Gardone Riviera e il Vittoriale degli Italiani
(Brescia)
  
  

   

La Prioria, ovvero la casa di "Frate Gabriel priore", come amava definirsi d'Annunzio quando decise di ritirarsi sulle sponde del lago di Garda, presenta una facciata ispirata al "disegno del Palazzotto aretino del Podestà". L'architetto Maroni, su indicazioni del Comandante, ha collocato ai lati gli altorilievi del Leone di san Marco e dell'Aquila di san Giovanni, e tra due affreschi rinvenuti durante i lavori, molti stemmi, fra cui quello dei Medici, dei Canossa, delle città di Firenze e Trieste; quello di Trento con l'aquila venne staccato dal palazzo comunale della città per essere donato al Poeta e sostituito con una copia, così ancora oggi quello originale si può ammirare sulla facciata della Prioria. Proprio al centro c'è lo stemma disegnato da d'Annunzio raffigurante un levriero con il motto "Né più fermo, né più fedele".

All'originaria porta d'ingresso, sormontata da un balcone, fu aggiunto un piccolo pronao in pietra di Verona sul cui arco si legge:

Sia pace a questa casa.
Spirito di vittoria dia pace a questa casa
d'uomo prode.

E sopra l'arco sono state collocate due Vittorie attribuibili al Sansovino. Per completare la facciata, il Poeta ha voluto un altorilievo in bronzo di soggetto francescano, con alcuni versi del Cantico delle creature e, come una sorta di suggello, un suo verso creato ad hoc; "E beati quelli ke morranno a buona guerra".

Oltrepassata la porta d'ingresso, che reca sull'architrave la scritta "Clausura, fin che s'apra - Silentium, fin che parli", si salgono i sette gradini del Vestibolo, un piccolo ambiente dal forte valore mistico e sacrale. I gradini, in marmo rosa, rappresentano i Vizi e le Virtù, mentre la colonnina posta centralmente sull'ultimo  gradino, proveniente da Assisi, rimanda alla povertà e all'austerità dell'ordine  francescano, ricordate anche dai due dipinti a forma di lunetta di Angelo Landi, raffiguranti  San Francesco e Santa Chiara. Il carattere sacrale dell'ingresso è accentuato dal trittico di Giuseppe Guidi (Madonna col Bambino e i santi Francesco e Antonio da Padova), dall'icona con l'Annunciazione e da un pastorale settecentesco. 

D'Annunzio da il benvenuto all'ospite della Prioria con la scritta "Te hospitio agresti accipiemus" (Ti accogliamo in questo rifugio agreste), collocata tra le porte che conducono a due stanze d'attesa: l'Oratorio dalmata - a sinistra - per gli ospiti ben accetti e la Stanza del Mascheraio - a destra - per quelli sgraditi, un piccolo ambiente di passaggio dedicato appunto al mascheraio, chi fabbrica e vende le maschere di carnevale. 

Nelle scaffalature è raccolta la collezione di spartiti musicali appartenuti alla moglie del precedente proprietario della villa, Daniela von   Bulow-Thode, nonché una raccolta di dischi con musiche moderne che Gabriele amava ascoltare nei due grammofoni (uno anche radio) presenti nella stanza: "Jazz band, jazz  band, jazz bandi Balliamo tutta la notte", scrisse in una lettera ad Antonietta Treves. Non ballò Mussolini quando, nel 1925, dovette attendere di essere ricevuto dal Poeta in occasione della sua seconda visita al Vittoriale. Si racconta che il duce fu costretto ad aspettare di fronte all'iscrizione in lettere dorate:

Al visitatore: Teco porti lo specchio di Narciso?
Questo è piombato vetro, o mascheraio.
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio.

Gli ironici versi si rivolgono a coloro - Mussolini in particolare - che entrando nella Prioria tentano di "aggiustare le loro maschere" di fronte al Comandante, non ricordando di essere "vetro contro acciaio".

Dalla  musica leggera della stanza del Mascheraio si passa a quella della "Camerata di Gasparo" (importantissimo liutaio di Salò, del XVI secolo) o Stanza della Musica, dove il Poeta era solito riunire il Quartetto "Veneziano" del Vittoriale, composto da giovani musicisti amici di Francesco Malipiero, insieme a Luisa Baccara, la pianista veneziana diventata sua amante a Fiume. 

D'Annunzio ordina a Maroni di accordarsi con lui "nei riguardi della stanza di musica, che m'è necessarissima e che voglio creare tutta io stesso, secondo la mia fantasia di colorista". Un gioco di luci, colori e contrasti caratterizza l'ambiente, grazie all'alternarsi sulle pareti di una stoffa di damasco rosso sangue e di cortinaggi di seta nera con motivi dorati (in particolare si tratta di animali selvaggi che, narra il miti di Orfeo, sono domati dal canto e dalla musica). 

Accentuano il gioco dei colori le quindici colonne, di diversa altezza e decorazione nel fusto, sormontate da zucche luminose e canestri di frutta in vetro di Murano, realizzate da Napoleone Martinuzzi. Altre colonne, invece, recano i calchi in gesso - provenienti dalla gipsoteca del Louvre - delle teste del Prigione morente di Michelangelo, di Afrodite e di Hermes; un'altra colonna sorregge una copia in bronzo dell'Eros di Donatello, che sembra sostenere i cortinaggi del soffitto e rimanda al trionfo della musica e dell'amore carnale.

Accentuano e allo stesso tempo amplificano i giochi di luce e ombre anche il caminetto disegnato da Maroni con altre zucche di vetro decorato e le vetrate alabastrine, quasi sempre abbassate per volere del Comandante: la ferita riportata a un occhio durante la guerra e il timore di apparire vecchio gli facevano preferire la penombra.

Proprio da una di queste finestre - la prima entrando - d'Annunzio cadde misteriosamente il 13 agosto 1922 e riportò una grave ferita alla testa. Non si conosce la causa della caduta, neppure il Poeta ne parlò mai, ma tra le cause più accreditate c'è una sua acrobazia amorosa verso la sorella di Luisa Baccarà, Jolanda, che sottraendosi alle sue attenzioni lo fece cadere; oppure Luisa, gelosa, gli avrebbe dato una spinta eccessiva, per allontanarlo dalla sorella. Il "volo dell'arcangelo", come lo chiamò d'Annunzio, impedì un incontro che doveva svolgersi due giorni dopo fra lui, Mussolini e Francesco Saverio Nitti e che forse avrebbe cambiato la storia d'Italia con un accordo tra fascisti e liberali.  

Come in tutta la Prioria, l'abbondanza degli oggetti caratterizza la Stanza della Musica: dai due pianoforti agli strumenti musicali (un clarinetto, uno zufolo pastorale, un violino e un arciliuto), dalla Diana cacciatrice di Bourraine al Ritratto di Cosima Liszt von Bulow Wagner di Lenbach, ai calchi dei volti di Liszt e Beethoven, agli arredi in stile cinese, e ancora divani all'ottomana, bronzi orientali e di animali, arazzi tra cui uno in cuoio - dono della moglie del Poeta - con lo stemma della famiglia Altemps, e naturalmente i libri, che Gabriele voleva presenti in ogni parte della Prioria, anche negli anditi più nascosti e in particolare nella stanza successiva, denominata del Mappamondo.

La sala prende il nome dal grande "mappamondo todesco", appartenuto al precedente proprietario della villa, che d'Annunzio volle collocare sulla "tavola tonda", sormontato da un galeone in ferro battuto. 

Il chiaro riferimento a Venezia regina dei mari è un tema celebrato dal Poeta nella tragedia La nave, del 1908, e ribadito qui da un modellino ligneo di nave collocato sopra una colonnetta di marmo nei pressi del mappamondo e ricordato anche dal grande modello di galera veneziana, impiegato per illuminazione e posto sopra l'organo, spesso suonato da Luisa Baccarà. 

La stanza, oltre a contenere gran parte della biblioteca d'arte Thode, fungeva da cenacolo per ospiti particolari: artisti, editori e scrittori. La Sala del Mappamondo custodisce un piccolo sacrario dedicato a Napoleone, con la maschera funeraria dell'imperatore, la tabacchiera risalente all'ultimo periodo di esilio e una copia del Mémorial de Sainte-Hélène. 

Accanto al sacrario napoleonico d'Annunzio ha voluto rendere omaggio a un'altra figura che gli era particolarmente cara, quella di Dante, ricordato in un celebre appunto autografo: "La poesia italiana comincia con 200 versi di Dante e - dopo un lungo intervallo - continua in me". In una nicchia di damasco rosso, d'Annunzio ha fatto incastonare la xilografia di Adolfo De Carolis, Dante Adriacus, realizzata a Fiume nel 1920.  

Altri riferimenti al passato e all'arte greca si trovano nella Stanza della Zambracca, a cominciare dai calchi delle teste dei Cavalli di Helios del Partenone, insieme agli animali portafortuna, in particolare gli elefanti in vetro di Murano realizzati da Napoleone Martinuzzi. 

Gabriele utilizzava questo piccolo ambiente sia come studiolo sia come anticamera e l'aveva dotata di una fornitissima farmacia (da qui il nome Zambracca, cioè donna di servizio, ma anche meretrice). 

La stratificazione degli oggetti, soprattutto sulla scrivania, è veramente massiccia: sculture cinesi si alternano a porcellane giapponesi e ad argenti di gran pregio, tra cui il calamaio di Mario Buccellati con due tartarughe in agata e la testa d'aquila realizzata da Renato Brozzi con due diamanti al posto degli occhi, la testa in gesso dell'Aurora di Michelangelo, cristalli di rocca, bronzi cinesi e la xilografia di Guido Marussig dedicata al Trasporto della Santa Casa di Loreto, rappresentazione particolarmente evocativa per d'Annunzio da quando la Madonna di Loreto fu proclamata patrona degli aviatori nel 1920.

Fu proprio al tavolo da lavoro della Zambracca che il Poeta morì il 1° marzo 1938 alle 20.05, per emorragia cerebrale, esattamente come aveva previsto qualche anno prima:

La sensazione della corda nel cervello - che è per spezzarsi, che può spezzarsi. Il senso della morte improvvisa.

Gli occhiali, che gli caddero dalla testa, sono ancora lì, e il calendario sulla porta della "farmacia" è fermo al febbraio 1938. 

"Genio et voluptati", cioè "Al genio e al piacere", si legge prima di entrare nella stanza da letto di Gabriele, chiamata Stanza della Leda per il gesso dorato di Leda amata da Zeus in forma di cigno. "Stanotte - scrive al suo architetto - ho veduto la Leda singolarmente collocata. Archeologicamente e artisticamente" in una nicchia creata ad hoc proprio di fronte all'alcova, come una sorta di protettrice del piacere. 

A rafforzare ancora di più l'atmosfera di sensualità contribuiscono le sculture priapesche in argento e bronzo, una piccola copia in gesso di Afrodite, ornata con collane di lapislazzuli e malachite, e il dipinto di Mario De Maria, appeso sulla testata del letto, Sinfonia. Après midi d'un faune. Il tema amoroso aleggia letteralmente anche sul soffitto della stanza, dove Guido Marussig ha dipinto tra le travi lignee i primi diciotto versi della canzone dantesca "Tre donne intorno al cor mi son venute...". 

Dopo la sistemazione della copia in gesso del Prigione morente di Michelangelo, Gabriele decide di ricoprirlo dalla cintola in giù, con un tessuto ricamato in oro, per dissimulare "la corta fiacchezza delle gambe in confronto di quel sublime torso". Non ancora contento, e deciso a mettere in risalto la virilità della parte superiore, ne fa dorare alcune parti e aggiunge bracciali preziosi e una fusciacca dorata in vita.

Nella Stanza della Leda risaltano anche i sei elefanti da parata, in maiolica, acquistati in Francia dalla moglie, Maria Hardouin di Gallese,  insieme alla preziosa coperta in seta del letto, alle ceramiche faentine dipinte da Pietro Melandri, alle maioliche cinesi, persiane e indocinesi, alle sculture in smalto. Gli oggetti abbondano anche sui tavolini - disegnati dal Poeta - e sul comò decorato con lacche cinesi sul quale è disposto un vero e proprio bestiario: animali in vetro di Lalique, in argento e pietre semipreziose, in ceramica e in alabastro.  

Inondata di luce è la Veranda dell'Apollino, creata da Maroni proprio perché la luce non entrasse direttamente nella Stanza della Leda. Il nome deriva dalla statua di Apollo, collocata centralmente e già presente nello studio del Poeta ad Arcachon, in Francia.

Accanto all'Apollino - decorato da d'Annunzio con un fascio di spighe legato al polso, collane di lapislazzuli e un perizoma in tessuto e pietre - il calco della Psiche di Capua, personalizzato con una doratura. 

Alle pareti, imponenti calchi delle metope del Partenone e libri collocati in moderni tavolini girevoli alternati a oggetti dì ogni tipo: sculture zoomorfe, canestri con melagrane che riprendono i dipinti del soffitto, frutti in vetro di Murano, vasi con fiori di madreperla, gessi dorati, coralli, statuette dei prediletti levrieri, un ritratto della Duse e uno della madre.

Gabriele era solito sostare nella "Loggia dell'Apollino" per leggere e sbrigare la corrispondenza - specialmente quella amorosa - nello scrittoio nascosto dietro al paravento, come ricorda la governante-amante Aélis in un passo del suo diario. 

La sovrabbondanza degli oggetti, soprattutto orientaleggianti, raggiunge l'apice nel Bagno Blu, attiguo e comunicante con la Stanza della Leda: è impossibile descriverli tutti (sono circa novecento) e contemplarli in un solo sguardo. La ricchezza dei colori, delle luci e dei riverberi creati da ogni singolo oggetto, amplificati dai sanitari, modernissimi per l'epoca, di colore blu oltremarino crea un ambiente suggestivo e particolare, come particolari sono le numerose "mattonelle persiane" giunte al Vittoriale in momenti diversi e frutto di un'attenta ricerca di d'Annunzio.

Non mancano i rimandi alla classicità, per esempio la copia in gesso dell'Athena Lemnia di Fidia e il verso di Pindaro "Ottima è l'acqua", dipinto da Guido Marussig e ripetuto quasi ossessivamente nel soffitto. Il tema dell'acqua è ripreso attraverso la presenza di una gran quantità di bacili, in porcellana, argento, e di una serie di animali acquatici che si aggiungono agli altri fino a creare una sorta di zoo: pavoni, cani, serpenti, coccodrilli, pantere, gazzelle e falchi. 

Sul tavolo da toeletta al centro della sala, il prezioso servizio in argento composto di pettini, spazzole, scatole per la cipria e sul lavabo le bottigliette dell'Acqua Nuntia, il profumo realizzato da Gabriele per ospiti e amanti.  

Accanto al Bagno blu, una piccola ritirata rivestita di pannelli blu notte con bordi rossi - i colori del Vittoriale - ripresi anche dalla  Vetrata degli alcioni, realizzata dal maestro vetraio Pietro Chiesa. A contrastare l'armonia della vetrata sono quattro mascheroni teatrali giapponesi, tipicamente "espressionisti". 

Dalla Stanza della Leda attraversando il Bagno blu Gabriele poteva raggiungere la Stanza del Lebbroso, l'ambiente più enigmatico e misterioso della Prioria, quello che d'Annunzio ha curato personalmente giorno dopo giorno con grande attenzione, il più intimo e raccolto, dove si ritirava in meditazione per gli anniversari di morte della madre (27 gennaio 1917), di Eleonora Duse (21 aprile 1924) e degli amici. E' il luogo che il Comandante riscalda col suo "alito immortale", in cui "non potrà vivere se non la mia morte"; proprio qui verrà deposto - per sua volontà - la notte tra il primo e il 2 marzo del 1938, vegliato da Gian Carlo Maroni. "I vecchi nostri cristiani", è la spiegazione della stanza data da d'Annunzio, "onoravano il lebbroso come un confessore della fede. Io sono lebbroso e confessore".

Non appena varcata la soglia della stanza, lo sguardo è calamitato dalla zona dell'alcova: al centro il letto-bara con accanto il San Sebastiano ligneo; ai lati le due balaustre dorate sembrano formare una sorta di palcoscenico, al centro della parete il quadro dì Guido Cadorin che contiene il riferimento al nome della stanza: San Francesco abbraccia d'Annunzio-lebbroso. Tutto l'ambiente è infatti permeato di una forte valenza francescana, costantemente ribadita nelle varie decorazioni presenti, ispirate a d'Annunzio da un libro, poco conosciuto ma a lui preziosissimo, conservato al piano superiore nell'Officina, la sua stanza di lavoro, fitto di annotazioni: la Storia di San Francesco d'Assisi di Chavin de Malan. Il libro detta a Gabriele, pagina dopo pagina, tutte le raffigurazioni presenti nella stanza: dall'immagine di sé stesso lebbroso accudito dal santo a quella delle cinque sante soccorritrici dei miselli (poverelli) dipinte da Cadorin sul soffitto, a quella delle vetrate "Stelle del cielo" e "Rivi e fonti / Fiori e foglie" realizzate da Pietro Chiesa, al dipinto collocato sopra la porta d'ingresso che ritrae Maria Maddalena mentre versa aromi sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli, sempre opera di Cadorin.

Per completare la stanza francescana Gabriele ha voluto alle pareti un rivestimento, in tessuto di daino tagliato a riquadri tenuti insieme da lacci dorati, che nel 1924 gli costò 42.000 lire, ben lontano dalla tanto celebrata "povertà francescana". 

Uscendo dalla Stanza del Lebbroso si percorre lo stretto Corridoio della Via Crucis, decorato alle pareti con il tessuto "vaiato" e i motti francescani "Pax et Bonum" / "Malum et Pax" e da una serie di pannelli a smalto di Giuseppe Guidi con le stazioni della Via Crucis,  che giungono fino all'angolo dove si trova il calco di un Piagnone, copia di quelli della tomba di Philippe Pot a Parigi. 

L'ultimo tratto del corridoio conduce alla Stanza delle Reliquie, che rappresenta "l'empito lirico della mia sintesi religiosa". In effetti l'accumulo di idoli esprime la particolare religiosità di Gabriele: "Aspiro al dio unico, cerco il dio sovrano". 

Qui il Comandante rivela la sua idea del sacro, a partire dalla cosiddetta "piramide degli idoli", costituita alla base da una gatta addormentata insieme ai suoi cuccioli e a due coniglietti di terracotta a rappresentare il mondo terreno; poco più sopra due cani Fo dell'Olimpo cinese, e a salire via via immagini di Buddha e di idoli con figure di uccelli, fino alla Madonna in trono col Bambino. 

Sopra la piramide si contano quarantuno statue lignee di angeli, santi vescovi e martiri; appesi a un paravento, smalti di Giuseppe Guidi raffiguranti alcuni episodi della vita di Cristo e del santo di Assisi, mentre da un lato della piramide la teca in vetro e ferro contenente una croce processionale dipinta da un maestro giottesco della prima metà del Trecento. 

Alle immagini sacre si mescolano le reliquie di guerra del Comandante: sul soffitto, il vessillo in seta rossa della Reggenza Italiana del Carnaro con al centro la costellazione dell'Orsa Maggiore circondata da un serpente che si morde la coda e il motto "Si spiritus prò nobis. Quis contra nos?" (Se lo spirito è con noi. Chi sarà contro di noi?); sulla parete occidentale della stanza l'imponente altorilievo del Leone di san Marco e il dipinto, sempre del Leone di san Marco, di Guido Marussig. L'altorilievo fu donato al Poeta dalla città di Genova a ricordo del discorso interventista pronunciato a Quarto nel maggio 1915; invece l'opera di Marussig è una vera e propria reliquia dannunziana, in quanto il dipinto si trovava nel palazzo del governo a Fiume e venne colpito da una scheggia di proiettile della nave Andrea Doria - ancora lì conficcata e visibile - durante il bombardamento dei "Natale di sangue" del 1920.  

A queste reliquie si devono aggiungere quelle presenti sul ciborio ligneo del Cinquecento, collocato sotto l'altorilievo, come il volante deformato del motoscafo di Henry Segrave, morto nel lago di Windermere nel tentativo di superare il record di velocità, e la teca in vetro soffiato di Napoleone Martinuzzi contenente fili di seta dorati che ricordano i capelli biondi di santa Chiara, tagliati con l'ingresso in clausura.  

La clausora di Assisi, però, non è quella del Vittoriale e nella Stanza delle Reliquie Gabriele ha voluto suggellare la sua particolare visione del sacro e dei sette vizi capitali con un'iscrizione divenuta anche un suo famoso motto: "Cinque le dita, cinque le peccata", ovviamente sono esclusi la lussuria e l'avarizia: Dante colloca avari e prodighi nello stesso girone dell'infero, e il prodigo d'Annunzio non vuole in nessun modo venire accostato all'inferno

La stanza ospitava spesso piccoli concerti eseguiti da Luisa Baccarà al pianoforte, oggi ricoperto da un prezioso tessuto in lamé, vicino al quale il Poeta ha voluto la vetrata di Santa Cecilia (protettrice dei musicisti), realizzata da Pietro Chiosa su disegno di Guido Cadorin.

La vetrata, con il suo articolato gioco di colori, amplifica il carattere sacrale del luogo e raffigura la santa con il volto della Baccara rapita dall'estasi musicale, insieme alle teste - ironicamente mozzate ai piedi dell'organo - di Maroni e Cadorin. 

Un'altra vetrata di Pietro Chiesa, dedicata agli strumenti musicali, introduce a un luogo poco o per nulla frequentato da Gabriele: la cucina.  Era, infatti, piuttosto il regno della cuoca, Albina Becevello, al servizio del Poeta fin dai tempi della Casetta  Rossa a Venezia. Soprannominata Suor Intingolo, Suor Ghiottizia e la Santa Cuciniera, Albina soddisfaceva tutti i - modesti peccati di gola di Gabriele, grazie anche all'attrezzatissima cucina del Vittoriale che, oltre al camino e allo scaldavivande, disponeva di utensili rari per l'epoca, una ghiacciaia e addirittura un frigorifero elettrico. Le richieste del Comandante potevano arrivare a ogni ora del giorno e della notte, precise e dettagliate, per sé e per le frequenti ospiti: Cara Albina, ti prego di svegliare e incitare il tuo genio per comporre un sublime Risotto alla Milanese - da offrire a una vera 'meneghina' che lo colloca fra le bonissime cose del basso mondo - ma dopo il 'Principino'.  

Dalla cucina, passando davanti alla cabina del telefono (il Poeta aveva il numero 104) e percorrendo il corridoio Gamma, chiamato così per la forma analoga a quella della lettera dell'alfabeto greco, si passa a un altro luogo che potremmo dire "di servizio" della Prioria, la cosiddetta ritirata delle Marionette

È un piccolo ambiente dotato di guardaroba e di un salotto da toeletta, particolarmente originale e suggestivo per la presenza, all'interno di tre finestre cieche, di altrettante marionette veneziane - molto espressive e ironiche - del XVIII secolo. Qui venivano preparate le "Badesse di passaggio", amanti appunto passeggere.

L'originalità contraddistingue anche la Stanza del Giglio, uno studio-biblioteca che raccoglie nelle sue numerose scaffalature circa tremila volumi di storia e letteratura italiana, un armonium spesso suonato da Luisa Baccarà e due curiose nicchie, piene di libri annotatissimi da Gabriele, che spesso sostava nella stanza per ascoltare la musica di Luisa o per ritirarsi, solo, in uno "studio matto e disperatissimo" - secondo l'espressione di Leopardi - che poteva durare anche giorni interi.

Per la decorazione pittorica della stanza, eseguita da Guido Marussig, il Poeta ha voluto rami di ulivo e gigli fioriti, che rimandano al fiore dell'Annunciazione, non a caso offerto a Maria dall'arcangelo Gabriele, e al ciclo di romanzi del Giglio, di cui faceva parte Le vergini delle rocce. 

"Una luce d'oro quasi paradisiaca" si diffonde nell'Oratorio dalmata, la sala d'attesa per gli ospiti ben accetti, che il Poeta ha voluto collegata direttamente al Vestibolo, in modo da creare continuità con i due ambienti mistico-sacrali. Accentuano l'atmosfera religiosa gli stalli in noce di un coro seicentesco, le iscrizioni francescane dedicate a "Frate Fuocho" e "Suor Aqua", presenti sul caminetto e sulla fontanella disegnati da Maroni, preziose edizioni di esercizi spirituali, messali, candelabri, incensieri, aspersori, calici, navicelle e turiboli, insieme al dipinto che domina la stanza raffigurante Giobbe ricoperto dalle piaghe.

Alle reliquie sacre il Comandante ne ha avvicinate di moderne, la colonnina romanica con il leone di Dalmazia proveniente da Arbe, la cassetta in smalto su rame di Guidi con la terra dalmata - da qui il nome della stanza - e, incastonata sul soffitto, l'elica dell'idrovolante di Francesco De Pinedo, che nel 1925 effettuò il volo di 55.000 chilometri tra Sesto Calende (23 aprile), Melbourne (17 ottobre) e Tokyo (7 novembre). 

Alla Scala di Giobbe - richiamo al vicinissimo dipinto - che conduce al piano superiore della Prioria d'Annunzio dedicò una lettera a Maroni: Caro Gian Carlo, la scala libraria è certamente costruita per le ascensioni di Giobbe. E forse i nipoti di Giobbe, alla undicesima generazione, la vedranno terminata e canteranno le lodi dell'Architetto perpetuo.

Gabriele con la sua consueta ironia voleva che la scala fosse terminata quanto prima, decorata con due dei suoi motti più famosi - "Per non dormire" e "lo ho quel che ho donato" - per potervi collocare un gran numero di volumi dalle legature preziose.

Sul pianerottolo in cima alla scala, a destra in alto campeggia una mano sinistra mozzata e scorticata che, con la scritta "Recisa quiescit" (Tagliata riposa), introduce allo Scrittoio del Monco, una "nuova biblioteca" di letteratura francese e italiana - così la definisce il Poeta - adibita al disbrigo della corrispondenza. 

La mano mozza sta a significare l'impossibilità di Gabriele di rispondere alle numerose lettere che riceveva ogni giorno, motivo ribadito anche nel soffitto, decorato da Marussig, nel quale una mano guantata riporta i motti "Todo es Nada" (Tutto è nulla) e "Tuerto y derecho" (A torto e a dritto), insieme a decorazioni musicali provenienti dalla sala della musica del palazzo ducale di Mantova.

La stanza ospita una parte delle librerie provenienti dalla Capponcina, salvate dalla forzata vendita all'asta del 1910 per saldare i debiti contratti dal Poeta, qui riadattate all'ambiente e decorate lungo le cornici superiori con massime attribuite a Leonardo da Vinci: come quella - che d'Annunzio riconosce adatta a sé stesso. 

Accanto allo Scrittoio del Monco c'è lo studio di Gabriele, l'Officina, il luogo per eccellenza adibito alla scrittura, alla lettura, alla ricerca di nuove fonti, e per questo luminoso. Qui, scrive a Maroni, "ho conosciuto alcuni attimi di felicità. Tutto è perfetto". È davvero tutto perfetto, tutto ordinato nelle scaffalature in rovere chiaro, disegnate da Maroni a imitazione degli studioli rinascimentali, che contengono i suoi preziosi strumenti di lavoro: dizionari, repertori, volumi colmi di segni di lettura, guide turistiche, edizioni delle sue opere, che si alternano a oggetti intimi e cari come il calco in gesso del volto di Eleonora Duse realizzato da Arrigo Minerbi, ribattezzata la "testimone velata", perché spesso Gabriele - per non essere distratto dal suo ricordo durante la scrittura - la velava con un foulard. 

Impreziosiscono l'ambiente, oltre al tessuto cosiddetto "vaiato" bianco e nero della manifattura Lisio di Firenze, alle pareti fotografie della Cappella Sistina, delle tombe Medicee, delle opere di Botticelli, i calchi in gesso della Corsa dei cavalieri del fregio del Partenone e, al centro della stanza, la Nike di Samotracia. Pochissime persone venivano ammesse in questo luogo sacro dedicato alla creazione e all'arte, dove d'Annunzio trascorreva giorni e notti interi. 

"Hoc opus hic labor est" (Qui è l'opera, qui è la fatica) si legge sulla porta d'ingresso che teneva sempre chiusa a chiave per tutelare le sue preziose carte: "Quando vieni, domandami la chiave dell'officina", scrive a Maroni, "e veglia su le mie carte". Ma anche l'architetto doveva abbassarsi all'ingresso, perché per salire i tre gradini occorre chinare il capo: una particolarità voluta dal Poeta - lui era l'unico che non doveva inchinarsi, essendo l'ingresso a sua misura - come una sorta di omaggio alla sua arte e al suo genio.  

"Clausura" si legge accanto alla porta a grate lignee che si apre sulla parte più nascosta della Prioria (visitabile solo in alcune occasioni), quella nella quale risiedevano le donne del Comandante: Luisa Baccarà, Aélis Mazoyer, la governante-amante di fiducia dei tempi di Arcachon che lo ha seguito durante la guerra e raggiunto al Vittoriale, e di tutte le ospiti importanti che Gabriele era solito accogliere - con l'aiuto di Aélis - dotandole di abiti delle migliori sartorie italiane, gioielli, essenze e profumi, ancora oggi conservati nella stanza a loro riservata e nell'attiguo bagno blu notte - modernissimo per i tempi - dove campeggia la frase ironica "Ottima è l'acqua / Trista è la donna ". 

Le vestizioni delle ospiti - gli abiti sono ancora appesi negli armadi - avevano luogo proprio accanto alla stanza e al salotto di Luisa che, ormai, dal "volo dell'arcangelo" non aveva più rapporti sessuali con Gabriele. Le due stanze, diversissime da quelle della Prioria, trasmettono semplicità: pochi oggetti, qualche quadro e qualche riproduzione fotografica di opere d'arte famose, divani settecenteschi di proprietà del Thode; uniche note preziose il lampadario e l'alzata del tavolo di Venini. 

La stessa semplicità si respira nella stanza tutta verde di Aélis, anche qui pochi oggetti, alcune bambole, un piccolo comò e la scrivania alla quale si sedeva per scrivere il diario, racconto preciso e dettagliato di ciò che quotidianamente accadeva nella Prioria, dei suoi sentimenti e dei suoi stati d'animo. 

Una particolarità della Clausura è il bagno - crudelmente in comune - di Luisa e Aélis. Progettato da Maroni, rivela l'attenzione dell'architetto per le nuove forme e soluzioni proposte dai designer degli anni venti e trenta: ricoperto da una volta a botte con finestre a lunetta, nicchie quadrate per i servizi, pareti rivestite di marmo, elementi di alluminio - modernissimi - e ceramiche azzurre. 

Uscendo dalla Clausura ritroviamo i simboli e le simbologie care a Gabriele. Il Corridoio del Labirinto rimanda al celebre soffitto del palazzo ducale di Mantova con il dubbioso motto "Forse che sì forse che no" - dall'omonimo suo romanzo del 1910 - impiegato qui nelle decorazioni delle porte e delle rilegature dei circa duemi­la volumi di letteratura francese presenti nelle scaffalature.  

Dai colori tenui del Corridoio del Labirinto si passa ai colori forti della Stanza della Cheli, la sala da pranzo di Gabriele, una vera e propria esplosione di luce nelle tonalità del rosso, dell'azzurro e dell'oro, amplificate e riprese dalle vetrate alabastrine realizzate da Pietro Chiesa. La soluzione architettonica adottata da Maroni - con la volta a botte aperta verso il cielo, le pareti laccate e il motivo della conchiglia ripetuto sul soffitto e nelle sovrapporte - è molto diversa dagli altri ambienti della Prioria.

Il Comandante sosta sovente nella nuova stanza - terminata solo nel 1929 - non per consumare colazioni o cene, ma semplicemente per il piacere di entrarvi e per assorbire un po' dell'allegria che emana. Raramente, infatti, siede a tavola con i suoi ospiti:  

Tutti sanno - e non sanno - che io non mi siedo mai alla mensa della Cheli, o che osservo il digiuno più rigoroso. 
Ti prego di farmi perdonare dai nostri Ospiti. Più tardi salirò senza rinunziare alla mia regola ascetica.

A testimone della "regola ascetica", e di monito dei commensali, Gabriele ha posto sul lungo tavolo il carapace della tartaruga, dono della marchesa Casati Stampa: la tartaruga era morta nei giardini del Vittoriale per un'indigestione di tuberose. Renato Brozzi ne ha modellato il corpo creando una scultura bronzea adagiata su un cuscino in lamè e sulla tovaglia, anche questa creata ad hoc con motivi che riprendono la conchiglia del soffitto e il colore rosso delle pareti. 

Il tema della frugalità è ribadito dal Buddha grasso e dal Buddha magro collocati sul tavolo cinese alle spalle dei commensali. A completare l'articolato gioco di rimandi che ruota intorno alla "regola ascetica" si aggiungono gli oggetti disposti sul tavolo: dai due grandi pavoni in argento, a quelli più piccoli ricoperti di pietre preziose, ai sottopiatti in argento sbalzato su cui compaiono i motti dannunziani e il cordiglio francescano, alla tartaruga lignea giapponese che porta sulla schiena altre piccolissime tartarughine, al gruppo bronzeo di Le Faguays che raffigura un Fauno che insegue una ninfa. Accanto al tavolo, in una nicchia, una copia della Testa di Antinoo, qui in veste di Dioniso con il capo decorato da pampini dorati.

Uscendo dalla Stanza della Cheli si raggiunge Schifamondo, una nuova ala progettata nel 1926 da Gabriele insieme a Maroni. Si tratta di un imponente progetto che comprende una nuova abitazione per il Comandante, il "luogo di una vita nova", e il museo delle reliquie di guerra. Maroni disegna subito nuovi ambienti, più ampi, più moderni, in perfetta armonia con le tendenze degli anni trenta. I lavori, però, si protrassero a lungo e Gabriele non poté mai abitarlo. Ciò nonostante la sua impronta è ben visibile, a partire da quella che doveva essere la sua nuova camera da letto, la Stanza dell'Aurora o Sala dei Calchi, disegnata da Maroni con il soffitto a lacunari dorati che ricordano quelli delle navi e dei piroscafi, come gli arredi realizzati da Ettore Canali. Al centro dell'alcova Gabriele ha voluto una nicchia ornata dall'occhio alato e veggente, opera di Renato Brozzi. Sul letto, invece, appoggiata sulla coperta cosiddetta "del gallo" - copia di quella di Carlo Magno conservata ai Musei Vaticani - la sua maschera funeraria, modellata da Arrigo Minerbi. 

Il corpo di d'Annunzio fu esposto qui il 2 marzo prima dei funerali, ai quali presenziò Mussolini accanto alla moglie del Poeta, Maria Hardouin di Gallese. Nell'ampia sala Gabriele ha disposto accanto al letto i due Prigioni dì Michelangelo e al centro la copia dell'Aurora (che da il nome alla stanza) delle Tombe Medicee di Firenze, mentre alle pareti - alternati alle vetrate alabastrine di Pietro Chiesa - ci sono altri Prigioni e una copia in gesso della Madonna col Bambino. 

Successivamente giunsero al Vittoriale e furono collocati nel 1958 proprio qui sei quadri di Gaetano Previati, commissionati da Alberto Grubicy e pensati per una sala musicale, poi donati a d'Annunzio quale reggente di Fiume.

Oggi la Stanza dell'Aurora fa parte del museo "D'Annunzio Eroe", realizzato dall'ambasciatore Antonio Benedetto Spada e La Piazzetta dalmata e i Loggiati dedicato ai cimeli e alle reliquie di guerra di Gabriele. Il museo si articola in una serie di stanze nelle quali sono conservati, per esempio, il motore Isotta Fraschini dello S.V.A. con cui il Comandante volò su Vienna, il Gonfalone della Reggenza Italiana del Carnaro - già incontrato nel soffitto della Stanza delle Reliquie - e il pastrano in tela cerata indossato durante la Beffa di Buccari la notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918.

Dal 2011 sono state allestite due nuove sale che contengono una settantina di oggetti (armi, uniformi, bandiere, autografi) depositati al Vittoriale nello stesso anno e appartenenti alla collezione dell'ambasciatore Spada, che ha voluto dedicare le sale al figlio Mario, scomparso prematuramente.

Una vetrina contiene il lungo manoscritto della Notte di Caprera, il componimento che Gabriele ha dedicato a Garibaldi, un eroe come lui.

Incontriamo poi la Sala delle Pergamene, che doveva essere la nuova stanza di Luisa Baccarà, lo scalone delle bandiere con il gonfalone del Principe di Montenevoso e la Coppa dell'Oltranza realizzata da Renato Brozzi, il corridoio e la Stanza del Camino con la combinata di volo usata durante il volo su Vienna il 9 agosto 1919 e il doppio comando di aereo Caproni, donato al Poeta da Filippo Tommaso Marinetti in occasione della sua visita al Vittoriale il 10 febbraio del 1938.

Nella stanza della vasta tavola piena di "segreti", desidero passare alcune ore io solo, così che il legno laborioso divenga la sostan­za stessa della mia volontà d'arte futura. Così Gabriele descrive il suo nuovo tavolo da lavoro, sempre disegnato da Maroni, immenso, funzionale e ispirato agli interni delle navi, motivo ribadito anche dalle finestre a oblò con vetri alabastrini. Al centro della scrivania, il calco in gesso della Venere di Cirene e tutto intorno i cimeli di guerra del Comandante: dalla Statua del fante di Giacinto Bardetti al Cofano e alla Bandiera della Regia Nave Puglia, dal suo medagliere alle divise e al dipinto di Romaine Brooks che lo ritrae in divisa di aviatore.

Non si contano i ricordi e gli oggetti del suo passato di aviatore di guerra: dal piccolo libro delle Lettere di santa Caterina da Siena, che Gabriele portò con sé nel volo su Vienna, ai volantini gettati sulla città e alla carta di bordo, ai guanti del volo su Cattaro del 4-5 ottobre 1917, ai sacchetti tricolore porta-messaggi del volo su Pola, la notte tra l'8 e il 9 agosto 1917.

Gabriele, sempre alla ricerca del "bisogno imperioso della vita violenta - della vita carnale, del piacere, del pericolo fisico, dell'allegrezza", ha voluto in qualche modo vedere rappresentate queste sue celebri parole - scritte a Eleonora Duse - nella vetrata allegorica collocata accanto al suo studio, opera di Pietro Chiesa e di Gio Ponti: raffigura un "Principino" sorridente, espressione quanto mai significativa di quel piacere rincorso, cercato e appagato durante tutta la vita.

Gabriele voleva avere accanto a sé lo S.V.A. biposto con il quale il 9 agosto 1918, dal campo di San Pelagio nei pressi di Padova, raggiunse Vienna per il lancio di 40.000 volantini. Il celebre velivolo, decorato sulla carlinga con i dipinti di Guido Marussig, giunse al Vittoriale nel gennaio del 1935. La sua sistemazione non poteva che essere scenografica e suggestiva: all'interno di una grande sala a struttura poligonale, oggi chiamata Auditorium.

Oltre a essere sede di convegni di studio, conferenze, concerti e manifestazioni, l'Auditorium ospita al piano superiore l'Omaggio a d'Annunzio, una mostra di opere permanenti e itineranti di artisti contemporanei.

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Luglio 2015 - Luglio 2017