Duomo di Milano

    

Sull’area occupata dal Duomo e dalla sua piazza, dall’epoca romana fino a quella viscontea, erano sorte ed esistevano, tra i vari edifici sacri cristiani, queste più significative presenze: la basilica Vetus (III sec. d.C.), citata da S. Ambrogio, alla quale apparteneva la vasca battesimale di S. Stefano alla Fonti, ritrovata sotto la sacrestia settentrionale del Duomo; la prima cattedrale milanese, dedicata poi a S. Tecla, risalente al terzo-quarto decennio del sec. IV; il battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti, a ridosso dell’abside di S. Tecla, costruito da S. Ambrogio; la seconda cattedrale milanese, dedicata a S. Maria Maggiore, nella zona ora occupata dalla navata centrale del Duomo, consacrata nell’836, divenuta poi la basilica hjemalis.

E’ in questo suolo, da più di mille anni consacrato al culto cristiano, che dal 1386 il Duomo affonda le proprie radici storiche, spirituali e architettoniche. La nuova cattedrale venne avviata, per iniziativa dell’arcivescovo Antonio da Saluzzo e con il consenso del signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, secondo i criteri costruttivi del gotico padano in cotto, ma su un progetto planimetrico grandioso, quale è giunto a noi. A questa fase iniziale risalgono buona parte della sacrestia settentrionale, del muro semiottagonale dell’abside e dell’impianto murario della sacrestia meridionale.

Fu solo nella seconda metà dell’anno successivo che il Visconti determinò il nuovo assetto stilistico-costruttivo del Duomo, assegnandogli quella unicità che lo avrebbe portato ad essere lo status symbol della propria Signoria, divenuta ormai una realtà politica, economica e culturale di grande rilievo e in espansione sul territorio della penisola, tanto da essere elevata a Ducato nel 1395 dall’imperatore Arrigo VII. Questa svolta decisiva derivò dal voler imprimere al Duomo un carattere affatto nuovo nel panorama del gotico italiano, degno di rappresentare la potenza della casata viscontea, ormai in grado di competere con molti dei regni e dei principati esistenti nelle terre franco-germaniche.

Per ottenere questo risultato, Gian Galeazzo il 16 ottobre 1387 costituì la Veneranda Fabbrica del Duomo. L’organigramma del governo della Fabbrica fu all’origine altamente rappresentativo delle magistrature e del popolo milanese; così come le capacità professionali guidarono la scelta dei responsabili tecnici e amministrativi.

La Fabbrica con i propri ingegneri e architetti, tra i quali significativa fu la presenza dei Maestri Campionesi, dovette riprogettare la cattedrale secondo gli stilemi di quel gotico, ma conservando il già costruito e la disposizione planimetrica prevista e attuata nella sua parte più determinante, quella absidale. 

Da ultimo, poiché il gotico importato non consentiva sia per l’altezza vertiginosa delle sue strutture sia per il ricco arredo scultoreo l’uso del cotto, ma richiedeva l’impiego di un materiale lapideo, del quale era del tutto privo il territorio milanese, il Visconti mise a disposizione della Fabbrica una cava di marmo assai prezioso e idoneo a raffinata modellazione: la vena marmorea bianco-rosata che si trova nella bassa Valdossola, presso l’abitato di Candoglia. Alla Fabbrica l’onere dell’escavazione e del trasporto a Milano per via d’acqua, lungo il Toce, il lago Maggiore, il Ticino, il Ticinello e il Naviglio Grande, fino alla darsena di porta Genova e, dalla seconda metà del Quattrocento grazie alla Conca di Viarenna, lungo il Naviglio interno fino al laghetto di S. Stefano in Brolo, ove si trovava la Cassina, ovvero il cantiere nel quale, tra altre attività, veniva lavorato il marmo di Candoglia.

Il Duomo non è il frutto di un unico progettista, ma di una equipe cui parteciparono architetti, ingegneri, scultori, pittori e capimastri. Negli anni 1386-1400, spiccano i nomi di Simone da Orsenigo, Andrea e Filippino degli Organi da Modena, Zeno, Marco e Giacomo da Campione, Giovannino de’ Grassi, Paolino da Montorfano, Bernardo da Venezia e quelli di alcuni consulenti stranieri che, talora senza grande fortuna, il duca per un decennio convocò al cantiere: i tedeschi Anichino de Alemania, Ulrico da Füssingen e Enrico III Parler “il Gamodia” e i francesi Nicola de’ Bonaventis e Giovanni Mignot.

IL QUATTROCENTO - Già attorno al 1394, sotto la direzione di Filippino degli Organi e su un progetto iniziale di Nicola de’ Bonaventis, si era concluso il finestrone dell’abside, mentre assai avanzati erano i due laterali; nel 1404 venne ultimata la prima guglia, detta Carelli dal nome di un generoso benefattore, con la posa della statua terminale raffigurante il duca Gian Galeazzo Visconti.

Nel 1407, per un finestrone della sacrestia settentrionale, vennero affidate ai pittori lombardi le prime vetrate-campione; attorno al 1415 furono ultimati e completati dalle volte a crociera l’abside, il presbiterio e il coro, i due bracci del transetto con esclusione delle absidiole terminali, e impostati i primi piloni delle navate verso la facciata, man mano demolendo la basilica di Santa Maria Maggiore che, con l’abside all’altezza della grande crociera del Duomo, occupava l’attuale navata centrale per circa i due terzi. Poiché una copertura provvisoria si ergeva al di sopra dei quattro piloni centrali, in attesa di costruire la cupola, quando il 16 ottobre 1418 papa Martino V, chiamato dai milanesi che volevano vedere officiata la nuova cattedrale, consacrò l’altare – era lo stesso di Santa Maria Maggiore –, questo fu necessariamente trasferito nella parte coperta al centro della curvatura del coro.

La definitiva concessione delle cave alla Fabbrica da parte di Galeazzo Maria (21 agosto 1473) ormai garantiva al cantiere la necessaria e durevole fornitura di marmo di Candoglia. Le cinque navate proseguirono alacremente fino a tre campate prima della facciata, mentre all’esterno e sui piloni andavano a collocarsi centinaia di statue d’ogni dimensione e un apparato di ornato scultoreo di raffinata esecuzione. Anche l’arte vetraria segnò una ripresa vigorosa che vide impegnati molti maestri lombardi, tra i quali Cristoforo de’ Mottis, Niccolò da Varallo e Antonio da Pandino.

Nel 1490, dopo aver chiesto progetti e modelli per la soluzione della cupola a Leonardo da Vinci, Francesco di Giorgio Martini, Donato Bramante e altri noti architetti, l’ardita costruzione venne affidata all’Amadeo e al Dolcebuono, che la portarono a termine il 24 settembre 1500.

IL CINQUECENTO - Sulla cupola appena ultimata, l’Amadeo progettò e costruì il tiburio ottagonale che, completato dalla grande guglia, doveva manifestare, come già previsto alla fine del Trecento, la simbolica presenza dell’Eterno Padre assiso in trono e attorniato dagli Evangelisti, i quattro gugliotti, prolungamenti verso il cielo dei piloni centrali sui quali si regge l’intera struttura principale del Duomo. Realizzata la lanterna che sovrasta la cupola e il primo tronco, per dubbi e difficoltà statiche venne, però, sospesa la costruzione della grande guglia; l’Amadeo si limitò ad innalzare (1507 – 1518) il primo gugliotto – quello di Nord-Est – che prende il suo nome.

Con l’entrata a Milano dell’arcivescovo cardinale Carlo Borromeo (1565), il Duomo entrò nella fase di revisione liturgico-pastorale e di adeguamento funzionale del suo assetto architettonico interno. Efficace interprete del pensiero del Borromeo, il vescovo che più di ogni altro seppe attuare in modo esemplare ed estremamente innovativo le norme liturgiche del Concilio di Trento, fu Pellegrino Pellegrini (luglio 1567). Egli si rivelò creativo progettista ed abile esecutore del monumentale complesso del presbiterio, nel quale seppe felicemente far convivere ogni espressione artistica e ogni materiale per esaltare e celebrare la presenza eucaristica, negata dalla Riforma protestante. Lo stesso Pellegrini disegnò anche gli altari laterali delle navate e la cripta; diede anche i primi due progetti di facciata, “alla romana”, ripresi dal Richini e da questi avviati a realizzazione all’inizio del secolo seguente.

IL SEICENTO - L’azione di riforma iniziata da san Carlo fu condotta coerentemente a termine dal cugino cardinale Federico Borromeo; la “facciata alla romana”, sospesa quando erano state quasi del tutto ultimati i cinque portali e le quattro finestre laterali, veri capolavori del manierismo milanese, fu ripresa attorno alla metà del secolo in forme gotiche secondo il progetto di Carlo Buzzi sostituendo al classico tema “colonne-trabeazioni” i contrafforti che già scandivano i fianchi. Completata la zoccolatura di base, inseriti i due ordini di altorilievi e i primi telamoni a reggere le esili nervature gotiche, i lavori della facciata vennero di nuovo sospesi e, per oltre centocinquant’anni, il Duomo ebbe una fronte non finita, costituita da una muratura di mattoni.

Continuò invece la produzione di statuaria, dagli accenti sempre più barocchi, per decorare sia l’esterno sia gli altari interni e la cinta del tornacoro con i diciassette altorilievi con le storie della Vergine; si distinsero gli scultori Marc’Antonio Prestinari, il Lasagna, Giuseppe e Gaspare Vismara, Giovanni Andrea Biffi e Dionigi Bussola. Del tutto ferma, invece, la produzione di vetrate; il Seicento e il Settecento rappresentarono per questa arte due secoli veramente bui.

IL SETTECENTO - Oltre alla ricca produzione di statuaria del tipico barocchetto milanese, il secolo fu dominato da due problemi: la facciata e la guglia maggiore. Quest’ultima ebbe maggior fortuna. Dopo vari studi di Giuseppe Merlo e di Antonio Quadrio, nel 1765 Francesco Croce, coadiuvato dai calcoli statici elaborati dai matematici Ruggero Boscovich e Francesco De Rege, iniziò ad erigere la guglia maggiore, secondo un elegante ardito progetto, ultimandola nel 1769. Il glorioso “sigillo” dell’aurea Madonnina, cara d’allora ai milanesi, venne innalzato allo scadere del 1774. Per la facciata, vennero commissionati dalla Fabbrica o ad essa offerti un centinaio di progetti, mai presi in seria considerazione.

L'OTTOCENTO - L’inizio del nuovo secolo vide l’incoronazione in Duomo (26 maggio 1805) di Napoleone I Bonaparte a re d’Italia, al cui volere si deve la conclusione della facciata ad opera di Carlo Amati e Giuseppe Zanoja (1807 – 1814), con il conseguente, però, depauperamento del patrimonio della Fabbrica. Vennero completate le guglie, nelle quali furono collocate circa 1800 statue di santi e molte altre sui fianchi, tutte denuncianti le varie stagioni dello straordinario Romanticismo milanese e si eressero gli altri tre gugliotti. Nella seconda metà del secolo la bottega milanese dei vetrai Bertini completò con nuove vetrate dipinte le vuote occhiaie di molti finestroni e con invasivi restauri e rifacimenti collaborò alla dispersione del patrimonio vetrario soprattutto quattrocentesco.

Maturava nel frattempo nell’opinione pubblica, come nella Fabbrica, il proposito di dare al Duomo una facciata che fosse coerente con il gotico espresso soprattutto nella sua parte più antica. Grazie al lascito di Aristide De Togni (1884), fu bandito un concorso internazionale per una nuova facciata; parteciparono centoventi architetti di tutto il mondo e, in secondo grado (1888) vinse il progetto del giovane milanese Giuseppe Brentano; ma la morte dell’architetto, sopravvenuta l’anno successivo, e il graduale superamento della cultura romantica bloccarono i lavori e venne conservata la facciata esistente. Essa rappresenta così un genuino documento storico delle vicende del nostro Duomo e dei vari orientamenti culturali che in tre secoli si sono succeduti. 

IL NOVECENTO - Il sec. XX ha offerto, come proprio contributo, le cinque porte di bronzo modellate da noti scultori; la centrale, messa in opera nel 1906-08, è dedicata alla Vergine; le laterali collocate tra il 1948 e il 1965, celebrano la storia e personaggi del cristianesimo milanese e del Duomo.

Dal 1946 inizia il gravoso impegno di riparare i danni di guerra subiti nelle tragiche incursioni aeree dell’agosto 1943.

Dall’inizio degli anni Sessanta la Veneranda Fabbrica ha intrapreso il metodico impegno di restauro statico e conservativo dell’intero Duomo, dalla guglia maggiore e dai gugliotti alle volte, dalla facciata alle vetrate e ai dipinti, per investire successivamente guglie, archi rampanti, falconature, strutture verticali dei fianchi e dell’abside con il loro corredo di migliaia di statue, di ornati, di altorilievi. Quest’opera di conservazione e valorizzazione del Duomo non vedrà mai fine; essa è destinata a continuare nel tempo se si vuole tramandare questo immenso patrimonio d’arte e di fede ai milanesi e al mondo intero e richiede un costante impegno di uomini, di professionalità, di tecniche sempre più aggiornate e di cospicui mezzi finanziari.

La Facciata

La facciata è stata l’ultima parte della cattedrale a essere costruita. Fu iniziata agli albori del XVII sec. da Francesco Maria Ricchini e a questo progetto risalgono i cinque portali e le quattro finestre minori. 

Negli altorilievi dei portali, tutti su bozzetti pittorici di G.B. Crespi detto il Cerano, sono raffigurati personaggi femminili preannuncianti la Vergine. I lavori, però, vennero sospesi attorno al 1630 per l’estraneità di questa architettura rispetto al Gotico del Duomo.

Carlo Buzzi approntò nel 1650 un progetto comprendente la doppia serie di altorilievi, con simboli e prefigurazioni mariane tratte dall’Antico Testamento. I lavori, di nuovo sospesi attorno al 1660, lasciarono la facciata a rustico; fu solamente per volontà di Napoleone I che il cantiere riprese nel 1807 per concludersi nel 1814, secondo il progetto di Carlo Amati e Giuseppe Zanoja.

Gli archi rampanti e la maggior parte delle statue risalgono all'800: in omaggio all'idea che si aveva di medioevo e di gotico si adottano questi elementi con funzione decorativa.

Ai primi del 900 le porte vengono inserite nella facciata pre-esistente (la porta centrale di Pogliaghi), fino all'ultima porta a destra, opera di Minguzzi. Tutte del XX sec., raffigurano, da sinistra: "L’affermazione del Cristianesimo a Milano" di Arrigo Minerbi (1948), "La vita di S. Ambrogio" di Giannino Castiglioni (1950), "I dolori e i gaudi della Vergine" e la sua "Incoronazione" di Ludovico Pogliaghi (1906-08) porta modellata per la facciata vincitrice del concorso del 1888 e qui reimpiegata con felici adattamenti "L’affermazione civile e religiosa di Milano libero comune" di Franco Lombardi (1959) e "I fasti del Duomo" di Luciano Minguzzi (1965).   

Le terrazze

Giunti in quota (35 mt) con l’ascensore o le scale (158 gradini), si è conquistati dal numero e dalla fantasiosa varietà degli ornati di falconature e archi rampanti, della statuaria d’ogni misura che popola le 135 guglie, dei raffinati altorilievi che decorano i passaggi lungo i terrazzi. Percorrendo i camminamenti e salendo le rampe di scale che conducono di terrazza in terrazza, si scopre che il Duomo non è coperto da tetti, ma da terrazze, tutte pedonabili, che consentono di vivere un’esperienza unica: camminare in un mondo quasi irreale, in un museo all’aperto di architettura e di scultura che si proietta di continuo su scorci interessanti della città nelle giornate limpide, sulla Lombardia, la corona delle Prealpi e delle Alpi.

Giunti sulla grande terrazza che corrisponde alla navata centrale (circa 55 mt), si coglie appieno la vastità del Duomo, il fascino: la "foresta" delle guglie, l’imponenza del tiburio ottagonale, accanto al quale si innalzano quattro elaborati agugliotti a destra, il "gugliotto Pestagalli" (1843) e, dietro, il "gugliotto Cesa Bianchi" (1887), a sinistra, il "gugliotto Vandoni (circa 1875) e, dietro, il "gugliotto detto dell’Amadeo" (1507-1520) si staccano altrettanti archi rampanti rovesci, si innalza la grande guglia (1765-69), sulla quale venne posta la statua in rame sbalzato e dorato della "Madonnina" (1774); con essa, il Duomo raggiunge l’altezza di 108,50.

Statue, guglie e doccioni

In totale 3400 di cui esterne 2300, oltre un centinaio le figure scolpite ad altorilievo, 96 giganti sui quali sporgono i doccioni e tantissime statue che ne coronano le guglie tra le quali la più antica: la guglia Carelli sull'angolo estremo affacciato su C.so V. Emanuele e la più alta che fu eretta da Francesco Croce tra il 1864 ed il 69 due secoli dopo l'imponente tiburio dell'Amadeo.

Proprio su questa guglia la Madonnina di Giuseppe Bini realizzata nel 1774 e' in lamina d' oro ed e' alta 4,16 mt.
All' interno il S. Bartolomeo scorticato, statua scolpita nel 1562 da Marco D' Agrate raffigurante il martire.
 

Storia della Madonnina

Verso la metà del Settecento la Fabbrica del Duomo prese una decisione davvero importante: costruire sul tiburio del Duomo la Guglia Maggiore che doveva culminare con una statua, coronamento di tutta l'opera. Non si trattava di un progetto da poco perché già il tiburio era un'opera molto ardita e pesantissima che poggiava solo su quattro pilastri, ed era quindi molto rischioso appoggiarvi sopra un'altra struttura di notevole mole. La Fabbrica però non si lasciò scoraggiare e affidò a Francesco Croce l'incarico di progettare una guglia alta ben 50 braccia (29,5 metri), l'altezza di una casa di sette piani.

Due anni più tardi, nel 1764, il Croce presentò i suoi disegni. Furono vagliati da ingegneri, architetti, matematici tra un nugolo di voci contrastanti e di polemiche, ma alla fine vennero ritenuti sostanzialmente validi e nel 1767 i lavori iniziarono per concludersi entro tre soli anni. Restava da pensare al coronamento dell'opera. Il Duomo, come tutti sanno, è dedicato alla Madonna e a Lei fanno riferimento tutti i rilievi della facciata. Probabilmente fin dall'inizio si era pensato ad una statua della Vergine sulla guglia maggiore anche se la prima testimonianza che ci rimane di questa idea risale agli inizi del '500 e ad un disegno dell'architetto Cesariano che ci mostra sulla cima del Duomo una statua della Madonna circondata dai raggi di un'aureola di forma ellittica. 

La statua dell'antico disegno rappresenta l'Assunta, cioè l'ultimo istante terreno della vita di Maria, ed è naturale che fosse questa l'immagine ideale da collocare nel punto più alto. Venne quindi incaricato lo scultore Giuseppe Perego di elaborare un'Assunta sollevata dagli Angeli ed egli nel 1769 presentò tre bozzetti che si possono ancora vedere nella sezione del Museo del Duomo dedicata alla Madonnina. Venne scelta la soluzione più semplice senza gli Angeli che sostengono la Vergine. In corso d'opera però lo scultore volle egualmente inserire alcune testine di angeli che spuntano dalla nube ai piedi della figura. Approvato il bozzetto definitivo, il 17 giugno 1769 fu quindi deliberata l'esecuzione della statua costruita in lastre di rame sostenute da un complesso traliccio di ferro e dorate.

Non si conosce il giorno preciso di questo evento che dovrebbe risalire al dicembre del 1774. Il momento di gloria arriva con le Cinque Giornate quando il tricolore che sventolava accanto alla statua richiamò dai borghi circostanti i patrioti a sostegno dei Milanesi che lottavano contro gli Austriaci. E' forse in questo momento che la statua acquista il suo nuovo significato. 

Dalla seconda metà dell'Ottocento, infatti, si comincia a citare la "Madonnina" come un simbolo dell'intera città, che il viaggiatore saluta arrivando o partendo a Milano, mentre l'uso del diminutivo sottolinea l'affetto che i milanesi già nutrono verso questa "piccinina" alta 4,16 metri e pesante quasi 1000 kg. Da allora la "Madonnina" ha guadagnato sempre più posizioni come simbolo di Milano, grazie anche all'enorme successo della canzone che Giovanni D'Anzi le ha dedicato nel 1935 e che da allora è considerata quasi l'inno ufficiale della città.

Interno

L'interno è a cinque navate ove si stagliano 52 pilastri e il pulpito; altari, mausolei e cappelle, tra cui il monumento funebre di Gian Giacomo Medici (Leone Leoni, 1560-1563); nella sottostante cripta, vano circolare che dà accesso alla cappella di S. Carlo progettata da Francesco Maria Richini nel 1606, si trova l'urna di cristallo che custodisce le spoglie di S. Carlo Borromeo. Nei locali attigui sono esposte preziose opere di oreficeria, le più antiche risalgono al IV°-V° secolo.

La pianta è a croce latina, lo spazio del braccio lungo è articolato in cinque navate, quello del transetto in tre, ma arriviamo all'altare posto in una zona leggermente sopraelevata, accompagnato da pilastri, il cui capitello in di otto nicchie popolate da statue di martiri sino all'altezza dell'altare, e da statue di angeli nella zona absidale. 

La navata centrale è più alta delle laterali che conservano sulle volte la decorazione ottocentesca a finto traforo; le volte sono a sesto acuto, (elemento tipico del gotico), così come tipiche sono le vetrate con giochi di luce e colore, narrano vite di santi e passi delle sacre scritture.

Lungo le navate laterali, sarcofagi di vescovi milanesi come quello di Ariberto d'Intimiano, sormontato da una croce, o di personaggi importanti come il benefattore Marco Carelli, che donò alla cattedrale più di 35.000 ducati d'oro alla fine del '300).

La cattedrale era anche la chiesa più lunga d'Europa e del mondo allora conosciuto (con i suoi 158 metri, infatti, fu superata solo dalla basilica di San Pietro a Roma, che venne costruita a metà del Cinquecento) e doveva apparire veramente enorme in una Milano che andava appena al di là della Cerchia dei Navigli e in cui le case arrivavano a un massimo di tre o quattro piani. Nel periodo sforzesco la direzione della Fabbrica passò alla famiglia degli architetti Solari e in questo periodo venne costruito il tiburio.

Nella seconda metà del Cinquecento cominciò a delinearsi il fronte della cattedrale a opera di Pellegrino Tibaldi, prediletto dal cardinale Carlo Borromeo, ma nel secolo successivo il Richini e il Buzzi lo ridisegnarono su moduli baroccheggianti. Nel 1769 fu innalzata la guglia maggiore con la Madonnina, modellata in rame e poi dorata da Giuseppe Perego nel 1723.

La facciata della cattedrale, per la quale furono molti i progetti presi in considerazione, fu finita per volere di Napoleone: nel 1813, infatti, egli doveva essere incoronato Re d'Italia nella chiesa simbolo di Milano. In seguito il Duomo venne completato con diverse aggiunte e all'inizio del Novecento Ludovico Pogliaghi modellò l'intricato altorilievo della porta centrale; le altre tre porte di bronzo vennero installate fra il 1948 e il 1950. L'ultima nel gennaio del 1965.

ABSIDE - Lungo la muratura dell'abside si aprono le porte delle due sagrestie con la ricca decorazione scultorea: il portale meridionale risale al 1389-91, opera di Hans Fernach, quello settentrionale, coevo, è di Giacomo da Campione. Da ricordare il candelabro Trivulzio, capolavoro di oreficeria medioevale, posto nel braccio sinistro del transetto; e la meridiana, sul pavimento vicino alle porte, che ha segnato le ore dei milanesi dal 1786.

PRESBITERIO - Il presbiterio nella sua rinnovata versione (1986) a seguito della riforma liturgica del concilio Vaticano II valorizza tutti gli elementi del presbiterio cinquecentesco voluto da S. Carlo e attuato dal Pellegrini e mette in luce, al centro della gradinata semicircolare, l’antico altare (1185) già appartenuto a S. Maria Maggiore.

La cattedra e l’ambone sono recenti bronzi di Mario Rudelli, mentre segni eloquenti della Parola tornano a essere i due pulpiti, disegnati dal Pellegrini (1580 circa). Dietro di essi, le monumentali casse degli organi (circa 1580), in legno intagliato e dorato con le grandi ante dipinte della fine del Cinquecento; al centro, dietro il nuovo coro dei Canonici, il pellegrinesco ciborio a otto colonne che schiude, sollevato da quattro angeli di bronzo, il tabernacolo a torre, dono (1562) di Pio IV.

Alle spalle del presbiterio festivo, la cappella feriale di recente acquisizione (1986), racchiusa dal coro cinquecentesco dei Canonici intagliato in noce, che nei settantun stalli maggiori presenta la "Vita di S. Ambrogio" e i "Santi Martiri milanesi", mentre nei dossali del covo minore sono effigiati i "Santi Vescovi di Milano".

In alto, la serraglia del semicatino absidale, copia del tondo in rame sbalzato e dorato raffigurante il "Padre Eterno" (l’originale è al Museo del Duomo, 1424), mentre nella volta centrale del coro, segnato da un lume rosso, domina il tabernacolo a forma di croce raggiata e dorata che custodisce il Santo Chiodo, reliquia venerata ab immemorabile già nell’antica cattedrale di S. Teda. 

NAVATA DI DESTRA - Subito si incontrano il sarcofago di serizzo e la copia (l’originale è al Museo del Duomo) del crocifisso in rame sbalzato detti di Ariberto Ariberto da Intimiano, l’arcivescovo del "Carroccio", risalenti al quinto decennio dell’anno Mille.

Alle spalle, la vetrata con le "Storie di S. Giovanni Evangelista", opera preziosa di Cristoforo de’ Mottis (1473-78). Segue il mausoleo Visconti, sepolcro di scuola campionese degli arcivescovi Ottone (+1295) e Giovanni (+1354) Visconti. Dietro, la prima delle tre successive vetrate cinquecentesche delle "Storie dell’Antico Testamento", con inserti di episodi neotestamentari. Nella terza campata, tavola marmorea con l’elenco cronologico degli arcivescovi di Milano e, successivamente, l’arca Carelli, dedicata al benefattore, di Filippino degli Organi e con raffinate statuette della bottega di Jacopino da Tradate (1408). Nella campata seguente, la quinta (il semplice monumento Vimercati, di Agostino Busti detto il Bambaja (metà XVI° sec.) e la bella e animata vetrata delle "Storie del Nuovo Testamento", felice sintesi dell’arte lombarda dell’epoca sforzesca (1465-70). 

Seguono gli altari disegnati dal Pellegrini, eseguiti tra la fine del Cinquecento e i primi anni del XVII sec.- l’altare di S. Agata, con pala di Federico Zuccari e la vetrata con "Le storie di S. Eligio", opera elegante e vivace di Niccolò da Varallo; l’altare del Sacro Cuore e la vetrata di Giovanni Hajnal dedicata a due amati pastori deùa Chiesa ambrosiana, di recente beatificati: dall’alto, il card. Alfredo Ildefonso Schuster e il card. Andrea Carlo Ferrari, il cui corpo è custodito sotto la mensa dell’altare; la vetrata è dei Bertini; l’altare Virgo Potens, con pala marmorea del 1393, che accoglie l’urna del Beato Card. Schuster.

Nel braccio meridionale del transetto, il monumento a Gian Giacomo Medici, capitano di ventura e zio materno di san Carlo Borromeo, è opera di Leone Leoni e dono di papa Pio IV, fratello del condottiero; di classiche linee cinquecentesche, è arricchito dalle raffinate statue del "Medeghino" chiamato il Medici, della "Milizia" e della "Pace".
Segue, nell’angolo, l’altare detto di Pio IV°, donato da questo pontefice nel 1561 assieme alla vivace e monumentale vetrata con "Le storie di S. Giacomo Maggiore", del renano Corrado Mochis da Colonia.   

NAVATA DI SINISTRA - Rientrati nella navata più esterna di settentrione, si incontrano l’altare di S. Ambrogio, con bella pala dipinta di Federico Barocci. Segue l’altare di S. Giuseppe, con lo "Sposalizio della Vergine" di Andrea Salmeggia e vetrata con episodi della "Vita di S. Giuseppe" del fiammingo Valerio Perfundavalle. Il terzo altare è dedicato al "Crocifisso di S. Carlo", portato in processione dal Borromeo durante la peste del 1576; sopra, vetrata di "S. Elena e il rinvenimento della Croce".

Nella campata successiva, sopra il monumento Tarchetta, vetrata con le "Glorie della Vergine", forse su cartone di Giovanni da Monte (1565). Seguono la riproduzione in fac-simile della "Madonna dell’aiuto" (l’originale è nel tomacoro) e la vetrata dedicata ai "Santi Quattro Coronati" (gli scultori martiri Claudio, Nicostrato, Sinforiano e Castorio), ultima opera di Corrado Mochis (1569) su cartone di Pellegrino Pellegrini (1567). Più oltre, il mausoleo Arcimboldi degli arcivescovi Giovanni, Giovanni Angelo e Guido Antonio (circa 1555) e la vetrata con la "Lotta dell’arcangelo Michele e dei demoni", singolare realizzazione di Giovanni Buffa (1939).

Nella penultima campata, il polittico degli "Apostoli", altorilievo incompleto di scuola campionese (circa 1185), appartenuto alla cattedrale di S. Maria Maggiore. Concludono la rassegna del fianco settentrionale la lapide settecentesca della meridiana con il segno zodiacale del Capricorno e la vivace vetrata delle "Storie di Davide", di Aldo Carpi (1939).

TRANSETTO DI SINISTRA - Prendendo a destra, si entra nel braccio settentrionale del transetto: dopo l’altare di S. Tecla - che ricorda la santa titolare della antica cattedrale e della attuale parrocchia del Duomo si incontra l'altare di S. Prassede, alle cui spalle s’innalza la vetrata con le "Storie di S. Giovanni Damasceno", prestigiosa opera di Niccolò da Varallo (1478-80).

Segue la vetrata con la ‘Vita di S. Carlo", eseguita dai maestri vetrai Beltrami, Buffa, Cantinotti e Zuccaro (1910).

Nell’absidiola, l’altare della Madonna dell'Albero, disegnato da Tolomeo Rinaldi (1571) e portato a termine dal Ricchini e da Fabio Mangone. La "Vergine col Bambino" è di Elia V. Buzzi (1778), mentre sulle lesene laterali sono collocati sei altorilievi con la ‘Vita della Madonna" risalenti alla prima metà del Cinquecento.

Al centro della navata, si innalza il candelabro Trivulzio a sette braccia, bronzeo capolavoro della seconda metà del XII sec. e pezzo di oreficeria unico al mondo, di provenienza culturale del Centro-Nord Europa, acquistato a Parigi e donato al Duomo dall’arciprete Giovanni Battista Trivulzio (1562); l’elaboratissimo piedistallo è efficace sintesi scultorea dell’Antico Testamento e del sapere medievale, conclusa nel nodo centrale dall’insolita "Cavalcata dei Magi alla Vergine in trono col Bambino".

Alla sinistra dell’altare della Madonna, a S. Caterina da Siena sono dedicati il gotico altare e la parte superiore della vetrata di Corrado Mochis (1562), mentre l’inferiore reca la ‘Vita dei genitori della Vergine" di Giovanni da Monte (1562-67); a lato, la vetrata degli "Apostoli" di Corrado Mochis su cartoni del cremasco Carlo Urbini (1567).

IL TESORO - Nella cripta si trova il fastoso sepolcro di San Carlo Borromeo. Il Tesoro conserva preziose oreficerie, oggetti, paramenti dal IV° al XVIII° secolo. In particolare, la cappella argentea di S. Nazaro (circa 386) inviata dal papa a S. Ambrogio, coperture eburnee e argentee di evangelari, l’evangeliario d’avorio (V sec.), la situla d’avorio di Gotofredo (fine X sec.), l’evangeliario di Ariberto (1040), le statue d'argento di S. Ambrogio e S. Carlo (XVIII° sec.),la croce di Chiaravalle (secc. XIII-XVI), l’ostensorio Castiglioni(XVI sec.) il pastorale di Ariberto con smalti dell'XI secolo, calici, reliquiari, vasi sacri, paramenti e stendardi

ZONA ARCHEOLOGICA - Da una scala ricavata nella controfacciata si scende per la visita al battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti, edificato da S. Ambrogio e nel quale questi battezzò S. Agostino (Pasqua 387). È questo il primo edificio battesimale a forma ottagona della storia cristiana e, pertanto, di importante interesse teologico e liturgico; a lato, si eleva parte dell'abside della cattedrale di S. Tecla.

LA MERIDIANA - In vicinanza dell'ingresso del Duomo una striscia di ottone incassata nel pavimento attraversa la navata, risalendo per tre metri sulla parete di sinistra (a nord). Sulla parete rivolta a sud, ad una altezza di quasi 24 metri dal pavimento, è praticato un foro attraverso il quale, al mezzogiorno solare, un raggio di luce si proietta sulla striscia del pavimento. Ai lati della linea metallica sono installate delle lastre di marmo indicanti i segni zodiacali con le date di ingresso del sole.

Lo strumento fu realizzato nel 1786 e modificato nel 1827 in seguito al rifacimento del pavimento del Duomo.

Il Duomo in cifre

Inizio costruzione 1386
Installazione Madonnina 1774
Completamento Facciata, per volere di Napoleone 1813
Rifacimento Sagrato 1966
Restauro Presbiterio interventi di statica 1981 - 1986
Volume (calcolato) 440.000 m3
Peso (calcolato) 325.000 t
Superficie coperta 11.700 m2
Altezza Madonnina dal suolo 108,50 m
Distanza dell'Orizzonte da lassù 37 Km circa
Altezza Lanterna Centrale 65 m
Altezza Facciata 56,50 m
Altezza Navata Maggiore 45 m
Altezza Statua Madonnina 4 m
Lunghezza esterna 158 m
Lunghezza interna 148 m
Lunghezza facciata 67,90 m
Lunghezza interna delle 5 navate 57,60 m
Larghezza esterna 93 m
Larghezza interna 66 m
Numero colonne interne 42
Altezza colonne interne 24 m
Diametro colonne interne 3,40 m
Numero Guglie 135
Numero Statue 3.400 circa
di cui esterne 2.300 circa
Numero Statue Giganti 96
Numero Doccioni 150
Numero Finestroni 164
Altezza Finestroni Abside 24 m
Superficie Vetrate 1.700 m2
Scene illustrate 3.600 circa
Gradini al primo Terrazzo 158
Gradini al Balcone terminale della Guglia 500
Porte nella Facciata 5     

Le misure

Alcune misure del Duomo:

altezza della Madonnina dal suolo: 108,50 metri;

altezza della Madonnina: 4,16 metri;

altezza della facciata centrale: 56,50 metri;

altezza della navata maggiore: 45 metri;

lunghezza esterna: 158 metri;

lunghezza interna: 148 metri;

lunghezza della facciata principale: 67,90 metri;

larghezza interna delle 5 navate: 57,60 metri;

larghezza esterna: 93 metri;

larghezza interna: 66 metri;

colonne interne: 52;

guglie: 135;

altezza delle colonne interne: 24 metri;

diametro della colonne interne: 3,40 metri.