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Età imperiale - Imperatori severi (193 - 235 d.C.) 

La dinastia dei Severi che regnò sull'Impero romano tra la fine del II e i primi decenni del III secolo, dal 193 al 235, con una breve interruzione durante il regno di Macrino tra il 217 e il 218, ebbe in Settimio Severo il suo capostipite ed in Alessandro Severo il suo ultimo discendente. La nuova dinastia, nata sulle ceneri di un lungo periodo di guerre civili, oltre a Settimio Severo e ai suoi figli, comprendeva anche i parenti della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna. Questi ultimi presero anch'essi il nome di Severo, dal loro capostipite, al momento dell'ascesa al trono.

Nei nomina degli imperatori era, inoltre, presente un chiaro riferimento alla dinastia degli Antonini. Il motivo era quello di creare una forma di continuità ideale con la precedente dinastia, quasi non ci fosse stata alcuna interruzione, neppure con il predecessore Pertinace (mentre Didio Giuliano venne dichiarato usurpatore). Nella titolatura imperiale di Settimio Severo, infatti, compariva questa dicitura:

IMPERATORI CAESARI DIVI MARCI ANTONINI PII GERMANICI SARMATICI FILIO DIVI COMMODI FRATRI DIVI ANTONINI PII NEPOTI DIVI HADRIANI PRONEPOTI DIVI TRAIANI PARTHICI ABNEPOTI DIVI NERVAE ADNEPOTI LUCIO SEPTIMIO SEVERO PIO PERTINACI AUGUSTO ("l'imperatore Cesare, figlio del divo Marco Antonino Pio Germanico Sarmatico, fratello del divo Commodo, nipote del divo Antonino Pio, discendente del divo Traiano Partico, discendente del divo Nerva, Lucio Settimio Severo Pio Pertinace Augusto").

Severo dichiarava così non solo di essere figlio adottivo di Marco Aurelio, e pertanto fratello di Commodo, ma anche erede tutta la sua discendenza fino a Nerva stesso (AdrianoTraianoAntonino Pio), oltre a vantare legame diretto con il suo predecessore Pertinace.

La dinastia dei Severi conquistò diversi territori durante il suo regno. Qui di seguito sono elencati alcuni dei territori che furono acquisiti dai Severi durante il loro governo:

1. Parte dell'Impero partico, che si estendeva dall'Iran all'Iraq.

2. La provincia romana della Mesopotamia, situata tra l'Eufrate e il Tigri.

3. L'Egitto, che era stato annesso all'Impero romano dal 30 a.C., ma che aveva subito l'influenza dei Parti durante il III secolo.

4. L'Africa settentrionale, che comprendeva l'attuale Tunisia, Algeria e Marocco.

5. L'Arabia Petraea, che comprendeva gran parte dell'attuale Giordania e Arabia Saudita.

La dinastia dei Severi è stata importante anche per il suo ruolo nella stabilizzazione e consolidamento dell'Impero romano, poiché hanno posto fine a un periodo di crisi e instabilità.

L'albero genealogico della dinastia dei Severi si articola intorno alla famiglia della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna. Si trattava di una famiglia sacerdotale di Emesa, in Siria, adepta al culto del dio Eliogabalo o Elagabalo.

Dal Principato al Dominato

A Roma, dopo l'incendio del 191, sotto Commodo, iniziò una nuova fase di lavori, sotto i Severi: fu ricostruito il Tempio della PaceTempio di Vesta (nel 204), gli Horrea Piperiana, il Portico di Ottavia; si aggiunse un'ala dei palazzi imperiali del Palatino (la Domus Severiana), con una nuova facciata monumentale verso la Via Appia, il Settizonio; furono innalzati l'arco di Settimio Severo nel Foro Romano (eretto per il trionfo partico del 203), l'arco degli Argentari (eretto in onore dell'imperatore dai banchieri del Foro Boario nel 204) e le terme di Caracalla, l'edificio più imponente e tra i meglio conservati della Roma imperiale. Sempre all'epoca di Caracalla venne costruito quello che forse era il tempio più grandioso della città, quello di Serapide sul Quirinale.Eliogabalo si deve invece un tempio dedicato al culto del Sol Invictus, il Elagabalium (eretto nel 220-221) e ad Alessandro Severo, l'ultimo degli acquedotti romani, l'Aqua Alexandrina (del 226).

L'arco di Settimio Severo a tre fornici era posizionato all'angolo nord-est del Foro Romano. Eretto tra il 202 e il 203, fu dedicato dal senato all'imperatore Settimio Severo e ai suoi due figli, Caracalla e Geta per celebrare la vittoria sui Parti, ottenuta con due campagne militari concluse rispettivamente nel 195 e nel 197-198. Una notevole novità è rappresentata dai quattro grandi pannelli con le imprese militari di Settimio Severo in Mesopotamia dell'arco trionfale. I modelli per tali raffigurazioni furono molto probabilmente le pitture trionfali inviate dall'Oriente e citate da Erodiano, spiegando così l'insolita costruzione compositiva per fasce orizzontali a partire dal basso. Il modellato delle figure è sommario, ma i profondi solchi di contorni, ombre e articolazioni, scavati col trapano elicoidale, animano con incisività la raffigurazione, inaugurando un linguaggio particolarmente corsivo, essenzialmente efficace, adatto a essere visto da distanza e al tempo stesso di rapida esecuzione (e quindi più economico). Il tutto era poi reso più espressivo dalla policromia. Questa tecnica ebbe poi grande fortuna per tutto il III secolo. Nell'arco del Foro si afferma inoltre una rappresentazione della figura umana nuova, in scene di massa che annullano la rappresentazione individuale di matrice greca; anche la plasticità è diminuita. L'imperatore appare su un piedistallo circondato dai generali mentre recita l'adlocutio e sovrasta la massa dei soldati come un'apparizione divina.

La Domus Severiana fu l'ultimo ampliamento dei palazzi imperiali sul Palatino a Roma. Fu realizzata da Settimio Severo (attorno al 202-203), a sud-est dello Stadio palatino della Domus Augustana. Dell'edificio restano oggi solo le imponenti sostruzioni in laterizio sull'angolo del colle, che creavano una piattaforma artificiale alla stessa altezza del palazzo di Domiziano, dove era stato realizzato un ampliamento, essendo ormai esaurito lo spazio fisico disponibile sul colle. Il vero e proprio edificio si trovava quindi sulla terrazza sotto le sostruzioni. Facevano parte del complesso le terme imperiali, che erano alimentate da un ramo dell'Acquedotto Claudio. Sul lato verso la via Appia Settimio Severo aveva poi fatto realizzare un'imponente facciata simile a una scena teatrale, dotata di fontane e colonnati a tre livelli: il Settizonio (enorme fontana di 100 metri di lunghezza, costruito nel 203). I resti dello splendido edificio vennero, però, demoliti nel XVI secolo ed è noto solo da disegni rinascimentali.

L'arco degli Argentari è una piccola porta che si trova accanto al portico della chiesa di San Giorgio al Velabro. Ha la forma di porta architravata. Il monumento fu eretto nel 204 nel punto in cui l'antica strada urbana del vicus Jugarium si immetteva nella piazza del Foro Boario, nella zona dell'attuale piazza della Bocca della Verità. È una dedica privata degli argentarii et negotiantes boari huius loci ("i banchieri e i commercianti boari di questo luogo") agli augusti Settimio Severo e Caracalla, al cesare Geta, a Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, e a Fulvia Plautilla, moglie di Caracalla. Il monumento è alto complessivamente 6,15 m e il passaggio ha una larghezza di 3,30 m.

Le terme di Caracalla o Antoniniane, costituiscono uno dei più grandiosi esempi di terme romane, conservate ancora per gran parte della loro struttura e libere da edifici moderni. Furono costruite dall'imperatore Caracalla sull'Aventino, tra il 212 e il 217, come dimostrano i bolli laterizi. Le terme erano grandiose, ma destinate a un uso di massa per il popolino dei vicini quartieri popolari della XII Regio. Per la loro realizzazione fu creato nel 212 un ramo speciale dell'Acqua Marcia, uno degli acquedotti di Roma antica, l'Aqua Antoniniana.

L'anfiteatro castrense fu il secondo anfiteatro conservato a Roma, risalente agli inizi del III secolo, più precisamente a Eliogabalo (218-222). Questo amphitheatrum castrense rappresentava un "anfiteatro di corte", legato al Palazzo Sessoriano (o Sessorium), di cui faceva parte anche l'edificio su cui oggi sorge la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Fu costruito probabilmente insieme al resto del complesso residenziale imperiale all'epoca dell'imperatore Eliogabalo e restò in uso fino alla costruzione delle Mura aureliane, che lo tagliarono a metà e lo trasformarono in bastione avanzato. Era di forma ellittica, con un asse maggiore di 88 m e minore di 75,80 m, la cui facciata esterna aveva tre ordini.

L'Elagabalium era un tempio costruito sul lato nord-orientale del Palatino dall'imperatore romano Eliogabalo (218-222) e dedicato alla divinità solare di origine siriana Deus Sol Invictus, del quale l'imperatore stesso era gran sacerdote. Il tempio, circondato da colonne, aveva dimensioni di 70 m per 40 m, ed era a sua volta circondato da un portico colonnato. Si trovava di fronte al Colosseo.

L'acquedotto alessandrino (Aqua Alexandrina) fu l'ultimo acquedotto costruito nell'antica Roma. Venne edificato nel 226 dall'imperatore Alessandro Severo. La sua realizzazione era finalizzata all'approvvigionamento idrico delle terme di Nerone che, situate in Campo Marzio presso il Pantheon (circa nella zona occupata oggi da Palazzo Madama), erano state radicalmente ristrutturate dallo stesso imperatore, e che pertanto da allora assunsero anche la denominazione di "terme Alessandrine" (Thermae Alexandrinae).

Settimio SeveroCaracalla e Geta - Eliogabalo - Alessandro Severo

L'imperatore, a differenza di quanto era accaduto durante il Principato, utilizzò l'appellativo di dominus, che rimandava alla parola Deus, dio, divinità. Tale forma di governo si presentava in forma dispotica, nella quale l'imperatore, non più contrastato dai residui delle antiche istituzioni della Repubblica romana, poteva disporre quale padrone assoluto dell'Impero, cioè nella qualità di dominus, da cui la definizione di dominatus. La monetazione dell'epoca ritraeva molti sovrani che portavano attorno al capo una corona di raggi del dio solare, a testimonianza di questa nuova forma di governo.

Settimio Severo (193-211 d.C.)  

Lucio Settimio Severo Augusto (Leptis Magna, 11 aprile 146 – Eboracum, 4 febbraio 211) è stato un imperatore romano dal 193 alla sua morte. Giunto al potere dopo la guerra civile romana del 193-197, fu il fondatore della dinastia severiana. In linea con le scelte di Marco Aurelio ripristinò alla sua morte il principio dinastico di successione, facendo subentrare i figli Caracalla e Geta.

L'ascesa di Settimio Severo costituisce uno spartiacque nella storia romana; è considerato infatti l'iniziatore della nozione di "dominato" in cui l'imperatore non è più un privato gestore dell'impero per conto del Senato, come durante il principato, ma è unico e vero dominus, che trae forza dall'investitura militare delle legioni (anche se anticipazioni di questa tendenza si erano avute durante la guerra civile seguita alla morte di Nerone).

Egli fu inoltre iniziatore di un nuovo culto che si incentrava sulla figura dell'imperatore, ponendo le basi per una sorta di "monarchia sacra" mutuata dall'oriente ellenistico. Adottò infatti il titolo di dominus ac deus, che andò a sostituire quello di princeps, che sottintendeva una condivisione del potere col Senato.

Lucio Settimio Severo nacque a Leptis Magna, un'antica e florida città dell'Africa Proconsolare, sita a circa 130 km a est di Oea (l'odierna Tripoli, in Libia), l'11 aprile del 146 da un'abbiente e distinta famiglia appartenente all'ordine equestre. Il padre, Publio Settimio Geta, proveniva da una ricca famiglia leptitana di origini miste puniche e berbere, ma ormai in possesso della cittadinanza romana da diverse generazioni, mentre la madre, Fulvia Pia, apparteneva alla gens Fulvia, un'illustre famiglia romana originaria di Tusculum.

Benché il padre non avesse mai ricoperto cariche politiche o comunque ruoli rilevanti in seno all'amministrazione romana, Severo aveva però due zii paterni, Publio Settimio Apro e Gaio Settimio Severo, che avevano servito come consules suffecti, rispettivamente, nel 153 e nel 160, sotto il principato di Antonino Pio, e fu proprio grazie ai buoni uffici di suo zio Gaio Settimio che, quando giunse a Roma all'età di 18 anni (attorno al 162), fu ammesso nell'ordine senatorio.

Secondo Eutropio, tra i suoi primi incarichi vi fu la professione di avvocato del fiscus, dopodiché scalò la gerarchia amministrativa dell'impero diventando tribuno militare, questore in Sardegna (170-171), legato proconsolare in Africa nel 174, tribuno della plebe (176), propretore in Spagna (178), governatore della Gallia Lugdunense (187) e della Sicilia (189).

ASCESA - Nel 190 ebbe il consolato e dal 191 resse per Commodo il governatorato della Pannonia superiore. Dopo l'assassinio di Commodo, il Senato tentò di salvare la dinastia antonina con la nomina di Pertinace nel 193, appoggiato inizialmente anche dai pretoriani. 

Il regno di Pertinace giunse al termine dopo pochi mesi a seguito di una serie di congiure da parte dei pretoriani, da cui venne ucciso, nonostante avesse adottato provvedimenti atti a compiacere loro e il Senato. Il trono era rimasto senza nessun ovvio successore, i due contendenti furono Tito Flavio Sulpiciano, suocero di Pertinace, e l'anziano senatore Didio Giuliano. Per ottenere l'appoggio dei pretoriani i due cominciarono ad offrire donativi a gara, con un'offerta di 25.000 sesterzi a testa vinse Didio Giuliano che venne immediatamente eletto dal Senato, tuttavia non godeva dell'appoggio di diverse legioni dell'esercito, i quali non accettavano un nuovo imperatore che aveva comprato il favore dei pretoriani. Le legioni della Pannonia reagirono proclamando imperatore Settimo Severo a Carnuntum, sede del governo e del comando militare.

Severo, affermando la volontà di vendicare la morte dell'imperatore, si affrettò a scendere in Italia per punire i pretoriani e prendere possesso di Roma senza opposizioni. Il Senato reagì proponendo la figura di Didio Giuliano (che si affrettò a dichiarare nemico pubblico Settimio Severo), mentre le legioni di Siria proclamarono Pescennio Nigro e quelle della Britannia scelsero Clodio Clodio Albino (che in un primo tempo ottenne il titolo di Cesare, venendo legittimato da Settimio). Settimio Severo si liberò del tutto dei tre rivali tra il 194 e il 197, sconfisse e uccise Pescennio Nigro presso Isso nel 194, infine il suo esercito entrò nel 197 a Lione e Clodio Albino si uccise in seguito a una sanguinosa guerra.

Severo, una volta divenuto imperatore, avviò importanti riforme militari che toccarono numerosi aspetti dell'esercito romano e che costituirono le basi del successivo sistema fondato sugli imperatori militari del III secolo. Creò la prima forma di autocrazia militare, togliendo potere al Senato dopo averne messo a morte numerosi membri. Temendo, inoltre, congiure contro la sua persona o quella dei suoi figli, fece giustiziare il suo stesso consuocero, Gaio Fulvio Plauziano che in qualità di prefetto del pretorio appariva ai suoi occhi come una potenziale minaccia. Il figlio Caracalla venne proclamato imperatore designato.

Utilizzò i proventi della vendita delle terre confiscate agli avversari politici per creare un fondo imperiale privato, il fiscus, distinto dall'aerarium, la cassa dello Stato. Appena giunto a Roma avviò l'epurazione della guardia pretoriana, che dopo due secoli di dominio dell'influenza italica (allora reclutata per lo più in Italia e in piccola parte nelle province più romanizzate), fu smantellata e riorganizzata con quadri e organici a lui fedeli, tratti dal contingente danubiano. Da allora in poi l'accesso alla Guardia Pretoriana, un tempo avente un prerequisito geografico e culturale, sarebbe stata appannaggio dei soldati più battaglieri, quelli dell'Illirico nel III secolo.

Il regno di Settimio Severo fornisce un interessante esempio dei metodi di persecuzione dei cristiani. Precedentemente, stando alla Historia Augusta, si era pensato a un espresso divieto di proselitismo rivolto a ebrei e cristiani, ritenendosi questo il contenuto del presunto editto severiano, la cui effettiva esistenza è di per sé stessa dubbia. Settimio Severo non promulgò nuovi provvedimenti contro i cristiani, ma consentì l'applicazione di vecchie leggi (i rescripta di Traiano e Adriano). Non sono dimostrate persecuzioni sistematiche, ma anzi ci sono prove che l'imperatore in molte occasioni proteggesse i cristiani dall'accanimento popolare, come sembra testimoniare Tertulliano nell'Ad Scapulam. Potrebbe però aver emanato un editto in cui si dichiarava punibile la conversione all'Ebraismo ed al Cristianesimo.

In generale si può dire che i cristiani continuarono a vivere in un periodo di bonam et largam pacem come scrive Tertulliano, se si escludono alcuni episodi locali, come in Africa, di persecuzioni che andrebbero interpretati alla luce di un dissenso politico (più che religioso), mentre lo stesso imperatore non appariva turbato dal fenomeno cristiano, né vi ravvisava un fattore di pericolo. D'altro lato, singoli funzionari si sentivano autorizzati dalla legge a procedere con rigore verso i cristiani. Naturalmente l'imperatore, a stretto rigore di legge, non ostacolava qualche persecuzione limitata, che avesse luogo in Egitto, in Tebaide o nei proconsolati di Africa e Oriente. I martiri cristiani furono numerosi ad Alessandria, sotto la prefettura di Leto e del suo successore Sebaziano Aquila.

Non meno dure furono le persecuzioni in Africa, che sembra avessero inizio nel 197 o 198, come testimoniato nell'Ad martires di Tertulliano, alle cui vittime ci si riferisce nel martirologio cristiano come ai martiri di Madaura.

Probabilmente nel 202 e 203 caddero Felicita e Perpetua. La persecuzione infuriò ancora, per breve tempo, sotto il proconsole Scapula nel 211, specialmente in Numidia e Mauritania. Nei tempi successivi sono leggendarie le persecuzioni in Gallia, specialmente a Lione. In generale, si può dire che la posizione dei cristiani sotto Settimio Severo fu la stessa che sotto gli Antonini; ma la disposizione di questo imperatore almeno mostra chiaramente che Traiano aveva mancato i suoi obiettivi.

Settimio Severo mise subito in atto una serie di riforme e modifiche al precedente ordinamento militare, confermando quel processo di provincializzazione delle milizie e emersione dei ceti dirigenti locali dell'impero già cominciato con Marco Aurelio (e con alcune premesse in epoca traianea):

- Aumentò il numero delle legioni romane a 33, con la costituzione di ben tre unità, in vista delle campagne partiche: la legio I, II e III Parthica. L'esercito ora poteva contare su 442.000 armati complessivamente. Un numero comunque esiguo se si pensa che dovevano presidiare circa 9.000 chilometri di confine, controllare e difendere i 70 milioni di abitanti dell'Impero.

- Venne costituita per la prima volta una riserva strategica in prossimità di Roma, nei Castra Albana, dove fu alloggiata un'intera legione, la II Parthica.

- Favorì i legionari in vari modi, aumentando loro la paga e riconoscendo loro il diritto di sposarsi durante il servizio, oltre a consentire di abitare con la propria famiglia fuori del campo (canabae). Tale riforma comportò una "regionalizzazione" delle legioni, che in questo modo si legarono non solo al loro comandante, ma anche a un territorio ben preciso. Promosse anche l'ammissione dei figli dei centurioni nella carriera senatoria.

- Operò una serie di altre concessioni, tese a migliorare la condizione dei soldati, tra le quali l'istituzione dell'annona militare, il miglioramento del rancio, la possibilità per i graduati di riunirsi in scholae (sorte di associazioni, di collegia), riconoscendo inoltre segni di distinzione particolari: la veste bianca per i centurioni (che Gallieno avrebbe esteso a tutti i soldati) e l'anello d'oro per i principales.

- Secondo Erodiano le truppe che stazionarono in Roma (o nelle sue vicinanze, come i castra Albana) furono quadruplicate, o almeno triplicate se consideriamo che: gli effettivi delle coorti pretorie furono raddoppiati da Settimio Severo, fino a 1.000 armati ciascuna (milliarie), per un totale di 10.000 armati, ora sostituiti con soldati scelti delle legioni pannoniche, per punire coloro che si erano in precedenza schierati contro di lui durante la guerra civile; quelli delle coorti urbane, probabilmente furono portati fino a 1.500 (per un totale di 6.000 armati); a questi si sommavano poi i 3.500 armati dei Vigiles, i 1.000 equites singulares e i 5.500/6.000 della legio II Parthica, per un totale complessivo di 30.000 armati, contro i 10.500 dell'epoca augustea.

- Pose il comando degli Equites singulares Augusti non più alle dipendenze di un tribunus militum ma di due.

Un regime assolutistico confermato dallo sviluppo cui giunse la res privata imperiale, ormai di pari peso a quella statale. Per finanziare l'ingente spesa che serviva a mantenere l'esercito, causa anche l'aumento stesso del soldo, cioè della paga, ricorse all'espediente di dimezzare la quantità di metallo prezioso contenuto nelle monete, differenziando il valore intrinseco da quello nominale (reddito da signoraggio). Cominciò così una crescente inflazione e una tesaurizzazione delle monete di metallo prezioso. Il problema dell'inflazione era il cambio del denario con l'aureo. Con lo scopo di difendere le banche, Settimo impose sanzioni per chi scambiava un aureo per più di 25 denarii.

Nel 197 Settimio Severo partì da Roma, ed imbarcatosi a Brindisi, sbarcò in Cilicia, dando inizio ad una grande campagna militare nell'area siriaca. Dopo aver guadato l'Eufrate, prese in ostaggio i figli di Abgar IV, re titolare di Osroene, ricevendo tributi anche dal sovrano d'Armenia Marciò dunque per la Mesopotamia settentrionale, riannettendola all'impero e ponendovi a capo un prefetto di rango equestre; poco dopo guidò l'armata verso Ctesifonte, saccheggiandola e riducendo in schiavitù gran parte dei suoi abitanti. Per evitare eventuali rappresaglie da parte dei parti rafforzò dunque il cosiddetto Limes arabicus, facendo costruire nuove fortificazioni tra le antiche Qasr Azraq e Dumat al-Jandal.

Al suo rientro, decise di lasciare nei pressi di Roma e precisamente dove sorgeva Alba Longa, Albanum (oggi Albano Laziale), la seconda delle tre legioni partiche, dove tutt'oggi si possono ammirare i resti dell'accampamento (Castra Albana), i cisternoni per il rifornimento di acqua e l'anfiteatro risalente al III secolo. Malgrado la sua azione avesse introdotto a Roma la dittatura militare, egli era popolare presso i cittadini romani, avendo bollato la degenerazione morale del regno di Commodo e la corruzione crescente. Quando ritornò dopo la vittoria sui Parti, assunto, sull'esempio di Traiano, il titolo di Parthicus Maximus, eresse un arco di trionfo che ancora oggi è in piedi e porta il suo nome.

Nel tardo 202 Settimio Severo intraprese una spedizione militare verso la provincia dell'Africa. Il legatus della Legio III Augusta, Quinto Anicio Fausto combatté i Garamanti lungo il Limes Tripolitanus per cinque anni, conquistando diversi insediamenti nelle zone di Gadames, Gholaia, Garbia e la sua capitale Germa. La provincia della Numidia venne ampliata: Vescera, Castellum Dimmidi, Gemellae, Tehouda e Thubunae vennero annessi all'impero. A partire dal 203 l'intero confine meridionale venne ricostruito, i beduini costretti alla ritirata nel Sahara.

Negli ultimi anni del suo regno, appunto dal 208 d.C., ormai infermo, Settimio Severo intraprese di persona un buon numero di azioni militari in difesa ed allargamento dei confini della Britannia romana, con la previsione per la ricostruzione del Vallo di Adriano, prima di morire il 4 febbraio 211 a Eboracum, l'odierna York.

Severo arrivò in Britannia con oltre 40 000 uomini e per contenere l'imponente esercito fece costruire diversi accampamenti che si estendono lungo i Lowlands scozzesi e la costa orientale della Scozia fino all'estuario del Moray. Fece costruire un campo di 165 acri (67 ha) a sud del Vallo Antonino nei pressi di Trimontium e altri due delle dimensioni di 120 e 63 acri a nord dell'estuario del Forth. Settimio promosse la restaurazione di alcune fortezze romane lungo la costa orientale, come il forte situato a Carpow. Era in possesso di una potente flotta navale.

Geta fu incaricato delle retrovie mentre il fratello Caracalla divise con il padre il comando della linea del fronte.

A partire dal 210 la spedizione portò a numerosi guadagni per l'impero, nonostante le imponenti perdite per i romani e le tattiche di guerriglia dei caledoni che volevano la pace, la quale venne concessa da Settimio in cambio del controllo delle Lowlands centrali.

Questo sforzo bellico portò alla momentanea occupazione da parte dei romani del vallo Antonino e di alcune postazioni fortificate lungo il Gask Ridge.  

Dopo la morte nel febbraio 211 a Eburacum durante la spedizione britannica, fu divinizzato dal Senato e sepolto nel mausoleo di Adriano. Gli succedettero, come aveva previsto nell'intento di fondare una nuova dinastia in qualche modo in continuità con quella antonina (tanto da far imporre il nome Antonino al primogenito Bassiano, detto Caracalla) i due litigiosi figli avuti dalla moglie siriana Giulia Domna, Caracalla e Geta. Nonostante i tentativi della madre di conciliare i due successori, Geta venne ucciso il 27 febbraio 212 dal fratello Caracalla, che rimase l'unico titolare dell'impero.

Caracalla (211-217) e Geta (211)

Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto (Lugdunum, 4 aprile 188 – Carre, 8 aprile 217), nato Lucio Settimio Bassiano, conosciuto anche come Marco Aurelio Antonino Augusto dal 198 al 211 ma meglio noto con il soprannome di Caracalla, è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 198 al 217, anno della sua morte.

Importante provvedimento preso durante il suo regno, fu la Constitutio Antoniniana, che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti dell'Impero di condizione libera. L'estensione della cittadinanza fu una spinta importante all'uniformazione delle amministrazioni cittadine: spariva la gerarchia fra le città e ormai la differenza fra i sudditi dell'Impero non era più sul piano della cittadinanza, ma sul piano del godimento dei diritti civili, fra honestiores e humiliores.

Aspirando alla gloria militare, Caracalla sfruttò la propaganda imperiale per far passare per grandi vittorie le battaglie contro le popolazioni germaniche dei Catti e degli Alamanni, che si erano concluse in realtà con trattative diplomatiche. Per mantenere l'appoggio dell'esercito, innalzò ancora i compensi ai soldati e a questo scopo aumentò le imposte e proseguì nella politica di svalutazione della moneta inaugurata dal padre. La sua ambizione fu quella di emulare Alessandro Magno e per questo avviò una nuova campagna contro i Parti. Durante la preparazione della guerra in Oriente, nel 217, Caracalla cadde vittima di una congiura ordita dal prefetto del pretorio, Opellio Macrino, che si fece proclamare imperatore e trattò la pace con i Parti.

Caracalla nacque a Lugdunum (odierna Lione), nella Gallia Lugdunense, il 4 aprile del 188, figlio di Lucio Settimio Severo, di origini puniche e berbere per parte paterna e italiche per parte materna (la nonna paterna, Fulvia Pia, apparteneva alla gens Fulvia), governatore della provincia gallica al tempo della sua nascita e divenuto poi imperatore nel 193, e della siriaca Giulia Domna, augusta e detentrice, durante il dominato del marito prima e del figlio dopo, di un potere politico mai raggiunto prima da una donna all'interno dell'impero. Aveva un fratello minore, Publio Settimio Geta.

Il suo vero nome, alla nascita, risultava essere quello di Lucio Settimio Bassiano, ma il padre lo volle in seguito cambiare in Marco Aurelio Antonino, per suggerire una parentela con la dinastia degli Antonini, in particolar modo con l'imperatore Marco Aurelio. Fu poi soprannominato "Caracalla", poiché soleva indossare un particolare mantello militare con cappuccio lungo fino ai piedi, di origine celtica, che introdusse e rese popolare egli stesso a Roma.

Nel 198 Caracalla ricevette il titolo di Augusto, a soli 10 anni di età. Pertanto cominciò a essere associato al comando fin da piccolo, anche se ebbe effettivo potere solo alla morte del padre. Settimio Severo volle che lo accompagnasse nelle campagne militari contro gli Scoti, mentre il fratello Geta restava nelle retrovie ad amministrare la giustizia. Caracalla da giovane venne educato con tutte le attenzioni dai genitori, come un giovane principe. Tuttavia preferiva le battute pronte ai lunghi discorsi. Nonostante non fosse alto di statura, anzi piuttosto tarchiato, era dotato di resistenza e forza notevole, sapeva nuotare e si faceva ungere di olio per poi cavalcare per molte miglia. Divideva il pasto semplice dei soldati e si sapeva adattare a una vita spartana. In battaglia era coraggioso, ma anche irruento tanto che alcune volte sfidando i nemici in duello, rischiò la vita.  

Nel 200 il potente e ambizioso prefetto del pretorio Gaio Fulvio Plauziano si accordò con Settimio Severo per dare in moglie a Caracalla la giovane figlia Fulvia Plautilla. I due si sposarono con grande sfarzo. Al banchetto del matrimonio aveva partecipato anche lo storico Cassio Dione, una delle maggiori fonti su Caracalla. Tuttavia nel 202, solo tre anni dopo, Caracalla accusò di alto tradimento e fece giustiziare Plauziano. Plautilla divenne un personaggio scomodo, per cui il marito decise di accusarla di adulterio e divorziare. Secondo una tradizione il futuro imperatore si sarebbe rifiutato di dormire e di mangiare con la moglie, così che non ebbe figli da lei. Probabilmente invece Caracalla era sterile, perché nonostante avesse avuto delle amanti, non ebbe mai figli. Dopo il divorzio Caracalla esiliò Plautilla e suo fratello Ortensiano sull'isola di Lipari, dove nel 212 furono giustiziati. Lo storico Dione Cassio suggerisce l'idea che Caracalla fosse una figura cinica e sanguinaria, ma in quel periodo storico (prima dei Severi vi era stata una notevole crisi) probabilmente eliminare rapidamente tutti i possibili rivali era visto come l'unico modo di mantenere il potere.  

Morto l'imperatore Settimio Severo durante la spedizione militare contro le tribù nel Nord della Britannia, nel 211 per volontà dei consiglieri Caracalla succedette al padre assieme al fratello Geta. I fratelli conclusero velocemente la pace con i barbari e tornarono a Roma, dove ben presto la situazione divenne insostenibile. Nessuno dei due fratelli era disposto a dividere il potere imperiale, vivevano divisi in due quartieri separati nei palazzi imperiali del colle Palatino, dove la loro personale corte di funzionari, accoliti e guardie del corpo alimentava le sfide tra di loro. A seguito di alcuni dissapori, a dicembre Caracalla uccise con la spada Geta, inutilmente difeso dalla madre Giulia Domna, che nella foga venne ferita alla mano. Caracalla fuggì dal palazzo e ottenne il sostegno dei pretoriani convincendoli di essere stato minacciato di morte dal fratello e soprattutto promettendo loro grandi donativi per il loro appoggio.

Caracalla si presentò in Senato con l'armatura sotto la toga e scortato dalle sue guardie, per tenere il discorso di insediamento per avere l'approvazione del Senato. Il Senato, ormai privo di un potere politico effettivo, lo confermò imperatore. Preso il potere, si accanì contro il partito dei sostenitori del fratello a Roma, facendone strage, senza risparmiare donne e bambini. Per Geta fu stabilita la damnatio memoriae: il suo nome e il suo volto fu eraso da tutti i monumenti imperiali, come si può ancora vedere nell'Arco degli Argentari, nell'Arco di Settimio Severo e nel Tondo severiano.

In un'altra occasione, in Egitto, decise di punire la città di Alessandria e arrivò a eliminare 20.000 alessandrini (Cassio Dione Cocceiano, Historia Augusta). Ad Alessandria avevano prodotto una satira, paragonando Giulia Domna alla tragica Giocasta per il fatto che l'imperatore aveva ucciso il fratello Geta per prendere il potere e forse anche per alludere a un rapporto incestuoso della madre con il figlio. Caracalla non aveva gradito, ma dissimulò la sua vendetta. Finse di voler visitare il famoso santuario di Serapide, dove fu accolto con grandi feste e banchetti. Una volta radunati tutti i migliori giovani della città con la scusa di voler arruolare nuove leve per l'esercito, ne ordinò la strage. Le sue truppe saccheggiarono a lungo i quartieri la città, che vennero divisi poi da un muro, sorvegliato dai soldati, forse per impedire ulteriori saccheggi e ritorsioni tra le diverse fedi della città (pagani, ebrei e cristiani). Grazie a questa dimostrazione di forza l'imperatore rafforzò maggiormente il suo potere, che finì per essere totalmente dispotico. È evidente anche dalla statuaria imperiale, che lo raffigura sempre accigliato, che Caracalla preferiva essere temuto che amato.  

Prima di morire, il padre aveva consigliato ai figli il mantenimento del favore dell'esercito, quale primaria, se non unica cura, e preoccupazione. Eliminato il fratello Geta, Caracalla si riconciliò con la madre Giulia Domna, per affidarle la parte burocratica e amministrativa dello Stato. Preso atto che non vi erano persone fidate per un ruolo così importante, Giulia Domna prese a tenere la corrispondenza imperiale, con la quale vagliava le petizioni formali e consigliava il figlio nelle decisioni politiche da prendere. Al tempo stesso curava la riscossione della tasse, necessarie per assicurare la logistica delle numerose spedizioni militari. Giulia Domna era uguale all'imperatore negli onori imperiali, e come Iulia pia felix Augusta mater Augusti nostri et castrorum et senatus et patriae et totius domus divinae aveva una parte nell'impero e aveva la sua corte, guardia pretoriana e guardie del corpo tedesche. Mentre Caracalla si occupava della guerra, dei problemi di frontiera e dei presidi militari, Giulia Domna si occupava degli affari di Stato, informando e assistendo il figlio in caso di emergenza. Caracalla metteva il suo nome accanto al proprio nei suoi ordini al Senato e ai militari.

Caracalla seguì fedelmente il consiglio paterno: come già aveva fatto il padre, alzò la paga del legionario, portandola a 675 denari, e concesse molti benefici alle truppe, con le quali spesso condivideva le campagne e la dura vita militare, garantendosi così la fedeltà dell'esercito. Preso atto che la fanteria romana non era efficace contro la cavalleria partica, aggiunse per la campagna contro i Parti una nuova unità militare, arruolata in Grecia: la falange macedone; egli stesso indossava la corazza leggera macedone, ispirandosi ad Alessandro Magno. Caracalla inoltre si fece amiche le tribù germaniche di frontiera: ammirava il valore dei guerrieri germanici e ne arruolò diversi nella sua scorta personale. Grazie alla politica di Caracalla, l'esercito romano raggiunse l'apice della sua efficienza e potenza. Arruolarsi nell'esercito imperiale divenne un impiego ambito per la paga generosa e le possibilità di carriera e prestigio.

Nel periodo dei Severi il commercio con l'Oriente e in particolare con Palmira, l'Etiopia, la Siria e l'India ebbe grande sviluppo. Il commercio riguardava soprattutto le spezie, la seta e gli animali esotici indispensabili per i giochi circensi. Anche l'esercito di Caracalla possedeva degli elefanti. Le continue guerre tuttavia misero le casse imperiali in difficoltà e costrinsero l'imperatore a diminuire del 25% la quantità di argento nei denari, a causa dell'aumento della paga dei soldati; quindi coniò una nuova moneta, chiamata "antoniniano", nel 215, che valeva due denari normali.

In ambito religioso Caracalla fu tollerante: l'imperatore, che personalmente non gradiva esser chiamato con l'appellativo "divus" (dio) ostentava un meticoloso rispetto verso tutti gli dei e visitava spesso i principali santuari e oracoli; era appassionato di astrologia, per cui a volte prendeva decisioni e assegnava incarichi in base alle date e ai segni zodiacali. Costruì a Roma nuovi grandiosi templi per Iside e Serapide. Non intraprese persecuzioni contro i cristiani o gli ebrei. In questo periodo si diffondono a Roma, portati dalle truppe, nuovi culti orientali quali Sol Invictus e il mitraismo.  

Lungo il limes germanico-retico si affacciò per la prima volta la confederazione degli Alemanni (nel 212). Si trattava di un insieme di popoli, raggruppatisi lungo i confini delle province di Germania superiore e Rezia. Lo sfondamento del limes costrinse l'imperatore ad accorrere lungo questo settore strategico per arginare una possibile loro invasione l'anno successivo (nel 213). Fece riparare le vie di comunicazione del Noricum, dove anzi creò una via nuova dal Danubio verso Linz, e in Rezia e in Pannonia, come attestano le pietre miliari rinvenute. Per ogni vittoria ottenuta chiedeva nuovi donativi al Senato, così da poter finanziare nuove campagne. La sua ambizione era di ottenere una gloria militare senza precedenti. Le vittorie romane che seguirono in effetti attribuirono al giovane imperatore l'appellativo di Germanicus maximus, e Alemannicus, anche se a volte sembra che tali successi siano stati frutto di trattative e "comprati" per ottenere una pace duratura con i barbari, come suggerisce Cassio Dione.

Sempre a Caracalla sarebbero da attribuirsi altri successi sulle popolazioni barbare lungo il medio-basso corso del Danubio, come Quadi, Daci liberi, Goti e Carpi nel 214 e prima parte del 215.  

Volendo inglobare nell'impero il Regno dei Parti, che allora era diviso da discordie interne, predispose meticolosamente le truppe, gli ausiliari e due grandi macchine da guerra, trasportate da navi. Quando traversò l'Ellesponto rischiò il naufragio per un'avaria della nave che lo trasportava. Si recò ad Ilio, l'antica Troia, dove fece un sacrificio sul rogo funebre di un amico, tagliandosi una ciocca di capelli, ad imitazione di Achille. Successivamente chiese in sposa la figlia del re dei Parti, ma questi rifiutò (o secondo un'altra versione accettò e venne ucciso a tradimento da Caracalla in occasione delle nozze), così nel 215 ebbe il pretesto per attaccarli. La spedizione, però, non ebbe fortuna, per l'assassinio improvviso dell'imperatore.

Per far fronte alle accresciute spese militari e per cercare di aumentare le entrate, nel 212 Caracalla emanò la Constitutio antoniniana. Divenivano così cittadini (e contribuenti) dell'Impero tutti gli abitanti liberi che lo popolavano, tranne i Dediticii, letteralmente significa coloro che si sono arresi, ma che forse in questo contesto designa le popolazioni estranee alla cultura greco-romana.  

Caracalle diede numerosi giochi e spettacoli per divertire il popolo romano. Prese parte egli stesso ai giochi del circo. Nel 212 diede inizio a Roma i lavori delle terme di Caracalla, le più grandiose mai costruite. Per l'approvvigionamento idrico nel 212 fu creata una diramazione dell'Acqua Marcia, chiamata Aqua Antoniniana, che valicava la via Appia. Le terme, terminate nel 217 e abbellite di marmi e preziose sculture, furono fortemente volute dall'imperatore per ingraziarsi il popolo e per dare un segno della sua potenza. Fece restaurare il Portico di Ottavia, danneggiato da un incendio. Durante le campagne militari era pronto a inaugurare nuovi ponti, valli, forti e mura difensive dove fosse necessario.  

Caracalla fu molto impopolare tra la classe senatoria, per la sua politica di favorire solo l'esercito e le carriere dei funzionari imperiali di rango inferiore. Era invece molto amato dai soldati, che lo chiamavano Ercole e con i quali si atteggiava a nuovo Alessandro Magno. Per maggiore sicurezza si era creato una guardia del corpo composta di cavalieri Germani, chiamati "leones" (leoni) e per intimidire i visitatori, li riceveva tenendo con sé un leone domestico, chiamato Akinakes, il nome della spada corta persiana.

Tuttavia nonostante tutte le precauzioni, nel 217 venne assassinato a tradimento proprio da un suo sottoposto, un certo Marziale, che lo trafisse approfittando del fatto che l'imperatore per un bisogno corporale era sceso da cavallo e si era appartato dalle guardie, mentre si stava recando a Carre in visita a un santuario del dio locale Sin o Lunus, durante la seconda spedizione partica. Lo storico Erodiano dice che Marziale era un ufficiale della guardia del corpo imperiale, che voleva vendicare la morte del fratello, condannato da Caracalla. Cassio Dione, invece, afferma che lo fece per il risentimento di non essere stato nominato centurione. Certo è che Marziale fu ucciso poco dopo da un arciere.

Il corpo di Caracalla fu cremato e l'ossuario dei suoi resti fu deposto a Roma presso i genitori all'interno del mausoleo degli Antonini. In seguito il Senato, su pressione dell'esercito, votò un decreto che accordò l'apoteosi dell'imperatore defunto. Un cammeo in sardonica conservato a Nancy in Francia lo raffigura in apoteosi con indosso l'egida di Atena, mentre viene portato in cielo da un'aquila, tenendo in mano una cornucopia e il globo terrestre sormontato dalla Vittoria.

A Caracalla succedette, quindi, per breve tempo il prefetto del pretorio Macrino, che governò sino al 218, quando fu rimosso dalla ribellione promossa dalla famiglia dei Severi, che sosteneva il giovane Eliogabalo, presentato alle truppe come figlio segreto di Caracalla.  

Geta, figlio di Settimio Severo e Giulia Domna e fratello di Caracalla (nome completo Publio Settimio Geta, Roma7 marzo 189 - Roma26 dicembre 211), è stato un co-imperatore romano dal 209 al 211, prima col padre e poi col fratello.

Geta fu il figlio più giovane di Settimio Severo dalla seconda moglie Giulia Domna e nacque a Roma, quando suo padre era solo un governatore provinciale al servizio dell'imperatore Commodo. Dipinto da bambino nel tondo della famiglia dei Severi, insieme a Settimio Severo, Giulia Domna e Caracalla, la sua faccia fu cancellata a causa della damnatio memoriae ordinata da suo fratello Caracalla, che lo aveva fatto assassinare.

Geta fu sempre posto in secondo piano rispetto a suo fratello maggiore Caracalla. Forse per questo, le relazioni tra i due furono difficili sin dall'infanzia. I conflitti erano costanti e spesso richiedevano la mediazione della madre. Secondo lo storico Dione Cassio, Geta era di carattere più mite e riflessivo, Caracalla invece era più irruento e vendicativo. Nelle campagne contro i Britanni, Settimio Severo utilizzò in modo intelligente le diverse doti dei figli: Caracalla seguì il padre in battaglia, mentre Geta ebbe il titolo di "Cesare" nel 198 ed era tenuto nelle retrovie, a York, per amministrare la giustizia. La propaganda imperiale pubblicizzava una famiglia felice che divideva le responsabilità del potere. Caracalla era il vicecomandante dell'esercito, Giulia Domna il consigliere di fiducia e Geta aveva compiti amministrativi e burocratici. Ma l'antipatia e la rivalità tra i due fratelli era ben lontana dall'essere risolta.

Quando Settimio Severo morì di malattia il 4 febbraio 211 a Eburacum, per decisione dei consiglieri imperiali, i figli Caracalla e Geta furono proclamati insieme imperatori. Conclusa una veloce pace con i barbari confinanti, ritornarono a Roma. Il loro governo congiunto si rivelò presto un fallimento, per breve tempo governarono insieme solo grazie al prestigio dei consiglieri e della loro madre, Giulia Domna. Fonti successive ipotizzano che i fratelli volessero dividere l'impero in due metà, e si erano create per loro a Roma due fazioni avversarie. Verso la fine del 211 la situazione era divenuta insostenibile. Il 26 dicembre del 211 Geta venne fatto uccidere tramite un gruppo di centurioni da suo fratello Caracalla, nonostante si fosse rifugiato tra le braccia della madre Giulia Domna. Alla sua morte furono sterminati tutti i suoi sostenitori e i loro parenti. Geta fu accusato di aver voluto prendere il potere e uccidere Caracalla, per cui fu dichiarato nemico dello Stato, condannato alla damnatio memoriae e sepolto in una tomba creata per lui sul Settizonio costruito dal padre.

In seguito la zia Giulia Mesa, sorella di Giulia Domna, lo fece inumare nel Mausoleo di Adriano, anche se un edificio sulla via Appia, detto appunto tomba di Geta, viene identificato col suo mausoleo.

Dopo il fratricidio, Caracalla infangò la sua memoria e ordinò che il suo nome fosse rimosso da tutte le iscrizioni (damnatio memoriae). A quel punto, come unico imperatore, ebbe l'opportunità di sbarazzarsi dei suoi nemici politici: le fonti riferiscono che in questo periodo furono uccise o proscritte circa 20 000 persone. Tra le vittime della repressione si segnala il giurista Emilio Papiniano, che fu decapitato, su ordine di Caracalla, per essersi rifiutato di comporre un'apologia del fratricidio.

Caracalla decise di eliminare per sempre le prove dell'esistenza del fratello, attuando questa procedura riservata soltanto a uomini che con le loro azioni avevano macchiato l'onore romano. Esempi di damnatio memoriae sono presenti sull'arco di Settimio Severo a Roma nel Foro, dove il nome di Geta venne cancellato e sostituito dalle parole optimis fortissimisque principibus, e nell'arco severiano di Leptis Magna, dove la figura di Geta è abrasa dall'arco stesso. La distruzione della memoria di Geta fu tra le più capillarmente eseguite nella storia di Roma: per questo trovarne tracce o ritratti è estremamente raro e difficile. Tra i possibili busti superstiti di Geta ne esiste uno nel Museo archeologico nazionale di Orvieto, che fu ritrovato sepolto con la testa appoggiata a una bozza di pietra a mo' di cuscino e un altro, rinvenuto presso Sabucina, esposto al Museo Archeologico di Caltanissetta.

Nella sua Historia Regum BritanniaeGoffredo di Monmouth sostiene che Geta fu nominato re britannico dalle legioni a Eburacum. In risposta, i britanni scelsero invece Caracalla. I due fratelli, però, discutevano per ogni cosa e alla fine Caracalla tentò di assassinare Geta durante i Saturnalia, senza però riuscirvi. Ma in dicembre, durante un incontro con il fratello, Caracalla fece uccidere Geta da un centurione.

Eliogabalo (218 - 222)

Marco Aurelio Antonino Augusto (Roma203 – Roma11 marzo 222), nato come Sesto Vario Avito Bassiano (Sextus Varius Avitus Bassianus) ma meglio noto come Eliogabalo o Elagabalo (Heliogabalus o Elagabalus), è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 218 al 222, anno della sua morte.  

Siriano di origine, Eliogabalo era, per diritto ereditario, l'alto sacerdote del dio sole (El-Gabal) di Emesa, sua città d'origine.

Il regno di Eliogabalo fu fortemente segnato dal suo tentativo di importare il culto solare di Emesa a Roma e dall'opposizione a questa politica religiosa. Il giovane imperatore siriano, infatti, sovvertì le tradizioni religiose romane, sostituendo a Giove, signore del pantheon romano, la nuova divinità solare del Sol Invictus, che aveva gli stessi attributi del dio solare di Emesa; contrasse anche, in qualità di gran sacerdote di Sol Invictus, un matrimonio con una vergine vestale, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il matrimonio tra il proprio dio e Vesta.

La politica religiosa e i suoi eccessi sessuali (ebbe cinque mogli e due mariti) causarono una crescente opposizione del popolo e del Senato romano, che culminò con il suo assassinio per mano della guardia pretoriana e l'insediamento del cugino Alessandro Severo. Eliogabalo fu inoltre colpito dalla damnatio memoriae. Il suo governo si guadagnò tra i contemporanei fama di eccentricità, decadenza, depravazione e fanatismo.

La storiografia moderna restituisce un ritratto più articolato, riconducendone il fallimento al contrasto tra il conservatorismo romano e la dinamicità del giovane sovrano siriano, alla sua incapacità di scendere a compromessi e alla sua incomprensione della gravità e solennità del ruolo di imperatore. Il suo regno, però, permise alla dinastia dei Severi di consolidare il proprio controllo dell'impero, permettendo di preparare il terreno per il governo di Alessandro Severo.  

Eliogabalo, nato nel 203 con il nome di Vario Avito Bassiano, era figlio di Sesto Vario Marcello e di Giulia Soemia, entrambi originari della città di Apamea in Siria. Suo padre era membro dell'ordine equestre e aveva fatto la carriera amministrativa a Roma sotto l'imperatore Settimio Severo, fondatore della dinastia dei Severi, e fu in seguito nominato senatore dal figlio e successore di Severo, Caracalla, che concesse a Vario Marcello uffici di grande responsabilità, prima della sua morte, avvenuta nel 217 circa.

Sua madre era la figlia maggiore di Giulia Mesa, vedova del console Gaio Giulio Avito Alessiano, sorella dell'imperatrice Giulia Domna e cognata dell'imperatore Settimio Severo; Giulia Soemia era dunque cugina dell'imperatore Caracalla, il quale aveva estinto, alla propria ascesa al trono, la discendenza maschile diretta della dinastia per timore di essere rovesciato. Altri parenti di rilievo erano la zia Giulia Mamea, lo zio Marco Giulio Gessio Marciano e loro figlio Alessandro Severo, cugino di Eliogabalo.

Il bisnonno materno di Eliogabalo, il padre di Giulia Domna e di Giulia Mesa, era Gaio Giulio Bassiano, il quale teneva per diritto ereditario il sacerdozio del dio solare El-Gabal a Emesa; lo stesso Eliogabalo ne era gran sacerdote. El è il nome della principale divinità semitica, mentre Gabal, che è legato al concetto di «montagna» è la sua manifestazione a Emesa. Tale divinità fu in seguito importata nel pantheon romano e assimilata al dio solare romano noto come Sol Indiges in età repubblicana e poi Sol Invictus nel II e III secolo.

Avito è dunque ricordato oggi con il nome del suo dio, Eliogabalo, che però non usò mai in vita. La famiglia di Giulio Bassiano, il cui nome derivava probabilmente dal titolo sacerdotale orientale basus, a Emesa era tenuta in alta considerazione, grazie al fatto che controllava il culto di El-Gabal, tanto da esercitare sulla regione un notevole potere; la loro importanza non fu certo danneggiata dal matrimonio della figlia di Giulio Bassiano, Giulia Domna, con Settimio Severo, anche se avvenne nel 187, quando Severo non era ancora imperatore.

La stirpe di Bassiano aveva probabilmente origini arabe, discendendo forse dai principi arabi di Emesa (Samsigeramus e Sohaemus) che, ancora nel I secolo, regnavano come vassalli dell'Impero romano, fino a quando Domiziano non pose fine alla loro semi-indipendenza.

ASCESA - Quando l'imperatore Macrino assunse il potere dovette decidere come eliminare il pericolo costituito per il suo regno dalla potente famiglia del suo predecessore assassinato, Caracalla; il nuovo imperatore si limitò a esiliare Giulia Mesa, le sue due figlie, e il suo più anziano nipote, Eliogabalo, nella loro tenuta ad Emesa in Siria, senza confiscare i loro beni. Dopo avere passato la giovinezza a Roma, Eliogabalo assunse il rango che nella sua città di origine gli spettava per diritto familiare, diventando gran sacerdote di El-Gabal.

Appena giunta in Siria Giulia Mesa iniziò a tramare con Gannys, il suo eunuco consigliere nonché tutore di Eliogabalo, per spodestare Macrino dal trono di imperatore e dare la porpora al nipote appena quattordicenne; le armi a sua disposizione erano l'enorme influenza locale che le veniva dal ruolo sacerdotale svolto dalla sua famiglia, le possibilità offerte dalla notevole ricchezza dei Bassiani, e l'insoddisfazione dell'esercito, che tanto aveva amato Caracalla quanto era ostile a Macrino per la sua politica di austerità.

A quel tempo il tempio di El-Gabal era molto frequentato, soprattutto dai soldati di stanza in Fenicia e quando essi venivano a visitarlo Mesa iniziò a diffondere una falsa voce: Eliogabalo era in realtà un figlio illegittimo di Caracalla che aveva giaciuto con entrambe le figlie mentre esse erano a Roma. Tra i soldati si sparse quindi la voce che Mesa fosse molto ricca e che avrebbe pagato bene chi avesse restaurato la sua famiglia sul trono imperiale. La Legio III Gallica, di stanza a Raphana, decise quindi di fare venire Mesa e la sua famiglia nell'accampamento durante la notte: insieme alle figlie e ai nipoti Mesa giunse nel campo militare e tutti furono accolti dai soldati, che acclamarono Eliogabalo figlio di Antonino. All'alba del 16 maggio 218Publio Valerio Comazone Eutichiano, comandante della III Gallica, dichiarò Eliogabalo imperatore. Il giovane sovrano assunse lo stesso nome di Caracalla, Marco Aurelio Antonino, per rafforzare ulteriormente la propria legittimità.

La contromossa di Macrino, che si trovava ad Antiochia di Siria, fu di tentare di debellare la ribellione inviando nella regione il proprio prefetto del pretorioUlpio Giuliano, con un piccolo contingente militare, ritenuto sufficiente a debellare l'usurpazione. Quando le forze di Giuliano arrivarono all'accampamento il prefetto decise di iniziare un assedio per fare arrendere volontariamente i rivoltosi; ma il giorno seguente i sostenitori di Eliogabalo convinsero i soldati nemici a passare dalla loro parte: gli ufficiali furono uccisi e la testa di Giuliano fu mandata a Macrino. Ogni giorno arrivavano nell'accampamento ribelle nuovi soldati disertori in piccoli gruppi, che aumentarono il numero di sostenitori di Antonino. Macrino, in risposta, nominò prima di tutto il figlio Diadumeniano suo successore con il titolo di Cesare, e poi iniziò a fare grandi elargizioni ai soldati per guadagnarsi il loro favore; inviò poi delle lettere al Senato, nelle quali denunciava Eliogabalo come il Falso Antonino e dichiarandolo pazzo. Entrambi i consoli e altri importanti membri del governo di Roma condannarono l'usurpatore, e il Senato dichiarò conseguentemente guerra a Eliogabalo e a Giulia Mesa. Macrino e Diadumeniano furono indeboliti dalla diserzione della Legio II Parthica in seguito alle elargizioni e alle promesse fatte da Giulia Mesa, e si scontrarono con le truppe comandate da Gannys nella battaglia di Antiochia dell'8 giugno 218. Macrino, vedendo che la battaglia era ormai persa, fuggì di nascosto insieme a qualche centurione. I soldati, non vedendo più l'imperatore, iniziarono a scoraggiarsi ed Eliogabalo prese l'occasione per convincere i pretoriani che stavano combattendo per un codardo e ne fece quindi la sua guardia personale.

Il giovane imperatore mandò quindi degli uomini per cercare il fuggitivo; Macrino, che si dirigeva verso l'Italia travestito da corriere, aspettandosi li aiuto dal Senato, venne catturato presso Calcedonia e giustiziato poco dopo in Cappadocia. Suo figlio Diadumeniano, mandato per sicurezza presso i Parti, fu invece catturato a Zeugma e messo a morte anche lui.

Eliogabalo entrò allora vittorioso ad Antiochia, distribuì denaro ai soldati e inviò lettere di riconciliazione a Roma, estendendo l'amnistia al Senato e riconoscendone le leggi, condannando al contempo il regno del suo predecessore, affermando che Macrino «prese a disprezzare la mia età, quando lui stesso nominò imperatore suo figlio di cinque anni». Inviò messaggi anche alle legioni sparse per l'Impero per criticare il predecessore e considerò la data della sua vittoria come l'inizio del suo regno, tanto da assumere la titolatura imperiale (Imperatore Cesare, figlio di Antonino, nipote di Severo, Pio Felice Augusto, proconsole, detentore della Potestà tribunizia) senza la preventiva approvazione del Senato, violando in questo modo la tradizione, ma iniziando una pratica poi ricorrente tra gli imperatori romani del III secolo.

I senatori ricambiarono l'atto di riconciliazione riconoscendo Eliogabalo imperatore e pater patriae («padre della patria»), accettandone la pretesa di essere figlio di Caracalla, il quale fu deificato assieme a Giulia Domna, elevando sia Giulia Mesa sia Giulia Soemia al rango di auguste. Infine, il comandante della III Gallica, Comazone, divenne il nuovo comandante della guardia pretoriana, mentre Gannys divenne il prefetto del pretorio.

Eliogabalo e la sua corte passarono l'inverno del 218 a Nicomedia in Bitinia, allo scopo di consolidare il proprio potere. Lì Eliogabalo celebrò i riti del suo sacerdozio, danzando in vesti siriane e disprezzando gli indumenti greci e romani. Queste particolari credenze religiose del nuovo imperatore si dimostrarono per la prima volta un problema, tanto che, secondo la testimonianza dello storico romano Cassio Dione, il prefetto del pretorio Gannys fu fatto assassinare da Eliogabalo perché cercava di indurlo a regnare con «temperanza e prudenza». Quando Giulia Mesa, nonna di Eliogabalo, vide le azioni del giovane, cercò di persuaderlo a vivere secondo la tradizione di Roma per paura che il giovane potesse sembrare troppo "barbaro". Eliogabalo, però, non prestò ascolto ai consigli della nonna e fece quindi inviare a Roma un suo ritratto in vesti sacerdotali, che fu piazzato sopra l'altare della Vittoria nella Curia; in questo modo i senatori si trovavano nell'imbarazzante posizione di sacrificare a Eliogabalo ogni volta che facevano offerte alla dea Vittoria. Sembra, tuttavia, che in quel periodo Eliogabalo fosse amato sia dal Senato sia dal popolo.

Le legioni furono scoraggiate dal comportamento dell'imperatore e si pentirono rapidamente di averlo sostenuto. Mentre Eliogabalo era in viaggio per Roma, piccole ribellioni scoppiarono all'interno della Legio IIII Scythica, dietro istigazione di Gellio Massimo, mentre l'intera III Gallica, la stessa che l'aveva proclamato imperatore, si ribellò acclamando imperatore il proprio comandante Vero. Le ribellioni furono rapidamente sedate: Gellio Massimo e Vero furono giustiziati, la III Gallica sciolta, e Tiro, base della Gallica, perse la condizione di metropoli. Molti altri si ribellarono al nuovo imperatore, anche persone estranee alla classe senatoria, facendosi proclamare all'interno delle legioni.

Quando la corte di Eliogabalo raggiunse Roma nell'autunno 219Comazone e gli altri alleati di Giulia Mesa e dell'imperatore ricevettero incarichi lucrativi e influenti, con grande oltraggio dei senatori, che non li consideravano personaggi rispettabili. Comazone, per esempio, proseguì la sua carriera divenendo praefectus urbi di Roma per tre volte e due volte console. Eliogabalo tentò di nominare cesare il proprio presunto amante Ierocle, mentre riuscì ad assegnare l'influente posizione non-amministrativa di cubicularius a un altro presunto amante, Zotico. La sua offerta di un'amnistia per l'aristocrazia romana che aveva sostenuto Macrino fu ampiamente onorata, anche se il giurista Ulpiano venne esiliato.

La relazione tra Giulia Mesa, Giulia Soemia ed Eliogabalo fu molto stretta, per lo meno all'inizio. La madre e la nonna del giovane imperatore ricevettero l'onore di assistere alle sedute del Senato romano, ed entrambe ricevettero titoli collegati con il rango senatoriale: Soemia ricevette il titolo di clarissima, Mesa il meno ortodosso mater castrorum et senatus («madre degli accampamenti e del senato»). L'imperatore costituì anche il senaculum mulierum, ovvero il «(piccolo) Senato delle donne», autorizzato a decidere su argomenti limitati, che si riuniva sul Quirinale.

Sul piano edilizio Eliogabalo abbellì Roma costruendo il circo Variano nella parte orientale, il tempio del Sol Invictus sul Palatino e completando le terme di Caracalla con palestre, negozi e altri annessi.

Esiste la possibilità che abbia anche dovuto fare fronte a una ribellione, non attestata dalle fonti; un indizio è il conferimento a tre legioni (la Minervia di stanza in Germania, la II Augusta di stanza in Britannia e la Gemina a Vienna) del titolo di Antoniniana, cioè di «legione leale ad Antonino», onore tipicamente riservato a quelle legioni che erano rimaste fedeli durante una insurrezione; secondariamente depone a favore di questa ipotesi la svalutazione della moneta, con la riduzione del contenuto di argento, segno della necessità di coniare più moneta per fare fronte alle spese militari.

La politica religiosa fu l'elemento prioritario di Eliogabalo, tutto compreso nella sua funzione di gran sacerdote, ma, al contempo, fu anche la causa primaria dell'opposizione che dovette affrontare: il suo obiettivo principale, infatti, non era semplicemente quello di fare entrare il dio sole di EmesaEl-Gabal, nel pantheon romano, ma quello di renderlo la divinità principale della religione romana, prima associandolo a Giove e poi facendovi confluire tutte le divinità romane.

Fin dal regno di Settimio Severo l'adorazione della divinità solare era cresciuta in tutto l'impero; Eliogabalo sfruttò questa popolarità per introdurre El-Gabal, che venne rinominato Deus Sol Invictus («Dio Sole Invitto») e posto al di sopra di Giove (il culto venne introdotto a partire dal 220); per rafforzare il legame tra il nuovo dio e la religione romana Eliogabalo fece contrarre a Deus Sol Invictus un «matrimonio sacro» (hieros gamos) con Astarte (la dea lunare), con Minerva, e con la dea cartaginese Urania (Dea Caelestis o Tanit).

Ulteriore oltraggio alla sensibilità religiosa dei Romani fu causato dalla sua decisione di unirsi in matrimonio con la vergine vestale Aquilia Severa: l'unione del sacerdote del dio sole con la sacerdotessa della dea Vesta avrebbe dato, nelle intenzioni dell'imperatore, «bambini simili a dei»; si trattava della rottura di un'antichissima e onorata tradizione romana, tanto che, per legge, una vestale che avesse perso la propria verginità veniva seppellita viva.

Per diventare l'alto sacerdote di El-Gabal, Eliogabalo si fece circoncidere, costringendo pure alcuni suoi collaboratori a fare lo stesso: Cassio Dione racconta che pensò persino di castrarsi, ma non ebbe poi il coraggio di farlo. L'imperatore obbligò i senatori a guardarlo mentre danzava attorno all'altare di Deus Sol Invictus al suono di tamburi e cimbali, e nel giorno del solstizio d'estate fu istituita in onore del dio una grande festa, popolare tra le masse grazie alla grande distribuzione di viveri. Durante questa festa, Eliogabalo poneva El-Gabal, il meteorite nero conico che rappresentava il dio solare di Emesa, su di un carro adornato con oro e gioielli, che girava la città in parata.

Un sontuoso tempio detto Elagabalium fu costruito sul pendio orientale del Palatino allo scopo di ospitare il betilo del dio. Le reliquie più sacre della religione romana furono trasferite dai rispettivi templi all'Elagabalium, inclusa la Magna Mater, il fuoco di Vesta, gli Ancilia dei Salii e il Palladio, in modo che nessun altro dio all'infuori di El-Gabal venisse adorato. Eliogabalo si fece persino erigere delle statue, per farsi adorare come un dio.  

L'orientamento sessuale di Eliogabalo e la sua identità di genere sono stati origine di controversie e dibattiti; va notato, però, che in Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente intrecciati, come usuale nella cultura orientale, ma la società romana non comprese questo aspetto a essa alieno e dunque considerò stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali, la prostituzione, all'interno delle quali va intesa la ricerca dell'androginia e della castrazione.

Stando al senatore e storico contemporaneo Cassio Dione, Eliogabalo sposò, per poi divorziare, cinque donne, delle quali solo tre sono conosciute. La sua prima moglie fu Giulia Cornelia Paula, che sposò poco dopo essere giunto a Roma (autunno 219), allo scopo di avere presto dei figli con i quali continuare la dinastia, ma dalla quale divorziò nelle prime settimane del 220 sulla base di una non meglio specificata imperfezione fisica, allo scopo di sposare la seconda moglie, la vergine vestale Aquilia Severa; nel giro di un anno, però, pose fine al controverso legame con Aquilia per sposare Annia Faustina (luglio 221), una discendente di Marco Aurelio e la vedova di Pomponio Basso, fatto giustiziare da poco da Eliogabalo stesso; entro la fine dell'anno, infine, tornò da Aquilia.  

La sua relazione più stabile fu quella con un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome Ierocle, al quale l'imperatore si riferiva chiamandolo suo marito. La Historia Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un uomo di nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica nella capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che Eliogabalo si dipingeva le palpebre, si depilava e indossava parrucche prima di prostituirsi nelle taverne e nei bordelli, e persino nel palazzo imperiale.

Erodiano commenta che Eliogabalo sciupò il suo bell'aspetto naturale facendo uso di troppo trucco. Venne spesso descritto mentre «si deliziava di essere chiamato l'amante, la moglie, la regina di Ierocle», e si narra che abbia offerto metà dell'Impero romano al medico che potesse dotarlo di genitali femminili. Di conseguenza, Eliogabalo è stato spesso descritto dagli scrittori moderni come transgender, molto probabilmente transessuale.  

Entro il 221 le eccentricità di Eliogabalo, in particolare la sua relazione con Ierocle, causarono il progressivo scollamento tra l'imperatore e la guardia pretoriana. Inoltre l'imperatore fece anche alcune scelte politiche poco felici, come l'assunzione del consolato per tre volte consecutive, una scelta fatta per l'ultima volta da Domiziano e da allora considerata un segno di dispotismo.

Quando Giulia Mesa si accorse che il sostegno popolare a Eliogabalo stava crollando rapidamente, decise che lui e sua madre Giulia Soemia, che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose, dovessero essere rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e popolare. Per trovare un sostituto al soglio imperiale Giulia Mesa si rivolse all'altra figlia, Giulia Mamea, e al figlio di lei, il tredicenne Alessiano (che assunse il nome di Alessandro Severo): Eliogabalo fu convinto ad associare il cugino al potere per lasciare a lui le cure secolari e meglio dedicarsi a quelle religiose. Alessandro fu adottato dal cugino (21 giugno 221), da cui ricevette il titolo di cesare e con il quale condivise il consolato per quello stesso anno (222). Sempre nell'ottica di riguadagnare il consenso va visto il divorzio dalla vergine vestale Aquilia Severa e il matrimonio con la nobile Annia Faustina.

Eliogabalo, però, si rese conto che i soldati, il Senato e il popolo gli preferivano il cugino, e decise di cambiare le cose. Dopo avere tentato ripetutamente di fare assassinare Alessandro, protetto dalla nonna Giulia Mesa, l'imperatore ordinò al Senato di annullare l'elezione a cesare del cugino e di ricoprire di fango le sue statue, ma i soldati si ribellarono ed Eliogabalo si salvò a malapena dalla loro rabbia; l'ordine non fu eseguito.

I rapporti tra Eliogabalo e il cugino/figlio si deteriorarono rapidamente entro la fine del 221: solo per le pressioni della madre e della nonna l'imperatore accettò di comparire in pubblico assieme ad Alessandro in occasione della loro assunzione del consolato (1º gennaio 222). L'imperatore mise in giro la voce che il cugino era moribondo per vedere la reazione della guardia pretoriana. 

Alla notizia i soldati si ribellarono, pretendendo che Eliogabalo e Alessandro si presentassero nel loro accampamento. L'imperatore si presentò al campo dei pretoriani l'11 marzo 222, assieme al cugino e alla propria madre Giulia Soemia; al suo arrivo i pretoriani iniziarono ad acclamare il loro favorito Alessandro, ignorando Eliogabalo, che ordinò allora l'arresto e l'esecuzione sommaria di coloro che sostenevano Alessandro, con l'accusa di ribellione. In risposta i pretoriani assalirono l'imperatore e poi sua madre.

Erodiano, invece, afferma che i cadaveri di Eliogabalo e di sua madre furono inizialmente lasciati insepolti per essere deturpati da chiunque lo desiderasse, finché non vennero gettati nelle fogne. Con la sua morte molti dei suoi collaboratori furono uccisi o deposti, inclusi Ierocle e Comazone. I suoi editti religiosi furono annullati ed El-Gabal fu mandato indietro a Emesa. Alle donne fu proibito per sempre di partecipare alle sedute del Senato romano, mentre fu decisa la damnatio memoriae contro di lui: le sue statue furono distrutte, il nome cancellato dai documenti e dalle iscrizioni, fu proibito piangerlo pubblicamente e seppellirlo.

Alessandro Severo (222 - 235)

Marco Aurelio Severo Alessandro Augusto (Arca Caesarea1º ottobre 208 – Mogontiacum, 18 o 19 marzo 235), nato come Marco Bassiano Alessiano ma meglio noto semplicemente come Alessandro Severo, è stato un imperatore romano, appartenente alla dinastia dei Severi, che regnò dal 222 al 235, anno della sua morte.

Adottato dal cugino e imperatore Eliogabalo, dopo il suo assassinio Alessandro salì al trono. Data la sua giovane età (fu imperatore a tredici anni), il potere fu effettivamente esercitato dalle donne della sua famiglia, la nonna Giulia Mesa e la madre Giulia Mamea. Passato alla storia come esempio di buon imperatore, rispettò le prerogative del Senato e si prese cura dei sudditi, non aumentò il carico fiscale e favorì il sincretismo religioso, infatti nel suo larario trovò posto anche una statua di Gesù Cristo, insieme a quella di Abramo. Come Antonino Pio, di carattere fu mite e buono, ebbe nobili inclinazioni. Anche quando giudicò su colpe gravissime, non inflisse la pena di morte.

L'imperatore non fu però all'altezza dei problemi militari che dovette affrontare. Nel 229 la dinastia dei Sasanidi incominciò un'offensiva che strappò ai Romani la Cappadocia e la Mesopotamia, fino a minacciare la Siria. Severo riuscì ad arginare l'invasione, ma dovette rapidamente trasferirsi sul fronte del Reno per difendere la Gallia dall'aggressione dei Germani. Nel 235 fu assassinato dai suoi stessi soldati durante una campagna contro le tribù germaniche in quanto stava trattando un accordo col nemico ed essi trovavano troppo esitante la sua condotta in guerra. Al suo posto salì al trono un generale di origine barbarica e di grandi capacità militari, Massimino il Trace.  

Bassiano Alessiano (questo il nome originario di Alessandro Severo) nacque il 1º ottobre 208 ad Arca Caesarea, in Fenicia. Suo padre era Marco Giulio Gessio Marciano, un funzionario di rango equestre che ebbe più volte l'incarico di procuratore imperiale, sua madre Giulia Avita Mamea, al secondo matrimonio; oltre ad Alessiano la coppia aveva avuto una figlia, e forse anche un figlio di nome Marco Giulio Gessio Bassiano.

La madre di Alessandro, Giulia Avita Mamea, era figlia del consolare Gaio Giulio Avito Alessiano e di Giulia Mesa, a sua volta figlia di Giulio Bassiano, sacerdote del culto solare di El-Gabal a Emesa (Siria); Alessiano e Mesa avevano anche un'altra figlia, Giulia Soemia Bassiana, moglie del siriano Sesto Vario Marcello e madre di Sesto Vario Avito Bassiano (l'imperatore Eliogabalo, regnante dal 218 al 222, che quindi era cugino di Alessandro). La nonna materna di Alessandro, Giulia Mesa, era sorella di Giulia Domna, moglie dell'imperatore Settimio Severo (193-211) e madre degli imperatori Caracalla (198-217) e Geta (209-211).

Per parte materna Alessandro era legato alla famiglia reale di Emesa, i cui membri erano sovrani di Emesa e sacerdoti del dio solare El-Gabal. Secondo l'Historia Augusta, Alessandro ricevette un'ottima educazione, sia nelle discipline civili sia in quelle militari. Ebbe numerosi maestri, sia nella sua città natale sia a Roma, che gli insegnarono filosofia, grammatica e retorica; tra questi il grammatico Scaurino figlio di Terenzio Scaurino, maestro di Lucio Vero. L'Historia racconta anche che non era molto bravo a fare discorsi in lingua latina, come si ebbe a vedere dai suoi discorsi in senato o davanti ai soldati.  

Alla nascita di Alessandro, l'impero era condiviso tra Settimio Severo e Caracalla, con l'associazione al trono di Geta nel 209; alla morte di Severo (211), i due figli ressero per un po' il regno insieme, fin quando, quello stesso anno, Caracalla assassinò Geta e tenne il potere da solo. Nel 217 Caracalla fu ucciso dalle sue stesse truppe, che acclamarono imperatore Macrino, il prefetto del pretorio di Caracalla; il nuovo imperatore, però, commise l'errore di rimandare la ricca Giulia Mesa, con le figlie e i nipoti, a Emesa, loro città d'origine.

Approfittando dei problemi della finanza imperiale e del malcontento delle truppe conseguente a una riduzione delle paghe, Mesa corruppe i legionari della Legio II Parthica, di stanza a Emesa, i quali acclamarono imperatore il cugino di Alessandro, Eliogabalo, il 16 maggio 218. Macrino tentò di riguadagnare il favore dei soldati (in questa occasione vanno inseriti gli episodi dell'assassinio della sorella e del cognato di Alessandro da parte del prefetto del pretorio Ulpio Giuliano e della morte di Gessio Marciano, padre di Alessandro), ma fu sconfitto nella battaglia di Antiochia e, dopo una lunga fuga, ucciso.

Salito al trono Eliogabalo si comportò come un monarca orientale, introducendo a Roma il culto del dio solare El-Gabal di cui era gran sacerdote, e adottando costumi orientali alieni alla mentalità romana; le sue eccentricità, la sua complessa identità sessuale e la sua relazione con l'auriga Ierocle, oltre che il matrimonio con la vergine vestale Aquilia Severa, gli alienarono le simpatie del popolo e della stessa guardia pretoriana; pesò negativamente anche l'assunzione del consolato per tre volte consecutive (218, sostituendo Macrino219 e 220), una scelta che era stata fatta per l'ultima volta da Domiziano e da allora considerata un segno di dispotismo.  

Quando Giulia Mesa si accorse che il sostegno popolare a Eliogabalo stava crollando rapidamente, decise che lui e sua madre Giulia Soemia, che lo aveva incoraggiato nelle sue pratiche religiose, dovessero essere rimpiazzati da qualcuno di più affidabile e popolare. Per trovare un sostituto al soglio imperiale all'interno della dinastia, Giulia Mesa si rivolse all'altra figlia, Giulia Mamea, e al di lei figlio, il tredicenne Alessiano, e convinse Eliogabalo ad associare il cugino al potere, per lasciare a lui le cure secolari e meglio dedicarsi a quelle religiose.

Alessiano assunse il nome di Marco Aurelio Alessandro: "Marco Aurelio Antonino" era infatti il nome ufficiale dell'imperatore meglio noto come Caracalla, il quale, secondo la propaganda orchestrata da Mesa e dalle sue figlie per ottenere la fedeltà delle legioni, sarebbe stato il padre sia di Eliogabalo (il cui nome era appunto "Marco Aurelio Antonino") sia di Alessiano, entrambi avuti da relazioni adulterine; il nome "Alessandro" fu invece scelto come riferimento ad Alessandro Magno.

Il 26 giugno 221 Eliogabalo adottò il cugino e lo nominò Cesare, scegliendolo come collega per il consolato per l'anno successivo (222). Erodiano racconta la singolare situazione in cui si trovò il Senato romano, che dovette ratificare un'adozione per cui un ragazzo di circa sedici anni diventava il padre di uno di dodici. Cassio Dione narra come secondo l'imperatore era stato il dio El-Gabal stesso a suggerirgli l'adozione e la scelta del nome del cugino-figlio adottivo.  

Eliogabalo associò il cugino e figlio adottivo nelle sue pratiche religiose, facendolo diventare sacerdote, e tentò di fargli assumere i propri costumi. Giulia Mamea, tuttavia, si oppose e, tenendo lontano il figlio dall'imperatore e dalla sua cerchia più stretta, fece impartire al figlio una classica educazione greco-romana curando principalmente le virtù della moderazione e dell'autocontrollo mentre Alessandro, per propria inclinazione, praticava anche la lotta.

L'imperatore ne fu contrariato e incominciò a rimpiangere di aver associato al potere il cugino: decise allora di allontanare i maestri dal palazzo imperiale, mettendone a morte diversi con l'accusa di corrompere il Cesare con i loro insegnamenti. A mano a mano che Eliogabalo progrediva nel suo comportamento eccentrico e dispotico, crescevano le aspettative dei Romani, e in particolar modo dei pretoriani, nei riguardi del giovane Alessandro e Giulia Mamea assecondava la loro inclinazione con frequenti donativi in modo da acquisirne il favore.

Elagabalo si inquietò ancor di più e tentò di danneggiare la reputazione del figlio adottivo e, non riuscendoci, incominciò a tramare per eliminarlo. Mamea, tuttavia, diede disposizioni affinché Alessandro non mangiasse cibi inviati o preparati da inservienti dell'imperatore, ma solo quello cucinato da personale di fiducia. Le precauzioni prese da Mamea e, in particolare, dall'esperta Giulia Mesa, bastarono a respingere i maldestri tentativi dell'imperatore di sbarazzarsi rapidamente del figlio adottivo, e alla fine Eliogabalo decise di agire più direttamente, tentando di togliere al cugino il titolo di Cesare e impedendogli di comparire in pubblico.

L'allontanamento di Alessandro dalla vita pubblica mise in subbuglio i soldati, specie quelli che erano stati chiamati al suo servizio. Una prima volta i pretoriani si ribellarono e continuarono la sommossa fin quando Eliogabalo si recò al loro campo con Alessandro, e dopo averli pregati di rientrare nei ranghi, dovette accettare le loro condizioni e consegnare loro alcuni suoi compagni di vizio, tra cui Ierocle, il suo amante ufficiale. Eliogabalo decise di mettere nuovamente alla prova il legame dei pretoriani col giovane Cesare e fece diffondere la voce che Alessandro era caduto ammalato.

pretoriani, addolorati e arrabbiati, si rifiutarono per la seconda volta di prestare servizio e si rinchiusero nel loro accampamento, chiedendo che Alessandro fosse loro mostrato nel tempio del castrum ed Eliogabalo, spaventato dalla loro reazione, si recò all'accampamento assieme al cugino. Quando i due cugini giunsero all'accampamento, i pretoriani acclamarono Alessandro, ignorando Eliogabalo; l'imperatore, furibondo, diede l'ordine di mettere a morte per tradimento i soldati che avevano acclamato il Cesare ma non l'imperatore. I pretoriani, stanchi delle eccentricità di Eliogabalo, si ammutinarono e lo uccisero assieme alla madre Giulia Soemia.

Il 13 marzo 222 Alessandro fu proclamato imperatore dai pretoriani, col nome di Marco Aurelio Severo Alessandro; il Senato gli concesse il titolo di augusto e di pater patriae, oltre alla potestà tribunizia, al comando proconsolare, al pontificato massimo e al diritto di fare cinque proposte di legge per ogni seduta del Senato.

Alessandro era molto giovane quando salì al trono, e il potere effettivo fu nelle mani delle donne della sua famiglia, l'influente nonna, Giulia Mesa, che però morì nel 226, e la madre Giulia Avita Mamea, che lo affiancò per tutto il suo regno.

Alessandro tentò di ridare lustro al Senato romano, e formò un collegio di sedici senatori che lo consigliassero nelle materie di governo; tra questi sedici senatori vi erano due eminenti giuristi Eneo Domizio Ulpiano e Giulio Paolo. Alessandro rimosse i funzionari del cugino maggiormente compromessi, evitando una generale rivoluzione nelle cariche; ad esempio confermò in carica come prefetti del pretorio Giulio Flaviano e Geminio Cresto, due esperti militari.

Nello stesso anno di ascesa al trono, però, nominò Ulpiano supervisore dei due prefetti pretoriani; il giurista, col sostegno dell'imperatore e di sua madre, divenne una sorta di co-imperatore, esercitando grande influenza sul giovane imperatore, che lo chiamava parens, "genitore". La scelta suscitò delle recriminazioni tra i militari, in quanto Ulpiano non aveva alcun merito dal punto di vista militare; secondo Zosimo, Mamea venne a conoscenza di un tentativo di rovesciare Ulpiano e fece mettere a morte gli attentatori, mentre lo stesso Ulpiano, secondo Cassio Dione che pure gli riconosce di aver utilizzato il nuovo ruolo per correggere alcune aberrazioni introdotte da Eliogabalo, fece mettere a morte Flaviano e Cresto per subentrare loro, e infatti, nel tardo 222, Alessandro nominò dunque prefetti del pretorio lo stesso Ulpiano e Paolo. I pretoriani, però, non gradirono gli eventi, e decisero di assassinare Ulpiano, tendendogli un agguato nottetempo; Ulpiano riuscì a sfuggire ai sicari, rifugiandosi a palazzo da Alessandro e dalla madre, ma quando i pretoriani insistettero che gli fosse consegnato il loro prefetto, Alessandro non fu in grado di salvargli la vita (tardo 223-metà 224).

Nel 225 sposò Sallustia Orbiana, figlia del prefetto del pretorio Lucio Seio Sallustio, il quale fu forse elevato al rango di Cesare. Nel 227, però, Sallustio fu accusato di aver tentato di assassinare Alessandro e fu messo a morte; Sallustia fu allora esiliata in Libia. Secondo Erodiano, Alessandro amava la moglie e viveva con lei, ma Sallustia fu allontanata dal palazzo da Giulia Mamea, che era gelosa del titolo di augusta ottenuto dalla nuora; indispettito dall'arroganza di Mamea ma in debito con Alessandro per i favori da lui concessigli, Sallustio decise di ritirarsi presso il campo dei pretoriani, ma Mamea lo mandò ad arrestare e mettere a morte, esiliando la nuora; il tutto sarebbe avvenuto, secondo Erodiano, contro il volere di Alessandro, il quale però non ebbe il coraggio di opporsi alla propria madre.

Tra i primi atti del nuovo imperatore vi fu la formazione di un consilium con sedici tra i più eminenti e moderati senatori, tra cui i giuristi Eneo Domizio Ulpiano e Giulio Paolo e lo storico Cassio Dione Cocceiano. Secondo Erodiano l'imperatore consultava i propri consiglieri su ogni decisione e non prendeva provvedimenti che non avessero ricevuto l'approvazione unanime.

Tutti coloro che indegnamente avevano raggiunto alte cariche sotto Eliogabalo, furono rimossi e rimandati alle loro precedenti mansioni. Gli interessi dello Stato furono affidati ad avvocati e oratori competenti, mentre gli incarichi militari furono assegnati a ufficiali con esperienza comprovata. Per tenerlo lontano da cattive compagnie che potessero traviarlo, la madre Giulia Mamea gli impose di presenziare quotidianamente e a lungo come giudice nei processi. Inoltre fu lei a decidere chi poteva parlare con il giovane imperatore, e decise chi poteva essere tra i circoli interni dell'imperatore e Mamea non permetteva a nessuno di stare vicino a suo figlio.

Alessandro, inoltre, si mostrò molto indulgente e nei casi in cui era prevista la pena di morte garantiva spesso il perdono per evitare di infliggere la pena capitale; Erodiano riporta che nessuno poteva ricordare, dopo diversi anni del suo regno, un episodio in cui un uomo era stato messo a morte senza processo. Formò anche un consiglio municipale di quattordici prefetti urbani che amministravano gli altrettanti distretti di Roma. Furono cancellati il lusso e la stravaganza che tanto avevano prevalso a corte; fu migliorato lo standard del conio; furono alleggerite le tasse; furono incoraggiate la letteratura, le arti e la scienza; fu aumentata l'assegnazione di terre ai soldati.

Onorò sia Cassio Dione sia lo storico Mario Massimo con un secondo consolato. Nell'interesse del popolo, furono istituite agenzie di prestito a basso interesse (4%), e acquistò grano a proprie spese, donandolo cinque volte al popolo.  

Roma Alessandro fece restaurare e re-intitolare le Terme di Nerone, che presero il nome di Terme alessandrine (227); fece costruire l'Acquedotto alessandrino per alimentarle, le recintò con un bosco piantato al posto di costruzioni da lui acquistate e fatte demolire, decretò delle tasse per curarne la manutenzione, adibì alcuni boschi a fornire il legname per il loro funzionamento e le rifornì di olio da illuminazione. Fece anche restaurare le Terme di Caracalla, cui aggiunse un portico; inoltre decretò che fosse reintrodotta la legge che proibiva la presenza a Roma di terme destinate ad ambo i sessi, abrogata da Eliogabalo. Fece costruire sul Palatino le Diaetae Mammaeae, una residenza destinata ad accogliere la madre.

Raccolse molte statue di uomini illustri per ornare il Foro di Traiano e decorò il Foro di Nerva con statue di imperatori divinizzati, provvedette alle necessità del tempio di Iside e Serapide, curò la manutenzione del Teatro di Marcello, del Circo Massimo, dello Stadio di Domiziano e il restauro del Colosseo, colpito da un fulmine durante il regno di Macrino, finanziando i lavori con le tasse su procuratori, prostitute e catamiti. A Dougga, in Tunisia, è ancora conservato in buone condizioni un arco eretto in suo onore.

Secondo la Historia Augusta, Alessandro pregava tutte le mattine presso il suo larario personale, in cui teneva le statue di alcuni tra gli imperatori romani divinizzati e di alcuni personaggi di spessore morale, come Apollonio di Tiana e, secondo alcune testimonianze contemporanee, di CristoAbramo e Orfeo; teneva pure una statua di Alessandro Magno, suo "antenato".

Ebbe molto rispetto per la religione romana tradizionale, a differenza del cugino e predecessore, mostrando deferenza per i pontefici, per gli auguri e per i quindecemviri sacris faciundis (i custodi dei Libri sibillini, un collegio di cui anche l'imperatore faceva parte). In talune occasioni permise anche che questioni religiose sulle quali si era già espresso fossero riaperte e condotte in maniera differente. Ogni sette giorni, quando era a Roma, saliva al tempio di Giove Capitolino e visitava frequentemente anche gli altri templi. Tra i suoi primi atti di "normalizzazione" dopo gli eccessi del cugino vi fu quello di far rimettere al loro posto nei vari templi tutte le statue d'oro e gli arredi sacri che Eliogabalo aveva fatto raccogliere nell'Elagabalium, il tempio che aveva fatto costruire a Roma al dio El-Gabal. Quando la nonna Giulia Mesa morì, Alessandro la fece divinizzare.

Il suo regno fu un periodo felice per gli ebrei e i cristiani; ai primi confermò i privilegi antichi, mentre non molestò i secondi. Secondo l'Historia progettò di dedicare un tempio a Cristo e di includerlo tra gli dei, ma desistette quando gli auguri gli dissero che in quel caso tutti si sarebbero convertiti al cristianesimo e gli altri templi sarebbero stati chiusi. Fece inoltre suo un motto ascoltato da un giudeo o da un cristiano, «Quod tibi fieri non vis, alteri ne feceris» ("Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te"); lo ripeteva di frequente e lo fece incidere, secondo l'Historia, sul suo palazzo e in altri luoghi pubblici.  

Infine, le esigenze difensive indussero il sovrano e i comandi ad adottare alcune importanti modifiche tattiche dell'esercito di cui fu un esempio il ritorno allo schieramento falangitico di più legioni contemporaneamente, fino a costituire una massa d'urto di sei legioni raggruppate, fianco a fianco, senza alcun intervallo.

Inoltre, per migliorare la mobilità dei reparti, Alessandro incentivò l'arruolamento di unità ausiliarie di arcieri e di cavalleria corazzata, i cosiddetti catafrattari o clibanarii, reclutati in Oriente e in Mauretania e infine l'utilizzo presso tutte le fortezze del limes di nuovi modelli di catapulte, al fine di tenere impegnato il nemico fino all'accorrere delle "riserve strategiche".  

Tra il 224 e il 226/227 avvenne a Oriente dell'Impero romano un episodio cruciale, che cambiò il corso della storia romana nel III secolo: l'ultimo imperatore dei PartiArtabano IV, fu rovesciato e il rivoltoso, Ardashir I, fondò la dinastia sasanide, destinata a essere avversaria orientale dei Romani fino al VII secolo. Tra il 230 e il 233 circa i Sasanidi e i Romani si scontrarono per la prima volta: il casus belli fu la rivendicazione da parte dei Sasanidi del possesso di tutto l'Impero achemenide, del quale affermavano di essere diretti eredi, includendo i territori ora romani dell'Asia Minore e del Vicino Oriente. Della campagna sasanide di Alessandro Severo esistono due racconti contrastanti: Erodiano non ha remore a mostrare gli errori dell'imperatore romano nella conduzione della guerra e descrive una situazione negativa per i Romani, salvo poi raccontare che i Sasanidi alla fine accettarono lo status quo; al contrario, nella Historia Augusta, nel Cesari di Aurelio Vittore e nel Breviario di storia romana di Eutropio, si racconta della grandiosa vittoria di Alessandro sui nemici dell'impero.

Secondo il racconto di Erodiano, la reazione di Alessandro alle pretese sasanidi fu quella di scrivere ad Ardashir, proponendogli di mantenere lo status quo e ricordandogli le vittorie romane sui Persiani; l'ambasciata non ebbe effetto, dato che il sovrano sasanide scese sul campo di battaglia. All'inizio della campagna (230), i Sasanidi penetrarono nella provincia romana della Mesopotamia cercando, senza riuscirvi, di conquistare Nisibis e compirono diverse incursioni in Siria e Cappadocia.

Alessandro organizzò allora una spedizione militare, raccogliendo a Roma un numero di truppe pari a quelle del nemico e scegliendo i migliori soldati. Erodiano riporta il discorso che Alessandro fece di fronte alle truppe schierate e racconta di come i soldati fossero incoraggiati dalle parole dell'imperatore; dopo aver distribuito denaro alle truppe, Alessandro si recò al Senato per fare un discorso simile e rendere pubbliche le sue intenzioni. Il giorno della partenza, dopo aver presenziato ai sacrifici di rito, l'imperatore lasciò Roma (231); Erodiano racconta di come Alessandro si volse più volte a guardare la città, piangendo, e di come piangessero anche sia i senatori sia il popolo che accompagnò l'amato imperatore.  

Dopo essere passato per l'Illirico, dove raccolse altre numerose truppe, raggiunse l'anno successivo (232) Antiochia di Siria, dove fece addestrare le truppe nelle condizioni ambientali delle province orientali. Fece allora un ulteriore tentativo di mediazione, offrendo pace e amicizia ad Ardashir, ma questi non solo mandò indietro gli inviati romani a mani vuote, ma mandò a sua volta ad Alessandro quattrocento soldati di aspetto imponente e riccamente vestiti, con un rinnovato invito ad abbandonare le terre fino al Bosforo; Alessandro reagì alla provocazione arrestando i quattrocento inviati sasanidi e li mandò a coltivare terre in Frigia, senza però metterli a morte.

L'imperatore romano decise di far passare all'esercito le frontiere naturali del Tigri e dell'Eufrate, ma si trovò ad affrontare ammutinamenti delle truppe e persino la proclamazione di un usurpatore, Taurino; sebbene questi pericoli avessero breve vita, Alessandro decise di tenere con sé solo le truppe più affidabili e, dietro consiglio dei propri generali, divise l'esercito in tre parti, tenendo per sé quella più forte e destinata all'attacco al centro del fronte, mentre le altre due avrebbero dovuto attaccare a nord e a sud. La sua indecisione nell'avanzare, però, fece sì che al contingente meridionale venisse a opporsi quasi l'intero esercito sasanide, che sconfisse i Romani infliggendo loro gravi perdite. Erodiano racconta che la causa dell'indecisione di Alessandro fu la sua paura di mettere in gioco la propria vita o le «paure femminili» di sua madre Giulia Mamea, che lo aveva seguito in Oriente.

La notizia della disfatta giunse all'imperatore mentre questi era ammalato, e lo fece disperare; gli stessi soldati, minati da malattie causate dall'ambiente insalubre e dalla scarsità delle provviste, accusarono l'imperatore di aver causato la distruzione dell'esercito con la sua incapacità a mettere in atto i piani stabiliti. Alessandro ordinò allora che i due gruppi superstiti di truppe si recassero a svernare ad Antiochia: se il suo contingente perse numerosi uomini durante il viaggio, i soldati provenienti da nord furono praticamente decimati dalle temperature rigide delle montagne dell'Armenia; l'esercito, ridotto enormemente a causa di questi eventi, addossò la colpa delle sue perdite all'imperatore.

Gli scontri tra Romani e Sasanidi, però, avevano indebolito enormemente anche l'esercito di Ardashir, che ne ordinò lo scioglimento per la pausa invernale tra il 232 e il 233. La notizia raggiunse Alessandro, la cui salute era migliorata ad Antiochia, dopo che aveva tentato di riottenere il favore dei propri uomini con un donativo e mentre stava preparando il prosieguo della campagna. Sebbene fosse convinto che il pericolo fosse terminato, Alessandro fu convinto a porre fine alle ostilità in Oriente anche dall'arrivo della notizia che gli Alemanni avevano passato Reno e Danubio e stavano saccheggiando campi e città in forze.

Differentemente da Erodiano, di cui rigetta il racconto dei fatti, l'Historia Augusta riporta un'altra versione, confermata da Aurelio Vittore e da Eutropio, secondo la quale Alessandro avrebbe sconfitto Ardashir in battaglia. L'Historia aggiunge che l'imperatore prese personalmente parte alla battaglia, comandando il fianco destro romano, e obbligando alla rotta l'esercito sasanide, forte di settecento elefanti da guerra e mille e ottocento carri falcati, oltre che da migliaia di cavalieri; tornato ad Antiochia, Alessandro avrebbe diviso tutto il bottino tra gli uomini. Un'ulteriore differenza tra le due versioni riguarda il trionfo di Alessandro a Roma: secondo Erodiano l'imperatore si affrettò dalla frontiera orientale a quella settentrionale per far fronte alla minaccia germanica; l'Historia Augusta narra invece del suo ritorno nella capitale nel 233, dove avrebbe celebrato un trionfo sui Sasanidi (attestato dalla numismatica) con donativi al popolo e giochi. L'Historia riporta anche un discorso di Alessandro di fronte al Senato romano, in cui l'imperatore rivendica modestamente il proprio successo.  

Secondo il racconto di Erodiano, mentre si trovava ancora ad Antiochia con l'esercito Alessandro fu raggiunto dalla notizia che gli Alemanni avevano attraversato in forze il limes germanico e stavano saccheggiando le province romane dell'Illirico, mettendo in pericolo anche l'Italia. Questa notizia causò malcontento nell'esercito, in particolare nelle truppe illiriche che erano state prelevate per la campagna sasanide indebolendo le difese della zona; i soldati imputavano all'imperatore sia l'indecisione nella guerra contro Ardashir sia i pericoli in cui metteva le popolazioni illiriche. Sempre secondo Erodiano, Alessandro si mosse rapidamente dalla frontiera orientale all'Illirico con gran parte dell'esercito, senza passare da Roma.

Evidenze numismatiche fanno propendere gli storici per la versione riportata dalla Historia Augusta, secondo la quale Alessandro tornò a Roma a celebrare il trionfo (233); per diversi mesi l'imperatore avrebbe goduto dell'aumento di popolarità dovuto alla campagna orientale, prima di essere raggiunto dalla notizia delle invasioni in Illirico e Gallia, ove si recò dopo aver richiamato l'esercito da Oriente (234).

Alessandro si accampò a Magonza, presso il Reno, e impegnò i barbari facendo uso delle truppe moreosroene e parte che aveva portato dalla campagna d'Oriente. Decise però di non rischiare una guerra e di corrompere i barbari e ottenere una pace incruenta (235). Queste trattative non trovarono il favore dei soldati, sia in quanto essi deprecavano l'atteggiamento remissivo dell'imperatore di fronte ai nemici che avevano invaso e saccheggiato le loro terre, sia in quanto una pace ottenuta in quel modo non avrebbe portato bottino per i soldati romani.  

Alessandro fu ucciso il 18 o 19 marzo del 235 a Mogontiacum insieme con la madre, in un ammutinamento probabilmente capeggiato da Massimino il Trace, un ufficiale della Tracia, che a ogni modo si assicurò il trono.

Secondo Erodiano i soldati decisero di rovesciare Alessandro, considerato troppo debole e di sostituirlo con Massimino, uno dei loro comandanti preferiti e dotato di maggiori capacità militari. Dopo aver acclamato Massimino imperatore, si recarono presso l'accampamento di Alessandro. Informato della sommossa, Alessandro si fece prendere dal panico e promise ai propri uomini di fare tutto quello che essi volevano in cambio della loro protezione, ma i soldati si rifiutarono di prendere le armi. Abbandonato dalle proprie truppe, Alessandro si ritirò presso la propria tenda, dove si trovava anche la madre Giulia Mamea, attendendo l'arrivo degli uomini di Massimino che li uccisero entrambi.

La Historia Augusta, invece, racconta che dopo numerosi cattivi presagi, Alessandro fu ucciso in quanto aveva sorpreso un soldato germanico della sua scorta all'interno della sua tenda: il soldato, temendo di essere punito, avrebbe riunito i propri compagni e ucciso l'imperatore e la madre.

In realtà lo scontento dei militari deve essere ricercato in questioni di natura diversa rispetto alla problematica della personalità indecisa del sovrano e può essere ricondotto alla tendenza dell'imperatore e di Giulia Mamea di favorire l'aristocrazia senatoria a scapito degli ufficiali dell'esercito come del resto alla politica finanziaria di prudente risparmio che incise, in misura non insignificante, proprio sui costi dell'armata suscitando il malcontento.

Con la caduta dell'ultimo dei Severi, molte raffigurazioni di Alessandro e di sua madre furono intenzionalmente distrutte, per mostrare il sostegno al nuovo imperatore. Nel 238, con la morte di Massimino il Trace e l'ascesa al trono di Gordiano III, Alessandro fu divinizzato e, per l'ultima volta, fu costituito un collegio di sodales in suo onore. A seguito di ciò, in molte iscrizioni da cui era stato cancellato sotto Massimino, il suo nome fu re-inciso.

Le ceneri di Alessandro e della madre furono tumulate in un sarcofago, decorato con scene del mito di Achille, ora ai Musei Capitolini, ma in origine deposto in un grandioso mausoleo, oggi noto come Monte del Grano, a Roma.

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