Ville del lago 
(Como)

   

Sulla costa occidentale del lago di Como sorge la frazione di Borgovico, dove già nel Rinascimento vennero costruite dimore suburbane e dove, al finire del 700 e all'inizio dell'800, gli architetti più prestigiosi diedero vita a palazzi e ville circondate da splendidi giardini. Ninfei, parchi e tempietti ornavano gli edifici dedicati a residenza di famiglie patrizie sia italiane che straniere. Gli appezzamenti di terreno circondanti il lago, che in precedenza erano utilizzati a fini agricoli, vennero acquistati da importanti famiglie come i Parravicini e i Della Porta o da discendenti da vescovi come i Gallia . 

Villa Scacchi, Villa Saporiti, Villa Parravicini, Villa dell'Olmo, Villa Gallia, Villa Salazar sono solo alcune delle magnifiche ville accomunate tutte dallo stile neoclassico e dagli immensi e curatissimi giardini adiacenti. 

Esternamente presentano facciate intercalate da colonne con capitelli ionici come nella villa della Rotonda o ingressi e finestre sovrastati da timpani come nella Villa Parravicini; parti tondeggianti e bassorilievi  raffiguranti allegorie classiche, ampi terrazzi a colonnati come nella Villa Scacchi. 

Internamente sono caratterizzate da ampi e luminosi saloni e pavimenti di marmi policromi come nella Villa Gallia; pregevolissimi gli stucchi in bianco e oro ammirabili nella Villa Saporiti, dove non si può non citare uno degli ospiti più illustri: Napoleone. 

I palazzi di incantevole rigore e di prorompente possanza sono nei secoli stati acquistati da più famiglie. Oggi la maggior parte di loro sono di proprietà del comune di Como o dell'Amministrazione Provinciale e vengono spesse utilizzati per mostre, esposizioni o congressi.

Villa Olmo - Como

La costruzione della villa venne commissionata dal marchese Innocenzo Odescalchi al grande architetto neoclassico Simone Cantoni, originario del paese di Muggio, nella omonima valle presso Mendrisio. Egli aveva consolidato una grande esperienza realizzando Palazzo Serbelloni (1775), in Corso di Porta Venezia a Milano e la ristrutturazione del Palazzo Ducale di Genova.

L'edificio era destinato a residenza estiva, per i marchesi. E, infatti, l'imponente edificio neoclassico, è completato da un ampio giardino affacciato sul lago, largamente risistemato dal successivo proprietario, il marchese Raimondi. Deve il suo nome ad un magnifico olmo, allora più che centenario, oggi non più esistente.

I lavori ebbero inizio nel 1797, sulla base di un nuovo progetto, che rielaborava uno precedente opera del ticinese Innocenzo Regazzoni. Cantoni chiamò presso di sé sul cantiere Domenico, Carlo, Luca e Giuseppe Pozzi e lo scultore Francesco Carabelli. Il marchese vi ospitò, fra gli altri, nel 1797 il generale Buonaparte, nel 1808 Ugo Foscolo.

Nel 1824, con la morte del marchese, la dimora passò, per eredità, al marchese Giorgio Raimondi, che vi accolse, per ben tre volte, la visita degli imperatori d’Austria (Francesco II nel 1816 e nel 1826, Ferdinando I nel 1838), accolti con grandi onori. Oltre alla regina delle due Sicilie e la regina di Sardegna. Successivamente, il marchese ebbe un ruolo rilevante nelle insurrezioni del 1848-49, si esiliò in Ticino e la villa venne requisita. Nel 1859 vi soggiornò Garibaldi, che sposò la figlia del marchese, Giuseppina.

Nel 1883 la villa venne ceduta al duca Guido Visconti di Vimodrone. I duchi affidarono all'architetto Emilio Alemagna l'abbattimento delle scuderie e di un portico, l'apertura di due balconate, il rifacimento degli stucchi del pian terreno, la sistemazione del parco e la costruzione di un piccolo teatro.

Nel 1924 venne acquisita dal Comune di Como, che vi ha ospitato, negli anni, l'Esposizione Internazionale per il centenario della morte di Alessandro Volta, numerosi congressi, spettacoli, mostre d'arte. Dal 1982 è sede del Centro Volta, che vi organizza le sue manifestazioni internazionali.

Villa Melzi - Bellagio

Tra le numerose meraviglie del lago di Como, spiccano i giardini all’inglese di Villa Melzi che accarezzano il lungolago inserendosi armoniosamente nel quadro collinare della penisola di Bellagio, la perla del Lario. La villa, la cappella e la serra degli aranci, oggi allestita a padiglione museo, sono una splendida espressione di stile neoclassico arricchite dallo slancio naturale del giardino, che pulsa dei primi sentori dello spirito esotico e creativo tipicamente romantico. 

Il progetto del giardino infatti venne realizzato dal Villoresi, il quale organizzò l’impianto scenografico per punti prospettici, privilegiando ora la visuale del lago, ora l’ispirazione intima del laghetto giapponese o della passeggiata nel bosco. 

Il complesso architettonico venne costruito tra il 1808 ed il 1810 dall’architetto Giocondo Albertolli su commissione di Francesco Melzi d’Eril nominato Duca di Lodi da Napoleone in persona per il quale ricoprì la carica di vicepresidente della Repubblica Italiana e successivamente quella di cancelliere dell’Impero. 

Dimora del Melzi dopo la sua carriera politica e sua residenza estiva fino alla morte, la costruzione venne decorata ed arredata da noti artisti dell’epoca: l’Appiani ed il Bossi pittori, il Canova ed il Comolli scultori, il Manfredini bronzista. Il parco è impreziosito di pietra, monumenti e curiosi cimeli tra i quali colpisce una gondola veneziana trasportata a Bellagio per il volere di Napoleone in persona ed un’imbarcazione utilizzata da Mario Soldati durante le riprese del film Piccolo Mondo Antico girato negli anni quaranta. 

Molti furono gli illustri ospiti che soggiornarono alla villa: anzitutto l’amico vice Re Eugenio Beauharnais e la sua consorte Augusta, poi l’imperatore e l’Imperatrice d’Austria Ferdinando primo e Marianna nel 1838 accompagnati dal principe di Metternich e l’imperatrice di Russia Maria Feodorowna. Dimorò pure in questo luogo il celebre esploratore Stanley e nel 1974 vi si tenne la conferenza Rumor – Schmidt. 

Nel giardino, ricchissimo di piante rare esotiche, si avvicendano con alberi secolari, siepi di camelie e boschi di azalee e rododendri giganti, pietre e monumenti di significato storico e artistico. A metà passeggiata tra colori e profumi inebrianti, un chiosco in stile moresco con magnifica veduta sul lago conserva i busti degli Imperatori d’Austria, Ferdinando I e consorte, e del duca Lodovico Melzi con la consorte Josephine Melzi Barbò, ultimi discendenti della Casata Melzi. 

Proprio di rimpetto al chiostro si trova il monumento a Dante e Beatrice del Comolli che ha ispirato il Liszt. Procedendo all’ombra dei platani tagliati ad ombrello, si giunge al grande terrazzo antistante la villa: da questo punto è possibile ammirare il paesaggio del centro lago e l’armonia e la sobrietà della costruzione alla quale si accede tramite una scenografica scalinata ad emiciclo. 

Quattro austeri leoni definiscono lo spazio della costruzione sui lati del terrazzo, mentre due statue in marmo raffiguranti Apollo e Meleagro ne addolciscono la linea. Tre busti neoclassici, di cui quello centrale raffigura l’Alfieri, adornano il lato sud della villa, a suo tempo collegata da una passerella con il terrazzo antistante la serra degli aranci situata a nord della villa.

L’aranciera oggi è un padiglione indipendente aperto al pubblico adibito a museo e contiene reliquie storiche provenienti dalla prima campagna di Napoleone in Italia e reperti archeologici provenienti dalla collezione dell’Altichiero, tra i quali sarcofagi antichi e busti romani rappresentanti esponenti patrizi. 

La cappella, sul limite del giardino a fianco dell’approdo turistico di Loppia è un notevole esemplare di tempo neoclassico decorato all’interno con stucchi e dipinti del Bossi, arricchito dai candelieri cesellati del Manfredini. Questa venne costruita tra il 1815 ed il 1820 sempre sui disegni dell’architetto Albertolli nel rispetto dello stile direttorio, (come la stessa villa) ovvero l’ultima fase purista a cavallo tra stile neoclassico e pre-romanticismo dove si vanno aborrendo tutti i fronzoli ed i particolari pomposi a vantaggio della linea pura e delle regole classiche. La cappella ricalca le sembianze di un tempietto, a pianta centrale con cupola e senza campanile. Ivi si trovano i monumenti funebri di Francesco Melzi realizzato dal Nesti, del nipote Giovanni Melzi del Benzoni e di Lodovico Melzi ad opera del Vela, disposti sui lati della chiesa a croce greca. In particolare: nella sagrestia di destra le tombe della famiglia Melzi, a sinistra la cappella dei famigliari dei Gallarati Scotti, succeduti per eredità ai Melzi, con il Duca Tommaso Gallarati Scotti, la duchessa Aurelia Gallarati Scotti e la contessa Virginia Gallarati Scotti. La grande scritta sulla tomba di Tommaso Gallarati Scotti è di Cesare Angelici. L’altare ed il levigatissimo Cristo in marmo bianco sono del Comolli. Appoggiata alla parete esterna nord esterna, la porta dell’antica casa Melzi di Milano, attribuita al Bramante, con una lapide di famiglia. Dirimpetto al portale un fregio in pietra del 1200 che porta i simboli dei quattro evangelisti. La cappella è tutt’ora consacrata e visitabile al termine del percorso botanico durante gli orari di apertura del parco.

La dimora ed il giardino, oggi monumento nazionale nell'insieme, sono tuttora di proprieta' privata ma in parte accessibili al pubblico.

Villa Serbelloni - Bellagio

La Villa Serbelloni  si estende sul promontorio di Bellagio dove, secondo la tradizione, Plinio il giovane possedeva la villa chiamata “Tragedia”; nel medesimo luogo sorse nel Medioevo un castello, demolito da Galeazzo Visconti nel XIV secolo.

L’edificio originario risale alla fine del Quattrocento, quando l’economia locale si basava sulla pesca e sulla coltivazione della vite e dell’ulivo.
Edificata per volere del Marchesino Stanga, fu ampliata e rifatta nel secolo successivo dagli Sfondrati. La villa rimase a loro fino al 1788, venne ereditata dalla famiglia Serbelloni che, ai tempi loro, era ricchissima e potente.

Bellagio - Villa Serbelloni.
La villa Serbelloni ha una storia antichissima, già di proprietà della famiglia Sfondrati nel 1533, passò di proprietà al conte Alessandro Serbelloni che vi si dedicò anima e corpo. L' aspetto esterno, ampio ma di linee semplici, non fu modificato; l'interno fu accuratamente decorato, dai soffitti a volta e a cassettoni, ai quadri e oggetti d'arte. Il duca Serbelloni, tuttavia più che della villa si interessò del immenso parco, spendendo cifre esorbitanti, fece costruire piste carrozzabili, viali, sentieri per un' estensione di circa 18 KM.
Il duca morì a Bellagio, nel 1826, la villa passò in mano ai suoi figli, Giovan Battista e Ferdinando, cadde in progressivo disuso dopo la scomparsa di questi ultimi e gli eredi, a partire dal 1870 affittarono la proprietà ad Antonio Mella che ne fece una dipendenza dell' Albergo de la Grande Bretagne; infine nel 1907 la vendettero ad una socità svizzera che ne fece L'Albergo Serbelloni.
L'albergo venne comprato dalla principessa Ella Walker che la lasciò nel 1959 in eredità alla fondazione Rockefeller. Oggi la villa è adibita a luogo di soggiorno e di incontro per studiosi.

Numerosi furono gli ospiti illustri che soggiornarono nella villa, possiamo ricordare quando ancora era propietà degli Sfonderati :l'Imperatore Massimiliano I, Leonardo da Vinci, Lodovico il Moro, Bianca Sforza, il cardinale Borromeo.
Nell'ottocento la schiera degli ospiti è impressionante: Pellico, Moroncelli, l'Imperatore FrancescoI, la regina Vittoria, il kaiser Guglielmo, Umberto I; scrittori come il Manzoni, Grossi, Pindemonte.

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VILLA CARLOTTA - TREMEZZO

Villa Carlotta sorge su una collina morenica, sulla sponda occidentale del lago di Como.Fu costruita nel 1690 circa dal banchiere milanese marchese Giorgio Clerici, passò nel 1795 al marchese Giambattista Sommariva, imprenditore napoleonico, e dagli eredi di questo, per breve tempo, alla famiglia Rubini, che nel 1843 la cedette alla principessa Marianna di Nassau, moglie di Alberto di Prussia; quest'ultima la donò alla figlia Carlotta in occasione delle sue nozze con Giorgio principe ereditario di Sassonia-Meiningen (da qui il nome della villa). Lo Stato Italiano, proprietario dal 1927, ne ha affidato la gestione all'Ente Villa Carlotta che ne ha, con assidua cura, arricchito il patrimonio artistico e botanico. I giardini, famosi per la fioritura primaverile dei rododendri e delle azalee in oltre 150 varietà, devono la fertilità del terreno al deposito, da parte di antichissimi ghiacciai, di un sedimento particolarmente acido e privo di calcare. Il giardino è apprezzato per le siepi di camelie, i pergolati di agrumi, le collezioni di felci arboree.

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Villa Carlotta sorge su una collina morenica, sulla sponda occidentale del Lago di Como, ad un'altitudine di 201 metri sul livello del mare e occupa una superficie di 70.000 metri quadrati. La costruzione della villa venne iniziata nel 1690 circa dal banchiere milanese marchese Giorgio Clerici e nel 1795 passò in proprietà del marchese Giambattista Sommmariva, imprenditore napoleonico; dagli eredi di quest'ultimo la villa passò in proprietà, per breve tempo, alla famiglia Rubini, che nel 1843 la vendette alla principessa Marianna di Nassau, moglie di Alberto di Prussia, il quale ne fece dono alla figlia Carlotta in occasione delle sue nozze con Giorgio principe ereditario di Sassonia-Meiningen: donde il nome "Villa Carlotta". Con il marchese Sommariva Villa Carlotta raggiunse il suo massimo splendore, arricchendosi di molte ed insigni opere d'arte (in parte andate disperse dopo la sua morte) e fu sede di grandiose feste. Appartengono invece al periodo Clerici i bellissimi soffitti dipinti con "passa sotto" di stile barocco lombardo del secondo piano e il giardino all'italiana con le scale, le balaustre e la fontana, nonché la cascata dei nani. Spetta infine ai Sassonia-Meiningen il merito della formazione e dello sviluppo del giardino paesaggistico assurto a fama internazionale. Tra le principali opere d'arte custodite nella villa ricordiamo la Giulietta e Romeo di Hayez, di cui si conservano anche i bozzetti e un nudo, i frammenti degli affreschi dell'Appiani raffiguranti l'Apoteosi di Napoleone e provenienti dal Palazzo Reale di Milano dopo il bombardamento, le pitture monocrome di soggetto classico del medesimo autore, il camino marmoreo del Thorvaldsen e infine alcune sculture realizzate nel laboratorio del Canova, tra cui Amore e Psiche, La Maddalena e il Palamede. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale Villa Carlotta è di proprietà dello Stato Italiano, che dal 1927 ne ha affidato la gestione all'Ente Villa Carlotta: grazie all'assidua cura di quest'ultimo, il patrimonio artistico e botanico della villa è stato sensibilmente arricchito. I giardini, famosi per la fioritura primaverile dei rododendri e delle azalee in oltre 150 varietà, devono la fertilità del terreno al deposito, da parte di antichissimi ghiacciai, di un sedimento particolarmente acido e privo di calcare. Oltre alle menzionate fioriture, il giardino è particolarmente apprezzato e conosciuto per gli enormi sieponi di camelie, per i pergolati di agrumi, per le collezioni di felci arboree, di cactee, di conifere, di piante tropicali e per il nuovo "giardino dei bambù". Il patrimonio botanico della Villa supera le 500 specie e varietà, oltre alle piante annuali da fiore e da fogliame decorativo e alle bulbose. Sono infine degne di nota le vedute e le prospettive che sapientemente sfruttano l'andamento del terreno, rivelando la mano di un esperto, purtroppo ignoto, architetto.

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Configurazione strutturale:

Il complesso di Villa Carlotta si sviluppa secondo uno schema planimetrico irregolare con il lato maggiore prospiciente la via Regina; è composto da un vasto parco/giardino e dalla Villa Carlotta. Il parco-giardino si estende per quasi tutto il versante della collina in riva al lago ed è strutturato su ampi terrazzamenti con zone di giardino all'inglese tenute a prato, giardino all'italiana nella zona antistante la villa e parco con alberi ad alto fusto nella parte più alta. Alla villa, posta a quota più alta rispetto alla via Regina e con il fronte principale rivolto verso il lago, si accede a mezzo di una scalinata monumentale a rampe simmetriche immersa nel verde del giardino all'italiana.

Epoca di costruzione:

 post 1684 - ante 1695

Autore:

Sommariva Gian Battista (rifacimento)

Comprende

· Villa Carlotta

Notizie storiche

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L'edificazione della villa si deve, intorno al 1690, al marchese Giorgio II Clerici (1648-1736); la sua famiglia, originaria probabilmente della zona, si era straordinariamente arricchita grazie al commercio e alle attività di Giorgio I (1575-1660 e dei suoi figli, Pietro Antonio (1599-1675) che ottenne il titolo di marchese, e Carlo (1615-1677), proprietario di palazzi a Milano e in Brianza, che lascerà al figlio Giorgio II straordinarie ricchezze e una posizione sociale di rilievo. A questi succedette il pronipote, Antonio Giorgio (1715-1768) che morì dopo aver dissipato la cospicua fortuna famigliare. I beni rimasti passarono a un ramo cadetto della famiglia; la villa sul lago invece giunse all'unica figlia, Claudia, sposa del conte Vitaliano Bigli. Fu proprio Claudia a vendere nel 1801 la proprietà di Tremezzo a Gian Battista Sommariva, allora Presidente del Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina. Al momento dell'acquisto, Sommariva era tra gli uomini più potenti di Milano e mirava ad avere una dimora all'altezza del suo rango. Colto e spregiudicato, Sommariva vantava amicizie illustri, possedeva un fastoso palazzo a Parigi ed era un celebre collezionista d'arte in contatto con i più celebri artisti dell'epoca, tra i quali Canova, David, Girodet, Prud'hon e Thorvaldsen. Desideroso di acquisire, insieme alle opere d'arte, un sempre maggiore prestigio, destinò alla villa di Tremezzo una parte cospicua delle sue collezioni, modificandola anche strutturalmente e liberandola dalle decorazioni e dagli arredi settecenteschi per renderla più idonea ad accogliere le opere. Furono proprio i capolavori d'arte che resero la villa famosissima in tutta Europa e attirarono illustri visitatori quali Stendhal, Lady Morgan e Flaubert. Alla costituzione della straordinaria collezione non fu estraneo certo un sentimento di rivalsa nei confronti dell'eterno nemico Francesco Melzi, la cui villa era nel frattempo stata edificata proprio di fronte a quella del Sommariva, sulla penisola di Bellagio.

La villa di Tremezzo venne acquistata dalla principessa Marianna di Nassau, moglie del principe Alberto di Prussia, nel 1843. Nel 1847, con la donazione della villa alla figlia Carlotta (1831-1855) - dal cui nome ebbe origine la popolare denominazione che ancora oggi la villa conserva - in occasione delle sue nozze con il granduca Giorgio di Sassonia-Meiningen (1826-1914), la proprietà passò definitivamente alla casata tedesca. I Sassonia-Meiningen attribuirono alla villa principalmente la funzione di soggiorno e di villeggiatura e perciò non recarono grandi modifiche all'edificio, se non all'apparato decorativo che venne arricchito con motivi motivi neo rinascimentali e pompeiani ad opera di artisti tedeschi e italiani, tra cui Ludovico Pogliaghi. I nuovi proprietari vendettero quanto restava delle raccolte d'arte Sommariva, ad eccezione dei grandi dipinti e di alcune sculture, e dedicarono le loro energie al grande parco. I duchi Bernardo e Giorgio II, appassionati di botanica, arricchirono ed abbellirono il giardino immettendo un numero cospicuo di nuove specie, con particolare predilezione per rododendri, azalee, camelie, felci e palme.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, mentre i beni dei sudditi nemici residenti in territorio nazionale vengono soggetti a sequestro, tale provvedimento non venne attuato per Villa Carlotta. Nominato un curatore, conobbe un periodo d'incertezza sul suo futuro, fino a quando, grazie alla lunga battaglia sostenuta dall'avvocato Giuseppe Bianchini e dal Rotary Club di Milano e con decreto reale del 12 maggio 1927 venne costituito l'Ente morale Villa Carlotta, cui venne affidata la cura e la gestione della villa e del giardino. Lo statuto dell'ente prevede che tutti gli introiti ricavati dai biglietti vengano devoluti al miglioramento del complesso.

Descrizione

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La villa presenta un corpo di costruzione massiccio, secondo la sobria tradizione lombarda, impostato, in omaggio al gusto tardo seicentesco, su un unico asse centrale che, partendo dal cancello di entrata a lago, divide in due parti uguali la proprietà. Non sono noti architetto e anno di edificazione. Le suggestioni della costruzione originale sono evocate dalle cinque tavole pubblicate nel 1743 da Marc'Antonio Dal Re nel secondo volume delle Ville di delizia. È grazie a tali incisioni che è possibile oggi affermare che il rigore simmetrico è quanto il tempo e le circostanze hanno permesso giungesse fino a noi della prima edificazione, insieme allo scalone elicoidale ed i soffitti in legno dipinto, detti a passa sotto, unica testimonianza superstite della decorazione primitiva. Del periodo Clerici è il giardino all'italiana che fronteggia la villa con balaustra in pietra decorata da figure allegoriche in marmo di Condoglia e fontana con vasca sagomata e statua di Arione di Metimna.

 

 

 

 

 

 

Villa del Balbianello - Lenno

Il tratto costiero del Lario compreso fra Menaggio ed Argegno è uno dei più interessanti e belli dell'intero lago. Numerose testimonianze storiche rimandano all'antico e glorioso passato di questo territorio e ci parlano delle vicende dell'Isola Comacina, di furiose battaglie navali fra le genti lariane, di santuari ed eremi che in gran numero s'affacciavano sul lago. La bellezza di questi luoghi, fronteggiati dalla punta di Bellagio, ha da sempre attratto il visitatore e moltissimi personaggi illustri hanno scelto di soggiornarvi. Le numerose splendide ville e gli alberghi esclusivi testimoniano di un turismo ricco e assai qualificato. Gli amanti del bello, del paesaggio e della tranquillità hanno trovato qui un luogo ideale: la tradizione affonda nel passato più remoto e vale la pena di ricordare che da queste parti sorgeva la villa detta Comoedia fatta erigere da Plinio il giovane assieme ad un'altra residenza, la villa Tragedia, che si trovava sulla punta di Bellagio.

Poco dopo Tremezzo, in direzione di Como, la costiera del lago protende verso Sud-est un pronunciato promontorio che colpisce immediatamente l'occhio, in quanto appare completamente coperto dal bosco e privo di costruzioni in un territorio ove, ormai, ogni altro luogo appare abitato. Si tratta del Dosso di Lavedo, importante penisola che racchiude a Nord il golfo di Lenno e che cela, quasi invisibile, uno dei gioielli architettonici più belli di tutto il Lago di Como: la Villa del Balbianello.

Nata come abitazione della nobile famiglia dei Giovio, la villa del Balbianello fu acquistata, nel 1787, dal cardinale Angelo Maria Durini, che già possedeva Villa Balbiano nella vicina località di Balbiano. Il Cardinal Durini, dopo gli sfortunati tentativi di acquistare l'Isola Comacina, rivolse le sue attenzioni a quella penisola boscosa, sulla punta della quale poté finalmente realizzare il suo sogno di creare un luogo splendido e appartato ove ritirarsi di quando in quando a leggere, studiare, pensare e dissertare di lettere ed arti con pochi qualificati amici e lontano dai clamori domestici del Balbiano: per questo luogo di delizia scelse il nome di Balbianello.

Accolti dall'ospitale motto "Fay ce qui voudras" (Fate ciò che volete) inciso sul pavimento del portico al quale si accede dal porticciolo, gli ospiti salivano alla villa da una rapida scaletta a picco sul lago; ed è così ancora oggi, poiché l'accesso via acqua è tuttora quello principale. 

Quasi di fronte a Bellagio, la villa offre un colpo d'occhio di tale fascino che fu immortalato da schiere di pittori e incisori di vedute lariane. Il cardinale, attratto dall'incomparabile vista, fece costruire un elegante loggiato affiancato da due saloni, una biblioteca e la sala della musica. 

Alla morte del Cardinale, avvenuta nel 1797, la Villa appariva già costituita da due corpi quadrangolari comunicanti e da un elegantissimo loggiato che si pone come ponte ideale fra la biblioteca e il salotto adito alla musica.

La Villa quindi passò in eredità al patriota Luigi Porro Lambertenghi, nipote dei Durini, che trasformò la residenza 2il Balbianello" da luogo di meditazione ad impegnato ritrovo per massoni (fra i tanti ospitò anche Silvio Pellico).

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Il volontario esilio di Luigi in Belgio suggerì la vendita della proprietà all'amico Giuseppe Arconati Visconti che, insieme alla moglie Costanza Anna Luisa Trotti, resa la Villa un prestigioso salotto estivo frequentato da Berchet, Giusti e Manzoni. 

Gianmartino Arconati visconti, figlio di Giuseppe, arricchì Balbianello del parapetto in pietra, che delimita la terrazza, e della sua collezione di libri orientali. Il casato andavo però estinguendosi e la Villa venne abbandonata per trentanove lunghi anni prima che, nel 1919, venisse acquistata dal generale americano Butler Ames a cui si devono importanti restauri tesi a recuperare i preziosi arredi degli Arconati.

Alla morte del generale gli eredi vendettero il Balbianello a Guido Monzino, noto imprenditore milanese, colto collezionista e appassionato viaggiatore. La Villa venne nuovamente restaurata e trasformata in parte in museo privato ove Monzino raccolse con perizia e attenzione museografica i ricordi di viaggio, le rare collezioni d'arte e i cimeli delle più famose ed estreme spedizioni da lui compiute, come la conquista del Polo Nord nel 1971 e dell'Everest nel 1973.

L'11 Ottobre 1988, alla morte di Monzino, per suo volere testamentario la Villa, gli arredi e lo splendido giardino del dosso di Lavedo vennero lasciati in eredità al FAI con una dote che ne aiuta ancora la manutenzione.

Il complesso architettonico è disposto a gradinata seguendo il digradare della rocciosa punta fino alle acque del lago. La parte inferiore, dove si trovano l'imbarcadero ed il porticciolo, conserva il ricordo dell'antica chiesa di San Giovanni sul cui sagrato, ombreggiato da meravigliosi, imponenti platani, si affacciano i due campanili. Una serie di vialetti portano verso l'alto attraverso il magnifico giardino che la necessità di adattarsi alla conformazione ripida del promontorio ha reso unico nel suo genere. Si tratta di un vero capolavoro, studiato per esaltare e rendere ancor più magico il paesaggio circostante già di per sé notevole.

Grandi platani potati a candelabro accompagnano, alternati da antiche statue o da vecchi glicini, l'ospite che sale; laddove il sentiero si è dovuto scavare nella roccia che affiora, ghirlande di edera ingentiliscono le ruvide pareti di pietra. Lo spazio che la rocciosa punta della penisola offriva, a chi avesse voluto crearvi un giardino monumentale secondo i principi in voga a fine Settecento, era molto angusto; e la scarsità di terra che a volte si riduce a poche spanne sopra la roccia, creava notevoli problemi per l'inserimento di nuove piante. 

Non fu possibile, dunque, creare un giardino all'italiana, anche se numerose siepi di lauro e di bosso delimitano con geometrica precisione zone e tappeti erbosi. Ma non fu nemmeno possibile creare un giardino all'Inglese in quanto la natura del luogo, con ripe scoscese e troppi livelli diversi, non si prestava alla creazione degli elementi base propri di quello stile. Il giardino del Balbianello, dunque, è una cosa a sé, dove tutto è in funzione del lago e delle sue coste e dove nulla deve distogliere dallo spettacolo dell'acqua. Solo qualche grande pianta - lecci, canfore, magnolie e cipressi- molte azalee, giardini di roccia con bucaneve e ciclamini e i grandi spazi lacustri.

La salita termina sulla vasta spalla dove sorge forse la struttura più caratteristica della villa, autentica porta d'ingresso per ogni visitatore. Si tratta di una splendida loggia disposta parallelamente alla penisola in modo da poter ammirare contemporaneamente i due opposti paesaggi visibili da lassù. Ai lati si trovano due ambienti che Guido Monzino riservò al suo studio cartografico e alla sua biblioteca che contiene circa 4000 volumi dedicati all'esplorazione e all'alpinismo.

La sala del cartografo è ornata da numerose stampe con vedute lariane, alcune delle quali di grande rarità.

Poco sotto la loggia si accede al corpo abitativo della villa i cui spazi interni sono stati completamente ridisegnati dallo stesso Monzino. Ovunque stampe d'epoca aventi come soggetto principale il Lario ed i suoi paesaggi accompagnano il visitatore.

Gli interni della Villa, sviluppati su più piani, sono arredati con estrema armonia da mobilio inglese e francese del XVIII e XIX secolo, preziosi arazzi, tappeti orientali e lampadari italiani. 

In alcune stanze inoltre Monzino ha personalmente curato l'allestimento di vetrine in cui sono custoditi antichi e rari reperti della civiltà africana (come le maschere Dan e Dogon), azteca, della cultura Teothuacan, oltre a idoli cicladici in marmo pario, figure Maya in terracotta e ceramiche cinesi di epoca Tang e Ming.

Da notare è anche una delle più rare collezioni di dipinti su vetro (XVIII secolo, scuola veneta) che si possono ammirare nella stanza degli ospiti, nell'appartamento della madre dell'imprenditore e nel corridoio che porta al fumoir (il pavimento di questa sala venne abbassato di un metro per poter accogliere la boiserie settecentesca proveniente da un castello francese.

Nel sottotetto alcuni vani ospitano il museo privato di Monzino in cui sono esposte le attrezzature di viaggio utilizzate durante le sue spedizioni più estreme, fotografie, ricordi e alcuni fra i più rari cimeli di viaggio, tra i quali spicca la slitta che nel 1971 portò l'esploratore al Polo Nord

GUIDO MONZINO - Guido Monzino, figlio del fondatore della Standa, nacque a Milano nel 1928 e trascorse parte della sua giovinezza nella villa di famiglia a Moltrasio, impregnandosi delle luci e delle atmosfere lariane cui sarà sempre legato. Assunte le redini dell'azienda paterna ne divenne infine direttore generale assumendosi l'onere di una così grande responsabilità, ma affinando nel contempo le sue doti di abile manager che gli saranno utili anche nell'organizzare e guidare le sue 21 spedizioni alpinistiche ed esplorative compiute in ogni parte del globo.

Mosso da un romantico afflato di avventura e conoscenza Monzino riprendeva idealmente il filone delle grandi spedizioni che furono di S.A.R. il Duca degli Abruzzi. Nell'intento dell'imprenditore-esploratore non c'era solo lo stimolo alla conoscenza ma v'era anche il desiderio di riportare il tricolore italiano ai vertici dell'esplorazione. Esemplare in questo senso fu la sua richiesta al governo cileno di chiudere l'accesso all'area ove operava la sua spedizione alpinistica, area che era nelle mire anche degli scalatori britannici.

La passione di Guido Monzino per l'avventura nacque alla metà degli anni '50 del 1900, quando, in seguito ad una scommessa, egli scoprì la montagna ed il Monte Cervino. Sua guida in quell'occasione fu Achille Compagnoni fresco salitore del K2 la seconda vetta del globo. Ricorda la celebre guida che la notte precedente l'arrivo in vetta il giovane milanese non riuscì a prendere sonno, restando tutto il tempo alla finestra immerso nei suoi sogni e rapito dalla grandiosa magia del paesaggio. Fu un amore a prima vista con questa cima e con le guide di Valtournenche che, da allora, Monzino volle sempre con sé in ogni sua spedizione. Dai deserti di sabbia a quelli di ghiaccio, dalle vette più elevate alle latitudini estreme, Monzino si spinse ovunque ci fosse terra da esplorare. Tutte le sue spedizioni recano l'impronta dell'organizzatore che con estrema pignoleria teneva a non lasciare nulla al caso studiando di persona problemi di logistica e di equipaggiamento. Monzino era un po' come un ammiraglio o un generale sotto la cui guida tutto doveva filare per il meglio e senza badare mezzi al conseguimento del risultato e alla sicurezza degli uomini. Legato ad un modo ormai superato di gestire le spedizioni extraeuropee Guido Monzino non incontrò mai eccessivi consensi presso il mondo alpinistico d'elite. Gli si rimproverava l'eccessivo dispendio di mezzi che, facendo mancare parte dell'incertezza nel raggiungimento della meta, era giudicato poco sportivo.

Fra le 21 spedizioni Monzino merita un particolare cenno quella verso il Polo Nord, condotta utilizzando strumenti, attrezzature ed abbigliamento tipici degli eschimesi. Il Polo Nord fu raggiunto a prezzo di notevoli sforzi dopo 71 giorni di viaggio. Anche in questo caso, però l'abbondanza di mezzi fu esemplare: 300 cani da slitta, 25 slitte, tonnellate di viveri e materiali.

L'apoteosi di questo stile fu però espressa dalla spedizione italiana all'Everest del 1973, condotta senza risparmio di tempo e di denaro, con stile e mezzi militari, fra cui aerei ed elicotteri.

L'anno successivo Monzino acquistava la Villa del Balbianello con l'intenzione di crearvi, oltre che la propria dimora, anche un centro di documentazione alpinistica ed esplorativa.

Prima di morire prematuramente nel 1988, con lo spirito patriottico e magnanimo che l'aveva sempre guidato, Guido Monzino donò la Villa del Balbianello con l'annesso territorio del Dosso di Lavedo al Fondo per l'Ambiente Italiano che, attualmente, ne è il custode e valorizzatore.

Oltre a questo importante lascito, Guido Monzino si dedicò sempre, anche quando era in vita, ad opere filantropiche e di sostegno per le popolazioni del terzo mondo.

La visita agli interni della Villa del Balbianello sarà un modo di conoscere meglio questa singolare figura di uomo, idealista ed appassionato.

Tutto ci parla di lui e della sua indole, dei suoi gusti raffinati, ma traspare anche un carattere che amava avere tutto sotto controllo e rigidamente etichettato pronto all'uso del suo padrone. 

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VILLA D’ESTE

La villa fu eretta nel 1568 dal cardinale Tolomeo Gallio su disegno di Pellegrino Tibaldi, detto il Pellegrini e a fine Settecento fu acquistata dal marchese Bartolomeo Calderara per la moglie Vittoria Peluso. Nel 1815 fu rilevata da Carolina di Brunswick, principessa di Galles e moglie, poi ripudiata, del futuro re Giorgio IV d’Inghilterra; fu lei a chiamare “Nuova Villa d’Este” la proprietà. Nel 1856 venne costruita una nuova villa nel parco che fu chiamata “Hotel de la Reine d’Angleterre” e divenne per la prima volta Hotel. Dal 1868 al 1870 qui ha soggiornato la zarina Maria Fedorowna, affascinata dalla dimora e dal paesaggio lacustre. Infine, nel 1873, Villa d’Este è stata riaperta come hotel di lusso, oggi tra i più rinomati del mondo.
Nel tempo il giardino ha in parte perso l’impostazione cinquecentesca; rimane come testimonianza il celebre ninfeo, decorato a mosaico con ciottoli policromi, che ha la grandiosità scenografica del barocco romano: fa da ingresso e da base alla doppia catena d’acqua che percorre la prospettiva fino alla statua di Ercole e Lica. L’ultimo intervento paesaggistico importante è stato quello della contessa Peluso, che fece realizzare nella zona alta, ad est del viale di cipressi, un complesso di mura e finti fortilizi calato in un parco all’inglese con sentieri, ponti e boscaglie.
I comparti del giardino inferiore sono costituiti da vasti prati delimitati da bossi scolpiti a palla o dado, mentre nei pressi dell’ex edificio idroterapico prosperano abeti rossi, magnolie, cipressi e un grande platano. La zona del ninfeo è caratterizzata da bossi, rose, pittosfori e edera. Il viale che accompagna la catena d’acqua, un tempo cinto da Cupressus sempervirens, è oggi fiancheggiato da allori, magnolie e cipressi.

 

 

 

VILLA MONASTERO - VARENNA

Villa Monastero rappresenta oggi, sulle sponde del Lago di Como, uno degli esempi più interessanti di residenza in stile eclettico in cui gli interventi succedutisi tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo hanno aggiunto elementi funzionali e decorativi senza distruggere le tracce delle vicende precedenti dell'edificio, così da ottenere una villa con giardino di grande impatto scenografico e valore simbolico. Villa Monastero nasce infatti dalla continua ristrutturazione dell'antico monastero cistercense femminile di Santa Maria, la cui prima citazione documentaria certa risale al 1208. E' probabile che la sua fondazione sia da mettere in relazione con gli insediamenti religiosi della sponda opposta del lago: con il monastero dei SS. Faustino e Giovita sull'Isola Comacina, da cui provenivano i profughi del 1169. Nel 1566, per decisione dell'arcivescovo Carlo Borromeo, le ultime sei monache ancora residenti a Varenna vennero trasferite in un monastero cistercense a Lecco. Nel 1569, quindi, gli edifici monastici vennero venduti a Paolo Mornico. Della chiesa più antica rimane oggi l'impianto generale, coincidente con l'aula Fermi. L'unica sopravvivenza delle decorazioni è una piccola Pietà affrescata, di gusto popolaresco e di epoca tardo gotica, inserita nello squarcio di una finestra. L'ancona rinascimentale, che era sull'altare maggiore, è oggi conservata nella cappella sinistra della chiesa parrocchiale di S. Giorgio. I fabbricati del monastero rimasero di proprietà dei Mornico dal 1569 al 1862 e durante questi tre secoli molte furono le ristrutturazioni funzionali. Ad una prima fase dei lavori si possono riferire sia la facciata della villa che le due grandi sale al piano terra, dette sala Rossa e sala Nera. Nel frattempo veniva riadattata anche la chiesa, la cui principale opera decorativa, la grande ancona intagliata da Giovanni Pietro Capiamo nel 1680-1682, è oggi collocata nell'oratorio della Madonna delle Grazie, presso la chiesa parrocchiale. Di epoca seicentesca è anche un incorniciatura lignea intagliata di una porta dell'aula Fermi. Dalla seconda metà dell'Ottocento, la villa cominciò a subire una serie di trasformazioni ad opera dei successivi proprietari (Genazzini, Maumary Seufferheld, Kees, De Marchi) che la portarono alla sua attuale veste eclettica. Anche il giardino venne arricchito di piante mediterranee e tropicali. Di particolare interesse è lo scalone, scenograficamente realizzato con l'utilizzo di marmi policromi, ceramiche, stucchi; anche il bagno detto "pompeiano" o "di re Faruk", è un singolare documento di questo gusto. Nel 1918 la proprietà fu confiscata e passò all' "Opera Nazionale Combattenti"; venne poi venduta al dott. Marco De Marchi il quale in seguito la lasciò in donazione all'Istituto Italiano di Idrobiologia "Marco De Marchi". Umanisti, storici, artisti e scienziati di fama internazionale, tra i quali anche il premio Nobel Enrico Fermi, cui è dedicata una targa commemorativa, onorano della loro presenza Villa Monastero dal 1953 quando, per meritoria iniziativa del prof. Polvani, Presidente della Società Italiana di Fisica, e dell'Avv. Bosisio, Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Como, questa prestigiosa dimora divenne sede di convegni e centro studi di elevato livello. Dal 1977 il compendio immobiliare è di proprietà del C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche). A partire dal 1996 la nuova Provincia di Lecco è subentrata nel servizio culturale qualificato in ambito congressuale, stipulando con il C.N.R. un accordo di comodato e costituendo l'Istituzione "Villa Monastero". La Provincia di Lecco cura le opere di restauro conservativo e di consolidamento statico per rinnovare e rendere più funzionale il complesso nel rispetto delle sue caratteristiche architettoniche, intervenendo complessivamente anche grazie a munifici contributi della Fondazione Cariplo.

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Villa Monastero si trova a Varenna sulla strada verso Fiumelatte. La villa si è sviluppata sull'antico monastero cistercense femminiledi S.Maria, fondato probabilmente prima del 1200 da un gruppo di religiose scappate dall'Isola Comacina dopo che l'isola fu distrutta dai Comaschi.

Con il decreto del Papa Pius V, datato 13 Febbraio 1567, il convento fu soppresso; i fabbricati e i suoi terreni furono acquistati nel 1569 dalla nobile famiglia Mornico da Cortenova in Valsassina.
Nel 1645 Lelio Mornico trasformò completamente il vecchio convento in una villa di grande pregio e signorilità. Nel 1800 ebbe diversi proprietari e nella seconda metà dall'ottocento la villa subi' grandiosi restauri. Alla fine dell' ottocento subentrò il tedesco W.E.J.Kees; egli contribui' ad arricchire il giardino con elementi architettonici decorativi e con numerose essenze esotiche, soprattutto dall' Estremo Oriente , secondo il gusto dell'epoca. Confiscata nel 1918, fi acquistata nel 1925 dal Dr. Marco de Marchi che la donò allo Stato.; nel 1977 passò definitivamente al C.N.R. (consiglio nazionale delle ricerche ). Dal 1953 è un centro convegni a livello internazionale e dal 1996 è gestito dalla provincia di Lecco tramite l'istituzione "Villa Monastero". Il parco che costeggia il lago è lungo piu' di un chilometro: fioritissime aiuole disposte lungo i vialetti che degradano verso il lago, gli alti cipressi, le fiorenti palme e le altre piante esotiche, danno vita al centro di un leggiadro giardino, incastonato nell'incantevole scenario del centro lario. Si consiglia anche la visita di Villa Cipressi, costruita principalmente dal 1400 al 1800, che si trova proprio a fianco della Villa Monastero.

 

 

 

 

 

VILLA TARANTO - PALLANZA

L'origine dei giardini botanici di Villa Taranto, che sorgono in Pallanza su un'area di 16 ettari, sulle falde settentrionali del promontorio della Castagnola, risale al 1931, quando il Cap. Neil McEacharl ne acquistò la proprietà con lo scopo di farne uno dei complessi botanici fra i migliori del mondo. Con un lavoro paziente, metodico ed assiduo, questo gentil uomo scozzese, arciere della regina di Inghilterra ed Accademico Linneano attuò nel tempo il suo vasto disegno, tramutando la disordinata massa boschiva in un tracciato dal morbido respiro, ricco di suggestivi ed imprevisti scenari lungo i 7 km di viali. Molte migliaia di piante, importate da ogni parte del mondo, e collezioni rarissime, alcune delle quali uniche in Europa ed acclimatate dopo lungo lavoro, sono state disposte con senso d'arte in una cornice di bellezza, fra lago e monti. Tra le opere più significative: la “valletta”, realizzata dopo imponenti lavori di scavo; l'impianto di irrigazione, la cui acqua viene pompata direttamente dal Lago in un capace serbatoio e quindi deradiata in ogni angolo della proprietà; i “Giardini terrazzati”, con cascatelle, piscina, vasche per Ninfee e Fiori di Loto; il “Giardino d'inverno” ed il “Giardino palustre”. Fontane ornamentali e giochi d'acqua. Realizzato così il suo giardino, che chiamò Villa Taranto, in memoria di un suo antenato, il maresciallo Mc Donald, creato Duca di Taranto da Napoleone, il capitano volle che il significato dell'opera gentile poderosa venisse proiettato nel tempo e, con un esempio di squisita generosità, donò la proprietà allo Stato Italiano esprimendo il desiderio che la sua opera avesse continuità nel futuro. La Villa, non visitabile, è adibita a sede di rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri per convegni ed incontri ad alto livello .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La costruzione del duomo di Como ebbe inizio nel 1396 nel luogo dove sorgeva l’antica basilica romanica di Santa Maria Maggiore. La costruzione terminò nel 1740 con l'ultimazione della cupola di Filippo Juvara, importante esempio di rococò in Italia. Le dimensioni del Duomo sono: lunghezza 87 metri – larghezza 36 – 56 metri altezza cupola 75 metri. L'interno, a croce latina, ha carattere gotico nelle tre navate su pilastri e rinascimentale nel transetto sormontato dalla cupola. Il duomo custodisce arazzi del XVI e XVII secolo eseguiti a Ferrara, Firenze e Anversa e dipinti cinquecenteschi di Bernardino Luini e di Gaudenzio Ferrari.

[modifica] La facciata

La facciata, realizzata tra il 1447 e il 1498, raggiunge i 45 metri ed è caratterizzata dall’ampio portale marmoreo e dal rosone completato nel 1486. È in stile gotico-rinascimentale La realizzazione è dovuta a Fiorino da Bontà, a Luchino Scarabota, ad Amunzio da Lurago e a Tommaso Rodari. Il portale maggiore è affiancato da due edicole con le statue di Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane.

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La chiara architettura della Cattedrale sovrasta il centro storico di Como e con eleganza si impone alla vista di chi giunge in città. Non lontana dalla riva del lago, in vicinanza dell’antico Vescovado che era affacciato su una graziosa darsena, resta un forte segno religioso e storico; memoria di quel periodo in cui Como, tramite la via di comunicazione del Lario, era città di collegamento tra il Nord dell’Europa e l’Italia.

Il Duomo è giustamente ritenuto un’opera tra le più ragguardevoli in Alta Italia. S’impone per la sua mole (lunghezza 87 m. – larghezza 36 – 56 m. Altezza cupola 75 m. ). L’architettura, le sculture e le pitture documentano un fecondo incontro e scambio tra culture figurative transalpine e scuole italiane.

Sorto su un’area resa gradualmente libera con la demolizione di parte del Broletto e del Palazzo Pretorio, crebbe con l’apporto di un paziente lavoro cui posero mano, avvicendandosi nel tempo, insigni architetti e scultori. L’inizio dei lavori risale al 1396, e trascende il primitivo piano di semplice restauro della vetusta Cattedrale di S. Maria Maggiore ( sec. XI ). Il compimento architettonico è del 1770 con l’elevazione della cupola disegnata da F. Juvara.

Il risultato offre un edificio articolato e complesso, per la fusione dei volumi in uno spazio armonico e di concezioni stilistiche diverse. Eppure la continuità della costruzione lungo i secoli ( nel 1400 vengono utilizzate la facciata e le navate gotiche, nel ‘500 il presbiterio e le absidi laterali) ha custodito un’armonia che di epoca in epoca è stata rinnovata, collegando il tracciato della parti nuove alle proporzioni definite nell’epoca precedente.

La imponente facciata del Duomo (la guglia centrale attinge 45 m.), è caratterizzata dall’ampio portale marmoreo, dalle nicchie e dalle statue che la sovrastano, dal rosone e dalle lunghe finestre che lo fiancheggiano. La realizzazione è dovuta a Fiorino da Bontà, a Luchino Scarabota, ad Amunzio da Lurago e a Tommaso Rodari. Ricchissimi i portali del fianco destro e del fianco sinistro, dove è famosa la porta "della rana”.

La parte gotica dell’interno, slanciata ed elegante, è costituita dalla navata mediana ( che ospita il Battistero di Leonardo da Carona del XVI sec. e nove arazzi rinascimentali delle officine ducali di Ferrara, Firenze, e delle Fiandre) affiancata dalle navate destra e sinistra (ove pure sono collocati cimeli romanici, opere scultoree di T. Rodari, tele di G. Ferrari e di B. Luini).

Colpito da un fulmine nel novembre 1990, il Duomo di Como è stato oggetto di una vasta campagna di restauri, finalizzati alla valorizzazione dell’intero complesso. Negli studi pubblicati in occasione del sesto Centenario della fondazione della Cattedrale è stato messa in particolare luce la magia delle proporzioni geometriche e quindi l’intrinseca armonia degli spazi rimaste inalterate nei secoli.

A causa del felice esito dei vari apporti, e dei differenti artefici della cattedrale, già l’architetto Federico Frigerio, comasco, conoscitore e benefattore del Duomo, aveva icasticamente e con ragione parlato de il "nostro armonioso ibrido". Tale complessità può essere paragonata a quella di un poema sinfonico, che riprende e colora mediante impasti timbricoritmici e cadenze diverse, un dinamico programma melodico entro una affascinante e unitaria armonia.

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La costruzione del Duomo di Como iniziò nel 1396 e doveva sostituire l’antica chiesa di Santa Maria Maggiore; questa non venne però demolita subito ma solo nel 1497, quando il nuovo edificio raggiunse una piena funzionalità. Lorenzo degli Spazzi, artista che lavorava come ingegnere nella Fabbrica del Duomo di Milano, fu il primo ingegnere del Duomo comasco ma numerosi artisti si susseguirono alla guida del cantiere fino a quando, nel 1487, la responsabilità venne affidata a Tommaso Rodari che la mantenne fino al 1526, anno della morte.
Nato a Maroggia, vicino a Campione, si formò come scultore nella bottega di Giovanni Antonio Amadeo e lasciò una precisa impronta sia nella composizione architettonica sia nella definizione scultorea del Duomo di Como.

La nuova cattedrale venne eretta a fasi alterne e discontinue legate agli avvenimenti politici e civili della città. Dopo l’esecuzione delle opere strutturali, nel 1457 si iniziò la costruzione della facciata che venne terminata nel 1486.

Negli anni successivi due momenti particolari sollecitarono ampi dibattiti il primo si riferisce alla costruzione dell’abside: quando nel 1513 si cominciarono a posare le fondamenta della parte posteriore su un progetto dello stesso Rodari, i responsabili della fabbrica, forse non pienamente soddisfatti della soluzione, invitarono Cristoforo Solari (1480-1527) a proporne una nuova che venne poi adottata. L’altro momento particolare si visse in occasione della costruzione della cupola: dopo vari progetti, nel 1730 l’incarico fu affidato a Filippo Juvarra (1678-1736) che in quegli anni lavorava a Torino e che dopo una prima soluzione rifiutata elaborò quella definitiva che venne portata a compimento in otto anni di lavoro.

Osservando l’edificio dall’esterno colpisce la convivenza di due momenti storici: alla prima impostazione ancora di stampo gotico lentamente si sovrappone una veste classica di stampo rinascimentale. L’edificio si apre all’esterno con cinque bellissimi portali sormontati da lunette che, partendo dal fianco settentrionale, raccontano ognuna un episodio del Vangelo. Dei vari portali, di particolare importanza è quello meridionale che ospita un bassorilievo raffigurante la “Fuga in Egitto” che è stato attribuito a Donato Bramante. La lunetta del portale centrale racconta l'"Adorazione dei Magi" con una particolare sensibilità e attenzione all’aspetto narrativo. Ai lati del portale due grandi statue, nelle loro edicole, rappresentano Plinio il Giovane e Plinio il Vecchio personaggi comaschi particolarmente ammirati.

Entrando nel Duomo si è immediatamente colpiti dalle vetrate artistiche alle quali lavorarono molto i componenti della famiglia Bertini che nella seconda metà dell’Ottocento eseguì numerosissime opere anche per il Duomo di Milano, di Monza, di Arezzo e per altre cattedrali.
I due finestroni centrali della facciata, eseguiti nel 1849 sono di particolare bellezza e sono realizzati con una tecnica particolare: non sono costituiti da tessere di vetro monocromatico assemblate a mosaico ma sono pitture su vetro.
Differente è invece la vetrata del rosone risalente al 1488 realizzata con vetri in pasta di vari colori.  

Molte sono le opere artistiche custodite all’interno del Duomo: nella navata minore destra, vicino all’ingresso sull’altare di Sant’Ambrogio è collocato un polittico marmoreo datato 1482 e recentemente restaurato. Nella campata successiva si trova un’altra importante opera in marmo eseguita da Tommaso Rodari nel 1492: la pala dell’altare di Santa Lucia; nella stessa navata, è collocata anche l’icona dell’altare di Sant’Abbondio, un grandioso polittico in legno dorato eseguito nel 1514 da un autore ignoto che ospita due dipinti a tempera di Bernardino Luini e Gaudenzio Ferrari raffiguranti l’”Adorazione dei Magi” e la “Fuga in Egitto”.

Proseguendo la visita, nella campata successiva, si trova un’altra opera del Luini: una pala eseguita intorno al 1520 e raffigurante la Vergine col Bambino circondata da quattro santi.

Passando nella navata minore di sinistra si può ammirare una preziosa opera del Rodari risalente al 1493: l’Altare di Santa Apollonia.

La visita al Duomo deve sicuramente anche comprendere la Sagrestia dei Mansionari dove il Morazzone (1537-1626) ha lasciato una delle sue più apprezzate opere: l’affresco della volta raffigurante l’"Incoronazione della Vergine", eseguito nel 1612.