1783, uno dei peggiori terremoti che la Calabria ha subìto nel corso dei secoli, che fu talmente catastrofico per quanto riguarda la distruzione urbana della cittadina di Acerenthia, da far decidere a molti abitanti di edificare un nuovo paese sul colle che si stagliava sopra il vecchio abitato, anziché provvedere a ripristinare e restaurare le vecchie case del borgo.

Nel 1844 l'antico borgo venne definitivamente abbandonato e gli abitanti rimasti si trasferirono nel nuovo centro urbano che prese il nome di Cerenzia.

Dopo l'abbandono, l'antico paese subì un veloce e progressivo degrado, sicuramente accelerato dalle condizioni climatiche. Le abitazioni e tutti gli edifici, oggi, dopo solo un secolo e mezzo di abbandono, si presentano come antichi ruderi, questo anche perché come materiale per le costruzioni fu usata una roccia a base gessosa di origine locale, di natura molto solubile e nel tempo rivelatasi poco durevole.

Sede di un parco archeologico, in corso di realizzazione a cura dell'amministrazione comunale, è oggetto, da diversi anni, di campagne di scavo e ricerca condotte dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria. Nel 2007 è stato eseguito lo scavo del cosiddetto Palazzo del Principe.

L'odierno centro abitato di Cerenzia sorse nella seconda metà dell'Ottocento, quando la scarsità d'acqua e la malaria indusse i cerentinesi a spostarsi in maniera definitiva più a ovest rispetto alla vecchia rocca, Akerentia (detta anche Acheronthia o Acerenthia con chiaro riferimento al fiume Acheronte, o Akeronte, antico nome del Lese, che scorre ai piedi della rupe), un tempo sede diocesana ma messa a dura prova dal terremoto della Calabria del 1783.

Cerenza è inoltre sede di un interessante parco archeologico, di notevole valenza paesaggistica e in corso di realizzazione a cura dell'amministrazione comunale con il supporto della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, è oggetto da diversi anni di campagne di scavo e ricerca condotte dalla stessa Soprintendenza. Nel 2007 è stato eseguito lo scavo parziale del cosiddetto Palazzo del Principe.

La Chiesa di San Teodoro d'Amasea è tra i luoghi imperdibili per chi visita Cerenzia Vecchia. Qui è custodito un quadro in cui il soldato martire viene rappresentato con le sette lingue del drago sulla testa. La chiesetta, che in origine doveva essere un eremo, si è ingrandita nel tempo, trasformandosi nella chiesa principale del borgo. All'interno sono ancora visibili tracce di archi in cotto di fattura molto antica; mentre una porta accanto all'altare maggiore la rende comunicante con l'annesso convento. Si conservano anche frammenti di un altare barocco in marmi policromi e un crocifisso ligneo del XVIII secolo.

Il sito archeologico di Cerenzia Vecchia riveste oggi un notevole interessante archeologico e paesaggistico, non a caso è sotto l'attenzione della Soprintendenza, che da anni conduce campagne sistematiche di scavo e ha provveduto a istituire il Parco Archeologico di Akerentia. Dagli scavi è emerso come Acerenthia fosse un’importante città bizantina: sul pianoro dove sorgeva l’antico centro sono ancora evidenti le tracce di un consistente agglomerato urbano, all'interno del quale spiccano un edificio sacro in gran parte conservato e i corposi resti di una struttura più elaborata identificata come il Vescovato.

Nonostante il passare del tempo e l’abbandono, Acerenthia conserva ancora alcuni edifici che testimoniano la sua antica grandezza. Tra questi spicca il Palazzo del Vescovado, simbolo della città e monumento di rilievo. Le sue mura resistono ancora, evocando immagini di un passato che sembra distante ma che continua a vivere attraverso questi resti.

Nella piazza principale si trova un bassorilevo in bronzo, realizzato dallo scultore Treccani, dedicato alle raccoglitrici di olive di Cerenzia.  

Un altro edificio significativo è la Chiesa di San Leone e San Teodoro di Amasea, luogo di culto di fondamentale importanza per la comunità. Anche se in rovina, la chiesa rappresenta uno dei pochi esempi rimasti di architettura sacra nel borgo e richiama l’attenzione di chi visita questo luogo dimenticato.

La leggenda di San Teodoro e il drago a sette teste

Come ogni "paese fantasma" che si rispetti, anche Acerenthia è legato a una leggenda: era l'anno 1528 quando alcuni abitanti, in fila alla fontana del paese per prendere l’acqua, si trovarono di fronte un drago a sette teste che sputava fuoco. I cerenzioti in fuga si rivolsero al soldato Teodoro d’Amasea, l’unico capace di uccidere la bestia feroce con un colpo di spada. 

Fu così che all'alba del 9 novembre, i paesani, guidati dal condottiero, andarono a svegliare il drago nella grotta e lo fecero infilzare. Pieni di gratitudine, gli abitanti di Acerenthia elessero San Teodoro protettore del paese e la data del 9 novembre il giorno in cui celebrare l'impresa.

Grotte Basiliane: un tesoro di cultura bizantina

Non lontano dal borgo di Acerenthia si trovano le Grotte Basiliane, una testimonianza della presenza del rito greco-bizantino nella zona. Queste grotte furono uno dei centri religiosi più importanti dell’epoca, frequentate da monaci basiliani che vi si rifugiavano per pregare e condurre una vita ascetica. 

Qui il monachesimo orientale, almeno 1200 anni fa, celebrava le sacre funzioni in totale isolamento dal resto del mondo. Questo per effetto dell'editto emanato dall'Imperatore Leone III Isaurico, capo della Chiesa orientale, secondo il quale dovevano essere distrutte tutte le immagini di qualsiasi genere raffiguranti Dio, la Madonna e tutti i Santi. Gli storici parlano di guerra iconoclasta che da quell'anno sconvolse quei luoghi e costrinse i monaci, che non vollero accettare quella drastica imposizione, alla fuga.

Il mistico silenzio concilia mirabilmente con la preghiera. I segni e la nicchia centrale nella parete di fondo scavata nella roccia, al di sopra dell'altare, testimoniano il passaggio storico di quei frati carismatici e laboriosi che divulgarono la dottrina cristiana, seme della nostra fede.

Oggi, le Grotte Basiliane costituiscono un’ulteriore attrazione per i visitatori che desiderano immergersi nella spiritualità e nella storia di questi luoghi antichi.

Fonte
https://calabriastraordinaria.it
https://it.wikipedia.org