|
Pochi
passi in salita da piazza Garibaldi,
camminando su un acciottolato
ammorbidito dai secoli. Basta poco
per estraniarsi dal centro di Cantù,
improntato alle dinamiche
produttive care alla gente di
Brianza, e dunque un po'
disarmonico.
Basta salire verso San Paolo, la
basilica dal campanile lunghissimo e
sottile, lassù in cima alla
collinetta alta sul centro della
città, per cambiare epoca.
I
fragori del traffico si stemperano
nel silenzio. Dalla scalinata della
chiesa, nei giorni limpidi, il Monte
Rosa occhieggia tra i palazzotti
anni 60 e aiuta a dimenticare la
loro mediocrità. Che non ha nulla
da spartire con il fascino spoglio
dei vicoletti, degli edifici pietrosi
tutt'attorno al sagrato,
alle logge della chiesa dall'interno
barocco e alla modesta facciata
della Madonnina di San Paolo, un
piccolo miracolo di bellezza e
preziosità.
Segreta, quasi
dimenticata, la cappella che i
canturini chiamano anche oratorio
della Beata Vergine s'iscrive in
quell'infinito inventario di tesori
"minori" del nostro
Paese, che minori non sono affatto
ma solo oscurati da altri più
altisonanti. Il suo recente restauro
a cura della Cassa Rurale di Cantù
l'ha restituita alla visita.
Il
tempio è minuscolo, composto di un
solo vano interamente affrescato in
un momento indeterminato del '500.
Volerne ricostruire la storia è
impresa lunga
e
poco documentata. Inizia forse nella
prima metà del '300 con un'edicola
addossata alle mura che cingevano
il borgo, luogo di breve
raccoglimento accanto a porta
Ferraia, o porta degli Archinti,
varco obsoleto.
La facciata scabra,
due scalini in pietra, la porta e
una finestrella inferriata sulla
destra. All'esterno, di una
semplicità che rasenta la povertà,
nulla fa presagire il sottile
sortilegio che gli affreschi
raffinati e la cupola dipinta come
un notturno cielo stellato
comunicano
appena varcata la soglia.
All'origine la cappella era aperta,
delimitata da un arcone e una
cancellata; in seguito su
indicazione di San Carlo Borromeo la
si chiuse per adibirla a battistero
della vicina basilica. Il fonte
battesimale in marmo rosso e nero
al centro del pavimento in cotto lo
testimonia.

Gli affreschi ricoprono
tutte le pareti, divisi in
riquadri. Hanno colori vividi e
avvolgono
il visitatore. L'abside dalla pianta
irregolare è scandita in sette
pannelli incorniciati verticalmente
da colonnine dipinte; alla base
corre un'iscrizione latina in
caratteri goticheggianti. Al centro,
l'immagine trecentesca della Madonna
del Latte, con Maria assisa su un
trono nell'atto di allattare il
Bimbo. L'affresco, precedente di
quasi due secoli agli altri
riquadri, rivela dettagli delicati
come due uccellini posati su un
fregio del sedile e sulla mano del
piccino. Ai lati del dipinto, tre
pannelli per parte ritraggono angeli
alati, scorci naturalistici, la
figura del monaco San Nicola da
Tolentino (o San Bernardino) e
quella di San Disma, il buon ladrone
crocifisso.
La sommità dell'abside
è divisa in spicchi con sette
lunette dipinte a conchiglia
alternate a
testine d'angeli e, nel tondo
centrale, il volto di Dio Padre
incorniciato da una bianca barba
come vuole l'iconografia popolare.
Nulla o quasi si sa dei suoi autori,
solo un cartiglio posto sul lato
sinistro dell'abside, accanto
all'immagine di San Disma, pare
rechi la loro firma: Cristoforo de
Mottis e Ambrogio da Vigevano.
Un'unica data: 1514. La collocazione
di questa coppia di artisti è
ardua, del loro talento non resta
traccia né si è riusciti a
individuare la mano dell'uno o
dell'altro. Di certo però la
critica ha confermato che molto
della loro pittura si ispira a una
serie di stampe di Albrecht Durer,
in quel tempo ampiamente diffuse.
Cristoforo e Ambrogio hanno attinto
dall'artista germanico una robusta
parte delle ambientazioni
scenografiche, nel contempo i due
pittori si rifanno anche al
Bergognone. Ignoti i committenti
della ricca decorazione a fresco.
Il
tema del ciclo sulle pareti laterali
è quello della Natività e
dell'Infanzia di Gesù, suddiviso in
sei scene. Entrando, sulla destra,
ecco l'Adorazione dei Magi, la
Circoncisione, lo Sposalizio della
Vergine. Sul lato sinistro, la
Strage degli Innocenti con Erode che
brandisce uno scettro dorato, l'Adorazione
dei Pastori e la
Presentazione al tempio. Ogni quadro
è incorniciato da fasce a
grottesche, i personaggi sono curati
nel dettaglio delle vesti e
dell'atteggiamento, collocati
in scenari classicheggianti o su
sfondi paesaggistici che riproducono
scorci del Cantorino e angoli della
stessa Cantù come la basilica di
San Paolo con il suo campanile e la
facciata dell'oratorio. Si
distinguono le Alpi vicine, con le
vette che si rincorrono, e scene
agresti. Le figure hanno volti a
tratti intensi, alcuni dalla fissità
distratta come nella scena della
Circoncisione.
Alla sommità dei
pannelli dipinti corre una fascia
di sei tondi con figure di profeti
inseriti in pennacchi triangolari
proiettati verso la cupola,
delimitati da cordoli ornamentali
con motivi rinascimentali. Il
soffitto è una scura notte
punteggiata da stelline rossastre,
al centro della quale campeggia un
tondo con una dolce Madonna con
Bambino con un giglio in mano,
poggiati su una mezzaluna quasi
scintillante a cui dedicare l'ultimo
sguardo a questo scrigno di bellezza
emozionante e inaspettata.
Tratto
da Bell'Italia - Auretta Monesi
|