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Il
toponimo "Almenno San
Salvatore" deriva da "Lemine",
la cui etimologia è
incerta. Già in epoca romana,
Almenno S.S. era già dotato di un
ampio comprensorio territoriale
strutturato in pagus . Il
centro amministrativo si trovava
nell'area del Castello in
prossimità del ponte
di Lemine, noto come Ponte
della Regina.
Il
territorio almennese, antropizzato
fin dalla protostoria, ha visto il
passaggio dei Celti,
dei Galli
Cenomani, dei Romani,
che oltre al ponte sul Brembo
lasciarono diverse testimonianze
archeologiche, per diventare, dopo
la conquista
longobarda, una corte
regia.
Dopo
la caduta del regno
longobardo il territorio
della curtis fece
parte della contea
di Lecco fino alla fine
dell'XI
secolo quando passò
come beneficium all'episcopato
di Bergamo nel cui possesso rimase
fino al 3 marzo 1220,
anno in cui i dritti feudali
passarono al nascente comune.
Le
lotte tra i Guelfi e
i Ghibellini interessarono
la comunità almennese e il 26
gennaio 1393 si
arrivò alla divisione del comune.
La ghibellina Lemine Inferiore dei Visconti e
la guelfa Lemine Superiore di Venezia.
Tradizionalmente alleate, le due
erano spesso in violento e cruento
contrasto tra loro.
Dopo
il passaggio di Bergamo sotto il
dominio veneziano nel 1441 la
parte ghibellina subì la rivalsa di
quella guelfa. La battaglia terminò
il 13 agosto 1443 con
la distruzione della Lemine
Inferiore per ordine del podestà di
Bergamo, Gritti.
Di
Lemine Inferiore restarono soltanto
la Pieve, la chiesa di San Giorgio e
alcune edicole religiose.
Lemine
Superiore, sopravvissuta alle lotte
tra guelfi e Ghibellini, si trovò
ad avere una comunità molto ampia
che portò alla nascita di un'altra
parrocchia oltre il torrente Tornago,
quella di San Bartolomeo.
Tra
le due comunità, coagulate attorno
alle due parrocchie, si
manifestarono presto interessi
differenti e divergenti che resero
inevitabile l'ultima scissione di
Almenno.
Il
30 marzo 1601 fu
rogato l'atto notarile che statuiva
la suddivisione di Almenno nei due
comuni di Almenno San Bartolomeo, costituito
dai territori di Albenza, Longa e
Pussano, e Almenno San Salvatore,
costituito dalle contrade di Porta,
Borgo e Sotto.
San Giorgio in
Lemine

La chiesa di San Giorgio in
Lemine è un edificio ecclesiale
romanico a struttura basilicale a
tre navate, risalente al XI-XII
secolo, che assieme a San Tomè si
inserisce nel ciclo romanico tipico
dell'arte bergamasca medievale.
Non c'è una documentazione
certa sulla fondazione né sulla
datazione della chiesa di San
Giorgio: gli studiosi si sono
esercitati in una serie di ricerche
storico-archeologiche per
individuarne la data, il
patrocinatore e i motivi che vi
presiedettero, senza giungere a una
conclusione univoca.
L'unica data certa è il 1171,
in cui risulta, da documenti
storici, che la chiesa esisteva,
mentre si può ragionevolmente
escludere una iniziativa popolare
nella sua costruzione, poiché il
comprensorio era sottoposto secondo
un rapporto feudale all'episcopato
di Bergamo, istituzione potente sia
sotto l'aspetto politico-militare
che economico.
Solo il vescovo era in grado
di sostenere la costruzione di un
edificio ecclesiale in un territorio
a lui sottoposto, mentre è
plausibile che la sua iniziativa sia
stata motivata dalle nuove esigenze
devozionali e liturgiche di una
popolazione accresciuta. L'edificio
ecclesiale fu costruito in due
momenti con materiali e tecniche
diverse, migliori e più curati
prima, più dozzinali e quasi
occasionali dopo. Ciò può essere
ascritto alle difficoltà politiche
del periodo, che videro il vescovo
Gerardo, suo presunto ispiratore,
scomunicato nel 1167 per avere
appoggiato l'impero e la
concomitanza del contrasto tra la
Lega Lombarda e Federico Barbarossa.
A tutto ciò potrebbero essersi
aggiunte difficoltà economiche e di
reperimento dei primitivi materiali
di costruzione.
San Giorgio visse il suo
periodo migliore dalla seconda metà
del XIV secolo alla prima metà del
XV. Seppure non avesse il rango di
parrocchia o di canonica ma di
chiesa sussidiaria della Pieve di
Lemine ne assunse, a partire dal
'300, gradualmente le funzioni fino
a sostituirsi ad essa.
A favore di San Giorgio
giocarono fattori demografici e
politici: da una parte l'aumento
della popolazione, dall'altra le
lotte tra i guelfi di Lemine
superiore e i ghibellini di Lemine
inferiore, le due entità in cui di
fatto si era suddiviso il
territorio. Queste lotte, il più
delle volte sanguinarie, avevano
indebolito la posizione della Pieve,
di difficile accesso perché
arroccata nel castello, spingendo a
privilegiare San Giorgio alla cui
costruzione e abbellimento aveva
contribuito il popolo.
Lentamente San Giorgio si
staccò dalla Pieve fino a
raggiungere una certa autonomia non
solo liturgica ma anche economica
per i numerosi lasciti e donazioni
diretti non solo alla sua gestione
ma anche al suo abbellimento. Buona
parte dei donativi furono destinati
dagli offerenti al finanziamento
degli affreschi che avrebbero
ricoperto integralmente le pareti
interne della chiesa.
Nella prima metà del '400 San
Giorgio era divenuto il centro non
solo dell'attività religiosa ma
anche un punto di incontro della
comunità per la trattazione di
affari di ordine civile.
Alla chiesa si appoggiò anche
una confraternita di civili devoti,
chiamati Disciplinati o Disciplini,
che oltre alle preghiere si
dedicavano al proselitismo e alla
propria flagellazione per purgare i
peccati e impetrare il perdono
divino, ricercando le stesse
sofferenze della Passione di Cristo.
Su di essi ebbe una grande
influenza la predicazione del
domenicano Venturino da Bergamo che
a partire dal 1335 percorse l'Italia
settentrionale e centrale invocando
la pace e prescrivendo la penitenza.
I Disciplinati svolgevano
anche attività di carattere sociale
come l'assistenza ai bisognosi e
l'intervento diretto per sedare le
lotte endemiche del periodo che
sconvolgevano la comunità sia per
le uccisioni che per la devastazioni
dei beni che ne seguivano.
Il punto di riferimento di
questi penitenti divenne il portico
di San Giorgio, oggi non più
esistente, essendo loro interdetto
dalle norme canoniche l'uso
dell'interno della chiesa.
Alcuni autori ritengono che i
cosiddetti Disciplinati di San
Giorgio si svilupparono tra il XIV e
il XV secolo, in momenti di grande e
drammatica tribolazione politica
aggravati dalle ricorrenti
pestilenze, che favorirono la
nascita e la diffusione un po'
dappertutto di questo genere di
movimenti penitenziali. In questa
seconda ipotesi avrebbero influito
più che le parole di Venturino da
Bergamo quelle irruenti di
Bernardino da Siena.
L'inizio della decadenza di
San Giorgio coincise con l'aumentare
della virulenza delle lotte
intestine tra i Guelfi e i
Ghibellini, i primi fautori di
Venezia, che li sosteneva, i secondi
alleati dei Visconti in quell'annosa
lotta che avrebbe visto ancora a
lungo Venezia e Milano contrapposti.
Nei primi decenni del '400 Lemine fu
spettatrice di ruberie, devastazioni
delle proprietà, uccisioni e
attentati intestini che i contrasti
tra Venezia e Milano viscontea
esaltavano fornendo di volta in
volta la copertura politica.
Prevalsero alla fine i guelfi
di Lemine superiore, o per meglio
dire Venezia, e scoppiarono
ritorsioni nei confronti dei
ghibellini di Lemine inferiore che
culminarono nella distruzione
dell'abitato di questa, ordinata il
13 agosto 1443 da Andrea Gritti
podestà di Bergamo, e nella
dispersione della sua comunità.
Dopo questa data vennero a
mancare a San Giorgio il suo
substrato umano e i suoi sostenitori
mentre di contro si sviluppava la
parte settentrionale del paese.
La sconfitta dei ghibellini
causò lo spostamento del baricentro
della comunità verso Lemine
superiore, il che comportò la
costruzione di nuove chiese
distogliendo l'attenzione da San
Giorgio, abbandonata all'incuria e
all'oblio.
La chiesa di San Giorgio
rimase isolata in un'area spopolata
e Venezia vendendo ai propri
sostenitori le proprietà confiscate
ai perdenti la condannava alla
decadenza, come è testimoniato
dalle relazioni delle diverse visite
pastorali che vi si succedettero
fino al XVII secolo.
Fu con la peste manzoniana del
1630 che San Giorgio, in un certo
senso, rinacque. Questa peste colpì
duramente il territorio di Lemine,
ora Almenno, causando un
impressionante numero di morti,
quasi un terzo della popolazione, ai
quali bisognava dare sepoltura e per
questa funzione San Giorgio con il
suo piccolo cimitero risultò
particolarmente idonea: isolata nei
campi ma facilmente raggiungibile
rappresentò la soluzione ideale. Da
allora si caratterizzò come la Chiesa
dei Morti mantenendo questa
funzione anche dopo la fine della
peste e si creò, in maniera
inconsapevole, l'usanza di
seppellire i propri morti nel
cimitero di San Giorgio, quasi una
moda che crebbe al punto da farvi
istituire, nel 1761, una cappellania
per i suffragi funebri.
Da ciò derivò una più ampia
devozione e una maggiore attenzione
per la manutenzione dell'edificio
ecclesiale che fortunatamente non
portò all'imbiancatura della pareti
interne salvando così gli affreschi
superstiti.
San Giorgio attraversò l'800
tra alterne vicende, momenti di cura
e di abbandono si susseguirono in
funzione della maggiore o minore
attenzione dei prevosti incaricati,
riducendosi tuttavia a quasi rudere
agli inizi del XX secolo. Solo a
partire degli anni 50 del secolo
scorso si riaccese l'interesse
storico-artistico verso San Giorgio
di cui si iniziavano a riscoprire e
rivalutare gli affreschi come uno
dei più importanti esempi di
quest'arte nell'area lombarda.
Uno dei più appassionati ed
esperti cultori degli affreschi di
San Giorgio fu don Angelo Rota. Il
Rota si prodigò per la sua
rinascita, avendone compreso il
valore artistico e storico, e riuscì
a coinvolgere negli anni 60-70 la
Commissione Diocesana di Arte Sacra,
la Soprintendenza alle Belle Arti e
alcuni sostenitori privati nel
restauro della chiesa e nel recupero
dei suoi affreschi. Di questi alcuni
furono salvati con la tecnica dello
strappo ma diversi furono sottratti
indebitamente e non più ritrovati
nonostante un processo per furto ne
riconobbe il colpevole.
Dopo la morte di don Rota,
1982, fu effettuato nel 1989 un
ulteriore ciclo di restauri a
carattere prevalentemente
architettonico che restituì San
Giorgio nella stesura attuale al
godimento degli amanti dell'arte in
genere e di quella romanica di cui
assieme a San Tomè è uno degli
esempi più belli del territorio
lombardo e in particolare di quello
bergamasco.
Architettura
- Sotto
l'aspetto architettonico S. Giorgio
è un monumento singolare per lo
stridente contrasto degli elementi
che lo compongono. Risulta infatti
costruito in due momenti con
materiali e tecniche differenti: la
muratura più antica, risalente al
1150, è formata da grandi pietre in
arenaria grigioverde, squadrate e
disposte in filari ben allineati; il
muro di completamento è della fine
del XII secolo e risulta composto da
masselli di calcare bianco rosato in
facciata e da grossi ciottoli di
fiume, detti borianti, disposti a
lisca di pesce sui fianchi. Le
uniche parti del monumento che
appaiono omogenee, perché portate a
termine secondo il progetto iniziale
(il campanile è un'aggiunta del XVI
sec.), sono il presbiterio e
l'abside.
Sulla
parete absidale i conci
perfettamente lavorati formano
un'orditura compatta e imponente che
soltanto maestranze abili ed esperte
avrebbero potuto produrre. I
materiali e la tecnica costruttiva
sono uguali a quelli che si
ritrovano solo in monumenti
importanti della bergamasca, come la
basilica di S. Maria Maggiore e il
palazzo della Ragione in città. In
S. Giorgio pertanto hanno lavorato
maestranze della medesima scuola,
forse dello stesso cantiere.
Anche
il disegno dell'abside, suddivisa in
cinque campate di archi impostati su
pilastri e mezze colonne, fatte le
debite proporzioni, richiama S.
Maria Maggiore. Tutto questo
conferma che la basilica di Almenno
è nata come un'architettura nobile,
con caratteristiche superiori alle
chiese rurali del tempo.
Probabilmente nelle intenzioni del
vescovo, promotore della costruzione
e feudatario di Almenno, S. Giorgio
doveva essere anche un segno
visibile della sua autorità e
potenza. Poi però il progetto
iniziale non fu portato a termine.
Ciò risulta evidente, se si osserva
il fianco sud della chiesa. Qui il
diverso colore delle pietre, lo
stridente contrasto fra le monofore
in basso e le finestre ordinarie in
alto, la stessa muratura in arenaria
per largo tratto ancora bugnata,
perché non rifinita, indicano che
il cantiere romanico ha subito
un'interruzione inattesa. In seguito
si è ripreso a edificare senza
tenere conto del costruito, badando
soltanto a limitare le spese con
l'utilizzo di manodopera locale e
materiali poveri.
Se
ci si sposta davanti alla facciata,
balzano immediatamente agli occhi
altre incongruenze architettoniche:
le lesene d'angolo non sono state
completate; le finestrelle strombate
mancano dell'arco; in alto, sulla
fine del Duecento, è stata aperta
una grande finestra per dare luce
agli affreschi della navata
centrale; le pietre, nei punti dove
era addossato un portichetto
settecentesco rimosso nel 1955,
appaiono mal sistemate. Tutto questo
da una sensazione di disordine
architettonico e di
trascuratezza.
Basta
uno sguardo all'interno per restare
ammirati della sua bellezza. La
chiesa ha una pianta basilicale a
tre navate, la centrale più alta
delle laterali. Tre grandi arcate
longitudinali, ben proporzionate e
non prive di eleganza, sostenute da
pilastri a sezione quadrata, portano
al presbiterio, che è leggermente
sopraelevato e diviso in tre vani
intercomunicanti. Le decorazioni
scultoree sono quasi assenti e si
rinvengono solo nei capitelli di
fogge diverse dei vani laterali del
presbiterio. La copertura delle
navate, frutto di un rifacimento
settecentesco (1746), è a capriate
in legno, diversamente dal progetto
iniziale che prevedeva delle volte
in pietra. Il presbiterio invece ha
una copertura a volte, con
un'interessantissima crociera
nervata da due costoloni. Il
pavimento, inizialmente in pietra,
è oggi in cotto.
Affreschi
- La rilevante importanza che
San Giorgio assume nella storia
dell'arte non solo lombarda è
dovuta, oltre che alla sua
architettura romanica, agli
affreschi che ornano le sue pareti,
superstiti di quello scenario
pittorico che all'origine foderava
quasi completamente l'interno della
chiesa.
Si tratta di opere di grande
bellezza e compiutezza artistica che
si svolgono con un movimento filmico
coprendo i diversi periodi storici
in cui sono stati realizzati.
Alcuni di questi affreschi, quali la
Maestà nell'abside e i simboli dei
quattro evangelisti, i più antichi,
sono particolarmente deperiti e
appena leggibili ma i loro resti ne
fanno intuire la bellezza
originaria.
Gli affreschi testimoniano le
diverse sensibilità e capacità
artistiche dei momenti i cui sono
stati realizzati e nell'insieme
costituiscono uno scenario policromo
di grande impatto visivo.
I più antichi, XII-XIII
secolo, sono espressione di un
linguaggio romanico con riflessi
bizantineggianti, opere di artisti
di area bergamasca, come alcuni
santi affrescati su dei pilastri,
strappati per tutelarne la
conservazione mentre gli affreschi
della parete di destra, del secolo
successivo, hanno una maggiore
compiutezza e suggeriscono quasi
un'anticipazione di canoni
rinascimentali evidenti nello
scenografico trittico di San Giorgio
e la Principessa, la Madonna e il
Bambino e Sant'Alessandro attribuito
al Maestro del 1388.
È un trittico asimmetrico,
posto sull'angolo tra la parete sud
e la parete destra, che raffigura
San Giorgio nell'atto di uccidere il
drago davanti alla Principessa, la
Madonna che tiene per mano il
Bambino, racchiusa fra sottili
colonnini tortili, e alla sua
sinistra Sant'Alessandro addobbato
da cavaliere.
Particolarmente belle nelle
loro composizioni le figure di San
Giorgio armato in bianco su cavallo
bianco e della Principessa, in
drappeggio elegante e composto,
richiamano un'atmosfera cortese più
da castello visconteo che da luogo
di culto. Grazioso il linguaggio
degli occhi tra la Madonna e il
Bambino, mentre appare sontuoso
Sant'Alessandro anch'esso su cavallo
bianco.
Interessanti i due riquadri
del Battesimo di Cristo e della
Natività attribuiti anch'essi al Maestro
del 1388.
Di grande drammaticità la
quattrocentesca deposizione nel
sepolcro di incerta attribuzione in
cui l'affollamento dei personaggi
contribuisce ad esaltare il pathos
espresso dai volti. Si possono
riconoscere Giovanni di Arimatea, ai
piedi, la Maddalena che bacia le
ginocchia di Cristo la Madonna che
ne bacia il volto e San Giovanni
Evangelista che ne sorregge il capo.
Notevole l'espressione della pia
donna che grida con le braccia
alzate.
Il complesso degli affreschi
di San Giorgio costituisce il più
importante e raro esempio di pittura
medievale bergamasca.

Il
significato religioso - La
chiesa di S. Giorgio, prima che
un'opera d'arte, è una
testimonianza di fede. Numerosissimi
i santi che vi erano venerati.
Anzitutto il titolare, un Santo
cavaliere, particolarmente amato
dalla società medioevale, nella
quale i nobili costituivano la
classe dominante e la guerra
l'attività prevalente. Il Santo è
sempre ritratto nell'atto di
trafiggere un drago e di salvare una
principessa. In questa iconografia
egli si presenta all'uomo medioevale
come protettore nella lotta del bene
contro il male, della Chiesa contro
le eresie, del fedele contro
l'infedele. Ben tre raffigurazioni
del Santo, due delle quali staccate,
si trovano in S. Giorgio. Due lo
ritraggono vestito da cavaliere
crociato, in un'epoca in cui la
mistica della guerra santa è ancora
forte e viva è la risonanza delle
imprese per la conquista del Santo
Sepolcro. Altri santi hanno riscosso
particolare devozione nella
chiesa.
Alla
Maddalena era dedicato l'altare del
vano laterale destro del
presbiterio, dove vi era un suo
affresco del XIII secolo oggi
staccato. A lei era intitolata una
congregazione laica operante in S.
Giorgio, la Confraternita dei
Disciplinati, i cui membri si
riunivano sotto un portico addossato
al lato sud della chiesa, per
praticare la flagellazione
soprattutto nei venerdì di
quaresima. Grande era anche la
devozione per S. Bartolomeo. In S.
Giorgio due immagini, oggi
strappate, ritraggono il Santo: in
una egli appare con il coltello in
mano, segno del suo martirio;
nell'altra i carnefici lo scorticano
vivo. Il suo culto era talmente
radicato che, quando nel 1426 venne
edificata nella parte alta del paese
una nuova chiesa; questa fu a lui
dedicata, e il territorio a essa
circostante divenne il comune di
Almenno S. Bartolomeo (1601).
Altri
due Santi molto amati nella chiesa
di S. Giorgio erano S. Cristoforo e
S. Bernardo. Il primo è ritratto in
controfacciata in un affresco degli
inizi del Trecento, nella
tradizionale iconografia di
traghettatore di Cristo Bambino. La
sua immagine veniva frequentemente
posta sulle facciate delle chiese o
ai crocicchi delle strade, poiché
era invocato come protettore dei
pellegrini e dei viandanti. S.
Bernardo è ritratto sia in controfacciata,
nell'atto di abbracciare il Cristo
in croce, sia sopra il secondo
pilastro a sinistra, nelle vesti di
un monaco dal saio bianco. Ad
Almenno esisteva un antichissimo
ospedale (XII sec.) dedicato ai due
Santi, ubicato lungo la Via
Ospedaletto che passa attigua alla
basilica.
In
un mondo prevalentemente contadino
non poteva mancare la devozione a S.
Antonio Abate, patrono degli animali
della stalla, e a S. Eurosia,
protettrice della campagna. In S.
Giorgio gli affreschi votivi
dedicati a S. Antonio sono ben
quattro.
Vi
è anche una sua statua in legno
policromo del XV secolo, collocata
sopra una mensola della parete
laterale destra. Di S. Eurosia,
invece, attualmente non esistono
immagini nella chiesa, sebbene nel
Settecento ci fosse un altare con
quadro a lei dedicato. Grazie alla
Santa, in passato S. Giorgio era il
luogo privilegiato delle funzioni
propiziatorie per i frutti della
terra. Vi si celebravano infatti
messe e processioni per allontanare
le calamità naturali e chiedere
buoni raccolti.
Tuttavia,
il culto che ha maggiormente
caratterizzato e tuttora continua a
interessare la chiesa di S. Giorgio
è quello dei defunti. La devozione
ai morti, ravvivata dalla peste del
1630, trovò una definitiva
consacrazione nel 1745, quando venne
istituita un'apposita "Cassa
Morti" con i cui proventi si
provvedeva alla manutenzione
dell'edificio e alla celebrazione di
funzioni religiose. Un
"cappellano dei morti"
officiava regolarmente cento messe
all'anno e altri quattro uffici
funebri solenni erano officiati da
tutti i sacerdoti della parrocchia.
Tali tradizioni, protrattesi fin
quasi ai nostri giorni, hanno creato
una profonda devozione verso i morti
e di conseguenza anche verso S.
Giorgio.
Anche
se oggi tante manifestazioni di
culto del passato sono cadute in
disuso, la chiesa continua ad avere
un significato religioso importante
per la popolazione locale. Ne è
prova il fatto che tutti i lunedì
dei mesi estivi numerosissimi
fedeli, richiamati dall'antica
campana, accorrono nell'antica
basilica per assistere alla messa
appositamente celebrata per
suffragare i defunti e ottenere la
loro protezione.
Santuario
Madonna del Castello

Si
tratta di un edificio ecclesiale cinquecentesco molto
particolare in quanto costituisce un
insieme con la pieve
di Lemine a cui è
addossato e che ha inglobato.
Nel XIV e XV
secolo Lemine,
l'antico comprensorio territoriale
già corte longobarda,
aveva raggiunto un'identità
topografico-politica definita.
Il
suo centro amministrativo faceva
capo a quell'agglomerato urbano, le
cui radici risalivano alla presenza
romana nei pressi del ponte
di Lemine, che grosso modo
corrisponde all'attuale Almenno San
Salvatore.
Alla
fine del XIV
secolo, il 26 gennaio 1393,
la comunità,
nel cui interno si erano formate le
due fazioni contrapposte e
reciprocamente ostili dei Guelfi e
dei Ghibellini,
si suddivise formalmente nei due
comuni di Almenno Superiore e
Almenno Inferiore, rispettivamente
guelfo il primo e ghibellino il
secondo.
Questi secoli furono
un periodo di lotte fratricide
violente e sanguinose tra le due
comunità, lotte che si aggravarono
con l'avvento nella bergamasca della signoria viscontea,
di cui erano tradizionali alleati i
ghibellini di Almenno Inferiore.
La guerra quattrocentesca
che oppose Venezia ai Visconti vide
impegnate su opposti fronti le due
comunità leminesi ormai separate
dagli odi personali che si erano
accumulati e dai lutti e distruzioni
che si erano reciprocamente inferti.
La
vittoria di Venezia e dei suoi
alleati di Almenno Superiore portò,
nel 1443,
alla distruzione di Almenno
Inferiore e alla dispersione dei
suoi abitanti: uno dei pochi edifici
sopravvissuti fu la pieve.

Dopo
la distruzione di Lemine Inferiore
la pieve cadde in uno stato di
abbandono materiale e religioso
assoluto, destinata probabilmente a
scomparire se non fosse intervenuto
alla fine del XIV secolo un
intervento straordinario.
Un
assestamento dell'edificio aveva
fatto spostare un muro di
rinforzo che copriva l'affresco di
una Madonna
col Bambino di cui si
era persa la memoria.
La
riapparizione dell'affresco fu
ritenuto un evento miracoloso, un
segno divino diretto alla
riappacificazione della comunità,
che gli attribuì effetti
miracolosi.
La
profonda fede della gente, provata
da faide fratricide,
produsse una notevole messe di
offerte e donazioni non solo da
parte dei fedeli locali ma anche di
quelli delle zone limitrofe.
Si
determinò così la volontà di
costruire una nuova chiesa per
onorare il miracolo della
riapparizione della Madonna col
Bambino, non più del suo affresco,
nello stesso posto in cui l'evento
si era verificato, addossandola cioè
alla vecchia pieve che veniva a fare
parte del nuovo edificio e
recuperava così l'importanza
religiosa perduta.
La
costruzione della nuova chiesa,
piuttosto lenta, probabilmente a
causa di difficoltà di ordine
finanziario, fu consacrata il 4
giugno 1590 e dedicata alla
Madonna del Castello.
La
sua struttura architettonica ha
caratteristiche cinquecentesche, con
un elegante portale in marmo bianco
che si inserisce bene nella facciata esterna
dalle linee rigorose e austere,
ingentilite tuttavia da due snelle monofore e
da un rosone.
Le
monofore e il rosone, racchiusi da
sottili cornici di
marmo bianco, alleggeriscono il
rigore della facciata in cui sono
inseriti.

L'interno
si sviluppa su pianta rettangolare in
un'unica navata a
quattro campate unite
da ampi archi a
sesto acuto di tipo gotico.
La
parete di fondo è costituita da
quella che era la facciata della
pieve e che ora la separa da essa
pur mettendovela in comunicazione
tramite un'apertura alla destra
dell'altare.
Il risultato è un edificio unico,
ma composito per diversità di stili e
origini, di grande effetto artistico e
scenografico, sicuramente raro in
area lombarda.
Al
centro della parete campeggia
l'altare particolarmente bello e
originale per la sua composizione
architettonica. L'altare, infatti,
è racchiuso dentro un piccolo tempio ottagonale in
marmo bianco che ne fa quasi
un'altra chiesa incastonata in una
parete multicolore per le pitture
che la ornano. La copertura di
questa graziosa struttura è
costituita da un tamburo,
anch'esso ottagonale, che termina
con una lanterna su
cui svetta il Creatore in
postura benedicente.
Le
facce del tamburo sono ornate da
coppie di Sibille che
tengono un cartiglio.
Queste immagini di grande bellezza e
di ottima fattura sono state
attribuite al Previtali,
altri vi vedono la mano del Cariani.
L'interno
del tamburo è interamente dipinto
con scene della vita della Vergine,
di incerta attribuzione, databili
attorno all'inizio del '500.
Sulla
parete immediatamente sopra
l'altare, all'interno del tempietto,
si trova l'affresco, ritenuto
miracoloso, della Madonna con il
Bambino in braccio;
la Madonna è coronata da due angeli
mentre il Bambino benedicente tiene
un vangelo.
L'affresco, nel quale sono ancora
perfettamente leggibili le dediche SCA
MARIA e IHS, restituisce
una scena di particolare dolcezza e
leggiadria.
Di
difficile datazione, anche perché
ha subito alcuni ritocchi,
l'affresco è stato attribuito a un
periodo antecedente al 1100.
Il
tempietto, in posizione rialzata, è
separato dal pavimento da
tre gradini, mentre il suo tamburo
poggia tramite delle colonne su
una bassa balaustra che
quasi isola la struttura dal resto
dell'ambiente.
La
parete di fondo è ornata, alla
destra del tempietto, da
raffigurazioni della vita di Gesù,
che facendo da quinta pittorica al
tempietto stesso lo esalta
maggiormente creando un effetto
scenografico di grande fascino.
Sulle
pareti laterali interne ci sono, a
destra, una tela che raffigura San
Giovanni Battista, attribuito
al Cavagna da
alcuni e a discepoli del Moroni da
altri, e sulla parete di sinistra un
ottimo dipinto del Cavagna che
raffigura San
Carlo Borromeo con a
fianco San
Rocco e San
Pantaleone.
Recenti ispezioni artistiche hanno
rilevato la presenza di un affresco
sotto quello della Madonna col
Bambino, di datazione ben più
antica. Si è posto così il
problema della possibilità di
riportarlo alla luce senza
danneggiare quello della Madonna,
sia per non rovinare un'opera d'arte di
grande pregio sia per non offendere
la devozione dei
fedeli tuttora molto viva.
L'affresco
della Madonna raffigura una scena
che richiama nella sua ieraticità
le posture fisse bizantine ma
reinterpretate dalla sensibilità
locale che ne addolcisce il linguaggio.
La Madonna regge con la destra il
Bambino e con la sinistra indirizza
a lui e al messaggio che tiene in
mano, il rotolo del Vangelo.
Fanno
da cornice due affreschi
cinquecenteschi raffiguranti, quello
di destra, un incontro con il San
Giovannino e, quello di
sinistra, un'adorazione dei re
Magi; pure cinquecenteschi
sono gli angeli che celebrano la
Madonna nell'affresco principale.
La
fusione di stili ed epoche
artistiche diverse esalta la
composizione che risulta di grande
impatto visivo ed emotivo: un
miracolo artistico.

La
cripta - La parte più antica
del
complesso è la cripta, che si trova
sulla riva scoscesa
del
fiume Brembo, appoggiata su un
gradino naturale della roccia,
vicinissima ai ruderi
del
"sacrum palatium"
longobardo, con il quale era in
comunicazione mediante una porta
oggi murata visibile nel lato sud.
Questo lascia supporre che
originariamente essa fosse la
cappella gentilizia
del
palazzo, a servizio
del
sovrano,
del
suo seguito e dei servi della corte.
La sua costruzione si deve pertanto
attribuire a uno dei re longobardi
che tennero la corte regia di
Almenno nei secoli VII e VIII.
L'antichità
del
monumento è confermata dalla
presenza di colonne e capitelli che
risultano in modo evidente elementi
di recupero di precedenti edifici
romani. Anche la titolazione
riferita alla Pieve sorta
posteriormente, "chiesa della
Santa Madre di Dio e del Santissimo
Salvatore", scorretta
liturgicamente perché il nome della
Vergine non dovrebbe precedere
quello di Cristo, indicherebbe che
il nome del Salvatore è stato
aggiunto a quello della Madonna,
prima titolare della chiesa
esistente sull'area della cripta, la
cui muratura appare anche
chiaramente diversa dall'edificio
soprastante.
La
cripta, originariamente illuminata
da due strette finestrelle (altri
due oculi furono aperti nel
Seicento), conserva integra tutta la
suggestione e l'atmosfera degli
antichi luoghi di culto e di
preghiera. E' a pianta rettangolare,
divisa a metà da una fila di
quattro colonne che sostengono la
copertura con volte irregolari a
crociera.
Nel
Seicento vi fu collocato un altare
dedicato alla Visitazione, con
dipinto su tela opera di Andrea
Zambelli (1614), attualmente rimosso
e appeso sulla parete antistante,
poiché si è preferito lasciare in
vista un affresco di Cristo
Crocefisso tra la Madonna e S.
Giovanni (XIV sec.) con la scritta:
"Mariae Virginis et Sanctae
Crucis Continet...", che indica
come in questo luogo si
conservassero dentro una colomba
metallica appesa al soffitto
reliquie della Vergine e della S.
Croce. Coprono la parete a sud
alcuni affreschi del XIV secolo:
L'Annunciazione, S. Stefano e S.
Bartolomeo.

Luglio
2006
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