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Sull’area occupata dal Duomo
e dalla sua piazza, dall’epoca
romana fino a quella viscontea,
erano sorte ed esistevano, tra i
vari edifici sacri cristiani, queste
più significative presenze: la
basilica Vetus (III sec. d.C.),
citata da S. Ambrogio, alla quale
apparteneva la vasca battesimale di
S. Stefano alla Fonti, ritrovata
sotto la sacrestia settentrionale
del Duomo; la prima cattedrale
milanese, dedicata poi a S. Tecla,
risalente al terzo-quarto decennio
del sec. IV; il battistero
ottagonale di S. Giovanni alle
Fonti, a ridosso dell’abside di S.
Tecla, costruito da S. Ambrogio; la
seconda cattedrale milanese,
dedicata a S. Maria Maggiore, nella
zona ora occupata dalla navata
centrale del Duomo, consacrata
nell’836, divenuta poi la basilica
hjemalis.
E’ in questo suolo, da più
di mille anni consacrato al culto
cristiano, che dal 1386 il Duomo
affonda le proprie radici storiche,
spirituali e architettoniche. La
nuova cattedrale venne avviata, per
iniziativa dell’arcivescovo
Antonio da Saluzzo e con il consenso
del signore di Milano, Gian Galeazzo
Visconti, secondo i criteri
costruttivi del gotico padano in
cotto, ma su un progetto
planimetrico grandioso, quale è
giunto a noi. A questa fase iniziale
risalgono buona parte della
sacrestia settentrionale, del muro
semiottagonale dell’abside e
dell’impianto murario della
sacrestia meridionale.
Fu solo nella seconda metà
dell’anno successivo che il
Visconti determinò il nuovo assetto
stilistico-costruttivo del Duomo,
assegnandogli quella unicità che lo
avrebbe portato ad essere lo status
symbol della propria Signoria,
divenuta ormai una realtà politica,
economica e culturale di grande
rilievo e in espansione sul
territorio della penisola, tanto da
essere elevata a Ducato nel 1395
dall’imperatore Arrigo VII. Questa
svolta decisiva derivò dal voler
imprimere al Duomo un carattere
affatto nuovo nel panorama del
gotico italiano, degno di
rappresentare la potenza della
casata viscontea, ormai in grado di
competere con molti dei regni e dei
principati esistenti nelle terre
franco-germaniche.
Per
ottenere questo risultato, Gian
Galeazzo il 16 ottobre 1387 costituì
la Veneranda Fabbrica del Duomo.
L’organigramma del governo della
Fabbrica fu all’origine altamente
rappresentativo delle magistrature e
del popolo milanese; così come le
capacità professionali guidarono la
scelta dei responsabili tecnici e
amministrativi.
La
Fabbrica con i propri ingegneri e
architetti, tra i quali
significativa fu la presenza dei
Maestri Campionesi, dovette
riprogettare la cattedrale secondo
gli stilemi di quel gotico, ma
conservando il già costruito e la
disposizione planimetrica prevista e
attuata nella sua parte più
determinante, quella absidale.
Da
ultimo, poiché il gotico importato
non consentiva sia per l’altezza
vertiginosa delle sue strutture sia
per il ricco arredo scultoreo
l’uso del cotto, ma richiedeva
l’impiego di un materiale lapideo,
del quale era del tutto privo il
territorio milanese, il Visconti
mise a disposizione della Fabbrica
una cava di marmo assai prezioso e
idoneo a raffinata modellazione: la
vena marmorea bianco-rosata che si
trova nella bassa Valdossola, presso
l’abitato di Candoglia. Alla
Fabbrica l’onere
dell’escavazione e del trasporto a
Milano per via d’acqua, lungo il
Toce, il lago Maggiore, il Ticino,
il Ticinello e il Naviglio Grande,
fino alla darsena di porta Genova e,
dalla seconda metà del Quattrocento
grazie alla Conca di Viarenna, lungo
il Naviglio interno fino al laghetto
di S. Stefano in Brolo, ove si
trovava la Cassina, ovvero il
cantiere nel quale, tra altre
attività, veniva lavorato il marmo
di Candoglia.
Il Duomo non è il frutto di un
unico progettista, ma di una equipe
cui parteciparono architetti,
ingegneri, scultori, pittori e
capimastri. Negli anni 1386-1400,
spiccano i nomi di Simone da
Orsenigo, Andrea e Filippino degli
Organi da Modena, Zeno, Marco e
Giacomo da Campione, Giovannino
de’ Grassi, Paolino da Montorfano,
Bernardo da Venezia e quelli di
alcuni consulenti stranieri che,
talora senza grande fortuna, il duca
per un decennio convocò al
cantiere: i tedeschi Anichino de
Alemania, Ulrico da Füssingen e
Enrico III Parler “il Gamodia” e
i francesi Nicola de’ Bonaventis e
Giovanni Mignot.
IL
QUATTROCENTO - Già attorno al 1394, sotto la
direzione di Filippino degli Organi
e su un progetto iniziale di Nicola
de’ Bonaventis, si era concluso il
finestrone dell’abside, mentre
assai avanzati erano i due laterali;
nel 1404 venne ultimata la prima
guglia, detta Carelli dal nome di un
generoso benefattore, con la posa
della statua terminale raffigurante
il duca Gian Galeazzo Visconti.
Nel 1407, per un finestrone
della sacrestia settentrionale,
vennero affidate ai pittori lombardi
le prime vetrate-campione; attorno
al 1415 furono ultimati e completati
dalle volte a crociera l’abside,
il presbiterio e il coro, i due
bracci del transetto con esclusione
delle absidiole terminali, e
impostati i primi piloni delle
navate verso la facciata, man mano
demolendo la basilica di Santa Maria
Maggiore che, con l’abside
all’altezza della grande crociera
del Duomo, occupava l’attuale
navata centrale per circa i due
terzi. Poiché una copertura
provvisoria si ergeva al di sopra
dei quattro piloni centrali, in
attesa di costruire la cupola,
quando il 16 ottobre 1418 papa
Martino V, chiamato dai milanesi che
volevano vedere officiata la nuova
cattedrale, consacrò l’altare –
era lo stesso di Santa Maria
Maggiore –, questo fu
necessariamente trasferito nella
parte coperta al centro della
curvatura del coro.
La definitiva concessione
delle cave alla Fabbrica da parte di
Galeazzo Maria (21 agosto 1473)
ormai garantiva al cantiere la
necessaria e durevole fornitura di
marmo di Candoglia. Le cinque navate
proseguirono alacremente fino a tre
campate prima della facciata, mentre
all’esterno e sui piloni andavano
a collocarsi centinaia di statue
d’ogni dimensione e un apparato di
ornato scultoreo di raffinata
esecuzione. Anche l’arte vetraria
segnò una ripresa vigorosa che vide
impegnati molti maestri lombardi,
tra i quali Cristoforo de’ Mottis,
Niccolò da Varallo e Antonio da
Pandino.
Nel 1490, dopo aver chiesto
progetti e modelli per la soluzione
della cupola a Leonardo da Vinci,
Francesco di Giorgio Martini, Donato
Bramante e altri noti architetti,
l’ardita costruzione venne
affidata all’Amadeo e al
Dolcebuono, che la portarono a
termine il 24 settembre 1500.
IL
CINQUECENTO - Sulla cupola appena ultimata,
l’Amadeo progettò e costruì il
tiburio ottagonale che, completato
dalla grande guglia, doveva
manifestare, come già previsto alla
fine del Trecento, la simbolica
presenza dell’Eterno Padre assiso
in trono e attorniato dagli
Evangelisti, i quattro gugliotti,
prolungamenti verso il cielo dei
piloni centrali sui quali si regge
l’intera struttura principale del
Duomo. Realizzata la lanterna che
sovrasta la cupola e il primo
tronco, per dubbi e difficoltà
statiche venne, però, sospesa la
costruzione della grande guglia;
l’Amadeo si limitò ad innalzare
(1507 – 1518) il primo gugliotto
– quello di Nord-Est – che
prende il suo nome.
Con l’entrata a Milano
dell’arcivescovo cardinale Carlo
Borromeo (1565), il Duomo entrò
nella fase di revisione
liturgico-pastorale e di adeguamento
funzionale del suo assetto
architettonico interno. Efficace
interprete del pensiero del
Borromeo, il vescovo che più di
ogni altro seppe attuare in modo
esemplare ed estremamente innovativo
le norme liturgiche del Concilio di
Trento, fu Pellegrino Pellegrini
(luglio 1567). Egli si rivelò
creativo progettista ed abile
esecutore del monumentale complesso
del presbiterio, nel quale seppe
felicemente far convivere ogni
espressione artistica e ogni
materiale per esaltare e celebrare
la presenza eucaristica, negata
dalla Riforma protestante. Lo stesso
Pellegrini disegnò anche gli altari
laterali delle navate e la cripta;
diede anche i primi due progetti di
facciata, “alla romana”, ripresi
dal Richini e da questi avviati a
realizzazione all’inizio del
secolo seguente.
IL
SEICENTO - L’azione di riforma iniziata
da san Carlo fu condotta
coerentemente a termine dal cugino
cardinale Federico Borromeo; la
“facciata alla romana”, sospesa
quando erano state quasi del tutto
ultimati i cinque portali e le
quattro finestre laterali, veri
capolavori del manierismo milanese,
fu ripresa attorno alla metà del
secolo in forme gotiche secondo il
progetto di Carlo Buzzi sostituendo
al classico tema
“colonne-trabeazioni” i
contrafforti che già scandivano i
fianchi. Completata la zoccolatura
di base, inseriti i due ordini di
altorilievi e i primi telamoni a
reggere le esili nervature gotiche,
i lavori della facciata vennero di
nuovo sospesi e, per oltre
centocinquant’anni, il Duomo ebbe
una fronte non finita, costituita da
una muratura di mattoni.
Continuò
invece la produzione di statuaria,
dagli accenti sempre più barocchi,
per decorare sia l’esterno sia gli
altari interni e la cinta del
tornacoro con i diciassette
altorilievi con le storie della
Vergine; si distinsero gli scultori
Marc’Antonio Prestinari, il
Lasagna, Giuseppe e Gaspare Vismara,
Giovanni Andrea Biffi e Dionigi
Bussola. Del tutto ferma, invece, la
produzione di vetrate; il Seicento e
il Settecento rappresentarono per
questa arte due secoli veramente
bui.
IL
SETTECENTO - Oltre alla ricca produzione di
statuaria del tipico barocchetto
milanese, il secolo fu dominato da
due problemi: la facciata e la
guglia maggiore. Quest’ultima ebbe
maggior fortuna. Dopo vari studi di
Giuseppe Merlo e di Antonio Quadrio,
nel 1765 Francesco Croce, coadiuvato
dai calcoli statici elaborati dai
matematici Ruggero Boscovich e
Francesco De Rege, iniziò ad
erigere la guglia maggiore, secondo
un elegante ardito progetto,
ultimandola nel 1769. Il glorioso
“sigillo” dell’aurea
Madonnina, cara d’allora ai
milanesi, venne innalzato allo
scadere del 1774. Per la facciata,
vennero commissionati dalla Fabbrica
o ad essa offerti un centinaio di
progetti, mai presi in seria
considerazione.
L'OTTOCENTO
- L’inizio del nuovo secolo
vide l’incoronazione in Duomo (26
maggio 1805) di Napoleone I
Bonaparte a re d’Italia, al cui
volere si deve la conclusione della
facciata ad opera di Carlo Amati e
Giuseppe Zanoja (1807 – 1814), con
il conseguente, però,
depauperamento del patrimonio della
Fabbrica. Vennero completate le
guglie, nelle quali furono collocate
circa 1800 statue di santi e molte
altre sui fianchi, tutte denuncianti
le varie stagioni dello
straordinario Romanticismo milanese
e si eressero gli altri tre
gugliotti. Nella seconda metà del
secolo la bottega milanese dei
vetrai Bertini completò con nuove
vetrate dipinte le vuote occhiaie di
molti finestroni e con invasivi
restauri e rifacimenti collaborò
alla dispersione del patrimonio
vetrario soprattutto
quattrocentesco.
Maturava nel frattempo
nell’opinione pubblica, come nella
Fabbrica, il proposito di dare al
Duomo una facciata che fosse
coerente con il gotico espresso
soprattutto nella sua parte più
antica. Grazie al lascito di
Aristide De Togni (1884), fu bandito
un concorso internazionale per una
nuova facciata; parteciparono
centoventi architetti di tutto il
mondo e, in secondo grado (1888)
vinse il progetto del giovane
milanese Giuseppe Brentano; ma la
morte dell’architetto,
sopravvenuta l’anno successivo, e
il graduale superamento della
cultura romantica bloccarono i
lavori e venne conservata la
facciata esistente. Essa rappresenta
così un genuino documento storico
delle vicende del nostro Duomo e dei
vari orientamenti culturali che in
tre secoli si sono succeduti.
IL
NOVECENTO - Il sec. XX ha offerto, come
proprio contributo, le cinque porte
di bronzo modellate da noti
scultori; la centrale, messa in
opera nel 1906-08, è dedicata alla
Vergine; le laterali collocate tra
il 1948 e il 1965, celebrano la
storia e personaggi del
cristianesimo milanese e del Duomo.
Dal 1946 inizia il gravoso
impegno di riparare i danni di
guerra subiti nelle tragiche
incursioni aeree dell’agosto 1943.
Dall’inizio degli anni Sessanta la
Veneranda Fabbrica ha intrapreso il
metodico impegno di restauro statico
e conservativo dell’intero Duomo,
dalla guglia maggiore e dai
gugliotti alle volte, dalla facciata
alle vetrate e ai dipinti, per
investire successivamente guglie,
archi rampanti, falconature,
strutture verticali dei fianchi e
dell’abside con il loro corredo di
migliaia di statue, di ornati, di
altorilievi. Quest’opera di
conservazione e valorizzazione del
Duomo non vedrà mai fine; essa è
destinata a continuare nel tempo se
si vuole tramandare questo immenso
patrimonio d’arte e di fede ai
milanesi e al mondo intero e
richiede un costante impegno di
uomini, di professionalità, di
tecniche sempre più aggiornate e di
cospicui mezzi finanziari.

La Facciata
La facciata è stata l’ultima parte della
cattedrale a essere costruita. Fu
iniziata agli albori del XVII sec.
da Francesco Maria Ricchini e a
questo progetto risalgono i cinque
portali e le quattro finestre
minori.
Negli
altorilievi dei portali, tutti su
bozzetti pittorici di G.B. Crespi
detto il Cerano, sono raffigurati
personaggi femminili preannuncianti
la Vergine. I lavori, però, vennero
sospesi attorno al 1630 per
l’estraneità di questa
architettura rispetto al Gotico del
Duomo.
Carlo Buzzi approntò nel 1650 un progetto
comprendente la doppia serie di
altorilievi, con simboli e
prefigurazioni mariane tratte
dall’Antico Testamento. I lavori,
di nuovo sospesi attorno al 1660,
lasciarono la facciata a rustico; fu
solamente per volontà di Napoleone
I che il cantiere riprese nel 1807
per concludersi nel 1814, secondo il
progetto di Carlo Amati e Giuseppe
Zanoja.
Gli archi rampanti e la maggior parte delle statue
risalgono all'800: in omaggio
all'idea che si aveva di medioevo e
di gotico si adottano questi
elementi con funzione decorativa.
Ai primi del 900 le porte vengono inserite nella
facciata pre-esistente (la porta
centrale di Pogliaghi), fino
all'ultima porta a destra, opera di
Minguzzi. Tutte del XX sec.,
raffigurano, da sinistra:
"L’affermazione del
Cristianesimo a Milano" di
Arrigo Minerbi (1948), "La vita
di S. Ambrogio" di Giannino
Castiglioni (1950), "I dolori e
i gaudi della Vergine" e la sua
"Incoronazione" di
Ludovico Pogliaghi (1906-08) porta
modellata per la facciata vincitrice
del concorso del 1888 e qui
reimpiegata con felici adattamenti
"L’affermazione civile e
religiosa di Milano libero
comune" di Franco Lombardi
(1959) e "I fasti del
Duomo" di Luciano Minguzzi
(1965).
Le terrazze
Giunti
in quota (35 mt) con l’ascensore o
le scale (158 gradini), si è
conquistati dal numero e dalla
fantasiosa varietà degli ornati di
falconature e archi rampanti, della
statuaria d’ogni misura che popola
le 135 guglie, dei raffinati
altorilievi che decorano i passaggi
lungo i terrazzi. Percorrendo i
camminamenti e salendo le rampe di
scale che conducono di terrazza in
terrazza, si scopre che il Duomo non
è coperto da tetti, ma da terrazze,
tutte pedonabili, che consentono di
vivere un’esperienza unica:
camminare in un mondo quasi irreale,
in un museo all’aperto di
architettura e di scultura che si
proietta di continuo su scorci
interessanti della città nelle
giornate limpide, sulla Lombardia,
la corona delle Prealpi e delle
Alpi.
Giunti
sulla grande terrazza che
corrisponde alla navata centrale
(circa 55 mt), si coglie appieno la
vastità del Duomo, il fascino: la
"foresta" delle guglie,
l’imponenza del tiburio
ottagonale, accanto al quale si
innalzano quattro elaborati
agugliotti a destra, il "gugliotto
Pestagalli" (1843) e, dietro,
il "gugliotto Cesa
Bianchi" (1887), a sinistra, il
"gugliotto Vandoni (circa 1875)
e, dietro, il "gugliotto detto
dell’Amadeo" (1507-1520) si
staccano altrettanti archi rampanti
rovesci, si innalza la grande guglia
(1765-69), sulla quale venne posta
la statua in rame sbalzato e dorato
della "Madonnina" (1774);
con essa, il Duomo raggiunge
l’altezza di 108,50.
Statue, guglie e
doccioni
In totale 3400 di cui esterne 2300, oltre un
centinaio le figure scolpite ad
altorilievo, 96 giganti sui quali
sporgono i doccioni e tantissime
statue che ne coronano le guglie tra
le quali la più antica: la guglia
Carelli sull'angolo estremo
affacciato su C.so V. Emanuele e la
più alta che fu eretta da Francesco
Croce tra il 1864 ed il 69 due
secoli dopo l'imponente tiburio
dell'Amadeo.
Proprio su questa guglia la Madonnina di Giuseppe
Bini realizzata nel 1774 e' in
lamina d' oro ed e' alta 4,16 mt.
All' interno il S. Bartolomeo
scorticato, statua scolpita nel 1562
da Marco D' Agrate raffigurante il
martire.
Storia
della Madonnina
Verso la metà del Settecento
la Fabbrica del Duomo prese una
decisione davvero importante:
costruire sul tiburio del Duomo la
Guglia Maggiore che doveva culminare
con una statua, coronamento di tutta
l'opera. Non si trattava di un
progetto da poco perché già il
tiburio era un'opera molto ardita e
pesantissima che poggiava solo su
quattro pilastri, ed era quindi
molto rischioso appoggiarvi sopra
un'altra struttura di notevole mole.
La Fabbrica però non si lasciò
scoraggiare e affidò a Francesco
Croce l'incarico di progettare una
guglia alta ben 50 braccia (29,5
metri), l'altezza di una casa di
sette piani.
Due anni più tardi, nel 1764,
il Croce presentò i suoi disegni.
Furono vagliati da ingegneri,
architetti, matematici tra un nugolo
di voci contrastanti e di polemiche,
ma alla fine vennero ritenuti
sostanzialmente validi e nel 1767 i
lavori iniziarono per concludersi
entro tre soli anni. Restava da
pensare al coronamento dell'opera.
Il Duomo, come tutti sanno, è
dedicato alla Madonna e a Lei fanno
riferimento tutti i rilievi della
facciata. Probabilmente fin
dall'inizio si era pensato ad una
statua della Vergine sulla guglia
maggiore anche se la prima
testimonianza che ci rimane di
questa idea risale agli inizi del
'500 e ad un disegno dell'architetto
Cesariano che ci mostra sulla cima
del Duomo una statua della Madonna
circondata dai raggi di un'aureola
di forma ellittica.
La
statua dell'antico disegno
rappresenta l'Assunta, cioè
l'ultimo istante terreno della vita
di Maria, ed è naturale che fosse
questa l'immagine ideale da
collocare nel punto più alto. Venne
quindi incaricato lo scultore
Giuseppe Perego di elaborare
un'Assunta sollevata dagli Angeli ed
egli nel 1769 presentò tre bozzetti
che si possono ancora vedere nella
sezione del Museo del Duomo dedicata
alla Madonnina. Venne scelta la
soluzione più semplice senza gli
Angeli che sostengono la Vergine. In
corso d'opera però lo scultore
volle egualmente inserire alcune
testine di angeli che spuntano dalla
nube ai piedi della figura.
Approvato il bozzetto definitivo, il
17 giugno 1769 fu quindi deliberata
l'esecuzione della statua costruita
in lastre di rame sostenute da un
complesso traliccio di ferro e
dorate.
Non si conosce il giorno
preciso di questo evento che
dovrebbe risalire al dicembre del
1774. Il momento di gloria arriva
con le Cinque Giornate quando il
tricolore che sventolava accanto
alla statua richiamò dai borghi
circostanti i patrioti a sostegno
dei Milanesi che lottavano contro
gli Austriaci. E' forse in questo
momento che la statua acquista il
suo nuovo significato.
Dalla seconda metà
dell'Ottocento, infatti, si comincia
a citare la "Madonnina"
come un simbolo dell'intera città,
che il viaggiatore saluta arrivando
o partendo a Milano, mentre l'uso
del diminutivo sottolinea l'affetto
che i milanesi già nutrono verso
questa "piccinina" alta
4,16 metri e pesante quasi 1000 kg.
Da allora la "Madonnina"
ha guadagnato sempre più posizioni
come simbolo di Milano, grazie anche
all'enorme successo della canzone
che Giovanni D'Anzi le ha dedicato
nel 1935 e che da allora è
considerata quasi l'inno ufficiale
della città.
Interno
L'interno è a cinque navate ove si stagliano 52 pilastri e il pulpito;
altari, mausolei e cappelle, tra cui
il monumento funebre di Gian Giacomo
Medici (Leone Leoni, 1560-1563);
nella sottostante cripta, vano
circolare che dà accesso alla
cappella di S. Carlo progettata da
Francesco Maria Richini nel 1606, si
trova l'urna di cristallo che
custodisce le spoglie di S. Carlo
Borromeo. Nei locali attigui sono
esposte preziose opere di
oreficeria, le più antiche
risalgono al IV°-V° secolo.
La pianta è a croce latina,
lo spazio del braccio lungo è
articolato in cinque navate, quello
del transetto in tre, ma arriviamo
all'altare posto in una zona
leggermente sopraelevata,
accompagnato da pilastri, il cui
capitello in di otto nicchie
popolate da statue di martiri sino
all'altezza dell'altare, e da statue
di angeli nella zona absidale.
La navata centrale è più
alta delle laterali che conservano
sulle volte la decorazione
ottocentesca a finto traforo; le
volte sono a sesto acuto, (elemento
tipico del gotico), così come
tipiche sono le vetrate con giochi
di luce e colore, narrano vite di
santi e passi delle sacre scritture.

Lungo le navate laterali,
sarcofagi di vescovi milanesi come
quello di Ariberto d'Intimiano,
sormontato da una croce, o di
personaggi importanti come il
benefattore Marco Carelli, che donò
alla cattedrale più di 35.000
ducati d'oro alla fine del '300).
La cattedrale era anche la
chiesa più lunga d'Europa e del
mondo allora conosciuto (con i suoi
158 metri, infatti, fu superata solo
dalla basilica di San Pietro a Roma,
che venne costruita a metà del
Cinquecento) e doveva apparire
veramente enorme in una Milano che
andava appena al di là della
Cerchia dei Navigli e in cui le case
arrivavano a un massimo di tre o
quattro piani. Nel periodo sforzesco
la direzione della Fabbrica passò
alla famiglia degli architetti
Solari e in questo periodo venne
costruito il tiburio.
Nella seconda metà del
Cinquecento cominciò a delinearsi
il fronte della cattedrale a opera
di Pellegrino Tibaldi, prediletto
dal cardinale Carlo Borromeo, ma nel
secolo successivo il Richini e il
Buzzi lo ridisegnarono su moduli
baroccheggianti. Nel 1769 fu
innalzata la guglia maggiore con la
Madonnina, modellata in rame e poi
dorata da Giuseppe Perego nel 1723.
La facciata della cattedrale,
per la quale furono molti i progetti
presi in considerazione, fu finita
per volere di Napoleone: nel 1813,
infatti, egli doveva essere
incoronato Re d'Italia nella chiesa
simbolo di Milano. In seguito il
Duomo venne completato con diverse
aggiunte e all'inizio del Novecento
Ludovico Pogliaghi modellò
l'intricato altorilievo della porta
centrale; le altre tre porte di
bronzo vennero installate fra il
1948 e il 1950. L'ultima nel gennaio
del 1965.
ABSIDE
-
Lungo la muratura dell'abside si
aprono le porte delle due sagrestie
con la ricca decorazione scultorea:
il portale meridionale risale al
1389-91, opera di Hans Fernach,
quello settentrionale, coevo, è di
Giacomo da Campione. Da ricordare il
candelabro Trivulzio, capolavoro di
oreficeria medioevale, posto nel
braccio sinistro del transetto; e la
meridiana, sul pavimento vicino alle
porte, che ha segnato le ore dei
milanesi dal 1786.
PRESBITERIO - Il presbiterio nella sua
rinnovata versione (1986) a seguito
della riforma liturgica del concilio
Vaticano II valorizza tutti gli
elementi del presbiterio
cinquecentesco voluto da S. Carlo e
attuato dal Pellegrini e mette in
luce, al centro della gradinata
semicircolare, l’antico altare
(1185) già appartenuto a S. Maria
Maggiore.
La cattedra e l’ambone sono
recenti bronzi di Mario Rudelli,
mentre segni eloquenti della Parola
tornano a essere i due pulpiti,
disegnati dal Pellegrini (1580
circa). Dietro di essi, le
monumentali casse degli organi
(circa 1580), in legno intagliato e
dorato con le grandi ante dipinte
della fine del Cinquecento; al
centro, dietro il nuovo coro dei
Canonici, il pellegrinesco ciborio a
otto colonne che schiude, sollevato
da quattro angeli di bronzo, il
tabernacolo a torre, dono (1562) di
Pio IV.
Alle spalle del presbiterio
festivo, la cappella feriale di
recente acquisizione (1986),
racchiusa dal coro cinquecentesco
dei Canonici intagliato in noce, che
nei settantun stalli maggiori
presenta la "Vita di S.
Ambrogio" e i "Santi
Martiri milanesi", mentre nei
dossali del covo minore sono
effigiati i "Santi Vescovi di
Milano".
In alto, la serraglia del
semicatino absidale, copia del tondo
in rame sbalzato e dorato
raffigurante il "Padre
Eterno" (l’originale è al
Museo del Duomo, 1424), mentre nella
volta centrale del coro, segnato da
un lume rosso, domina il tabernacolo
a forma di croce raggiata e dorata
che custodisce il Santo Chiodo,
reliquia venerata ab immemorabile già
nell’antica cattedrale di S. Teda.

NAVATA
DI DESTRA - Subito si incontrano il sarcofago di serizzo e la
copia (l’originale è al Museo del
Duomo) del crocifisso in rame
sbalzato detti di Ariberto Ariberto
da Intimiano, l’arcivescovo del
"Carroccio", risalenti al
quinto decennio dell’anno Mille.
Alle spalle, la vetrata con le "Storie di S.
Giovanni Evangelista", opera
preziosa di Cristoforo de’ Mottis
(1473-78). Segue il mausoleo
Visconti, sepolcro di scuola
campionese degli arcivescovi Ottone
(+1295) e Giovanni (+1354) Visconti.
Dietro, la prima delle tre
successive vetrate cinquecentesche
delle "Storie dell’Antico
Testamento", con inserti di
episodi neotestamentari. Nella terza
campata, tavola marmorea con
l’elenco cronologico degli
arcivescovi di Milano e,
successivamente, l’arca Carelli,
dedicata al benefattore, di
Filippino degli Organi e con
raffinate statuette della bottega di
Jacopino da Tradate (1408). Nella
campata seguente, la quinta (il
semplice monumento Vimercati, di
Agostino Busti detto il Bambaja (metà
XVI° sec.) e la bella e animata
vetrata delle "Storie del Nuovo
Testamento", felice sintesi
dell’arte lombarda dell’epoca
sforzesca (1465-70).
Seguono gli altari disegnati dal Pellegrini,
eseguiti tra la fine del Cinquecento
e i primi anni del XVII sec.-
l’altare di S. Agata, con pala di
Federico Zuccari e la vetrata con
"Le storie di S. Eligio",
opera elegante e vivace di Niccolò
da Varallo; l’altare del Sacro
Cuore e la vetrata di Giovanni
Hajnal dedicata a due amati pastori
deùa Chiesa ambrosiana, di recente
beatificati: dall’alto, il card.
Alfredo Ildefonso Schuster e il
card. Andrea Carlo Ferrari, il cui
corpo è custodito sotto la mensa
dell’altare; la vetrata è dei
Bertini; l’altare Virgo Potens,
con pala marmorea del 1393, che
accoglie l’urna del Beato Card.
Schuster.
Nel braccio meridionale del transetto, il monumento
a Gian Giacomo Medici, capitano di
ventura e zio materno di san Carlo
Borromeo, è opera di Leone Leoni e
dono di papa Pio IV, fratello del
condottiero; di classiche linee
cinquecentesche, è arricchito dalle
raffinate statue del "Medeghino"
chiamato il Medici, della
"Milizia" e della
"Pace".
Segue, nell’angolo, l’altare
detto di Pio IV°, donato da questo
pontefice nel 1561 assieme alla
vivace e monumentale vetrata con
"Le storie di S. Giacomo
Maggiore", del renano Corrado
Mochis da Colonia.
NAVATA DI SINISTRA - Rientrati nella navata più esterna di settentrione,
si incontrano l’altare di S.
Ambrogio, con bella pala dipinta di
Federico Barocci. Segue l’altare
di S. Giuseppe, con lo
"Sposalizio della Vergine"
di Andrea Salmeggia e vetrata con
episodi della "Vita di S.
Giuseppe" del fiammingo Valerio
Perfundavalle. Il terzo altare è
dedicato al "Crocifisso di S.
Carlo", portato in processione
dal Borromeo durante la peste del
1576; sopra, vetrata di "S.
Elena e il rinvenimento della
Croce".
Nella campata successiva, sopra il monumento
Tarchetta, vetrata con le
"Glorie della Vergine",
forse su cartone di Giovanni da
Monte (1565). Seguono la
riproduzione in fac-simile della
"Madonna dell’aiuto"
(l’originale è nel tomacoro) e la
vetrata dedicata ai "Santi
Quattro Coronati" (gli scultori
martiri Claudio, Nicostrato,
Sinforiano e Castorio), ultima opera
di Corrado Mochis (1569) su cartone
di Pellegrino Pellegrini (1567). Più
oltre, il mausoleo Arcimboldi degli
arcivescovi Giovanni, Giovanni
Angelo e Guido Antonio (circa 1555)
e la vetrata con la "Lotta
dell’arcangelo Michele e dei
demoni", singolare
realizzazione di Giovanni Buffa
(1939).
Nella penultima campata, il polittico degli
"Apostoli", altorilievo
incompleto di scuola campionese
(circa 1185), appartenuto alla
cattedrale di S. Maria Maggiore.
Concludono la rassegna del fianco
settentrionale la lapide
settecentesca della meridiana con il
segno zodiacale del Capricorno e la
vivace vetrata delle "Storie di
Davide", di Aldo Carpi (1939).

TRANSETTO
DI SINISTRA - Prendendo a destra, si entra
nel braccio settentrionale del
transetto: dopo l’altare di S.
Tecla - che ricorda la santa
titolare della antica cattedrale e
della attuale parrocchia del Duomo
si incontra l'altare di S. Prassede,
alle cui spalle s’innalza la
vetrata con le "Storie di S.
Giovanni Damasceno",
prestigiosa opera di Niccolò da
Varallo (1478-80).
Segue la vetrata con la
‘Vita di S. Carlo", eseguita
dai maestri vetrai Beltrami, Buffa,
Cantinotti e Zuccaro (1910).
Nell’absidiola, l’altare
della Madonna dell'Albero, disegnato
da Tolomeo Rinaldi (1571) e portato
a termine dal Ricchini e da Fabio
Mangone. La "Vergine col
Bambino" è di Elia V. Buzzi
(1778), mentre sulle lesene laterali
sono collocati sei altorilievi con
la ‘Vita della Madonna"
risalenti alla prima metà del
Cinquecento.
Al centro della navata, si
innalza il candelabro Trivulzio a
sette braccia, bronzeo capolavoro
della seconda metà del XII sec. e
pezzo di oreficeria unico al mondo,
di provenienza culturale del
Centro-Nord Europa, acquistato a
Parigi e donato al Duomo
dall’arciprete Giovanni Battista
Trivulzio (1562); l’elaboratissimo
piedistallo è efficace sintesi
scultorea dell’Antico Testamento e
del sapere medievale, conclusa nel
nodo centrale dall’insolita
"Cavalcata dei Magi alla
Vergine in trono col Bambino".
Alla sinistra dell’altare
della Madonna, a S. Caterina da
Siena sono dedicati il gotico altare
e la parte superiore della vetrata
di Corrado Mochis (1562), mentre
l’inferiore reca la ‘Vita dei
genitori della Vergine" di
Giovanni da Monte (1562-67); a lato,
la vetrata degli
"Apostoli" di Corrado
Mochis su cartoni del cremasco Carlo
Urbini (1567).
IL
TESORO - Nella cripta si trova
il fastoso sepolcro di San Carlo
Borromeo. Il Tesoro conserva
preziose oreficerie, oggetti,
paramenti dal IV° al XVIII°
secolo. In particolare, la cappella
argentea di S. Nazaro (circa 386)
inviata dal papa a S. Ambrogio,
coperture eburnee e argentee di
evangelari, l’evangeliario
d’avorio (V sec.), la situla
d’avorio di Gotofredo (fine X
sec.), l’evangeliario di Ariberto
(1040), le statue d'argento di S.
Ambrogio e S. Carlo (XVIII°
sec.),la croce di Chiaravalle (secc.
XIII-XVI), l’ostensorio
Castiglioni(XVI sec.) il pastorale
di Ariberto con smalti dell'XI
secolo, calici, reliquiari, vasi
sacri, paramenti e stendardi
ZONA
ARCHEOLOGICA - Da una scala
ricavata nella controfacciata si
scende per la visita al battistero
ottagonale di S. Giovanni alle
Fonti, edificato da S. Ambrogio e
nel quale questi battezzò S.
Agostino (Pasqua 387). È questo il
primo edificio battesimale a forma
ottagona della storia cristiana e,
pertanto, di importante interesse
teologico e liturgico; a lato, si
eleva parte dell'abside della
cattedrale di S. Tecla.
LA MERIDIANA - In
vicinanza dell'ingresso del Duomo
una striscia di ottone incassata nel
pavimento attraversa la navata,
risalendo per tre metri sulla parete
di sinistra (a nord). Sulla parete
rivolta a sud, ad una altezza di
quasi 24 metri dal pavimento, è
praticato un foro attraverso il
quale, al mezzogiorno solare, un
raggio di luce si proietta sulla
striscia del pavimento. Ai lati
della linea metallica sono
installate delle lastre di marmo
indicanti i segni zodiacali con le
date di ingresso del sole.
Lo strumento fu realizzato nel
1786 e modificato nel 1827 in
seguito al rifacimento del pavimento
del Duomo.

Il Duomo in cifre
Inizio costruzione 1386
Installazione Madonnina 1774
Completamento Facciata, per
volere di Napoleone 1813
Rifacimento Sagrato 1966
Restauro Presbiterio
interventi di statica 1981 -
1986
Volume (calcolato) 440.000
m3
Peso (calcolato) 325.000 t
Superficie coperta 11.700 m2
Altezza Madonnina dal suolo
108,50 m
Distanza dell'Orizzonte da
lassù 37 Km circa
Altezza Lanterna Centrale 65
m
Altezza Facciata 56,50 m
Altezza Navata Maggiore 45 m
Altezza Statua Madonnina 4 m
Lunghezza esterna 158 m
Lunghezza interna 148 m
Lunghezza facciata 67,90 m
Lunghezza interna delle 5
navate 57,60 m
Larghezza esterna 93 m
Larghezza interna 66 m
Numero colonne interne 42
Altezza colonne interne 24 m
Diametro colonne interne
3,40 m
Numero Guglie 135
Numero Statue 3.400 circa
di cui esterne 2.300 circa
Numero Statue Giganti 96
Numero Doccioni 150
Numero Finestroni 164
Altezza Finestroni Abside 24
m
Superficie Vetrate 1.700 m2
Scene illustrate 3.600 circa
Gradini al primo Terrazzo
158
Gradini al Balcone terminale
della Guglia 500
Porte nella Facciata 5 |
Le
misure
Alcune misure del Duomo:
altezza della Madonnina
dal suolo: 108,50 metri;
altezza della Madonnina:
4,16 metri;
altezza della facciata
centrale: 56,50 metri;
altezza della navata maggiore:
45 metri;
lunghezza esterna: 158 metri;
lunghezza interna: 148 metri;
lunghezza della facciata
principale: 67,90 metri;
larghezza interna delle 5
navate: 57,60 metri;
larghezza esterna: 93 metri;
larghezza interna: 66 metri;
colonne interne: 52;
guglie: 135;
altezza delle colonne interne:
24 metri;
diametro della colonne
interne: 3,40 metri. |


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