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ai beni compresi
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Italia
- Città del Vaticano
PATRIMONIO
DELL'UMANITÀ DAL 1980-1990
 
Età
imperiale - Imperatori
severi (193 - 235 d.C.)
La dinastia
dei Severi che regnò sull'Impero
romano tra la fine del II e
i primi decenni del III
secolo, dal 193 al 235,
con una breve interruzione durante il regno di Macrino tra
il 217 e
il 218,
ebbe in Settimio
Severo il suo capostipite ed in Alessandro
Severo il suo ultimo discendente. La nuova
dinastia, nata sulle ceneri di un lungo periodo di guerre
civili, oltre a Settimio Severo e ai suoi figli,
comprendeva anche i parenti della moglie di Settimio Severo, Giulia
Domna. Questi ultimi presero anch'essi il nome di
Severo, dal loro capostipite, al momento dell'ascesa al
trono.
Nei nomina degli
imperatori era, inoltre, presente un chiaro riferimento alla dinastia
degli Antonini. Il motivo era quello di creare una
forma di continuità ideale con la precedente dinastia,
quasi non ci fosse stata alcuna interruzione, neppure con il
predecessore Pertinace (mentre Didio
Giuliano venne dichiarato usurpatore). Nella
titolatura imperiale di Settimio Severo, infatti, compariva
questa dicitura:
IMPERATORI
CAESARI DIVI MARCI ANTONINI PII GERMANICI SARMATICI FILIO
DIVI COMMODI FRATRI DIVI ANTONINI PII NEPOTI DIVI HADRIANI
PRONEPOTI DIVI TRAIANI PARTHICI ABNEPOTI DIVI NERVAE
ADNEPOTI LUCIO SEPTIMIO SEVERO PIO PERTINACI AUGUSTO ("l'imperatore
Cesare, figlio del divo Marco Antonino Pio Germanico
Sarmatico, fratello del divo Commodo, nipote del divo
Antonino Pio, discendente del divo Traiano Partico,
discendente del divo Nerva, Lucio Settimio Severo Pio
Pertinace Augusto").
Severo
dichiarava così non solo di essere figlio adottivo di Marco
Aurelio, e pertanto fratello di Commodo, ma
anche erede tutta la sua discendenza fino a Nerva stesso
(Adriano, Traiano, Antonino
Pio), oltre a vantare legame diretto con il suo
predecessore Pertinace.
La
dinastia dei Severi conquistò diversi territori durante il
suo regno. Qui di seguito sono elencati alcuni dei territori
che furono acquisiti dai Severi durante il loro governo:
1.
Parte dell'Impero partico, che si estendeva dall'Iran
all'Iraq.
2.
La provincia romana della Mesopotamia, situata tra l'Eufrate
e il Tigri.
3.
L'Egitto, che era stato annesso all'Impero romano dal 30
a.C., ma che aveva subito l'influenza dei Parti durante il
III secolo.
4.
L'Africa settentrionale, che comprendeva l'attuale Tunisia,
Algeria e Marocco.
5.
L'Arabia Petraea, che comprendeva gran parte dell'attuale
Giordania e Arabia Saudita.
La
dinastia dei Severi è stata importante anche per il suo
ruolo nella stabilizzazione e consolidamento dell'Impero
romano, poiché hanno posto fine a un periodo di crisi e
instabilità.
L'albero genealogico della dinastia dei Severi si articola
intorno alla famiglia della moglie di Settimio Severo, Giulia
Domna. Si trattava di una famiglia sacerdotale di Emesa,
in Siria,
adepta al culto del dio Eliogabalo o Elagabalo.
Dal
Principato al Dominato
A Roma, dopo
l'incendio del 191,
sotto Commodo,
iniziò una nuova fase di lavori, sotto i Severi:
fu ricostruito il Tempio
della Pace, Tempio
di Vesta (nel 204),
gli Horrea
Piperiana, il Portico
di Ottavia; si aggiunse un'ala dei palazzi
imperiali del Palatino (la Domus
Severiana), con una nuova facciata monumentale verso la Via
Appia, il Settizonio;
furono innalzati l'arco
di Settimio Severo nel Foro
Romano (eretto per il trionfo partico del 203),
l'arco degli
Argentari (eretto in onore dell'imperatore dai banchieri del Foro
Boario nel 204)
e le terme di
Caracalla, l'edificio più imponente e tra i meglio conservati della
Roma imperiale. Sempre all'epoca di Caracalla venne
costruito quello che forse era il tempio più grandioso della città, quello di
Serapide sul Quirinale. A Eliogabalo si
deve invece un tempio dedicato al culto del Sol
Invictus, il Elagabalium (eretto
nel 220-221)
e ad Alessandro
Severo, l'ultimo degli acquedotti
romani, l'Aqua
Alexandrina (del 226).
L'arco
di Settimio Severo a tre fornici era
posizionato all'angolo nord-est del Foro
Romano. Eretto tra il 202 e
il 203,
fu dedicato dal senato all'imperatore Settimio
Severo e ai suoi due figli, Caracalla e Geta per
celebrare la vittoria
sui Parti, ottenuta con due campagne militari concluse rispettivamente
nel 195 e
nel 197-198.
Una notevole novità è rappresentata dai quattro grandi pannelli con le imprese
militari di Settimio Severo in Mesopotamia dell'arco
trionfale. I modelli per tali raffigurazioni furono molto probabilmente
le pitture trionfali inviate dall'Oriente e citate da Erodiano,
spiegando così l'insolita costruzione compositiva per fasce orizzontali a
partire dal basso. Il modellato delle figure è sommario, ma i profondi solchi
di contorni, ombre e articolazioni, scavati col trapano elicoidale, animano
con incisività la raffigurazione, inaugurando un linguaggio particolarmente
corsivo, essenzialmente efficace, adatto a essere visto da distanza e al tempo
stesso di rapida esecuzione (e quindi più economico). Il tutto era poi reso
più espressivo dalla policromia. Questa tecnica ebbe poi grande fortuna per
tutto il III secolo. Nell'arco del Foro si afferma inoltre una
rappresentazione della figura umana nuova, in scene di massa che annullano la
rappresentazione individuale di matrice greca; anche la plasticità è
diminuita. L'imperatore appare su un piedistallo circondato dai generali
mentre recita l'adlocutio e
sovrasta la massa dei soldati come un'apparizione divina.
La Domus
Severiana fu l'ultimo ampliamento dei palazzi
imperiali sul Palatino a Roma.
Fu realizzata da Settimio
Severo (attorno al 202-203),
a sud-est dello Stadio
palatino della Domus
Augustana. Dell'edificio restano oggi solo le imponenti sostruzioni in
laterizio sull'angolo del colle,
che creavano una piattaforma artificiale alla stessa altezza del palazzo
di Domiziano, dove era stato realizzato un ampliamento, essendo ormai
esaurito lo spazio fisico disponibile sul colle. Il vero e proprio edificio si
trovava quindi sulla terrazza sotto le sostruzioni. Facevano parte del
complesso le terme imperiali, che erano alimentate da un ramo dell'Acquedotto
Claudio. Sul lato verso la via
Appia Settimio Severo aveva poi fatto realizzare un'imponente
facciata simile a una scena teatrale, dotata di fontane e colonnati a tre
livelli: il Settizonio (enorme
fontana di 100 metri di lunghezza, costruito nel 203).
I resti dello splendido edificio vennero, però, demoliti nel XVI secolo ed è
noto solo da disegni rinascimentali.
L'arco
degli Argentari è una piccola porta che si trova accanto al
portico della chiesa
di San Giorgio al Velabro. Ha la forma di porta architravata. Il
monumento fu eretto nel 204 nel
punto in cui l'antica strada urbana del vicus Jugarium si immetteva
nella piazza del Foro
Boario, nella zona dell'attuale piazza
della Bocca della Verità. È una dedica privata degli argentarii
et negotiantes boari huius loci ("i banchieri e i commercianti boari
di questo luogo") agli augusti Settimio Severo e Caracalla,
al cesare Geta,
a Giulia Domna,
moglie di Settimio Severo, e a Fulvia
Plautilla, moglie di Caracalla. Il monumento è alto complessivamente 6,15 m e
il passaggio ha una larghezza di 3,30 m.
Le terme
di Caracalla o Antoniniane, costituiscono uno dei più
grandiosi esempi di terme
romane, conservate ancora per gran parte della loro struttura e libere
da edifici moderni. Furono costruite dall'imperatore Caracalla sull'Aventino,
tra il 212 e
il 217,
come dimostrano i bolli laterizi. Le terme erano grandiose, ma destinate a un
uso di massa per il popolino dei vicini quartieri popolari della XII
Regio. Per la loro realizzazione fu creato nel 212 un
ramo speciale dell'Acqua
Marcia, uno degli acquedotti
di Roma antica, l'Aqua
Antoniniana.
L'anfiteatro
castrense fu il secondo anfiteatro conservato
a Roma, risalente agli inizi del III
secolo, più precisamente a Eliogabalo (218-222).
Questo amphitheatrum castrense rappresentava un "anfiteatro di
corte", legato al Palazzo
Sessoriano (o Sessorium), di cui faceva parte anche
l'edificio su cui oggi sorge la chiesa di Santa
Croce in Gerusalemme. Fu costruito probabilmente insieme al resto del
complesso residenziale imperiale all'epoca dell'imperatore Eliogabalo e
restò in uso fino alla costruzione delle Mura
aureliane, che lo tagliarono a metà e lo trasformarono in bastione avanzato.
Era di forma ellittica, con un asse maggiore di 88 m e minore
di 75,80 m, la cui facciata esterna aveva tre ordini.
L'Elagabalium era
un tempio costruito sul lato nord-orientale del Palatino dall'imperatore
romano Eliogabalo (218-222) e dedicato alla divinità solare di
origine siriana Deus
Sol Invictus, del quale l'imperatore stesso era gran sacerdote. Il
tempio, circondato da colonne, aveva dimensioni di 70 m per 40 m,
ed era a sua volta circondato da un portico colonnato. Si trovava di fronte al Colosseo.
L'acquedotto
alessandrino (Aqua Alexandrina) fu l'ultimo acquedotto costruito
nell'antica Roma. Venne edificato nel 226 dall'imperatore Alessandro
Severo. La sua realizzazione era finalizzata all'approvvigionamento
idrico delle terme
di Nerone che, situate in Campo Marzio presso il Pantheon (circa
nella zona occupata oggi da Palazzo
Madama), erano state radicalmente ristrutturate dallo stesso
imperatore, e che pertanto da allora assunsero anche la denominazione di
"terme
Alessandrine" (Thermae Alexandrinae).

Settimio
Severo -
Caracalla
e Geta -
Eliogabalo -
Alessandro Severo
L'imperatore,
a differenza di quanto era accaduto durante il Principato, utilizzò l'appellativo di dominus, che rimandava alla parola Deus,
dio, divinità. Tale forma di governo si presentava in forma dispotica,
nella quale l'imperatore, non più contrastato dai residui delle antiche
istituzioni della Repubblica
romana, poteva disporre quale
padrone assoluto dell'Impero, cioè nella qualità di dominus, da
cui la definizione di dominatus. La monetazione dell'epoca
ritraeva molti sovrani che portavano attorno al capo una corona di raggi del
dio solare, a testimonianza di questa nuova forma di governo.
Settimio
Severo (193-211 d.C.)
Lucio
Settimio Severo Augusto (Leptis Magna, 11 aprile 146 – Eboracum, 4
febbraio 211) è stato un imperatore romano dal 193 alla sua morte.
Giunto al potere dopo la guerra civile romana del 193-197, fu il
fondatore della dinastia severiana. In linea con le scelte di Marco
Aurelio ripristinò alla sua morte il principio dinastico di successione,
facendo subentrare i figli Caracalla e Geta.
L'ascesa di
Settimio Severo costituisce uno spartiacque nella storia romana; è
considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui
l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato,
come durante il principato, ma è unico e vero dominus, che trae
forza dall'investitura militare delle legioni (anche se
anticipazioni di questa tendenza si erano avute durante la guerra civile seguita
alla morte di Nerone).
Egli fu
inoltre iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura
dell'imperatore, ponendo le basi per una sorta di "monarchia sacra"
mutuata dall'oriente ellenistico. Adottò infatti il titolo di dominus
ac deus, che andò a sostituire quello di princeps, che sottintendeva una
condivisione del potere col Senato.
Lucio
Settimio Severo nacque a Leptis Magna, un'antica e florida città
dell'Africa Proconsolare, sita a circa 130 km a est di Oea (l'odierna Tripoli,
in Libia), l'11 aprile del 146 da un'abbiente e distinta
famiglia appartenente all'ordine equestre. Il padre, Publio Settimio Geta,
proveniva da una ricca famiglia leptitana di origini miste puniche e berbere,
ma ormai in possesso della cittadinanza romana da diverse generazioni,
mentre la madre, Fulvia Pia, apparteneva alla gens Fulvia, un'illustre
famiglia romana originaria di Tusculum.
Benché il
padre non avesse mai ricoperto cariche politiche o comunque ruoli rilevanti in
seno all'amministrazione romana, Severo aveva però due zii paterni, Publio
Settimio Apro e Gaio Settimio Severo, che avevano servito come consules
suffecti, rispettivamente, nel 153 e nel 160, sotto il
principato di Antonino Pio, e fu proprio grazie ai buoni uffici di suo
zio Gaio Settimio che, quando giunse a Roma all'età di 18 anni
(attorno al 162), fu ammesso nell'ordine senatorio.
Secondo Eutropio,
tra i suoi primi incarichi vi fu la professione di avvocato del fiscus, dopodiché
scalò la gerarchia amministrativa dell'impero diventando tribuno
militare, questore in Sardegna (170-171), legato proconsolare in Africa
nel 174, tribuno della plebe (176), propretore in Spagna (178),
governatore della Gallia Lugdunense (187) e della Sicilia
(189).
ASCESA
- Nel 190 ebbe il consolato e dal 191 resse per Commodo il
governatorato della Pannonia superiore. Dopo l'assassinio di Commodo, il Senato tentò
di salvare la dinastia antonina con la nomina di Pertinace nel 193,
appoggiato inizialmente anche dai pretoriani.
Il regno di
Pertinace giunse al termine dopo pochi mesi a seguito di una serie di congiure da
parte dei pretoriani, da cui venne ucciso, nonostante avesse adottato
provvedimenti atti a compiacere loro e il Senato. Il trono era rimasto
senza nessun ovvio successore, i due contendenti furono Tito Flavio
Sulpiciano, suocero di Pertinace, e l'anziano senatore Didio Giuliano. Per
ottenere l'appoggio dei pretoriani i due cominciarono ad offrire donativi a
gara, con un'offerta di 25.000 sesterzi a testa vinse Didio Giuliano
che venne immediatamente eletto dal Senato, tuttavia non godeva dell'appoggio
di diverse legioni dell'esercito, i quali non accettavano un nuovo imperatore
che aveva comprato il favore dei pretoriani. Le legioni della Pannonia reagirono
proclamando imperatore Settimo Severo a Carnuntum, sede del governo e del
comando militare.
Severo,
affermando la volontà di vendicare la morte dell'imperatore, si affrettò a
scendere in Italia per punire i pretoriani e prendere possesso di Roma senza
opposizioni. Il Senato reagì proponendo la figura di Didio Giuliano (che
si affrettò a dichiarare nemico pubblico Settimio Severo), mentre le legioni di Siria proclamarono Pescennio
Nigro e quelle della Britannia scelsero Clodio Clodio Albino (che
in un primo tempo ottenne il titolo di Cesare, venendo legittimato da
Settimio). Settimio Severo si liberò del tutto dei tre rivali tra il 194 e
il 197, sconfisse e uccise Pescennio Nigro presso Isso nel
194, infine il suo esercito entrò nel 197 a Lione e Clodio
Albino si uccise in seguito a una sanguinosa guerra.
Severo, una
volta divenuto imperatore, avviò importanti riforme militari che toccarono
numerosi aspetti dell'esercito romano e che costituirono le basi del
successivo sistema fondato sugli imperatori militari del III
secolo. Creò la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato dopo
averne messo a morte numerosi membri. Temendo, inoltre, congiure contro la sua
persona o quella dei suoi figli, fece giustiziare il suo stesso consuocero, Gaio
Fulvio Plauziano che in qualità di prefetto del pretorio appariva ai
suoi occhi come una potenziale minaccia. Il figlio Caracalla venne
proclamato imperatore designato.
Utilizzò i
proventi della vendita delle terre confiscate agli avversari politici per
creare un fondo imperiale privato, il fiscus, distinto dall'aerarium, la
cassa dello Stato. Appena giunto a Roma avviò l'epurazione della guardia
pretoriana, che dopo due secoli di dominio dell'influenza italica (allora
reclutata per lo più in Italia e in piccola parte nelle province più
romanizzate), fu smantellata e riorganizzata con quadri e organici a lui
fedeli, tratti dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla
Guardia Pretoriana, un tempo avente un prerequisito geografico e culturale,
sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, quelli dell'Illirico
nel III secolo.
Il regno di
Settimio Severo fornisce un interessante esempio dei metodi di persecuzione
dei cristiani. Precedentemente, stando alla Historia Augusta, si era
pensato a un espresso divieto di proselitismo rivolto a ebrei e
cristiani, ritenendosi questo il contenuto del presunto editto severiano, la
cui effettiva esistenza è di per sé stessa dubbia. Settimio Severo non
promulgò nuovi provvedimenti contro i cristiani, ma consentì l'applicazione
di vecchie leggi (i rescripta di Traiano e Adriano).
Non sono dimostrate persecuzioni sistematiche, ma anzi ci sono prove che
l'imperatore in molte occasioni proteggesse i cristiani dall'accanimento
popolare, come sembra testimoniare Tertulliano nell'Ad Scapulam.
Potrebbe però aver emanato un editto in cui si dichiarava punibile la
conversione all'Ebraismo ed al Cristianesimo.
In
generale si può dire che i cristiani continuarono a vivere in un periodo di bonam
et largam pacem come scrive Tertulliano, se si escludono alcuni
episodi locali, come in Africa, di persecuzioni che andrebbero
interpretati alla luce di un dissenso politico (più che religioso), mentre lo
stesso imperatore non appariva turbato dal fenomeno cristiano, né vi
ravvisava un fattore di pericolo. D'altro lato, singoli funzionari si
sentivano autorizzati dalla legge a procedere con rigore verso i cristiani.
Naturalmente l'imperatore, a stretto rigore di legge, non ostacolava qualche
persecuzione limitata, che avesse luogo in Egitto, in Tebaide o
nei proconsolati di Africa e Oriente. I martiri cristiani furono numerosi ad Alessandria,
sotto la prefettura di Leto e del suo successore Sebaziano Aquila.
Non meno dure
furono le persecuzioni in Africa, che sembra avessero inizio nel 197 o 198,
come testimoniato nell'Ad martires di Tertulliano, alle cui vittime ci si
riferisce nel martirologio cristiano come ai martiri di Madaura.
Probabilmente
nel 202 e 203 caddero Felicita e Perpetua. La persecuzione infuriò
ancora, per breve tempo, sotto il proconsole Scapula nel 211,
specialmente in Numidia e Mauritania. Nei tempi successivi sono leggendarie le
persecuzioni in Gallia, specialmente a Lione. In generale, si può
dire che la posizione dei cristiani sotto Settimio Severo fu la stessa che
sotto gli Antonini; ma la disposizione di questo imperatore almeno mostra
chiaramente che Traiano aveva mancato i suoi obiettivi.
Settimio
Severo mise subito in atto una serie di riforme e modifiche al precedente
ordinamento militare, confermando quel processo di provincializzazione delle
milizie e emersione dei ceti dirigenti locali dell'impero già cominciato con
Marco Aurelio (e con alcune premesse in epoca traianea):
- Aumentò il
numero delle legioni romane a 33, con la costituzione di ben tre
unità, in vista delle campagne partiche: la legio I, II e III Parthica.
L'esercito ora poteva contare su 442.000 armati complessivamente. Un
numero comunque esiguo se si pensa che dovevano presidiare circa 9.000
chilometri di confine, controllare e difendere i 70 milioni di abitanti
dell'Impero.
- Venne
costituita per la prima volta una riserva strategica in prossimità
di Roma, nei Castra Albana, dove fu alloggiata un'intera legione, la II Parthica.
- Favorì i
legionari in vari modi, aumentando loro la paga e riconoscendo loro
il diritto di sposarsi durante il servizio, oltre a consentire di abitare
con la propria famiglia fuori del campo (canabae). Tale riforma comportò una
"regionalizzazione" delle legioni, che in questo modo si legarono
non solo al loro comandante, ma anche a un territorio ben preciso. Promosse
anche l'ammissione dei figli dei centurioni nella carriera
senatoria.
- Operò una
serie di altre concessioni, tese a migliorare la condizione dei soldati, tra
le quali l'istituzione dell'annona militare, il miglioramento del rancio,
la possibilità per i graduati di riunirsi in scholae (sorte di
associazioni, di collegia), riconoscendo inoltre segni di distinzione
particolari: la veste bianca per i centurioni (che Gallieno avrebbe
esteso a tutti i soldati) e l'anello d'oro per i principales.
- Secondo Erodiano le
truppe che stazionarono in Roma (o nelle sue vicinanze, come i castra
Albana) furono quadruplicate, o almeno triplicate se consideriamo che:
gli effettivi delle coorti pretorie furono raddoppiati da Settimio
Severo, fino a 1.000 armati ciascuna (milliarie), per un totale di 10.000
armati, ora sostituiti con soldati scelti delle legioni pannoniche, per
punire coloro che si erano in precedenza schierati contro di lui durante la guerra
civile; quelli delle coorti urbane, probabilmente furono portati
fino a 1.500 (per un totale di 6.000 armati); a questi si sommavano poi i
3.500 armati dei Vigiles, i 1.000 equites singulares e i
5.500/6.000 della legio II Parthica, per un totale complessivo di 30.000
armati, contro i 10.500 dell'epoca augustea.
- Pose il
comando degli Equites singulares Augusti non più alle dipendenze di
un tribunus militum ma di due.
Un regime
assolutistico confermato dallo sviluppo cui giunse la res privata imperiale,
ormai di pari peso a quella statale. Per finanziare l'ingente spesa che
serviva a mantenere l'esercito, causa anche l'aumento stesso del soldo, cioè
della paga, ricorse all'espediente di dimezzare la quantità di metallo
prezioso contenuto nelle monete, differenziando il valore intrinseco da
quello nominale (reddito da signoraggio). Cominciò così una
crescente inflazione e una tesaurizzazione delle monete di
metallo prezioso. Il problema dell'inflazione era il cambio del denario con
l'aureo. Con lo scopo di difendere le banche, Settimo impose sanzioni per chi
scambiava un aureo per più di 25 denarii.
Nel 197
Settimio Severo partì da Roma, ed imbarcatosi a Brindisi, sbarcò in Cilicia,
dando inizio ad una grande campagna militare nell'area siriaca. Dopo aver
guadato l'Eufrate, prese in ostaggio i figli di Abgar IV, re titolare di
Osroene, ricevendo tributi anche dal sovrano d'Armenia Marciò dunque per
la Mesopotamia settentrionale, riannettendola all'impero e ponendovi a capo un prefetto di
rango equestre; poco dopo guidò l'armata verso Ctesifonte,
saccheggiandola e riducendo in schiavitù gran parte dei suoi abitanti. Per
evitare eventuali rappresaglie da parte dei parti rafforzò dunque il
cosiddetto Limes arabicus, facendo costruire nuove fortificazioni tra le
antiche Qasr Azraq e Dumat al-Jandal.
Al suo
rientro, decise di lasciare nei pressi di Roma e precisamente dove
sorgeva Alba Longa, Albanum (oggi Albano Laziale), la seconda
delle tre legioni partiche, dove tutt'oggi si possono ammirare i resti
dell'accampamento (Castra Albana), i cisternoni per il rifornimento di acqua e
l'anfiteatro risalente al III secolo. Malgrado la sua azione avesse introdotto
a Roma la dittatura militare, egli era popolare presso i cittadini romani,
avendo bollato la degenerazione morale del regno di Commodo e la
corruzione crescente. Quando ritornò dopo la vittoria sui Parti, assunto,
sull'esempio di Traiano, il titolo di Parthicus Maximus, eresse un arco
di trionfo che ancora oggi è in piedi e porta il suo nome.
Nel tardo 202
Settimio Severo intraprese una spedizione militare verso la provincia
dell'Africa. Il legatus della Legio III Augusta, Quinto
Anicio Fausto combatté i Garamanti lungo il Limes
Tripolitanus per cinque anni, conquistando diversi insediamenti nelle
zone di Gadames, Gholaia, Garbia e la sua capitale Germa. La
provincia della Numidia venne ampliata: Vescera, Castellum
Dimmidi, Gemellae, Tehouda e Thubunae vennero annessi
all'impero. A partire dal 203 l'intero confine meridionale venne ricostruito,
i beduini costretti alla ritirata nel Sahara.
Negli ultimi
anni del suo regno, appunto dal 208 d.C., ormai infermo, Settimio Severo
intraprese di persona un buon numero di azioni militari in difesa ed
allargamento dei confini della Britannia romana, con la previsione
per la ricostruzione del Vallo di Adriano, prima di morire il 4 febbraio 211 a Eboracum,
l'odierna York.
Severo arrivò
in Britannia con oltre 40 000 uomini e per contenere l'imponente esercito fece
costruire diversi accampamenti che si estendono lungo i Lowlands scozzesi e
la costa orientale della Scozia fino all'estuario del Moray. Fece
costruire un campo di 165 acri (67 ha) a sud del Vallo Antonino nei
pressi di Trimontium e altri due delle dimensioni di 120 e 63 acri a
nord dell'estuario del Forth. Settimio promosse la restaurazione di
alcune fortezze romane lungo la costa orientale, come il forte
situato a Carpow. Era in possesso di una potente flotta navale.
Geta fu
incaricato delle retrovie mentre il fratello Caracalla divise con il
padre il comando della linea del fronte.
A partire dal
210 la spedizione portò a numerosi guadagni per l'impero, nonostante le
imponenti perdite per i romani e le tattiche di guerriglia dei caledoni che
volevano la pace, la quale venne concessa da Settimio in cambio del controllo
delle Lowlands centrali.
Questo sforzo
bellico portò alla momentanea occupazione da parte dei romani del vallo
Antonino e di alcune postazioni fortificate lungo il Gask Ridge.
Dopo la morte
nel febbraio 211 a Eburacum durante la spedizione
britannica, fu divinizzato dal Senato e sepolto nel mausoleo di
Adriano. Gli succedettero, come aveva previsto nell'intento di fondare una
nuova dinastia in qualche modo in continuità con quella antonina (tanto
da far imporre il nome Antonino al primogenito Bassiano, detto Caracalla)
i due litigiosi figli avuti dalla moglie siriana Giulia Domna, Caracalla e Geta. Nonostante
i tentativi della madre di conciliare i due successori, Geta venne ucciso il 27
febbraio 212 dal fratello Caracalla, che rimase l'unico titolare
dell'impero.
Caracalla
(211-217) e Geta (211)
Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto (Lugdunum, 4
aprile 188 – Carre, 8
aprile 217),
nato Lucio Settimio Bassiano, conosciuto anche come Marco Aurelio Antonino
Augusto dal 198 al 211 ma meglio noto con il soprannome
di Caracalla, è stato un imperatore
romano, appartenente alla dinastia
dei Severi, che regnò dal 198 al 217, anno della sua morte.
Importante provvedimento preso durante il suo regno,
fu la Constitutio
Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti
dell'Impero di condizione libera. L'estensione della cittadinanza fu una
spinta importante all'uniformazione delle amministrazioni cittadine: spariva
la gerarchia fra le città e ormai la differenza fra i sudditi dell'Impero non
era più sul piano della cittadinanza, ma sul piano del godimento dei diritti
civili, fra honestiores e humiliores.
Aspirando alla gloria militare, Caracalla sfruttò la
propaganda imperiale per far passare per grandi vittorie le battaglie contro
le popolazioni germaniche dei Catti e degli Alamanni, che si erano concluse in
realtà con trattative diplomatiche. Per mantenere l'appoggio dell'esercito,
innalzò ancora i compensi ai soldati e a questo scopo aumentò le imposte e
proseguì nella politica di svalutazione della moneta inaugurata dal padre. La
sua ambizione fu quella di emulare Alessandro Magno e per questo avviò una
nuova campagna contro i Parti. Durante la preparazione della guerra in
Oriente, nel 217, Caracalla cadde vittima di una congiura ordita dal prefetto
del pretorio, Opellio
Macrino, che si fece proclamare imperatore e trattò la pace con i Parti.
Caracalla nacque
a Lugdunum (odierna Lione),
nella Gallia
Lugdunense, il 4 aprile del 188, figlio di Lucio
Settimio Severo, di origini puniche e berbere per
parte paterna e italiche per
parte materna (la nonna paterna, Fulvia Pia, apparteneva alla gens
Fulvia), governatore della provincia gallica al tempo della sua nascita e
divenuto poi imperatore nel 193, e della siriaca Giulia
Domna, augusta e
detentrice, durante il dominato del
marito prima e del figlio dopo, di un potere politico mai raggiunto prima da
una donna all'interno dell'impero. Aveva un fratello minore, Publio
Settimio Geta.
Il suo vero nome, alla nascita, risultava essere
quello di Lucio Settimio Bassiano, ma il padre lo volle in seguito cambiare in
Marco Aurelio Antonino, per suggerire una parentela con la dinastia
degli Antonini, in particolar modo con l'imperatore Marco
Aurelio. Fu poi soprannominato "Caracalla", poiché soleva
indossare un particolare mantello militare con cappuccio lungo fino ai piedi,
di origine celtica,
che introdusse e rese popolare egli stesso a Roma.
Nel 198 Caracalla ricevette il titolo di Augusto, a
soli 10 anni di età. Pertanto cominciò a essere associato al comando fin da
piccolo, anche se ebbe effettivo potere solo alla morte del padre. Settimio
Severo volle che lo accompagnasse nelle campagne militari contro gli Scoti,
mentre il fratello Geta restava nelle retrovie ad amministrare la giustizia.
Caracalla da giovane venne educato con tutte le attenzioni dai genitori, come
un giovane principe. Tuttavia preferiva le battute pronte ai lunghi discorsi.
Nonostante non fosse alto di statura, anzi piuttosto tarchiato, era dotato di
resistenza e forza notevole, sapeva nuotare e si faceva ungere di olio per poi
cavalcare per molte miglia. Divideva il pasto semplice dei soldati e si sapeva
adattare a una vita spartana. In battaglia era coraggioso, ma anche irruento
tanto che alcune volte sfidando i nemici in duello, rischiò la vita.
Nel 200 il potente e ambizioso prefetto del pretorio Gaio
Fulvio Plauziano si accordò con Settimio Severo per dare in moglie a
Caracalla la giovane figlia Fulvia
Plautilla. I due si sposarono con grande sfarzo. Al banchetto del
matrimonio aveva partecipato anche lo storico Cassio
Dione, una delle maggiori fonti su Caracalla. Tuttavia nel 202, solo tre
anni dopo, Caracalla accusò di alto tradimento e fece giustiziare Plauziano.
Plautilla divenne un personaggio scomodo, per cui il marito decise di
accusarla di adulterio e divorziare. Secondo una tradizione il futuro
imperatore si sarebbe rifiutato di dormire e di mangiare con la moglie, così
che non ebbe figli da lei. Probabilmente invece Caracalla era sterile, perché
nonostante avesse avuto delle amanti, non ebbe mai figli. Dopo il divorzio
Caracalla esiliò Plautilla e suo fratello Ortensiano sull'isola
di Lipari, dove nel 212 furono giustiziati. Lo storico Dione Cassio
suggerisce l'idea che Caracalla fosse una figura cinica e sanguinaria, ma in
quel periodo storico (prima dei Severi vi era stata una notevole crisi)
probabilmente eliminare rapidamente tutti i possibili rivali era visto come
l'unico modo di mantenere il potere.
Morto l'imperatore Settimio Severo durante la
spedizione militare contro le tribù nel Nord della Britannia, nel 211 per
volontà dei consiglieri Caracalla succedette al padre assieme al fratello
Geta. I fratelli conclusero velocemente la pace con i barbari e tornarono a
Roma, dove ben presto la situazione divenne insostenibile. Nessuno dei due
fratelli era disposto a dividere il potere imperiale, vivevano divisi in due
quartieri separati nei palazzi imperiali del colle Palatino, dove la loro
personale corte di funzionari, accoliti e guardie del corpo alimentava le
sfide tra di loro. A seguito di alcuni dissapori, a dicembre Caracalla uccise
con la spada Geta, inutilmente difeso dalla madre Giulia Domna, che nella foga
venne ferita alla mano. Caracalla fuggì dal palazzo e ottenne il sostegno dei pretoriani convincendoli
di essere stato minacciato di morte dal fratello e soprattutto promettendo
loro grandi donativi per il loro appoggio.
Caracalla si presentò in Senato con l'armatura sotto
la toga e scortato dalle sue guardie, per tenere il discorso di insediamento
per avere l'approvazione del Senato. Il Senato, ormai privo di un potere
politico effettivo, lo confermò imperatore. Preso il potere, si accanì
contro il partito dei sostenitori del fratello a Roma, facendone strage, senza
risparmiare donne e bambini. Per Geta fu stabilita la damnatio
memoriae: il suo nome e il suo volto fu eraso da tutti i monumenti
imperiali, come si può ancora vedere nell'Arco degli Argentari, nell'Arco di
Settimio Severo e nel Tondo
severiano.
In un'altra occasione, in Egitto, decise di punire la
città di Alessandria e arrivò a eliminare 20.000 alessandrini (Cassio
Dione Cocceiano, Historia
Augusta). Ad Alessandria avevano prodotto una satira, paragonando Giulia
Domna alla tragica Giocasta per
il fatto che l'imperatore aveva ucciso il fratello Geta per prendere il potere
e forse anche per alludere a un rapporto incestuoso della madre con il figlio.
Caracalla non aveva gradito, ma dissimulò la sua vendetta. Finse di voler
visitare il famoso santuario di Serapide,
dove fu accolto con grandi feste e banchetti. Una volta radunati tutti i
migliori giovani della città con la scusa di voler arruolare nuove leve per
l'esercito, ne ordinò la strage. Le sue truppe saccheggiarono a lungo i
quartieri la città, che vennero divisi poi da un muro, sorvegliato dai
soldati, forse per impedire ulteriori saccheggi e ritorsioni tra le diverse
fedi della città (pagani, ebrei e cristiani). Grazie a questa dimostrazione
di forza l'imperatore rafforzò maggiormente il suo potere, che finì per
essere totalmente dispotico. È evidente anche dalla statuaria imperiale, che
lo raffigura sempre accigliato, che Caracalla preferiva essere temuto che
amato.
Prima di morire, il padre aveva consigliato ai figli
il mantenimento del favore dell'esercito,
quale primaria, se non unica cura, e preoccupazione. Eliminato il fratello
Geta, Caracalla si riconciliò con la madre Giulia Domna, per affidarle la
parte burocratica e amministrativa dello Stato. Preso atto che non vi erano
persone fidate per un ruolo così importante, Giulia Domna prese a tenere la
corrispondenza imperiale, con la quale vagliava le petizioni formali e
consigliava il figlio nelle decisioni politiche da prendere. Al tempo stesso
curava la riscossione della tasse, necessarie per assicurare la logistica
delle numerose spedizioni militari. Giulia Domna era uguale all'imperatore
negli onori imperiali, e come Iulia pia felix Augusta mater Augusti nostri et
castrorum et senatus et patriae et totius domus divinae aveva una parte
nell'impero e aveva la sua corte, guardia
pretoriana e guardie del corpo tedesche. Mentre Caracalla si occupava
della guerra, dei problemi di frontiera e dei presidi militari, Giulia Domna
si occupava degli affari di Stato, informando e assistendo il figlio in caso
di emergenza. Caracalla metteva il suo nome accanto al proprio nei suoi ordini
al Senato e ai militari.
Caracalla seguì fedelmente il consiglio paterno: come
già aveva fatto il padre, alzò la paga del legionario,
portandola a 675 denari, e concesse molti benefici alle truppe, con le quali
spesso condivideva le campagne e la dura vita militare, garantendosi così la
fedeltà dell'esercito. Preso atto che la fanteria romana non era efficace
contro la cavalleria partica, aggiunse per la campagna contro i Parti una
nuova unità militare, arruolata in Grecia: la falange
macedone; egli stesso indossava la corazza leggera macedone, ispirandosi
ad Alessandro
Magno. Caracalla inoltre si fece amiche le tribù germaniche di frontiera:
ammirava il valore dei guerrieri germanici e ne arruolò diversi nella sua
scorta personale. Grazie alla politica di Caracalla, l'esercito romano
raggiunse l'apice della sua efficienza e potenza. Arruolarsi nell'esercito
imperiale divenne un impiego ambito per la paga generosa e le possibilità di
carriera e prestigio.
Nel periodo dei Severi il commercio con l'Oriente e in
particolare con Palmira, l'Etiopia, la Siria e l'India ebbe grande sviluppo.
Il commercio riguardava soprattutto le spezie, la seta e gli animali esotici
indispensabili per i giochi circensi. Anche l'esercito di Caracalla possedeva
degli elefanti. Le continue guerre tuttavia misero le casse imperiali in
difficoltà e costrinsero l'imperatore a diminuire del 25% la quantità di
argento nei denari, a causa dell'aumento della paga dei soldati; quindi coniò
una nuova moneta, chiamata "antoniniano",
nel 215, che valeva due denari normali.
In ambito religioso Caracalla fu tollerante:
l'imperatore, che personalmente non gradiva esser chiamato con l'appellativo
"divus" (dio) ostentava un meticoloso rispetto verso tutti gli dei e
visitava spesso i principali santuari e oracoli; era appassionato di astrologia,
per cui a volte prendeva decisioni e assegnava incarichi in base alle date e
ai segni zodiacali. Costruì a Roma nuovi grandiosi templi per Iside e Serapide.
Non intraprese persecuzioni contro i cristiani o gli ebrei. In questo periodo
si diffondono a Roma, portati dalle truppe, nuovi culti orientali quali Sol
Invictus e il mitraismo.
Lungo il limes
germanico-retico si affacciò per la prima volta la confederazione
degli Alemanni (nel
212). Si trattava di un insieme di popoli, raggruppatisi lungo i confini delle
province di Germania
superiore e Rezia.
Lo sfondamento del limes costrinse
l'imperatore ad accorrere lungo questo settore strategico per arginare una
possibile loro invasione l'anno successivo (nel 213). Fece riparare le vie di
comunicazione del Noricum, dove anzi creò una via nuova dal Danubio verso
Linz, e in Rezia e in Pannonia, come attestano le pietre miliari rinvenute.
Per ogni vittoria ottenuta chiedeva nuovi donativi al Senato, così da poter
finanziare nuove campagne. La sua ambizione era di ottenere una gloria
militare senza precedenti. Le vittorie romane che seguirono in effetti
attribuirono al giovane imperatore l'appellativo di Germanicus
maximus, e Alemannicus, anche
se a volte sembra che tali successi siano stati frutto di trattative e
"comprati" per ottenere una pace duratura con i barbari, come
suggerisce Cassio Dione.
Sempre a Caracalla sarebbero da attribuirsi altri
successi sulle popolazioni barbare lungo il medio-basso corso del Danubio,
come Quadi, Daci
liberi, Goti e Carpi nel
214 e prima parte del 215.
Volendo inglobare nell'impero il Regno
dei Parti, che allora era diviso da discordie interne, predispose
meticolosamente le truppe, gli ausiliari e due grandi macchine da guerra,
trasportate da navi. Quando traversò l'Ellesponto rischiò il naufragio per
un'avaria della nave che lo trasportava. Si recò ad Ilio, l'antica Troia,
dove fece un sacrificio sul rogo funebre di un amico, tagliandosi una ciocca
di capelli, ad imitazione di Achille.
Successivamente chiese in sposa la figlia del re dei Parti, ma questi rifiutò
(o secondo un'altra versione accettò e venne ucciso a tradimento da Caracalla
in occasione delle nozze), così nel 215 ebbe il pretesto per attaccarli. La
spedizione, però, non ebbe fortuna, per l'assassinio improvviso
dell'imperatore.
Per far fronte alle accresciute spese militari e per
cercare di aumentare le entrate, nel 212 Caracalla emanò la Constitutio
antoniniana. Divenivano così cittadini (e contribuenti) dell'Impero tutti
gli abitanti liberi che lo popolavano, tranne i Dediticii,
letteralmente significa coloro che si sono arresi, ma che forse in questo
contesto designa le popolazioni estranee alla cultura greco-romana.
Caracalle diede numerosi giochi e spettacoli per
divertire il popolo romano. Prese parte egli stesso ai giochi del circo. Nel
212 diede inizio a Roma i lavori delle terme
di Caracalla, le più grandiose mai costruite. Per l'approvvigionamento
idrico nel 212 fu creata una diramazione dell'Acqua Marcia, chiamata Aqua
Antoniniana, che valicava la via Appia. Le terme, terminate nel 217 e
abbellite di marmi e preziose sculture, furono fortemente volute
dall'imperatore per ingraziarsi il popolo e per dare un segno della sua
potenza. Fece restaurare il Portico
di Ottavia, danneggiato da un incendio. Durante le campagne militari era
pronto a inaugurare nuovi ponti, valli, forti e mura difensive dove fosse
necessario.
Caracalla fu molto impopolare tra la classe senatoria,
per la sua politica di favorire solo l'esercito e le carriere dei funzionari
imperiali di rango inferiore. Era invece molto amato dai soldati, che lo
chiamavano Ercole e
con i quali si atteggiava a nuovo Alessandro
Magno. Per maggiore sicurezza si era creato una guardia del corpo composta
di cavalieri Germani,
chiamati "leones" (leoni) e per intimidire i visitatori, li riceveva
tenendo con sé un leone domestico, chiamato Akinakes, il nome della spada
corta persiana.
Tuttavia nonostante tutte le precauzioni, nel 217
venne assassinato a tradimento proprio da un suo sottoposto, un certo
Marziale, che lo trafisse approfittando del fatto che l'imperatore per un
bisogno corporale era sceso da cavallo e si era appartato dalle guardie,
mentre si stava recando a Carre in
visita a un santuario del dio locale Sin o
Lunus, durante la seconda
spedizione partica. Lo
storico Erodiano dice
che Marziale era un ufficiale della guardia del corpo imperiale, che voleva
vendicare la morte del fratello, condannato da Caracalla. Cassio
Dione, invece, afferma che lo fece per il risentimento di non essere stato
nominato centurione.
Certo è che Marziale fu ucciso poco dopo da un arciere.
Il corpo di Caracalla fu cremato e l'ossuario dei suoi
resti fu deposto a Roma presso i genitori all'interno del mausoleo
degli Antonini. In
seguito il Senato, su pressione dell'esercito, votò un decreto che accordò
l'apoteosi dell'imperatore defunto. Un
cammeo in sardonica conservato a Nancy in
Francia lo raffigura in apoteosi con indosso l'egida di Atena,
mentre viene portato in cielo da un'aquila, tenendo in mano una cornucopia e
il globo terrestre sormontato dalla Vittoria.
A Caracalla succedette, quindi, per breve tempo il prefetto
del pretorio Macrino,
che governò sino al 218, quando fu rimosso dalla ribellione promossa dalla
famiglia dei Severi, che sosteneva il giovane Eliogabalo,
presentato alle truppe come figlio segreto di Caracalla.
Geta,
figlio di Settimio
Severo e Giulia
Domna e fratello di Caracalla (nome
completo Publio Settimio Geta, Roma, 7
marzo 189 - Roma, 26
dicembre 211),
è stato un co-imperatore romano dal 209 al 211,
prima col padre e poi col fratello.
Geta fu il
figlio più giovane di Settimio
Severo dalla seconda moglie Giulia
Domna e nacque a Roma,
quando suo padre era solo un governatore provinciale al
servizio dell'imperatore Commodo.
Dipinto da bambino nel tondo della famiglia dei Severi,
insieme a Settimio Severo, Giulia Domna e Caracalla, la sua faccia fu
cancellata a causa della damnatio
memoriae ordinata da suo fratello Caracalla, che lo aveva fatto
assassinare.
Geta fu
sempre posto in secondo piano rispetto a suo fratello maggiore Caracalla.
Forse per questo, le relazioni tra i due furono difficili sin dall'infanzia. I
conflitti erano costanti e spesso richiedevano la mediazione della madre.
Secondo lo storico Dione
Cassio, Geta era di carattere più mite e riflessivo, Caracalla invece
era più irruento e vendicativo. Nelle campagne contro i Britanni, Settimio
Severo utilizzò in modo intelligente le diverse doti dei figli: Caracalla
seguì il padre in battaglia, mentre Geta ebbe il titolo di "Cesare"
nel 198 ed
era tenuto nelle retrovie, a York, per amministrare la giustizia. La
propaganda imperiale pubblicizzava una famiglia felice che divideva le
responsabilità del potere. Caracalla era il vicecomandante dell'esercito,
Giulia Domna il consigliere di fiducia e Geta aveva compiti amministrativi e
burocratici. Ma l'antipatia e la rivalità tra i due fratelli era ben lontana
dall'essere risolta.
Quando
Settimio Severo morì di malattia il 4 febbraio 211 a Eburacum,
per decisione dei consiglieri imperiali, i figli Caracalla e Geta furono
proclamati insieme imperatori. Conclusa una veloce pace con i barbari
confinanti, ritornarono a Roma.
Il loro governo congiunto si rivelò presto un fallimento, per breve tempo
governarono insieme solo grazie al prestigio dei consiglieri e della loro
madre, Giulia
Domna. Fonti successive ipotizzano che i fratelli volessero dividere
l'impero in due metà, e si erano create per loro a Roma due fazioni
avversarie. Verso la fine del 211 la situazione era divenuta insostenibile. Il
26 dicembre del 211 Geta
venne fatto uccidere tramite un gruppo di centurioni da suo fratello
Caracalla, nonostante si fosse rifugiato tra le braccia della madre Giulia
Domna. Alla sua morte furono sterminati tutti i suoi sostenitori e i loro
parenti. Geta fu accusato di aver voluto prendere il potere e uccidere
Caracalla, per cui fu dichiarato nemico dello Stato, condannato alla damnatio
memoriae e sepolto in una tomba creata per lui sul Settizonio costruito
dal padre.
In
seguito la zia Giulia
Mesa, sorella di Giulia
Domna, lo fece inumare nel Mausoleo
di Adriano, anche se un edificio sulla via
Appia, detto appunto tomba
di Geta, viene identificato col suo mausoleo.
Dopo il
fratricidio, Caracalla infangò la sua memoria e ordinò che il suo nome fosse
rimosso da tutte le iscrizioni (damnatio
memoriae). A quel punto, come unico imperatore, ebbe l'opportunità di
sbarazzarsi dei suoi nemici politici: le fonti riferiscono
che in questo periodo furono uccise o proscritte circa
20 000 persone. Tra le vittime della repressione si segnala il giurista Emilio
Papiniano, che fu decapitato, su ordine di Caracalla, per essersi
rifiutato di comporre un'apologia del fratricidio.
Caracalla decise
di eliminare per sempre le prove dell'esistenza del fratello, attuando questa
procedura riservata soltanto a uomini che con le loro azioni avevano macchiato
l'onore romano. Esempi di damnatio
memoriae sono presenti sull'arco
di Settimio Severo a Roma nel Foro,
dove il nome di Geta venne cancellato e sostituito dalle parole optimis
fortissimisque principibus, e nell'arco
severiano di Leptis Magna, dove la figura di Geta è abrasa dall'arco
stesso. La distruzione della memoria di Geta fu tra le più capillarmente
eseguite nella storia di Roma: per questo trovarne tracce o ritratti è
estremamente raro e difficile. Tra i possibili busti superstiti di Geta ne
esiste uno nel Museo
archeologico nazionale di Orvieto, che fu ritrovato sepolto con la
testa appoggiata a una bozza di pietra a mo' di cuscino e un altro, rinvenuto
presso Sabucina,
esposto al Museo
Archeologico di Caltanissetta.
Nella sua Historia
Regum Britanniae, Goffredo
di Monmouth sostiene che Geta fu nominato re
britannico dalle legioni a
Eburacum. In risposta, i britanni scelsero
invece Caracalla. I due fratelli, però, discutevano per ogni cosa e alla fine
Caracalla tentò di assassinare Geta durante i Saturnalia,
senza però riuscirvi. Ma in dicembre, durante un incontro con il fratello,
Caracalla fece uccidere Geta da un centurione.
Eliogabalo
(218 - 222)
Marco
Aurelio Antonino Augusto (Roma, 203 – Roma, 11
marzo 222),
nato come Sesto Vario Avito Bassiano (Sextus Varius Avitus
Bassianus) ma meglio noto come Eliogabalo o Elagabalo (Heliogabalus o Elagabalus),
è stato un imperatore
romano, appartenente alla dinastia
dei Severi, che regnò dal 218 al 222,
anno della sua morte.
Siriano di
origine, Eliogabalo era, per diritto
ereditario, l'alto
sacerdote del dio sole (El-Gabal)
di Emesa,
sua città d'origine.
Il
regno di Eliogabalo fu fortemente segnato dal suo tentativo di importare il
culto solare di Emesa a Roma e dall'opposizione a questa politica religiosa.
Il giovane imperatore siriano, infatti, sovvertì le tradizioni religiose
romane, sostituendo a Giove,
signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol
Invictus, che aveva
gli stessi attributi del dio solare di
Emesa; contrasse
anche, in qualità di gran sacerdote di Sol Invictus, un
matrimonio con una vergine
vestale, che nelle sue
intenzioni avrebbe dovuto essere il matrimonio tra il proprio dio e Vesta.
La
politica religiosa e i suoi eccessi sessuali (ebbe cinque
mogli e due mariti) causarono una crescente opposizione del
popolo e del Senato
romano,
che culminò con il suo assassinio per mano della guardia
pretoriana e
l'insediamento del cugino Alessandro
Severo.
Eliogabalo fu inoltre colpito dalla damnatio
memoriae. Il suo governo si guadagnò tra i contemporanei fama di eccentricità,
decadenza, depravazione e fanatismo.
La
storiografia moderna restituisce un ritratto più articolato,
riconducendone il fallimento al contrasto tra il
conservatorismo romano e la dinamicità del giovane sovrano
siriano, alla sua incapacità di scendere a compromessi e alla
sua incomprensione della gravità e solennità del ruolo di
imperatore. Il suo regno, però, permise alla dinastia
dei Severi di
consolidare il proprio controllo dell'impero, permettendo di
preparare il terreno per il governo di Alessandro Severo.
Eliogabalo,
nato nel 203 con il nome di Vario Avito Bassiano, era
figlio di Sesto
Vario Marcello e
di Giulia
Soemia,
entrambi originari della città di Apamea in Siria. Suo
padre era membro dell'ordine
equestre e
aveva fatto la carriera amministrativa a Roma sotto
l'imperatore Settimio
Severo,
fondatore della dinastia
dei Severi,
e fu in seguito nominato senatore dal
figlio e successore di Severo, Caracalla,
che concesse a Vario Marcello uffici di grande responsabilità,
prima della sua morte, avvenuta nel 217 circa.
Sua
madre era la figlia maggiore di Giulia
Mesa,
vedova del console Gaio
Giulio Avito Alessiano,
sorella dell'imperatrice Giulia
Domna e
cognata dell'imperatore Settimio Severo; Giulia
Soemia era dunque cugina dell'imperatore Caracalla, il quale
aveva estinto, alla propria ascesa al trono, la discendenza
maschile diretta della dinastia per timore di essere
rovesciato. Altri parenti di rilievo erano la zia Giulia
Mamea, lo
zio Marco
Giulio Gessio Marciano e
loro figlio Alessandro
Severo,
cugino di Eliogabalo.
Il
bisnonno materno di Eliogabalo, il padre di Giulia Domna e di
Giulia Mesa, era Gaio
Giulio Bassiano,
il quale teneva per diritto ereditario il sacerdozio del dio
solare El-Gabal a Emesa;
lo stesso Eliogabalo ne era gran sacerdote. El è
il nome della principale divinità semitica,
mentre Gabal, che è legato al concetto di «montagna»
è la sua manifestazione a
Emesa. Tale
divinità fu in seguito importata nel pantheon romano e
assimilata al dio solare romano noto come Sol
Indiges in
età repubblicana e
poi Sol
Invictus nel II e III
secolo.
Avito
è dunque ricordato oggi con il nome del suo dio, Eliogabalo,
che però non usò mai in vita. La famiglia di Giulio
Bassiano, il cui nome derivava probabilmente dal titolo
sacerdotale orientale basus, a Emesa era tenuta in
alta considerazione, grazie al fatto che controllava il culto
di El-Gabal, tanto da esercitare sulla regione un notevole
potere; la loro importanza non fu certo danneggiata dal
matrimonio della figlia di Giulio Bassiano, Giulia Domna, con
Settimio Severo, anche se avvenne nel 187,
quando Severo non era ancora imperatore.
La
stirpe di Bassiano aveva probabilmente origini arabe,
discendendo forse dai principi arabi di Emesa (Samsigeramus e
Sohaemus) che, ancora nel I
secolo,
regnavano come vassalli dell'Impero
romano,
fino a quando Domiziano non
pose fine alla loro semi-indipendenza.
A SCESA
-
Quando
l'imperatore Macrino assunse
il potere dovette decidere come eliminare il pericolo
costituito per il suo regno dalla potente famiglia del suo
predecessore assassinato, Caracalla;
il nuovo imperatore si limitò a
esiliare Giulia
Mesa, le
sue due figlie, e il suo più anziano nipote, Eliogabalo,
nella loro tenuta ad Emesa in Siria,
senza confiscare i loro beni. Dopo avere passato la
giovinezza
a Roma,
Eliogabalo assunse il rango che nella sua città di origine
gli spettava per diritto familiare, diventando gran sacerdote
di El-Gabal.
Appena
giunta in Siria Giulia Mesa iniziò a tramare
con Gannys, il
suo eunuco consigliere
nonché tutore di Eliogabalo, per spodestare Macrino dal trono
di imperatore e dare la porpora al nipote appena
quattordicenne; le armi a sua disposizione erano l'enorme
influenza locale che le veniva dal ruolo sacerdotale svolto
dalla sua famiglia, le possibilità offerte dalla notevole
ricchezza dei Bassiani, e l'insoddisfazione dell'esercito, che
tanto aveva amato Caracalla quanto era ostile a Macrino per la
sua politica di austerità.
A
quel tempo il tempio di El-Gabal era molto frequentato,
soprattutto dai soldati di stanza in Fenicia e
quando essi venivano a visitarlo Mesa iniziò a diffondere una
falsa voce: Eliogabalo era in realtà un figlio illegittimo di
Caracalla che aveva giaciuto con entrambe le figlie mentre
esse erano a Roma. Tra i soldati si sparse quindi la voce
che Mesa fosse molto ricca e che avrebbe pagato bene chi
avesse restaurato la sua famiglia sul trono imperiale. La Legio
III Gallica,
di stanza a Raphana,
decise quindi di fare venire Mesa e la sua famiglia
nell'accampamento durante la notte: insieme alle figlie e ai
nipoti Mesa giunse nel campo militare e tutti furono accolti
dai soldati, che acclamarono Eliogabalo figlio di Antonino. All'alba
del 16 maggio 218, Publio
Valerio Comazone Eutichiano,
comandante della III Gallica, dichiarò Eliogabalo
imperatore. Il giovane sovrano assunse lo stesso nome di
Caracalla, Marco Aurelio Antonino, per rafforzare
ulteriormente la propria legittimità.
La
contromossa di Macrino, che si trovava ad Antiochia
di Siria,
fu di tentare di debellare la ribellione inviando nella
regione il proprio prefetto
del pretorio, Ulpio Giuliano,
con un piccolo contingente militare, ritenuto sufficiente a
debellare
l'usurpazione. Quando
le forze di Giuliano arrivarono all'accampamento il prefetto
decise di iniziare un assedio per fare arrendere
volontariamente i rivoltosi; ma
il giorno seguente i sostenitori di Eliogabalo convinsero i
soldati nemici a passare dalla loro parte: gli ufficiali
furono uccisi e la testa di Giuliano fu mandata a Macrino. Ogni
giorno arrivavano nell'accampamento ribelle nuovi soldati
disertori in piccoli gruppi, che aumentarono il numero di
sostenitori di Antonino. Macrino, in risposta, nominò
prima di tutto il figlio Diadumeniano suo
successore con il titolo di Cesare,
e poi iniziò a fare grandi elargizioni ai soldati per
guadagnarsi il loro favore; inviò
poi delle lettere al Senato,
nelle quali denunciava Eliogabalo come il Falso
Antonino e dichiarandolo pazzo. Entrambi i consoli e
altri importanti membri del governo di Roma condannarono
l'usurpatore, e il Senato dichiarò conseguentemente guerra a
Eliogabalo e a Giulia Mesa. Macrino
e Diadumeniano furono indeboliti dalla diserzione
della Legio
II Parthica in
seguito alle elargizioni e alle promesse fatte da Giulia Mesa,
e si scontrarono con le truppe comandate da Gannys nella battaglia
di Antiochia dell'8
giugno 218. Macrino, vedendo che la battaglia era ormai
persa, fuggì di nascosto insieme a qualche centurione. I
soldati, non vedendo più l'imperatore, iniziarono a
scoraggiarsi ed Eliogabalo prese l'occasione per convincere i pretoriani che
stavano combattendo per un codardo e ne fece quindi la sua
guardia personale.
Il
giovane imperatore mandò quindi degli uomini per cercare il
fuggitivo; Macrino, che si dirigeva verso l'Italia travestito
da corriere, aspettandosi li aiuto dal Senato, venne catturato
presso Calcedonia e
giustiziato poco dopo in Cappadocia. Suo figlio
Diadumeniano, mandato per sicurezza presso i Parti, fu invece
catturato a Zeugma e
messo a morte anche lui.
Eliogabalo
entrò allora vittorioso ad Antiochia, distribuì denaro ai
soldati e inviò lettere di riconciliazione a Roma, estendendo
l'amnistia al Senato e riconoscendone le leggi, condannando al
contempo il regno del suo predecessore, affermando che Macrino
«prese a disprezzare la mia età, quando lui stesso nominò
imperatore suo figlio di cinque anni». Inviò messaggi
anche alle legioni sparse per l'Impero per criticare il
predecessore e considerò la data della sua vittoria come
l'inizio del suo regno, tanto da assumere la titolatura
imperiale (Imperatore Cesare, figlio di Antonino, nipote di
Severo, Pio Felice Augusto, proconsole, detentore della Potestà
tribunizia) senza la preventiva approvazione del Senato, violando
in questo modo la tradizione, ma iniziando una pratica poi
ricorrente tra gli imperatori romani del III
secolo.
I
senatori ricambiarono l'atto di riconciliazione riconoscendo
Eliogabalo imperatore e pater patriae («padre
della patria»), accettandone la pretesa di essere figlio di
Caracalla, il quale fu deificato assieme a Giulia
Domna,
elevando sia Giulia
Mesa sia Giulia
Soemia al
rango di auguste. Infine,
il comandante della III Gallica, Comazone, divenne
il nuovo comandante della guardia
pretoriana,
mentre Gannys divenne il prefetto
del pretorio.

Eliogabalo
e la sua corte passarono l'inverno del 218 a Nicomedia in Bitinia, allo
scopo di consolidare il proprio potere. Lì Eliogabalo celebrò
i riti del suo sacerdozio, danzando in vesti siriane e
disprezzando gli indumenti greci e romani. Queste
particolari credenze religiose del nuovo imperatore si
dimostrarono per la prima volta un problema, tanto che,
secondo la testimonianza dello storico romano Cassio
Dione, il prefetto
del pretorio Gannys fu
fatto assassinare da Eliogabalo perché cercava di indurlo a
regnare con «temperanza e prudenza». Quando Giulia
Mesa,
nonna di Eliogabalo, vide le azioni del giovane, cercò di
persuaderlo a vivere secondo la tradizione di Roma per paura
che il giovane potesse sembrare troppo
"barbaro". Eliogabalo,
però, non prestò ascolto ai consigli della nonna e fece
quindi inviare a Roma un
suo ritratto in vesti sacerdotali, che fu piazzato sopra l'altare
della Vittoria nella Curia; in
questo modo i senatori si trovavano nell'imbarazzante
posizione di sacrificare a Eliogabalo ogni volta che facevano
offerte alla dea Vittoria. Sembra,
tuttavia, che in quel periodo Eliogabalo fosse amato sia dal
Senato sia dal popolo.
Le
legioni furono scoraggiate dal comportamento dell'imperatore e
si pentirono rapidamente di averlo sostenuto. Mentre
Eliogabalo era in viaggio per Roma, piccole ribellioni
scoppiarono all'interno della Legio
IIII Scythica, dietro istigazione di Gellio
Massimo,
mentre l'intera III Gallica,
la stessa che l'aveva proclamato imperatore, si ribellò
acclamando imperatore il proprio comandante Vero. Le
ribellioni furono rapidamente sedate: Gellio Massimo e Vero
furono giustiziati, la III Gallica sciolta, e Tiro,
base della Gallica, perse la condizione di metropoli. Molti
altri si ribellarono al nuovo imperatore, anche persone
estranee alla classe senatoria, facendosi proclamare
all'interno delle legioni.
Quando
la corte di Eliogabalo raggiunse Roma nell'autunno 219, Comazone e gli altri alleati di Giulia Mesa e dell'imperatore ricevettero
incarichi lucrativi e influenti, con grande oltraggio dei
senatori, che non li consideravano personaggi rispettabili. Comazone,
per esempio, proseguì la sua carriera divenendo praefectus
urbi di
Roma per tre volte e due volte console. Eliogabalo
tentò di nominare cesare il
proprio presunto amante Ierocle, mentre
riuscì ad assegnare l'influente posizione non-amministrativa
di cubicularius a un altro presunto amante, Zotico. La
sua offerta di un'amnistia per l'aristocrazia romana che aveva
sostenuto Macrino fu ampiamente onorata, anche se il giurista Ulpiano venne
esiliato.
La
relazione tra Giulia Mesa, Giulia
Soemia ed
Eliogabalo fu molto stretta, per lo meno all'inizio. La madre
e la nonna del giovane imperatore ricevettero l'onore di
assistere alle sedute del Senato
romano, ed
entrambe ricevettero titoli collegati con il rango
senatoriale: Soemia ricevette il titolo di clarissima, Mesa il meno ortodosso mater castrorum et senatus («madre
degli accampamenti e del senato»). L'imperatore
costituì anche il senaculum mulierum, ovvero il
«(piccolo) Senato delle donne», autorizzato a decidere su
argomenti limitati, che si riuniva sul Quirinale.
Sul
piano edilizio Eliogabalo abbellì Roma costruendo
il circo
Variano nella
parte orientale, il tempio del Sol
Invictus sul
Palatino e completando le terme
di Caracalla con
palestre, negozi e altri annessi.
Esiste
la possibilità che abbia anche dovuto fare fronte a una
ribellione, non attestata dalle fonti; un indizio è il
conferimento a tre legioni (la I Minervia di
stanza in Germania, la II Augusta di
stanza in Britannia e la X Gemina a
Vienna) del titolo
di Antoniniana,
cioè di «legione leale ad Antonino», onore tipicamente
riservato a quelle legioni che erano rimaste fedeli durante
una insurrezione; secondariamente depone a favore di questa
ipotesi la svalutazione della moneta, con la riduzione del
contenuto di argento, segno della necessità di coniare più
moneta per fare fronte alle spese militari.
La
politica religiosa fu l'elemento prioritario di Eliogabalo,
tutto compreso nella sua funzione di gran sacerdote, ma, al
contempo, fu anche la causa primaria dell'opposizione che
dovette affrontare: il suo obiettivo principale, infatti, non
era semplicemente quello di fare entrare il dio sole di Emesa, El-Gabal,
nel pantheon romano, ma quello di renderlo la divinità
principale della religione
romana,
prima associandolo a Giove e
poi facendovi confluire tutte le divinità romane.
Fin
dal regno di Settimio
Severo l'adorazione
della divinità solare era cresciuta in tutto l'impero; Eliogabalo
sfruttò questa popolarità per introdurre El-Gabal, che venne
rinominato Deus
Sol Invictus («Dio
Sole Invitto») e posto al di sopra di Giove (il
culto venne introdotto a partire dal 220); per
rafforzare il legame tra il nuovo dio e la religione romana
Eliogabalo fece contrarre a Deus Sol Invictus un
«matrimonio sacro» (hieros gamos) con Astarte (la
dea lunare), con Minerva,
e con la dea
cartaginese Urania (Dea
Caelestis o Tanit).
Ulteriore
oltraggio alla sensibilità religiosa dei Romani fu causato
dalla sua decisione di unirsi in matrimonio con la vergine
vestale Aquilia
Severa:
l'unione del sacerdote del dio sole con la sacerdotessa della
dea Vesta avrebbe
dato, nelle intenzioni dell'imperatore, «bambini simili a dei»; si
trattava della rottura di un'antichissima e onorata tradizione
romana, tanto che, per legge, una vestale che avesse perso la
propria verginità veniva seppellita viva.
Per
diventare l'alto sacerdote di El-Gabal, Eliogabalo si fece
circoncidere, costringendo pure alcuni suoi collaboratori a
fare lo stesso: Cassio
Dione racconta
che pensò persino di castrarsi, ma non ebbe poi il coraggio
di farlo. L'imperatore
obbligò i senatori a guardarlo mentre danzava attorno
all'altare di Deus Sol Invictus al suono di
tamburi e cimbali, e nel giorno del solstizio d'estate
fu istituita in onore del dio una grande festa, popolare tra
le masse grazie alla grande distribuzione di viveri. Durante
questa festa, Eliogabalo poneva El-Gabal, il meteorite nero
conico che rappresentava il dio solare di Emesa, su di un
carro adornato con oro e gioielli, che girava la città in
parata.
Un
sontuoso tempio detto Elagabalium fu
costruito sul pendio orientale del Palatino allo
scopo di ospitare il betilo del
dio. Le
reliquie più sacre della religione romana furono trasferite
dai rispettivi templi all'Elagabalium, inclusa la Magna
Mater,
il fuoco di Vesta,
gli Ancilia dei Salii e
il Palladio,
in modo che nessun altro dio all'infuori di El-Gabal venisse
adorato. Eliogabalo si fece persino erigere delle statue,
per farsi adorare come un dio.
L'orientamento
sessuale di Eliogabalo e la sua identità
di genere sono
stati origine di controversie e dibattiti; va notato, però,
che in Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano
profondamente intrecciati, come usuale nella cultura
orientale, ma la società romana non comprese questo aspetto a
essa alieno e dunque considerò stravaganti e scandalose le
pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i
rapporti omosessuali, la prostituzione,
all'interno delle quali va intesa la ricerca dell'androginia e
della castrazione.
Stando
al senatore e
storico contemporaneo Cassio
Dione,
Eliogabalo sposò, per poi divorziare, cinque donne, delle
quali solo tre sono conosciute. La sua prima moglie fu Giulia
Cornelia Paula, che sposò poco dopo essere giunto a Roma (autunno
219), allo scopo di avere presto dei figli con i quali
continuare la dinastia, ma dalla quale divorziò nelle prime
settimane del 220 sulla
base di una non meglio specificata imperfezione fisica, allo
scopo di sposare la seconda moglie, la vergine
vestale Aquilia
Severa; nel
giro di un anno, però, pose fine al controverso legame con
Aquilia per sposare Annia
Faustina (luglio 221), una
discendente di Marco
Aurelio e
la vedova di Pomponio
Basso, fatto giustiziare da poco da Eliogabalo stesso; entro la fine dell'anno,
infine, tornò da Aquilia.
La
sua relazione più stabile fu quella con un auriga,
uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di
nome Ierocle,
al quale l'imperatore si riferiva chiamandolo suo
marito. La Historia
Augusta,
scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un
uomo di nome Zotico,
un atleta di Smirne,
con una cerimonia pubblica nella capitale. Cassio
Dione scrisse inoltre che Eliogabalo si dipingeva le palpebre,
si depilava e indossava parrucche prima di prostituirsi nelle
taverne e nei bordelli, e
persino nel palazzo imperiale.
Erodiano
commenta che Eliogabalo sciupò il suo bell'aspetto naturale
facendo uso di troppo
trucco. Venne
spesso descritto mentre «si deliziava di essere chiamato
l'amante, la moglie, la regina di Ierocle», e si narra che
abbia offerto metà dell'Impero romano al medico che potesse
dotarlo di genitali femminili. Di
conseguenza, Eliogabalo è stato spesso descritto dagli
scrittori moderni come transgender,
molto probabilmente transessuale.
Entro
il 221 le
eccentricità di Eliogabalo, in particolare la sua
relazione con Ierocle, causarono
il progressivo scollamento tra l'imperatore e la guardia
pretoriana. Inoltre
l'imperatore fece anche alcune scelte politiche poco felici,
come l'assunzione del consolato per
tre volte consecutive, una scelta fatta per l'ultima volta da Domiziano e
da allora considerata un segno di dispotismo.
Quando Giulia
Mesa si
accorse che il sostegno popolare a Eliogabalo stava crollando
rapidamente, decise che lui e sua madre Giulia
Soemia,
che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose,
dovessero essere rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e
popolare. Per
trovare un sostituto al soglio imperiale Giulia Mesa si
rivolse all'altra figlia, Giulia
Mamea, e
al figlio di lei, il tredicenne Alessiano (che
assunse il nome di Alessandro
Severo):
Eliogabalo fu convinto ad associare il cugino al potere per
lasciare a lui le cure secolari e meglio dedicarsi a quelle
religiose. Alessandro fu adottato dal cugino (21 giugno 221),
da cui ricevette il titolo di cesare e
con il quale condivise il consolato per
quello stesso anno (222). Sempre
nell'ottica di riguadagnare il consenso va visto il divorzio
dalla vergine
vestale Aquilia
Severa e
il matrimonio con la nobile Annia
Faustina.
Eliogabalo,
però, si rese conto che i soldati, il Senato e il popolo gli
preferivano il cugino, e decise di cambiare le cose. Dopo
avere tentato ripetutamente di fare assassinare Alessandro,
protetto dalla nonna Giulia
Mesa,
l'imperatore ordinò al Senato di annullare l'elezione a
cesare del cugino e di ricoprire di fango le sue statue, ma i
soldati si ribellarono ed Eliogabalo si salvò a malapena
dalla loro rabbia; l'ordine non fu eseguito.
I
rapporti tra Eliogabalo e il cugino/figlio si deteriorarono
rapidamente entro la fine del 221:
solo per le pressioni della madre e della nonna l'imperatore
accettò di comparire in pubblico assieme ad Alessandro in
occasione della loro assunzione del consolato (1º gennaio 222). L'imperatore
mise in giro la voce che il cugino era moribondo per vedere la
reazione della guardia pretoriana.
Alla
notizia i soldati si ribellarono, pretendendo che Eliogabalo e
Alessandro si presentassero nel loro
accampamento. L'imperatore
si presentò al campo dei pretoriani l'11 marzo 222,
assieme al cugino e alla propria madre Giulia
Soemia; al
suo arrivo i pretoriani iniziarono ad acclamare il loro
favorito Alessandro, ignorando Eliogabalo, che ordinò allora
l'arresto e l'esecuzione sommaria di coloro che sostenevano
Alessandro, con l'accusa di ribellione. In risposta i
pretoriani assalirono l'imperatore e poi sua madre.
Erodiano,
invece, afferma che i cadaveri di Eliogabalo e di sua madre
furono inizialmente lasciati insepolti per essere deturpati da
chiunque lo desiderasse, finché non vennero gettati nelle
fogne. Con la sua morte molti dei suoi collaboratori
furono uccisi o deposti, inclusi Ierocle e Comazone. I
suoi editti religiosi furono annullati ed El-Gabal fu
mandato indietro a Emesa. Alle
donne fu proibito per sempre di partecipare alle sedute del Senato
romano, mentre
fu decisa la damnatio
memoriae contro
di lui: le sue statue furono distrutte, il nome
cancellato dai documenti e dalle iscrizioni, fu proibito
piangerlo pubblicamente e seppellirlo.
Alessandro
Severo (222 - 235)
Marco
Aurelio Severo Alessandro Augusto (Arca Caesarea, 1º
ottobre 208 – Mogontiacum,
18 o 19 marzo 235),
nato come Marco Bassiano Alessiano ma meglio noto
semplicemente come Alessandro Severo, è stato un imperatore
romano,
appartenente alla dinastia
dei Severi,
che regnò dal 222 al 235,
anno della sua morte.
Adottato
dal cugino e imperatore Eliogabalo,
dopo il suo assassinio Alessandro salì al trono. Data la sua
giovane età (fu imperatore a tredici anni), il potere fu
effettivamente esercitato dalle donne della sua famiglia, la
nonna Giulia
Mesa e
la madre Giulia
Mamea.
Passato alla storia come esempio di buon imperatore, rispettò
le prerogative del Senato e si prese cura dei sudditi, non
aumentò il carico fiscale e favorì il sincretismo religioso,
infatti nel suo larario trovò posto anche una statua di Gesù
Cristo, insieme a quella di Abramo. Come Antonino
Pio, di
carattere fu mite e buono, ebbe nobili inclinazioni. Anche
quando giudicò su colpe gravissime, non inflisse la pena di
morte.
L'imperatore
non fu però all'altezza dei problemi militari che dovette
affrontare. Nel 229 la dinastia dei Sasanidi incominciò
un'offensiva che strappò ai Romani la Cappadocia e
la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Severo riuscì ad
arginare l'invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul
fronte del Reno per difendere la Gallia dall'aggressione dei Germani.
Nel 235 fu
assassinato dai suoi stessi soldati durante una campagna
contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un
accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua
condotta in guerra. Al suo posto salì al trono un generale di
origine barbarica e di grandi capacità militari, Massimino
il Trace.
Bassiano Alessiano (questo
il nome originario di Alessandro Severo) nacque il 1º
ottobre 208 ad Arca
Caesarea, in Fenicia.
Suo padre era Marco
Giulio Gessio Marciano, un
funzionario di rango
equestre che
ebbe più volte l'incarico di procuratore imperiale, sua
madre Giulia
Avita Mamea,
al secondo matrimonio; oltre ad Alessiano la coppia aveva
avuto una figlia, e
forse anche un figlio di nome Marco Giulio Gessio Bassiano.
La
madre di Alessandro, Giulia Avita Mamea, era figlia del consolare Gaio
Giulio Avito Alessiano e
di Giulia
Mesa, a
sua volta figlia di Giulio
Bassiano,
sacerdote del culto solare
di El-Gabal a Emesa (Siria);
Alessiano e Mesa avevano anche un'altra figlia, Giulia
Soemia Bassiana, moglie del siriano Sesto Vario
Marcello e
madre di Sesto Vario Avito Bassiano (l'imperatore Eliogabalo,
regnante dal 218 al 222, che quindi era cugino di Alessandro).
La nonna materna di Alessandro, Giulia Mesa, era sorella di Giulia
Domna,
moglie
dell'imperatore Settimio
Severo (193-211)
e madre degli imperatori Caracalla (198-217)
e Geta (209-211).
Per
parte materna Alessandro era legato
alla famiglia
reale di Emesa,
i cui membri erano sovrani di Emesa e sacerdoti del dio solare
El-Gabal. Secondo
l'Historia Augusta, Alessandro ricevette un'ottima
educazione, sia nelle discipline civili sia in quelle
militari. Ebbe numerosi maestri, sia nella sua città natale
sia a Roma, che gli insegnarono filosofia, grammatica e
retorica; tra questi il grammatico Scaurino figlio di Terenzio
Scaurino, maestro di Lucio
Vero. L'Historia racconta
anche che non era molto bravo a fare discorsi in lingua
latina,
come si ebbe a vedere dai suoi discorsi in senato o davanti ai
soldati.
Alla
nascita di Alessandro, l'impero era condiviso tra Settimio
Severo e Caracalla, con l'associazione al trono di Geta nel
209; alla morte di Severo (211), i due figli ressero per un
po' il regno insieme, fin quando, quello stesso anno,
Caracalla assassinò Geta e tenne il potere da solo. Nel 217
Caracalla fu ucciso dalle sue stesse truppe, che acclamarono
imperatore Macrino,
il prefetto
del pretorio di Caracalla; il nuovo imperatore, però, commise l'errore di
rimandare la ricca Giulia Mesa, con le figlie e i nipoti, a
Emesa, loro città d'origine.
Approfittando
dei problemi della finanza imperiale e del malcontento delle
truppe conseguente a una riduzione delle paghe, Mesa corruppe
i legionari della Legio
II Parthica,
di stanza a Emesa, i quali acclamarono imperatore il cugino di
Alessandro, Eliogabalo,
il 16 maggio 218. Macrino tentò di riguadagnare il favore dei
soldati (in questa occasione vanno inseriti gli episodi
dell'assassinio della sorella e del cognato di Alessandro da
parte del prefetto del pretorio Ulpio
Giuliano e
della morte di Gessio Marciano, padre di Alessandro), ma
fu sconfitto nella battaglia
di Antiochia e,
dopo una lunga fuga, ucciso.
Salito
al trono Eliogabalo si comportò come un monarca orientale,
introducendo a Roma il culto del dio solare El-Gabal di cui
era gran sacerdote, e adottando costumi orientali alieni alla
mentalità romana; le sue eccentricità, la sua complessa
identità sessuale e la sua relazione con l'auriga Ierocle, oltre
che il matrimonio con la vergine
vestale Aquilia
Severa, gli
alienarono le simpatie del popolo e della stessa guardia
pretoriana;
pesò negativamente anche l'assunzione del consolato per
tre volte consecutive (218,
sostituendo Macrino, 219 e 220),
una scelta che era stata fatta per l'ultima volta da Domiziano e
da allora considerata un segno di dispotismo.
Quando Giulia
Mesa si
accorse che il sostegno popolare a Eliogabalo stava crollando
rapidamente, decise che lui e sua
madre Giulia
Soemia,
che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose,
dovessero essere rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e
popolare. Per trovare un sostituto al soglio imperiale
all'interno della dinastia, Giulia Mesa si rivolse all'altra
figlia, Giulia Mamea, e al di lei figlio, il tredicenne
Alessiano, e convinse Eliogabalo ad associare il cugino al
potere, per lasciare a lui le cure secolari e meglio dedicarsi
a quelle religiose.
Alessiano
assunse il nome di Marco Aurelio Alessandro: "Marco
Aurelio Antonino" era infatti il nome ufficiale
dell'imperatore meglio noto come Caracalla,
il quale, secondo la propaganda orchestrata da Mesa e dalle
sue figlie per ottenere la fedeltà delle legioni, sarebbe
stato il padre sia di Eliogabalo (il cui nome era appunto
"Marco Aurelio Antonino") sia
di Alessiano, entrambi avuti da relazioni adulterine; il nome
"Alessandro" fu invece scelto come riferimento ad Alessandro
Magno.
Il
26 giugno 221 Eliogabalo
adottò il cugino e lo nominò Cesare, scegliendolo
come collega per il consolato per
l'anno successivo (222).
Erodiano racconta la singolare situazione in cui si trovò il Senato
romano,
che dovette ratificare un'adozione per cui un ragazzo di circa
sedici anni diventava il padre di uno di dodici. Cassio
Dione narra
come secondo l'imperatore era stato il dio El-Gabal stesso
a suggerirgli l'adozione e la scelta del nome del
cugino-figlio adottivo.
Eliogabalo
associò il cugino e figlio adottivo nelle sue pratiche
religiose, facendolo diventare sacerdote, e tentò di fargli
assumere i propri costumi. Giulia Mamea, tuttavia, si oppose
e, tenendo lontano il figlio dall'imperatore e dalla sua
cerchia più stretta, fece impartire al figlio una classica
educazione greco-romana curando principalmente le virtù della
moderazione e dell'autocontrollo mentre Alessandro, per
propria inclinazione, praticava anche la lotta.
L'imperatore
ne fu contrariato e incominciò a rimpiangere di aver
associato al potere il cugino: decise allora di allontanare i
maestri dal palazzo imperiale, mettendone a morte diversi con
l'accusa di corrompere il Cesare con i loro insegnamenti. A
mano a mano che Eliogabalo progrediva nel suo comportamento
eccentrico e dispotico, crescevano le aspettative dei Romani,
e in particolar modo dei pretoriani, nei riguardi del giovane
Alessandro e Giulia Mamea assecondava la loro inclinazione con
frequenti donativi in modo da acquisirne il favore.
Elagabalo
si inquietò ancor di più e tentò di danneggiare la
reputazione del figlio adottivo e, non riuscendoci, incominciò
a tramare per eliminarlo. Mamea, tuttavia, diede disposizioni
affinché Alessandro non mangiasse cibi inviati o preparati da
inservienti dell'imperatore, ma solo quello cucinato da
personale di fiducia. Le precauzioni prese da Mamea e, in
particolare, dall'esperta Giulia
Mesa,
bastarono a respingere i maldestri tentativi dell'imperatore
di sbarazzarsi rapidamente del figlio adottivo, e alla
fine Eliogabalo decise di agire più direttamente, tentando di
togliere al cugino il titolo di Cesare e impedendogli di
comparire in pubblico.
L'allontanamento
di Alessandro dalla vita pubblica mise in subbuglio i soldati,
specie quelli che erano stati chiamati al suo servizio. Una
prima volta i pretoriani si ribellarono e continuarono la
sommossa fin quando Eliogabalo si recò al loro campo con
Alessandro, e dopo averli pregati di rientrare nei ranghi,
dovette accettare le loro condizioni e consegnare loro alcuni
suoi compagni di vizio, tra cui Ierocle,
il suo amante ufficiale. Eliogabalo decise di mettere
nuovamente alla prova il legame dei pretoriani col giovane
Cesare e fece diffondere la voce che Alessandro era caduto
ammalato.
I pretoriani,
addolorati e arrabbiati, si rifiutarono per la seconda volta
di prestare servizio e si rinchiusero nel loro accampamento,
chiedendo che Alessandro fosse loro mostrato nel tempio
del castrum ed
Eliogabalo, spaventato dalla loro reazione, si recò
all'accampamento assieme al cugino. Quando i due cugini
giunsero all'accampamento, i pretoriani acclamarono
Alessandro, ignorando Eliogabalo; l'imperatore, furibondo,
diede l'ordine di mettere a morte per tradimento i soldati che
avevano acclamato il Cesare ma non l'imperatore. I pretoriani,
stanchi delle eccentricità di Eliogabalo, si ammutinarono e
lo uccisero assieme alla madre Giulia
Soemia.
Il
13 marzo 222 Alessandro fu proclamato imperatore dai
pretoriani, col nome di Marco Aurelio Severo Alessandro; il
Senato gli concesse il titolo di augusto e
di pater
patriae,
oltre
alla potestà
tribunizia,
al comando proconsolare, al pontificato
massimo e
al diritto di fare cinque proposte di legge per ogni seduta
del Senato.
Alessandro
era molto giovane quando salì al trono, e il potere effettivo
fu nelle mani delle donne della sua famiglia, l'influente
nonna, Giulia
Mesa, che
però morì nel 226,
e la madre Giulia
Avita Mamea,
che lo affiancò per tutto il suo regno.
Alessandro
tentò di ridare lustro al Senato
romano, e
formò un collegio di sedici senatori che lo consigliassero
nelle materie di governo; tra questi sedici senatori vi erano
due eminenti giuristi Eneo
Domizio Ulpiano e Giulio
Paolo. Alessandro
rimosse i funzionari del cugino maggiormente compromessi,
evitando una generale rivoluzione nelle cariche; ad esempio
confermò in carica come prefetti
del pretorio Giulio Flaviano e Geminio
Cresto,
due esperti militari.
Nello
stesso anno di ascesa al trono, però, nominò Ulpiano
supervisore dei due prefetti pretoriani; il giurista, col
sostegno dell'imperatore e di sua madre, divenne una sorta di
co-imperatore, esercitando grande influenza sul giovane
imperatore, che lo chiamava parens,
"genitore". La scelta suscitò delle
recriminazioni tra i militari, in quanto Ulpiano non
aveva alcun merito dal punto di vista militare; secondo Zosimo,
Mamea venne a conoscenza di un tentativo di rovesciare Ulpiano
e fece mettere a morte gli attentatori, mentre lo stesso
Ulpiano, secondo Cassio
Dione che
pure gli riconosce di aver utilizzato il nuovo ruolo per
correggere alcune aberrazioni introdotte da Eliogabalo, fece
mettere a morte Flaviano e Cresto per subentrare loro, e
infatti, nel tardo 222, Alessandro nominò dunque prefetti del
pretorio lo stesso Ulpiano e Paolo. I
pretoriani, però, non gradirono gli eventi, e decisero di
assassinare Ulpiano, tendendogli un agguato nottetempo;
Ulpiano riuscì a sfuggire ai sicari, rifugiandosi a palazzo
da Alessandro e dalla madre, ma quando i pretoriani
insistettero che gli fosse consegnato il loro prefetto,
Alessandro non fu in grado di salvargli la vita (tardo 223-metà
224).
Nel 225 sposò Sallustia
Orbiana,
figlia del prefetto
del pretorio Lucio Seio
Sallustio,
il quale fu forse elevato al rango di Cesare.
Nel 227,
però, Sallustio fu accusato di aver tentato di assassinare
Alessandro e fu messo a morte; Sallustia fu allora esiliata in
Libia. Secondo
Erodiano, Alessandro amava la moglie e viveva con lei, ma
Sallustia fu allontanata dal palazzo da Giulia
Mamea, che
era gelosa del titolo di augusta ottenuto
dalla nuora; indispettito dall'arroganza di Mamea ma in debito
con Alessandro per i favori da lui concessigli, Sallustio
decise di ritirarsi presso il campo
dei pretoriani,
ma Mamea lo mandò ad arrestare e mettere a morte, esiliando
la nuora; il tutto sarebbe avvenuto, secondo Erodiano, contro
il volere di Alessandro, il quale però non ebbe il coraggio
di opporsi alla propria madre.
Tra
i primi atti del nuovo imperatore vi fu la formazione di un consilium con
sedici tra i più eminenti e moderati senatori, tra cui i
giuristi Eneo
Domizio Ulpiano e Giulio
Paolo e
lo storico Cassio
Dione Cocceiano. Secondo Erodiano l'imperatore
consultava i propri consiglieri su ogni decisione e non
prendeva provvedimenti che non avessero ricevuto
l'approvazione unanime.
Tutti
coloro che indegnamente avevano raggiunto alte cariche sotto Eliogabalo,
furono rimossi e rimandati alle loro precedenti mansioni. Gli
interessi dello Stato furono affidati ad avvocati e oratori
competenti, mentre gli incarichi militari furono assegnati a
ufficiali con esperienza comprovata. Per tenerlo lontano
da cattive compagnie che potessero traviarlo, la madre Giulia
Mamea gli
impose di presenziare quotidianamente e a lungo come giudice
nei processi. Inoltre fu lei a decidere chi poteva parlare con
il giovane imperatore, e decise chi poteva essere tra i
circoli interni dell'imperatore e Mamea non permetteva a
nessuno di stare vicino a suo figlio.
Alessandro,
inoltre, si mostrò molto indulgente e nei casi in cui era
prevista la pena di morte garantiva spesso il perdono per
evitare di infliggere la pena capitale; Erodiano riporta che
nessuno poteva ricordare, dopo diversi anni del suo regno, un
episodio in cui un uomo era stato messo a morte senza
processo. Formò
anche un consiglio municipale di quattordici prefetti urbani
che amministravano gli altrettanti distretti di Roma.
Furono cancellati il lusso e la stravaganza che tanto avevano
prevalso a corte; fu migliorato lo standard del conio; furono
alleggerite le tasse; furono incoraggiate la letteratura, le
arti e la scienza; fu aumentata l'assegnazione di terre ai
soldati.
Onorò
sia Cassio Dione sia lo storico Mario
Massimo con
un secondo consolato. Nell'interesse del popolo, furono
istituite agenzie di prestito a basso interesse (4%), e
acquistò grano a proprie spese, donandolo cinque volte al
popolo.
A Roma Alessandro
fece restaurare e re-intitolare le Terme
di Nerone,
che presero il nome di Terme
alessandrine (227);
fece costruire l'Acquedotto
alessandrino per alimentarle, le recintò con un bosco piantato al posto di
costruzioni da lui acquistate e fatte demolire, decretò delle
tasse per curarne la manutenzione, adibì alcuni boschi a
fornire il legname per il loro funzionamento e le rifornì di
olio da illuminazione. Fece
anche restaurare le Terme
di Caracalla,
cui aggiunse un portico; inoltre decretò che fosse
reintrodotta la legge che proibiva la presenza a Roma di terme
destinate ad ambo i sessi, abrogata da Eliogabalo. Fece
costruire sul Palatino le Diaetae
Mammaeae, una residenza destinata ad accogliere la madre.
Raccolse
molte statue di uomini illustri per ornare il Foro
di Traiano e
decorò il Foro
di Nerva con
statue di imperatori divinizzati, provvedette alle necessità
del tempio
di Iside e Serapide,
curò la manutenzione del Teatro
di Marcello,
del Circo
Massimo,
dello Stadio
di Domiziano e
il restauro del Colosseo,
colpito da un fulmine durante il regno di Macrino,
finanziando i lavori con le tasse su procuratori, prostitute e
catamiti. A Dougga,
in Tunisia, è ancora conservato in buone condizioni un arco
eretto in suo onore.

Secondo
la Historia
Augusta, Alessandro
pregava tutte le mattine presso il suo larario personale,
in cui teneva le statue di alcuni tra gli imperatori
romani divinizzati e
di alcuni personaggi di spessore morale, come Apollonio
di Tiana e, secondo
alcune testimonianze contemporanee, di Cristo, Abramo e Orfeo;
teneva pure una statua di Alessandro
Magno, suo
"antenato".
Ebbe
molto rispetto per la religione
romana tradizionale,
a differenza del cugino e predecessore, mostrando deferenza per i pontefici, per gli auguri e
per i quindecemviri
sacris faciundis (i
custodi dei Libri
sibillini, un collegio di
cui anche l'imperatore faceva parte). In talune occasioni permise anche che
questioni religiose sulle quali si era già espresso fossero riaperte e
condotte in maniera differente. Ogni sette giorni, quando era a Roma, saliva
al tempio di Giove
Capitolino e visitava
frequentemente anche gli altri templi. Tra i suoi primi atti di
"normalizzazione" dopo gli eccessi del cugino vi fu quello di far
rimettere al loro posto nei vari templi tutte le statue d'oro e gli arredi
sacri che Eliogabalo aveva
fatto raccogliere nell'Elagabalium,
il tempio che aveva fatto costruire a Roma al dio El-Gabal. Quando
la nonna Giulia Mesa morì,
Alessandro la fece divinizzare.
Il
suo regno fu un periodo felice per gli ebrei e
i cristiani; ai primi confermò i privilegi antichi, mentre non molestò i
secondi. Secondo l'Historia progettò di dedicare un tempio a
Cristo e di includerlo tra gli dei, ma desistette quando gli auguri gli
dissero che in quel caso tutti si sarebbero convertiti al cristianesimo e gli
altri templi sarebbero stati chiusi. Fece inoltre suo un motto ascoltato da un
giudeo o da un cristiano, «Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris»
("Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te"); lo
ripeteva di frequente e lo fece incidere, secondo l'Historia, sul suo
palazzo e in altri luoghi pubblici.
Infine,
le esigenze difensive indussero il sovrano e i comandi ad adottare alcune
importanti modifiche tattiche dell'esercito di cui fu un esempio il ritorno
allo schieramento falangitico di
più legioni contemporaneamente, fino a costituire una massa d'urto di sei
legioni raggruppate, fianco a fianco, senza alcun intervallo.
Inoltre,
per migliorare la mobilità dei reparti, Alessandro incentivò l'arruolamento
di unità ausiliarie di arcieri e
di cavalleria corazzata,
i cosiddetti catafrattari o clibanarii,
reclutati in Oriente e in Mauretania e
infine l'utilizzo presso tutte le fortezze del limes di nuovi
modelli di catapulte,
al fine di tenere impegnato il nemico fino all'accorrere delle "riserve
strategiche".
Tra
il 224 e
il 226/227 avvenne
a Oriente dell'Impero romano un episodio cruciale, che cambiò il corso della
storia romana nel III secolo: l'ultimo imperatore dei Parti, Artabano
IV, fu rovesciato e il
rivoltoso, Ardashir
I, fondò la dinastia
sasanide, destinata a
essere avversaria orientale dei Romani fino al VII secolo. Tra
il 230 e
il 233 circa
i Sasanidi e i Romani si scontrarono per la prima volta: il casus
belli fu la rivendicazione da parte dei Sasanidi del possesso di
tutto l'Impero achemenide,
del quale affermavano di essere diretti eredi, includendo i territori ora
romani dell'Asia Minore e del Vicino Oriente. Della campagna
sasanide di Alessandro Severo esistono
due racconti contrastanti: Erodiano non
ha remore a mostrare gli errori dell'imperatore romano nella conduzione della
guerra e descrive una situazione negativa per i Romani, salvo poi raccontare
che i Sasanidi alla fine accettarono lo status quo; al contrario,
nella Historia
Augusta, nel Cesari di Aurelio
Vittore e nel Breviario
di storia romana di Eutropio,
si racconta della grandiosa vittoria di Alessandro sui nemici dell'impero.
Secondo
il racconto di Erodiano, la reazione di Alessandro alle pretese sasanidi fu
quella di scrivere ad Ardashir, proponendogli di mantenere lo status
quo e ricordandogli le vittorie romane sui Persiani; l'ambasciata non
ebbe effetto, dato che il sovrano sasanide scese sul campo di battaglia.
All'inizio della campagna (230),
i Sasanidi penetrarono nella provincia
romana della Mesopotamia cercando,
senza riuscirvi, di conquistare Nisibis e
compirono diverse incursioni in Siria e Cappadocia.
Alessandro
organizzò allora una spedizione militare, raccogliendo a Roma un
numero di truppe pari a quelle del nemico e scegliendo i migliori soldati.
Erodiano riporta il discorso che Alessandro fece di fronte alle truppe
schierate e racconta di come i soldati fossero incoraggiati dalle parole
dell'imperatore; dopo aver distribuito denaro alle truppe, Alessandro si recò
al Senato per fare un discorso simile e rendere pubbliche le sue intenzioni.
Il giorno della partenza, dopo aver presenziato ai sacrifici di rito,
l'imperatore lasciò Roma (231);
Erodiano racconta di come Alessandro si volse più volte a guardare la città,
piangendo, e di come piangessero anche sia i senatori sia il popolo che
accompagnò l'amato imperatore.
Dopo
essere passato per l'Illirico, dove raccolse altre numerose truppe, raggiunse
l'anno successivo
(232) Antiochia
di Siria, dove fece
addestrare le truppe nelle condizioni ambientali delle province orientali.
Fece allora un ulteriore tentativo di mediazione, offrendo pace e amicizia ad
Ardashir, ma questi non solo mandò indietro gli inviati romani a mani vuote,
ma mandò a sua volta ad Alessandro quattrocento soldati di aspetto imponente
e riccamente vestiti, con un rinnovato invito ad abbandonare le terre fino al Bosforo;
Alessandro reagì alla provocazione arrestando i quattrocento inviati sasanidi
e li mandò a coltivare terre in Frigia,
senza però metterli a morte.
L'imperatore
romano decise di far passare all'esercito le frontiere naturali del Tigri e
dell'Eufrate,
ma si trovò ad affrontare ammutinamenti delle truppe e persino la
proclamazione di un usurpatore, Taurino;
sebbene questi pericoli avessero breve vita, Alessandro decise di tenere con sé
solo le truppe più affidabili e, dietro consiglio dei propri generali, divise
l'esercito in tre parti, tenendo per sé quella più forte e destinata
all'attacco al centro del fronte, mentre le altre due avrebbero dovuto
attaccare a nord e a sud. La sua indecisione nell'avanzare, però, fece sì
che al contingente meridionale venisse a opporsi quasi
l'intero esercito
sasanide, che sconfisse i
Romani infliggendo loro gravi perdite. Erodiano racconta che la causa
dell'indecisione di Alessandro fu la sua paura di mettere in gioco la propria
vita o le «paure femminili» di sua
madre Giulia
Mamea, che lo aveva
seguito in Oriente.
La
notizia della disfatta giunse all'imperatore mentre questi era ammalato, e lo
fece disperare; gli stessi soldati, minati da malattie causate dall'ambiente
insalubre e dalla scarsità delle provviste, accusarono l'imperatore di aver
causato la distruzione dell'esercito con la sua incapacità a mettere in atto
i piani stabiliti. Alessandro ordinò allora che i due gruppi superstiti di
truppe si recassero a svernare ad Antiochia: se il suo contingente perse
numerosi uomini durante il viaggio, i soldati provenienti da nord furono
praticamente decimati dalle temperature rigide delle montagne dell'Armenia;
l'esercito, ridotto enormemente a causa di questi eventi, addossò la colpa
delle sue perdite all'imperatore.
Gli
scontri tra Romani e Sasanidi, però, avevano indebolito enormemente anche
l'esercito di Ardashir, che ne ordinò lo scioglimento per la pausa invernale
tra il 232 e il 233.
La notizia raggiunse Alessandro, la cui salute era migliorata ad Antiochia,
dopo che aveva tentato di riottenere il favore dei propri uomini con un
donativo e mentre stava preparando il prosieguo della campagna. Sebbene fosse
convinto che il pericolo fosse terminato, Alessandro fu convinto a porre fine
alle ostilità in Oriente anche dall'arrivo della notizia che gli Alemanni avevano
passato Reno e Danubio e stavano saccheggiando campi e città in forze.
Differentemente
da Erodiano, di cui rigetta il racconto dei fatti, l'Historia
Augusta riporta
un'altra versione, confermata
da Aurelio
Vittore e da Eutropio,
secondo la quale Alessandro avrebbe sconfitto Ardashir in battaglia. L'Historia aggiunge
che l'imperatore prese personalmente parte alla battaglia, comandando il
fianco destro romano, e obbligando alla rotta l'esercito sasanide, forte di
settecento elefanti
da guerra e mille e
ottocento carri
falcati, oltre che da
migliaia di cavalieri; tornato ad Antiochia, Alessandro avrebbe diviso tutto
il bottino tra gli uomini. Un'ulteriore differenza tra le due versioni
riguarda il trionfo di Alessandro a Roma: secondo Erodiano l'imperatore si
affrettò dalla frontiera orientale a quella settentrionale per far fronte
alla minaccia germanica; l'Historia Augusta narra invece del suo
ritorno nella capitale nel 233,
dove avrebbe celebrato un trionfo sui Sasanidi (attestato dalla numismatica)
con donativi al popolo e giochi. L'Historia riporta
anche un discorso di Alessandro di fronte al Senato romano, in cui
l'imperatore rivendica modestamente il proprio successo.
Secondo
il racconto di Erodiano,
mentre si trovava ancora ad Antiochia con
l'esercito Alessandro fu raggiunto dalla notizia che gli Alemanni avevano
attraversato in forze il limes germanico e stavano saccheggiando le province
romane dell'Illirico,
mettendo in pericolo anche l'Italia. Questa notizia causò malcontento
nell'esercito, in particolare nelle truppe illiriche che erano state prelevate
per la campagna sasanide indebolendo le difese della zona; i soldati
imputavano all'imperatore sia l'indecisione nella guerra contro Ardashir sia
i pericoli in cui metteva le popolazioni illiriche. Sempre secondo Erodiano,
Alessandro si mosse rapidamente dalla frontiera orientale all'Illirico con
gran parte dell'esercito, senza passare da Roma.
Evidenze
numismatiche fanno propendere gli storici per la versione riportata dalla Historia
Augusta, secondo la
quale Alessandro tornò a Roma a celebrare il trionfo (233);
per diversi mesi l'imperatore avrebbe goduto dell'aumento di popolarità
dovuto alla campagna orientale, prima di essere raggiunto dalla notizia delle
invasioni in Illirico e Gallia, ove si recò dopo aver richiamato l'esercito
da Oriente (234).
Alessandro
si accampò a Magonza,
presso il Reno,
e impegnò i barbari facendo uso delle truppe more, osroene e parte che
aveva portato dalla campagna d'Oriente. Decise però di non rischiare una
guerra e di corrompere i barbari e ottenere una pace incruenta (235).
Queste trattative non trovarono il favore dei soldati, sia in quanto essi
deprecavano l'atteggiamento remissivo dell'imperatore di fronte ai nemici che
avevano invaso e saccheggiato le loro terre, sia
in quanto una pace ottenuta in quel modo non avrebbe portato bottino per i
soldati romani.
Alessandro
fu ucciso il 18 o 19 marzo
del 235 a Mogontiacum insieme
con la madre, in un ammutinamento probabilmente capeggiato da Massimino
il Trace, un ufficiale
della Tracia,
che a ogni modo si assicurò il trono.
Secondo
Erodiano i soldati decisero di rovesciare Alessandro, considerato troppo
debole e di sostituirlo con Massimino, uno dei loro comandanti preferiti e
dotato di maggiori capacità militari. Dopo aver acclamato Massimino
imperatore, si recarono presso l'accampamento di Alessandro. Informato della
sommossa, Alessandro si fece prendere dal panico e promise ai propri uomini di
fare tutto quello che essi volevano in cambio della loro protezione, ma i
soldati si rifiutarono di prendere le armi. Abbandonato dalle proprie truppe,
Alessandro si ritirò presso la propria tenda, dove si trovava anche la madre Giulia
Mamea, attendendo l'arrivo
degli uomini di Massimino che li uccisero entrambi.
La Historia
Augusta, invece,
racconta che dopo numerosi cattivi presagi, Alessandro fu ucciso in quanto
aveva sorpreso un soldato germanico della sua scorta all'interno della sua
tenda: il soldato, temendo di essere punito, avrebbe riunito i propri compagni
e ucciso l'imperatore e la madre.
In
realtà lo scontento dei militari deve essere ricercato in questioni di natura
diversa rispetto alla problematica della personalità indecisa del sovrano e
può essere ricondotto alla tendenza dell'imperatore e di Giulia Mamea di
favorire l'aristocrazia senatoria a scapito degli ufficiali dell'esercito come
del resto alla politica finanziaria di prudente risparmio che incise, in
misura non insignificante, proprio sui costi dell'armata suscitando il
malcontento.
Con
la caduta dell'ultimo dei Severi, molte raffigurazioni di Alessandro e di sua
madre furono intenzionalmente distrutte, per mostrare il sostegno al nuovo
imperatore. Nel 238,
con la morte di Massimino il Trace e l'ascesa al trono di Gordiano
III, Alessandro fu
divinizzato e, per l'ultima volta, fu costituito un collegio di sodales in suo onore. A seguito di ciò, in molte iscrizioni da cui era stato
cancellato sotto Massimino, il suo nome fu re-inciso.
Le
ceneri di Alessandro e della madre furono tumulate in un sarcofago, decorato
con scene del mito di Achille,
ora ai Musei
Capitolini, ma in origine
deposto in un grandioso mausoleo, oggi noto come Monte
del Grano,
a Roma.
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