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L'abbazia
di San Pietro al Monte è un
complesso architettonico di stile
romanico, situato in valle dell'Oro
nel comune di Civate
in provincia di Lecco.
Il
luogo, che attualmente non è più
occupato da religiosi, si compone di
tre edifici: la basilica
di San Pietro, l'oratorio intitolato
a San Benedetto e quello che era il
monastero di cui rimangono solo
rovine. Le costruzioni facevano
parte del complesso dell'abbazia
benedettina di Civate comprensiva,
nell'abitato, della basilica di San
Calocero e delle chiese di San
Nazaro e San Vito. Due portali in
pietra con sopra inciso il motto Ora
et labora ci ricordano la
passata presenza qui di frati
Benedettini.
L'imponente
ciclo di affreschi, che ha come tema
l'apoteosi finale del Cristo e il
trionfo dei Giusti sulla
falsariga dell'Apocalisse di San
Giovanni ne fa una tra le più
importanti testimonianze romaniche
lombarde.
Le
origini del monastero non sono
ancora chiare, così come il
rapporto con il complesso monastico
di S. Calogero situato al piano, in
paese, forse seconda sede della
stessa comunità monastica, e così
chiamato quando vi fu traslato il
corpo del martire San Calocero.
Secondo
una leggenda, la chiesa e il
relativo monastero di San Pietro
sarebbero stati fondati da
Desiderio, re dei Longobardi, come
riconoscenza a Dio per avere ridato
la vista al figlio Adalgiso,
improvvisamente colpito da cecità.
Il re Desiderio avrebbe fatto
costruire non solo una grande chiesa
dedicandola agli apostoli Pietro e
Paolo, ma vi avrebbe portato anche
molte loro preziose reliquie.
Il
monastero di San Pietro, in epoca
carolingia, fu un centro assai
importante di rinnovamento della
vita culturale, monastica e
clericale della diocesi di Milano, e
crocevia di passaggio di monaci e
pellegrini. Era collegato
spiritualmente con i maggiori
monasteri d'oltralpe; infatti il suo
abate Leudegario e altri 35 monaci
sono nominati nel Liber
confraternitatum Fabariensium (845
ca.), in cui si elencano i monasteri
spiritualmente associati a quello di
Fabaria. A San Pietro soggiornò
Paolo Diacono, che, secondo alcuni,
avrebbe scritto proprio qui il suo
commento alla Regola di S.
Benedetto.
La
struttura della chiesa di San
Benedetto, così come appare ai
nostri giorni, non risale però
all’XIII sec, e neppure al IX sec.
Almeno altre due costruzioni l'hanno
preceduta. Inoltre, osservando
alcuni resti murali riscoperti negli
ultimi scavi archeologici (1993), si
potrebbe pensare che, anche prima di
queste, vi fosse in loco un
insediamento religioso, che ancora
non possiamo dire se cristiano. La
struttura dell'attuale chiesa, però,
non ha utilizzato affatto i resti di
queste antichissime mura
preesistenti; invece si è inserita
sui resti di quella cui si riferisce
un documento della Biblioteca
Trivulziana di Milano (manoscritto
del XV sec, cod. 514), che dice:
"La chiesa di San Pietro in
Monte fu edificata nell'anno 706 e
fu consacrata il 16 maggio dell'anno
912".
Questa
struttura venne modificata nell'XI
sec. Infatti, dall'analisi
dell'attuale impianto
architettonico, si deduce che
l'orientamento originale fu
rovesciato; l'abside orientale
diventò la facciata, con la
conseguente apertura della porta
d'ingresso e l'aggiunta dello
scalone necessario per accedervi,
dato il notevole dislivello tra il
piano del terreno esterno e quello
del pavimento della chiesa.
A
completamento di questo ingresso fu
costruito il porticato semicircolare
a due piani che lo proteggeva e
creava conforto per i pellegrini.
Questo cambiamento sarebbe avvenuto
quando il vescovo di Milano, Arnolfo
III (1093), eletto e consacrato per
volontà dell'imperatore Enrico III,
si ritirò volontariamente nel
monastero di San Pietro a seguito
del richiamo a lui fatto dal Papa.
Arnolfo manifestò la sua
sottomissione e sintonia con il
vescovo di Roma, anche orientando
simbolicamente questa sua momentanea
cattedrale, caratterizzata come
milanese dal ciborio simile a quello
della basilica di San Ambrogio, come
quella di Roma. A questo ultimo
quarto dell'XI sec. gli storici
dell'arte datano anche la
decorazione pittorica e plastica,
che all'origine ricopriva tutte le
pareti e le colonne, forse anche del
portico antistante.
Probabilmente
a seguito del fatto che nell'anno
1162 l'abate di San Pietro con i
suoi monaci si schierarono dalla
parte del Barbarossa contro il
vescovo di Milano, le abitazioni
monastiche furono distrutte, mentre
invece furono risparmiati i luoghi
sacri: la chiesa e l'oratorio. Da
allora queste due costruzioni
rimasero solitarie sul monte e
divennero santuario, meta di
pellegrinaggi.

Verso
la fine del '400, anche nel
monastero al piano i monaci vennero
meno e tutto il patrimonio passò in
commenda a un membro del clero
secolare. Il primo abate
commendatario fu il cardinale
Ascanio Sforza Visconti (1484); a
lui successero, tra gli altri, il
cardinale Antonio Trivulzio e il
nipote Filippo, il cardinale Nicolo
Sfondrati (dal 1549), che diventò
poi papa col nome di Gregorio XIV. A
quest’ultimo si devono alcuni
lavori di restauro, e purtroppo,
anche di trasformazione nella chiesa
di San Pietro, poi fortunatamente
annullati da V. Barelli alla fine
dell'Ottocento.
Il
Direttorio Cisalpino (29 giugno
1798) disperse tutto il patrimonio
del monastero vendendolo ai privati.
Solo nel 1927 monsignor Giuseppe
Polvara, architetto e pittore,
cominciò a prendersi cura del
prezioso monumento abbandonato e
quasi in totale rovina, e, con gli
studenti della scuola d'arte che
aveva da poco fondato a Milano e i
membri della sua comunità
religiosa, entrambe chiamate
"Beato Angelico", cominciò
l'opera di restauro.
L'arte
cristiana esprime una concezione del
tutto nuova e originale di cultura.
Il programma iconografico delle
chiese antiche aveva come scopo di
aiutare i fedeli a comprendere i
misteri che celebravano. Nei secoli
successivi, particolarmente sulla
decorazione, ha avuto notevole
incidenza la devozione privata e
comunitaria, come pure alcuni eventi
sociali; anche questi aspetti vanno
tenuti presenti nella lettura di
un'opera d'arte creata per il culto.
Ciò è opportuno anche per chi
vuole visitare la chiesa di San
Pietro al Monte, in cui tutta
l'iconografia dipinta, si articola
costantemente con valenze
simboliche, religiose e culturali.
Il
pellegrino, giunto alla sommità
dello scalone viene accolto da
Cristo, raffigurato al di sopra
della porta, con le braccia aperte,
e in piedi nell'atto di fondare la
Chiesa, consegnando, per lui, a
Pietro le chiavi e a Paolo il libro
della sua parola.
Superata
la porta, si è accolti dai
pontefici San Gregorio e San
Marcello, affrescati sulle due
paretine laterali dell'endonartece
in atto di accogliere i catecumeni e
i peccatori, avendo questi
nuovamente accolta la Parola dì
Dio. Nella
volta centrale viene raffigurata la Gerusalemme
celeste, nella lunetta il Seno
di Abramo, nelle voltine la
personificazione dei Fiumi
celesti, sulle due transenne che
dividono il pronao dalle absidiole
due stucchi con il Grifone e
la Chimera. Delle due
cappelline una è affrescata con i Santi,
l'altra con gli Angeli.
L'iconografia
illustrante la tematica del cibo,
modellata sulla transenna che
protegge la scala della cripta,
conduce al centro focale della
basilica, che è il ciborio.
Il
ciborio, nella sua struttura
architettonica, è simile a quello
della basilica di San Ambrogio di
Milano. All'interno del cupolino vi
è la rappresentazione del Paradiso:
al centro sta l'Agnello trionfante
e, intorno a lui, quasi suoi raggi,
diciotto santi, di cui dieci uomini
e otto donne, per indicare che i
martiri costituiscono il nome
dell'Agnello; i due numeri infatti
corrispondono alle iniziali greche
del nome Gesù. Sui quattro
capitelli sono modellati i simboli
degli evangelisti, e all'interno,
sui pennacchi corrispondenti, sono
affrescati i quattro angeli che
tengono imprigionati i venti finché
Dio avrà segnato tutti i suoi
eletti, cioè fino alla fine del
mondo.

La cripta è dedicata alla Madonna.
Qui il programma iconografico
sviluppa il tema dell'incontro:
infatti, a sinistra, nella lunetta
sopra la monofora è modellata la
"Presentazione di Gesù bambino
al tempio"; il vecchio Simeone
profetizza a Maria che una spada le
trapasserà l'anima: sarà la morte
in croce del figlio Gesù, scena
rappresentata poco dopo, al centro,
dietro l'altare. Sopra di questa
scena vi è raffigurata la
"Morte della Madonna":
accanto al suo letto sono, a
sinistra, gli apostoli piangenti, a
destra, invece, Gesù con i suoi
angeli sta venendo a prenderne il
corpo. L'anima è già stata portata
verso la città celeste da due
angioletti. Accanto alle finestrelle
di destra sono affrescate le vergini
prudenti, che prestano la loro
fiamma per illuminare spiritualmente
la luce materiale del sole che entra
in questo luogo.
 
Alla
vista di chi, dopo avere partecipato
ai santi misteri, esce dalla chiesa,
sulla controfacciata appare il
grandioso affresco illustrante il
"Grande segno
apocalittico": la lotta tra
l'enorme dragone rosso, dalle sette
teste e dieci corna, e gli angeli
che difendono la "Donna vestita
di sole" e il figlio nascente.
La vittoria è manifestata
dall'angelo che presenta il bimbo
appena nato al Signore seduto in
trono, mentre, sconfitti, i
diavoletti seguaci del dragone sono
cacciati negli inferi.
Alla
sommità dell'arco, è modellato in
stucco l'agnello; è in forza del
suo sangue che si è compiuta la
vittoria. Mentre sulla
controfacciata delle basiliche
dell'epoca romanica veniva
solitamente rappresentato il
Giudizio universale, con tinte
fosche, qui invece si vuole dare al
fedele un messaggio che infonde
sicurezza, pur senza nascondere la
difficile realtà: nel mondo
incontrerai certamente il Male
(dragone), ma non temere: i miei
angeli verranno in tuo aiuto, anche
tu sarai salvato, così che, alla
fine dei tuoi giorni, sarai portato
al trono dell'Altissimo; o, come si
esprime Gesù nella parabola del
povero Lazzaro, nel seno di Abramo,
come ancora si vede sopra la porta
d'ingresso.

L'oratorio
di San Benedetto è della stessa
epoca della di San Benedetto
basilica, e come questa, lungo i
secoli, subì diversi interventi.
Gli ultimi restauri sono terminati
nel 1997. E' la cappella, potremmo
dire, cimiteriale: lo indicano le
molte sepolture che stanno nel
terreno adiacente, così come
l'iconografia affrescata sull'originalissimo
altarino: la Deesis (O) (16).
Questa
è l'invocazione fatta dalla Madonna
e da San Giovanni Battista con le
mani alzate verso Gesù. San
Giovanni, poi, sembra indicare con
la destra Gesù, come colui che ha
preso su di sé i peccati del mondo,
e quindi come nostro salvatore. Sul
lato sinistro dell'altare è
rappresentato "Sant'Andrea",
la cui croce a X è simbolo delle
porte scardinate degli inferi, e
perciò della liberazione dalla
morte; questo stesso simbolo è
rappresentato, per ben due volte,
sulla tavoletta che egli mostra con
la destra. Sul lato destro
dell'altarino è rappresentato
"San Benedetto", il padre
dei monaci e del monastero.

IL
SIGNIFICATO RELIGIOSO
Attualmente
tutto il complesso monumentale e
ambientale di San Pietro al Monte
costituisce un richiamo di
molteplici valori che facilmente
l'uomo vede venire meno nella vita quotidiana.
Questo luogo posto tra i monti si
affaccia su uno splendido paesaggio,
e permette di vedere "da
lontano" la realtà in cui
l'uomo è costantemente immerso e di
cui è spesso prigioniero.
L'arcivescovo di Milano cardinal
Carlo Maria Martini presiedette qui
la celebrazione eucaristica della
festa dei santi Apostoli Pietro e
Paolo, nel primo anno del suo
episcopato milanese, e nell'omelia
anticipò il contenuto della sua
prima "lettera pastorale",
su "La dimensione contemplativa
della vita". Lui stesso ritornò
più volte, da solo, a San Pietro,
nel silenzio orante e contemplativo.
Qui l'uomo trova, nella cornice
della bellezza della natura, la
preziosità dell'arte nelle diverse
sue forme e il messaggio della
fede.
In
questo luogo, tuttora, si sente
forte la caratteristica atmosfera
della pace monastica; è forse la
presenza dei resti mortali degli
antichi monaci, che, come reliquie,
tengono costantemente presente la
grazia della loro unione con Dio.
La
chiesa costituisce non solo il
richiamo a questa unione, ma anche
il luogo della sua sorgente e il suo
culmine. E' quindi per ogni
cristiano, e particolarmente per il
monaco, il luogo più amato e curato
in ogni suo aspetto, così che
appaia degna immagine del tempio di
Dio, e cioè il Corpo stesso di
Cristo.
Particolarmente
nel Medioevo si raccolsero nelle
chiese più importanti le preziose
reliquie dei santi, o per queste si
costruirono grandiosi santuari. Così
avvenne anche per S. Pietro al
Monte.
Alcuni
storici milanesi affermano che il re
Desiderio avrebbe portato nella
chiesa da lui costruita reliquie
preziosissime; tra le più
importanti: il braccio destro di San
Pietro, sette anelli della catena
che aveva tenuto legato l'apostolo
nel carcere Mamertino, un'ampolla di
sangue di San Paolo, la lingua di San
Marcello papa, e infine due chiavi,
tuttora custodite in un reliquiario
presso la casa parrocchiale di
Civate. Queste reliquie costituirono
meta di pellegrinaggio di molti
fedeli, che, come testimoniano le
cronache, venivano anche da molto
lontano. Vi era una particolare
devozione per le "chiavi di San
Pietro", che venivano fatte
baciare a chi era stato morso da
cani rabbiosi; e quando, dopo i
monaci, anche i "frati
romiti" abbandonarono San
Pietro, vi fu forte protesta
popolare proprio perché non vi era
più chi rispondeva a questa
richiesta.
La
chiesa di S. Pietro al Monte, come
affermano alcuni insigni studiosi,
anche sull'analisi dell'iconografia
del suo "ingresso", era
chiesa penitenziale in cui venivano
riammessi nella comunità cristiana
i pubblici peccatori. Inoltre la
visita dei pellegrini alla chiesa di
San Pietro, in determinate
circostanze, comportava l'acquisto
delle stesse indulgenze che si
ottenevano recandosi a Roma per il
giubileo, e si dice anche che
l'abate del monastero avesse la
facoltà di assolvere da ogni
peccato.
Quando
il monastero fu abbandonato dai
monaci, la basilica continuò
comunque a essere meta di
pellegrini, anche nei secoli per la "sorgente di
acqua miracolosa" che, nelle
vicinanze della chiesa, ancora, come
già aveva fatto per il figlio di re
Desiderio, concedeva le sue grazie.
A
testimonianza di questa credenza
diffusasi con la leggenda,
soprattutto dal XIV sec. in poi, vi
sono, oltre alla tradizione popolare
e ad alcuni documenti letterari, gli
affreschi ex-voto delle pareti
laterali della basilica, databili
dal XIV al XVII sec. Particolarmente
eloquenti sono l'affresco a destra
del ciborio, rappresentante la
"Madonna col Bambino e i Santi
Pietro, Paolo, Tommaso e
Lucio", questi ultimi
protettori dei ciechi; e l'affresco
seicentesco posto anch'esso a
destra, sotto la monofora: qui,
oltre alla Madonna col Bambino, sono
rappresentati Sant'Andrea apostolo e
Santa Siria, protettrice del mal
d'occhi e dell'arenella;
inginocchiato c'è pure il monaco
olivetano offerente, forse graziato.
Molto interessante per la storia
della devozione è infine l'affresco
cinquecentesco, il primo sulla
stessa parete, in cui è
rappresentata l'immagine di "San
Pietro in atteggiamento
pontificale"; davanti a lui, in
ginocchio, sta il devoto offerente.
Questa immagine ex-voto diventò
oggetto di devozione; la figura del
donatore fu ricoperta con una tinta
dello stesso colore del fondo, e vi
si aggiunse una mensola di legno
quale altarino (lo indicano ancora i
due fori fatti per i sostegni); al
di sopra dell'immagine fu appesa una
lampada. Dal 1927, la presenza,
soprattutto estiva, dei membri della
comunità religiosa della Famiglia
Beato Angelico, che hanno come
programma vocazionale la preghiera
liturgica e il lavoro per il decoro
del luogo di culto, ha riportato una
testimonianza di vita spirituale
secondo lo spirito benedettino.
Questo
spirito ancora continua attraverso
la presenza laboriosa dei volontari
dell'associazione "Amici di San
Pietro", che con grande
dedizione collaborano alla
conservazione del complesso
monumentale e, ogni domenica,
all'accoglienza dei visitatori. Con
particolare solennità e concorso di
fedeli, qui sono celebrate la festa
dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e
la Domenica delle Palme.



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