|
Sulla costa occidentale del
lago di Como sorge la frazione di
Borgovico, dove già nel
Rinascimento vennero costruite
dimore suburbane e dove, al finire
del 700 e all'inizio dell'800, gli
architetti più prestigiosi diedero
vita a palazzi e ville circondate da
splendidi giardini. Ninfei, parchi e
tempietti ornavano gli edifici
dedicati a residenza di famiglie
patrizie sia italiane che straniere.
Gli appezzamenti di terreno
circondanti il lago, che in
precedenza erano utilizzati a fini
agricoli, vennero acquistati da
importanti famiglie come i
Parravicini e i Della Porta o da
discendenti da vescovi come i Gallia
.
Villa Scacchi, Villa Saporiti,
Villa Parravicini, Villa dell'Olmo,
Villa Gallia, Villa Salazar sono
solo alcune delle magnifiche ville
accomunate tutte dallo stile
neoclassico e dagli immensi e
curatissimi giardini adiacenti.
Esternamente presentano
facciate intercalate da colonne con
capitelli ionici come nella villa
della Rotonda o ingressi e finestre
sovrastati da timpani come nella
Villa Parravicini; parti
tondeggianti e bassorilievi
raffiguranti allegorie classiche,
ampi terrazzi a colonnati come nella
Villa Scacchi.
Internamente
sono caratterizzate da ampi e
luminosi saloni e pavimenti di marmi
policromi come nella Villa Gallia;
pregevolissimi gli stucchi in bianco
e oro ammirabili nella Villa
Saporiti, dove non si può non
citare uno degli ospiti più
illustri: Napoleone.
I
palazzi di incantevole rigore e di
prorompente possanza sono nei secoli stati acquistati da più famiglie. Oggi la maggior parte di
loro sono di proprietà del comune
di Como o dell'Amministrazione
Provinciale e vengono spesse
utilizzati per mostre, esposizioni o
congressi.
Villa
Olmo - Como

La
costruzione della villa venne
commissionata dal marchese Innocenzo
Odescalchi al grande architetto
neoclassico Simone Cantoni,
originario del paese di Muggio,
nella omonima valle presso Mendrisio.
Egli aveva consolidato una grande
esperienza realizzando Palazzo
Serbelloni (1775), in Corso di Porta
Venezia a Milano e la
ristrutturazione del Palazzo Ducale
di Genova.
L'edificio
era destinato a residenza estiva,
per i marchesi. E, infatti,
l'imponente edificio neoclassico, è
completato da un ampio giardino
affacciato sul lago, largamente
risistemato dal successivo
proprietario, il marchese Raimondi.
Deve il suo nome ad un magnifico
olmo, allora più che centenario,
oggi non più esistente.
I
lavori ebbero inizio nel 1797, sulla
base di un nuovo progetto, che
rielaborava uno precedente opera del
ticinese Innocenzo Regazzoni.
Cantoni chiamò presso di sé sul
cantiere Domenico, Carlo, Luca e
Giuseppe Pozzi e lo scultore
Francesco Carabelli. Il marchese vi
ospitò, fra gli altri, nel 1797 il
generale Buonaparte, nel 1808 Ugo
Foscolo.
Nel
1824, con la morte del marchese, la
dimora passò, per eredità, al
marchese Giorgio Raimondi, che vi
accolse, per ben tre volte, la
visita degli imperatori d’Austria
(Francesco II nel 1816 e nel 1826,
Ferdinando I nel 1838), accolti con
grandi onori. Oltre alla regina
delle due Sicilie e la regina di
Sardegna. Successivamente, il
marchese ebbe un ruolo rilevante
nelle insurrezioni del 1848-49, si
esiliò in Ticino e la villa venne
requisita. Nel 1859 vi soggiornò
Garibaldi, che sposò la figlia del
marchese, Giuseppina.
Nel
1883 la villa venne ceduta al duca
Guido Visconti di Vimodrone. I duchi
affidarono all'architetto Emilio
Alemagna l'abbattimento delle
scuderie e di un portico, l'apertura
di due balconate, il rifacimento
degli stucchi del pian terreno, la
sistemazione del parco e la
costruzione di un piccolo teatro.
Nel
1924 venne acquisita dal Comune di
Como, che vi ha ospitato, negli
anni, l'Esposizione Internazionale
per il centenario della morte di
Alessandro Volta, numerosi
congressi, spettacoli, mostre
d'arte. Dal 1982 è sede del Centro
Volta, che vi organizza le sue
manifestazioni internazionali.
Villa
Melzi - Bellagio

Tra
le numerose meraviglie del lago di
Como, spiccano i giardini
all’inglese di Villa Melzi che
accarezzano il lungolago inserendosi
armoniosamente nel quadro collinare
della penisola di Bellagio, la perla
del Lario. La villa, la cappella e
la serra degli aranci, oggi
allestita a padiglione museo, sono
una splendida espressione di stile
neoclassico arricchite dallo slancio
naturale del giardino, che pulsa dei
primi sentori dello spirito esotico
e creativo tipicamente romantico.
Il
progetto del giardino infatti venne
realizzato dal Villoresi, il quale
organizzò l’impianto scenografico
per punti prospettici, privilegiando
ora la visuale del lago, ora
l’ispirazione intima del laghetto
giapponese o della passeggiata nel
bosco.
Il
complesso architettonico venne
costruito tra il 1808 ed il 1810
dall’architetto Giocondo
Albertolli su commissione di
Francesco Melzi d’Eril nominato
Duca di Lodi da Napoleone in persona
per il quale ricoprì la carica di
vicepresidente della Repubblica
Italiana e successivamente quella di
cancelliere dell’Impero.
Dimora
del Melzi dopo la sua carriera
politica e sua residenza estiva fino
alla morte, la costruzione venne
decorata ed arredata da noti artisti
dell’epoca: l’Appiani ed il
Bossi pittori, il Canova ed il
Comolli scultori, il Manfredini
bronzista. Il parco è impreziosito
di pietra, monumenti e curiosi
cimeli tra i quali colpisce una
gondola veneziana trasportata a
Bellagio per il volere di Napoleone
in persona ed un’imbarcazione
utilizzata da Mario Soldati durante
le riprese del film Piccolo Mondo
Antico girato negli anni quaranta.
Molti
furono gli illustri ospiti che
soggiornarono alla villa: anzitutto
l’amico vice Re Eugenio
Beauharnais e la sua consorte
Augusta, poi l’imperatore e
l’Imperatrice d’Austria
Ferdinando primo e Marianna nel 1838
accompagnati dal principe di
Metternich e l’imperatrice di
Russia Maria Feodorowna. Dimorò
pure in questo luogo il celebre
esploratore Stanley e nel 1974 vi si
tenne la conferenza Rumor –
Schmidt.
 Nel
giardino, ricchissimo di piante rare
esotiche, si avvicendano con alberi
secolari, siepi di camelie e boschi
di azalee e rododendri giganti,
pietre e monumenti di significato
storico e artistico. A metà
passeggiata tra colori e profumi
inebrianti, un chiosco in stile
moresco con magnifica veduta sul
lago conserva i busti degli
Imperatori d’Austria, Ferdinando I
e consorte, e del duca Lodovico
Melzi con la consorte Josephine
Melzi Barbò, ultimi discendenti
della Casata Melzi.
Proprio
di rimpetto al chiostro si trova il
monumento a Dante e Beatrice del
Comolli che ha ispirato il Liszt.
Procedendo all’ombra dei platani
tagliati ad ombrello, si giunge al
grande terrazzo antistante la villa:
da questo punto è possibile
ammirare il paesaggio del centro
lago e l’armonia e la sobrietà
della costruzione alla quale si
accede tramite una scenografica
scalinata ad emiciclo.
Quattro
austeri leoni definiscono lo spazio
della costruzione sui lati del
terrazzo, mentre due statue in marmo
raffiguranti Apollo e Meleagro ne
addolciscono la linea. Tre busti
neoclassici, di cui quello centrale
raffigura l’Alfieri, adornano il
lato sud della villa, a suo tempo
collegata da una passerella con il
terrazzo antistante la serra degli
aranci situata a nord della villa. 
L’aranciera
oggi è un padiglione indipendente
aperto al pubblico adibito a museo e
contiene reliquie storiche
provenienti dalla prima campagna di
Napoleone in Italia e reperti
archeologici provenienti dalla
collezione dell’Altichiero, tra i
quali sarcofagi antichi e busti
romani rappresentanti esponenti
patrizi.
La
cappella, sul limite del giardino a
fianco dell’approdo turistico di
Loppia è un notevole esemplare di
tempo neoclassico decorato
all’interno con stucchi e dipinti
del Bossi, arricchito dai candelieri
cesellati del Manfredini. Questa
venne costruita tra il 1815 ed il
1820 sempre sui disegni
dell’architetto Albertolli nel
rispetto dello stile direttorio,
(come la stessa villa) ovvero
l’ultima fase purista a cavallo
tra stile neoclassico e
pre-romanticismo dove si vanno
aborrendo tutti i fronzoli ed i
particolari pomposi a vantaggio
della linea pura e delle regole
classiche. La cappella ricalca le
sembianze di un tempietto, a pianta
centrale con cupola e senza
campanile. Ivi si trovano i
monumenti funebri di Francesco Melzi
realizzato dal Nesti, del nipote
Giovanni Melzi del Benzoni e di
Lodovico Melzi ad opera del Vela,
disposti sui lati della chiesa a
croce greca. In particolare: nella
sagrestia di destra le tombe della
famiglia Melzi, a sinistra la
cappella dei famigliari dei
Gallarati Scotti, succeduti per
eredità ai Melzi, con il Duca
Tommaso Gallarati Scotti, la
duchessa Aurelia Gallarati Scotti e
la contessa Virginia Gallarati
Scotti. La grande scritta sulla
tomba di Tommaso Gallarati Scotti è
di Cesare Angelici. L’altare ed il
levigatissimo Cristo in marmo bianco
sono del Comolli. Appoggiata alla
parete esterna nord esterna, la
porta dell’antica casa Melzi di
Milano, attribuita al Bramante, con
una lapide di famiglia. Dirimpetto
al portale un fregio in pietra del
1200 che porta i simboli dei quattro
evangelisti. La cappella è
tutt’ora consacrata e visitabile
al termine del percorso botanico
durante gli orari di apertura del
parco.
La
dimora ed il giardino, oggi
monumento nazionale nell'insieme,
sono tuttora di proprieta' privata
ma in parte accessibili al pubblico.
Villa
Serbelloni - Bellagio
La Villa Serbelloni si
estende sul promontorio di Bellagio
dove, secondo la tradizione, Plinio
il giovane possedeva la villa
chiamata “Tragedia”; nel
medesimo luogo sorse nel Medioevo un
castello, demolito da Galeazzo
Visconti nel XIV secolo.
L’edificio
originario risale alla fine del
Quattrocento, quando l’economia
locale si basava sulla pesca e sulla
coltivazione della vite e
dell’ulivo.
Edificata per volere del Marchesino
Stanga, fu ampliata e rifatta nel
secolo successivo dagli Sfondrati.
La villa rimase a loro fino al 1788,
venne ereditata dalla famiglia
Serbelloni che, ai tempi loro, era
ricchissima e potente.
Bellagio - Villa Serbelloni.
La villa Serbelloni ha una storia
antichissima, già di proprietà
della famiglia Sfondrati nel 1533,
passò di proprietà al conte
Alessandro Serbelloni che vi si
dedicò anima e corpo. L' aspetto
esterno, ampio ma di linee semplici,
non fu modificato; l'interno fu
accuratamente decorato, dai soffitti
a volta e a cassettoni, ai quadri e
oggetti d'arte. Il duca
Serbelloni, tuttavia più che
della villa si interessò del
immenso parco, spendendo cifre
esorbitanti, fece costruire piste
carrozzabili, viali, sentieri per
un' estensione di circa 18 KM.
Il duca morì a Bellagio, nel
1826, la villa passò in mano ai
suoi figli, Giovan Battista e
Ferdinando, cadde in progressivo
disuso dopo la scomparsa di questi
ultimi e gli eredi, a partire dal
1870 affittarono la proprietà ad Antonio
Mella che ne fece una dipendenza
dell' Albergo de la Grande Bretagne;
infine nel 1907 la vendettero ad una
socità svizzera che ne fece
L'Albergo Serbelloni.
L'albergo venne comprato dalla
principessa Ella Walker che
la lasciò nel 1959 in eredità alla
fondazione Rockefeller. Oggi la
villa è adibita a luogo di
soggiorno e di incontro per
studiosi.
Numerosi furono gli ospiti illustri
che soggiornarono nella villa,
possiamo ricordare quando ancora era
propietà degli Sfonderati
:l'Imperatore Massimiliano I,
Leonardo da Vinci, Lodovico il Moro,
Bianca Sforza, il cardinale
Borromeo.
Nell'ottocento la schiera degli
ospiti è impressionante: Pellico,
Moroncelli, l'Imperatore FrancescoI,
la regina Vittoria, il kaiser
Guglielmo, Umberto I; scrittori come
il Manzoni, Grossi, Pindemonte.
----------
VILLA CARLOTTA -
TREMEZZO
Villa Carlotta
sorge su una collina morenica, sulla
sponda occidentale del lago di
Como.Fu costruita nel 1690 circa dal
banchiere milanese marchese Giorgio
Clerici, passò nel 1795 al marchese
Giambattista Sommariva, imprenditore
napoleonico, e dagli eredi di
questo, per breve tempo, alla
famiglia Rubini, che nel 1843 la
cedette alla principessa Marianna di
Nassau, moglie di Alberto di
Prussia; quest'ultima la donò alla
figlia Carlotta in occasione delle
sue nozze con Giorgio principe
ereditario di Sassonia-Meiningen (da
qui il nome della villa). Lo Stato
Italiano, proprietario dal 1927, ne
ha affidato la gestione all'Ente
Villa Carlotta che ne ha, con
assidua cura, arricchito il
patrimonio artistico e botanico. I
giardini, famosi per la fioritura
primaverile dei rododendri e delle
azalee in oltre 150 varietà, devono
la fertilità del terreno al
deposito, da parte di antichissimi
ghiacciai, di un sedimento
particolarmente acido e privo di
calcare. Il giardino è apprezzato
per le siepi di camelie, i pergolati
di agrumi, le collezioni di felci
arboree.
---------
Villa Carlotta
sorge su una collina morenica, sulla
sponda occidentale del Lago di Como,
ad un'altitudine di 201 metri sul
livello del mare e occupa una
superficie di 70.000 metri quadrati.
La costruzione della villa venne
iniziata nel 1690 circa dal
banchiere milanese marchese Giorgio
Clerici e nel 1795 passò in
proprietà del marchese Giambattista
Sommmariva, imprenditore
napoleonico; dagli eredi di
quest'ultimo la villa passò in
proprietà, per breve tempo, alla
famiglia Rubini, che nel 1843 la
vendette alla principessa Marianna
di Nassau, moglie di Alberto di
Prussia, il quale ne fece dono alla
figlia Carlotta in occasione delle
sue nozze con Giorgio principe
ereditario di Sassonia-Meiningen:
donde il nome "Villa
Carlotta". Con il marchese
Sommariva Villa Carlotta raggiunse
il suo massimo splendore,
arricchendosi di molte ed insigni
opere d'arte (in parte andate
disperse dopo la sua morte) e fu
sede di grandiose feste.
Appartengono invece al periodo
Clerici i bellissimi soffitti
dipinti con "passa sotto"
di stile barocco lombardo del
secondo piano e il giardino
all'italiana con le scale, le
balaustre e la fontana, nonché la
cascata dei nani. Spetta infine ai
Sassonia-Meiningen il merito della
formazione e dello sviluppo del
giardino paesaggistico assurto a
fama internazionale. Tra le
principali opere d'arte custodite
nella villa ricordiamo la Giulietta
e Romeo di Hayez, di cui si
conservano anche i bozzetti e un
nudo, i frammenti degli affreschi
dell'Appiani raffiguranti l'Apoteosi
di Napoleone e provenienti dal
Palazzo Reale di Milano dopo il
bombardamento, le pitture monocrome
di soggetto classico del medesimo
autore, il camino marmoreo del
Thorvaldsen e infine alcune sculture
realizzate nel laboratorio del
Canova, tra cui Amore e Psiche, La
Maddalena e il Palamede. Dalla fine
della Prima Guerra Mondiale Villa
Carlotta è di proprietà dello
Stato Italiano, che dal 1927 ne ha
affidato la gestione all'Ente Villa
Carlotta: grazie all'assidua cura di
quest'ultimo, il patrimonio
artistico e botanico della villa è
stato sensibilmente arricchito. I
giardini, famosi per la fioritura
primaverile dei rododendri e delle
azalee in oltre 150 varietà, devono
la fertilità del terreno al
deposito, da parte di antichissimi
ghiacciai, di un sedimento
particolarmente acido e privo di
calcare. Oltre alle menzionate
fioriture, il giardino è
particolarmente apprezzato e
conosciuto per gli enormi sieponi di
camelie, per i pergolati di agrumi,
per le collezioni di felci arboree,
di cactee, di conifere, di piante
tropicali e per il nuovo
"giardino dei bambù". Il
patrimonio botanico della Villa
supera le 500 specie e varietà,
oltre alle piante annuali da fiore e
da fogliame decorativo e alle
bulbose. Sono infine degne di nota
le vedute e le prospettive che
sapientemente sfruttano l'andamento
del terreno, rivelando la mano di un
esperto, purtroppo ignoto,
architetto.
------------
Configurazione strutturale:
Il complesso di Villa
Carlotta si sviluppa secondo uno
schema planimetrico irregolare
con il lato maggiore
prospiciente la via Regina; è
composto da un vasto
parco/giardino e dalla Villa
Carlotta. Il parco-giardino si
estende per quasi tutto il
versante della collina in riva
al lago ed è strutturato su
ampi terrazzamenti con zone di
giardino all'inglese tenute a
prato, giardino all'italiana
nella zona antistante la villa e
parco con alberi ad alto fusto
nella parte più alta. Alla
villa, posta a quota più alta
rispetto alla via Regina e con
il fronte principale rivolto
verso il lago, si accede a mezzo
di una scalinata monumentale a
rampe simmetriche immersa nel
verde del giardino all'italiana.
Epoca di costruzione:
post 1684 - ante 1695
Autore:
Sommariva Gian Battista
(rifacimento)
Comprende
· Villa
Carlotta
Notizie storiche
espandi / riduci
L'edificazione della villa si
deve, intorno al 1690, al marchese
Giorgio II Clerici (1648-1736); la
sua famiglia, originaria
probabilmente della zona, si era
straordinariamente arricchita grazie
al commercio e alle attività di
Giorgio I (1575-1660 e dei suoi
figli, Pietro Antonio (1599-1675)
che ottenne il titolo di marchese, e
Carlo (1615-1677), proprietario di
palazzi a Milano e in Brianza, che
lascerà al figlio Giorgio II
straordinarie ricchezze e una
posizione sociale di rilievo. A
questi succedette il pronipote,
Antonio Giorgio (1715-1768) che morì
dopo aver dissipato la cospicua
fortuna famigliare. I beni rimasti
passarono a un ramo cadetto della
famiglia; la villa sul lago invece
giunse all'unica figlia, Claudia,
sposa del conte Vitaliano Bigli. Fu
proprio Claudia a vendere nel 1801
la proprietà di Tremezzo a Gian
Battista Sommariva, allora
Presidente del Comitato di Governo
della Repubblica Cisalpina. Al
momento dell'acquisto, Sommariva era
tra gli uomini più potenti di
Milano e mirava ad avere una dimora
all'altezza del suo rango. Colto e
spregiudicato, Sommariva vantava
amicizie illustri, possedeva un
fastoso palazzo a Parigi ed era un
celebre collezionista d'arte in
contatto con i più celebri artisti
dell'epoca, tra i quali Canova,
David, Girodet, Prud'hon e
Thorvaldsen. Desideroso di
acquisire, insieme alle opere
d'arte, un sempre maggiore
prestigio, destinò alla villa di
Tremezzo una parte cospicua delle
sue collezioni, modificandola anche
strutturalmente e liberandola dalle
decorazioni e dagli arredi
settecenteschi per renderla più
idonea ad accogliere le opere.
Furono proprio i capolavori d'arte
che resero la villa famosissima in
tutta Europa e attirarono illustri
visitatori quali Stendhal, Lady
Morgan e Flaubert. Alla costituzione
della straordinaria collezione non
fu estraneo certo un sentimento di
rivalsa nei confronti dell'eterno
nemico Francesco Melzi, la cui villa
era nel frattempo stata edificata
proprio di fronte a quella del
Sommariva, sulla penisola di
Bellagio.
La villa di Tremezzo venne
acquistata dalla principessa
Marianna di Nassau, moglie del
principe Alberto di Prussia, nel
1843. Nel 1847, con la donazione
della villa alla figlia Carlotta
(1831-1855) - dal cui nome ebbe
origine la popolare denominazione
che ancora oggi la villa conserva -
in occasione delle sue nozze con il
granduca Giorgio di
Sassonia-Meiningen (1826-1914), la
proprietà passò definitivamente
alla casata tedesca. I
Sassonia-Meiningen attribuirono alla
villa principalmente la funzione di
soggiorno e di villeggiatura e perciò
non recarono grandi modifiche
all'edificio, se non all'apparato
decorativo che venne arricchito con
motivi motivi neo rinascimentali e
pompeiani ad opera di artisti
tedeschi e italiani, tra cui
Ludovico Pogliaghi. I nuovi
proprietari vendettero quanto
restava delle raccolte d'arte
Sommariva, ad eccezione dei grandi
dipinti e di alcune sculture, e
dedicarono le loro energie al grande
parco. I duchi Bernardo e Giorgio II,
appassionati di botanica,
arricchirono ed abbellirono il
giardino immettendo un numero
cospicuo di nuove specie, con
particolare predilezione per
rododendri, azalee, camelie, felci e
palme.
Allo scoppio della prima guerra
mondiale, mentre i beni dei sudditi
nemici residenti in territorio
nazionale vengono soggetti a
sequestro, tale provvedimento non
venne attuato per Villa Carlotta.
Nominato un curatore, conobbe un
periodo d'incertezza sul suo futuro,
fino a quando, grazie alla lunga
battaglia sostenuta dall'avvocato
Giuseppe Bianchini e dal Rotary Club
di Milano e con decreto reale del 12
maggio 1927 venne costituito l'Ente
morale Villa Carlotta, cui venne
affidata la cura e la gestione della
villa e del giardino. Lo statuto
dell'ente prevede che tutti gli
introiti ricavati dai biglietti
vengano devoluti al miglioramento
del complesso.
Descrizione
espandi / riduci
La villa presenta un corpo di
costruzione massiccio, secondo la
sobria tradizione lombarda,
impostato, in omaggio al gusto tardo
seicentesco, su un unico asse
centrale che, partendo dal cancello
di entrata a lago, divide in due
parti uguali la proprietà. Non sono
noti architetto e anno di
edificazione. Le suggestioni della
costruzione originale sono evocate
dalle cinque tavole pubblicate nel
1743 da Marc'Antonio Dal Re nel
secondo volume delle Ville di
delizia. È grazie a tali incisioni
che è possibile oggi affermare che
il rigore simmetrico è quanto il
tempo e le circostanze hanno
permesso giungesse fino a noi della
prima edificazione, insieme allo
scalone elicoidale ed i soffitti in
legno dipinto, detti a passa sotto,
unica testimonianza superstite della
decorazione primitiva. Del periodo
Clerici è il giardino all'italiana
che fronteggia la villa con
balaustra in pietra decorata da
figure allegoriche in marmo di
Condoglia e fontana con vasca
sagomata e statua di Arione di
Metimna.
Villa
del Balbianello - Lenno

Il
tratto costiero del Lario compreso
fra Menaggio ed Argegno è uno dei
più interessanti e belli
dell'intero lago. Numerose
testimonianze storiche rimandano
all'antico e glorioso passato di
questo territorio e ci parlano delle
vicende dell'Isola Comacina, di
furiose battaglie navali fra le
genti lariane, di santuari ed eremi
che in gran numero s'affacciavano
sul lago. La bellezza di questi
luoghi, fronteggiati dalla punta di
Bellagio, ha da sempre attratto il
visitatore e moltissimi personaggi
illustri hanno scelto di
soggiornarvi. Le numerose splendide
ville e gli alberghi esclusivi
testimoniano di un turismo ricco e
assai qualificato. Gli amanti del
bello, del paesaggio e della
tranquillità hanno trovato qui un
luogo ideale: la tradizione affonda
nel passato più remoto e vale la
pena di ricordare che da queste
parti sorgeva la villa detta
Comoedia fatta erigere da Plinio il
giovane assieme ad un'altra
residenza, la villa Tragedia, che si
trovava sulla punta di Bellagio.
Poco
dopo Tremezzo, in direzione di Como,
la costiera del lago protende verso
Sud-est un pronunciato promontorio
che colpisce immediatamente
l'occhio, in quanto appare
completamente coperto dal bosco e
privo di costruzioni in un
territorio ove, ormai, ogni altro
luogo appare abitato. Si tratta del
Dosso di Lavedo, importante penisola
che racchiude a Nord il golfo di
Lenno e che cela, quasi invisibile,
uno dei gioielli architettonici più
belli di tutto il Lago di Como: la
Villa del Balbianello.
Nata
come abitazione della nobile
famiglia dei Giovio, la villa del
Balbianello fu acquistata, nel 1787,
dal cardinale Angelo Maria Durini,
che già possedeva Villa Balbiano
nella vicina località di Balbiano.
Il Cardinal Durini, dopo gli
sfortunati tentativi di acquistare
l'Isola Comacina, rivolse le sue
attenzioni a quella penisola
boscosa, sulla punta della quale poté
finalmente realizzare il suo sogno
di creare un luogo splendido e
appartato ove ritirarsi di quando in
quando a leggere, studiare, pensare
e dissertare di lettere ed arti con
pochi qualificati amici e lontano
dai clamori domestici del Balbiano:
per questo luogo di delizia scelse
il nome di Balbianello.

Accolti
dall'ospitale motto "Fay ce qui
voudras" (Fate ciò che volete)
inciso sul pavimento del portico al
quale si accede dal porticciolo, gli
ospiti salivano alla villa da una
rapida scaletta a picco sul lago; ed
è così ancora oggi, poiché
l'accesso via acqua è tuttora
quello principale.
Quasi
di fronte a Bellagio, la villa offre
un colpo d'occhio di tale fascino
che fu immortalato da schiere di
pittori e incisori di vedute
lariane. Il cardinale, attratto
dall'incomparabile vista, fece
costruire un elegante loggiato
affiancato da due saloni, una
biblioteca e la sala della musica.
Alla
morte del Cardinale, avvenuta nel
1797, la Villa appariva già
costituita da due corpi
quadrangolari comunicanti e da un
elegantissimo loggiato che si pone
come ponte ideale fra la biblioteca
e il salotto adito alla musica.
La
Villa quindi passò in eredità al
patriota Luigi Porro Lambertenghi,
nipote dei Durini, che trasformò la
residenza 2il Balbianello" da
luogo di meditazione ad impegnato
ritrovo per massoni (fra i tanti
ospitò anche Silvio Pellico).

Il
volontario esilio di Luigi in Belgio
suggerì la vendita della proprietà
all'amico Giuseppe Arconati Visconti
che, insieme alla moglie Costanza
Anna Luisa Trotti, resa la Villa un
prestigioso salotto estivo
frequentato da Berchet, Giusti e
Manzoni.
Gianmartino
Arconati visconti, figlio di
Giuseppe, arricchì Balbianello del
parapetto in pietra, che delimita la
terrazza, e della sua collezione di
libri orientali. Il casato andavo
però estinguendosi e la Villa venne
abbandonata per trentanove lunghi
anni prima che, nel 1919, venisse
acquistata dal generale americano
Butler Ames a cui si devono
importanti restauri tesi a
recuperare i preziosi arredi degli
Arconati.
Alla
morte del generale gli eredi
vendettero il Balbianello a Guido
Monzino, noto imprenditore milanese,
colto collezionista e appassionato
viaggiatore. La Villa venne
nuovamente restaurata e trasformata
in parte in museo privato ove
Monzino raccolse con perizia e
attenzione museografica i ricordi di
viaggio, le rare collezioni d'arte e
i cimeli delle più famose ed
estreme spedizioni da lui compiute,
come la conquista del Polo Nord nel
1971 e dell'Everest nel 1973.
L'11
Ottobre 1988, alla morte di Monzino,
per suo volere testamentario la
Villa, gli arredi e lo splendido
giardino del dosso di Lavedo vennero
lasciati in eredità al FAI con una
dote che ne aiuta ancora la
manutenzione.

Il
complesso architettonico è disposto
a gradinata seguendo il digradare
della rocciosa punta fino alle acque
del lago. La parte inferiore, dove
si trovano l'imbarcadero ed il
porticciolo, conserva il ricordo
dell'antica chiesa di San Giovanni
sul cui sagrato, ombreggiato da
meravigliosi, imponenti platani, si
affacciano i due campanili. Una
serie di vialetti portano verso
l'alto attraverso il magnifico
giardino che la necessità di
adattarsi alla conformazione ripida
del promontorio ha reso unico nel
suo genere. Si tratta di un vero
capolavoro, studiato per esaltare e
rendere ancor più magico il
paesaggio circostante già di per sé
notevole.
Grandi
platani potati a candelabro
accompagnano, alternati da antiche
statue o da vecchi glicini, l'ospite
che sale; laddove il sentiero si è
dovuto scavare nella roccia che
affiora, ghirlande di edera
ingentiliscono le ruvide pareti di
pietra. Lo spazio che la rocciosa
punta della penisola offriva, a chi
avesse voluto crearvi un giardino
monumentale secondo i principi in
voga a fine Settecento, era molto
angusto; e la scarsità di terra che
a volte si riduce a poche spanne
sopra la roccia, creava notevoli
problemi per l'inserimento di nuove
piante.
Non
fu possibile, dunque, creare un
giardino all'italiana, anche se
numerose siepi di lauro e di bosso
delimitano con geometrica precisione
zone e tappeti erbosi. Ma non fu
nemmeno possibile creare un giardino
all'Inglese in quanto la natura del
luogo, con ripe scoscese e troppi
livelli diversi, non si prestava
alla creazione degli elementi base
propri di quello stile. Il giardino
del Balbianello, dunque, è una cosa
a sé, dove tutto è in funzione del
lago e delle sue coste e dove nulla
deve distogliere dallo spettacolo
dell'acqua. Solo qualche grande
pianta - lecci, canfore, magnolie e
cipressi- molte azalee, giardini di
roccia con bucaneve e ciclamini e i
grandi spazi lacustri.

La
salita termina sulla vasta spalla
dove sorge forse la struttura più
caratteristica della villa,
autentica porta d'ingresso per ogni
visitatore. Si tratta di una
splendida loggia disposta
parallelamente alla penisola in modo
da poter ammirare contemporaneamente
i due opposti paesaggi visibili da
lassù. Ai lati si trovano due
ambienti che Guido Monzino riservò
al suo studio cartografico e alla
sua biblioteca che contiene circa
4000 volumi dedicati
all'esplorazione e all'alpinismo.
La
sala del cartografo è ornata da
numerose stampe con vedute lariane,
alcune delle quali di grande rarità.

Poco
sotto la loggia si accede al corpo
abitativo della villa i cui spazi
interni sono stati completamente
ridisegnati dallo stesso Monzino.
Ovunque stampe d'epoca aventi come
soggetto principale il Lario ed i
suoi paesaggi accompagnano il
visitatore.
Gli
interni della Villa, sviluppati su
più piani, sono arredati con
estrema armonia da mobilio inglese e
francese del XVIII e XIX secolo,
preziosi arazzi, tappeti orientali e
lampadari italiani.
In
alcune stanze inoltre Monzino ha
personalmente curato l'allestimento
di vetrine in cui sono custoditi
antichi e rari reperti della civiltà
africana (come le maschere Dan e
Dogon), azteca, della cultura
Teothuacan, oltre a idoli cicladici
in marmo pario, figure Maya in
terracotta e ceramiche cinesi di
epoca Tang e Ming.
Da
notare è anche una delle più rare
collezioni di dipinti su vetro (XVIII
secolo, scuola veneta) che si
possono ammirare nella stanza degli
ospiti, nell'appartamento della
madre dell'imprenditore e nel
corridoio che porta al fumoir (il
pavimento di questa sala venne
abbassato di un metro per poter
accogliere la boiserie settecentesca
proveniente da un castello francese.
Nel
sottotetto alcuni vani ospitano il
museo privato di Monzino in cui sono
esposte le attrezzature di viaggio
utilizzate durante le sue spedizioni
più estreme, fotografie, ricordi e
alcuni fra i più rari cimeli di
viaggio, tra i quali spicca la
slitta che nel 1971 portò
l'esploratore al Polo Nord
GUIDO
MONZINO - Guido Monzino, figlio
del fondatore della Standa, nacque a
Milano nel 1928 e trascorse parte
della sua giovinezza nella villa di
famiglia a Moltrasio, impregnandosi
delle luci e delle atmosfere lariane
cui sarà sempre legato. Assunte le
redini dell'azienda paterna ne
divenne infine direttore generale
assumendosi l'onere di una così
grande responsabilità, ma affinando
nel contempo le sue doti di abile
manager che gli saranno utili anche
nell'organizzare e guidare le sue 21
spedizioni alpinistiche ed
esplorative compiute in ogni parte
del globo.
Mosso
da un romantico afflato di avventura
e conoscenza Monzino riprendeva
idealmente il filone delle grandi
spedizioni che furono di S.A.R. il
Duca degli Abruzzi. Nell'intento
dell'imprenditore-esploratore non
c'era solo lo stimolo alla
conoscenza ma v'era anche il
desiderio di riportare il tricolore
italiano ai vertici
dell'esplorazione. Esemplare in
questo senso fu la sua richiesta al
governo cileno di chiudere l'accesso
all'area ove operava la sua
spedizione alpinistica, area che era
nelle mire anche degli scalatori
britannici.
 
La
passione di Guido Monzino per
l'avventura nacque alla metà degli
anni '50 del 1900, quando, in
seguito ad una scommessa, egli scoprì
la montagna ed il Monte Cervino. Sua
guida in quell'occasione fu Achille
Compagnoni fresco salitore del K2 la
seconda vetta del globo. Ricorda la
celebre guida che la notte
precedente l'arrivo in vetta il
giovane milanese non riuscì a
prendere sonno, restando tutto il
tempo alla finestra immerso nei suoi
sogni e rapito dalla grandiosa magia
del paesaggio. Fu un amore a prima
vista con questa cima e con le guide
di Valtournenche che, da allora,
Monzino volle sempre con sé in ogni
sua spedizione. Dai deserti di
sabbia a quelli di ghiaccio, dalle
vette più elevate alle latitudini
estreme, Monzino si spinse ovunque
ci fosse terra da esplorare. Tutte
le sue spedizioni recano l'impronta
dell'organizzatore che con estrema
pignoleria teneva a non lasciare
nulla al caso studiando di persona
problemi di logistica e di
equipaggiamento. Monzino era un po'
come un ammiraglio o un generale
sotto la cui guida tutto doveva
filare per il meglio e senza badare
mezzi al conseguimento del risultato
e alla sicurezza degli uomini.
Legato ad un modo ormai superato di
gestire le spedizioni extraeuropee
Guido Monzino non incontrò mai
eccessivi consensi presso il mondo
alpinistico d'elite. Gli si
rimproverava l'eccessivo dispendio
di mezzi che, facendo mancare parte
dell'incertezza nel raggiungimento
della meta, era giudicato poco
sportivo.
Fra
le 21 spedizioni Monzino merita un
particolare cenno quella verso il
Polo Nord, condotta utilizzando
strumenti, attrezzature ed
abbigliamento tipici degli
eschimesi. Il Polo Nord fu raggiunto
a prezzo di notevoli sforzi dopo 71
giorni di viaggio. Anche in questo
caso, però l'abbondanza di mezzi fu
esemplare: 300 cani da slitta, 25
slitte, tonnellate di viveri e
materiali.
L'apoteosi
di questo stile fu però espressa
dalla spedizione italiana
all'Everest del 1973, condotta senza
risparmio di tempo e di denaro, con
stile e mezzi militari, fra cui
aerei ed elicotteri.

L'anno
successivo Monzino acquistava la
Villa del Balbianello con
l'intenzione di crearvi, oltre che
la propria dimora, anche un centro
di documentazione alpinistica ed
esplorativa.
Prima
di morire prematuramente nel 1988,
con lo spirito patriottico e
magnanimo che l'aveva sempre
guidato, Guido Monzino donò la
Villa del Balbianello con l'annesso
territorio del Dosso di Lavedo al
Fondo per l'Ambiente Italiano che,
attualmente, ne è il custode e
valorizzatore.
Oltre
a questo importante lascito, Guido
Monzino si dedicò sempre, anche
quando era in vita, ad opere
filantropiche e di sostegno per le
popolazioni del terzo mondo.
La
visita agli interni della Villa del
Balbianello sarà un modo di
conoscere meglio questa singolare
figura di uomo, idealista ed
appassionato.
Tutto
ci parla di lui e della sua indole,
dei suoi gusti raffinati, ma
traspare anche un carattere che
amava avere tutto sotto controllo e
rigidamente etichettato pronto
all'uso del suo padrone.
VILLA D’ESTE
La villa fu
eretta nel 1568 dal cardinale
Tolomeo Gallio su disegno di
Pellegrino Tibaldi, detto il
Pellegrini e a fine Settecento fu
acquistata dal marchese Bartolomeo
Calderara per la moglie Vittoria
Peluso. Nel 1815 fu rilevata da
Carolina di Brunswick, principessa
di Galles e moglie, poi ripudiata,
del futuro re Giorgio IV
d’Inghilterra; fu lei a chiamare
“Nuova Villa d’Este” la
proprietà. Nel 1856 venne costruita
una nuova villa nel parco che fu
chiamata “Hotel de la Reine d’Angleterre”
e divenne per la prima volta Hotel.
Dal 1868 al 1870 qui ha soggiornato
la zarina Maria Fedorowna,
affascinata dalla dimora e dal
paesaggio lacustre. Infine, nel
1873, Villa d’Este è stata
riaperta come hotel di lusso, oggi
tra i più rinomati del mondo.
Nel tempo il giardino ha in parte
perso l’impostazione
cinquecentesca; rimane come
testimonianza il celebre ninfeo,
decorato a mosaico con ciottoli
policromi, che ha la grandiosità
scenografica del barocco romano: fa
da ingresso e da base alla doppia
catena d’acqua che percorre la
prospettiva fino alla statua di
Ercole e Lica. L’ultimo intervento
paesaggistico importante è stato
quello della contessa Peluso, che
fece realizzare nella zona alta, ad
est del viale di cipressi, un
complesso di mura e finti fortilizi
calato in un parco all’inglese con
sentieri, ponti e boscaglie.
I comparti del giardino inferiore
sono costituiti da vasti prati
delimitati da bossi scolpiti a palla
o dado, mentre nei pressi dell’ex
edificio idroterapico prosperano
abeti rossi, magnolie, cipressi e un
grande platano. La zona del ninfeo
è caratterizzata da bossi, rose,
pittosfori e edera. Il viale che
accompagna la catena d’acqua, un
tempo cinto da Cupressus
sempervirens, è oggi fiancheggiato
da allori, magnolie e cipressi.
VILLA MONASTERO -
VARENNA
Villa Monastero
rappresenta oggi, sulle sponde del
Lago di Como, uno degli esempi più
interessanti di residenza in stile
eclettico in cui gli interventi
succedutisi tra la fine del XIX e
l'inizio del XX secolo hanno
aggiunto elementi funzionali e
decorativi senza distruggere le
tracce delle vicende precedenti
dell'edificio, così da ottenere una
villa con giardino di grande impatto
scenografico e valore simbolico.
Villa Monastero nasce infatti dalla
continua ristrutturazione
dell'antico monastero cistercense
femminile di Santa Maria, la cui
prima citazione documentaria certa
risale al 1208. E' probabile che la
sua fondazione sia da mettere in
relazione con gli insediamenti
religiosi della sponda opposta del
lago: con il monastero dei SS.
Faustino e Giovita sull'Isola
Comacina, da cui provenivano i
profughi del 1169. Nel 1566, per
decisione dell'arcivescovo Carlo
Borromeo, le ultime sei monache
ancora residenti a Varenna vennero
trasferite in un monastero
cistercense a Lecco. Nel 1569,
quindi, gli edifici monastici
vennero venduti a Paolo Mornico.
Della chiesa più antica rimane oggi
l'impianto generale, coincidente con
l'aula Fermi. L'unica sopravvivenza
delle decorazioni è una piccola
Pietà affrescata, di gusto
popolaresco e di epoca tardo gotica,
inserita nello squarcio di una
finestra. L'ancona rinascimentale,
che era sull'altare maggiore, è
oggi conservata nella cappella
sinistra della chiesa parrocchiale
di S. Giorgio. I fabbricati del
monastero rimasero di proprietà dei
Mornico dal 1569 al 1862 e durante
questi tre secoli molte furono le
ristrutturazioni funzionali. Ad una
prima fase dei lavori si possono
riferire sia la facciata della villa
che le due grandi sale al piano
terra, dette sala Rossa e sala Nera.
Nel frattempo veniva riadattata
anche la chiesa, la cui principale
opera decorativa, la grande ancona
intagliata da Giovanni Pietro
Capiamo nel 1680-1682, è oggi
collocata nell'oratorio della
Madonna delle Grazie, presso la
chiesa parrocchiale. Di epoca
seicentesca è anche un
incorniciatura lignea intagliata di
una porta dell'aula Fermi. Dalla
seconda metà dell'Ottocento, la
villa cominciò a subire una serie
di trasformazioni ad opera dei
successivi proprietari (Genazzini,
Maumary Seufferheld, Kees, De
Marchi) che la portarono alla sua
attuale veste eclettica. Anche il
giardino venne arricchito di piante
mediterranee e tropicali. Di
particolare interesse è lo scalone,
scenograficamente realizzato con
l'utilizzo di marmi policromi,
ceramiche, stucchi; anche il bagno
detto "pompeiano" o
"di re Faruk", è un
singolare documento di questo gusto.
Nel 1918 la proprietà fu confiscata
e passò all' "Opera Nazionale
Combattenti"; venne poi venduta
al dott. Marco De Marchi il quale in
seguito la lasciò in donazione
all'Istituto Italiano di
Idrobiologia "Marco De
Marchi". Umanisti, storici,
artisti e scienziati di fama
internazionale, tra i quali anche il
premio Nobel Enrico Fermi, cui è
dedicata una targa commemorativa,
onorano della loro presenza Villa
Monastero dal 1953 quando, per
meritoria iniziativa del prof.
Polvani, Presidente della Società
Italiana di Fisica, e dell'Avv.
Bosisio, Presidente
dell'Amministrazione Provinciale di
Como, questa prestigiosa dimora
divenne sede di convegni e centro
studi di elevato livello. Dal 1977
il compendio immobiliare è di
proprietà del C.N.R. (Consiglio
Nazionale delle Ricerche). A partire
dal 1996 la nuova Provincia di Lecco
è subentrata nel servizio culturale
qualificato in ambito congressuale,
stipulando con il C.N.R. un accordo
di comodato e costituendo
l'Istituzione "Villa
Monastero". La Provincia di
Lecco cura le opere di restauro
conservativo e di consolidamento
statico per rinnovare e rendere più
funzionale il complesso nel rispetto
delle sue caratteristiche
architettoniche, intervenendo
complessivamente anche grazie a
munifici contributi della Fondazione
Cariplo.
------------
Villa Monastero
si trova a Varenna sulla strada
verso Fiumelatte. La villa si è
sviluppata sull'antico monastero
cistercense femminiledi S.Maria,
fondato probabilmente prima del 1200
da un gruppo di religiose scappate
dall'Isola Comacina dopo che l'isola
fu distrutta dai Comaschi.
Con il decreto
del Papa Pius V, datato 13 Febbraio
1567, il convento fu soppresso; i
fabbricati e i suoi terreni furono
acquistati nel 1569 dalla nobile
famiglia Mornico da Cortenova in
Valsassina.
Nel 1645 Lelio Mornico trasformò
completamente il vecchio convento in
una villa di grande pregio e
signorilità. Nel 1800 ebbe diversi
proprietari e nella seconda metà
dall'ottocento la villa subi'
grandiosi restauri. Alla fine dell'
ottocento subentrò il tedesco
W.E.J.Kees; egli contribui' ad
arricchire il giardino con elementi
architettonici decorativi e con
numerose essenze esotiche,
soprattutto dall' Estremo Oriente ,
secondo il gusto dell'epoca.
Confiscata nel 1918, fi acquistata
nel 1925 dal Dr. Marco de Marchi che
la donò allo Stato.; nel 1977 passò
definitivamente al C.N.R. (consiglio
nazionale delle ricerche ). Dal 1953
è un centro convegni a livello
internazionale e dal 1996 è gestito
dalla provincia di Lecco tramite
l'istituzione "Villa
Monastero". Il parco che
costeggia il lago è lungo piu' di
un chilometro: fioritissime aiuole
disposte lungo i vialetti che
degradano verso il lago, gli alti
cipressi, le fiorenti palme e le
altre piante esotiche, danno vita al
centro di un leggiadro giardino,
incastonato nell'incantevole
scenario del centro lario. Si
consiglia anche la visita di Villa
Cipressi, costruita principalmente
dal 1400 al 1800, che si trova
proprio a fianco della Villa
Monastero.
VILLA TARANTO -
PALLANZA
L'origine dei
giardini botanici di Villa Taranto,
che sorgono in Pallanza su un'area
di 16 ettari, sulle falde
settentrionali del promontorio della
Castagnola, risale al 1931, quando
il Cap. Neil McEacharl ne acquistò
la proprietà con lo scopo di farne
uno dei complessi botanici fra i
migliori del mondo. Con un lavoro
paziente, metodico ed assiduo,
questo gentil uomo scozzese, arciere
della regina di Inghilterra ed
Accademico Linneano attuò nel tempo
il suo vasto disegno, tramutando la
disordinata massa boschiva in un
tracciato dal morbido respiro, ricco
di suggestivi ed imprevisti scenari
lungo i 7 km di viali. Molte
migliaia di piante, importate da
ogni parte del mondo, e collezioni
rarissime, alcune delle quali uniche
in Europa ed acclimatate dopo lungo
lavoro, sono state disposte con
senso d'arte in una cornice di
bellezza, fra lago e monti. Tra le
opere più significative: la
“valletta”, realizzata dopo
imponenti lavori di scavo;
l'impianto di irrigazione, la cui
acqua viene pompata direttamente dal
Lago in un capace serbatoio e quindi
deradiata in ogni angolo della
proprietà; i “Giardini
terrazzati”, con cascatelle,
piscina, vasche per Ninfee e Fiori
di Loto; il “Giardino d'inverno”
ed il “Giardino palustre”.
Fontane ornamentali e giochi
d'acqua. Realizzato così il suo
giardino, che chiamò Villa Taranto,
in memoria di un suo antenato, il
maresciallo Mc Donald, creato Duca
di Taranto da Napoleone, il capitano
volle che il significato dell'opera
gentile poderosa venisse proiettato
nel tempo e, con un esempio di
squisita generosità, donò la
proprietà allo Stato Italiano
esprimendo il desiderio che la sua
opera avesse continuità nel futuro.
La Villa, non visitabile, è adibita
a sede di rappresentanza della
Presidenza del Consiglio dei
Ministri per convegni ed incontri ad
alto livello .
La costruzione
del duomo di Como ebbe inizio
nel 1396 nel luogo dove
sorgeva l’antica basilica romanica
di Santa Maria Maggiore. La
costruzione terminò nel 1740
con l'ultimazione della cupola di Filippo
Juvara, importante esempio di rococò
in Italia. Le dimensioni del Duomo
sono: lunghezza 87 metri –
larghezza 36 – 56 metri altezza
cupola 75 metri. L'interno, a croce
latina, ha carattere gotico
nelle tre navate su pilastri
e rinascimentale nel transetto
sormontato dalla cupola. Il duomo
custodisce arazzi del XVI e
XVII secolo eseguiti a Ferrara,
Firenze e Anversa e
dipinti cinquecenteschi di Bernardino
Luini e di Gaudenzio Ferrari.
[modifica]
La facciata
La facciata,
realizzata tra il 1447 e il 1498,
raggiunge i 45 metri ed è
caratterizzata dall’ampio portale
marmoreo e dal rosone completato nel
1486. È in stile
gotico-rinascimentale La
realizzazione è dovuta a Fiorino
da Bontà, a Luchino
Scarabota, ad Amunzio da
Lurago e a Tommaso Rodari.
Il portale maggiore è affiancato da
due edicole con le statue di Plinio
il Vecchio e Plinio il
Giovane.
----------
La chiara
architettura della Cattedrale
sovrasta il centro storico di Como e
con eleganza si impone alla vista di
chi giunge in città. Non lontana
dalla riva del lago, in vicinanza
dell’antico Vescovado che era
affacciato su una graziosa darsena,
resta un forte segno religioso e
storico; memoria di quel periodo in
cui Como, tramite la via di
comunicazione del Lario, era città
di collegamento tra il Nord
dell’Europa e l’Italia.
Il Duomo è
giustamente ritenuto un’opera tra
le più ragguardevoli in Alta
Italia. S’impone per la sua mole
(lunghezza 87 m. – larghezza 36
– 56 m. Altezza cupola 75 m. ).
L’architettura, le sculture e le
pitture documentano un fecondo
incontro e scambio tra culture
figurative transalpine e scuole
italiane.
Sorto su
un’area resa gradualmente libera
con la demolizione di parte del
Broletto e del Palazzo Pretorio,
crebbe con l’apporto di un
paziente lavoro cui posero mano,
avvicendandosi nel tempo, insigni
architetti e scultori. L’inizio
dei lavori risale al 1396, e
trascende il primitivo piano di
semplice restauro della vetusta
Cattedrale di S. Maria Maggiore (
sec. XI ). Il compimento
architettonico è del 1770 con
l’elevazione della cupola
disegnata da F. Juvara.
Il risultato
offre un edificio articolato e
complesso, per la fusione dei volumi
in uno spazio armonico e di
concezioni stilistiche diverse.
Eppure la continuità della
costruzione lungo i secoli ( nel
1400 vengono utilizzate la facciata
e le navate gotiche, nel ‘500 il
presbiterio e le absidi laterali) ha
custodito un’armonia che di epoca
in epoca è stata rinnovata,
collegando il tracciato della parti
nuove alle proporzioni definite
nell’epoca precedente.
La imponente
facciata del Duomo (la guglia
centrale attinge 45 m.), è
caratterizzata dall’ampio portale
marmoreo, dalle nicchie e dalle
statue che la sovrastano, dal rosone
e dalle lunghe finestre che lo
fiancheggiano. La realizzazione è
dovuta a Fiorino da Bontà, a
Luchino Scarabota, ad Amunzio da
Lurago e a Tommaso Rodari.
Ricchissimi i portali del fianco
destro e del fianco sinistro, dove
è famosa la porta "della
rana”.
La parte gotica
dell’interno, slanciata ed
elegante, è costituita dalla navata
mediana ( che ospita il Battistero
di Leonardo da Carona del XVI sec. e
nove arazzi rinascimentali delle
officine ducali di Ferrara, Firenze,
e delle Fiandre) affiancata dalle
navate destra e sinistra (ove pure
sono collocati cimeli romanici,
opere scultoree di T. Rodari, tele
di G. Ferrari e di B. Luini).
Colpito da un
fulmine nel novembre 1990, il Duomo
di Como è stato oggetto di una
vasta campagna di restauri,
finalizzati alla valorizzazione
dell’intero complesso. Negli studi
pubblicati in occasione del sesto
Centenario della fondazione della
Cattedrale è stato messa in
particolare luce la magia delle
proporzioni geometriche e quindi
l’intrinseca armonia degli spazi
rimaste inalterate nei secoli.
A causa del
felice esito dei vari apporti, e dei
differenti artefici della
cattedrale, già l’architetto
Federico Frigerio, comasco,
conoscitore e benefattore del Duomo,
aveva icasticamente e con ragione
parlato de il "nostro armonioso
ibrido". Tale complessità può
essere paragonata a quella di un
poema sinfonico, che riprende e
colora mediante impasti
timbricoritmici e cadenze diverse,
un dinamico programma melodico entro
una affascinante e unitaria armonia.
------------
La costruzione
del Duomo di Como iniziò nel 1396 e
doveva sostituire l’antica chiesa
di Santa Maria Maggiore; questa non
venne però demolita subito ma solo
nel 1497, quando il nuovo edificio
raggiunse una piena funzionalità.
Lorenzo degli Spazzi, artista che
lavorava come ingegnere nella
Fabbrica del Duomo di Milano, fu il
primo ingegnere del Duomo comasco ma
numerosi artisti si susseguirono
alla guida del cantiere fino a
quando, nel 1487, la responsabilità
venne affidata a Tommaso Rodari che
la mantenne fino al 1526, anno della
morte.
Nato a Maroggia, vicino a Campione,
si formò come scultore nella
bottega di Giovanni Antonio Amadeo e
lasciò una precisa impronta sia
nella composizione architettonica
sia nella definizione scultorea del
Duomo di Como.
La nuova
cattedrale venne eretta a fasi
alterne e discontinue legate agli
avvenimenti politici e civili della
città. Dopo l’esecuzione delle
opere strutturali, nel 1457 si iniziò
la costruzione della facciata che
venne terminata nel 1486.
Negli anni successivi due momenti
particolari sollecitarono ampi
dibattiti il primo si riferisce alla
costruzione dell’abside: quando
nel 1513 si cominciarono a posare le
fondamenta della parte posteriore su
un progetto dello stesso Rodari, i
responsabili della fabbrica, forse
non pienamente soddisfatti della
soluzione, invitarono Cristoforo
Solari (1480-1527) a proporne una
nuova che venne poi adottata.
L’altro momento particolare si
visse in occasione della costruzione
della cupola: dopo vari progetti,
nel 1730 l’incarico fu affidato a
Filippo Juvarra (1678-1736) che in
quegli anni lavorava a Torino e che
dopo una prima soluzione rifiutata
elaborò quella definitiva che venne
portata a compimento in otto anni di
lavoro.
Osservando
l’edificio dall’esterno colpisce
la convivenza di due momenti
storici: alla prima impostazione
ancora di stampo gotico lentamente
si sovrappone una veste classica di
stampo rinascimentale. L’edificio
si apre all’esterno con cinque
bellissimi portali sormontati da
lunette che, partendo dal fianco
settentrionale, raccontano ognuna un
episodio del Vangelo. Dei vari
portali, di particolare importanza
è quello meridionale che ospita un
bassorilievo raffigurante la
“Fuga in Egitto” che è
stato attribuito a Donato Bramante.
La lunetta del portale centrale
racconta l'"Adorazione dei
Magi" con una particolare
sensibilità e attenzione
all’aspetto narrativo. Ai lati del
portale due grandi statue, nelle
loro edicole, rappresentano Plinio
il Giovane e Plinio il Vecchio
personaggi comaschi particolarmente
ammirati.
Entrando nel Duomo si è
immediatamente colpiti dalle vetrate
artistiche alle quali
lavorarono molto i componenti della
famiglia Bertini che nella seconda
metà dell’Ottocento eseguì
numerosissime opere anche per il
Duomo di Milano, di Monza, di Arezzo
e per altre cattedrali.
I due finestroni centrali della
facciata, eseguiti nel 1849 sono di
particolare bellezza e sono
realizzati con una tecnica
particolare: non sono costituiti da
tessere di vetro monocromatico
assemblate a mosaico ma sono pitture
su vetro.
Differente è invece la vetrata
del rosone risalente al 1488
realizzata con vetri in pasta di
vari colori.
Molte sono le opere artistiche
custodite all’interno del Duomo:
nella navata minore destra, vicino
all’ingresso sull’altare di
Sant’Ambrogio è collocato un
polittico marmoreo datato 1482 e
recentemente restaurato. Nella
campata successiva si trova
un’altra importante opera in marmo
eseguita da Tommaso Rodari nel 1492:
la pala dell’altare di Santa
Lucia; nella stessa navata, è
collocata anche l’icona
dell’altare di Sant’Abbondio, un
grandioso polittico in legno
dorato eseguito nel 1514 da
un autore ignoto che ospita due
dipinti a tempera di Bernardino
Luini e Gaudenzio Ferrari
raffiguranti l’”Adorazione dei
Magi” e la “Fuga in Egitto”.
Proseguendo la visita, nella campata
successiva, si trova un’altra
opera del Luini: una pala eseguita
intorno al 1520 e raffigurante la
Vergine col Bambino circondata da
quattro santi.
Passando nella navata minore di
sinistra si può ammirare una
preziosa opera del Rodari risalente
al 1493: l’Altare di Santa
Apollonia.
La visita al Duomo deve sicuramente
anche comprendere la Sagrestia
dei Mansionari dove il Morazzone
(1537-1626) ha lasciato una delle
sue più apprezzate opere:
l’affresco della volta
raffigurante l’"Incoronazione
della Vergine", eseguito
nel 1612.


|