Almenno San Salvatore
Valle Imagna (Bergamo)

Il toponimo "Almenno San Salvatore" deriva da "Lemine", la cui etimologia è incerta. Già in epoca romana, Almenno S.S. era già dotato di un ampio comprensorio territoriale strutturato in pagus . Il centro amministrativo si trovava nell'area del Castello in prossimità del ponte di Lemine, noto come Ponte della Regina.

Il territorio almennese, antropizzato fin dalla protostoria, ha visto il passaggio dei Celti, dei Galli Cenomani, dei Romani, che oltre al ponte sul Brembo lasciarono diverse testimonianze archeologiche, per diventare, dopo la conquista longobarda, una corte regia.

Dopo la caduta del regno longobardo il territorio della curtis fece parte della contea di Lecco fino alla fine dell'XI secolo quando passò come beneficium all'episcopato di Bergamo nel cui possesso rimase fino al 3 marzo 1220, anno in cui i dritti feudali passarono al nascente comune.

Le lotte tra i Guelfi e i Ghibellini interessarono la comunità almennese e il 26 gennaio 1393 si arrivò alla divisione del comune. La ghibellina Lemine Inferiore dei Visconti e la guelfa Lemine Superiore di Venezia. Tradizionalmente alleate, le due erano spesso in violento e cruento contrasto tra loro.

Dopo il passaggio di Bergamo sotto il dominio veneziano nel 1441 la parte ghibellina subì la rivalsa di quella guelfa. La battaglia terminò il 13 agosto 1443 con la distruzione della Lemine Inferiore per ordine del podestà di Bergamo, Gritti.

Di Lemine Inferiore restarono soltanto la Pieve, la chiesa di San Giorgio e alcune edicole religiose.  

Lemine Superiore, sopravvissuta alle lotte tra guelfi e Ghibellini, si trovò ad avere una comunità molto ampia che portò alla nascita di un'altra parrocchia oltre il torrente Tornago, quella di San Bartolomeo.

Tra le due comunità, coagulate attorno alle due parrocchie, si manifestarono presto interessi differenti e divergenti che resero inevitabile l'ultima scissione di Almenno.

Il 30 marzo 1601 fu rogato l'atto notarile che statuiva la suddivisione di Almenno nei due comuni di Almenno San Bartolomeo, costituito dai territori di Albenza, Longa e Pussano, e Almenno San Salvatore, costituito dalle contrade di Porta, Borgo e Sotto.

San Giorgio in Lemine

La chiesa di San Giorgio in Lemine è un edificio ecclesiale romanico a struttura basilicale a tre navate, risalente al XI-XII secolo, che assieme a San Tomè si inserisce nel ciclo romanico tipico dell'arte bergamasca medievale.

Non c'è una documentazione certa sulla fondazione né sulla datazione della chiesa di San Giorgio: gli studiosi si sono esercitati in una serie di ricerche storico-archeologiche per individuarne la data, il patrocinatore e i motivi che vi presiedettero, senza giungere a una conclusione univoca.

L'unica data certa è il 1171, in cui risulta, da documenti storici, che la chiesa esisteva, mentre si può ragionevolmente escludere una iniziativa popolare nella sua costruzione, poiché il comprensorio era sottoposto secondo un rapporto feudale all'episcopato di Bergamo, istituzione potente sia sotto l'aspetto politico-militare che economico.

Solo il vescovo era in grado di sostenere la costruzione di un edificio ecclesiale in un territorio a lui sottoposto, mentre è plausibile che la sua iniziativa sia stata motivata dalle nuove esigenze devozionali e liturgiche di una popolazione accresciuta. L'edificio ecclesiale fu costruito in due momenti con materiali e tecniche diverse, migliori e più curati prima, più dozzinali e quasi occasionali dopo. Ciò può essere ascritto alle difficoltà politiche del periodo, che videro il vescovo Gerardo, suo presunto ispiratore, scomunicato nel 1167 per avere appoggiato l'impero e la concomitanza del contrasto tra la Lega Lombarda e Federico Barbarossa. A tutto ciò potrebbero essersi aggiunte difficoltà economiche e di reperimento dei primitivi materiali di costruzione.

San Giorgio visse il suo periodo migliore dalla seconda metà del XIV secolo alla prima metà del XV. Seppure non avesse il rango di parrocchia o di canonica ma di chiesa sussidiaria della Pieve di Lemine ne assunse, a partire dal '300, gradualmente le funzioni fino a sostituirsi ad essa.

A favore di San Giorgio giocarono fattori demografici e politici: da una parte l'aumento della popolazione, dall'altra le lotte tra i guelfi di Lemine superiore e i ghibellini di Lemine inferiore, le due entità in cui di fatto si era suddiviso il territorio. Queste lotte, il più delle volte sanguinarie, avevano indebolito la posizione della Pieve, di difficile accesso perché arroccata nel castello, spingendo a privilegiare San Giorgio alla cui costruzione e abbellimento aveva contribuito il popolo. 

Lentamente San Giorgio si staccò dalla Pieve fino a raggiungere una certa autonomia non solo liturgica ma anche economica per i numerosi lasciti e donazioni diretti non solo alla sua gestione ma anche al suo abbellimento. Buona parte dei donativi furono destinati dagli offerenti al finanziamento degli affreschi che avrebbero ricoperto integralmente le pareti interne della chiesa.  

Nella prima metà del '400 San Giorgio era divenuto il centro non solo dell'attività religiosa ma anche un punto di incontro della comunità per la trattazione di affari di ordine civile.

Alla chiesa si appoggiò anche una confraternita di civili devoti, chiamati Disciplinati o Disciplini, che oltre alle preghiere si dedicavano al proselitismo e alla propria flagellazione per purgare i peccati e impetrare il perdono divino, ricercando le stesse sofferenze della Passione di Cristo.

Su di essi ebbe una grande influenza la predicazione del domenicano Venturino da Bergamo che a partire dal 1335 percorse l'Italia settentrionale e centrale invocando la pace e prescrivendo la penitenza.

I Disciplinati svolgevano anche attività di carattere sociale come l'assistenza ai bisognosi e l'intervento diretto per sedare le lotte endemiche del periodo che sconvolgevano la comunità sia per le uccisioni che per la devastazioni dei beni che ne seguivano.  

Il punto di riferimento di questi penitenti divenne il portico di San Giorgio, oggi non più esistente, essendo loro interdetto dalle norme canoniche l'uso dell'interno della chiesa.

Alcuni autori ritengono che i cosiddetti Disciplinati di San Giorgio si svilupparono tra il XIV e il XV secolo, in momenti di grande e drammatica tribolazione politica aggravati dalle ricorrenti pestilenze, che favorirono la nascita e la diffusione un po' dappertutto di questo genere di movimenti penitenziali. In questa seconda ipotesi avrebbero influito più che le parole di Venturino da Bergamo quelle irruenti di Bernardino da Siena.

L'inizio della decadenza di San Giorgio coincise con l'aumentare della virulenza delle lotte intestine tra i Guelfi e i Ghibellini, i primi fautori di Venezia, che li sosteneva, i secondi alleati dei Visconti in quell'annosa lotta che avrebbe visto ancora a lungo Venezia e Milano contrapposti.
Nei primi decenni del '400 Lemine fu spettatrice di ruberie, devastazioni delle proprietà, uccisioni e attentati intestini che i contrasti tra Venezia e Milano viscontea esaltavano fornendo di volta in volta la copertura politica.

Prevalsero alla fine i guelfi di Lemine superiore, o per meglio dire Venezia, e scoppiarono ritorsioni nei confronti dei ghibellini di Lemine inferiore che culminarono nella distruzione dell'abitato di questa, ordinata il 13 agosto 1443 da Andrea Gritti podestà di Bergamo, e nella dispersione della sua comunità.

Dopo questa data vennero a mancare a San Giorgio il suo substrato umano e i suoi sostenitori mentre di contro si sviluppava la parte settentrionale del paese.

La sconfitta dei ghibellini causò lo spostamento del baricentro della comunità verso Lemine superiore, il che comportò la costruzione di nuove chiese distogliendo l'attenzione da San Giorgio, abbandonata all'incuria e all'oblio.  

La chiesa di San Giorgio rimase isolata in un'area spopolata e Venezia vendendo ai propri sostenitori le proprietà confiscate ai perdenti la condannava alla decadenza, come è testimoniato dalle relazioni delle diverse visite pastorali che vi si succedettero fino al XVII secolo.

Fu con la peste manzoniana del 1630 che San Giorgio, in un certo senso, rinacque. Questa peste colpì duramente il territorio di Lemine, ora Almenno, causando un impressionante numero di morti, quasi un terzo della popolazione, ai quali bisognava dare sepoltura e per questa funzione San Giorgio con il suo piccolo cimitero risultò particolarmente idonea: isolata nei campi ma facilmente raggiungibile rappresentò la soluzione ideale. Da allora si caratterizzò come la Chiesa dei Morti mantenendo questa funzione anche dopo la fine della peste e si creò, in maniera inconsapevole, l'usanza di seppellire i propri morti nel cimitero di San Giorgio, quasi una moda che crebbe al punto da farvi istituire, nel 1761, una cappellania per i suffragi funebri.

Da ciò derivò una più ampia devozione e una maggiore attenzione per la manutenzione dell'edificio ecclesiale che fortunatamente non portò all'imbiancatura della pareti interne salvando così gli affreschi superstiti.

San Giorgio attraversò l'800 tra alterne vicende, momenti di cura e di abbandono si susseguirono in funzione della maggiore o minore attenzione dei prevosti incaricati, riducendosi tuttavia a quasi rudere agli inizi del XX secolo. Solo a partire degli anni 50 del secolo scorso si riaccese l'interesse storico-artistico verso San Giorgio di cui si iniziavano a riscoprire e rivalutare gli affreschi come uno dei più importanti esempi di quest'arte nell'area lombarda.

Uno dei più appassionati ed esperti cultori degli affreschi di San Giorgio fu don Angelo Rota. Il Rota si prodigò per la sua rinascita, avendone compreso il valore artistico e storico, e riuscì a coinvolgere negli anni 60-70 la Commissione Diocesana di Arte Sacra, la Soprintendenza alle Belle Arti e alcuni sostenitori privati nel restauro della chiesa e nel recupero dei suoi affreschi. Di questi alcuni furono salvati con la tecnica dello strappo ma diversi furono sottratti indebitamente e non più ritrovati nonostante un processo per furto ne riconobbe il colpevole.

Dopo la morte di don Rota, 1982, fu effettuato nel 1989 un ulteriore ciclo di restauri a carattere prevalentemente architettonico che restituì San Giorgio nella stesura attuale al godimento degli amanti dell'arte in genere e di quella romanica di cui assieme a San Tomè è uno degli esempi più belli del territorio lombardo e in particolare di quello bergamasco.  

Architettura - Sotto l'aspetto architettonico S. Giorgio è un monumento singolare per lo stridente contrasto degli elementi che lo compongono. Risulta infatti costruito in due momenti con materiali e tecniche differenti: la muratura più antica, risalente al 1150, è formata da grandi pietre in arenaria grigioverde, squadrate e disposte in filari ben allineati; il muro di completamento è della fine del XII secolo e risulta composto da masselli di calcare bianco rosato in facciata e da grossi ciottoli di fiume, detti borianti, disposti a lisca di pesce sui fianchi. Le uniche parti del monumento che appaiono omogenee, perché portate a termine secondo il progetto iniziale (il campanile è un'aggiunta del XVI sec.), sono il presbiterio e l'abside. 

Sulla parete absidale i conci perfettamente lavorati formano un'orditura compatta e imponente che soltanto maestranze abili ed esperte avrebbero potuto produrre. I materiali e la tecnica costruttiva sono uguali a quelli che si ritrovano solo in monumenti importanti della bergamasca, come la basilica di S. Maria Maggiore e il palazzo della Ragione in città. In S. Giorgio pertanto hanno lavorato maestranze della medesima scuola, forse dello stesso cantiere. 

Anche il disegno dell'abside, suddivisa in cinque campate di archi impostati su pilastri e mezze colonne, fatte le debite proporzioni, richiama S. Maria Maggiore. Tutto questo conferma che la basilica di Almenno è nata come un'architettura nobile, con caratteristiche superiori alle chiese rurali del tempo. Probabilmente nelle intenzioni del vescovo, promotore della costruzione e feudatario di Almenno, S. Giorgio doveva essere anche un segno visibile della sua autorità e potenza. Poi però il progetto iniziale non fu portato a termine. 

Ciò risulta evidente, se si osserva il fianco sud della chiesa. Qui il diverso colore delle pietre, lo stridente contrasto fra le monofore in basso e le finestre ordinarie in alto, la stessa muratura in arenaria per largo tratto ancora bugnata, perché non rifinita, indicano che il cantiere romanico ha subito un'interruzione inattesa. In seguito si è ripreso a edificare senza tenere conto del costruito, badando soltanto a limitare le spese con l'utilizzo di manodopera locale e materiali poveri. 

Se ci si sposta davanti alla facciata, balzano immediatamente agli occhi altre incongruenze architettoniche: le lesene d'angolo non sono state completate; le finestrelle strombate mancano dell'arco; in alto, sulla fine del Duecento, è stata aperta una grande finestra per dare luce agli affreschi della navata centrale; le pietre, nei punti dove era addossato un portichetto settecentesco rimosso nel 1955, appaiono mal sistemate. Tutto questo da una sensazione di disordine architettonico e di  trascuratezza. 

Basta uno sguardo all'interno per restare ammirati della sua bellezza. La chiesa ha una pianta basilicale a tre navate, la centrale più alta delle laterali. Tre grandi arcate longitudinali, ben proporzionate e non prive di eleganza, sostenute da pilastri a sezione quadrata, portano al presbiterio, che è leggermente sopraelevato e diviso in tre vani intercomunicanti. Le decorazioni scultoree sono quasi assenti e si rinvengono solo nei capitelli di fogge diverse dei vani laterali del presbiterio. La copertura delle navate, frutto di un rifacimento settecentesco (1746), è a capriate in legno, diversamente dal progetto iniziale che prevedeva delle volte in pietra. Il presbiterio invece ha una copertura a volte, con un'interessantissima crociera nervata da due costoloni. Il pavimento, inizialmente in pietra, è oggi in cotto.

Affreschi - La rilevante importanza che San Giorgio assume nella storia dell'arte non solo lombarda è dovuta, oltre che alla sua architettura romanica, agli affreschi che ornano le sue pareti, superstiti di quello scenario pittorico che all'origine foderava quasi completamente l'interno della chiesa.

Si tratta di opere di grande bellezza e compiutezza artistica che si svolgono con un movimento filmico coprendo i diversi periodi storici in cui sono stati realizzati. Alcuni di questi affreschi, quali la Maestà nell'abside e i simboli dei quattro evangelisti, i più antichi, sono particolarmente deperiti e appena leggibili ma i loro resti ne fanno intuire la bellezza originaria.

Gli affreschi testimoniano le diverse sensibilità e capacità artistiche dei momenti i cui sono stati realizzati e nell'insieme costituiscono uno scenario policromo di grande impatto visivo.

I più antichi, XII-XIII secolo, sono espressione di un linguaggio romanico con riflessi bizantineggianti, opere di artisti di area bergamasca, come alcuni santi affrescati su dei pilastri, strappati per tutelarne la conservazione mentre gli affreschi della parete di destra, del secolo successivo, hanno una maggiore compiutezza e suggeriscono quasi un'anticipazione di canoni rinascimentali evidenti nello scenografico trittico di San Giorgio e la Principessa, la Madonna e il Bambino e Sant'Alessandro attribuito al Maestro del 1388.

È un trittico asimmetrico, posto sull'angolo tra la parete sud e la parete destra, che raffigura San Giorgio nell'atto di uccidere il drago davanti alla Principessa, la Madonna che tiene per mano il Bambino, racchiusa fra sottili colonnini tortili, e alla sua sinistra Sant'Alessandro addobbato da cavaliere.

Particolarmente belle nelle loro composizioni le figure di San Giorgio armato in bianco su cavallo bianco e della Principessa, in drappeggio elegante e composto, richiamano un'atmosfera cortese più da castello visconteo che da luogo di culto. Grazioso il linguaggio degli occhi tra la Madonna e il Bambino, mentre appare sontuoso Sant'Alessandro anch'esso su cavallo bianco.

Interessanti i due riquadri del Battesimo di Cristo e della Natività attribuiti anch'essi al Maestro del 1388.

Di grande drammaticità la quattrocentesca deposizione nel sepolcro di incerta attribuzione in cui l'affollamento dei personaggi contribuisce ad esaltare il pathos espresso dai volti. Si possono riconoscere Giovanni di Arimatea, ai piedi, la Maddalena che bacia le ginocchia di Cristo la Madonna che ne bacia il volto e San Giovanni Evangelista che ne sorregge il capo. Notevole l'espressione della pia donna che grida con le braccia alzate.

Il complesso degli affreschi di San Giorgio costituisce il più importante e raro esempio di pittura medievale bergamasca.

Il significato religioso - La chiesa di S. Giorgio, prima che un'opera d'arte, è una testimonianza di fede. Numerosissimi i santi che vi erano venerati. Anzitutto il titolare, un Santo cavaliere, particolarmente amato dalla società medioevale, nella quale i nobili costituivano la classe dominante e la guerra l'attività prevalente. Il Santo è sempre ritratto nell'atto di trafiggere un drago e di salvare una principessa. In questa iconografia egli si presenta all'uomo medioevale come protettore nella lotta del bene contro il male, della Chiesa contro le eresie, del fedele contro l'infedele. Ben tre raffigurazioni del Santo, due delle quali staccate, si trovano in S. Giorgio. Due lo ritraggono vestito da cavaliere crociato, in un'epoca in cui la mistica della guerra santa è ancora forte e viva è la risonanza delle imprese per la conquista del Santo Sepolcro. Altri santi hanno riscosso particolare devozio­ne nella chiesa.

Alla Maddalena era dedicato l'altare del vano laterale destro del presbiterio, dove vi era un suo affresco del XIII secolo oggi staccato. A lei era intitolata una congregazione laica operante in S. Giorgio, la Confraternita dei Disciplinati, i cui membri si riunivano sotto un portico addossato al lato sud della chiesa, per praticare la flagellazione soprattutto nei venerdì di quaresima. Grande era anche la devozione per S. Bartolomeo. In S. Giorgio due immagini, oggi strappate, ritraggono il Santo: in una egli appare con il coltello in mano, segno del suo martirio; nell'altra i carnefici lo scorticano vivo. Il suo culto era talmente radicato che, quando nel 1426 venne edificata nella parte alta del paese una nuova chiesa; questa fu a lui dedicata, e il territorio a essa circostante divenne il comune di Almenno S. Bartolomeo (1601).

Altri due Santi molto amati nella chiesa di S. Giorgio erano S. Cristoforo e S. Bernardo. Il primo è ritratto in controfacciata in un affresco degli inizi del Trecento, nella tradizionale iconografia di traghettatore di Cristo Bambino. La sua immagine veniva frequentemente posta sulle facciate delle chiese o ai crocicchi delle strade, poiché era invocato come protettore dei pellegrini e dei viandanti. S. Bernardo è ritratto sia in contro­facciata, nell'atto di abbracciare il Cristo in croce, sia sopra il secondo pilastro a sinistra, nelle vesti di un monaco dal saio bianco. Ad Almenno esisteva un antichissimo ospedale (XII sec.) dedicato ai due Santi, ubicato lungo la Via Ospedaletto che passa attigua alla basilica.

In un mondo prevalentemente contadino non poteva mancare la devozione a S. Antonio Abate, patrono degli animali della stalla, e a S. Eurosia, protettrice della campagna. In S. Giorgio gli affreschi votivi dedicati a S. Antonio sono ben quattro.

Vi è anche una sua statua in legno policromo del XV secolo, collocata sopra una mensola della parete laterale destra. Di S. Eurosia, invece, attualmente non esistono immagini nella chiesa, sebbene nel Settecento ci fosse un altare con quadro a lei dedicato. Grazie alla Santa, in passato S. Giorgio era il luogo privilegiato delle funzioni propiziatorie per i frutti della terra. Vi si celebravano infatti messe e processioni per allontanare le calamità naturali e chiedere buoni raccolti.

Tuttavia, il culto che ha maggiormente caratterizzato e tuttora continua a interessare la chiesa di S. Giorgio è quello dei defunti. La devozione ai morti, ravvivata dalla peste del 1630, trovò una definitiva consacrazione nel 1745, quando venne istituita un'apposita "Cassa Morti" con i cui proventi si provvedeva alla manutenzione dell'edificio e alla celebrazione di funzioni religiose. Un "cappellano dei morti" officiava regolarmente cento messe all'anno e altri quattro uffici funebri solenni erano officiati da tutti i sacerdoti della parrocchia. Tali tradizioni, protrattesi fin quasi ai nostri giorni, hanno creato una profonda devozione verso i morti e di conseguenza anche verso S. Giorgio.

Anche se oggi tante manifestazioni di culto del passato sono cadute in disuso, la chiesa continua ad avere un significato religioso importante per la popolazione locale. Ne è prova il fatto che tutti i lunedì dei mesi estivi numerosissimi fedeli, richiamati dall'antica campana, accorrono nell'antica basilica per assistere alla messa appositamente celebrata per suffragare i defunti e ottenere la loro protezione.

Santuario Madonna del Castello 

Si tratta di un edificio ecclesiale cinquecentesco molto particolare in quanto costituisce un insieme con la pieve di Lemine a cui è addossato e che ha inglobato.

Nel XIV e XV secolo Lemine, l'antico comprensorio territoriale già corte longobarda, aveva raggiunto un'identità topografico-politica definita.

Il suo centro amministrativo faceva capo a quell'agglomerato urbano, le cui radici risalivano alla presenza romana nei pressi del ponte di Lemine, che grosso modo corrisponde all'attuale Almenno San Salvatore.

Alla fine del XIV secolo, il 26 gennaio 1393, la comunità, nel cui interno si erano formate le due fazioni contrapposte e reciprocamente ostili dei Guelfi e dei Ghibellini, si suddivise formalmente nei due comuni di Almenno Superiore e Almenno Inferiore, rispettivamente guelfo il primo e ghibellino il secondo.

Questi secoli furono un periodo di lotte fratricide violente e sanguinose tra le due comunità, lotte che si aggravarono con l'avvento nella bergamasca della signoria viscontea, di cui erano tradizionali alleati i ghibellini di Almenno Inferiore.

La guerra quattrocentesca che oppose Venezia ai Visconti vide impegnate su opposti fronti le due comunità leminesi ormai separate dagli odi personali che si erano accumulati e dai lutti e distruzioni che si erano reciprocamente inferti.

La vittoria di Venezia e dei suoi alleati di Almenno Superiore portò, nel 1443, alla distruzione di Almenno Inferiore e alla dispersione dei suoi abitanti: uno dei pochi edifici sopravvissuti fu la pieve.  

Dopo la distruzione di Lemine Inferiore la pieve cadde in uno stato di abbandono materiale e religioso assoluto, destinata probabilmente a scomparire se non fosse intervenuto alla fine del XIV secolo un intervento straordinario.

Un assestamento dell'edificio aveva fatto spostare un muro di rinforzo che copriva l'affresco di una Madonna col Bambino di cui si era persa la memoria.

La riapparizione dell'affresco fu ritenuto un evento miracoloso, un segno divino diretto alla riappacificazione della comunità, che gli attribuì effetti miracolosi.

La profonda fede della gente, provata da faide fratricide, produsse una notevole messe di offerte e donazioni non solo da parte dei fedeli locali ma anche di quelli delle zone limitrofe.

Si determinò così la volontà di costruire una nuova chiesa per onorare il miracolo della riapparizione della Madonna col Bambino, non più del suo affresco, nello stesso posto in cui l'evento si era verificato, addossandola cioè alla vecchia pieve che veniva a fare parte del nuovo edificio e recuperava così l'importanza religiosa perduta.  

La costruzione della nuova chiesa, piuttosto lenta, probabilmente a causa di difficoltà di ordine finanziario, fu consacrata il 4 giugno 1590 e dedicata alla Madonna del Castello.

La sua struttura architettonica ha caratteristiche cinquecentesche, con un elegante portale in marmo bianco che si inserisce bene nella facciata esterna dalle linee rigorose e austere, ingentilite tuttavia da due snelle monofore e da un rosone.

Le monofore e il rosone, racchiusi da sottili cornici di marmo bianco, alleggeriscono il rigore della facciata in cui sono inseriti.

L'interno si sviluppa su pianta rettangolare in un'unica navata a quattro campate unite da ampi archi a sesto acuto di tipo gotico.

La parete di fondo è costituita da quella che era la facciata della pieve e che ora la separa da essa pur mettendovela in comunicazione tramite un'apertura alla destra dell'altare. Il risultato è un edificio unico, ma composito per diversità di stili e origini, di grande effetto artistico e scenografico, sicuramente raro in area lombarda.

Al centro della parete campeggia l'altare particolarmente bello e originale per la sua composizione architettonica. L'altare, infatti, è racchiuso dentro un piccolo tempio ottagonale in marmo bianco che ne fa quasi un'altra chiesa incastonata in una parete multicolore per le pitture che la ornano. La copertura di questa graziosa struttura è costituita da un tamburo, anch'esso ottagonale, che termina con una lanterna su cui svetta il Creatore in postura benedicente.

Le facce del tamburo sono ornate da coppie di Sibille che tengono un cartiglio. Queste immagini di grande bellezza e di ottima fattura sono state attribuite al Previtali, altri vi vedono la mano del Cariani.

L'interno del tamburo è interamente dipinto con scene della vita della Vergine, di incerta attribuzione, databili attorno all'inizio del '500.

Sulla parete immediatamente sopra l'altare, all'interno del tempietto, si trova l'affresco, ritenuto miracoloso, della Madonna con il Bambino in braccio; la Madonna è coronata da due angeli mentre il Bambino benedicente tiene un vangelo. L'affresco, nel quale sono ancora perfettamente leggibili le dediche SCA MARIA e IHS, restituisce una scena di particolare dolcezza e leggiadria.

Di difficile datazione, anche perché ha subito alcuni ritocchi, l'affresco è stato attribuito a un periodo antecedente al 1100.

Il tempietto, in posizione rialzata, è separato dal pavimento da tre gradini, mentre il suo tamburo poggia tramite delle colonne su una bassa balaustra che quasi isola la struttura dal resto dell'ambiente.

La parete di fondo è ornata, alla destra del tempietto, da raffigurazioni della vita di Gesù, che facendo da quinta pittorica al tempietto stesso lo esalta maggiormente creando un effetto scenografico di grande fascino.

Sulle pareti laterali interne ci sono, a destra, una tela che raffigura San Giovanni Battista, attribuito al Cavagna da alcuni e a discepoli del Moroni da altri, e sulla parete di sinistra un ottimo dipinto del Cavagna che raffigura San Carlo Borromeo con a fianco San Rocco e San Pantaleone.  

Recenti ispezioni artistiche hanno rilevato la presenza di un affresco sotto quello della Madonna col Bambino, di datazione ben più antica. Si è posto così il problema della possibilità di riportarlo alla luce senza danneggiare quello della Madonna, sia per non rovinare un'opera d'arte di grande pregio sia per non offendere la devozione dei fedeli tuttora molto viva.

L'affresco della Madonna raffigura una scena che richiama nella sua ieraticità le posture fisse bizantine ma reinterpretate dalla sensibilità locale che ne addolcisce il linguaggio. La Madonna regge con la destra il Bambino e con la sinistra indirizza a lui e al messaggio che tiene in mano, il rotolo del Vangelo.

Fanno da cornice due affreschi cinquecenteschi raffiguranti, quello di destra, un incontro con il San Giovannino e, quello di sinistra, un'adorazione dei re Magi; pure cinquecenteschi sono gli angeli che celebrano la Madonna nell'affresco principale.

La fusione di stili ed epoche artistiche diverse esalta la composizione che risulta di grande impatto visivo ed emotivo: un miracolo artistico.

La cripta - La parte più antica del complesso è la cripta, che si trova sulla riva scoscesa del fiume Brembo, appoggiata su un gradino naturale della roccia, vicinissima ai ruderi del "sacrum palatium" longobardo, con il quale era in comunicazione mediante una porta oggi murata visibile nel lato sud. Questo lascia supporre che originariamente essa fosse la cappella gentilizia del palazzo, a servizio del sovrano, del suo seguito e dei servi della corte. La sua costruzione si deve pertanto attribuire a uno dei re longobardi che tennero la corte regia di Almenno nei secoli VII e VIII.

L'antichità del monumento è confermata dalla presenza di colonne e capitelli che risultano in modo evidente elementi di recupero di precedenti edifici romani. Anche la titolazione riferita alla Pieve sorta posteriormente, "chiesa della Santa Madre di Dio e del Santissimo Salvatore", scorretta liturgicamente perché il nome della Vergine non dovrebbe precedere quello di Cristo, indicherebbe che il nome del Salvatore è stato aggiunto a quello della Madonna, prima titolare della chiesa esistente sull'area della cripta, la cui muratura appare anche chiaramente diversa dall'edificio soprastante.

La cripta, originariamente illuminata da due strette finestrelle (altri due oculi furono aperti nel Seicento), conserva integra tutta la suggestione e l'atmosfera degli antichi luoghi di culto e di preghiera. E' a pianta rettangolare, divisa a metà da una fila di quattro colonne che sostengono la copertura con volte irregolari a crociera.

Nel Seicento vi fu collocato un altare dedicato alla Visitazione, con dipinto su tela opera di Andrea Zambelli (1614), attualmente rimosso e appeso sulla parete antistante, poiché si è preferito lasciare in vista un affresco di Cristo Crocefisso tra la Madonna e S. Giovanni (XIV sec.) con la scritta: "Mariae Virginis et Sanctae Crucis Continet...", che indica come in questo luogo si conservassero dentro una colomba metallica appesa al soffitto reliquie della Vergine e della S. Croce. Coprono la parete a sud alcuni affreschi del XIV secolo: L'Annunciazione, S. Stefano e S. Bartolomeo.

Luglio 2006