Gardone Riviera e il Vittoriale degli Italiani
(Brescia)
  
  

   

Vittoriale degli Italiani

"Il palazzo è vuoto. Fiume è senza musica",  scrive Gabriele d'Annunzio a Luisa Baccarà - la giovane pianista veneziana che lo ha accompagnato nell'impresa e che lo seguirà anche al Vittoriale - pochi mesi prima di abbandonare per sempre la "città di vita". Nel gennaio del 1921 il Comandante, dopo essersi accomiatato dai suoi legionari, lascia veramente il palazzo del Governo di Fiume, bombardato, e raggiunge in automobile Venezia, dove lo attendono la fedelissima Aélis - la governante-amante - e una nuova dimora: il palazzo Barbarigo della Terrazza sul Canal Grande. 

A Venezia, però, Gabriele non riesce più a vivere, troppi ricordi affiorano nella sua mente, in particolare quelli dei compagni che non ci sono più. In quel momento è, probabilmente, l'uomo più celebre al mondo. Già famosissimo alla fine dell'Ottocento per la sua poesia, i suoi romanzi, i suoi amori, le sue imprese di guerra e quella di Fiume ne hanno fatto un mito, la realizzazione ottocentesca dell'artista risorgimentale e del superuomo nicciano.

Ha 58 anni e tutti si chiedono dove andrà a proseguire le sue inquietudini. Gabriele chiede ai collaboratori e agli amici di cercagli un luogo tranquillo, magari un lago, dove potersi ritirare: "Sono avido di silenzio dopo tanto rumore, e di pace dopo tanta guerra". Al segretario Tom Antongini affida la ricerca della zona del Garda: "Sento che è là il mio destino", gli dice. E Antongini trova esattamente quello che stava cercando: la villa Cargnacco a Gardone  Riviera, immersa nel verde, di proprietà dello storico dell'arte tedesco Henry Thode, a cui era stata confiscata dallo stato italiano dopo lo scoppio della Grande Guerra. 

Giunge a Gardone per visitarla e ne rimane subito colpito, soprattutto quando scopre che la villa contiene una biblioteca di oltre seimila volumi. Ha l'aria della vecchia residenza di un parroco, intorno a sé poca terra, decide di affittarla per sei mesi e poco dopo decide di acquistarla dallo stato. Fino ad allora, se si esclude la casa natale di Pescara, non aveva mai posseduto una casa di proprietà. Invece la villa di Cargnacco diventerà il Vittoriale degli Italiani, una casa-museo monumentale la cui costruzione lo appassionerà come la stesura di un'opera d'arte. E il Vittoriale - donato agli italiani nel settembre del 1930 - è di fatto l'ultimo capolavoro di Gabriele.

A coadiuvarlo nella realizzazione del suo imponente progetto ingaggia il giovane architetto trentino Gian Carlo Maroni:  "Spero che ci potremo intendere, se bene tu sia di Riva ed io di Pescara". È l'inizio di un sodalizio artistico - creeranno insieme la "Santa Fabbrica" del Vittoriale - e di una profonda amicizia; a volte era sufficiente che l'architetto si allontanasse per qualche giorno perché Gabriele ne sentisse subito la mancanza.

Inizia così la costruzione del Vittoriale che ha come obiettivo primario quello di "stodeschizzare" la villa di Cargnacco, cioè eliminare tutti i riferimenti al precedente proprietario. D'Annunzio non vuole vicini e acquista, fra il 1922 e il 1935, altri terreni, la villa Mirabella, l'Hotel Washington in disuso, la Torre-Darsena sul lago e il frantoio, per completare il disegno che aveva in mente.

Nella "Santa Fabbrica", che diventerà di in giorno sempre più grandiosa, oltre a Maroni furono chiamati alcuni fra i più famosi artisti dell'epoca: Guido Cadorin, che decorerà la Stanza del Lebbroso, Napoleone Martinuzzi che realizzerà l'illuminazione in vetro di Murano della Stanza della Musica, Guido Marussig ce dipingerà il soffitto della Stanza della Leda (la stanza da letto di Gabriele), Pietro Chiesa che forgerà le vetrate della Prioria, Renato Brozzi che creerà la tartaruga della Stanza della Cheli e la polena della Regia Nave Puglia; e ancora: Arrigo Minerbi, Alessandro Mazzucotelli, Gio Ponti, Mariano Fortuny, Giuseppe Guidi, Mario Buccellati, Giacinto Bardetti, Leonardo Bistolfi. Grazie alla loro opera, Gabriele crea particolarissime atmosfere della Prioria, la "casa del priore". Ogni ambiente assume una valenza simbolica,  rappresentata e trasmessa dai numerosissimi oggetti, circa diecimila, che affollano le stanze, decorate anche con motti, frasi enigmatiche, citazioni letterarie che d'Annunzio ha inserito come se si trattasse di un'opera scritta sulla carta.

Gabriele si esaltava davvero quando doveva comporre una stanza del Vittoriale o un particolare allestimento dei giardini, come nel caso dell'Arengo. Le colonne saranno innalzate esattamente dove desiderava Gabriele, così come ogni singolo oggetto della Prioria sarà collocato nel luogo da lui pensato, ogni decorazione sarà eseguita secondo le sue indicazioni, come ribadisce spesso a Maroni.

Senza dubbio Gabriele inventò il Vittoriale, che diventò un cantiere perpetuo, un continuo alternarsi di maestranze al lavoro, artisti e personaggi famosi che volevano visitare e vedere l'ultima sua opera: da Arturo Toscanini a Tazio Nuvolari a Francesco De Pinedo, a Guglielmo Marconi, Italo Balbo, Ugo Ojetti, Guido Treves, Arnoldo Mondadori, Paul Valéry, senza dimenticare ovviamente Benito Mussolini che finanzia il Vittoriale per tenere occupato colui che potrebbe opporsi al suo regime. A guardia del Vate Mussolini mette il questore Giovanni Rizzo, che segue da vicino ogni sua mossa e monitore ogni sua iniziativa, registrando giorno dopo giorno i cambiamenti apportati alla villa e al territorio circostante, come alla piazza del Vittoriale, modificata radicalmente da Maroni con la realizzazione del Sacrario dei Caduti, che oggi ospita sulla torretta di guardia una scultura di Ugo Riva messa a disposizione nel 2012 dal Vittoriale. Rizzo, però, non poteva monitorare il continuo andirivieni delle amanti di Gabriele, erano davvero troppe le cosiddette "Badesse di passaggio", famose e meno famose, che con la complicità di Aélis si alternavano sotto gli occhi della Baccarà, ormai relegata al solo ruolo di padrona di casa. Dalla marchesa Luisa Casati Starnila ad Antonietta Treves, da Tamara de Lempicka a Ida Rubinstein, a Elena Sangro, a Hevelina Morasso Scapinelli a tutte quelle meno conosciute che ispiravano a Gabriele una sorta di "filosofia della donna" e soprattutto quel piacere da sempre perseguito, ricercato e appagato che gli era indispensabile nella creazione.

All'ingresso del Vittoriale d'Annunzio volle scrivere "lo ho quel che ho donato". Lo stesso possono dire gli italiani, che lo finanziarono in parte con un investimento vantaggiosissimo: oggi il Vittoriale produce cultura e bellezza, è stato visitato e verrà ancora visitato da milioni di persone da tutto il mondo, da lavoro a decine di persone e contribuisce all'economia di tutto il Garda.  

Il parco: "Avrò qui colonne insigni per tutti gli eroi"

Nell'atto di donazione del Vittoriale allo stato italiano, firmato il 7 settembre del 1930, Gabriele scrive a chiare lettere: "Di anno in anno io vado scegliendo e disponendo e catalogando, per seguire e compiere un disegno di decorazione interna premeditato in lunghi studi e destinato quindi a rimanere intatto secondo la mia volontà di studiosissimo artista. Ogni oggetto da me scelto e raccolto nelle diverse età della mia vita fu sempre per me un modo di espressione, fu sempre per me un modo di rivelazione spirituale, come uno dei miei poemi, come uno dei miei drammi, come un qualunque mio atto politico o militare, come una qualunque mia testimonianza di diritta e invitta fede."

Il Vittoriale segue dunque un disegno tracciato giorno dopo giorno da Gabriele con l'aiuto di Maroni, che più volte si sentì dire appunto "ho il mio disegno", un disegno che comprende la trasformazione della "vecchia casa colonica" in Prioria e del parco in un sacrario di memorie con le "reliquie della nostra guerra" incastonate come "una gemma rara" 

Prima "gemma rara" è l'ingresso del Vittoriale, disegnato da Maroni e costituito da un portale a due arcate con al centro una nicchia che ospita una piccola fontana con la scritta studiata ad hoc da Gabriele: "Dentro da questa cerchia triplice di mura, ove tradotto è già in pietre vive quel libro religioso ch'io pensai preposto ai riti della patria e dai vincitori latini chiamato il Vittoriale. (Libro segreto)

Al di sopra un elmo da fante, collocato tra due cornucopie, protegge lo stemma nobiliare del Principe di Montenevoso, titolo conferito al Comandante nel 1924, quando Fiume fu annessa all'Italia. Un timpano con il celebre motto dannunziano "lo ho quel che ho donato" suggella l'entrata del Vittoriale e funge da monito ai visitatori, che sono accolti da un busto in bronzo raffigurante d'Annunzio, opera di Venanzo Crocetti. L'opera è stata installata nel 2009, prima di una serie che arricchisce il Vittoriale di capolavori di artisti contemporanei, omaggio a D'Annunzio e ai suoi nuovi visitatori. 

I pochi ospiti di Gabriele entravano dal cancello a sinistra. Oggi, per esigenze museali e per conservare la purezza dell'ingresso, la biglietteria si trova sulla piazza del Vittoriale. Da lì si arriva, sotto la cavea dell'anfiteatro, al museo "D'Annunzio segreto", allestito nel 2010, che ospita oggetti personali e intimi di Gabriele e usati dalle sue numerose "ospiti", come gli abiti in pizzo, le camicie da notte in chiffon di seta, i sottabiti in crespo di seta. Ci sono anche i gioielli, le stoviglie, le valigie, gli abiti di Gabriele, quello da cavallo, quello da sera, i cappotti, le vestaglie, la celeberrima camicia da notte con l'ampio foro profilato in oro per gli incontri notturni e poi le calzature - se ne contano più di duecento - tra cui quelle famosissime con il "Gonfalon selvaggio". Un piccolo spazio speciale contiene abiti e lettere di Eleonora Duse, la grande attrice tanto amata dal Vate. A vegliare sugli oggetti preziosi del Comandante all'ingresso del museo ci sono due sculture in bronzo di Ugo Riva. 

Tornati verso l'ingresso, si percorre il viale che conduce alla casa di Gabriele, dove ai lati l'architetto Maroni ha creato una serie di passaggi, arcate, scalinate, nicchie, tra cui quella dell'Enigma, fino a raggiungere l'Arco dell'Ospite e la piazzetta del Pilo del Piave e quello del "Dare in brocca", eretti a imitazione dei pennoni delle navi da guerra. Proprio alla prima guerra mondiale rimanda il Pilo del Piave, che sorregge la Vittoria del Piave, opera di Arrigo Minerbi e dono della città di Milano a Gabriele nel maggio 1935. Poco lontano il Comandante ha voluto anche il pilo del "Dare in brocca" (Centrare il bersaglio), per ricordare l'impresa di Fiume, costituito da un fregio in marmo con tre frecce che colpiscono il centro del bersaglio e il pennone con la bandiera del Vittoriale, rossa e blu. 

"Una conca marmorea sotto le stelle", così Gabriele immaginava il Teatro all'aperto (o Parlaggio) che ha ardentemente voluto e progettato insieme a Maroni a partire dal 1931, quando Gian Carlo andò a Pompei per studiare la struttura del Teatro Grande. I lavori si conclusero nel 1952 e né Gabriele né Gian Carlo poterono vederlo terminato, né assistere agli spettacoli che da allora si tengono nei mesi estivi. L'anfiteatro si affaccia sul lago, in una cornice naturale spettacolare. In un solo sguardo lo spettatore, oltre alla rappresentazione, può contemplare l'isola di Garda, la rocca di Manerba, il monte Baldo e il promontorio catulliano di Sirmione. 

Dal 2010 allo spettacolo naturale si è aggiunto anche il Cavallo blu, capolavoro di Mimmo Paladino che domina il palcoscenico e il lago. Dal teatro si percorre un breve viale e si raggiunge la piazza dell'Esedra, disegnata da Maroni a forma di semicerchio e circondata da doppie arcate sormontate da sei pennoni per altrettante bandiere. 

 Di fronte, il cavalcavia che collega l'ala di Schifamondo alle Torri degli Archivi con al centro lo stemma nobiliare di Gabriele - Principe di Montenevoso - insieme al motto "Immotus nec iners" (Fermo ma non inerte). Ma ad attrarre l'attenzione della piazza è il Tempietto delle Memorie, un piccolo sacrario che ospitò le spoglie del Comandante fino al 1963, quando furono poi traslate nel Mausoleo. All'esterno sono murati i bassorilievi raffiguranti le vedute delle città di Spalato e Zara, eseguiti da Napoleone Martinuzzi, e le lapidi dei comuni di Pola, Fiume e Pescara; mentre un viale a destra (riaperto nel 2015) conduce a un piccolo giardino da cui si gode una magnifica vista del lago e dove di recente sono stati piantati nuovi cipressi - con tanto di nome - per sostituire quelli caduti negli anni. 

Sempre nel lato sinistro dell'Esedra, sotto il portico e accanto al bookshop, sono conservate due automobili di Gabriele: la Fiat Tipo 4 con la quale la notte tra l'11 e il 12 settembre 1919 si diresse verso Fiume per conquistarla - ci riuscì e instaurò la Reggenza Italiana del Camaro - e la Torpedo Isotta Fraschini, utilizzata soprattutto negli ultimi anni per corse velocissime lungo il lago. 

La piazza dell'Esedra conduce finalmente alla casa di Gabriele, la Prioria, che si affaccia su un'altra piazzetta, quella Dalmata, chiamata cosi per la statua della Vergine con lo scettro della Dalmazia, collocata alla sommità dell'alto pilo. È composto da un cilindro in pietra d'Istria, ornato da otto teste di uomini barbuti, che rappresentano "gli otto venti della rosa italiana", come recita l'iscrizione che percorre i gradini alla base. 

Oltre alla casa del Comandante, sulla piazza si affaccia anche Schifamondo - la nuova ala voluta da Gabriele - che oggi ospita il museo "D'Annunzio Eroe", mentre sulladestra le due Torri degli Archivi, che contengono le carte vergate dal Comandante (Archivio Personale) e quelle della corrispondenza in entrata (Archivio Generale). 

Se dagli archivi si seguono i loggiati che si aprono sul lago come in una sorta di teatro naturale, si raggiunge la tomba di Maria Hardouin di Gallese, Principessa di Montenevoso, moglie di Gabriele. Proprio accanto nel piccolo giardino pensile dal 2014 si può ammirare la scultura Star di Jacques Villeglé.  

Dalla piazzetta Dalmata, a destra della Prioria, si accede al portone che conduce al giardino, ma Gabriele lo raggiungeva direttamente dall'interno della casa attraverso una scala esterna che dal Corridoio della Via Crucis porta al Cortiletto degli Schiavoni, gli abitanti di Schiavonia, nome dato dalla cultura veneziana all'lstria e alla costa dalmata, scelto da d'Annunzio per ricordare l'impresa fiumana e i suoi compagni. 

La decorazione interna riprende quella della facciata della Prioria: oltre ai tre pozzi, di cui uno identico a quello della casa natale a Pescara, Gabriele ha voluto fossero murati frammenti di lapidi, chiavi di volta in pietra d'Istria, piccole teste in pietra e terracotta, stemmi, mascheroni e cesti di frutta. Ad arricchire la decorazione, lo stemma di Principe di Montenevoso, dipinto da Guido Marussig, con accanto la statua della santa Leprosella, posta a suggello esterno della Stanza del Lebbroso.

Attiguo e comunicante al Cortiletto degli Schiavoni è il Portico o Loggia del Parente, dedicato a Michelangelo, il "parente" a cui Gabriele si sente particolarmente legato, come scrive a Maroni: Ho sotto gli occhi le Rime e le Lettere di Michelagnolo. Sembra che il "Parente" mi esprima.

La presenza del grande artista nella Loggia si esprime attraverso il busto in marmo eseguito da Napoleone Martinuzzi e il calco in gesso del Torso del Belvedere, uno degli esempi più significativi, secondo il Comandante, della perfezione della forma d'arte. Sul soffitto, dipinto da Guido Marussig, campeggiano versi di Michelangelo, mentre tra gli archi del portico Gabriele ha fatto collocare colonne, gessi, frammenti di sculture, un ritratto di Dante, acquasantiere, teste femminili e un lavabo monastico proveniente da Asolo, città d'origine di Eleonora Duse. 

Nei mesi estivi ricreava nella Loggia del Parente l'atmosfera della Prioria e la utilizzava come sala da pranzo, così comparivano tappeti orientali, sedie monastiche, tavoli coperti di stoffe preziose, vasi di Murano, ceramiche, argenti, poltrone damascate, una sorta di tableau vivant per gli ospiti e soprattutto per le ospiti.  

Gabriele si occupa personalmente anche della decorazione e dell'allestimento degli spazi del giardino. Proprio attraverso due semicolonne cinquecentesche - sormontate da un architrave in pietra con il motto "Rosam cape / Spinam cave" (Cogli la rosa, ma fai attenzione alla spina) e da una Venere acefala - si accede al giardino: sulla destra una fontana contornata di putti dove Gabriele amava farsi fotografare; al centro, invece, la statua di bronzo Frate sole di Giacinto Bardetti, raffigurante un san Francesco a braccia aperte - analogo a quello che incontreremo nella Stanza del Lebbroso - che sembra accogliere nel suo abbraccio la casa del Poeta. Accanto al santo, un piccolo gregge di pecore in bronzo e l'altorilievo del Leone di san Marco, proveniente da Sebenico. 

Tra i massi dei monti dove si svolsero le battaglie più dure della Grande Guerra si scorge la figura in bronzo di un uomo che sta per scagliare una pietra, con accanto una muta di lupi in corsa, scultura donata a Gabriele dalla divisione di fanteria dei "Lupi di Toscana".

Poco oltre, il pilo della Reggenza del Carnaro, costituito da un serpente che si morde la coda e dalla costellazione dell'Orsa Maggiore, e la Colonna marciana sulla quale veniva issato il gonfalone di San Marco. Accanto alle reliquie di guerra, in un piccolo boschetto di magnolie sotto la Veranda dell'Apollino, Gabriele ha voluto l'Arengo, un luogo sacro e suggestivo, per le cerimonie commemorative delle sue imprese di guerra e di Fiume.

Luogo sacro, dunque, dove venivano consumati riti e rituali. La simbologia, sempre cara a Gabriele, qui è essenziale: tra le ventisette colonne, che rappresentano le vittorie italiane durante la prima guerra, alcune sono sormontate da proiettili donati dal generale Armando Diaz, mentre un'altra contiene un'urna con la terra di Caporetto, luogo decisivo per la storia d'Italia. Fulcro dell'Arengo, però, è il trono del Comandate, ornato da due sfingi, con accanto la Vittoria alata di Napoleone Martinuzzi e sui gradini la dicitura: Non nisi grandia canto Regimen hinc animi (Non canto se non cose grandi Da qui il governo dell'animo).

Accanto al trono di Gabriele i sedili in pietra a forma circolare riservati ai fedeli fiumani e - di fronte - la colonna del Giuramento, coronata da un capitello romanico e circondata da torcieri e leggii in ferro, decorati durante le commemorazioni da fasci di alloro.

Sul Garda solatio i limoni che conservano la forma del fiore suddivisi in cinque lobi si chiamano 'diele' per allusione alle dita. Così Gabriele descrive la cosiddetta mano di Buddha, una particolare pianta di cedro che voleva sempre presente nella sua limonaia. Proprio al di sotto dell'Arengo, la Limonaia oggi ospita -oltre alle mani di Buddha - anche il grande Obelisco di Arnaldo Pomodoro. 

Affacciato sul lago, il Belvedere, ornato da copie di statue classiche, era utilizzato da Gabriele soprattutto nei mesi estivi, quando lo decorava con tappeti, tendaggi, piccoli tavoli, cuscini, stoffe preziose. Dal Belvedere attraverso una scaletta si raggiunge il frutteto, modellato come un giardino rinascimentale e circondato da grandi aquile e gigli in pietra, nel quale svetta su una colonna la Canefora di Napoleone Martinuzzi, scultura femminile in bronzo che regge sulla testa un cesto carico di frutti. 

Vicino al frutteto vi è un luogo particolarmente caro a d'Annunzio, il piccolo cimitero dove riposano i suoi amati cani - levrieri soprattutto -ai quali ha dedicato un componimento scritto nel 1935 e che oggi si può leggere su una lapide recentemente collocata, con accanto il Sarcophaghus di Italo Rota.  

Ritornando verso la Prioria incontriamo la tomba dell'unica figlia di Gabriele, Renata, chiamata "Cicciuzza" e nel Notturno "Sirenetta", che lo ha assistito a Venezia durante la guerra e nel periodo in cui perse la vista dell'occhio destro a causa di un brusco ammaraggio nelle acque di Grado, nel 1916. Nei pressi della tomba di Renata si scorge, al di là del muro, una piccola costruzione, il Casseretto (non visitabile dal pubblico), un tempo sede degli uffici della "Santa Fabbrica" del Vittoriale e abitazione privata di Gian Carlo Maroni.

L'architetto ha disegnato la sua casa-studio, nel 1929, ispirandosi alle linee del cassero (da qui Casseretto), il ponte di poppa delle navi che ospita gli appartamenti degli ufficiali. 

Dal Casseretto, attraverso un piccolo viale, si raggiunge la Villa Mirabella (visitabile solo durante mostre temporanee) che Gabriele aveva pensato come foresteria per ospiti e artisti. Fra gli ospiti che soggiornarono a lungo alla Mirabella vi furono Antonio Bruers, il bibliotecario che si occupò del riordino dei trentamila volumi della Prioria, e la moglie di Gabriele, Maria Hardouin di Gallese. Maria mantenne sempre buoni rapporti con il marito nonostante la presenza di Luisa Baccarà e frequentava spesso il Vittoriale, trasferendosi definitivamente a Villa Mirabella dopo la morte del Comandante, nel 1938.  

Per continuare la visita del parco occorre ritornare sulla piazzetta Dalmata. A sinistra della Prioria si supera l'arco, o cavalcavia, dell'Angelo e si percorre il viale di Aligi, personaggio di una delle più famose tragedie di Gabriele, La figlia di lorio. Al termine del viale si incontra la fontana del Delfino, che raccoglie e rilancia a valle il rio dell'Acqua pazza (l'originario torrente che giunge dal colle del Vittoriale e lo attraversa), con al centro la figura in bronzo di Afrodite che emerge dalle acque insieme a un delfino. 

Poco più sopra una costruzione, disegnata da Maroni, ospita il MAS 96 (motoscafo antisommergibile) utilizzato da Gabriele durante la celebre Beffa di Buccari, l'impresa compiuta insieme a Costanzo Ciano e Luigi Rizzo nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918, donato al Comandante nel 1923 dall'ammiraglio Thaon di Revel. Una volta giunto a Gardone il MAS fu ricoverato nella darsena della Torre San Marco (ancora oggi di proprietà del Vittoriale) e usato dal Comandante per intrattenere gli ospiti che giungevano al Vittoriale, ma soprattutto per le sue uscite di piacere sul lago, e si lamenta quando non lo può usare perché deve essere ridipinto. 

Dal ricovero del MAS, passando davanti alla scultura di San Sebastiano di Ettore Greco, si raggiunge il Mausoleo, il luogo dove riposa Gabriele circondato dai suoi fedeli compagni, tra i quali anche Gian Carlo Maroni. Il progetto del Mausoleo, definito dall'architetto dopo  la morte del Comandante, è concepito sul modello dei sepolcri a tumulo romani: tre gironi in pietra, dedicati alla Vittoria degli Umili, degli Artieri e degli Eroi, sorreggono le arche in marmo di Botticino, dono della città di Vicenza, che circondano quella del Comandante, posta al centro e sul punto più alto. 

Gabriele non lo vide mai terminato, ma fu proprio lui a scegliere il colle più alto del Vittoriale, denominato Mastio o Colle santo, per la sua sepoltura, dove la salma venne traslata dal Tempietto delle Memorie nel 1963. Dal 2013, accanto a Gabriele e ai suoi compagni, ci sono i cani in ferro e cemento di Velasco Vitali. 

Scendendo dal Mausoleo, tra le "esili foglie" e "i magri rami" degli ulivi, si incontra la piccola edicola di san Rocco che Gabriele ha voluto dedicare al "santo delle mie terre". 

Proseguendo in direzione del lago si sale letteralmente a bordo della Regia Nave Puglia, dono dell'ammiraglio Thaon di Revel, incastonata nel parco del Vittoriale con la prua rivolta verso l'Adriatico, a ricordo del suo capitano Tommaso Gulli, morto nelle acque di Spalato nel 1920.

La nave giunse smontata a Gardone su venti vagoni ferroviari e fu in seguito rimontata nella "pietra viva" dal tenente Fortunato Siila (che è ricordato in una piccola mostra a poppa) insieme a Maroni. Renato Brozzi, invece, realizzò la scultura in bronzo della Vittoria angolare, collocata sulla prua, sopra un fascio di frecce con il motto "Così ferisco". 

Di recente la stiva, completamente restaurata, ospita il Museo di Bordo con diversi modelli di navi da guerra, appartenenti al duca Amedeo d'Aosta. Anche Gabriele vi conservava cimeli di guerra, come le mitragliatrici e il cannone che faceva sparare in occasione di ricorrenze legate soprattutto alle sue imprese di guerra, oppure anche solo per il piacere di sentire il fragore: "Da gran tempo la nave 'Puglia' tace. Ti prego di far tirare ventisette colpi di cannone". 

Dalla Nave Puglia si può ammirare e percorrere, attraverso un sentiero, la Valletta dell'Acqua pazza, uno spazio ricco di vegetazione spontanea, cascatelle e anfratti. Secondo le indicazioni di Gabriele, vengono moltiplicate le cadute d'acqua, i rivoli e le asperità rocciose, vengono costruiti ponti e ponticelli, tra cui quello delle Teste di ferro, decorato con proiettili di obice. 

Il rivo dell'Acqua pazza incontra, proprio sotto la prua della nave, il rivo gemello, quello dell'Acqua savia, e insieme convogliano nel Laghetto delle danze (riaperto al pubblico dopo decenni nel 2013), un invaso in pietra a forma di violino dove Gabriele e Luisa Baccarà organizzavano - tra il suono naturale di "Suor Acqua" - dei concerti eseguiti dal Quartetto "Veneziano" del Vittoriale. 

Al termine del percorso dei due rivi, e a chiusura delle mura del Vittoriale, Maroni ha collocato il Portale Rivano, dono della sua città, Riva del Garda.

Dal 2014, a guardia del laghetto e dei concerti che si tengono nei mesi estivi, è stata posta la statua dell'Atleta seduto di Ettore Greco.

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Luglio 2015 - Luglio 2017