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Al
rosso dei mattoni si assomma il
verde dei campi e l'azzurro del
cielo. Morimondo dista meno di 30
chilometri da Milano, ma qui le luci
e i rumori della metropoli si
spengono, per lasciare spazio al
silenzio e ai colori dell'arte e
della natura. Per arrivarci si
sfiorano corsi d'acqua (il Naviglio
Grande e il Naviglio di Bereguardo,
sua diramazione), si attraversano
risaie e pioppeti. E quando, come
per incanto, ci si trova davanti
alla
facciata a capanna
dell'abbazia cistercense, non si può
che distendere lo sguardo, elevare i
pensieri. Proprio quello che
volevano i monaci che nel 1134
intrapresero la costruzione del
monastero, cui seguì, nel secolo
seguente, quello della chiesa
abbaziale, che ancora oggi accoglie,
intatta, i visitatori.
La
Morimondo milanese è figlia di
Morimond, l'abbazia francese a sua
volta generata da Citeaux, casa
madre di tutti i cistercensi. Il
padre spirituale dell'ordine è
Bernardo di Clairvaux, monaco che
sebbene non fosse il fondatore di
Citeaux, seppe però imprimere il
colpo d'ali all'ordine con il suo
carisma, i trattati, le indicazioni
per vivere la Regola di San
Benedetto (Ora et labora) e la
sequela del Vangelo. Bernardo aveva
teorizzato con precisione anche le
regole costruttive di chiese e
conventi, intesi come luoghi di
elevazione
dello spirito, spazi ideali
per una vita di contemplazione,
preghiera, operosità. E Morimondo
risponde appieno a questi dettami,
tanto da essere considerata una
delle abbazie "bernardine"
per l'aderenza ai canoni del santo
cistercense.

Innanzitutto
nessuna concessione alle decorazioni
superflue: gli ambienti sono
essenziali, spogli, e parlano il
linguaggio dei simboli, che
il monaco conosce e intende. La
facciata a capanna dell'abbazia di
Morimondo, come tutta la chiesa, è
in mattoni d'argilla, poiché in
zona era difficile reperire pietre,
ma anche per una scelta di semplicità.
Le due finestre alte della facciata
sono aperte verso il cielo per
ricordare al monaco la tensione
verso Dio; unica concessione sono
gli archetti romanici a bordare il
perimetro del tetto, simbolo della
comunione dei santi e tipico
elemento del romanico comacino.
Una
volta entrati nella chiesa, si è
avvolti da silenzio e solennità:
dai rosoni e dalle strette monofore
la luce entra a fasci (anche questa
era una prescrizione di Bernardo)
per consentire al monaco di
riflettere sulla luce, simbolo
divino, e non su ciò che essa
illumina. Le tre navate sono divise
da colonne diverse tra loro, che
supportano volte a tutto sesto e a
sesto acuto: la commistione di
elementi romanici e gotici si spiega
con il lungo periodo di costruzione
della chiesa (1182-1296) dovuto a
saccheggi e invasioni. Ma non solo:
è curioso riscontrare come in tutto
l'edificio sacro sono numerose le
asimmetrie, le imprecisioni, le
differenze tra elementi che
dovrebbero essere uguali. Per
esempio, i capitelli della navata
centrale sono tutti diversi, e così
pure i costoloni
delle volte, le colonne della
navata destra hanno il basamento più
alto di quelle a sinistra, la navata
sinistra si restringe quasi in un
metro. Ma anche queste imperfezioni
fanno parte del linguaggio dei
segni: i monaci costruttori
ricercavano gli "errori",
affinché la loro opera non fosse
perfetta, poiché solo Dio lo era.
A
Morimondo, poco dopo la fondazione,
esplosero le vocazioni: 50 coristi
(monaci letterati, che lavoravo
nello scriptorium e potevano
recitare messa) e 200 conversi
(illetterati, che si dedicavano alle
opere di coltivazione, bonifica,
assistenza ai pellegrini), mentre
l'area di pertinenza dell'abbazia si
allargò a 30 chilometri quadrati
fino a raggiungere il Po. E se il
lavoro manuale dei monaci era
intenso, quello intellettuale non
era da meno: lo scriptorium già nel
primo secolo di vita contava un
centinaio di codici, in gran parte
sopravvissuti ai secoli, e oggi
conservati nelle principali
biblioteche del mondo.
Dalla
chiesa si passa al chiostro, su cui
affacciano la sala capitolare e le
sale di lavoro, recuperate durante i
restauri iniziati nel 1982 e
terminati lo scorso anno. Le pareti
sono decorate con motivi geometrici,
e sui muri nello scriptorium sono
dipinte delle lettere, come su una
lavagna, affinché i copisti
avessero sempre davanti il modello.
Al piano superiore c'è il
dormitorio, in origine uno stanzone
unico (i monaci dormivano tutti
insieme e sul pagliericcio). Ma, a
differenza degli altri monasteri
cistercensi, tutti a due piani,
quello di Morimondo, a causa
dell'irregolarità del terreno, sul
lato est possiede anche due piani
inferiori rispetto al chiostro,
adibiti a stanze di lavoro e
cantine. È qui che si trova il
punto di origine di tutto il
complesso: un pilastro ottagonale
(simbolo della Resurrezione),
l'unico nel monastero realizzato in
pietra, il primo a essere costruito.
Altre
opere pregevoli si scoprono nella
visita dell'abbazia, e sono legate a
un secondo momento di fioritura del
monastero quando, tra '400 e '500,
vi si trasferì da Settimo
Fiorentino un gruppo di monaci
inviati da Giovanni de Medici,
futuro papa Leone X, per riportare
alla regolarità la vita monastica.
Essi commissionarono a Bernardino
Luini, o alla sua bottega,
l'affresco della Madonna col
Bambino, ora esposto nella chiesa;
fecero modificare il chiostro e
realizzare in chiesa il coro ligneo
di 70 stalli, intarsiato e inciso a
ferro rovente, opera di Francesco
Giramo, nella scia della scuola
bramantesca.
Al
giorno d'oggi nessun monaco abita più
nell'abbazia di Morimondo. Ma nel
1993 è nata la Fondazione Abbatia
Sancte Marie de Morimundo per
tutelare e far vivere questo
straordinario monumento cistercense.
(Tratto
da Bell’Italia – Antonella Galli
)

Storia
e architettura
Il
Monastero di Morimondo, nome che
significa “morire al mondo”, cioè
"vivere da risorti",
inizia la sua storia il 4 ottobre 1134 con l'arrivo di un gruppo di
monaci provenienti dal monastero
francese considerato la sua casa
madre in Borgogna: Morimond. L'11
novembre 1136 iniziano i lavori di
edificazione e da allora tale luogo
é divenuto centro di cultura e di spiritualità in quel lembo di terra
lombarda, lambita dal Ticino, che si
pone a confine tra Pavia e Milano.
Già nei primi anni si ha una
progressiva espansione nel numero di
vocazioni, tanto che nel 1153 viene
fondata l'abbazia di Acquafredda,
presso Como e nel 1169 l'abbazia di
Casalvolone, presso Novara.
Un
segno notevole ed eloquente della
ricchezza di vocazioni é
testimoniato dalla fiorentissima
attività dello scriptorium. Anche
dal punto di vista agricolo c'è una
notevole espansione con gran numero
di grange e mulini comprendenti un
territorio di circa 3.200 ettari (XIII
secolo), di cui due terzi sono
coltivati e un terzo boschi.
Purtroppo
la laboriosità e la pax monastica
furono disturbate dagli eventi
bellici del tempo. L'abbazia,
infatti, era stata fondata al
confine tra Pavia e Milano, città
che continuamente si contendevano il
dominio politico e militare con
saccheggi e sconfinamenti al di qua
e al di là del Ticino. Con la
venuta di Federico Barbarossa in
Italia, Morimondo venne sconvolta
con un primo saccheggio da parte
delle truppe tedesche nel 1161. La
costruzione della chiesa abbaziale,
ostacolata anche da una disputa di
giurisdizione ecclesiastica con la
vicina pieve di Casorate Primo, potè
iniziare solo nel 1182.
Nel
1237 i lavori furono interrotti da
un terribile saccheggio avvenuto
nella notte del 3 dicembre a opera
delle truppe pavesi, che devastarono
il cenobio e uccisero molti monaci.
Il monastero contava 50 monaci
coristi (monaci sacerdoti che
lavoravano nello scriptoriumi) e 200
conversi (monaci dediti alla
gestione delle attività produttive
del monastero e ai rapporti con
l'esterno). Da allora la comunità
non si rialzò più e il termine dei
lavori dell'abbazia si ebbe solo nel
1296.

Il
tredicesimo secolo, col sorgere dei
nuovi ordini mendicanti, portò a
Morimondo, come in tutto l'ordine
dei Cistercensi, un calo delle
vocazioni monastiche.
Nel
1450 Morimondo divenne commenda e il
suo primo abate commendatario fu il
cardinale Giovanni Visconti,
arcivescovo di Milano, seguito dal
cardinale Branda Castiglioni, noto
umanista; ma provvidenzialmente
Morimondo ebbe la sua rinascita
spirituale grazie al figlio di
Lorenzo il Magnifico, il cardinale
Giovanni de' Medici, futuro papa
Leone X. Egli si adoperò a inviare
a Morimondo sei monaci cistercensi
provenienti dall'abbazia di Settimo
Fiorentino per riportare la
regolarità della vita monastica.
Segno
di questa ripresa sono le opere di
arte e di devozione, come la
ricostruzione del chiostro intorno
all’anno 1500, il rifacimento del
portale della sacrestia, l'affresco
della "Madonna col
Bambino" attribuito al Luini
del 1515, e infine il coro ligneo
del 1522.
Nel
1564 San Carlo Borromeo, per aiutare
economicamente l'Ospedale Maggiore
di Milano, spogliò l’abbazia di
Morimondo dei propri terreni;
contemporaneamente la eresse a
parrocchia, dandole il titolo di
Santa Maria Nascente.
Il
Seicento vide nell'abate Antonio
Libanorio (1648-1652) l'apice di una
nuova ripresa della comunità
monastica.
Nel
Settecento vennero edificati i
palazzi che s’innalzano sopra i
lati ovest e nord del chiostro. Il
31 maggio 1798, a seguito della
rivoluzione francese, fu decretata
la soppressione di tutti gli ordini
monastici e quindi anche della
comunità cistercense di Morimondo.
Dal
1805 al 1950 la vita religiosa venne
animata da sacerdoti ambrosiani. Nel
1941 l’arcivescovo di Milano, il
beato cardinale Ildefonso Schuster,
in visita pastorale all'abbazia,
constatatone lo stato di abbandono,
volle riportare nel cenobio la vita
religiosa. Prima vennero contattati
i Trappisti delle Tre Fontane a Roma
e in seguito, nel 1950, la
Congregazione degli Oblati di Maria
Vergine si stabilì nel monastero.
Nel
1991 il Cardinal Martini affida alla
Congregazione dei Servi del Cuore
Immacolato di Maria la cura
pastorale della parrocchia con un
nuovo invito a rilanciare l'abbazia
di Morimondo come centro di
spiritualità e di iniziative
pastorali.
Con
la costituzione della Fondazione
Abbatia Sancte Marie de Morimundo,
nel 1993 si assiste a un rilancio di
Morimondo con la valorizzazione del
patrimonio spirituale e culturale
dell'abbazia e del monachesimo di Cîteaux
in generale.
Dal
2006 è il clero diocesano che nella
figura di Padre Mauro Loi assicura
la continuità nel mantenere vivo lo
scopo di questo luogo fondato da un
piccolo gruppo di monaci francesi
nel 1134: realizzare un posto di
incontro tra Dio e l'uomo.
|

1.
Chiesa
- A croce latina
e con facciata a capanna, è
molto slanciata grazie alle
arcate gotiche che
sostengono le coperture
delle tre navate.
2.
Torre
campanaria
- Si
innalza all'incrocio tra il
transetto e la navata
centrale. Ha forma
ottagonale e, secondo la
regola cistercense,
conteneva una sola campana
suonata attraverso la corda
che pendeva nel sottostante
coro dei monaci.
3.
Capitolo e dormitorio
- Il lato est del
chiostro ospitava la sala
capitolare (livello
terreno), dove si leggevano
i capitoli della Regola, e
il soprastante dormitorio
dei monaci.
4.
Sala
dei monaci
- Era un vasto
ambiente di lavoro dove si
trovavano anche la
biblioteca e lo scriptorium
per la copia degli antichi
codici.
5.
Cucina
e refettorio
- Occupavano il lato
sud del chiostro insieme al
calefactorium, il locale
dove si custodiva
il fuoco per tutti
gli usi
dell'abbazia. È una
delle
aree che hanno subito
le
maggiori
trasformazioni
tra '600 e 700.
6.
Loggiato
- È collegato al
refettorio e
offre
una vista panoramica
sulla campagna
circostante. La
decorazione
di pareti e colonne
data alla fine del
'400.
7.
Zona
dei Conversi
- L'ala
occidentale del chiostro,
molto mutata dagli
interventi sei e
settecenteschi, era
dedicata ai monaci
conversi, quelli che si
occupavano delle attività
produttive e dei servizi per
la comunità. Qui si
trovavano anche la
foresteria per l'accoglienza
dei pellegrini e
l'infermeria.
8.
Sedile
della Lectio
- Ancora visibile,
addossato al lato nord del
chiostro. Qui i monaci
leggevano e meditavano sulle
Sacre Scritture. Era il
settore più luminoso,
rivolto a sud.
9.
Ghiacciaia
- Esiste ancora,
sul retro dell'abside. È
una
costruzione a pianta
circolare dove si
conservavano la neve e il
ghiaccio preso dalle vicine
rogge.
10.
Campi
e canali
- Nel XIII secolo
il territorio di pertinenza
dell'abbazia misurava 3.200
ettari: un terzo erano
boschi, due terzi coltivati,
caratterizzati da strutture
rurali e da una rete di
canali e rogge. A poche
centinaia di metri, verso
est, scorre il Naviglio di
Bereguardo, il fiume Ticino
passa un paio di chilometri
a sud.
|

Quarta
fondazione italiana e prima in
Lombardia, la chiesa abbaziale di
Morimondo si scosta da tutte le
altre edificazioni cistercensi del
XII secolo.
L’aver
dovuto posticipare fino al 1182 gli
inizi dei lavori di edificazione
della chiesa ha fatto sì che si
fruisse delle esperienze delle
abbazie iniziate prima e terminate
in poco tempo. La
grande differenza con le altre
abbazie cistercensi consiste
essenzialmente in un maggior slancio
dato dalle navate con volte a ogiva
secondo il nascente stile gotico.
Già
dall’esterno la chiesa di
Morimondo si caratterizza per il suo
stile tipicamente cistercense con
contorni netti e geometrici,
particolarmente accentuati nella
forma rettangolare dell’abside,
che permettono di individuare la
distribuzione delle navate, la
pianta a croce latina e nel trasetto
la presenza di due cappelle per
braccio.
All'incrocio
del transetto con la navata centrale
s'innalza un tiburio ottagonale.
Questa piccola torre campanaria,
secondo la regola cistercense,
conteneva una sola campana, la cui
corda pendeva attraverso un foro
della volta nell'antico coro dei
monaci, al centro della chiesa.
La
facciata “a capanna” è
sporgente nella parte alta al di
sopra del tetto con caratteristiche
finestre aperte verso il cielo che
danno un senso di leggerezza ed
eleganza, per l’accostamento del
colore del cielo, sempre diverso,
con il rosso dei mattoni.
Nella
parte alta la facciata è decorata
da bacini ceramici policromi con
scritte in arabo, disposti a croce:
elemento decorativo tipico
dell’arte romanica in Pianura
Padana, probabilmente essi
testimoniano le attività benefiche
dei monaci a favore di mendicanti e
pellegrini ai quali offrivano cibo e
ospitalità.
Intorno
al perimetro esterno gira una fascia
di archetti pensili, motivo tra i più
caratteristici dell’architettura
lombarda del tempo, forse simbolo
della comunione dei santi.

Entrando
nella chiesa, la luce e lo slancio
delle arcate portano lo sguardo
verso l’alto e il colore dei
mattoni dà un senso di calore e di
accoglienza.
Colpisce
nelle giornate di sole la presenza
della luce sotto forma di fasci e
non in forma diffusa: in questo
modo, centro dell'attenzione diviene
la luce stessa e non ciò che essa
illumina, così da portare il
pensiero alla luce soprannaturale di
Dio che illumina l'anima.
Nella
sua struttura muraria si possono
notare molte imperfezioni e
asimmetrie, che, se comprese,
trasformano l’architettura in un
vero e proprio linguaggio
spirituale.
Elenchiamone alcune:
-
i capitelli delle colonne della
navata centrale sono tutti diversi
-
i costoloni delle volte a crociera
sono realizzati in diversi modi
-
gli archi della navata di sinistra
sono gotici, hanno solo due volte
con i costoloni in mattone, mentre
quelli della navata destra sono
romanici e hanno tutte le volte
costolonate
-
le colonne del lato destro hanno
basamento più basso di quelle del
lato sinistro, quindi sono più alte
-
nella navata destra la distanza tra
le colonne e il muro perimetrale è
costante, mentre in quella sinistra
aumenta di un metro dall’ingresso
all’altare
Questo
non per incapacità costruttiva ma
per richiamare sempre al monaco che
solo Dio è perfetto e per far
memoria della molteplicità del
creato e della fantasia del
Creatore.
Riguardiamo
con questo spirito alcuni elementi
della chiesa:
-
come tutte le chiese antiche, è
orientata, cioè ha l'abside rivolta
verso est: la luce entrando la
mattina dalle finestre dell'abside
ricorda al monaco, già dalle prime
ore del giorno, che Cristo è la
vera luce del mondo
-
dai basamenti delle semicolonne
della navata di destra si vede
chiaramente che il pavimento sale:
più ci si avvicina verso l'altare,
più ci si eleva a Dio
-
anche le colonne hanno un loro
significato: sono forti per
sostenere il peso dell’edificio,
così come forte deve essere la
fede; pur essendo forti sono fatte
di materiale umile, così come la
fede deve essere arricchita
dall'umiltà; ogni mattone occupa
ordinatamente il suo posto, così
come il monaco deve vivere
nell'obbedienza alla Regola
-
le colonne ottagonali, a forma dei
primi fonti battesimali, ricordano
"l'ottavo giorno", cioè
il giorno della Risurrezione. Il
coro originariamente partiva da
queste colonne, terminava al
transetto e occupava, nella pianta a
croce latina della chiesa che
riproduce l'immagine di Gesù in
croce, il posto della cassa
toracica, perché la preghiera del
monaco è il respiro di Cristo e
l'ossigeno per l'umanità.
Come
opere d’arte degne di nota, oltre
al coro ligneo e ai dipinti,
troviamo, entrando in chiesa sulla
destra, l'acquasantiera formata
dall‘originario lavabo del
chiostro del XIII-XIV secolo, e il
crocifisso ligneo, in una nicchia
sempre alla destra, da datarsi alla
seconda metà del secolo
quindicesimo, attribuibile forse a
un maestro toscano.
La
porta che immette alla sacrestia
presenta tutto attorno una pregevole
decorazione in terracotta con motivi
rinascimentali da ricondurre ai
modelli eseguiti dal Bramante
durante il suo soggiorno milanese
alla fine del Quattrocento.
In
linea di massima tutte le opere
decorative e strutturali eseguite
tra la fine del Quattrocento e
l'inizio del Cinquecento sono state
commissionate dai monaci fiorentini
della Badia di Settimo, inviati da
Giovanni de’ Medici, abate
commendatario, nell'ambito di un
grande progetto di riforma. Tra essi
vi sono il monumentale coro alle
spalle dell'altare maggiore (nella
navata centrale) eseguito in forme
rinascimentali da Francesco Giramo
di Abbiategrasso nel 1522 (che
presenta una rara lavorazione a
intarsio sugli schienali), la
decorazione rinascimentale in
terracotta della porta della
sacrestia e, nel transetto destro,
l'affresco strappato attribuito a
Bernardino Luini, rappresentante la
Madonna col Bambino (1515) tra San
Benedetto e Bernardo, che rispecchia
la devozione a Maria da parte dei
cistercensi come intermediaria tra
la vita di preghiera quella
quotidiana.
Il
Coro ligneo - L'attuale
coro ligneo, eseguito nel 1522 da
Francesco Giramo, un artista di
Abbiategrasso, in sostituzione degli
stalli originari, costituisce
un'interessante esempio di arredo
ligneo rinascimentale sia per la
struttura compatta e architettonica,
modellata secondo gli schemi diffusi
dal Bramante in Lombardia, sia per
la tecnica delle figurazioni,
disegnate con incisioni eseguite con
ferro rovente e riempite con una
pastiglia scura. Fu luogo di
preghiera come evocato dai simboli
rappresentati. Sebbene derivati
dall'antichità classica secondo il
gusto rinascimentale, essi
rappresentavano valori spirituali
come la generosità dei doni di Dio
(il cesto di frutta) o l'azione
salvifica di Cristo (i pesci).

Il
chiostro - Il chiostro di
Morimondo si presenta nella sua
pianta essenzialmente medievale. I
tre porticati sono del primissimo
'500 e i due palazzi (lato nord e
ovest) della metà del '700.
Nonostante siano mutati nel tempo i
criteri di costruzione, anche
nell'architettura traspare la
semplicità propria dell'ordine. A
est si trova la sala capitolare,
preceduta dalla nicchia dell'armarium;
seguono poi l'androne dove era la
scala al dormitorio, il locutorium e
l'entrata al monastero. A sud sono
rimaste le tracce del calefactorium
e gli ambienti della cucina con il
refettorio dei conversi.
Il
lato est rappresenta il disprezzo di
sé: l'ambiente rammenta al monaco
di non confidare solo sulle proprie
forze chiudendosi in sé. Il lato
sud che guarda alla notte ricorda al
monaco il disprezzo del mondo. Qui,
dove il sole batte per molte ore al
giorno, si trova ancora il sedile
sul quale i monaci sostavano per
ascoltare la lettura spirituale
prima dell'ultima preghiera della
sera. Il fianco ovest, dove sono
situati i locali dei fratelli
conversi, è rivolto al sole che
sorge e ispira l'amore verso il
prossimo. Qui si opera la carità
verso i pellegrini, i malati e i
poveri. Il lato nord è quello dove
i monaci si attardavano nella
preghiera fino all'ultimo raggio di
sole: ricorda al monaco l'amore di
Dio.

La
sala capitolare - Lo stile
architettonico di questo ambiente
differisce dalle caratteristiche
generali del monastero. Ciò risulta
evidente dalla presenza di colonne
slanciate in pietra (non in
mattoni), e da una sensibilità che
sembra anticipare il primo gotico;
ma anche qui, come in tutti i locali
dell'edificio, si riscontra una
struttura semplice e lineare ma al
tempo stesso elegante: per il monaco
ogni attività, non solo la
preghiera, rappresenta una lode a
Dio.
Per
accedere alla sala Capitolare i
monaci scendevano alcuni gradini in
segno di umiltà; qui, infatti, i
religiosi si autoaccusavano davanti
ai confratelli delle proprie
mancanze nei confronti della Regola
e l'abate assegnava le punizioni.
Sulla
parete occidentale si aprono, ai
lati della porta, due trifore: a
queste si affacciavano i conversi
per assistere alle riunioni, poiché
non avevano diritto di accesso alla
sala e non potevano prendere parte
alle decisioni; proprio da questa
consuetudine deriva il modo di dire:
"Non avere voce in
Capitolo".
Monastero
del piano del chiostro - Costruito
a partire dal 1135, fu trasformato
in più riprese per adattarlo alle
diverse esigenze dei monaci
(soprattutto nel primo Duecento e
nel Seicento), senza che si
perdessero la struttura e la pianta
del complesso. A differenza degli
edifici cistercensi tradizionali
(costruiti in piano), presenta
complessivamente quattro piani.
Oltrepassando
la porta si incontrano il locutorium
(dove l'abate impartiva gli ordini
per i lavori della campagna), il
corridoio, dove si collegava
l'antica scala (ora coperta da un
cristallo trasparente), e la sala
dei monaci, dove lavoravano i
coristi: originariamente questa era
divisa in due navate da otto archi a
tutto sesto, ma nel XII-XIII secolo
fu ripartita in vari ambienti e a
cavallo tra il XVII e il XVIII
secolo fu trasformata nella
residenza dell'abate commendatario
con la costruzione di un corridoio
lungo il lato ovest e di una grande
sala. Procedendo ci si trova nello
Scriptorium, il laboratorio dove
venivano trascritti e decorati i
codici. Qui in un sott'arco si
individuano varie scritte e simboli
databili intorno al 1160-70.
Piano
inferiore al chiostro - Vi
si accede tramite lo scalone
costruito nel XVIII secolo dove
aveva sede il Calefactorium, che
raccorda, in maniera diversa
rispetto al Medioevo, i vari livelli
del monastero e il Loggiato chiamato
anche Balconata (ambiente aperto,
edificato tra la fine del XVI e
l'inizio del XVII secolo secondo il
modello dei palazzi signorili
rinascimentali).
Scendendo
sotto il chiostro del corpo
orientale, si trova la prima sala
dei monaci, risalente al 1150, uno
degli ambienti tra i più suggestivi
e completi oltre alla Chiesa
abbaziale: è suddiviso da otto
campate con volte a crociera e
ripartito in due navate da colonne
simili a quelle della chiesa. Questo
ambiente nel XIII secolo ebbe la
funzione di officina per la
tessitura. Procedendo, si scende
nelle cantine del corpo orientale,
che costituiscono il nucleo più
antico del monastero, attualmente in
restauro.

Le
grange: la forza del monastero
Con
il termine di "grangia"
(da granica, ovvero deposito di
grano) veniva indicato un
insediamento rurale produttivo.
Poteva nascere sulle basi di
strutture agricole già esistenti,
oppure essere costruita ex-novo. La
grangia aveva grande autonomia
rispetto alla sede abbaziale che
l'aveva costituita, nonostante capo
era stato messo un converso,
un laico che, dopo aver fatto voto
di povertà e dopo aver donato i
propri beni al monastero, diventava
membro della comunità monastica.
Col crescere della struttura e del
numero dei monaci, aumentarono le
esigenze. La fonte principale di
sostegno materiale fu il lavoro
agricolo che veniva realizzato
attraverso le grange, che fungevano
sia da deposito di granaglie e
attrezzature sia da ricovero dei
conversi.
Per
aiutare i monaci sacerdoti nelle
attività manuali, nacque la
vocazione del monaco (o meglio del fratello)
converso: uomini adulti che pur non
avendo seguito gli studi per essere
ordinati sacerdoti, condividevano
l'ideale monastico vivendo nella
comunità. Portando le loro
competenze professionali nel
monastero, essi contribuirono alla
rapida espansione dell'Ordine. Il
lavoro non serviva solo per il cibo
e per il commercio, ma anche per
esprimere la carità a favore dei
viandanti e dei pellegrini che
bussavano per ottenere aiuto e cibo.
Al
di là di qualche compito specifico,
tutti i membri della comunità
avevano un ruolo attivo nella
giornata, scambiandosi i turni
settimanalmente. In cucina vi era
bisogno ogni giorno di chi aiutasse
il cuoco. La dieta era rigorosamente
povera. Occorreva sfornare il pane,
preparare i pasti a base di verdure
e legumi, oltre che curare i
formaggi che venivano dai caseifici
delle grange. A fianco della cucina
vi era il refettorio: la
collocazione dei tavoli e la
presenza di un pulpito richiamavano
lo spazio della chiesa. I monaci
mangiavano due volte d'inverno (le
giornate erano più corte) e tre
volte d'estate (le giornate erano più
lunghe e il lavoro dei campi
richiedeva più energie).
Ma
altre erano le mansioni al servizio
della comunità: il cellario
era colui che con l'amorevolezza di
un padre, doveva sovrintendere alla
prosperità della comunità: curava
i conti, inventariava i beni, teneva
i rapporti con le grange, provvedeva
a ciò che serviva nel monastero:
dal cibo per i pasti all'acquisto
degli attrezzi agricoli, alle
manutenzioni e alle riparazioni nel
monastero e nelle grange, e curare
le spese di costruzione (notevoli
nel primo periodo).
Anche
all'interno della comunità vi erano
varie mansioni e ruoli che venivano
svolti in luoghi specifici: primo
fra tutti la sala dei monaci ove
aveva sede lo Scriptorium.
Qui monaci esperti preparavano le
pergamene dalle pelli di pecora e
altri invece si occupavano della
trascrizione. I codici cistercensi
sono caratterizzati da una redazione
severa, leggibile, con chiari segni
di interpunzione e decorata da
iniziali sobrie e per lo più senza
dorature. Scrittura e miniature
seguono per più di un secolo uno
stile unitario e costante in tutta
Europa, distinto dalle mode
correnti.
Come
in ogni abbazia anche a Morimondo vi
era una intensa vita di studio. Ciò
è confermato dalla produzione
effettuata nel corso dei primi
secoli: il primo catalogo di codici
fu iniziato nel 1170/1172 con una
cinquantina di testi e fu poi
continuato fino ali 'inizio del XIII
secolo, arrivando a circa 90 volumi.
Nell' armarium della
comunità (cioè nella biblioteca)
vi erano diverse categorie di libri:
da quelli liturgici ai testi sacri
alla Regola di San Benedetto. Tutti
costituivano l'alimento per la
preghiera comune. La maggiore
quantità riguardava i commenti alla
Sacra Scrittura dei Padri della
Chiesa, che formavano la colonna
portante dello studio del monaco.



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