- Vittoriale
degli Italiani
"Il
palazzo è vuoto. Fiume è senza
musica",
scrive Gabriele d'Annunzio a Luisa
Baccarà - la giovane pianista veneziana che
lo ha accompagnato nell'impresa e che lo
seguirà anche al Vittoriale - pochi mesi
prima di abbandonare per sempre la
"città di vita". Nel gennaio del
1921 il Comandante, dopo essersi accomiatato
dai suoi legionari, lascia veramente il
palazzo del Governo di Fiume, bombardato, e
raggiunge in automobile Venezia, dove lo
attendono la fedelissima Aélis - la
governante-amante - e una nuova dimora: il
palazzo Barbarigo della Terrazza sul Canal
Grande.
A Venezia, però, Gabriele non
riesce più a vivere, troppi ricordi
affiorano nella sua mente, in particolare
quelli dei compagni che non ci sono più. In
quel momento è, probabilmente, l'uomo più
celebre al mondo. Già famosissimo alla fine
dell'Ottocento per la sua poesia, i suoi
romanzi,
i
suoi amori, le sue imprese di guerra e quella
di Fiume ne hanno fatto un mito, la
realizzazione ottocentesca dell'artista
risorgimentale e del superuomo nicciano.
Ha 58 anni e tutti si chiedono dove
andrà a proseguire le sue inquietudini.
Gabriele chiede ai collaboratori e agli
amici di cercagli un luogo
tranquillo, magari un lago, dove potersi
ritirare: "Sono avido di silenzio dopo
tanto rumore, e di pace dopo tanta
guerra". Al segretario Tom Antongini
affida la ricerca della zona del
Garda: "Sento che è là il mio destino", gli dice. E Antongini trova
esattamente quello che stava cercando: la villa
Cargnacco a Gardone
Riviera, immersa nel verde, di proprietà
dello storico dell'arte tedesco Henry Thode,
a cui era stata confiscata dallo stato
italiano dopo lo scoppio della Grande
Guerra.
Giunge a Gardone per visitarla e
ne rimane subito
colpito, soprattutto quando scopre che la
villa contiene una biblioteca di oltre
seimila volumi. Ha l'aria della vecchia
residenza
di un parroco, intorno a sé poca terra, decide di
affittarla per sei mesi e poco dopo decide
di acquistarla dallo stato. Fino ad allora,
se si esclude la casa natale di Pescara,
non aveva mai posseduto una casa di proprietà.
Invece la villa di Cargnacco diventerà il
Vittoriale degli Italiani, una casa-museo
monumentale la cui costruzione lo
appassionerà come la stesura di un'opera
d'arte. E il Vittoriale - donato agli
italiani nel settembre del 1930 - è di
fatto l'ultimo capolavoro di Gabriele.
A
coadiuvarlo nella realizzazione del suo
imponente progetto ingaggia il giovane
architetto trentino Gian Carlo Maroni:
"Spero che ci potremo intendere,
se bene tu sia di Riva ed io di
Pescara". È
l'inizio di un sodalizio artistico -
creeranno insieme la "Santa
Fabbrica" del Vittoriale - e di una
profonda amicizia; a volte era sufficiente
che l'architetto si allontanasse per qualche
giorno perché Gabriele ne sentisse subito
la mancanza.
Inizia
così la costruzione del
Vittoriale che ha come obiettivo primario
quello di "stodeschizzare" la
villa di Cargnacco, cioè eliminare tutti i
riferimenti al precedente proprietario.
D'Annunzio non vuole vicini e acquista, fra
il 1922 e il 1935, altri terreni, la villa
Mirabella, l'Hotel Washington in disuso, la
Torre-Darsena sul lago e il frantoio, per
completare il disegno che aveva in mente.
Nella
"Santa Fabbrica", che diventerà
di in giorno sempre più grandiosa, oltre a
Maroni furono
chiamati alcuni fra i più famosi artisti
dell'epoca: Guido Cadorin, che decorerà la
Stanza del Lebbroso, Napoleone Martinuzzi
che realizzerà l'illuminazione in vetro di
Murano della Stanza della Musica, Guido
Marussig ce dipingerà il soffitto della
Stanza della Leda (la stanza da letto di
Gabriele), Pietro Chiesa che forgerà le
vetrate della Prioria, Renato Brozzi che
creerà la tartaruga della Stanza della
Cheli e la polena della Regia Nave Puglia; e
ancora: Arrigo Minerbi, Alessandro
Mazzucotelli, Gio
Ponti, Mariano
Fortuny, Giuseppe Guidi, Mario Buccellati,
Giacinto Bardetti, Leonardo Bistolfi.
Grazie alla loro opera, Gabriele crea
particolarissime atmosfere della Prioria, la
"casa del priore". Ogni ambiente
assume una valenza simbolica,
rappresentata e trasmessa dai
numerosissimi
oggetti, circa diecimila, che affollano le
stanze, decorate anche con motti, frasi
enigmatiche, citazioni letterarie che
d'Annunzio ha inserito come se si trattasse
di un'opera scritta sulla carta.
Gabriele
si esaltava davvero quando doveva comporre
una stanza del Vittoriale o un particolare
allestimento dei giardini, come nel caso
dell'Arengo. Le
colonne saranno innalzate esattamente dove
desiderava Gabriele, così come ogni singolo oggetto della Prioria sarà
collocato nel luogo da lui pensato, ogni
decorazione sarà eseguita secondo le sue
indicazioni, come ribadisce spesso a Maroni.
Senza
dubbio Gabriele inventò il Vittoriale, che
diventò un cantiere perpetuo, un continuo
alternarsi di maestranze al lavoro, artisti
e personaggi famosi che volevano visitare e
vedere l'ultima sua opera: da Arturo
Toscanini a Tazio Nuvolari a Francesco De
Pinedo, a Guglielmo Marconi, Italo Balbo,
Ugo Ojetti, Guido Treves, Arnoldo Mondadori,
Paul Valéry, senza dimenticare ovviamente
Benito Mussolini che finanzia il Vittoriale
per tenere occupato colui che potrebbe
opporsi al suo regime. A guardia del Vate
Mussolini mette il questore Giovanni
Rizzo, che segue da vicino ogni sua mossa e
monitore
ogni sua iniziativa, registrando giorno
dopo giorno i cambiamenti apportati alla
villa e al territorio circostante, come alla
piazza del Vittoriale, modificata
radicalmente da Maroni con la realizzazione
del Sacrario dei Caduti, che oggi ospita
sulla torretta di guardia una scultura di
Ugo Riva messa a disposizione nel 2012 dal
Vittoriale. Rizzo, però, non poteva monitorare il continuo andirivieni
delle amanti di Gabriele, erano davvero
troppe le cosiddette "Badesse di
passaggio", famose e meno famose, che
con la complicità di Aélis si alternavano
sotto gli occhi della Baccarà, ormai
relegata al solo ruolo di padrona di casa.
Dalla marchesa Luisa Casati Starnila ad
Antonietta Treves, da Tamara de Lempicka a
Ida Rubinstein, a Elena Sangro, a Hevelina
Morasso Scapinelli a tutte quelle meno
conosciute che ispiravano a Gabriele una
sorta di "filosofia della donna"
e soprattutto quel piacere da sempre
perseguito, ricercato e appagato che gli era
indispensabile nella creazione.
All'ingresso
del Vittoriale d'Annunzio volle scrivere
"lo ho quel che ho donato". Lo
stesso possono dire gli italiani, che lo
finanziarono in parte con un investimento
vantaggiosissimo: oggi il
Vittoriale produce cultura e bellezza, è stato visitato e verrà ancora visitato da
milioni di persone da tutto il mondo, da
lavoro a decine di persone e contribuisce
all'economia di tutto il Garda.

Il
parco: "Avrò qui colonne insigni per
tutti gli eroi"
Nell'atto
di donazione del Vittoriale allo stato
italiano, firmato il 7 settembre del 1930,
Gabriele scrive a chiare lettere:
"Di
anno in anno io vado scegliendo e disponendo
e catalogando, per seguire e compiere un
disegno di decorazione interna premeditato
in lunghi studi e destinato quindi a
rimanere intatto secondo la mia volontà di studiosissimo artista. Ogni
oggetto da me scelto e raccolto nelle
diverse età
della mia vita fu sempre per me un modo di
espressione, fu sempre per me un modo di
rivelazione spirituale, come uno dei miei
poemi, come uno dei miei drammi, come un
qualunque mio atto politico o militare, come
una qualunque mia testimonianza di diritta e
invitta fede."
Il Vittoriale segue dunque un
disegno tracciato
giorno dopo giorno da
Gabriele
con
l'aiuto di Maroni, che più volte si sentì dire
appunto "ho il mio disegno", un
disegno che comprende la trasformazione
della "vecchia casa colonica" in
Prioria e del parco in un sacrario di memorie con le "reliquie della nostra
guerra" incastonate come "una
gemma rara"
Prima "gemma rara"
è l'ingresso del Vittoriale, disegnato da
Maroni e costituito da un portale a due
arcate con al centro una nicchia che ospita
una piccola fontana con la scritta studiata
ad hoc da Gabriele:
"Dentro
da questa cerchia triplice di mura, ove
tradotto è
già in pietre vive quel libro religioso
ch'io pensai preposto ai riti della patria e
dai vincitori latini chiamato il Vittoriale.
(Libro segreto)
Al
di sopra un elmo da fante, collocato tra due
cornucopie, protegge lo stemma nobiliare del
Principe di Montenevoso, titolo conferito al
Comandante nel 1924, quando Fiume fu annessa
all'Italia. Un timpano con il celebre motto
dannunziano "lo ho quel che ho
donato" suggella l'entrata del Vittoriale e funge da monito ai visitatori,
che sono accolti da un busto in bronzo
raffigurante d'Annunzio, opera di Venanzo
Crocetti. L'opera è
stata installata nel 2009, prima di una
serie che arricchisce il Vittoriale di
capolavori di artisti contemporanei,
omaggio a D'Annunzio e ai suoi nuovi
visitatori.

I pochi ospiti di Gabriele
entravano dal cancello a sinistra. Oggi, per
esigenze museali e per conservare la
purezza dell'ingresso, la biglietteria si
trova sulla
piazza
del Vittoriale. Da lì si arriva, sotto la
cavea dell'anfiteatro, al museo "D'Annunzio
segreto", allestito nel 2010, che
ospita oggetti personali e intimi di
Gabriele
e usati dalle sue numerose
"ospiti", come gli abiti in pizzo,
le camicie da notte in chiffon di seta, i
sottabiti in crespo di seta. Ci sono anche i
gioielli, le stoviglie, le valigie, gli
abiti di Gabriele, quello da cavallo, quello
da sera, i cappotti, le vestaglie, la
celeberrima camicia da notte con l'ampio
foro profilato in oro per gli incontri
notturni e poi le calzature - se ne contano
più di duecento - tra cui quelle
famosissime con il "Gonfalon selvaggio".
Un piccolo spazio speciale contiene abiti e
lettere di Eleonora Duse, la grande attrice
tanto amata dal Vate. A vegliare sugli
oggetti preziosi del Comandante
all'ingresso del museo ci sono due sculture
in bronzo di Ugo Riva.
Tornati verso
l'ingresso, si percorre il viale che conduce
alla casa di Gabriele, dove ai lati
l'architetto Maroni ha creato una serie di
passaggi, arcate, scalinate, nicchie, tra
cui quella dell'Enigma, fino a raggiungere
l'Arco dell'Ospite e la piazzetta del
Pilo
del Piave e quello del "Dare in
brocca", eretti a imitazione dei
pennoni delle navi da guerra. Proprio alla
prima guerra mondiale rimanda il Pilo del
Piave, che sorregge la Vittoria del Piave,
opera di Arrigo Minerbi e dono della città
di Milano a Gabriele nel maggio 1935. Poco
lontano il Comandante ha voluto anche il
pilo del "Dare in brocca"
(Centrare
il bersaglio), per ricordare l'impresa di
Fiume, costituito da un fregio in marmo
con
tre frecce che colpiscono il centro del
bersaglio e il pennone con la bandiera del
Vittoriale, rossa e blu.

"Una conca
marmorea sotto le stelle", così Gabriele immaginava il
Teatro all'aperto (o Parlaggio) che ha
ardentemente voluto e progettato insieme a
Maroni a partire dal 1931, quando Gian Carlo
andò a Pompei per studiare la struttura del
Teatro Grande. I lavori si conclusero nel
1952 e né Gabriele né Gian Carlo poterono
vederlo terminato, né assistere agli
spettacoli che da allora si tengono nei mesi
estivi. L'anfiteatro si affaccia sul lago,
in una cornice naturale spettacolare. In un
solo sguardo lo spettatore, oltre alla
rappresentazione, può contemplare l'isola
di Garda, la rocca di Manerba, il monte
Baldo e il promontorio
catulliano di Sirmione.
Dal 2010 allo
spettacolo naturale si è aggiunto anche il Cavallo blu, capolavoro di
Mimmo Paladino che domina il palcoscenico
e il lago. Dal teatro si percorre un breve
viale e si raggiunge la piazza dell'Esedra,
disegnata da Maroni a forma di semicerchio e
circondata da doppie arcate sormontate da
sei pennoni per altrettante bandiere.
Di
fronte, il cavalcavia che collega l'ala di
Schifamondo alle Torri degli Archivi con al
centro lo stemma nobiliare di Gabriele -
Principe di Montenevoso - insieme al motto
"Immotus nec iners" (Fermo ma non
inerte). Ma ad attrarre l'attenzione della
piazza è il Tempietto delle Memorie, un
piccolo sacrario che ospitò le spoglie
del Comandante fino al 1963, quando furono
poi traslate nel
Mausoleo.
All'esterno sono murati i bassorilievi
raffiguranti le vedute delle città di Spalato e Zara, eseguiti da Napoleone
Martinuzzi, e le lapidi dei comuni di Pola,
Fiume e Pescara; mentre un viale a destra
(riaperto nel 2015) conduce a un piccolo
giardino da cui si gode una magnifica vista
del lago e dove di recente sono stati
piantati nuovi cipressi - con tanto di nome
- per sostituire quelli caduti negli anni.

Sempre nel lato sinistro dell'Esedra,
sotto il portico e accanto al bookshop, sono
conservate due automobili di Gabriele: la
Fiat Tipo 4 con la quale la notte tra l'11 e
il 12 settembre 1919 si diresse verso Fiume
per conquistarla - ci riuscì e instaurò la
Reggenza Italiana del Camaro - e la Torpedo
Isotta Fraschini, utilizzata
soprattutto negli ultimi anni per corse
velocissime lungo il lago.
La piazza
dell'Esedra conduce finalmente alla casa
di Gabriele, la Prioria, che si affaccia su
un'altra piazzetta, quella Dalmata,
chiamata cosi per la statua della Vergine
con lo scettro della Dalmazia, collocata
alla sommità dell'alto pilo. È composto da un cilindro in
pietra d'Istria, ornato da otto teste di
uomini barbuti, che rappresentano "gli
otto venti della rosa italiana", come
recita l'iscrizione che percorre i gradini
alla base.
Oltre alla casa del Comandante,
sulla piazza si affaccia anche Schifamondo
- la nuova ala voluta da Gabriele - che
oggi ospita il museo "D'Annunzio
Eroe", mentre sulladestra
le due Torri degli Archivi, che contengono
le carte vergate dal Comandante (Archivio
Personale) e quelle della corrispondenza
in entrata (Archivio Generale).
Se dagli
archivi si seguono i loggiati che si aprono
sul lago come in una sorta di teatro
naturale, si raggiunge la tomba di Maria
Hardouin di Gallese, Principessa di
Montenevoso, moglie di Gabriele. Proprio
accanto nel piccolo giardino pensile dal
2014 si può
ammirare la scultura Star di Jacques Villeglé.

Dalla
piazzetta Dalmata, a destra della Prioria,
si accede al portone che conduce al
giardino, ma Gabriele lo raggiungeva
direttamente dall'interno della casa
attraverso una scala esterna che
dal
Corridoio della Via Crucis porta al
Cortiletto degli Schiavoni, gli abitanti di
Schiavonia, nome dato dalla cultura
veneziana all'lstria e alla costa dalmata,
scelto da d'Annunzio per ricordare l'impresa
fiumana e i suoi compagni.
La decorazione
interna riprende quella della facciata della
Prioria: oltre ai tre pozzi, di cui uno
identico a quello della casa natale a
Pescara, Gabriele ha voluto fossero murati
frammenti di lapidi, chiavi di volta in
pietra d'Istria, piccole teste in pietra e
terracotta, stemmi, mascheroni e cesti di
frutta. Ad arricchire la decorazione, lo
stemma di Principe di Montenevoso, dipinto
da Guido Marussig, con accanto la statua
della santa Leprosella, posta a
suggello
esterno della Stanza del Lebbroso.
Attiguo
e comunicante al Cortiletto degli Schiavoni è
il Portico o Loggia del Parente, dedicato
a Michelangelo, il "parente" a
cui Gabriele si sente particolarmente
legato, come scrive a Maroni:
Ho
sotto gli occhi le Rime e le Lettere di
Michelagnolo. Sembra che il
"Parente" mi esprima.
La
presenza del grande artista nella Loggia
si esprime attraverso il busto in marmo
eseguito da Napoleone Martinuzzi e il calco
in gesso del Torso del Belvedere, uno degli
esempi più
significativi, secondo il Comandante,
della
perfezione della forma d'arte. Sul soffitto,
dipinto da Guido Marussig, campeggiano versi
di Michelangelo, mentre tra gli archi del
portico Gabriele ha fatto collocare
colonne, gessi, frammenti di sculture, un
ritratto di Dante, acquasantiere, teste
femminili e un lavabo monastico proveniente
da Asolo, città d'origine di Eleonora Duse.
Nei mesi estivi
ricreava nella Loggia del Parente
l'atmosfera della Prioria e la utilizzava
come sala da pranzo, così comparivano
tappeti orientali, sedie monastiche, tavoli
coperti di stoffe preziose, vasi di Murano,
ceramiche, argenti, poltrone damascate, una
sorta di tableau vivant per gli ospiti e
soprattutto per le ospiti.
Gabriele
si occupa personalmente anche della
decorazione e dell'allestimento degli spazi
del giardino.
Proprio
attraverso due semicolonne cinquecentesche -
sormontate da un architrave in pietra con il
motto "Rosam cape / Spinam cave"
(Cogli la rosa, ma fai attenzione alla
spina) e da una Venere acefala - si accede
al giardino:
sulla
destra una fontana contornata di putti dove
Gabriele amava farsi fotografare; al
centro, invece, la statua di bronzo Frate
sole di Giacinto Bardetti, raffigurante un
san Francesco a braccia aperte - analogo a
quello che incontreremo nella Stanza del
Lebbroso - che sembra accogliere nel suo
abbraccio la casa del Poeta. Accanto al
santo, un piccolo gregge di pecore in bronzo
e l'altorilievo del Leone di san Marco,
proveniente da Sebenico.
Tra i massi dei
monti dove si svolsero le battaglie più dure della Grande Guerra
si scorge la figura in bronzo di un uomo che
sta per scagliare una pietra, con accanto
una muta di lupi in corsa, scultura donata
a Gabriele dalla divisione di fanteria dei
"Lupi di Toscana".
Poco oltre, il
pilo
della
Reggenza del Carnaro, costituito da un
serpente che si morde la coda e dalla
costellazione dell'Orsa Maggiore, e la
Colonna marciana sulla quale veniva issato
il gonfalone di San Marco. Accanto alle
reliquie di guerra, in un piccolo
boschetto di magnolie sotto la Veranda
dell'Apollino, Gabriele ha voluto l'Arengo,
un luogo sacro e suggestivo, per le
cerimonie commemorative delle sue imprese di
guerra e di Fiume.
Luogo
sacro, dunque, dove venivano consumati riti
e rituali. La simbologia, sempre cara a
Gabriele, qui è essenziale: tra le
ventisette colonne, che rappresentano le
vittorie italiane durante la prima guerra,
alcune sono sormontate da proiettili donati
dal generale Armando Diaz, mentre un'altra
contiene un'urna con la terra di Caporetto,
luogo decisivo per la storia d'Italia.
Fulcro dell'Arengo, però, è il trono del
Comandate, ornato da due sfingi, con accanto
la Vittoria alata di Napoleone Martinuzzi
e sui gradini la dicitura:
Non
nisi grandia canto Regimen hinc animi (Non
canto se non cose grandi Da qui il governo
dell'animo).

Accanto
al trono di Gabriele i sedili in pietra a
forma circolare riservati ai fedeli fiumani
e - di fronte - la colonna del Giuramento,
coronata da un capitello romanico e
circondata da torcieri e leggii in ferro,
decorati durante le commemorazioni da fasci
di alloro.
Sul
Garda solatio i limoni che conservano la
forma del fiore suddivisi in cinque lobi si
chiamano 'diele' per allusione alle dita.
Così Gabriele descrive la cosiddetta mano di Buddha,
una particolare pianta di cedro che voleva
sempre presente
nella
sua limonaia. Proprio al di sotto dell'Arengo,
la Limonaia oggi ospita -oltre alle mani di
Buddha - anche il grande Obelisco di
Arnaldo Pomodoro.
Affacciato sul lago, il
Belvedere, ornato da copie di statue
classiche, era utilizzato da Gabriele
soprattutto nei mesi estivi, quando lo
decorava con tappeti, tendaggi, piccoli
tavoli, cuscini, stoffe preziose. Dal
Belvedere attraverso una scaletta si
raggiunge il frutteto, modellato come un
giardino rinascimentale e circondato da
grandi aquile e gigli in pietra, nel quale
svetta su una colonna la Canefora di
Napoleone Martinuzzi, scultura femminile
in bronzo che regge sulla testa un
cesto
carico di frutti.
Vicino al frutteto vi è
un luogo particolarmente caro a d'Annunzio,
il piccolo cimitero dove riposano i suoi
amati cani - levrieri soprattutto -ai quali
ha dedicato un componimento scritto nel 1935
e che oggi si può leggere su una lapide
recentemente collocata, con accanto il
Sarcophaghus di Italo Rota.
Ritornando
verso la Prioria incontriamo la tomba
dell'unica figlia di Gabriele, Renata,
chiamata "Cicciuzza" e nel
Notturno "Sirenetta", che lo ha
assistito a Venezia durante la guerra e
nel periodo in cui perse la vista
dell'occhio destro a causa di un brusco
ammaraggio nelle acque di Grado, nel 1916.
Nei pressi della tomba di Renata si scorge,
al
di là del muro, una piccola
costruzione, il Casseretto (non visitabile
dal pubblico), un tempo sede degli uffici
della "Santa Fabbrica" del
Vittoriale e abitazione privata di Gian
Carlo Maroni.
L'architetto ha disegnato la
sua casa-studio, nel 1929, ispirandosi alle
linee del cassero (da qui Casseretto), il
ponte di poppa delle navi che ospita gli
appartamenti degli ufficiali.
Dal
Casseretto, attraverso un piccolo viale, si
raggiunge la Villa Mirabella (visitabile
solo durante mostre temporanee) che Gabriele
aveva pensato come foresteria per ospiti e
artisti. Fra
gli ospiti che soggiornarono a lungo alla
Mirabella vi furono Antonio Bruers,
il
bibliotecario che si occupò
del riordino dei trentamila volumi della
Prioria, e la moglie di Gabriele, Maria
Hardouin di Gallese. Maria mantenne sempre
buoni rapporti con il marito nonostante la
presenza di Luisa Baccarà e frequentava
spesso il Vittoriale, trasferendosi
definitivamente a Villa Mirabella dopo la
morte del Comandante, nel 1938.
Per
continuare la visita del parco occorre
ritornare sulla piazzetta Dalmata. A
sinistra della Prioria si supera l'arco, o
cavalcavia, dell'Angelo e si percorre il
viale di Aligi, personaggio di una delle più famose tragedie di Gabriele, La figlia di lorio.
Al termine del viale si incontra la fontana
del Delfino, che raccoglie e rilancia a
valle il rio dell'Acqua pazza (l'originario
torrente che giunge dal colle del Vittoriale
e lo attraversa), con al centro la figura in
bronzo di Afrodite che emerge dalle acque
insieme a un delfino.
Poco più sopra una costruzione,
disegnata da Maroni, ospita il MAS 96
(motoscafo antisommergibile) utilizzato da
Gabriele durante la celebre Beffa di Buccari,
l'impresa compiuta insieme a Costanzo Ciano
e Luigi Rizzo nella notte tra il 10 e l'11
febbraio 1918, donato al Comandante nel 1923
dall'ammiraglio Thaon di Revel. Una volta
giunto a Gardone il MAS fu ricoverato nella
darsena della Torre San Marco (ancora oggi
di proprietà del Vittoriale) e usato dal
Comandante
per intrattenere gli ospiti che giungevano
al Vittoriale, ma soprattutto
per
le sue uscite di piacere sul lago, e si
lamenta quando non lo può usare perché deve essere ridipinto.
Dal
ricovero del MAS, passando davanti alla
scultura di San Sebastiano di Ettore Greco,
si raggiunge il Mausoleo, il luogo dove
riposa
Gabriele circondato dai suoi fedeli
compagni,
tra i quali anche Gian Carlo Maroni. Il
progetto del Mausoleo, definito
dall'architetto dopo
la morte del Comandante,
è concepito sul modello
dei sepolcri a tumulo romani: tre gironi in
pietra, dedicati alla Vittoria degli Umili,
degli Artieri e degli Eroi, sorreggono le
arche in marmo di Botticino, dono della città
di Vicenza, che circondano quella del
Comandante, posta al centro e sul punto più
alto.
Gabriele non lo vide mai terminato, ma
fu proprio lui a scegliere il colle più
alto del Vittoriale, denominato Mastio o
Colle santo, per la sua sepoltura, dove la
salma venne traslata dal Tempietto delle
Memorie nel 1963. Dal 2013, accanto a
Gabriele e ai suoi compagni, ci sono i cani
in ferro e cemento di Velasco Vitali.

Scendendo dal Mausoleo, tra le "esili
foglie" e "i magri rami"
degli ulivi, si incontra la piccola edicola
di san Rocco
che
Gabriele ha voluto dedicare al "santo delle mie terre".
Proseguendo in
direzione del lago si sale letteralmente a
bordo della Regia Nave Puglia, dono
dell'ammiraglio Thaon di Revel, incastonata
nel parco del Vittoriale con la prua rivolta
verso l'Adriatico, a ricordo del suo
capitano Tommaso Gulli, morto nelle acque
di Spalato nel 1920.
La
nave giunse smontata a Gardone su venti
vagoni ferroviari e fu in seguito rimontata
nella "pietra viva" dal tenente
Fortunato Siila (che è ricordato in una piccola mostra a poppa) insieme
a Maroni. Renato Brozzi, invece, realizzò
la scultura in bronzo della Vittoria
angolare,
collocata sulla prua, sopra un fascio di
frecce con il motto "Così
ferisco".
Di recente la stiva,
completamente restaurata, ospita il Museo
di Bordo con diversi modelli di navi da
guerra, appartenenti al duca Amedeo
d'Aosta. Anche Gabriele vi conservava cimeli
di guerra, come le mitragliatrici e il
cannone che faceva sparare in occasione di
ricorrenze legate soprattutto alle sue
imprese di guerra, oppure anche solo per il
piacere di sentire il fragore: "Da
gran tempo
la nave 'Puglia' tace. Ti prego di far
tirare ventisette colpi di cannone".

Dalla Nave Puglia si può
ammirare e percorrere, attraverso un
sentiero, la Valletta dell'Acqua pazza, uno
spazio ricco di vegetazione spontanea,
cascatelle e anfratti. Secondo le
indicazioni di Gabriele, vengono moltiplicate
le cadute d'acqua, i rivoli e
le asperità rocciose, vengono costruiti
ponti e ponticelli, tra cui quello delle
Teste di ferro, decorato con proiettili di
obice.
Il rivo dell'Acqua pazza incontra,
proprio sotto la prua della nave, il rivo
gemello, quello dell'Acqua savia, e insieme
convogliano
nel Laghetto delle danze (riaperto al
pubblico dopo decenni nel 2013), un invaso
in pietra a forma di violino dove Gabriele e
Luisa Baccarà organizzavano
-
tra il suono naturale di "Suor
Acqua"
- dei concerti eseguiti dal Quartetto "Veneziano" del
Vittoriale.
Al termine del
percorso dei due rivi, e a chiusura delle
mura del Vittoriale, Maroni ha collocato il
Portale Rivano, dono della sua città, Riva del Garda.
Dal
2014, a guardia del laghetto e dei concerti
che si tengono nei mesi estivi, è stata posta la statua dell'Atleta seduto di
Ettore Greco.

Pag.
1
Pag.
3
Luglio
2015 - Luglio 2017
|